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CREDENTI DA IMITARE (Eb.13,7)

Ultimo Aggiornamento: 18/05/2019 13:12
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09/01/2016 06:32
 
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Beata Alessia Le Clerc (Maria Teresa di Gesù) Cofondatrice

9 gennaio


Remiremont (Francia), 2 febbraio 1576 - Nancy, 9 gennaio 1622

Beata Alessia Le Clerc Nacque a Remiremont in Francia il 2 febbraio 1576. A 20 anni decise di consacrarsi a Dio con il voto di castità. Incontrò san Pietro Fourier (1565-1640) allora parroco di Mattaincourt e un anno dopo, la notte di Natale del 1597, insieme a quattro compagne incominciò il suo apostolato: l'insegnamento alle fanciulle povere. Nel 1598 aprì la prima scuola a Poussay, mentre il vescovo di Toul approvava una prima stesura della Regola del nuovo Istituto: le Canonichesse regolari di Nostra Signora sotto la Regola di sant'Agostino, composta da Pietro Fourier. L'Istituzione fu approvata nel 1603 dal cardinale legato di Lorena e poi nel 1615 e 1616 da papa Paolo V; un anno dopo, nel novembre 1617, fu eretto il primo monastero ufficiale della Congregazione con clausura e Alessia Le Clerc, con le compagne, poté iniziare l'anno del noviziato, prendendo il nome di suor Maria Teresa di Gesù. Dopo aver emesso i voti nell'anno successivo, fu eletta superiora generale, carica che tenne fino al dicembre 1621. Morì il 9 gennaio 1622, nella Casa di Nancy. (Avvenire)

Etimologia: Alessia = colei che protegge, dal greco


Martirologio Romano: A Nancy in Francia, beata Maria Teresa di Gesù (Alessia) Le Clerc, vergine, che creò insieme a san Pietro Fourier la Congregazione delle Canoniche regolari di Nostra Signora, sotto la regola di sant’Agostino, per l’educazione della gioventù femminile.







Alla beata Alessia Le Clerc è toccato lo stesso iter prolungato per la sua beatificazione, come per l’altra celebre agostiniana s. Rita da Cascia, infatti s. Rita fu beatificata circa 200 anni dopo la morte e canonizzata dopo altri 300 anni circa.
Alessia Le Clerc, in religione Maria Teresa di Gesù, è stata beatificata infatti ben 325 anni dopo la sua morte, a causa di eventi politici e guerre succedutosi.
Nacque a Remiremont in Francia il 2 febbraio 1576 da Giovanni Le Clerc e Anna Sagay, essendo dotata di affabilità e spiccata intelligenza era da tutti amata e ricercata, trascorse la giovinezza cedendo volentieri alle vanità del mondo.
A seguito di una crisi spirituale, a venti anni ispirata dalla Grazia Divina, prese la decisione di mutare vita e volle consacrarsi a Dio con il voto di castità.
Ebbe la provvidenziale occasione d’incontrare s. Pietro Fourier (1565-1640) allora parroco di Mattaincourt, ponendosi sotto la sua illuminata guida e così un anno dopo, la notte di Natale del 1597, insieme a quattro compagne incominciò il suo apostolato, cioè l’insegnamento alle fanciulle povere.
Nel 1598 poté aprire la prima scuola a Poussay, mentre il vescovo di Toul approvava una prima stesura della Regola della nuova Istituzione: le Canonichesse Regolari di Nostra Signora sotto la Regola di S. Agostino, composta da s. Pietro Fourier.
Nel 1599 le cinque religiose si trasferirono a Mattaincourt, operando così bene nell’assistenza alle fanciulle bisognose che vennero richieste anche da altre città.
L’Istituzione fu approvata nel 1603 dal Cardinale Legato di Lorena e poi nel 1615 e 1616 da papa Paolo V; un anno dopo, nel novembre 1617, fu eretto il primo monastero ufficiale della Congregazione con clausura e Alessia Le Clerc con le compagne, poté iniziare l’anno del noviziato, prendendo il nome di suor Maria Teresa di Gesù.
Dopo aver emesso i voti nell’anno successivo, fu eletta Superiora Generale, carica che tenne fino al dicembre 1621, morì dopo pochi giorni il 9 gennaio 1622, nella Casa di Nancy, fra il compianto e la venerazione di tutti.
Aveva lavorato nell’apostolato a fianco del santo parroco di Mattaincourt, Fourier, per circa 25 anni e la sua Congregazione si era allargata con più di 20 Case nella Lorena e in tutta la Francia; a soli 46 anni lasciò per sempre la guida e il maestro della sua vita e della sua opera, che le sopravviverà per altri 18 anni.
Come già accennato, la causa per la sua beatificazione poté essere istruita solo a fine ‘800 e infine il 4 maggio 1947, papa Pio XII la iscrisse nel numero dei Beati.


Autore: Antonio Borrelli

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10/01/2016 07:39
 
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Sant' Aldo Eremita

10 gennaio






Non si sa esattamente in quale epoca S. Aldo sia vissuto, probabilmente nei secoli intorno al Mille. Secondo una tradizione fu eremita e carbonaio a Carbonia presso Pavia, e a Pavia fu sepolto nella cappella di S. Colombano, dalla quale fu traslato nella basilica di S. Michele. Non a caso la memoria di S. Aldo si è conservata a Pavia, che fu un tempo capitale del Regno dei Longobardi. E’ probabile, infatti, che sangue longobardo scorresse nelle vene del Santo eremita, o così almeno fa pensare l’origine del suo nome, che la parola longobarda “ald”, con il significato di vecchio.

Etimologia: Aldo = vecchio, inteso come esperto, saggio, dal longobardo




Ascolta da RadioRai:
Ascolta da RadioMaria:





Di S. Aldo, assai popolare nel nord, si conosce ben poco.
Ignoriamo perfino il luogo e la data della nascita, e quando si vuol determinare l'epoca in cui visse si parla vagamente del sec. VIII, quel periodo oscuro della nostra storia che precede l'età carolingia e l'Italia è smembrata in piccoli regni barbàrici, mentre sull'intera cristianità incombe sempre più la minaccia dell'islamismo. Un dato sicuro è il luogo di sepoltura, a Pavia, dapprima la cappella di S. Colombano e poi la basilica di S. Michele.
Un'antica tradizione ce lo presenta come carbonaio ed eremita nel pressi di Pavia, a Carbonaria. L'inclusione di S. Aldo nei Martirològi dell'Ordine benedettino ha fatto supporre che egli sia stato monaco a Bobbio, il celebre monastero fondato nel 614 da S. Colombano, a mezza strada tra il cenobio degli orientali e la comunità monastica creata un secolo prima da S. Benedetto. Il punto d'incontro di queste due forme di ascesi sembra indicato dall'esperienza religiosa del santo eremita che commemoriamo, un orante dalle mani incallite e il volto annerito dalla fuliggine delle carbonaie.
I monaci irlandesi di S. Colombano non conducevano una vita eremitica in senso stretto. Ognuno si costruiva la propria capanna di legno e di pietre tirate su a secco, entro una cinta rudimentale, per isolarvici in solitaria contemplazione nelle ore dedicate alla preghiera. Poi ne usciva con gli attrezzi da lavoro per recarsi alle consuete occupazioni giornaliere e guadagnarsi da vivere tra gli uomini col sudore della fronte. Insomma, l'eremita si allontanava provvisoriamente dagli uomini per dare più spazio alla preghiera e riempire la solitudine esteriore con la gioiosa presenza di Dio. Ma non si estraniava dalla comunità, alla cui spirituale edificazione contribuiva con l'esempio della sua vita devota e anche con carità fattiva.
Possiamo quindi ritenere S. Aldo un felice innesto dello spirito benedettino con quello apportato dai fervidi missionari provenienti dall'isola di S. Patrizio, l'Irlanda, l'"isola barbara" trasformata in "isola dei santi" per la straordinaria fioritura del cristianesimo. S. Colombano ne aveva portato sul continente una primaverile ventata di nuova spiritualità. Si era cioè prodotto un movimento inverso a quello che aveva recato la buona novella nell'isola degli Scoti. Decine di monaci e di eremiti irlandesi, fattisi "pellegrini per Cristo", in un esaltante scambio evangelico, da evangelizzati diventavano evangelizzatori.


Autore: Piero Bargellini

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11/01/2016 07:24
 
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Beata Anna Maria Janer Anglarill Fondatrice

11 gennaio


18 dicembre 1800 - 11 gennaio 1885








“Tu, Signore, mi darai la grazia per essere una tua sposa fedele, che ti ami molto e ti serva nella persona dei malati, degli handicappati”, diceva la serva di Dio.

Ana María nacque il 18 dicembre 1800 a Cervera, un piccolo paese situato nella Diocesi di Solsona, nella provincia spagnola di Lérida. Studiò nel Real Colegio de Educandas e collaborò nell'assistenza ai malati nell'Hospital Castelltort, rendendosi conto che Dio la chiamava a consacrarsi nell'ospedale di Cervera.

Parlando con ZENIT da Córdoba (Argentina), suor Cecilia Gutiérrez, membro della comunità fondata da madre Janer e autrice dell'inno ufficiale della sua beatificazione, ha affermato che la fondatrice scoprì Gesù “nelle necessità umane del suo tempo”.

“Nel corso della sua vita maturò e crebbe in lei quell'amore con cui ella stessa si sentì amata da Dio, un amore che non restò mai in lei, ma venne donato e condiviso, in modo sempre più radicale”, ha detto la religiosa.

Nel 1833 scoppiò la prima guerra carlista, e l'ospedale di Castelltort divenne ospedale militare. “La situazione in cui si trovò madre Janer sul campo di battaglia non fu facile, e anche se non aveva i mezzi sufficienti seppe organizzare e infondere serenità in quelle persone, dare sollievo, consolare”, ha riferito suor Cecilia.

I feriti di guerra la chiamavano “la madre” perché “rischiava tutto per fasciare le loro ferite, e li aiutava a morire pacificati con se stessi e con Dio”, ha indicato la religiosa. Questo amore non dipendeva dalla parte alla quale appartenevano e riconosceva la stessa dignità a ciascun combattente. Nel 1836, però, la giunta dell'ospedale espulse le suore.

Dopo la battaglia di Gra, madre Janer si diresse a Solsona, dove si mise a disposizione della Diocesi. L'infante Carlo di Borbone le chiese di coordinare gli ospedali della zona carlista e lei lo fece.

Nel 1844 tornò all'ospedale di Cervera. Cinque anni dopo divenne direttrice della Casa di Carità o di Misericordia della stessa città. Ospitava bambini orfani, giovani handicappati e anziani. Si impartivano anche lezioni a bambini e bambine esterni.

Nel 1859 accettò la richiesta del Vescovo di Urgell, Josep Caixal Estradé, e stabilì una fraternità caritativa nell'ospedale di poveri malati di La Seu d’Urgell.

Le risposte che la futura beata iniziò a dare alle necessità della Chiesa e della società furono il seme per la fondazione dell'Istituto delle Suore della Sacra Famiglia di Urgell il 29 giugno 1859.

Il carisma e l'identità di queste suore è oggi la carità che vuole essere il riflesso dell'amore di Dio, soprattutto per i più deboli e vulnerabili.

Attualmente l'Istituto è presente in Spagna, Andorra, Italia, Argentina, Paraguay, Uruguay, Cile, Colombia, Messico, Perù e Guinea Equatoriale. Le suore lavorano in scuole, ospedali e ospizi, missioni, parrocchie e altri apostolati conformi al carisma.

Ci sono anche dei laici janeriani, giovani o adulti che si identificano con il carisma di madre Janer e si sentono chiamati dal Signore a collaborare da vicino alla missione dell'Istituto.

Per questo si formano e fanno proprio il carisma di madre Janer. Nella pratica, si impegnano a portare avanti molte delle opere fondate dalla futura beata.

Per questa famiglia spirituale, la beatificazione della fondatrice risulta un invito a “gioire con la Chiesa per la vita di questa nuova beata, una donna che amò e servì la Chiesa sempre e in ogni ambito ecclesiale: nella comunità, nella Chiesa locale, nella fedeltà e collaborazione incondizionata con i pastori”, ha detto suor Cecilia.

Allo stesso tempo, comporta una responsabilità: “fare scelte di vita, apportare ciò che siamo e abbiamo perché questa storia iniziata con il 'sì' di Ana María possa continuare e dare frutti di vita per la Congregazione, per la Chiesa”, ha aggiunto.

Madre Janer aveva un amore speciale per la croce. Guardare Cristo crocifisso divenne per lei un incentivo che le permetteva di essere “segno e testimonianza chiara di colui che ci ha amati per primo, di colui che ci ama fino a dare la vita”, ha ricordato suor Cecilia.

Ana María morì l'11 gennaio 1885 e chiese di morire a terra come penitente per amore di Cristo, che – disse – “per me è morto inchiodato sulla croce”.


Autore: Carmen Elena Villa

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12/01/2016 09:15
 
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Beato Antonio (Antoine) Fournier Padre di famiglia, martire

12 gennaio


La Poitevinière, Francia, 26 gennaio 1736 – Avrillé, Francia, 12 gennaio 1794



Antoine Fournier nacque a La Poitevinière, nel dipartimento francese di Maine-et-Loire, il 26 gennaio 1736. Laico coniugato e padre di famiglia, lavora come artigiano ed in particolare quale maestro d’arte. Fu fucilato per la sua fedeltà alla Chiesa il 12 gennaio 1794 presso Avrillé.
Papa Giovanni Paolo II ha beatificato Antoine Fournier il 19 febbraio 1984 insieme con un gruppo complessivo di 99 martiri della diocesi di Angers, capeggiati dal sacerdote Guglielmo Repin, vittime della medesima persecuzione.

Martirologio Romano: Ad Avrillé presso Angers in Francia, beato Antonio Fournier, martire: artigiano, fu fucilato, al tempo della rivoluzione francese, per la sua fedeltà alla Chiesa.

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13/01/2016 05:12
 
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Beato Amedeo di Clermont Monaco

13 gennaio


m. Francia, 1150







Amedeo di Clermont il Vecchio era signore di Hauterive, nella regione Drôme, ed apparteneva ad una nobile famiglia imparentata con la casa reale di Franconia.Abbandonò il mondo con altri sedici cavalieri suoi vassalli entrando nell’Ordine dei Cluniacensi a Bonnevaux. Morì nel 1150, dopo essersi prodigato nella fondazione di vari monasteri. Nell’entrare a Bonnevaux portò con se il figlio omonimo, non ancora decenne. Quest’ultimo, che fu abate di Hautecombe e vescovo di Losanna, è venerato come “santo” il 30 agosto. Il padre invece, venerato come “beato”, è commemorato il 13 gennaio.


