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CREDENTI DA IMITARE (Eb.13,7)

Ultimo Aggiornamento: 18/05/2019 13:12
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20/09/2017 09:23
 
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Sant' Eustachio Placido Martire

20 settembre




Etimologia: Eustachio = ricco di spighe, dal greco


Emblema: Palma


Martirologio Romano: A Roma, commemorazione di sant’Eustachio martire, il cui nome è venerato in un’antica diaconia dell’Urbe.



Ascolta da RadioVaticana:




Il ricco, vittorioso generale Placido, benché pagano, era per sua natura una persona spinta a fare grandi beneficenze, come il centurione Cornelio. La leggenda racconta che un giorno (100-101) andando a caccia, inseguì un cervo di rara bellezza e grandezza e quando questi si fermò sopra una rupe e volgendosi all’inseguitore, aveva tra le corna una croce luminosa e sopra la figura di Cristo che gli dice: “Placido perché mi perseguiti? Io sono Gesù che tu onori senza sapere”.
Riavutosi dallo spavento, il generale di Traiano decise di farsi battezzare prendendo il nome di Eustachio o Eustazio e con lui anche la moglie e i due figli con i nomi di Teopista, Teopisto e Agapio.
Ritornato sul monte, riascoltò la misteriosa voce che gli preannunciava che avrebbe dovuto dar prova della sua pazienza. E qui iniziano i guai, la peste gli uccide i servi e le serve e poi i cavalli e il bestiame; i ladri gli rubano tutto.
Decide di emigrare in Egitto, durante il viaggio non potendo pagare il nolo, si vede togliere la moglie dal capitano della nave che se n’era invaghito. Ridisceso a terra prosegue il viaggio a piedi con i figli, che gli vengono rapiti uno da un leone e l’altro da un lupo, ma poi salvati dagli abitanti del luogo; i due ragazzi crescono nello stesso villaggio senza conoscersi.
Rimasto solo, Eustachio si stabilisce in un villaggio vicino chiamato Badisso, guadagnandosi il pane come guardiano, sta lì per 15 anni, finché avendo i barbari violati i confini dell’Impero, Traiano lo manda a cercare per riportarlo a Roma.
Di nuovo comandante delle truppe, arruola soldati da ogni luogo; così fra le reclute finiscono anche i suoi due figli, robusti e ben educati, al punto che Eustachio sempre non riconoscendoli, li nomina sottufficiali, tenendoli presso di sé.
Vinta la guerra, le truppe sostano per un breve riposo in un piccolo villaggio, proprio quello in cui vive coltivando un orto, Teopista, che era rimasta sola dopo la morte del capitano della nave e abitando in una povera casupola; i due sottufficiali le chiedono ospitalità, e nel raccontarsi le loro vicissitudini, finiscono per riconoscersi come fratelli, anche Teopista li riconosce ma non lo dice, finché il giorno dopo presentatasi al generale, per essere aiutata a rientrare in patria, riconosce il marito, segue un riconoscimento fra tutti loro e così la famiglia si ricompone.
Intanto morto Traiano, gli era succeduto Adriano (117), il quale accoglie il vincitore dei barbari con feste e trionfi. Però il giorno dopo si doveva partecipare al rito di ringraziamento nel tempio di Apollo ed Eustachio si rifiuta essendo cristiano; l’imperatore per questo lo condanna al circo insieme ai suoi familiari (140); ma il leone per quanto aizzato non li tocca nemmeno e allora vengono introdotti vivi in un bue di bronzo arroventato, morendo subito, ma il calore non brucia loro nemmeno un capello.
I cristiani recuperano i corpi e gli danno sepoltura, in questo luogo dopo la pace di Costantino (325) fu eretto un oratorio, dove venivano celebrati il 1° novembre.
Questa leggenda ebbe una diffusione straordinaria nel Medioevo e ci è pervenuta in molte redazioni e versioni greche, latine, orientali e lingue volgari, quasi tutte le europee, diverse nei particolari ma concordanti nella sostanza.
La leggenda presenta assonanze ricorrenti nell’agiografia cristiana e nella novellistica popolare; il racconto del cervo compare anche nelle ‘Vite’ di molti santi cristiani e ha radici nella letteratura indiana; le avventure familiari di Eustachio sono un motivo ricorrente in India passato poi nell’antica letteratura greca, araba, giudaica e altre leggende cristiane.
Il culto per il martire Eustachio e familiari è antichissimo e innumerevoli sono le chiese, citazioni, racconti, documenti, ecc. in cui compare il suo nome, già agli inizi del secolo VIII. La sua festa inizialmente al 1° novembre fu spostata al 2 novembre, quando fu istituita la festa di Tutti i Santi e poi dopo l’inserimento della Commemorazione dei Defunti, fu spostata al 20 settembre, data che compare già negli evangeliari dalla metà del sec. VIII.
È protettore dei cacciatori e guardiacaccia e della città di Matera. Il nome deriva dal greco ‘Eystachios’ e significa “producente molte e buone spighe”.


Autore: Antonio Borrelli

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21/09/2017 09:54
 
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San Giona Monaco in Palestina

21 settembre


Moabitide (Mar Morto), VIII sec. - Palestina, IX sec.







Di lui non si sa niente di preciso, ma essendo il padre dei santi Teodoro e Teofane (i due fratelli Grapti), si può arrivare all’epoca in cui visse.
I due fratelli subirono la persecuzione dei due imperatori iconoclasti Leone V l’Armeno (813-820) e Teofilo (829-842), quindi Giona sarebbe vissuto verso la seconda metà dell’VIII secolo e la prima metà del IX.
La “Bibliotheca Hagiographica Greca” nella ‘Vita’ dei santi Teodoro e Teofane, non parla dei loro genitori, ma ci dice che essi erano originari della Moabitide, regione ad Est del Mar Morto, quindi anche il loro padre Giona doveva abitare lì, prima di abbandonare il mondo e ritirarsi come i suoi due figli (non si sa se prima o dopo) nella Grande Laura di S. Saba, fondata nel 478 in Palestina, nella valle del Cedron, appunto da san Saba, uno dei più grandi personaggi del monachesimo orientale.
Qui egli visse il resto della sua vita in continua ascesi e virtù, divenendo un modello per tutti; morì in età avanzata e seppellito nella Grande Laura.
I sinassari bizantini celebrano la sua memoria il 21 settembre a volte il 22.


Autore: Antonio Borrelli

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22/09/2017 09:24
 
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Santi Innocenzo e Vitale Martiri

22 settembre


m. Cantone del Vallese (Svizzera), fine III secolo



I santi Innocenzo e Vitale sono ritenuti soldati della leggendaria Legione Tebea, scampati però all’eccidio presso Agauno (odierna Saint-Maurice in Svizzera) ed uccisi in un secondo tempo nei paraggi dopo essersi dedicati all’evangelizzazione delle popolazioni locali.