Autore: Fabio Arduino

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14/01/2016 07:19
 
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San Dazio Vescovo di Milano

14 gennaio


† 552

Martirologio Romano: A Milano, deposizione di san Dazio, vescovo, che nella controversia dei Tre Capitoli difese la posizione del papa Vigilio, che accompagnò poi a Costantinopoli, dove morì.








Di San Dazio, ventiseiesimo vescovo di Milano, morto tra febbraio e marzo 552, va ricordata la carità intelligente e operosa. Quando nel 535-536 una terribile carestia colpì la regione, ottenne dal prefetto, Cassiodoro, di distribuire alla popolazione affamata le riserve di grano, custodite a Pavia e Tortona. È il segno di quanto Dazio fosse stimato, e insistente nel bussare sino a che non si apre la porta del cuore. Convinto che fosse dovere del vescovo farsi carico anche delle sofferenze del suo popolo, nel 538 si mise in viaggio per Roma, per convincere Belisario ad inviare truppe contro i Goti, che devastavano la diocesi e l’Alta Italia. Purtroppo, mentre era lontano Milano fu devastata dai Goti e Dazio non poté più tornare tra i suoi. «Troppi muoiono senza battesimo per l’assenza del vescovo», scrissero i presbiteri al vescovo, ma questi era a Costantinopoli, coinvolto nello sforzo di salvare la libertà della Chiesa dall’invadenza di Giustiniano, che si piccava di imporre per legge le sue teologie. Ambrogio, invece, insegnava: «Gesù Cristo, nostro Signore, ha ritenuto che gli uomini possano essere obbligati e stimolati a fare il bene, più con la benevolenza che con la paura».

Autore: Ennio Apeciti

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15/01/2016 08:04
 
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Sant' Arnoldo Janssen Fondatore

15 gennaio


Goch (Münster - Germania), 5 novembre 1837 - Steyl (Olanda), 15 gennaio 1909



Arnold Janssen, prete e insegnante tedesco, iniziò nel 1873 un'attività di apostolato missionario dapprima fondando un mensile, il "Piccolo Messaggero del Sacro Cuore di Gesù", poi nel 1875 la Società del Verbo Divino (Verbiti). A causa delle leggi anticattoliche bismarckiane (Kulturkampf) la casa madre sorse a Steyl, in Olanda. La prima missione fu nella Cina meridionale, ma presto i Verbiti si diffusero in tutti i continenti. Nacquero anche un ramo femminile, le Serve dello Spirito Santo e uno contemplativo, le Serve dello Spirito Santo dell'Adorazione perpetua. «Dinanzi alla luce del Verbo e allo Spirito della grazia recedano le tenebre del peccato e la notte del paganesimo. E il Cuore di Gesù viva nel cuore degli uomini», è la preghiera che il fondatore faceva recitare al termine di ogni riunione. Janssen - morto a Steyl nel 1909 a 72 anni - è stato canonizzato il 5 ottobre 2003 insieme a uno dei primi Verbiti, l'altoatesino Josef Freinademetz, morto in Cina 13 giorni dopo di lui, e a Daniele Comboni. (Avvenire)

Etimologia: Arnoldo = potente come aquila, dall'antico tedesco


Martirologio Romano: Nel villaggio di Steyl in Olanda, sant’Arnoldo Janssen, sacerdote, che fondò la Società del Verbo Divino per diffondere la fede nelle missioni.








Papa Giovanni Paolo II ha canonizzato il 5 ottobre 2003, in Piazza S. Pietro in Roma, tre grandi santi apostoli missionari del XIX secolo; il vescovo Daniele Comboni, Josef Freinademetz missionario in Cina e Arnold Janssen fondatore di Congregazioni Missionarie, del quale parliamo in questa scheda.
Arnold Janssen nacque il 5 novembre 1837 a Goch (Münster) in Germania, secondogenito degli undici figli di Gerardo Janssen e Anna Caterina Wellesen, genitori di profonda fede cattolica. Studiò nel collegio vescovile agostiniano di Gaesdonk, nel collegio Borromeo di Münster e all’Università di Bonn; nel 1859 entrò nel seminario maggiore di Münster e il 15 agosto del 1861 fu ordinato sacerdote.
Iniziò il suo apostolato come insegnante nella scuola secondaria di Bocholt dove fu maestro esigente ma giusto; essendo molto devoto al Sacro Cuore di Gesù, venne nominato direttore diocesano dell’Apostolato della Preghiera, dove ebbe l’opportunità di contattare anche cristiani di altre confessioni; nell’ottobre 1873 accettò l’incarico di rettore del convento delle Orsoline in Kempen, che gli lasciava abbastanza tempo libero per le altre attività di apostolato.
Man mano maturava in lui la convinzione che la Chiesa tedesca doveva prendere coscienza della propria responsabilità missionaria, cioè andare incontro alle necessità spirituali delle persone oltre i confini delle proprie diocesi, nel contesto della missione universale della Chiesa.
Nel 1873 lasciò l’insegnamento e fondò un periodico mensile il cui primo numero uscì nel gennaio 1874 con il titolo di “Piccolo Messaggero del Cuore di Gesù” per informare i fedeli sui bisogni delle missioni in patria e all’estero.
In quegli anni la Germania attraversava un periodo di contrapposizioni tra il governo, che voleva mettere tutti gli aspetti ecclesiastici sotto il dominio del potere civile e la Chiesa tedesca che si opponeva, ciò portò all’espulsione e anche alla prigionia di sacerdoti e vescovi, subendo le leggi anti-cattoliche derivanti dalla “Kulturkampf” (lotta per la cultura) di Bismarck.
Arnold Janssen pensò che questi sacerdoti potessero essere inviati in missione o perlomeno aiutare nella formazione di missionari, tenendo presente che in Germania mancava un Centro che avesse questo scopo.
Il tempo passava e nessuno prendeva quest’iniziativa, allora Arnold Janssen consigliato e sostenuto dal vescovo di Hong-Kong mons. Raimondi e dal parroco von Essen dalle idee missionarie, capì che la persona adatta era proprio lui e che il Signore lo chiamava a quest’opera, avvalendosi anche del periodico che dirigeva e pubblicava, con il quale prese a raccogliere fondi monetari.
Non potendo fondare una Congregazione in Germania a causa della “Kulturkampf” in vigore, si spostò in Olanda, accolto benevolmente dal parroco di Tegelen e con l’approvazione del vescovo di Roermond; il 16 giugno 1875 acquistò a Steyl una casa, che divenne il centro della nuova fondazione della Congregazione del Verbo Divino, inaugurata l’8 settembre 1875, così iniziò la formazione dei missionari.
Gli edifici si moltiplicarono e nel mezzo sorse la chiesa dedicata a S. Michele Arcangelo, inoltre si mise in moto la tipografia missionaria, che stampava migliaia di copie del “Piccolo Messaggero del Cuore di Gesù” ed il “Calendario di S. Michele” per la propaganda missionaria.
Nel 1878 entrarono i primi tre fratelli laici e il 2 marzo 1879 partirono i primi due missionari per la Cina, G. B. Anzer e Josef Freinademetz (1852-1909) della diocesi di Bressanone, che come detto all’inizio, quest’ultimo sarà canonizzato insieme al fondatore.
Iniziò con l’attività missionaria dei ‘Verbiti’ nello Shantung meridionale, prima missione della nuova Congregazione “Società del Verbo Divino”, approvata prima dal vescovo di Roermond e poi dalla Santa Sede il 25 gennaio 1901.
Intanto la Congregazione cresceva con gran numero di fratelli collaboratori (non previsti inizialmente) e di studenti aspiranti missionari; nel 1885 Arnold Janssen fu nominato primo Superiore generale.
Sorsero nuove Case: il Collegio di S. Raffaele a Roma nel 1888 per preparare gli insegnanti della Società; S. Gabriele a Mödling presso Vienna nel 1889; S. Croce in Slesia nel 1892; S. Vendelino nella Saar (1898); S. Ruperto a Biscofshofen presso Salisburgo nel 1906; e a Techny (Chicago).
Fra i volontari che aiutavano nelle Case, vi erano parecchie donne, che dopo un certo tempo al servizio della Società del Verbo Divino, espressero il desiderio di diventare delle religiose consacrate; allora padre Arnold Janssen, convinto dell’importanza della donna nelle terre di missione, fondò l’8 dicembre 1889 la Congregazione delle “Serve dello Spirito Santo”, la cui Regola venne approvata nel 1893 dal vescovo di Roermond; le prime suore partirono per l’Argentina nel 1895.
Il fervoroso fondatore non si fermò qui; affinché l’attività missionaria fosse sostenuta dalla preghiera di anime consacrate a tale scopo, scelse alcune suore adatte e fondò nel 1890 una Congregazione di clausura: le “Serve dello Spirito Santo dell’Adorazione Perpetua” con lo scopo specifico di adorazione ininterrotta al Santissimo Sacramento e la preghiera incessante per la Chiesa e per le altre due Congregazioni missionarie.
Nel venticinquesimo delle fondazioni i membri delle Comunità erano 208 sacerdoti, 549 fratelli, 190 suore, 99 studenti di teologia, 731 studenti delle classi inferiori.
Nel luglio 1907 papa s. Pio X volle dimostrare ad Arnold Janssen la sua personale riconoscenza e quella della Chiesa dicendogli: “ Io ti ringrazio ed ora voglio benedirti, figlio carissimo”.
Nei 34 anni che guidò le sue Opere, le nuove fondazioni si diffusero in Cina, Africa, Nuova Guinea, Giappone, America Latina; insistette che i suoi missionari fossero educati nelle scienze sociali, in modo che potessero studiare sistematicamente le culture e le lingue di altre nazioni, così da apprezzare la ricchezza culturale della popolazione con la quale dovevano lavorare.
La sua vita fu una permanente ricerca della volontà di Dio, di fiducia nella Divina Provvidenza e di duro lavoro; volle intitolare la sua fondazione al Verbo Divino, memore della predilezione dei pii genitori verso il prologo del Vangelo di S. Giovanni “In principio era il Verbo…”, che veniva recitato ogni sera in famiglia.
Al termine di ogni riunione dei suoi figli volle far recitare questa preghiera: “Dinanzi alla luce del Verbo e alla Spirito della grazia, recedano le tenebre del peccato e la notte del paganesimo. Ed il Cuore di Gesù viva nel cuore degli uomini”.
Come tutti i fondatori anche Arnold Janssen conobbe le difficoltà, che nel suo caso provenivano proprio dai vescovi tedeschi, i quali erano allarmati dall’aumento dei giovani che si votavano all’ideale missionario, confluendo nella “Società del Verbo Divino”, con il pericolo reale della diminuzione delle vocazioni per il clero diocesano.
La sua saggezza e spiritualità riuscì a trovare la mediazione giusta per le necessità ambedue prioritarie, dell’apostolato interno e di quello missionario, perché la parola di Cristo: “Andate in tutto il mondo e predicate!” deve essere eseguita.
Il venerato fondatore morì a Steyl in Olanda il 15 gennaio 1909; la causa per la beatificazione fu introdotta il 10 luglio 1942. È stato beatificato da papa Paolo VI il 19 ottobre 1975, insieme al suo primo missionario verbita Josef Freinademetz, morto 13 giorni dopo di lui in Cina, con il quale è stato poi anche canonizzato nel 2003.


Autore: Antonio Borrelli

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16/01/2016 05:30
 
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San Dana (Danatte) Martire

16 gennaio


IX secolo



Vissuto nel IX secolo, originario di Valona (Albania) , S.Dana approdò nel Capo di Leuca insieme con alcuni suoi connazionali. Prestò servizio, come diacono, nel Santuario di S. Maria di Leuca. in seguito a una incursione di Mori, nell'approssimarsi delle navi saracene, il giovane diacono prese con sé la pisside con l' Eucaristia e fuggì verso Montesardo, luogo sicuro e difeso. Ma lungo il percorso a 5 miglia da Leuca, in località "La Mora" fu raggiunto e ucciso in odio alla fede cristiana. Ebbe il tempo di consumare le Sacre Particole per non esporle alla profanazione. Sul Luogo del martirio sorge una stele marmorea, che dista circa 200 metri dal paesino che porta il suo nome. La festa si celebra il 16 gennaio.

Martirologio Romano: A Valona nell’Illirico, nell’odierna Albania, san Danacte, martire.








Apparteneva, in qualità di lettore, al clero della città di Aulona nell'Illirico, di cui era originario. Durante una violenta persecuzione pagana (scoppiata in epoca ignota), Dana (Danacto), cercò di mettere in salvo gli arredi della chiesa rifugiandosi in luogo sicuro, a cinque miglia dalla città, verso il mare. Inseguito e raggiunto dai pagani, che gli imposero di sacrificare a Dionisio come al dio datore del vino, proclamò apertamente la propria fede in Cristo, come Colui che ha creato il mondo e tutto ciò che è nel mondo. Fu fatto a pezzi con le spade e gettato in mare.
A San Dana (diocesi di Ugento, Puglia) Dana è onorato nella chiesa parrocchiale: il santo dell'Illirico è da identificarsi con quello della Puglia, oltre che per il nome (poco frequente in Occidente), anche per il giorno della festa, che cade il 16 gennaio.


Autore: Raffaele De Simone

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17/01/2016 07:11
 
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Beata Eufemia Domitilla

17 gennaio


† 17 gennaio 1359







Figlia del duca Przemislao di Ratibor (Slesia), entrò nel convento domenicano di questa città divenendone priora. Morì il 17 gennaio 1359 in fama di santità.
Dal popolo è venerata come beata. Il suo corpo, dal 1821, è nella chiesa parrocchiale di Liebfrauen.


Autore: Ferdinand Baumann

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18/01/2016 08:01
 
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Beata Beatrice II d'Este Monaca

18 gennaio


Ferrara, 1230 - 18 gennaio 1262

Martirologio Romano: A Ferrara, beata Beatrice d’Este, monaca, che, alla morte del marito, avendo rinunciato al regno di questo mondo, si consacrò a Dio in un monastero da lei stessa fondato sotto la regola di san Benedetto.








Le poche notizie biografiche ci sono pervenute dall'atto di monacazione, dal testamento del padre, dalla breve biografia di un monaco padovano, quasi contemporaneo, da un cenno nella Chronica parva ferrariensis e dalla biografia di una monaca ferrarese (Monastero di S. Antonio Abate, Catasto dei privilegi del sec. XVI ed altra copia del sec. XV in Bibl. Ariostea, fondo Antonelli, n. 503). I Bollandisti si limitano a riportare passi di vari autori (Padovano, Signa, martirologi benedettini) ed un miracolo del 1628.
Figlia di Azzo IX (VII), marchese d'Este e signore di Ferrara, e di Giovanna di Puglia, Beatrice nacque in Ferrara intorno al 1230. Educata agli esempi della zia Beatrice, monaca a Gemmola (Padova), e della nonna Leonora di Savoia, fu data in sposa (1249) a Galeazzo, figlio di Manfredi e podestà di Vicenza. Nel raggiungerlo a Milano, ebbe la dolorosa notizia della sua morte in battaglia contro Federico II. Ritornata a Ferrara, si ritirò a vita monastica nell'isoletta di S. Lazzaro, ad ovest della città, con alcune damigelle di corte, ricevendo l'abito di s. Benedetto. Cresciuto il numero delle religiose, ottenne dal papa Innocenzo IV di trasferirsi nel monastero di S. Stefano della Rotta (1257), presso il quale sorse la chiesa di S. Antonio abate, costruita nel 1267. Beatrice emise i voti nelle mani del vescovo Giovanni, abbracciando la regola di s. Benedetto il 25 marzo 1254. Vissuta santamente, morì il 18 gennaio 1262, e non, come ritenne il Muratori, nel 1270. Fu sepolta in un'ala del gran chiostro trasformata in cappella, e il suo sepolcro fu meta di pellegrinaggi.
Clemente XIV ne approvò il culto il 23 luglio 1774 e Pio VI concesse la Messa e l'Ufficio proprio nel 1775, fissandone la celebrazione al 19 gennaio, poiché il 18 ricorreva la festa, ora soppressa, della Cattedra di s. Pietro in Roma. Dal suo sepolcro marmoreo, in certi periodi dell'anno, trasuda miracolosamente un liquido e dalle sue ossa si sprigiona un delicato profumo. Le molte grazie ottenute in occasione di calamità pubbliche rendono il luogo oggetto di grande venerazione.


Autore: Dante Balboni

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19/01/2016 08:27
 
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Sant' Arsenio di Corfù Vescovo

19 gennaio






Nacque a Betania, presso Gerusalemme, al tempo di Basilio I il Macedone (867-886). Eletto vescovo di Corfù . Recatosi a Costantinopoli per difendere presso Costantino VII Porfirogenito le ragioni dei notabili della sua isola, nel viaggio di ritorno si ammalò gravemente e morì presso Corinto.

Emblema: Bastone pastorale


Martirologio Romano: A Corfù in Grecia, sant’Arsenio, vescovo, accorto pastore del suo ovile e assiduo alla preghiera notturna.








Dalla tradizione di Corfù si apprende che Arsenio fu vescovo o arcivescovo di questa città fra il IX e il X sec. e che a lui si devono tre omelie greche sull'apostolo Andrea, su santa Barbara e su san Terino, martire dell'Epiro. Petrides ha potuto ricavare dalla Vita di Arsenio, alcune notizie che ci permettono di individuare con sufficiente sicurezza l'epoca in cui egli visse. La Vita è una composizione originale di indubbio valore storico e si accorda perfettamente con notizie desunte da altre fonti. Arsenio nacque a Betania in Palestina, mentre regnava Basilio I il Macedone (867-86) e, dopo aver abbracciato la vita monastica all'età di dodici anni, completò i suoi studi a Seleucia. Ordinato sacerdote, dopo una visita ai Luoghi Santi, si recò a Costantinopoli presso Trifone, che, divenuto patriarca nel 928, gli affidò alcuni incarichi nella diocesi. Nel 933 Teofilatto, succeduto a Trifone, lo nominò vescovo di Corfù. Petrides avanza il sospetto che Teofilatto abbia voluto allontanare da Costantinopoli il discepolo caro a Trifone, ma nella Vita non ci sono indizi che possano giustificare questo sospetto. Non abbiamo alcuna notizia precisa sulla sua attività episcopale; sappiamo solo che era molto assiduo nell'orazione e che anticamente a Corfù si mostrava una grotta dove, secondo la tradizione, Arsenio usava ritirarsi e passare le notti pregando. Recatosi a Costantinopoli per difendere presso Costantino VII Porfirogenito (912-59) le ragioni dei notabili della sua isola, nel viaggio di ritorno si ammalò gravemente e morì presso Corinto. Il suo corpo fu trasportato a Corfù e sepolto nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo. Con molta probabilità fu in seguito trafugato dai veneziani.
La Chiesa latina e quella greca celebrano la festa di Arsenio il 19 gennaio. Oltre le omelie su Andrea, su Barbara e su Terino si attribuisce ad Arsenio anche un poema anacreontico sulla domenica di Pasqua, edito da Matranga. Una traduzione latina inedita della Vita di Arsenio è nel ms. Barberini 2663.


Autore: Giorgio Eldarov

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20/01/2016 08:48
 
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Beato Angelo (Francesco) Paoli Sacerdote carmelitano

20 gennaio


Casola in Lunigiana, Massa Carrara, 1 settembre 1642 - Roma, 20 gennaio 1720







Francesco Paoli nacque il 1° settembre 1642 ad Argigliano di Casola, un borgo della Lunigiana. Primogenito di tre fratelli e tre sorelle, fin da giovane si distinse per religiosità e attenzione ai poveri, amava molto le funzioni e la liturgia. Dopo aver ricevuto un po’ di istruzione dallo zio materno, vicario parrocchiale di Minacciano, non aveva ancora compiuto diciotto anni che si presentò al vescovo di Luni-Sarzana per chiedere gli ordini minori e la tonsura che ricevette nella locale cattedrale. Il 27 novembre 1660 Francesco e il fratello Tommaso si presentarono al convento di Cerignano per essere ammessi nell’Ordine Carmelitano. Quindi il padre li accompagnò a Siena, all’antichissimo convento di san Nicola, dove iniziarono il noviziato. Francesco, divenuto frate Angelo, l’anno successivo emise i voti solenni e partì per il convento di Santa Maria del Carmine di Pisa dove per cinque anni studiò filosofia. Era ancora giovane, ma la sua indole caritatevole iniziò ad emergere e diversi notabili della città portavano a lui le elemosine da distribuire ai poveri. Dopo gli studi teologici, il 7 gennaio 1667, festa di Sant’Andrea Corsini, nella Basilica fiorentina di Santa Maria del Carmine, celebrò finalmente la prima Messa. Rimase a Firenze come organista e sacrista fino al 1674, quando dovette tornare in famiglia, ad Argigliano, per motivi di salute. Il 15 agosto di quell’anno fu protagonista di un “miracolo”. La distribuzione del pane ai poveri non aveva mai fine e ancora oggi, in ricordo, annualmente, il 20 gennaio, l’illustre cittadino e il fatto prodigioso vengono ricordati. Angelo, quel giorno, volle sfuggire alla notorietà e si ritirò sulle montagne dell’alta Garfagnana per fare vita eremitica insieme ai pastori. Ogni giorno, all’alba, saliva al santuario di s. Pellegrino per celebrare la messa. Soggiornò quindi a Pistoia ma, invece di curarsi, si dedicò nuovamente ai poveri. Trascorso un anno, ristabilitosi in salute, fece ritorno a Firenze con il delicato compito di maestro dei novizi. Tra dicembre 1676 e ottobre 1677 fu parroco a Corniola di Empoli, dove c’era una comunità carmelitana, ma sovente andava a piedi a visitare i malati dell’ospedale di Pistoia. Fu nuovamente a Siena tra il 1677 e il 1680 e anche nella città di Santa Caterina si dedicò ad opere di carità. Erano anni difficili, a causa di una carestia, e il frate carmelitano, con il permesso dei superiori, organizzò nell’orto del convento una mensa alla quale accorrevano poveri provenienti anche dalle campagne. Nel 1680 fu inviato a Montecatini con il compito di insegnare grammatica ai novizi, ma puntualmente anche lì si diede da fare per i bisognosi. Nel 1682 fu destinato a Cerignano; partì di notte, come era solito fare per non ricevere ringraziamenti. Fu sacrista, organista e lettore ma, soprattutto, per indole innata, si dedicò alle persone in difficoltà. Per trovare un po’ di quiete e pregare solitario si recava in una grotta vicina. Passarono cinque anni, poi giunse l’ordine del Padre Generale di andare a Roma. Padre Angelo prese solo il breviario, la cappa bianca e una bisaccia con un po’ di pane, e si mise in viaggio nel buio della notte. Passò da Argigliano per salutare l’anziano padre e i fratelli, mentre a Siena si accomiatò dal fratello padre Tommaso.
Fece il suo ingresso nella città eterna il 12 marzo 1687, dopo un viaggio lungo e avventuroso. Nel convento dei Ss. Silvestro e Martino ai Monti fu accolto con gioia, la sua fama l’aveva preceduto. Un giorno del mese di luglio, dopo aver fatto la Scala Santa, decise di visitare l’ospedale del Laterano. Quanta miseria umana e spirituale vide in quelle corsie. Tornato dal superiore chiese, nelle ore libere dagli incarichi che ricopriva, di dedicarsi ai malati. Gli fu accordato, a patto che non trascurasse la formazione dei novizi che era sotto la sua responsabilità.
Nei trentatre anni romani il Beato Angelo divenne il “padre dei poveri”, il suo apostolato raggiunse livelli altissimi. Alla sua mensa venivano sfamati fino a trecento poveri al giorno. Si preoccupò inoltre dei malati che venivano dimessi dall’ospedale ma non erano abili a lavorare e aprì un convalescenziario. Organizzò, per quei tempi, servizi innovativi ed efficienti. Il suo apostolato fu anche per le carceri di Via Giulia e le famiglie dei detenuti. Nel 1689 gli fu affidata l’assistenza spirituale del conservatorio della Beatissima Vergine, presso l’Arco di s. Vito, fondato dalla nobildonna Livia Viperteschi per l’educazione delle fanciulle. La sua fama era tale che veniva chiamato anche fuori Roma per risolvere liti mentre dai certosini di Trisulti andava a parlare con i giovani che avevano dubbi sulla vocazione. Strinse vincoli di amicizia e collaborazione con nobili ed ecclesiastici, tra cui il cardinale teatino San Giuseppe Maria Tomasi.
Il Colosseo, santuario dei martiri dei primi tempi, per incuria era quasi pericolante e rifugio per gente di malaffare. Padre Angelo si rivolse a Clemente XI, con cui era in amicizia, e ricevette i fondi per alcuni lavori e per chiudere gli ingressi con le cancellate. Innalzò quindi tre croci davanti alle quali ancora oggi si celebra la Via Crucis. Anche sul Monte Testaccio fece mettere tre croci come aveva pure fatto sulle Alpi Apuane, in Lunigiana, sua terra di origine. La sua devozione per la croce era forte, per tutta la vita la tradusse in carità dedicandosi al prossimo, coinvolgendo altre persone che su suo esempio compresero il valore del Vangelo vissuto. Diceva: “chi cerca Iddio deve andarlo a trovare tra i poveri”.
Dal 1713 al 1716 fu delegato da Clemente XI alla consegna delle reliquie nelle diocesi, compito importante, solitamente affidato ad un vescovo. Per due volte rinunziò alla dignità cardinalizia propostagli da Innocenzo XII e Clemente XI.
La mattina del 14 gennaio 1720, mentre suonava l’organo, fu assalito da febbre e portato in cella. L’ultima malattia durò pochi giorni. Alle ore 6.45 del 20 gennaio spirava venerato come un santo, all’età di 78 anni. Al suo funerale accorse tutta Roma, cardinali, nobili e una moltitudine di popolo. Il corpo venne portato in processione, la gente per strada espose gli arazzi delle occasioni solenni. Papa Clemente XI sulla tomba in S. Martino fece scrivere il “venerabile” “padre dei poveri”. Molti miracoli gli furono attribuiti in vita e dopo la morte. Nel 1781 papa Pio VI riconobbe le sue virtù eroiche, oggi, riconosciuto il miracolo, è assunto alla gloria dei beati.
Nel 1999 Giovanni Paolo II, per il 7° centenario della presenza dei Carmelitani nella Basilica di S. Martino ai Monti, disse: "Come non far memoria di quell’umile frate, il Ven. Angelo Paoli, "Padre dei Poveri" e "Apostolo di Roma," che possiamo definire il fondatore “ante litteram” della "caritas" nel rione Monti? Egli, per primo, collocò la croce nel Colosseo, dandovi inizio al pio esercizio della Via Crucis."


Autore: Daniele Bolognini

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21/01/2016 08:40
 
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Beata Cristiana di Assisi (Figlia di Suppo di Bernardo)

21 gennaio


sec. XIII



Nel Martirologio Francescano la persona di Cristiana è confusa con quella di un'altra damianita, Cristiana di Cristiano di Paride a lei contemporanea, ma forse più giovane. Il testo del processo di canonizzazione di s. Chiara permette di distinguerle.








Nel Martirologio Francescano la persona di Cristiana è confusa con quella di un'altra damianita, Cristiana di Cristiano di Paride a lei contemporanea, ma forse più giovane. Il testo del processo di canonizzazione di s. Chiara permette di distinguerle. Fra Mariano da Firenze la chiamò Cristina.
Appartenne alla famiglia di uno dei consorti della cattedrale, Suppo di Bernardo, che nel 1165 rese una testimonianza insieme con Offreduccio, nonno di Chiara, con cui Cristiana abitò, in Assisi, nella medesima casa (e ciò indurrebbe a ritenerla parente). Poté narrare de visu et de auditu qualche particolare intorno al desueto uscio della fuga dalla casa paterna (Processo, XIII, 1, p. 482), come pure intorno alla vendita dei beni che la santa non volle dare ai parenti per non defraudare i poveri (ibid., 11, p. 483). Cristiana fu forse la fondatrice del monastero di damianite a Carpello in quel di Foligno (1217); si chiuse in San Damiano nel 1220 e fu presente a varie guarigioni prodigiose operate dalla badessa. Il suo nome figura nel discusso documento del 1238. Nel 1241 per ordine di s. Chiara convocò le monache all'orazione mentre Assisi era assediata da Vitale (Processo, p. 483). Avendo deposto il 24 novembre 1253, si deve assegnare la morte di Cristiana posteriormente a questa data. Il Martirologio Francescano la commemora il 21 gennaio.