Emblema: Palma, Spada, Stendardo, Croce Mauriziana









I gloriosi martiri Innocenzo e Vitale sono festeggiati in data 22 settembre in quanto alcuni racconti leggendari abbastanza tardivi li hanno voluti arruolare alla celebre quanto leggendaria Legione Tebea che proprio in tale data è commemorata dal Martyrologium Romanum. L’ultima edizione di questo calendario ufficiale cattolico, approvata all’alba del terzo millennio da Giovanni Paolo II, riporta in tale data solamente più i nomi “dei Santi martiri Maurizio, Essuperio, Candido, soldati, che, come narra Sant’Eucherio di Lione, con i loro compagni della Legione Tebana e il veterano Vittore, nobilitarono la storia della Chiesa con la loro gloriosa passione, venendo uccisi per Cristo sotto l’imperatore Massimiano”. Nelle precedenti versioni comparivano esplicitamente anche i nomi dei due santi oggetto della presente scheda, che però ad onor del vero non figuravano nella primitiva “passio” redatta dal suddetto Sant’Eucherio. In ogni caso resta pur sempre un dato di fatto la venerazione tributata nel corso dei secoli anche a questi due martiri pseudo-tebei.
Il martirologio seppur sinteticamente delinea le poche certezze che danno un fondamento storico al vasto culto tributato all’“Angelica Legio” in Europa ed in particolare sui molteplici versanti alpini. Secondo il medesimo martirologio solo due furono i soldati ufficialmente scampati a tale sanguinoso eccidio, cioè i santi Urso e Vittore (30 settembre), ma un po’ ovunque iniziarono a fiorire leggende su altri soldati che avrebbero trovato rifugio in svariate località, ove potettero intraprendere una capillare opera di evangelizzazione, per poi infine subire anch’essi il martirio. Nel Vecchio Continente si contano decine e decine di casi simili, concentrati particolarmente in Svizzera, Germania ed Italia settentrionale.
Per comprendere l’origine del culto di questi intrepidi testimoni della fede cristiana, quali furono Innocenzo e Vitale, occorre però ricordare come un tempo bastasse rinvenire dei resti umani nei pressi di qualche edificio sacro per ritenerli dei martiri il cui ricordo era caduto in oblio e nuovamente meritevoli di venerazione.
Così avvenne dunque anche per loro, quando le loro reliquie furono rinvenute nel cantone svizzero del Vallese, non lontano dall’antica Agauno (odierna Saint-Maurice) e, con il concorso dei vescovi locali e vicini, una parte consistente di esse fu traslato nell’antica abbazia di Saint-Maurice con gli altri soldati tebei, mentre di alcuni frammenti fu fatto dono alle diocesi limitrofe. Ciò contribuì indubbiamente alla diffusione del culto di questi improvvisati santi martiri, con conseguente dedicazione di numerose chiese ed altari, come si verificò in Valle d’Aosta, ove ancora oggi le denominazioni di vari edifici sacri ricordano ancora i nomi di questi due martiri ormai sconosciuti anche ai calendari diocesani. Non è dunque cosa difficile girovagando sulle nostre montagne imbattersi in luoghi legati alla memoria di questi due misteriosi personaggi.
Il presupposto che i due martiri abbiano militato nella Legione Tebea ha automaticamente conferito loro la presunta nazionalità egiziana e ciò ha contribuito alla diffusione del culto anche presso la Chiesa Copta, che venera dunque specificatamente non solo San Maurizio ma anche tutti quei suoi leggendari compagni il cui ricordo si è diffuso in un qualche piccolo santuario d’Europa.
L’iconografia relativa a questi santi martiri è solita presentarlo con tutti gli attributi tipici dei soldati tebei: la palma del martirio, la spada, lo stendardo con croce rossa in campo bianco e la Croce Mauriziana, cioè trilobata, sul petto.


Autore: Fabio Arduino

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23/09/2017 08:19
 
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Sant' Alfwold Re di Northumbria, martire

23 settembre


† Scytlecester, Inghilterra, 23 settembre 788/789







Figlio di Oswulf, Alfwold succedette sul trono di Northumbria a Aethelred, figlio di Moll Aetchwald, cacciato in esilio nel 779, probabilmente per aver fatto assas­sinare alcuni nobili della sua corte. Dopo aver assi­stito nel 787 al concilio di Northumbria, Alfwold il 23 sett. 788 o 789 fu ucciso a Scytlecester, vittima di una congiura ordita dal nobile Sicgan. Il suo corpo, trasportato ad Hexham (Northumberland), fu se­polto con grandi onori nella chiesa di S. Andrea apostolo, e sul luogo della sua morte, indicato se­condo la leggenda da una luce miracolosa, fu eretta una chiesa in onore di s. Cutberto, vescovo e di s. Oswald, re e martire. Il Ferrari, sulla scorta della prima edizione del Martirologio Anglicano, celebrò Alfwold come martire il 6 apr., sotto il nome di Ethelwold. Ma nella seconda edizione del citato Martirologio, la festa di Alfwold passò al 23 sett., data della sua morte. Questa trasposizione, apparente­mente ingiustificata, denota una qualche incertezza circa il culto di Alfwold, di cui, tra l'altro, non esiste alcuna prova sicura : infatti la chiesa che sorse sul luogo dove Alfwold fu ucciso, non fu dedicata a lui, ma ad altri. I Bollandisti sono piuttosto propensi a non accettare il culto di Alfwold.

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24/09/2017 10:14
 
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Sant’ Antonio Gonzalez Domenicano, martire

24 settembre


>>> Visualizza la Scheda del Gruppo cui appartiene

León (Francia) - † Nagasaki (Giappone), 24 settembre 1637

Martirologio Romano: A Nagasaki in Giappone, sant’Antonio González, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori e martire, che, mandato in Giappone con cinque compagni e poco dopo arrestato, fu sottoposto per due volte al supplizio dell’acqua e, preso dalla febbre, precedette gli altri nella morte sotto il comandante supremo Tokugawa Yemitsu.







Sant’Antonio González fa parte dello stuolo di 16 martiri per la fede, uccisi a Nagasaki in Giappone negli anni 1633-37; facendo seguito al numeroso gruppo di 205 martiri che donarono la loro vita, sempre a Nagasaki-Omura, negli anni 1617-32.
Essi furono vittime della persecuzione scatenata il 28 febbraio 1633, dallo “shogun” (supremo capo militare della nazione), Tokagawa Yemitsu; che con il suo (Editto n. 7), colpiva gli stranieri che “predicano la legge cristiana e i complici in questa perversità, che devono essere detenuti nel carcere di Omura”.
I sedici missionari che contavano nove padri Domenicani, tre Fratelli religiosi domenicani, due Terziarie domenicane, di cui una anche Terziaria Agostiniana, due laici, di cui uno padre di famiglia.
Avevano svolto apostolato attivo nel diffondere la fede cristiana nelle Isole Filippine, a Formosa e in Giappone; e appartenevano in diverso grado alla Provincia Domenicana del Santo Rosario, allora detta anche delle Filippine, la cui fondazione risaliva alle Missioni in Cina del 1587 e che al principio del 1600, aveva istituito una Vicaria in Giappone.
Essi furono catturati a gruppi o singolarmente, e rinchiusi nel carcere di Nagasaki e in quel quinquennio, in vari tempi ricevettero il martirio.
Dal 1633 era stata introdotta una nuova tecnica crudele di supplizio, a cui venivano sottoposti i condannati e così lasciati morire e si chiamava “ana-tsurushi”, cioè della forca e della fossa: si sospendeva il condannato ad una trave di legno con il corpo e il capo all’ingiù, e rinchiuso in una buca sottostante fino alla cintola, riempita di rifiuti; lasciandolo agonizzare e soffocare man mano per giorni.
Ma dal 1634 i cristiani prima di subire questo martirio, venivano sottoposti ad atroci tormenti come l’acqua fatta ingurgitare in abbondanza e poi espulsa con violenza e poi con la trafittura di punte acuminate tra le unghie ed i polpastrelli delle mani.
Certo la malvagità umana, quando si sfrena nell’inventare forme crudeli da infliggere ai suoi simili, supera ogni paragone con la ferocia delle bestie, che perlomeno agiscono per istinto e per procacciarsi il cibo.
I sedici martiri erano di varie nazionalità: 1 filippino, 9 giapponesi, 4 spagnoli, 1 francese, 1 italiano.
E del gruppo spagnolo faceva parte il domenicano padre Antonio González, nato a León, il quale era professore di teologia e rettore nel Collegio di San Tommaso a Manila nelle Filippine.
Fu capogruppo della spedizione domenicana, che nel 1636 andò dalle Filippine in Giappone, per aiutare i cristiani locali, rimasti privi di sacerdoti a causa della persecuzione in atto, già citata.
Il 24 settembre 1637 morì nel carcere di Nagasaki, a causa degli estremi tormenti inflittagli dai carnefici giapponesi. Diamo i nomi degli altri martiri di quel periodo, che raggruppati con il nome di ‘Lorenzo Rúiz e compagni’, sono stati beatificati il 18 febbraio 1981 a Manila nelle Filippine da papa Giovanni Paolo II e dallo stesso Pontefice canonizzati il 18 ottobre 1987, con festa liturgica per tutti al 28 settembre.
Padre Domenico Ibáñez de Erquicia, spagnolo; padre Giacomo Kyuhei Gorobioye Tomanaga giapponese; padre Michele de Aozaraza, spagnolo; padre Guglielmo Courtet, francese; padre Vincenzo Shiwozuka, giapponese; padre Luca Alonso Gorda, spagnolo; padre Giordano Giacinto Ansalone, italiano; padre Tommaso Hioji Rokuzayemon Nishi, giapponese; i tre Fratelli religiosi domenicani catechisti giapponesi: Francesco Shoyemon, Michele Kurobioye, Matteo Kohioye; le due Terziarie Domenicane: Maddalena di Nagasaki (anche Terziaria Agostiniana) e Marina di Omura; i due laici Lorenzo Rúiz di Manila (Filippine), padre di famiglia e Lazzaro di Kyoto, giapponese.
Lorenzo Rúiz è considerato il protomartire delle Filippine.