Autore: Fausta Casolini

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22/01/2016 07:47
 
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Sant’ Anastasio di Asti Martire

22 gennaio


Epoca incerta

Etimologia: Anastasio = risorto, dal greco


Emblema: Palma








La diocesi piemontese di Asti commemora in data odierna Sant’Anastasio, personaggio alquanto incerto dal punto di vista storico.
La chiesa astigiana a lui dedicata si trova in una posizione centrale dell’antica città, come viene determinata dal tracciato della città difensiva medievale. Non è stata sicuramente casuale la scelta di questa posizione, non lontana dalla porta occidentale – l’antico ingresso monumentale di epoca romana riplasmato dalla Porta Turris medievale - e sulla principale via di attraversamento della città, ma neppure che sia collocata quasi a metà strada tra la cattedrale e la collegiata di San Secondo, le due principali fondazioni religiose cittadine. L’ “ecclesia sancti Anastasii”, come veniva denominata nei documenti medievali, faceva infatti parte di un famoso monastero benedettino femminile, che da essa prendeva nome.
Il calendario liturgico della Regione Pastorale Piemontese ricorda Sant’Anastasio quale martire, riporta al 22 gennaio il suo “culto locale” riservato alla Cattedrale di Asti e Città San Silvestro, ma non specifica l’epoca in cui sarebbe vissuto il santo. La scelta di tale data per la festa del santo è dovuta alla coincidenza con un santo omonimo, riportato dal Martyrologium Romanum quale monaco e martire in Persia con settanta compagni.
In passato, però, tale calendario liturgico commemorava Sant’Anastasio di Asti al 16 novembre, come vescovo e non come martire, insieme al santo vescovo Aniano ed alla santa martire Eulalia, indicandoli quali vissuti tutti e tre nel V secolo.


Autore: Fabio Arduino

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23/01/2016 08:46
 
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Santi Clemente ed Agatangelo Martiri

23 gennaio


23 gennaio

I santi Clemente, vescovo, ed Agatangelo subirono il martirio presso l’attuale capitale turca, Ankara, al tempo della persecuzione dei cristiani perpetrata dall’imperatore Diocleziano.

Martirologio Romano: Ad Ankara in Galazia, nell’odierna Turchia, santi Clemente, vescovo, e Agatangelo, martiri.

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24/01/2016 08:11
 
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Sant' Essuperanzio Vescovo di Cingoli

24 gennaio




Essuperanzio, patrono di Cingoli, nacque, stando alla tradizione tramandataci, in Africa nel V secolo e fin dall'infanzia manifestò il desiderio di convertirsi; finché a dodici anni, dopo vive insistenze, riuscì a convincere il padre, ariano o manicheo, a dargli il permesso di ricevere il battesimo secondo il rito cattolico. Una volta cresciuto, non volle sposarsi e lasciò la famiglia per andare a predicare il Vangelo. Percorse così buona parte dell'Africa del Nord, conducendo vita monastica. Imbarcatosi per l'Italia, durante la traversata convertì l'equipaggio della nave e sedò con la preghiera una violenta tempesta. Toccata terra a Numana, nei pressi di Ancona, si incamminò alla volta di Roma, dove riprese la sua predicazione e fu imprigionato. Il papa lo fece rimettere il libertà, lo consacrò vescovo e lo mandò a reggere la diocesi di Cingoli, la cui sede era rimasta vacante. Fu ricevuto in trionfo e ricambiò quell'accoglienza con le sue virtù e il suo zelo pastorale. Dopo quindici anni di episcopato, nei quali compì numerosi miracoli, sentendosi vicino a morire indicò egli stesso il luogo dove voleva essere sepolto, fuori della città. (Avv.)

Martirologio Romano: A Cingoli nelle Marche, sant’Esuperanzio, vescovo.







Tre dei quattro santi di questo nome furono vescovi, vissuti più o meno negli stessi anni: uno, di origine greca, fu vescovo di Como negli anni a cavallo tra il V e il VI secolo, ed è festeggiato il 22 giugno; un altro, che si ricorda il 30 maggio, resse la gloriosa diocesi di Ravenna nella seconda metà del V secolo cioè nel tristissimo periodo della caduta dell’Impero d’Occidente e della conquista di Ravenna da parte di Odoacre; il terzo fu vescovo di Cingoli nel V secolo, ed è quello che si festeggia oggi. A loro si aggiunge il diacono Essuperanzio, che morì martire a Spoleto nel 303 (festa il 30 dicembre). Essuperanzio patrono di Cingoli nacque, stando alla tradizione tramandataci, in Africa e fin dall’infanzia manifestò il desiderio di convertirsi; finché a dodici anni, dopo vive insistenze, riuscì a convincere il padre, ariano o manicheo, a dargli il permesso di ricevere il battesimo secondo il rito cattolico. Una volta cresciuto, non volle sposarsi e lasciò la famiglia per andare a predicare il Vangelo. Percorse così buona parte dell’Africa del Nord, conducendo vita monastica. Imbarcatosi per l’Italia, durante la traversata convertì l’equipaggio della nave e sedò con la preghiera una violenta tempesta. Toccata terra a Numana, nei pressi di Ancona, si incamminò alla volta di Roma, dove riprese la sua predicazione e fu imprigionato. Il papa lo fece rimettere il libertà, lo consacrò vescovo e lo mandò a reggere la diocesi di Cingoli, la cui sede era rimasta vacante. Fu ricevuto in trionfo e ricambiò quell’accoglienza con le sue virtù e il suo zelo pastorale. Dopo quindici anni di proficuo episcopato, illustrato da numerosi miracoli, sentendosi vicino a morire indicò il luogo dove voleva essere sepolto, fuori della città. Gli furono fatti solenni funerali. Queste notizie biografiche sono incerte e basate in gran parte su tradizioni non controllabili e supposizioni; ma il culto che risulta prestato al santo nella città marchigiana è antichissimo, e assai pregevoli le opere d’arte eseguite in suo onore. Negli statuti comunali del 1307 sant’Essuperanzio è invocato come "capo e guida del popolo di Cingoli" e in quelli del 1325 la chiesa a lui dedicata era posta sotto la protezione del Comune.

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25/01/2016 07:52
 
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Beato Antonio Migliorati da Amandola Religioso

25 gennaio


Amandola, Ascoli Piceno, 17 gennaio 1355 - Amandola, Ascoli Piceno, 25 gennaio 1450

Nacque il 17 gennaio 1355 da Simpliciano Migliorati, contadino. La fama di santità di san Nicola da Tolentino (1254-1305) lo spinse ad entrare tra gli agostiniani del paese nativo, dove fu ordinato sacerdote. Visse circa dodici anni nel convento di Tolentino, quindi fu per qualche tempo a Bari, da dove ai primi del secolo XV fece ritorno ad Amandola (Ascoli Piceno). Qui fu nominato superiore del convento. La morte, sopravvenne il 25 gennaio 1450. Nel 1453 il suo corpo, tolto dal sepolcro comune dei frati, fu sistemato in un'arca di legno sopra un altare che si intitolò al suo nome. Nel 1641 fu posto in un sarcofago di legno, lavorato da Domenico Malpiedi, che nel 1897 fu sostituito da quello di marmo. Nel 1798 il suo corpo subì il vilipendio dei rivoluzionari francesi. Fin dalla morte il popolo di Amandola lo ha venerato e ne ha celebrato il "dies natalis". L'11 luglio 1759 Clemente XIII ascrisse Antonio nel numero dei beati, riconoscendone il culto "ab immemorabili". La sua memoria liturgica ricorre il 29 gennaio. (Avvenire)

Martirologio Romano: Ad Amandola nelle Marche, beato Antonio Migliorati, sacerdote dell’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino.







Nacque il 17 gennaio 1355 da Simpliciano Migliorati, contadino. La fama di santità di s. Nicola da Tolentino (1254-1305) lo spinse ad entrare tra gli Agostiniani del paese nativo, dove fu ordinato sacerdote.
Visse circa dodici anni nel convento di Tolentino, quindi fu per qualche tempo a Bari, da dove ai primi del sec. XV fece ritorno ad Amandola (Ascoli Piceno). Qui fu nominato superiore del conventino, che fece ampliare e accanto al quale diede inizio alla costruzione di una nuova chiesa, ma la morte, sopravvenuta il 25 gennaio 1450, gli impedì di completarla.
.La venerazione che aveva suscitato in vita, per umiltà, spirito d’obbedienza e di mortificazione e per singolare zelo apostolico, non si attenuò con la morte.
Nel 1453 il suo corpo, tolto dal sepolcro comune dei frati, fu sistemato in un'arca di legno sopra un altare che si intitolò al suo nome, mentre i prodigi (persino la resurrezione di morti) si moltiplicavano. Nel 1641 fu posto in un sarcofago di legno, lavorato da Domenico Malpiedi, che nel 1897 fu sostituito da quello di marmo, che ora si vede nella cappella di recente costruzione. Nel 1798 la soldataglia rivoluzionaria estrasse dal sarcofago e vilipese il corpo di Antonio, che nel 1899 ebbe cinto il capo da una corona d'oro.
Fin dalla morte il popolo di Amandola lo ha venerato e ne ha celebrato il “dies natalis”. L' 11 luglio 1759 Clemente XIII ascrisse Antonio nel numero dei beati, riconoscendone il culto "ab immemorabili", e il 20 aprile 1890 Leone XIII concesse l’indulgenza plenaria ai visitatori del suo santuario.


Autore: P. Bruno Silvestrini O.S.A.

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27/01/2016 08:09
 
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Santa Devota Martire in Corsica

27 gennaio


Lucciana (Haute-Corse), 283 - Mariana (Corsica), 304



Nacque nel 283, in un luogo detto Quercio in Corsica. Giovane vergine, aveva deciso di votare la propria vita al completo servizio di Dio. Vittima della delazione, verso l'inizio del 304 d.C. fu arrestata, imprigionata e torturata. Dopo la sua morte, il governatore della provincia ordinò di bruciare il suo corpo, ma alcuni cristiani lo salvarono dalle fiamme e lo deposero su una barca, condotta dal pilota Graziano e dal prete Benenato, in partenza per l'Africa dove, pensarono, qualcuno le avrebbe donato una sepoltura cristiana. Ma nelle prime ore della traversata si levò una tempesta. Dalla bocca del cadavere inanimato di Devota uscì una colomba, che guidò la barca alla piccola valle di Les Gaumates, oggi parte del Principato di Monaco, dove secondo la leggenda sorgeva già una cappella dedicata a San Giorgio. Qui s'incaglio secondo la tradizione il 27 gennaio su un cespuglio di fiori assai precoce per la fredda stagione. Il corpo mutilato della giovane martire venne dunque scoperto dai pescatori ed in suo onore fu eretta una cappella dove ancora oggi sorge la chiesa parrocchiale a lei dedicata, vicino al porto monegasco. (Avvenire)

Patronato: Corsica, Mariana (Corsica), Principato di Monaco e Famiglia Grimaldi


Emblema: Palma, Corona di rose, Colomba, Barca, Stemma del Principato di Monaco


Martirologio Romano: A Biguglia in Corsica, commemorazione di santa Devota, vergine e martire.