Autore: Antonio Borrelli

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25/09/2017 07:54
 
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San Sergio di Radonez Eremita, egumeno

25 settembre


Rostov, Russia, 1314 c. - Monastero della Trinità, Serghiev Posad, Russia, 25 settembre 1392



Sergio e i suoi genitori furono scacciati dalla loro casa dalla guerra civile e dovettero guadagnarsi da vivere facendo i contadini a Radonez, a nord-est di Mosca. A vent'anni Sergio inizia un'esperienza di eremitaggio, insieme al fratello Stefano, nella vicina foresta. Presto altri uomini si uniscono a loro e nel 1354 si trasformano in monaci, conducendo vita comune. Nasce così il monastero della Santa Trinità (Troice-Lavra), punto di riferimento per il monachesimo della Russia settentrionale. Sergio fonda anche altre case religiose, direttamente o indirettamente. Nel 1375 rifiuta la sede metropolitana di Mosca, ma continua a usare la sua influenza per mantenere la pace fra i principi rivali. È stato uno dei primi santi russi a cui furono attribuite visioni mistiche. Attraverso il suo discepolo Nil Sorskij si diffuse l'esicasmo, la preghiera del cuore resa celebre dai «Racconti di un pellegrino russo»: «Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me». Il monastero della Trinità di Serghiev Posad è ancora oggi meta di pellegrinaggi. Fu canonizzato in Russia prima del 1449. (Avvenire)

Etimologia: Sergio = che salva, custodisce, seminatore, dal latino


Martirologio Romano: Nel monastero della Santissima Trinità a Mosca in Russia, san Sergio di Radonez, che, dopo aver condotto vita eremitica in foreste selvagge, abbracciò la vita cenobitica e, eletto egúmeno, la propagò, mostrandosi uomo mite, consigliere di príncipi e consolatore dei fedeli.

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26/09/2017 10:15
 
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San Damiano Martire

26 settembre - Memoria Facoltativa


sec. III, inizio sec. IV



Sulla vita di Cosma e Damiano le notizie sono scarse. Si sa che erano gemelli e cristiani. Nati in Arabia, si dedicarono alla cura dei malati dopo aver studiato l'arte medica in Siria. Ma erano medici speciali. Spinti da un'ispirazione superiore infatti non si facevano pagare. Di qui il soprannome di anàrgiri (termine greco che significa «senza argento», «senza denaro»). Ma questa attenzione ai malati era anche uno strumento efficacissimo di apostolato. «Missione» che costò la vita ai due fratelli, che vennero martirizzati. Durante il regno dell'imperatore Diocleziano, forse nel 303, il governatore romano li fece decapitare. Successe a Ciro, città vicina ad Antiochia di Siria dove i martiri vengono sepolti. Un'altra narrazione attesta invece che furono uccisi a Egea di Cilicia, in Asia Minore, per ordine del governatore Lisia, e poi traslati a Ciro. Il culto di Cosma e Damiano è attestato con certezza fin dal V secolo. (Avvenire)

Patronato: Medici, Chirurghi, Farmacisti, Parrucchieri


Etimologia: Damiano = domatore, o del popolo, dal greco


Emblema: Palma, Strumenti chirurgici


Martirologio Romano: Santi Cosma e Damiano, martiri, che si ritiene abbiano esercitato a Cirro nella provincia di Eufratesia, nell’odierna Turchia, la professione di medici senza chiedere alcun compenso e abbiano sanato molti con le loro gratuite cure.



Ascolta da RadioVaticana:
Ascolta da RadioRai:
Ascolta da RadioMaria:





Santi Cosma e Damiano

Abbiamo informazioni abbondanti e di grande interesse sul culto che Cosma e Damiano hanno avuto già poco tempo dopo la morte: dedicazione di chiese e monasteri a Costantinopoli, in Asia Minore, in Bulgaria, in Grecia, a Gerusalemme. La loro fama è giunta rapida in Occidente, partendo da Roma, con l’oratorio dedicato loro da papa Simmaco (498- 514) e con la basilica voluta da Felice IV (526-530). I loro due nomi, poi, sono stati pronunciati infinite volte, sotto tutti i cieli, ogni giorno a partire dal VI secolo, nel Canone della Messa, che dopo gli Apostoli ricorda dodici martiri, chiudendo l’elenco appunto con i loro nomi: Cosma e Damiano.
Poco si sa invece della loro vita. Li ricorda il Martirologio Romano, ispirandosi a una narrazione che vuole Cosma e Damiano nati in Arabia. Sono fratelli, e cristiani. Per invito dello Spirito Santo, si dedicano alla cura dei malati, dopo aver studiato l’arte medica in Siria. Ma sono medici speciali, appunto in virtù della loro missione: non si fanno pagare. Di qui il soprannome di anàrgiri (termine greco che significa “senza argento”, “senza denaro”). Solo una volta, si narra – e contro la volontà di Cosma –, Damiano ha accettato un compenso da una donna che ha guarito: tre uova.
Questa attenzione ai malati è pure uno strumento efficacissimo di apostolato cristiano. E appunto l’opera di proselitismo costa la vita ai due fratelli, martirizzati insieme con altri cristiani. In un anno imprecisato del regno dell’imperatore Diocleziano (tra il 284 e il 305, forse nel 303), il governatore romano li sottopone a tortura e poi li fa decapitare. Questo avviene a Ciro, città vicina ad Antiochia di Siria (oggi Antakya, in Turchia) dove i martiri vengono sepolti. Un’altra narrazione dice che furono uccisi a Egea di Cilicia, in Asia Minore, per ordine del governatore Lisia, e poi traslati a Ciro. Ma abbiamo la voce di Teodoreto, vescovo appunto di Ciro, uno dei grandi protagonisti delle battaglie dottrinali nel V secolo: e questa voce parla di Cosma e Damiano, "illustri atleti e generosi martiri", con ammirazione e affetto di concittadino.
Il culto per i due guaritori, passato dall’Oriente all’Europa, "si mantenne straordinariamente vivo fino a tutto il Rinascimento, dando luogo a un’iconografia tra le più ricche dell’Occidente, specie in Italia, Francia e Germania" (Maria Letizia Casanova). A più di mille anni dalla loro morte, si dà il nome di uno di loro a quello che poi i fiorentini chiameranno padre della patria: Cosimo de’ Medici il Vecchio. E la casata chiama a illustrare la vita dei due santi guaritori artisti come il Beato Angelico, Filippo Lippi e Sandro Botticelli.


Autore: Domenico Agasso

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27/09/2017 08:31
 
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Sant' Iltrude (Hiltrude) di Liessies Vergine

27 settembre


Poitiers, VIII sec. - Liessies (Belgio), 27 settembre 800 ca.

Si consacrò a Dio, vivendo solitaria nelle prossimità del monastero di Liesse, di cui suo fratello era abate.

Martirologio Romano: Nel cenobio di Liesse nell’Hainault, nel territorio dell’odierna Francia, santa Iltrude, vergine, che visse piamente, ritiratasi presso suo fratello Guntardo abate.







Si premette che la “Vita Hiltrudis”, scritta fra il 1050 e il 1090 da un monaco di Waulsort (Belgio), si rifà ad una tradizione monastica di prima dell’850, priva però di ogni valore storico, perché ogni documento scritto, sembra sia stato bruciato dai barbari; santa Hiltrude vergine è menzionata al 27 settembre in un Sacramentarlo di Liessies del XII secolo.
Hiltrude era figlia di Ada, una nobile franca e di Wiberto conte di Poitiers, che possedeva terre tra i fiumi Sambre e Mosa, fra la Francia e il Belgio; ed era sorella di Gontrado, primo abate di Liessies.
Fu promessa in sposa ad Ugo conte di Borgogna, ma ella preferì consacrarsi a Dio, ricevendo nel 768 il velo delle vergini, con la benedizione del vescovo di Cambrai; poi in seguito fu accolta dal fratello Gontrado, che la alloggiò dietro la cappella del suo monastero di Liessies.
In questo luogo visse per diciassette anni come monaca solitaria, partecipando alla vita liturgica dell’abbazia; morì il 27 settembre di un anno intorno l’800 e venne sepolta nell’abbazia belga.
La fama della sua santità crebbe nei secoli e il 17 settembre 1004 il vescovo di Cambrai, Erluino, fece aprire la tomba “elevandone” le reliquie.
Nel 1587 le reliquie del cranio, vennero sistemate in un nuovo reliquiario in argento e s. Luigi di Blois, abate di Liessies contribuì allo sviluppo del culto.
Durante la guerra dei “Trent’anni” le reliquie furono messe in salvo a Mons, dove nel 1641 furono poste in un’artistica urna.
Ma le peripezie delle reliquie non erano finite, nel 1793 durante la Rivoluzione Francese, la Convenzione requisì i metalli preziosi e il cranio della santa fu gettato a terra e poi raccolto da un fedele.
Il culto riprese nel 1802 e nel 1842 le reliquie, dopo un’inchiesta, furono riconosciute autentiche. Il Martirologio Romano pone al 27 settembre la festa di sant’Hiltrude vergine in Austrasia.