All’inizio del III secolo alcuni cristiani, cacciati da Roma da Settimio Severo e da Caracalla, giunsero in Corsica dove, nel I secolo a.C., i Romani avevano fondato la città di Mariana, all’imbocco di Golo, nei pressi dello stagno di Biguglia.
Effettivamente, nel 93 a.C., Marius aveva stabilito, dandovi il suo nome, una colonia di veterani delle sue campagne contro i pirati. Fu Augusto, creandovi un porto, a far divenire Mariana un punto di accesso importante per l’espansione romana nella parte settentrionale dell’isola.
Adiacenti alla cattedrale romana, chiamata la “Canonica”, sono venuti alla luce i resti di una basilica paleocristiana del IV secolo ed un battistero della medesima epoca, testimonianti i primi tempi del cristianesimo in Corsica e confermanti l’importanza rilevante conferita alla celebrazione battesimale nella Chiesa primitiva.
La vita terrena di Devota si svolse in Corsica, a quei tempi provincia dell’Impero Romano,
all’epoca della grande persecuzione dei cristiani ordinata da Diocleziano. Vide la luce nel 283, in un luogo detto Quercio, sui primi pendii che collegano il porto romano di Mariana al borgo posto un po’ più in alto, nel territorio dell’attuale comune di Lucciana, dipartimento dell’Haute-Corse.
La giovane vergine aveva deciso di votare la propria vita al completo servizio di Dio. Vittima della delazione, verso l’inizio del 304 d.C. fu arrestata, imprigionata e torturata. Il cranio fu lapidato. Dopo la sua morte, il governatore della provincia ordinò di bruciare il suo corpo, ma alcuni cristiani lo salvarono dalle fiamme e lo deposero su una barca, condotta dal pilota Graziano e dal prete Benenato, in partenza per l’Africa dove, pensarono, qualcuno le avrebbe donato una sepoltura cristiana. Ma nelle prime ore della traversata si levò una tempesta. Dalla bocca del cadavere inanimato di Devota fuoriuscì miracolosamente una colomba, che guidò la barca alla piccola valle di Les Gaumates, oggi parte del Principato di Monaco, dove secondo la leggenda sorgeva già una cappella dedicata a San Giorgio, anch’egli martire delle persecuzioni ordinate da Diocleziano. Qui s’incaglio secondo la tradizione sei giorni prima delle calende di febbraio, cioè all’incirca il 27 gennaio, su un cespuglio di fiori assai precoce per la fredda stagione. Il corpo mutilato della giovane martire venne dunque scoperto dai pescatori ed in suo onore fu eretta una cappella dove ancora oggi sorge la chiesa parrocchiale a lei dedicata, vicino al porto monegasco. I fedeli, abitanti di Monaco o navigatori di passaggio, iniziarono a raccogliersi numerosi sulla sua tomba ed iniziarono così a verificarsi i primi miracoli.
In occasione delle invasioni dei Saraceni, i resti della martire furono portati in salvo nel monastero di Cimiez. Scampato il pericolo di profanazione, furono ricollocate nella sua chiesa, fatta restaurare per l’occasione dal principe monegasco Antonio I.
Tuttavia nel 1070, una notte, un capitano navale di nome Antinope rubò la cassa contenente le reliquie della santa con l’intenzione di negoziare il pagamento di un riscatto. Il sacrilegio fortunatamente ebbe breve durata, poiché secondo la leggenda un violento vento improvviso impedì al malfattore di mettere le vele ed un gruppo di pescatori riuscì ad inseguirlo e ad acciuffarlo. Arrestato, fu condotto al palazzo, dove Ugo Grimaldi lo condannò all’amputazione delle orecchie e del naso. La sua barca fu in seguito bruciata sulla spiaggia in sacrificio espiatorio.
Si racconta inoltre di come nel XVI secolo, nel corso di una guerra contro i genovesi ed i pisani, la santa abbia protetto Monaco qualora i nemici assediarono la fortezza del principato. Per un periodo di oltre sei mesi i loro attacchi furono ripetutamente repressi dai monegaschi, ai quali era apparsa Santa Devota rassicurandoli circa la protezione divina e la vittoria. Il 15 marzo 1507, infatti, i genovesi si ritirarono. Fu così scelta come patrona del principato e della famiglia regnante Grimaldi.
A partire dalla sera del 26 gennaio 1924, sotto il regno del principe Luigi II, fu introdotta l’usanza annuale di incendiare una piccola imbarcazione al termine di una breve funzione religiosa, in ricordo del furto delle reliquie sventato nel lontano 1070.
Le reliquie della martire sono oggi custodite nella chiesa parrocchiale suddetta. Una loro piccola parte, però, è invece conservata nella nuova cattedrale, in cima alla rocca. In tutte le chiese site nel territorio del principato è comunque quantomeno raffigurata con alcuni dei suoi attributi tipici: la palma del martirio, la corona di rose simbolo della verginità, la colomba simbolo di pace, la barca che la portò dalla Corsica alla Costa Azzurra e lo stemma del Principato di Monaco, che con la famiglia regnate Grimaldi la venera quale celeste patrona.
Come abbiamo visto, il martirio di Devota costituì un fattore identitario anzitutto per i cristiani monegaschi. Per assistere al debutto del suo culto nella sua isola natale, occorrerà invece attendere il XVII secolo, quando vi furono traslate alcune reliquie, provenienti dal principato di Monaco, nel 1637, esposte nella chiesa gesuita di Sant’Ignazio, e nel 1728.
Tra il 1727 ed il 1751, per ben tre volte si tentò di ottenere da Roma il riconoscimento ufficiale del titolo di “Patrona del Regno di Corsica” per Santa Devota. Ma nel 1731 la giovane martire fu già scelta quale protettrice dell’isola.
Nel 1820, il primo vescovo della Chiesa di Corsica, raggruppante le sei antiche diocesi dell’isola, proclamò le sante martiri Devota e Giulia “patrone principali della Corsica”. A ciò fece seguito un decreto della Congregazione dei Riti datato al 14 marzo.
Nel 1893, per la prima volta fu dedicata a Santa Devota una chiesa, ridenominando quella preesistente a Pietranera, che fino al 1936 restò l’unico luogo di culto a lei intitolato sull’isola.I testi ufficiali della Messa in suo onore furono approvati il 18 marzo 1984 dal vescovo di Ajaccio e, l’11 agosto seguente, dalla Congregazione per il Culto Divino.
Il nuovo Martyrologium Romanum la commemora così il 27 gennaio, tradizionale data del ritrovamento delle reliquie: “A Mariana, nell’isola di Corsica, ricordo di Santa Devota, vergine e martire”. La solennità esterna per la Corsica è invece fissata alla prima domenica seguente la data del martirologio.


Autore: Fabio Arduino

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28/01/2016 07:08
 
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San Carlomagno Imperatore

28 gennaio


742 - 28 gennaio 814

Patronato: Scuole francesi


Emblema: Corona, Scettro, Globo, Spada, Modellino di Aquisgrana, Manto d' ermellino









La canonizzazione di Carlomagno nel 1165 da parte dell'antipapa Pasquale III non è che un momento dello straordinario destino postumo dell'imperatore d'Occidente. Qui si ricorderà brevemente ciò che, nella sua vita e nella sua opera, ha fornito occasione a un culto in alcune regioni cristiane.
Nato nel 742, primogenito di Pipino il Breve, gli succedette il 24 settembre 768 come sovrano d'una parte del regno dei Franchi, divenendo unico re alla morte (771) del fratello Carlomanno. Chiamato in aiuto dal papa Adriano I, scese in Italia, contro Desiderio, re dei Longobardi, nell'aprile 774. In cambio d'una promessa di donazione di territori italiani al sommo pontefice, riceve il titolo di re dei Longobardi quando lo sconfitto Desiderio fu rinchiuso nel monastero di Corbie. Nel 777 iniziò una serie di campagne per la sottomissione e l'evangelizzazione dei Sassoni, capeggiati da Vitichindo. Dopo una cerimonia di Battesimo collettivo a Paderborn, la rivalsa dei vinti fu soffocata, nelle campagne del 782-85, con tremendi massacri, fra i quali quello di molte migliaia di prigionieri a Werden. Spintosi oltre i Pirenei, nella futura Marca di Spagna, Carlomagno subì nel,778 un grave rovescio a Roncisvalle. Nelle successive discese in Italia (781 e 787) stabilì legami con l'Impero d'Oriente (fidanzamento di sua figlia Rotrude col giovane Costantino VI), e s'inserì sempre più a fondo, attraverso i missi carolingi, nella vita di Roma. Consacrato re d'Italia e spinto a occuparsi del patrimonio temporale della Chiesa, non trascurò il suo ruolo di riformatore, continuando l'opera iniziata dal padre col concorso di S. Bonifacio. Nel 779, benché occupatissimo per le rivolte dei Sassoni, promulgò un capitolare sui beni della Chiesa e i diritti vescovili, e accentuò la sua azione riformatrice sotto l'impulso dei chierici e dei proceres ecclesiastici e, soprattutto, di Alcuino e di Teodulfo d'Orleans.
La celebre “Admonitio generalis” del 789 mostra a pieno la concezione di Carlomagno in materia di politica religiosa, richiamandosi all'esempio biblico del re Giosia per il quale il bisogno più urgente è ricondurre il popolo di Dio nelle vie del Signore, per far regnare ed esaltare la sua legge. Nascono da questa esigenza il rinascimento degli studi, la revisione del testo delle Scritture operata da Alcuino, la costituzione dell'omeliario di Paolo Diacono.
Al concilio di Francoforte del 794, Carlomagno si erge di fronte a Bisanzio come il legittimo crede degli imperatori d'Occidente, promotori di concili e guardiani della fede. Non è un caso che i testi relativi alla disputa delle immagini (Libri Carolini), benché redatti da Alcuino o da Teodulfo, portino il nome di Carlomagno. Pertanto, l'incoronazione imperiale del giorno di Natale dell'anno 800 non fu che il coronamento d'una politica che il papato non poté fare a meno di riconoscere, sollecitando la protezione del sovrano e accettandolo, nella persona di Leone III, come giudice delle sue controversie. Ma Carlomagno (come mostrano le origini della disputa sul “Filioque”) estese la sua influenza fino alla Palestina. La sua sollecitudine per il restauro delle chiese di Gerusalemme e dei luoghi santi mediante questue (prescritte in un capitolare dell'810) gli valse più tardi il titolo di primo dei crociati. Del patronato esercitato sulla Chiesa dalla forte personalità di Carlomagno restano monumenti documentari ed encomiastici negli “Annales”, che ricordano i concili da lui presieduti, le chiese e i monasteri da lui fondati.
La vita privata di Carlomagno fu obiettivamente deplorevole. E non si possono certo dimenticare due ripudi e molti concubinati, né i massacri giustificati dalla sola vendetta o la tolleranza per la libertà dei costumi di corte. Non mancano, tuttavia, indizi di una sensibilità di Carlomagno per la colpa, in tempi piuttosto grossolani e corrotti. Il suo biografo Eginardo informa che Carlomagno non apprezzava punto i giovani, sebbene li praticasse, e, per quanto la sua vita religiosa personale ci sfugga, sappiamo che egli teneva molto all'esatta osservanza dei riti liturgici che faceva celebrare, specialmente ad Aquisgrana (odierna Aachen), con sontuoso decoro. Cosi, quando mori ad Aquisgrana il 28 gennaio 814, Carlomagno lasciò dietro di sé il ricordo di molti meriti che la posterità si incaricò di glorificare. La valorizzazione del prestigio di Carlomagno assunse il carattere di un'operazione politica durante la lotta delle Investiture e il conflitto fra il Sacerdozio e l'Impero. La prima cura di Ottone I, nel farsi consacrare ad Aquisgrana (962), fu quella di ripristinare la tradizione carolingia per servirsene.
Nell'anno 1000, Ottone III scopri ad Aquisgrana il corpo di Carlomagno in circostanze in cui l'immaginazione poteva facilmente sbrigliarsi. Nel sec. XI, mentre Gregorio VII scorgeva nell'incoronazione imperiale di Carlomagno la ricompensa dei servigi da lui resi alla cristianità, gli Enriciani esaltarono il patronato esercitato dall'imperatore sulla Chiesa. Quando l'impero divenne oggetto di competizione fra principi germanici, Federico I, invocando gli esempi della canonizzazione di Enrico II (1146), di Edoardo il Confessore (1161), di Canuto di Danimarca (1165), pretese e ottenne dall'antipapa Pasquale III la canonizzazione di Carlomagno col rito dell'elevazione agli altari (29 dic. 1165). Egli pensò di gettare in tal modo discredito su Alessandro III, che gli rifiutava l'impero, e, insieme, sui Capetingi che lo pretendevano. E se più tardi Filippo Augusto, vincitore di Federico II a Bouvines nel 1214, si richiamò alle analoghe vittorie di Carlomagno sui Sassoni, lo stesso Federico II si fece incoronare ad Aquisgrana il 25 luglio 1215 e dispose, due giorni dopo, una solenne traslazione delle reliquie di Carlomagno. Intanto Innocenzo III, risoluto sostenitore della teoria delle “due spade”, ricordava che è il papa che eleva all'impero e dipingeva Carlomagno come uno strumento passivo della traslazione dell'impero da Oriente a Occidente. La grande figura di Carlomagno venne piegata a interpretazioni opposte almeno fino all'elezione di Carlo V.
Ma a parte le utilizzazioni politiche contrastanti, il culto di Carlomagno appare ben radicato nella tradizione letteraria e nell'iconografia. Il tono agiografico è già evidente nei racconti di Eginardo e del monaco di S. Gallo di poco posteriori alla morte dell'imperatore. Rabano Mauro, abate di Fulda e arcivescovo di Magonza, iscrive Carlomagno nel suo Martirologio. La leggenda di Carlomagno è soprattutto abbellita dagli aspetti missionari della sua vita.
A Gerusalemme, la chiesa di S. Maria Latina conservava il suo ricordo. Alla fine del sec. X si credeva che l'imperatore si fosse recato in Terrasanta in pellegrinaggio. Urbano II, nel 1095, esaltava la sua memoria davanti ai primi crociati. Nel 1100 l'avventura transpirenaica dei paladini si trasfigurò in crociata, attraverso l'interpretazione della Chanson de Roland. Ognuno ricorda la frequenza di interventi soprannaturali nelle “chansons de gestes”: Carlomagno è assistito dall'angelo Gabriele; Dio gli parla in sogno; simile a Giosué, egli arresta il sole; benché il suo esercito formicoli di chierici, benedice o assolve lui. stesso i combattenti, ecc.
Dal sec. XII al XV si moltiplicano le testimonianze di un culto effettivo di C., connesse da un lato con la fedeltà delle fondazioni carolingie alla memoria del fondatore, dall'altro con l'atteggiamento dei vescovi verso gli Staufen, principali promotori del culto imperiale. A Strasburgo si trova un altare prima del 1175, a Osnabruck e ad Aquisgrana prima del 1200. Nel 1215, in seguito alla consacrazione di Federico II e alle cerimonie che l'accompagnarono, si stabilirono due festività: il 28 genn. (data della morte di C.), festa solenne con ottava, e il 29 dic., festa della traslazione. Roma rispose istituendo la festa antimperiale di S. Tommaso Becket, campione della Chiesa di fronte al potere politico; ma nel 1226 il cardinale Giovanni di Porto consacrò ufficialmente ad Aquisgrana un altare “in honorem sanctorum apostolorum et beati Karoli regis”. A Ratisbona, il monastero di S. Emmerano e quello di S. Pietro, occupato dagli Irlandesi, adottarono, nonostante l'estraneità dell'episcopato, il culto di Carlomagno che, secondo M. Folz, si andò estendendo in un’area esagonale con densità più forti nelle regioni di Treviri, di Fulda, di Norimberga e di Lorsch. Nel 1354, Carlo IV fondò presso Magonza, nell'Ingelheim, un oratorio in onore del S. Salvatore e dei beati Venceslao e Carlomagno. Toccato l'apogeo nel sec. XV, il culto di Carlomagno non fu abolito neppure dalla Riforma, tanto da sopravvivere fino al sec. XVIII in una prospettiva politica, presso i Febroniani.
In Francia, nel sec. XIII, una confraternita di Roncisvalle si stabilì a S. Giacomo della Boucherie. Carlo V (1364-80) fece di Carlomagno un protettore della casa di Francia alla pari di S. Luigi, e ne portò sullo scettro l'effigie con l'iscrizione “Sanctus Karolus Magnus”. Nel 1471, Luigi XI estese a tutta la Francia la celebrazione della festa di Carlomagno il 28 genn. Nel 1478, Carlomagno fu scelto come patrono della confraternita dei messaggeri dell'università e, dal 1487, fu festeggiato come protettore degli scolari (nel collegio di Navarra si celebrò fino al 1765, il 28 genn., una Messa con panegirico). Per queste ragioni il cardinale Lambertini, futuro Benedetto XIV, indicò nel caso di Carlomagno un tipico esempio di equivalenza fra una venerazione tradizionale e una. regolare beatificazione (De servorum Dei beatificatione, I, cap. 9, n. 4).
Oggi il culto di Carlomagno si celebra solo ad Aachen, con rito doppio di prima classe, il 28 genn. con ottava; la solennità è fissata alla prima domenica dopo la festa di S. Anna. A Metten ed a Múnster (nei Grigioni) il culto è “tollerato” per indulto della S. Congregazione dei Riti.