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28/09/2017 09:56
 
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Beato Bernardino da Feltre Religioso

28 settembre


Feltre, 1439 - Pavia, 28 settembre 1494



Al secolo Martino Tomitano, studente a Padova, entrò nell’ordine francescano nel 1456. Divenne sacerdote nel 1463. Cominciò il ministero della predicazione nel 1469 a Mantova e dal 1471 divenne noto e ricercato. Anche con il rischio di perdere la vita e attirandosi l’inimicizia dei governanti, combatté la licenziosità e l’usura, adoperandosi negli ultimi dieci anni per l’istituzione di Monti di Pietà.

Etimologia: Bernardino = ardito come orso, dal tedesco


Martirologio Romano: A Pavia, beato Bernardino da Feltre (Martino) Tomitano, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che riportò ovunque buona messe dalla sua predicazione, istituì contro l’usura i cosiddetti Monti di Pietà e, uomo di pace, fu chiamato dal papa Sisto IV a ricomporre le discordie civili.








Detto comunemente Bernardino da Feltre dalla città dove vide la luce nel 1439, primogenito del nobile e facoltoso Donato Tomitano e di Corona Rambaldoni, cugina del celebre educatore Vittorino, il beato fu battezzato col nome di Martino. Assunse quello di Bernardino in onore dell'apostolo senese, di cui rinnovò la prodigiosa attività di predicatore, entrando il 14 maggio 1456, a Padova, tra i Frati Minori Osservanti della provincia veneta.
Fanciullo d'ingegno precoce, avido di letture, fece rapidi progressi negli studi umanistici, tanto che a undici anni leggeva e parlava il latino con facilità. Gli furono maestri il Guarino Veronese, Damiano da Pola e Giacomo da Milano. Studente di diritto a Padova, era ammirato da tutti per la serietà della condotta e l'intelligenza. Già aveva interpretato come segni ammonitori del cielo la morte repentina e immatura di tre suoi professori universitari, Zaccaria Pozzo, il Romanello e Giacomo de' Zocchi, dai quali il giovane Martino era singolarmente amato, quando predicò nella città il francescano Giacomo della Marca, discepolo di Bernardino da Siena. La sua parola finì per convincerlo e Bernardino prese l'abito dei Minori, compiendo un rigoroso noviziato nel piccolo convento di S. Orsola, fuori le mura della città. Invano il padre andò a trovarlo per distoglierlo dal proposito: Bernardino, infatti, lo persuase che quella era la sua vocazione. Finito il corso di teologia a Venezia, fu ordinato sacerdote nel 1463. Dopo aver insegnato grammatica per alcuni anni, il capitolo provinciale veneto lo nominò predicatore. Da quell'anno (1469) fino alla morte non cessò di predicare e percorse l'Italia centro-settentrionale (come limiti geografici si possono segnare approssimativamente Trento-Milano e L'Aquila-Roma) molte volte, a piedi scalzi, trovandosi spesso in frangenti difficili per le awerse condizioni atmosferiche, la fame, i pericoli di guerre, le espulsioni da parte di prinGipi, I'odio degli usurai e degli ebrei, e perfino per l'indiscreto zelo di devoti, che minacciavano di calpestarlo quando non era protetto da armigeri. Bernardino tenne ventitré Quaresime, cioè una ogni anno, a partire dal 1470, eccetto il 1472 (era infermo). Stupiva i contemporanei che un uomo così fragile come Bernardino potesse avere tanta resistenza agli strapazzi: egli era di statura esigua, amava firmarsi nelle lettere piccolino, di salute delicata, spesso ammmalato e minato dalla tisi che lo condusse a morte.
Le sue prediche attiravano uditori senza numero e se lo contendevano le città più illustri, ricorrendo anche al papa per averlo. Qualcosa di certo sul modo e sui temi della sua predicazione si può ricavare dal quaresimale di Padova del 1493 e dall'Avvento di Brescia dello stesso anno, conservatici dal francescano Pernardino Bulgarino, che fu suo compagno. Bernardino è parlatore vivo: come Bernardino da Siena, dialoga col popolo, racconta spigliatamente, lancia argute sferzate che vanno al segno. Lotta contro gli sfacciati costumi delle donne, le ingiustizie legali, le usure; esorta ai Sacramenti, alla devozione alla Madonna (della quale difende apertamente l'immacolato concepimento), all'amore per il prossimo, specialmente verso i poveri indifesi.
Promotore dei Monti di Pietà (ne aprì a Mantova nel 1484, a Padova nel 1491, a Crema e Pavia nel 1493, a Montagnana e Monselice nel 1494), nonostante la forte opposizione della maggior parte dei suoi confratelli, sostenne, da esperta giurista, che era lecito esigere il pagamento di un modesto interesse sul mutuo, necessario al funzionamento della organizzazione bancaria. Contro l'usura fu inflessibile. Una grave lotta sostenne a Trento nel 1476 quando accusò gli ebrei di strozzinaggio e al fondo della sua drammatica cacciata da Firenze, in una notte della Quaresima del 1488, ci fu il risentimento della Signoria contro quel frate, debole di corpo ma coraggioso d'animo, che aveva denunziato le angherie fatte alla povera gente da prestatori senza coscienza. In nessun caso Bernardino fuggì le responsabilità del suo ministero: fu cacciato da Milano dal duca Ludovico il Moro (1491) perché aveva confutato in pubblico dibattito un astrologo, favorito del principe. A Padova, durante la peste del 1478, continuò a predicare, sebbene ne fosse più volte sconsigliato, perché nell'assembramento della gente poteva più facilmente propagarsi il contagio; egli invece mirava a rincuorare tutti, a spronare i sani affinché si dedicassero alla cura degli ammalati, dando egli stesso l'esempio negli ospedali, nelle case private, fino ad essere contagiato dal male. Vicario provinciale dei Minori osservanti veneti al tempo delI'interdetto lanciato dal papa Sisto IV contro la repubblica (1483), pur dolendosi dell'infelice sorte spirituale della patria, obbedì al Sommo Pontefice e comandò a tutti i frati dipendenti di lasciare i conventi, provvedendo però a farne rimanere qualcuno per l'indispensabile servizio religioso. Per questo ebbe l'esilio perpetuo dal doge, come ribelle, con un decreto, revocato peraltro nel 1487. Bernardino incontrò sereno la morte a Pavia il 28 settembre1494, avendo interrotto pochi giorni prima del trapasso la predicazione, a causa dell'aggravarsi del male. Venerato subito dal popolo, il suo culto fu confermato nel 1654 per l'Ordine francescano e le diocesi di Feltre e Pavia. I Minori ne celebrano la festa il 28 settembre.


Autore: Giacomo V. Sabbatelli

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29/09/2017 08:35
 
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San Gabriele Arcangelo

29 settembre




Gabriele (forza di Dio) è uno degli spiriti che stanno davanti a Dio, rivela a Daniele i segreti del piano di Dio, annunzia a Zaccaria la nascita di Giovanni e a Maria quella di Dio. Il nuovo calendario ha riunito in una sola celebrazione i tre arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, la cui festa cadeva rispettivamente il 29 settembre, il 24 marzo e il 24 ottobre. Dell'esistenza di questi angeli parla esplicitamente la Sacra Scrittura, che dà loro un nome e ne determina la funzione. San Michele, l'antico patrono della Sinagoga, è ora patrono della Chiesa universale; San Gabriele è l'angelo dell'Incarnazione e forse dell'agonia nel giardino degli ulivi; San Raffaele è la guida dei viandanti. San Gabriele, «colui che sta.al cospetto di Dio» (si presenta così quando annuncia a Maria la sua scelta come madre del Redentore). È lui che spiega al profeta Daniele come avverrà la piena restaurazione, dal ritorno dall'esilio all'avvento del Messia. A lui è affìdato l'incarico di annunciare la nascita del precursore, Giovanni, figlio di Zaccaria e di Elisabetta. Egli gode di una particolare venerazione anche presso i maomettani. (Avvenire)

Patronato: Diplomazia e comunicazione, Telecomunicazioni, Lavoratori delle poste e dei tele


Etimologia: Gabriele (come Gabrio e Gabriella) = uomo di Dio, dall'assiro o forza, fortezza


Martirologio Romano: Festa dei santi Michele, Gabriele e Raffaele, arcangeli. Nel giorno della dedicazione della basilica intitolata a San Michele anticamente edificata a Roma al sesto miglio della via Salaria, si celebrano insieme i tre arcangeli, di cui la Sacra Scrittura rivela le particolari missioni: giorno e notte essi servono Dio e, contemplando il suo volto, lo glorificano incessantemente.



Ascolta da RadioVaticana:
Ascolta da RadioMaria:




Gabriele (Forza di Dio) è uno degli spiriti che stanno davanti a Dio (Lc 1, 19), rivela a Daniele i segreti del piano di Dio (Dn 8, 16; 9, 21-22), annunzia a Zaccaria la nascita di Giovanni (Lc 1, 11-20) e a Maria quella di Dio (Lc 1, 26-38). Il nuovo calendario ha riunito in una sola celebrazione i tre arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, la cui festa cadeva rispettivamente il 29 settembre, il 24 marzo e il 24 ottobre. Dell'esistenza di questi Angeli parla esplicitamente la Sacra Scrittura, che dà loro un nome e ne determina la funzione. S. Michele, l'antico patrono della Sinagoga, è ora patrono della Chiesa universale; S. Gabriele è l'angelo dell'Incarnazione e forse dell'agonia nel giardino degli ulivi; S. Raffaele è la guida dei viandanti.
S. Gabriele, "colui che sta al cospetto di Dio" (è il suo "biglietto di presentazione " quando si reca ad annunciare a Maria la sua scelta come madre del Redentore), è l'annunciatore per eccellenza delle divine rivelazioni. E’ lui che spiega al profeta Daniele come avverrà la piena restaurazione, dal ritorno dall'esilio all'avvento del Messia. A lui è affìdato l'incarico di annunciare la nascita del precursore, Giovanni, figlio di Zaccaria e di Elisabetta. La missione più alta che mai sia stata affìdata ad una creatura è : l'annuncio dell'Incarnazione del Figlio di Dio. Egli gode per questo di una particolare venerazione anche presso i maomettani.

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30/09/2017 08:19
 
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Beato Giovanni Nicola (Jean-Nicolas) Cordier Sacerdote gesuita, martire

30 settembre


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Saint-André, Francia, 3 dicembre 1710 – Rochefort, Francia, 30 settembre 1794

Martirologio Romano: Sulla costa francese nel mare antistante Rochefort, beato Giovanni Nicola Cordier, sacerdote e martire, che, dopo la soppressione della Compagnia di Gesù, svolse il suo ministero sacerdotale nel territorio di Verdun, finché, nel corso della rivoluzione francese, gettato perché sacerdote in una galera ferma all’ancora, morì malato di letale inedia.







Papa Giovanni Paolo II beatificò il 1° ottobre 1995 un gruppo di 64 martiri morti durante la Rivoluzione Francese, vittime delle sofferenze patite per la fede, noti quali “Martiri dei pontoni di Rochefort”. Sulla vecchia imbarcazione “Washington”, ancorata nella regione de La Rochelle, furono imprigionati e morirono parecchi sacerdoti e religiosi cattolici fedeli alla Santa Sede. Patirono sofferenze e vessazioni terribili a causa della loro fede e morirono in seguito ai maltrattamenti subiti. Ben 285 sopravvissuti furono invece liberati il 12 febbraio 1795 e, tornati ai loro paesi, lasciarono testimonianze scritte dell’eroico esempio dei loro compagni, permettendo così l’avvio dei processi per la loro beatificazione.
Il Martyrologium Romanum, che commemora i martiri singolarmente o in gruppo a seconda dell’anniversario del martirio, pone in data odierna la festa del Beato Jean-Nicolas Cordier. Questi, nato a Saint-André il 3 dicembre 1710, fu sacerdote professo gesuita, ma alla soppressione della Compagnia di Gesù esercitò il suo ministero presso Verdun in Lorena al servizio della vita consacrata, sostenendo e guidando specialmente le monache. Catturato dai rivoluzionari, terminò i suoi giorni imprigionato al largo di Rochefort il 30 settembre 1794.


Autore: Fabio Arduino

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02/10/2017 08:04
 
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Santa Giovanna Emilia De Villeneuve Religiosa e fondatrice

2 ottobre


Toulouse, Francia, 9 marzo 1811 - Castres, Francia, 2 ottobre 1854



Jeanne-Émilie de Villeneuve, originaria di Tolosa in Francia, trascorse un’infanzia agiata, ma aperta ai bisogni degli altri. Dopo la morte di una sua sorella maggiore, trovò la gioia vera nella frequenza ai Sacramenti e nel condividere la vita dei più poveri. Dietro l’impulso di un benefattore, fondò la congregazione delle Suore dell’Immacolata Concezione di Castres, più note come “suore azzurre” o “suore blu” per il colore dell’abito. Diresse a lungo le sue figlie spirituali, spingendole ad andare dovunque la carità di Cristo le conducesse. Beatificata il 5 luglio 2009 a Castres sotto il pontificato di papa Benedetto XVI, è stata canonizzata da papa Francesco a Roma il 17 maggio 2015. I suoi resti mortali riposano nel giardino della Casa madre della Congregazione, a Castres.