Autore: Gerard Mathon

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29/01/2016 08:01
 
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Sant' Agnese da Bagno di Romagna Camaldolese

29 gennaio


Sarsina (Forlì) – Bagno di Romagna (Forlì), XII secolo

Agnese da Bagno di Romagna, camaldolese. Originaria di Sarsina, visse nel XII secolo.

Etimologia: Agnese = pura, casta, dal greco








Della beata Agnese da Bagno di Romagna, detta anche Agnese da Sarsina, ci sono veramente poche notizie disponibili.
Agnese visse nel secolo XII e fu compagna della beata Giovanna da Bagno († 1105), festa 16 gennaio, nel convento camaldolese di Santa Lucia, presso Bagno di Romagna (Forlì).
Evidentemente era originaria di Sarsina (Forlì) da qui la sua doppia denominazione.
Si sa che fu onorata dalle Comunità di Bagno di Romagna e di Pereto e il suo culto fu confermato il 15 aprile 1823, insieme a quello della beata Giovanna da Bagno.
Le due Beate monache camaldolesi, sono raffigurate nella Chiesa di Camaldoli (Arezzo) in un affresco; la beata Agnese è ricordata il 29 gennaio.


Autore: Antonio Borrelli

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30/01/2016 09:11
 
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Beato Alano Magno di Lilla

30 gennaio


Lille, Francia – 1120 circa – Citeaux, Francia, 6 luglio 1202

Filosofo e teologo, soprannominato “doctor universalis”, nacque a Lilla intorno al 1120. Fu professore di grido a Parigi e Montpellier, tanto che per la sua dottrina eccelsa venne considerato un essere superiore, alla stregua di Alberto Magno. Prese l’abito di converso a Citeaux, dove condusse vita esemplare e dove morì il 6 luglio 1202. Non si hanno tracce di una venerazione del suo sepolcro né di altra manifestazione di culto.
L’Ordine Benedettino lo festeggia il 30 gennaio.







Filosofo e teologo, soprannominato « Doctor universalis », nacque a Lilla ca. il 1120; fu professore di grido a Parigi e a Montpellier; prese quindi l'abito di converso a Citeaux, dove condusse vita esemplare; ivi morì il 6 lugl. 1202. Non è da confondere con l'omonimo vescovo di Auxerre (+ 1185). Profondo assimilatore di dottrine plato­nico-aristoteliche, in gran parte attinte a Boezio, piuttosto che pensatore originale, fu seguace di Gilberto Porretano, ma immune da contatti con l'aristotelismo spagnolo e arabo. Eclettico in filo­sofia, è apprezzato come teologo per l'esposizione delle massime teologiche in forma aforistica, che lo distingue dalle contemporanee trattazioni. Get­tò inoltre le basi della terminologia teologica del suo tempo e polemizzò con una certa foga dialet­tica, ma senza un vero rigore razionale. Condusse il suo sforzo di sistemazione del sapere anche in opere in versi, e congiunse l'erudizione e l'acume alla pietà.
Le sue opere (in PL, CCX) si possono suddivi­dere in:
- Scritti filosofico-teologici : Contra haereticos, in 4 II. (contro i catari, i valdesi, gli ebrei, i maomettani) : espone le tesi avversarie e le con­futa alla luce dell'ortodossia, con argomenti ora fideistici ora logici; Regulae de sacra theologia (anche Regulae caelestis iuris ovv. Maximae theo-logiae) : serie di massime intorno a Dio, ai doveri morali, alle cause (conobbe Io pseudo-aristotelico De causis); Distinctiones dictionum theologicarum : repertorio alfabetico di termini, con spiegazioni letterali e metaforiche; Summa de arte praedicatoria: trattato normativo con esempi; oltre a Sermoni, a un De sex alis Cherubini, a una Eluci­datio in Cantica canticorum, traboccante di de­vozione alla Vergine, a un Liber poenitentialis d'interesse canonico, e ad altri scritti isolati o frammentari.
- Scritti poetici : Anticlaudianus : poema apolo-getico-enciclopedico in discreti esametri, a imita­zione e confutazione dell'In Rufinum di Claudio Claudiano (secc. IV-V), assai fortunato nel Medio­evo, ripetutamente commentato e — sembra — non privo d'influssi su Dante; De planctu natu-rae : attacco satirico polimetro, con parti in prosa, contro alcuni vizi personificati in allegorie; Doctrinale minus (o liber parabolarum) : antologia di parabole in distici elegiaci, anch'essa fortunata nel Medioevo. Alcuni scritti attribuiti ad Alano non sono suoi : in primo luogo il Liber de arte catholicae fidei (dov'è applicato il metodo matematico-dedut­tivo), di cui è probabile autore Nicola di Amiens.
L'eccezionale dottrina di Alano lo fece considerare un essere superiore, alla stregua di Alberto Ma­gno, e favorì la nascita d'una idealizzazione leg­gendaria. Non si hanno tracce d'una venerazione del suo sepolcro né d'altre manifestazioni di culto, ma egli è compreso nella Brevis quorundam sanctorum et beatorum sacri Cisterciensis ordinis enumeratio dell'abate Jean de Cirey (Digione 1491) e nei martirologi cistercensi e benedettini al 30 genn. e poi al 16 lugl. La sua immagine, che ri­corre nell'iconografia di alcune chiese cistercensi, è in Ranbeck, Kalendarium Annuale Benedictinum, Augusta 1677, al 30 gennaio.


Autore: Alfonso M. Zimmermann

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31/01/2016 09:16
 
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Sant' Aidano (Medhoc) di Ferns Vescovo

31 gennaio




Etimologia: Aidano = splendido capo, dall'antico normanno


Martirologio Romano: A Ferns in Irlanda, san Maedóc o Aidano, vescovo, che fondò in questo luogo un cenobio e rifulse per la grande austerità di vita.








Il nome primitivo Aed sembra che in origine significasse fuoco. Le varie forme del nome derivano dall'aggiunta del suffisso diminutivo an, oppure dall'aggiunta contemporanea del suffisso diminutivo oc e del prefisso possessivo-affettivo mo (Mo-áed-oc). E' molto problematico ricavare gli elementi oggettivi dalla leggenda sorta attorno alla figura di Aidano e parimenti è impossibile giungere a determinare accuratamente la cronologia della sua vita. Sembra sia appartenuto alla gente dei Connaught. La sua nascita va collocata nella seconda metà del sec. VI. Anche per Aidano, l'immaginosa agiografia irlandese ci parla di un fantastico sogno presago dei genitori. Alla madre di Aidano infatti, nella stessa notte della concezione. parve di vedere la luna caderle in bocca. Il padre a sua volta sognò di vedere una stella cadere in bocca alla sposa. Ed una grande luce si sarebbe diffusa nel luogo della nascita di Aidano. La sua Vita, pervenutaci sia nella redazione latina che nella redazione irlandese, si presenta come una narrazione di miracoli spesso fantastici e strani che si dicono compiuti dal santo fin dall'infanzia in ogni occasione. Consacratosi ben presto a Dio, Aidano condusse una vita di preghiere e di austerità nei territori del Leinster. Divulgatasi la fama della sua santità e dei suoi prodigi, Aidano, per fuggire i pericoli della popolarità e per dedicarsi allo studio delle Sacre Scritture, si portò nel Galles e fu accolto da san David di Menevia tra i suoi monaci. Anche nel monastero i prodigi attribuiti al santo sono numerosissimi. Nelle lotte tra Gallesi e Sassoni viene presentato un intervento di Aidano che con la sua benedizione avrebbe posto in fuga questi ultimi. Quindi Aidano riattraversò il mare tornando in Irlanda dove continuò la serie dei prodigi. Nella Vita di san David poi, si narra che un angelo apparve ad Aidano per avvertirlo del rischio che san David correva di essere avvelenato da alcuni suoi monaci. Ed allora Aidano avrebbe inviato nel Galles per sventare la trama un suo díscepolo, il quale avrebbe attraversato il mare portato sul dorso da un mostro marino. Aidano frattanto in un terreno donatogli dal re Brandubh aveva fondato un monastero secondo la regola da lui praticata nel Galles. La sua azione di abate ebbe rilievo anche fuori del monastero, e così Aidano divenne il primo vescovo di Ferns nel Leinster meridionale. Morì nel 626. La sua festa è celebrata il 31 gennaio in tutta l'Irlanda, dove numerose chiese sono a lui dedicate. E' patrono della diocesi di Ferns. Nel Museo Nazionale di Dublino sono esposti un suo reliquiario, la sua campanella e la sua bisaccia.


Autore: Gian Michele Fusconi

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01/02/2016 08:10
 
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Beata Anna (Giovanna Francesca) Michelotti Fondatrice

1 febbraio


Annecy, Savoia, 29 agosto 1843 - Torino, 1 febbraio 1888



Anna Michelotti nacque ad Annecy, in Savoia, appartenente in quel tempo politicamente agli Stati Sardi. Rimasta precocemente orfana di padre, conobbe un’infanzia assai disagiata. Se pure nella povertà, la famiglia Michelotti vive una intensa attività caritativa, soprattutto l’attenzione per i malati poveri. Ben presto questo segnò la sua vocazione alla consacrazione religiosa. Studiò a Lione, nell’Istituto delle Suore di S. Carlo, e il desiderio alla vita religiosa la spinse a chiedere di entrare nel loro noviziato. Ma la sua strada era altrove. Nel 1863 rimase sola a causa della morte della madre e del fratello Antonio. Le sembra così di coronare la sua vita entrando nelle Piccole Serve a Lione, dove prese il nome di Suor Giovanna Francesca della Visitazione, in omaggio dei suoi concittadini santi. Ma l’associazione si sciolse nel 1871 a seguito di problemi contingenti. Ritornando inizialmente ad Annecy, poi andò dai parenti paterni ad Almese, in Italia, ed infine, spinta dalla suo desiderio di consacrazione religiosa, a Torino. Qui, nel 1874, sotto la guida di alcuni sacerdoti intraprende la sua opera vestendo l’abito religioso con due postulanti. Nel 1875 viene approvato il nuovo istituto religioso delle Piccole Suore del S. Cuore di Gesù per gli ammalati poveri. L’attività e l’opera delle Piccole Suore subisce tristi eventi e lutti, anche se le fondazioni di case si moltiplicano. La Beata fondatrice morì il 1 febbraio 1888.

Martirologio Romano: A Torino, beata Giovanna Francesca della Visitazione (Anna) Michelotti, vergine, che fondò l’Istituto delle Piccole Suore del Sacro Cuore di Gesù per servire gratuitamente nel Signore gli ammalati poveri.








"Ho pregato tanto e parmi sia questa la volontà di Dio: vi è in me un ardente desiderio di consacrarmi tutta a Gesù, nell’assistenza ai malati poveri". Questo pensiero, tra i pochi scritti che per umiltà ci ha trasmesso direttamente Anna Michelotti, indica una missione nata tra mille problemi, che proprio grazie ad una volontà straordinaria è ancora fiorente e feconda all’interno della Chiesa.
Anna nacque nell’Alta Savoia (all’epoca territorio del Regno di Sardegna), ad Annecy, il 29 agosto 1843. Il padre, originario di Almese (Torino), morì giovane, lasciando la famiglia nella completa miseria. La piissima madre trasmise ai due figli una grande fede: il giorno della prima comunione visitò con Annetta, a domicilio, un povero malato. Quel giorno nacque un carisma.
La famiglia si recò ad Almese per la prima volta quando la giovane aveva quattordici anni, ospite dello zio canonico Michelotti. Stabilitasi a Lione, qualche anno dopo, Anna entrò nell’Istituto delle Suore di S. Carlo prima come educanda, poi come novizia. Insegnare però non era la sua missione.
Nel giro di pochi anni morirono la madre e il fratello Antonio, novizio dei Fratelli delle Scuole Cristiane: restava sola al mondo. Per mantenersi fece da istitutrice alle figlie di un architetto, ma era già “la signorina dei malati poveri”, perché appena poteva li cercava e si metteva al loro servizio. Ad Annecy incontrò una certa Suor Caterina, ex-novizia dell'Istituto di S. Giuseppe, che nutriva i medesimi sentimenti: insieme diedero inizio, a Lione, a un’opera privata di assistenza dei malati poveri a domicilio. Col permesso dell'arcivescovo vestirono l'abito religioso e fecero la professione temporanea dei voti. La nascente congregazione ebbe però vita breve a causa della guerra tra Francia e Prussia e nel 1870 la beata, vestita da suora, ritornò ad Annecy e poi ad Almese, da cui si portava spesso a Torino. Passata la bufera Suor Caterina le chiese di tornare a Lione, obbligandola a ricominciare come postulante. Anna accettò umilmente, ma poi lasciò l’istituto per motivi di salute. In quei giorni, pregando sulle tombe di S. Francesco di Sales e S. Giovanna Francesca di Chantal, sentì che la sua opera sarebbe nata al di là delle Alpi.
Tornò ad Almese a dorso di un mulo, proseguendo poi per Torino (settembre 1871). Alloggiata a Moncalieri presso le signorine Lupis, per un anno, munita di scopa, si recò tutti i giorni a piedi in città alla ricerca di malati in difficoltà da servire. Affittò poi una cameretta, confezionando guanti per sostentarsi, mentre alcune ragazze cominciarono ad aiutarla nel suo apostolato. L’Arcivescovo Gastaldi, al principio del 1874, accordò che vestissero l’abito religioso nella chiesa di Santa Maria di Piazza: nasceva l'Istituto delle Piccole Serve del S. Cuore di Gesù che oltre ai tre voti ordinari prevedeva l’assistenza domiciliare gratuita agli ammalati poveri. La fondatrice prendeva il nome di Madre Giovanna Francesca in onore dei fondatori dell'Ordine della Visitazione.
Gli inizi furono difficilissimi, contraddistinti da estrema povertà, abbandoni e decessi frequenti di suore. Il superiore ecclesiastico e il medico della comunità consigliavano di chiudere l’istituto ma a incoraggiare la Madre ci fu l’oratoriano P. Felice Carpignano, di venerata memoria. La Madre più di una volta fu udita esclamare, tra le lacrime, nell’appartamento affittato in Piazza Corpus Domini, a pochi passi dal luogo in cui nacque l’opera del Cottolengo: "Sono disposta, o mio caro Signore, a ricominciare l'opera tua anche cinquanta volte se fa bisogno, ma aiutami!". Il Signore l’ascoltò. Nel 1879 Antonia Sismonda, venuta a conoscenza delle misere condizioni in cui vivevano le Piccole Serve, le ospitò in una villa della collina torinese. In seguito, nel 1882, riuscirono ad acquistarne una propria a Valsalice.
Madre Giovanna Francesca era la Regola vivente. Donna di intensa preghiera, mortificava il suo corpo dormendo a terra o sopra un sacco di paglia, mescolando cenere alla minestra. In congregazione voleva suore generose, diceva: "Se sbagliate, discendete di un gradino, se vi umiliate, ascendete di tre". Nel riprendere le religiose era a volte un po' forte ma queste l’amavano perché, anche in mezzo alle difficoltà, infondeva fiducia. Leggeva e meditava con loro la S. Scrittura, raccomandando di "essere prudenti, zelanti e piene di carità”, cercando nei poveri Gesù Cristo. Dovevano assisterli materialmente e spiritualmente, favorendo, se possibile, l’accostamento ai Sacramenti. Prima di prendere una decisione importante chiedeva consiglio ai confessori e tra questi vi era Don Bosco. La beata non si sottrasse alla questua, recandosi nei pubblici esercizi in cui, a volte, veniva insultata. Avrebbe voluto istituire un gruppo di suore adoratrici, ma poiché il superiore non lo permise, dispose che ogni suora facesse quotidiana e profonda adorazione al SS. Sacramento. Quando chiedeva una grazia particolare pregava con le braccia in croce, in ginocchio, allungando la mano verso il tabernacolo. Dalla Francia aveva portato una statuetta della Madonna che fece benedire da Mons. Gastaldi. Ogni tanto, tenendola tra le braccia, in processione per il giardino con le suore, pregava cantando le litanie. Esortava alla recita del rosario e dell'ufficio della Madonna. Trasmise una profonda devozione alla Passione del Signore: il Venerdì Santo pranzava in piedi o in ginocchio, baciava i piedi alle religiose, prima di sedersi a mensa con un tozzo di pane.
Negli ultimi anni di vita l’asma bronchiale costrinse sovente la Madre a letto. Ritenuta inadatta a governare l'Istituto, in costante sviluppo soprattutto in Lombardia, ma ancor più perché i suoi modi risoluti non piacevano a un gruppo di suore anziane, il 26 dicembre 1887 fu esonerata dalla carica di superiora generale. Accettò l'umiliazione, sottomettendosi per prima alla nuova superiora che lei stessa aveva suggerito. Da quel giorno i dolori aumentarono, ma sorridendo diceva: "Per Gesù ogni sacrificio è piccola cosa", "Io sto per morire, ma voi non temete. Io continuerò ad aiutare e a dirigere le Piccole Serve del S. Cuore di Gesù e degli infermi poveri".
Anna Michelotti morì il 1° febbraio 1888, il giorno dopo Don Bosco. Poche ore prima della morte permise, cedendo alle ripetute insistenze delle suore, di farsi fotografare. Colei che per tutta la vita, dimentica di se stessa, aveva servito i più indifesi, fu sepolta, con ai fianchi il cingolo francescano, in una poverissima bara, nella terra bagnata dalla pioggia di un piccolo cimitero. “Il chicco di grano” era morto ma una luce di amore avrebbe continuato a brillare attraverso le sue figlie, oggi attive anche in terra di missione.
Le sue reliquie sono venerate a Torino nella casa madre di Valsalice. Paolo VI l’ha beatificata nella solennità di Tutti i Santi del 1975.


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03/02/2016 07:30
 
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Beato Alois Andritzki Sacerdote e martire

3 febbraio


Radibor, Germania, 2 luglio 1914 - Dachau, Germania, 3 febbraio 1943

Alois è stata un'altra vittima in più di Dachau, una figura sconosciuta che ciononostante si comincia a ricordare. È nato a Radibor Silesia, il quarto tra sei fratelli. Anche i suoi due fratelli maggiori erano sacerdoti. Era stato arrestato per le sue "attività sediziose" contro il regime nazista - la sua influenza "malefica" sui giovani - è stato arrestato e rinchiuso in campo di concentramento. Secondo i dati storici, Alois era un sacerdote molto vitale, lavoratore, pieno di vita e perfino acrobata. Rallegrava i suoi compagni di prigionia camminando sulle mani, sicuramente una figura eccentrica e divertente, per coloro che vivevano nell'inferno di Dachau, come lo si conosce comunemente (P. Sales Hess, "Dachau, eine Welt ohne Gott", Un mondo senza Dio). Era entrato al campo di concentramento il 2 ottobre 1941, dopo essere stato arrestato dalla polizia nazista in due occasioni, essendosi convertito in una "persona pericolosa" per il regime di Hitler e i suoi seguaci. Nel campo di concentramento aveva aderito ad uno dei gruppi di Schoenstatt, di cui i leader erano due sacerdoti schoenstattiani: Josef Fischer ed Heinz Dresbach. E' stato beatificato il 13 giugno 2011.








È “subdolo” ed ha un’influenza “malefica” sui giovani e per un prete è il miglior complimento, se a giudicarlo così è la Gestapo, che guarda con sospetto e perseguita proprio i preti più entusiasti e che hanno il maggior ascendete sui giovani. La vita di don Luigi Andritzki è tutta qui, se vogliamo, perché è limpida e coerente. E anche breve, perché si esaurisce nell’arco di appena 29 anni, di cui solo 4 di sacerdozio. Di famiglia serba, nasce nel 1914 nella Germania sud-orientale, da genitori insegnanti e buoni cattolici, al punto che, proprio nel buio del regime nazista, ben tre dei loro figli entrano in seminario. Lui, Luigi, è un giovane brillante, sportivo e dinamico quando a 20 anni decide di farsi prete; ordinato nel 1939, comincia ad esercitare a Desdra,mettendo in moto le identiche qualità. Sono soprattutto i giovani a subire il suo fascino, perché sa parlare loro di Dio anche attraverso il nuoto, il disegno e la ginnastica, organizzando partite di calcio e scuole di musica. Proprio per questo i nazisti cominciano a tenerlo costantemente sotto osservazione: parla troppo bene, è troppo critico verso il regime, riesce ad intercettare i giovani ed a farsi seguire. Tutte cose che, messe insieme, costituiscono più di un capo d’accusa nei suoi confronti. “Queste sono solo schermaglie, il peggio deve ancora venire”, dice ai suoi ragazzi a Natale 1940: è pienamente cosciente dei rischi cui va incontro, oltre ad essere un osservatore attento e lucido della situazione politica che sta vivendo. “Fra un paio d’anni saremo ghigliottinati tutti”, dice profeticamente; nemmeno un mese dopo lo arrestano, al termine di una rappresentazione teatrale in cui ha cercato di spiegare ai giovani la fine che faranno i cristiani durante la seconda guerra mondiale. Processato come “nemico dello stato” e giudicato colpevole di aver sferrato attacchi feroci al governo ed al partito con la sua predicazione ed il suo apostolato tra i giovani, viene condannato a sei mesi di carcere, terminati i quali viene deportato a Dachau. “Considerato il comportamento di suo figlio, si deve purtroppo ritenere che questi continuerebbe a perseverare nelle sue eretiche calunnie contro lo Stato”, scrive la cancelleria di Hitler, respingendo la commovente supplica di scarcerazione inoltrata da papà Andritzki: nella sua lucida perfidia, la Gestapo è pienamente consapevole del coraggio e dell’inflessibilità di don Luigi. Che non si smentisce neanche nel lager, stringendo con un amico benedettino, nel momento in cui vi entra il 10 ottobre 1941, un patto “eroico”: “Non ci lamenteremo mai. Non abbandoneremo il nostro contegno. Non dimenticheremo neanche per un attimo il nostro sacerdozio”. Il che è più facile a dirsi che a farsi, quando i mesi si protraggono, le umiliazioni abbondano, il cibo è insufficiente, il lavoro forzato sfibra anche i più robusti. A quei poveri esseri strappano via tutto, anche la dignità; solo il sorriso non riescono a rubare dal volto di don Luigi. “Era una specie di don Bosco”, dicono adesso di lui, “curava i malati, sosteneva gli anziani, consolava chi era triste”, naturalmente sorridendo sempre. Fino a che gli restano le forze fa anche l’equilibrista, camminando sulle mani per strappare un sorriso ai compagni di prigionia. “Chi lo vedeva al mattino restava pieno di gioia per tutta la giornata”,dice un testimone, neanche forse accorgendosi della gran bella cosa che sta dicendo di quel prete gioioso. Che a Natale 1942 si ammala di tifo e viene portato in infermeria. Il 3 febbraio 1943 chiede di poter ricevere la comunione e beffardamente il guardiano del reparto gli offre un’iniezione letale. Finisce così la vita breve del prete che sorrideva sempre e che un anno prima aveva scritto: “Se ora non possiamo essere i seminatori cerchiamo di essere almeno il seme, per portare abbondanza di frutti al tempo della raccolta”. Lunedì 13 giugno 2011 don Luigi Andritzki è stato beatificato a Desdra: è il primo beato serbo e il primo martire che camminava sulle sue mani.


Autore: Gianpiero Pettiti

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04/02/2016 07:39
 
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Sant' Aventino di Chartres Vescovo

4 febbraio




Martirologio Romano: A Châteaudun vicino a Chartres in Francia, transito di sant’Aventino, vescovo, che aveva prima retto la sede di Chartres.








Secondo il catalogo episcopale di Chartres, Aventino fu il quattordicesimo vescovo di quella diocesi. Egli prese parte al concilio di Orléans del 511 e morì prima del 533. I suoi resti mortali, scampati alla distruzione nel 1793, nel 1854 furono trasferiti nella chiesa di Santa Maddalena di Chàteaudun. Il nome di Aventino ricorre anche nella tradizione concernente san Solenne, vescovo di Chartres. Questi, infatti, si sottrasse con la fuga alla dignità episcopale e in sua vece fu consacrato Aventino, suo fratello. Il fuggiasco, però, raggiunto, fu insediato e Aventino si ritirò allora a Châteaudun, per riprendere in seguito la sua carica dopo la morte di Solenne. La festa di Aventino si celebra il 4 febbraio nelle diocesi di Chartres e di Tours.


Autore: Paul Viard

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05/02/2016 07:25
 
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Sant' Alice (Adelaide) di Vilich Badessa

5 febbraio


Geldern (Germania) 960 ca. – Colonia, 5 febbraio 1015

Nata verso il 960, Adelaide fu mandata dai genitori a studiare presso le canonichesse di San Gerolamo del monastero di Sant'Orsola a Colonia. La morte in battaglia di un fratello, caduto nel 977 contro i Boemi, fece sì che i genitori usassero la parte di eredità che a lui spettava per costruire un monastero a Vilich, presso Bonn, designando proprio Adelaide come prima badessa. Nonostante la giovane età governò con saggezza. Dopo la morte della madre (994), adottò la Regola di san Benedetto, aiutata dalle monache di Santa Maria in Capitolio a Colonia, di cui era badessa la sorella Bertrada. Quando anche questa morì, il vescovo di Colonia sant'Eriberto volle Adelaide alla guida di entrambi i monasteri. Dotata di doni mistici, alla sua intercessione sono attribuiti molti miracoli. Morì a Colonia nel 1015 ed è sepolta a Vilich. Il culto è diffuso anche in Francia, dove è nota con il nome di Alice. (Avvenire)

Etimologia: Adelaide = dal nobile aspetto, dall'antico tedesco


Martirologio Romano: A Colonia in Lotaringia, oggi in Germania, sant’Adelaide, prima badessa del monastero di Vilich, in cui introdusse la regola di san Benedetto, e poi del monastero di Santa Maria di Colonia, dove morì.







Nacque verso il 960, probabilmente nel castello di Geldern in Germania; fanciulla fu affidata per l’educazione alle canonichesse di S. Gerolamo del monastero di S. Orsola in Colonia, dove si distinse per il profitto nello studio e per la pietà innata.
Il fratello Goffredo morì durante la guerra contro i Boemi nel 977 ed i genitori destinarono la quota ereditaria che gli spettava, alla costruzione di un monastero di canonichesse a Vilich, presso Bonn, designando Adelaide come prima badessa; nonostante la giovane età, ella si dimostrò all’altezza del compito, promuovendo nel convento lo studio e le opere di pietà.
Dopo la morte della madre (994) Adelaide decise di introdurre nella Comunità la Regola di s. Benedetto e dopo averla sperimentata personalmente per un intero anno, si pose sotto la direzione delle benedettine del monastero di S. Maria in Capitolio di Colonia, di cui era badessa la sorella Bertrada.
Verso il 1000 la sorella morì e Adelaide fu posta dal vescovo di Colonia s. Eriberto, con il consenso dell’imperatore Ottone III, alla direzione anche del monastero di Colonia.
La guida dei due monasteri, la vide impegnata con grande prudenza ed energia decisionale e nella carità verso i poveri a cui destinò stabilmente certe rendite del monastero di Vilich.
Ebbe doni mistici e grazie alla sua intercessione, avvennero anche dei miracoli. Morì a Colonia il 5 febbraio del 1015 e il corpo, per suo desiderio, venne tumulato nel chiostro del monastero di Vilich, in seguito fu trasferito nella chiesa, visto il gran numero di pellegrini che si recavano a pregare sulla sua tomba, disturbando però la quiete del chiostro.
Il culto per s. Adelaide (Alice) di Vilich, iniziò subito dopo la morte ed ebbe grande diffusione, arrivando così anche in Francia, dove fu conosciuta appunto con il nome di Alice.
La sua festa si celebra il 5 febbraio.

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06/02/2016 04:53
 
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Beato Angelo da Furci

6 febbraio


Furci, Chieti, 1246 - Napoli, 6 febbraio 1327

Entrò tra gli Agostiniani di Vasto. Studiò a Parigi ed insegnò nello Studio generalizio dell’Ordine agostiniano di Napoli. Fu Provinciale della Provincia napoletana. Si distinse come teologo e oratore e diede sempre un singolare esempio di umiltà.