Jeanne-Émilie de Villeneuve nacque il 9 marzo 1811 a Tolosa, in una delle più antiche famiglie nobili della Linguadoca. Era la terzogenita, dopo Léontine e Octavie, del marchese Jean-Baptiste Marie Louis de Villeneuve, un tempo ufficiale di marina e di Rosalie Gabrielle de Monteal-Avessens.
Dopo la nascita del figlio maschio Ludovic, la famiglia si stabilì nel castello di Hauterive, vicino a Castres (a 90 chilometri da Tolosa), dove inizialmente trascorreva solo l’estate. Dato che il marchese si occupava di controllare i possedimenti agricoli e della sua azienda di lavorazione del cuoio, delegò l’educazione dei figli alla moglie, che se ne occupò pienamente finché ne fu in grado.
Per Émilie il padre divenne un vero modello: organizzò dei corsi d’avviamento professionale e fu sempre molto vicino ai più poveri. Dalle sorelle, invece, si sentiva in un certo senso isolata a causa della differenza d’età, finendo col diventare quasi insensibile. Allo stesso tempo, sviluppò un grande amore per la precisione, tanto che venne incaricata dalla madre di fornire un’iniziale istruzione al fratellino.
Nel 1825, la signora de Villeneuve si spense, dopo una dolorosa agonia. Nemmeno in quel caso Émilie lasciò trasparire i propri sentimenti, e neppure quando, nel gennaio 1826, ricevette la Prima Comunione. Non molto tempo dopo, venne affidata insieme alle sorelle (Ludovic fu mandato in collegio) alla nonna paterna, in quanto suo padre venne nominato sindaco di Castres. Le sorelle ne furono felici e colsero l’occasione per non mancare agli appuntamenti che si svolgevano nel salotto della signora.
Poco meno di due anni dopo, improvvisamente, morì la sorella Octavie. Sul momento Émilie rimase impassibile come al solito, ma di lì a poco scoprì cosa poteva renderla davvero felice: la preghiera, la frequentazione dei sacramenti e la partecipazione alle conversazioni religiose con alcuni amici della nonna.
Col matrimonio di Léontine, alla fine del novembre 1829, Émilie divenne di fatto padrona di casa, anzi, del castello di Hauterive, perché il padre, dopo essersi dimesso dall’incarico di sindaco, non perse di vista le proprie attività agricole. Ludovic disapprovava il contegno e le abitudini della sorella, che trovava poco ordinarie rispetto a quelle delle ragazze della sua età e della sua epoca: lei, infatti, condivideva coi poveri il denaro che le forniva il padre, andava a Messa ogni mattina e assisteva le giovani istruendole e assistendole se ammalate. Trovò inoltre una guida spirituale nel gesuita padre Leblanc, che risiedeva a Tolosa.
Ma le elemosine e le visite, ben presto, non le bastarono più. Voleva condividere la vita dei più abbandonati, per ricondurli alla loro dignità umana e di figli di Dio. A ventitre anni, confidò all’amica Coralie de Gaix, che in seguito lasciò un memoriale su di lei, che sentiva «un’attrattiva irresistibile» non per il matrimonio, ma per la consacrazione religiosa, precisamente tra le Figlie della Carità di San Vincenzo De Paoli. Anche padre Leblanc approvò il suo progetto, ma non i familiari: il signor de Villeneuve le chiese di attendere altri quattro anni. Émilie, consigliata anche dal direttore spirituale, accettò, ma intensificò le sue attività in parrocchia. Si rese così disponibile che le amiche, con tono tra lo scherzoso e l’ammirato, presero a chiamarla «Signor Vicario», quasi fosse un viceparroco in gonnella.
Un giorno le venne recapitata una lettera. Era da parte di un certo signor de Barre, benefattore e fervente cristiano, che asseriva di aver avuto un’ispirazione durante la Messa: la giovane avrebbe dovuto costituire a Castres una casa, diretta da religiose, per l’educazione dei bambini lasciati a se stessi dai genitori. Dopo aver lungamente pregato e riflettuto, padre Leblanc concluse che era volere di Dio che l’opera fosse compiuta. Anche il padre di Émilie si disse convinto, tanto più che la figlia non sarebbe stata tanto lontana da lui, e contribuì finanziariamente all’acquisto della casa. Nell’abbandonare il castello, gli disse: «È per Dio che vi lascio, voglio servire i poveri!».
Il nome scelto per la nuova fondazione fu quello di «Congregazione dell’Immacolata Concezione». Rispecchiava la devozione che Émilie aveva sempre avuto per la Vergine Maria, che aveva scelto come speciale confidente quando era rimasta senza madre. Il fine era espresso nelle prime Regole: l’educazione dei bambini abbandonati, il servizio ai poveri e ai prigionieri, l’istruzione e la formazione professionale delle ragazze.
Émilie e due compagne, dopo un mese di ritiro, quasi un noviziato, presso il convento della Visitazione di Tolosa, cambiarono i vestiti con un abito religioso azzurro e professarono i voti temporanei l’8 dicembre 1836, alla presenza dell’arcivescovo di Albi. La neo-fondatrice prese il nome di suor Maria, ma nell’uso comune è rimasta nota col nome di battesimo.
Dopo un iniziale appoggio da parte dei cittadini, le tre suore subirono pesanti attacchi per aver inaugurato, il 29 marzo 1837, un laboratorio di cucito. Le sarte professioniste avvertivano il peso della concorrenza e arrivarono a calunniare la nuova comunità, che, consigliata da padre Leblanc, non cedette. Alla fine dell’anno, le critiche cessarono e vennero ammesse quattro postulanti. All’inizio dell’anno successivo, le “suore azzurre” o “suore blu”, come vennero soprannominate, ricevettero l’incarico di occuparsi dei carcerati, mentre il 1° maggio si stabilirono nell’ex seminario minore.
Madre Émilie era ammirata e rispettata dalle consorelle e dalle allieve. Il suo motto, come era già accaduto per santa Giovanna Antida Thouret, era «Dio solo!». Intraprese la redazione delle Costituzioni, che vennero approvate dall’arcivescovo di Albi alla fine del 1841, anche per garantire alla comunità una formazione migliore. Dietro richiesta delle consorelle, venne nominata superiora a vita, ma non smise di sottoporsi alla regola comune.
All’inizio di giugno 1843, mentre si trovava a Parigi per ottenere dal governo l’approvazione civile per aprire scuole comunali, s’incontrò con padre François-Marie-Paul Libermann, della Congregazione dello Spirito Santo (Venerabile dal 1910), col quale era in relazione epistolare da un anno. L’obiettivo era l’invio di alcune suore in missione oltreoceano, come lei aveva auspicato nelle Costituzioni.
Il 30 aprile 1844, dopo quaranta giorni di penitenza per ottenere i fondi necessari, la comunità s’insediò nel nuovo convento. Quella quaresima particolare era servita a madre Émilie per orientare anzitutto le sue figlie e lei stessa verso la conversione del cuore. Le fondazioni proseguirono nel luglio 1846, con l’apertura di un rifugio per prostitute. A questo riguardo aveva raccomandato: «È molto importante che le Suore non mostrino mai, nei confronti delle penitenti, qualunque torto abbiano da rimproverare loro, né impazienza, né disgusto della loro compagnia, né disprezzo per le loro persone. Le tratteranno sempre, al contrario, con una dolcezza e un affetto tutti santi».
La prima partenza per l’Africa di quattro religiose avvenne il 22 novembre 1847, seguita da quelle del 1849 e del 1850. Padre Libermann consigliò loro di avere tanta pazienza e di non far assumere agli indigeni le abitudini europee, ma di lasciare «gli usi e i costumi che sono loro naturali, perfezionarli animandoli con i principi della fede e delle virtù cristiane, e correggendo ciò che hanno di difettoso»; insomma, quello che oggi chiamiamo inculturazione.
Il 30 dicembre 1852 le Suore dell’Immacolata Concezione divennero un istituto di diritto pontificio. Un anno dopo, senza che nessuno se l’aspettasse, madre Émilie si dimise dall’incarico di superiora generale: per sé non desiderava altro se non la «felicità di obbedire» e che le sue figlie prendessero una via autonoma senza la sua guida, che comunque sarebbe prima o poi venuta meno.
Le sue supposizioni divennero realtà verso la metà del 1854, quando, nel sud della Francia, si diffuse il colera, accompagnato dalla febbre miliare, ossia da febbre contagiosa ed eruzioni cutanee. L’unica ad ammalarsi in Casa madre fu la Fondatrice, che si era offerta a Dio perché l’epidemia cessasse a Castres. Il 27 settembre fu costretta a mettersi a letto e, due giorni dopo, fu trasportata in infermeria. Morì il 2 ottobre 1854, mentre le sue figlie recitavano le preghiere per gli agonizzanti.
Dopo la sua morte, la Congregazione si espanse in Brasile e Argentina, a seguito delle leggi francesi che segnavano la separazione tra Chiesa e Stato. Nel 1998, invece, si è aperta una comunità nelle Filippine. In Italia è stata presente dapprima a Rubiana, poi ad Acqui Terme, dove opera tuttora. La Casa generalizia ha sede a Roma, nella casa per ferie «Il Romitello». Ogni fondazione ha sempre lo scopo di accorrere dove i poveri hanno più bisogno, come la Fondatrice ripeteva spesso.
Visto il perdurare della sua fama di santità, durante il mandato come superiora generale di madre Sylvie Azaïs si cominciò a copiare e classificare i documenti manoscritti, in modo da operare una prima analisi della sua spiritualità. Nel 1945, la nuova superiora madre Marie Agathe Vernadat iniziò lo studio degli scritti. Il 18 agosto 1947, durante il capitolo generale, madre Germaine Sapène riferì la decisione d’istituire il processo di beatificazione.
La fase informativa durò dal 25 agosto 1948 al 6 febbraio 1950, presso la diocesi di Albi, nel cui territorio rientra Castres. Dal momento che la causa era stata avviata 94 anni dopo la morte della candidata agli altari, venne qualificata come causa storica. Il 20 novembre 1948 venne svolta la ricognizione canonica dei resti della Serva di Dio, che vennero nuovamente sepolti il 18 agosto 1949 nel giardino della Casa madre, dove si trovano tuttora, ai piedi di una statua della Madonna che lei invocava come “Notre Dame du Prompt Secours”.
Trentaquattro anni dopo la trasmissione degli atti del processo a Roma, si svolse, il 10 ottobre 1984, la riunione dei periti storici, mentre la “positio super virtutibus” venne trasmessa alla Congregazione vaticana per le Cause dei Santi nel 1986. Quattro anni dopo, il 30 novembre 1990, il processo informativo venne convalidato con apposito decreto.
A seguito della riunione dei periti teologi, il 18 dicembre 1990, e della riunione dei cardinali e vescovi membri della Congregazione, 4 giugno 1991, venne promulgato il decreto che attribuiva a madre Giovanna Emilia il titolo di Venerabile, letto di fronte al Papa il 6 luglio 1991 e reso noto il 9 ottobre del medesimo anno.
Dal 16 maggio al 20 ottobre 2003 si svolse il processo diocesano su un probabile miracolo, ossia la guarigione di Binta Diaby, un’adolescente musulmana che viveva in Guinea e che nel 1994, per aver ingerito della soda caustica, stava rischiando di morire di peritonite. Fu trasportata in una casa delle suore a Barcellona, che iniziarono una novena alla Fondatrice e le diedero in mano una sua immagine con reliquia. Dopo ventitré giorni, la ragazzina si alzò guarita. La convalida dell’inchiesta sul miracolo avvenne il 4 febbraio 2005. L’approvazione definitiva, dopo le riunioni della commissione medica (16 febbraio 2006), dei periti teologi (26 gennaio 2007) e dei cardinali e vescovi membri della Congregazione vaticana per le Cause dei Santi (6 novembre 2007), giunse col decreto del 17 dicembre 2007, che apriva la strada alla beatificazione. La celebrazione si è svolta a Castres il 5 luglio 2009, presieduta dal cardinal Angelo Amato, Prefetto delle Cause dei Santi, in qualità d’inviato del Santo Padre.
Come secondo miracolo per ottenere la canonizzazione è stato preso in esame il caso di Emily Maria de Sousa, nativa di Patrolina, in Brasile. Il 5 maggio 2008, quando aveva appena 9 mesi, infilò un dito in una presa di corrente e ricevette una scossa elettrica. Condotta in ospedale, venne ricoverata in terapia intensiva. Poteva mangiare, ma aveva difficoltà a respirare e un’ipertonia muscolare. Il 14 maggio le venne posto un tubo gastrico e fu trasferita in pediatria. Uscì dall’ospedale il 20 maggio in stato molto grave: non poteva vedere, respirare, parlare, stare in piedi e il collo le ciondolava da una parte all’altra. I genitori della piccola, consigliati dalla loro amica suor Ana Celia de Oliveira, decisero di compiere una novena alla Beata Giovanna Emilia. Verso la sera del 30 maggio 2008 ci fu un cambiamento radicale: la bambina riprese a vedere e tornò alla normalità. Questo evento fu riconosciuto come guarigione inspiegabile con il decreto reso noto il 6 dicembre 2014.
Il 17 maggio 2015, in piazza San Pietro a Roma, papa Francesco ha ufficialmente posto alla venerazione di tutta la Chiesa cattolica madre Giovanna Emilia De Villeneuve e altre tre Beate: suor Maria Alfonsina Danil Ghattas, madre Maria Cristina dell’Immacolata Concezione (Adelaide Brando) e suor Maria di Gesù Crocifisso (Mariam Baouardy).