Martirologio Romano: A Napoli, beato Angelo da Furci, sacerdote dell’Ordine di Sant’Agostino, insigne nello zelo per il regno di Dio.







Il b. Angelo nacque a Furci (Chieti) nel 1246 da genitori agiati, che, essendo sterili, lo ottennero (secondo la tradizione, sulla quale del resto si basano tutte le notizie della sua vita) per intercessione di s. Michele Arcangelo, al cui Santuario, sopra il non lontano Gargano, si erano recati in pio pellegrinaggio. Nel battesimo ebbe il nome di Angelo.
Educato esemplarmente dai genitori, fu in seguito affidato a uno zio materno, abate benedettino di Cornaclano, presso Furci, con cui fece rapidi progressi sia nella scienza che nella santità. Morto lo zio, Angelo tornò a Furci. Dopo la morte del padre, si recò a Vasto, dove entrò, nel 1266, fra gli Agostiniani, presso i quali compì gli studi regolamentari e ascese al sacerdozio. Venticinquenne fu mandato a studiare alla Sorbona di Parigi, dove si trattenne per cinque anni. Tornato in Italia, insegnò in vari conventi, finché fu destinato allo studio agostiniano di Napoli, da dove non si mosse più fino alla morte.
Si distinse come teologo e oratore: anzi, gli storici gli attribuiscono un commento su s. Matteo e una raccolta di sermoni, che oggi non sappiamo dove siano conservati.
Nel 1287 fu eletto Priore Provinciale della Provincia napoletana. Per umiltà rinunciò agli incarichi episcopali di Acerra e di Melfi.
Morì a Napoli, il 6 febbraio 1327, nel convento di S. Agostino alla Zecca dove ebbe sepoltura. Il popolo, che già lo venerava da vivo come un santo, incominciò a raccomandarsi a lui, ottenendo favori e grazie. In seguito venne aggregato ai santi compatroni di Napoli e festeggiato il 6 febbraio e il 13 settembre.Grande è la devozione verso di lui anche a Furci, dove nell'agosto 1808 fu traslato il suo corpo.
Il 20 dicembre 1888 Leone XIII ne approvò il culto ab immemorabili.
La sua memoria liturgica ricorre il 6 febbraio.


Autore: P. Bruno Silvestrini O.S.A.

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07/02/2016 08:32
 
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Beato Anselmo Polanco Fontecha Vescovo e martire

7 febbraio


Buenavista de Valdavia, Spagna, 1881 - Pont de Molins, Spagna, 7 febbraio 1939



Nacque nel 1881 a BuenaVista de Valdavia (Palencia- Spagna). A 15 anni entrò nell'Ordine agostiniano nel convento di Valadolid, dove nel 1897 emise i primi voti, poi passò a quello di La Vid (Burgos), dove completò gli studi e celebrò la prima Messa nel 1904. Negli anni 1922-1932 fu nominato priore e provinciale del suo Ordine. Nel 1935 venne nominato vescovo di Teruel. Durante la guerra civile spagnola il vescovo Polanco divenne per la città di Turel divenne un punto di riferimento per molti fedeli. L'8 gennaio 1938 la città fu occupata dall'esercito repubblicano e venne arrestato monsignor Polanco. Per 13 mesi sopportò con pazienza il carcere, organizzando con i suoi compagni di prigionia una intensa vita spirituale, e il 7 febbraio 1939, insieme al suo fedele vicario Filippo Ripoll, fu fucilato e poi dato alle fiamme. Ripoll e Polanco sono stati beatificati da Giovanni Paolo II il primo ottobre 1995. I resti mortali dei due martiri riposano nella cattedrale di Teurel. (Avvenire)

Martirologio Romano: In località Pont de Molins vicino a Gerona in Spagna, beati martiri Anselmo Polanco, vescovo di Teruel, e Filippo Ripoll, sacerdote, che, disdegnando lusinghe e minacce, non vennero meno alla loro fedeltà alla Chiesa.








«A imitazione del Principe e modello dei sacerdoti, Cristo Gesù, offrite le vostre fatiche, le vostre sofferenze… e col Divino Maestro pregate così: “Padre, perdonateli, perché non sanno quello che fanno”», queste furono le parole del vescovo Polanco ai suoi sacerdoti e così anche gli agostiniani diedero la vita come i martiri cristiani della prima ora.

La guerra civile spagnola portò migliaia di cristiani al martirio, fra questi anche Anselmo Polanco e Filippo Ripoll.

Esercito nazionale e repubblicani si scontravano in una guerra fratricida. I due agostiniani erano stati catturati con altri prigionieri, fra i quali c’erano personalità di spicco: colonnelli, graduati e civili di un certo livello sociale.

Carcerieri e prigionieri (usati come ostaggi), nella loro fuga verso la Francia, si trovavano fuori da ogni comunicazione e non potevano dunque immaginare che la guerra sarebbe terminata dopo 53 giorni. Tutto il mondo era al corrente, attraverso la stampa, del vescovo prigioniero e per questo si fecero diversi tentativi per liberarlo anche da parte di alte autorità.

Il gruppo dei prigionieri era in completa balìa dell’odio antireligioso dei comunisti

La mattina del 7 febbraio 1939, dopo le 10, giunse uno squadrone di trenta soldati, comandati da un capitano, un tenente e altri ufficiali, compreso un commissario politico con degli ordini scritti. I prigionieri vennero a loro consegnati.

I miliziani di quella brigata, «rimasuglio nervoso di un esercito sconfitto e in ritirata, non conoscevano la bontà dei prigionieri, la calma e la pazienza che avevano dimostrato in tanti mesi di prigionia», come scrive il biografo dei due agostiniani Joaquìn Martìn Abad. Li passano in rassegna, si prendono ciò che hanno ancora di qualche valore. Li ammanettano a due a due. Vengono fatti salire su automezzi pesanti: Polanco non riesce a scavalcare la sponda posteriore, lo spingono con il calcio del fucile e alla fine sono costretti a prendere una sedia per farlo salire. Ma dopo pochi minuti lo fanno ridiscendere. Cercano di strappargli una ritrattazione sulle sue convinzioni: ma come non erano riusciti ad ottenerla in un anno di lunga ed estenuante prigionia, tanto meno ora.

Padre Polanco, ritornato sull’automezzo, impartisce l’assoluzione ai suoi compagni di viaggio.

Scendono in aperta campagna, lungo la sponda del torrente Can Tretze. Vengono fatti salire su tre ripiani, a forma di gradinata, addossati lungo la scarpata del torrente. I prigionieri chiedono perdono a Dio e per i loro prigionieri.

Dall’una fino alla tre risuonano, ad ondate successive, gli spari.

Anselmo Polanco era nato il 16 aprile 1881 a Buenavista di Valdavia (Palencia, Spagna) da una famiglia di agricoltori, cattolici praticanti. Gli venne dato il nome del sacerdote battezzante. Con la morte del fratello, Pietro (un mese), e della sorella, Amabile (quattro anni), rimase figlio unico.

Per Anselmo iniziò il lavoro della campagna, ma anche la preparazione scolastica.

A quindici anni, già desideroso di vestire l’abito religioso, entra nel Collegio-seminario dei padri agostiniani di Valladolid. È il 1° agosto 1896. A Valladolid emette la professione religiosa dei voti temporali (2 agosto 1897).

Prova anche l’esperienza della malattia e della sofferenza fisica, probabilmente si tratta di tubercolosi. Tutti vedono in lui un santo. Ai familiari raccomanda: «Soccorrere tutti i poveri, di qualsiasi condizione, senza badare alla loro condotta o alle loro idee».

Emette la professione solenne il 3 agosto 1900. Due anni dopo viene mandato al monastero di Santa Maria di La Vid (Burgos, dove s’innamora della Vergine stagliata al centro dell’altare maggiore della chiesa). V iene ordinato sacerdote nella cattedrale di Burgo de Osma il 17 dicembre 1904. Celebra la sua prima messa nella festività del Natale, ai piedi della Vergine.

Prosegue nella sua formazione culturale, studia tedesco e pedagogia, conseguendo il lettorato in filosofia nel 1909. Nel 1922 è Superiore del convento di Valladolid. Adotta il metodo di essere esigente con se stesso, per aiutare poi gli altri a percorrere lo stesso cammino, riuscendo a coniugare la dolcezza del padre con la fermezza del maestro. Tutti lo considerano un sacerdote esemplare: l’arcivescovo della città lo sceglie come suo confessore.. Ma ubbidisce, ricordando che anche sant’Agostino fu vescovo d’Ippona e a lui faceva sempre riferimento. Il capitolo provinciale del 1929 lo nomina consigliere Provinciale e si trasferisce a Manila.

Il 21 giugno 1935 Pio XI lo nomina vescovo di Teruel e amministratore apostolico di Albarracìn. Vorrebbe rinunciare a quell’incarico: lui è un frate, ancora impegnato nelle missioni. Il 24 agosto 1935 è consacrato vescovo nella chiesa di Valladolid che aveva restaurato con tanto amore. Suo padre, gravemente infermo non potrà partecipare alla cerimonia. La mamma è presente e profetizza: «Non sono questi i tempi migliori per fare il vescovo. Ma, alla fine, se verrà ucciso, cosa possiamo farci? Anche i martiri diedero il loro sangue per Cristo».

Il suo ingresso a Teruel è l’8 ottobre. Sono in molti a consigliare il vescovo di non fermarsi lì per i pericoli della guerra. Gli dirà sua madre (che morirà due anni più tardi): «Anselmo, figlio mio, voglio dirti una cosa: tu, devi essere buono. Il dovere innanzitutto» e alla presenza di altre persone afferma: «Il suo posto è a Teruel. Che stia là, dov’è necessario». Il vescovo acquisirà queste parole come il suo vero testamento.

La diocesi comprendeva 82 parrocchie, più le 31 di Albarracìn. Il giorno del suo ingresso aveva detto: «Sono venuto a dare la vita per le mie pecorelle». Il suo stemma pastorale riportava la frase paolina: «Impendam et superimpendam pro anibus vestris» («Mi prodigherò e consumerò per le vostre anime»).

Il suo ministero episcopale fu un intero inno all’amore per le sue creature: «Viviamo unanimi e concordi, in santa pace. Cerchiamo di essere perfetti, perseverando tutti nello stesso volere. Animiamoci a vicenda, pregando uniti, in modo che al termine di questa giornata terrena possiamo tutti raggiungere il porto. Così a me sia concesso di poter dire col Pastore e Vescovo delle anime per eccellenza: Non ho lasciato perire nessuno dei fedeli che hai affidato alla mia custodia e vigilanza». E ancora, alle porte tragiche dell’imminente guerra civile: «Non dobbiamo lasciarci trasportare dall’odio contro le persone, meritevoli come tali del nostro rispetto… Siate cortesi e gentili con le autorità civili, dimostrate che voi desiderate la concordia e che siete amanti della pace… Se sarà necessario difendere i diritti della Chiesa, fatelo con zelo e fermezza, ma sempre con molta discrezione; non usate mai violenza di linguaggio ed evitate di mescolare la nobiltà della causa con i risentimenti dell’amor proprio».

Padre e maestro dei sacerdoti, partecipa alle loro riunioni e assiste ai loro incontri settimanali, nonostante il timore dei bombardamenti. Si ferma alla loro povera mensa: «Vorremmo che tra voi ci fosse più che una semplice amicizia; sarebbe desiderabile una vera unione fraterna». Così lui fa con loro, è sufficiente guardare le foto che lo ritraggono con i suoi preti e i seminaristi per accorgersi dello splendido rapporto che sapeva creare. Così con le suore: le chiama tutte per nome.

Nelle zone di periferia, dove la miseria era forte, l’anticlericalismo si diffondeva a macchia d’olio; per questo il vescovo moltiplicava le sue presenza. Con sant’Agostino ripeteva: «Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano».

Recitava sempre il Rosario, anche e con maggior intensità durante l’assedio e nei mesi di prigionia. Ebbe sempre di fronte a sé l’immagine della Madonna del suo convento, dove è lei ad unire il tralcio alla vite.


Autore: Cristina Siccardi

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08/02/2016 08:02
 
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San Giacuto Monaco

8 febbraio




Martirologio Romano: In Bretagna, san Giacúto, abate, ritenuto fratello dei santi Vinvaleo e Guetnóco: fondò un monastero vicino al mare, che da lui poi prese il nome.

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09/02/2016 07:20
 
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Sant' Ansberto Abate di Fontenelle

9 febbraio




Martirologio Romano: Ad Hautmont sulla Sambre nell’Hainault, nel territorio dell’odierna Francia, transito di sant’Ansberto, che fu abate di Fontenelle e poi vescovo di Rouen, relegato in esilio dal re Pipino.








Nato a Chaussy sull'Epte (Vexin) da famiglia nobile, entrò alla corte di Clotario III e vi divenne referendario. Conserviamo ancora dei diplomi segnati di sua mano. Ma abbandonata prestissimo la corte si ritirò nell'abbazia di Fontenelle, in diocesi di Rouen, diretta allora dall'abate Wandrillo, e vi fu ordinato prete. Dopo che Lamberto, successore di Wandrillo, fu elevato al seggio di Lione nel 679, Ansberto fu eletto abate. Egli era legato da amicizia con sant'Audoeno (fr. Ouen), vescovo di Rouen, e alcuni poemi ne conservano la testimonianza. Gli successe nel 684, ma dovette ben presto abbandonare la sede di Rouen sotto la pressione ostile di Pipino d'Héristal; si rifugiò, allora, nell'abbazia di Hautmont.
Morì il 7 febbraio 699, nel momento in cui stava per riguadagnare la città vescovile, essendo stato felicemente risolto il malinteso sorto tra lui e il maestro di palazzo della Neustria. Ansberto è festeggiato il 9 febbraio nel «proprio» delle diocesi di Rouen, Versailles e Cambrai. Le sue reliquie, trasportate a Chartres e poi a Gand, dopo essere state profanate al tempo delle invasioni normanne, furono disperse nel 1528 dai protestanti.


Autore: Gérard Mathon

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POTRESTE AVERE DIECIMILA MAESTRI IN CRISTO, MA NON CERTO MOLTI PADRI, PERCHE' SONO IO CHE VI HO GENERATO IN CRISTO GESU', MEDIANTE IL VANGELO. (1Cor. 4,15 .
 
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