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02/10/2017 08:05
 
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Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate
(Disc. 12 sul salmo 90: Tu che abiti, 3, 6-8;
Opera omnia, ed. Cisterc. 4 [1966] 458-462)
Ti custodiscano in tutti i tuoi passi
«Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi» (Sal 90, 11). Ringrazino il Signore per la sua misericordia e per i suoi prodigi verso i figli degli uomini. Ringrazino e dicano tra le genti: grandi cose ha fatto il Signore per loro. O Signore, che cos'è l'uomo, per curarti di lui o perché ti dai pensiero per lui? Ti dai pensiero di lui, di lui sei sollecito, di lui hai cura. Infine gli mandi il tuo Unigenito, fai scendere in lui il tuo Spirito, gli prometti anche la visione del tuo volto. E per dimostrare che il cielo non trascura nulla che ci possa giovare, ci metti a fianco quegli spiriti celesti, perché ci proteggano, e ci istruiscano e ci guidino.
«Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi». Queste parole quanta riverenza devono suscitare in te, quanta devozione recarti, quanta fiducia infonderti! Riverenza per la presenza, devozione per la benevolenza, fiducia per la custodia. Sono presenti, dunque, e sono presenti a te, non solo con te, ma anche per te. Sono presenti per proteggerti, sono presenti per giovarti.
Anche se gli angeli sono semplici esecutori di comandi divini, si deve essere grati anche a loro perché ubbidiscono a Dio per il nostro bene.
Siamo dunque devoti, siamo grati a protettori così grandi, riamiamoli, onoriamoli quanto possiamo e quanto dobbiamo.
Tutto l'amore e tutto l'onore vada a Dio, dal quale deriva interamente quanto è degli angeli e quanto è nostro. Da lui viene la capacità di amare e di onorare, da lui ciò che ci rende degni di amore e di onore.
Amiamo affettuosamente gli angeli di Dio, come quelli che saranno un giorno i nostri coeredi, mentre nel frattempo sono nostre guide e tutori, costituiti e preposti a noi dal Padre. Ora, infatti, siamo figli di Dio. Lo siamo, anche se questo attualmente non lo comprendiamo chiaramente, perché siamo ancora bambini sotto amministratori e tutori e, conseguentemente, non differiamo per nulla dai servi. Del resto, anche se siamo ancora bambini e ci resta un cammino tanto lungo e anche tanto pericoloso, che cosa dobbiamo temere sotto protettori così grandi?
Non possono essere sconfitti né sedotti e tanto meno sedurre, essi che ci custodiscono in tutte le nostre vie. Sono fedeli, sono prudenti, sono potenti. Perché trepidare? Soltanto seguiamoli, stiamo loro vicini e restiamo nella protezione del Dio del cielo.
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03/10/2017 08:17
 
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Santi Ambrogio Francesco Ferro e 27 compagni Martiri

3 ottobre


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† Uruaçu, Brasile, 3 ottobre 1645



Don Ambrósio Francisco Ferro, sacerdote della diocesi di Natal in Brasile, cercò rifugio insieme ai fedeli della parrocchia della Madonna della Presentazione, a lui affidata, in seguito al massacro avvenuto, il 16 luglio 1645, nella chiesa della Madonna delle Candele a Cunhaú. Bloccati dalle autorità olandesi, di confessione calvinista, parroco e fedeli furono condotti sulla riva del fiume Uruaçu: vennero a lungo torturati e morirono in seguito alle sevizie. Don Ambrósio rese l’anima a Dio il 3 ottobre 1645. Dei suoi compagni, sono noti i nomi solo di 15, mentre i restanti erano loro parenti. La loro causa fu unita a quella di padre André de Soveral e di Domingos Carvalho, tra gli uccisi del 16 luglio 1645: tutti e 30 sono stati beatificati il 5 marzo 2000 e canonizzati domenica 15 ottobre 2017.

Martirologio Romano: Sulla riva del fiume Uruaçu vicino a Natal in Brasile, beati Ambrogio Francesco Ferro, sacerdote, e compagni, martiri, vittime della repressione perpetrata contro la fede cattolica.








Il contesto storico
L’evangelizzazione nel Rio Grande do Norte, Stato del Nord-Est del Brasile, fu iniziata nel 1597 da missionari Gesuiti e sacerdoti diocesani, provenienti dal cattolico Portogallo, cominciando con la catechesi degli indios e con la formazione delle prime comunità cristiane.
Negli anni seguenti ci furono sbarchi di francesi e olandesi, intenzionati a scalzare dai luoghi colonizzati i portoghesi: gli olandesi ci riuscirono nel 1630. Di confessione calvinista, accompagnati dai loro pastori, determinarono nella zona, fino allora pacifica, una restrizione della libertà di culto: in pratica, i cattolici furono perseguitati.
All’epoca, nel Rio Grande do Norte, c’erano soltanto due parrocchie: a Cunhaú, la parrocchia della Madonna della Purificazione o delle Candele, guidata dal parroco don André de Soveral, già membro della Compagnia di Gesù; a Natal, la parrocchia della Madonna della Presentazione, il cui parroco era don Ambrósio Francisco Ferro.

Il martirio dei cattolici di Natal
Ambedue le parrocchie furono vittime della dura persecuzione religiosa calvinista: i fedeli di Cunhaú furono massacrati il 16 luglio 1645, insieme al loro parroco.
Presi dal terrore di quanto accaduto a Cunhaú, i cattolici di Natal, cercarono di mettersi in salvo rifugiandosi in alcuni improvvisati rifugi. Un gruppo di 80 persone si nascose in una fortezza nel comune di Potengi, ma fu tutto inutile: venne inviato dalle autorità olandesi in un posto stabilito a Uruaçu.
Il 3 ottobre 1645 furono uccisi lì da alcuni soldati e da circa 200 indios comandati dal capo indigeno Antonio Paraopaba, il quale, convertitosi al protestantesimo calvinista, nutriva una vera e propria avversione verso i cattolici.

João Lostau Navarro
Nacque nel Regno di Navarra, all’epoca compreso nel territorio francese. Aveva ottimi contatti coi Gesuiti che operavano nel Rio Grande do Norte: si sa che, in occasione del matrimonio di una sua figlia, stabilì, tra le condizioni della dote, che ogni anno si celebrassero 24 Messe per la sua anima.
Aveva anche buone relazioni con gli olandesi: un’altra sua figlia sposò il tenente colonnello Joris Gartsman, comandante del Forte dei Re Magi.
Era pescatore e il suo porto, probabilmente, era collocato nelle vicinanze della spiaggia di Barra de Tabatinga, a qualche chilometro da Natal. Fu tra i fedeli che vennero condotti a Uruaçu per essere uccisi.

Antônio Vilela Cid
Nativo della Castiglia spagnola, si trovava nel Rio Grande già nel 1613, come proprietario terriero. Dal re Filippo II, che dal 1580 era re di Spagna e Portogallo, ebbe la funzione di capitano, ma non assunse mai di fatto l’incarico. Nel 1620, invece, era giudice ordinario di Várzea do Trairi.
Sposò dona Inês Duarte, sorella di don Ambrósio Francisco Ferro. Prima del martirio fu accolto nel Forte dei Re Magi, poi venne accusato da un capo indigeno, Janduí, di connivenza nell’assassinio di un olandese nel Ceará e di essere coinvolto nella cospirazione contro i colonizzatori.
Furono martirizzati con lui vari membri della sua famiglia: suo figlio Antônio Vilela il Giovane, suo cognato don Ambrosio, suo genero Estêvão Machado de Miranda, sposato con sua figlia Bárbara, e tre nipotine.

Antônio Vilela il Giovane e sua figlia
Figlio di Antônio Vilela Cid, venne condotto dal Forte dei Re Magi a Uruaçu. Non è conosciuto il nome della figlia, ma era una bambina.

Estêvão Machado de Miranda e le sue due figlie
Era sposato con Barbara, figlia di Antônio Vilela Cid. Nel 1643 faceva parte della Camera degli Escabinos, una sorta di municipio presieduto dagli olandesi. Insieme al tenente colonnello Gartsman, andò in missione a Recife, per protestare contro il Supremo Consiglio Olandese riguardo i soprusi di Jacó Rabe (detto anche Jacob Rabbi) e i suoi sodali.
Rifugiatosi a Potengi, passò al Forte dei Re Magi e, da lì, a Uruaçu. Fu ucciso di fronte a una sua figlia, di sette anni, che supplicò invano che il padre venisse risparmiato. Dopo la sua morte, la figlia gli coprì il viso e chiese di essere uccisa anche lei. Probabilmente, invece, sia lei sia sua madre Barbara furono risparmiate. Un’altra figlia più anziana venne venduta come schiava agli indios.
Delle due bambine martirizzate con lui non si sa il nome, ma è accertato che una di esse aveva circa due mesi.

Manuel Rodrigues de Moura e sua moglie
Il nome di lui è noto tramite il racconto dell’uccisione di sua moglie, che viene ricordata solo per l’amore che l’unì a lui in vita e in morte.

José do Porto, Francisco de Bastos e Diogo Pereira
Furono accolti nel Forte dei Re Magi con don Ambrósio Francisco Ferro e Antônio Vilela Cid.

Vicente de Souza Pereira, Francisco Mendes Pereira, João da Silveira e Simão Correia
Insieme a Estêvão Machado de Miranda, furono prelevati dal fortino di Potengi al Forte dei Re Magi e uccisi in un primo gruppo di dodici persone.

João Martins e sette compagni
I cronisti raccontano che, a un certo punto, gli indios domandarono che otto giovani venissero risparmiati. Gli olandesi accettarono, a patto che i giovani combattessero contro il Portogallo. Tutti rifiutarono: prima furono uccisi in sette, poi, al solo João Martins, fu riproposto di passare dalla parte degli olandesi.
La sua replica fu che avrebbe sempre preso le armi contro i tiranni e non contro la propria fede, la Patria e il Re; piuttosto, avrebbero dovuto ucciderlo, in quanto invidiava la morte dei suoi compagni e la gloria cui erano andati incontro.

La figlia di Francisco Dias il Giovane
Di lei si sa solo che era una bambina e che fu squartata con una spada. Il nome di suo padre non è compreso nell’elenco dei martiri in quanto le cronache del tempo non lo menzionano direttamente, ma è molto probabile che sia stato ucciso anche lui.

Antônio Barracho
Gli olandesi lo legarono a un albero, poi gli strapparono la lingua e, al posto di essa, gli misero in bocca i genitali che gli erano stati mozzati in precedenza. Fu quindi frustato, colpito con ferro incandescente e, infine, gli venne strappato il cuore dalla gabbia toracica.

Mateus Moreira
Anche a lui fu strappato il cuore, dalle spalle, mentre ripeteva: «Sia lodato il Santissimo Sacramento».

La glorificazione dei martiri
La causa di don Ambrósio Francisco Ferro e dei suoi 27 compagni è stata unita a quella del parroco di Cunhuaú, don André de Soveral, e del laico Domingos Carvalho, ucciso con lui il 16 luglio 1645. Sono stati tutti beatificati il 5 marzo 2000 e canonizzati domenica 15 ottobre 2017.


Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flocchini

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04/10/2017 09:11
 
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Santa Damaride Moglie di San Dionigi l’Areopagita

4 ottobre


Grecia, I secolo







Tra i pochissimi personaggi che, udito il forbito discorso tenuto da San Paolo all’Areopago di Atene, aderirono alla fede cristiana, l’evangelista Luca nomina negli Atti degli Apostoli “Dionigi l’Aeropagita”, membro cioè di quel tribunale e pertanto appartenente all’aristocrazia ateniese, “ed una donna di nome Damaris”, forse Damalis. San Dionigi è venerato quale primo vescovo di Atene al 3 ottobre. Come già avvenuto ad esempio per Zaccheo e Veronica, personaggi evangelici uniti in matrimonio dalla pietà popolare, Damaride fu considerata sposa del protovescovo ateniese, tradizione riferita anche da San Giovanni Crisostomo ma comunque priva di alcun fondamento storico. Damaride era ateniese di nascita ed anch’essa, come Dionigi, si convertì al cristianesimo in seguito alla predicazione di San Paolo. I menologi greci commemorano Santa Damaride al 4 ottobre, che non va confusa con l’omonimo corpo santo venerato presso Palo del Colle (Ba).


Autore: Fabio Arduino

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05/10/2017 07:10
 
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Santi Firmato e Flavina di Auxerre

5 ottobre










Il Martirologio Geronimiano menziona al 5 ottobre «in Galliis civitate Autisiodere Firmati diaconi et Flavinae virginis Deo sacratae». Il ms. di questo Martirologio, detto Wissemburgense, che fu trascritto al più tardi nel 772, e il Martirologio di Usuardo, precisano che i due santi erano fratello e sorella, e questo è tutto quello che i documenti storici ci riferiscono a loro riguardo.
Ci si può però chiedere se la menzione nello stesso giorno, provenga dalla loro parentela o dal fatto che sono realmente morti lo stesso giorno. L'estrema povertà delle notizie non nuoce, peraltro, alla loro solidità che deriva dall'antichità, dal valore storico del Geronimiano e dall'origine autissiodorense della recensione, da cui derivano tutti i mss. esistenti. Poiché l'archetipo di tali mss. risale alla fine del sec. VI, questa è la data più tardiva che si possa congetturare per la morte dei due santi.
La leggenda del martirio di s. Placido in Sicilia gli associa tra gli altri Flavia et Firmatus, ma si sa che essa è priva di valore storico. Il Martirologio Romano, tributario di questa leggenda, li menziona prima in Sicilia fra i compagni di s. Placido, poi ad Auxerre, sotto la forma Firmatus, Flaviana.
Un testo tardivo, infine, ne fa dei martiri di Eurico, re dei Visigoti (m. 484).


Autore: Paul Viard

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07/10/2017 08:10
 
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Sant' Augusto di S. Sinforiano Abate

7 ottobre


m. 560

Guarito miracolosamente, secondo Gregorio di Tours, grazie all'intercessione di s. Martino, Augusto si diede alla vita monastica, insieme con alcuni compagni. Il vescovo di Bourges, Probiano, lo nominò abate di S. Sinforiano, monastero da lui fondato nei dintorni della città, e Augustoattese al suo compito con rara prudenza e saggezza. Una visione gli fece conoscere il luogo ove era sepolto il corpo di s. Orsino, primo vescovo di Bourges.

Etimologia: Augusto = consacrato agli auguri


Emblema: Bastone pastorale


Martirologio Romano: Presso Bourges in Aquitania, in Francia, sant’Augusto, sacerdote e abate, che aveva le mani e i piedi così contratti da non potersi sostenere se non con le ginocchia e i gomiti; sanato per intercessione di san Martino, radunò intorno a sé dei monaci e attese initerrottamente alla preghiera.







Il Calendario della Chiesa segna per oggi la ricorrenza della Madonna del Rosario: una festa la cui origine risale al Papa San Pio V, che con questa intese festeggiare la vittoria della flotta cristiana contro quella turca, a Lepanto, nel 1571.
Non molti Santi di chiara fama sono nominati oggi dal Martirologio Romano. Abbastanza popolare, un tempo, era la coppia dei Santi Sergio e Bacco, ma le loro figure appartengono quasi totalmente alla leggenda.
Sant'Augusto, ci attira subito per la celebrità del nome, che, prima di diventare proprio di persona, fu aggettivo e attributo dei romani Imperatori, a cominciare dal primo e maggiore, Ottaviano Augusto, successore di Cesare: sovrano giusto e pacifico, sotto il cui scettro nacque, nella lontana Betlemme, Gesù. Ci sono nel Calendario tre o quattro santi di nome Augusto: quello di oggi è il più celebre, anche se la sua devozione è stata piuttosto limitata. Fu francese, e visse a Bourges nel VI secolo: almeno nei suoi tratti fisici non ebbe nulla in comune con l'Imperatore di cui ripeteva il nome - e il cui aspetto ci è noto, con sufficiente esattezza, dalle pagine degli scrittori e soprattutto dalle opere d'arte. San Gregorio di Tours lo dice infatti anchilosato ai piedi e alle mani. Per muoversi, si trascinava faticosamente e penosamente sui gomiti e sulle ginocchia. Ma l'infermità delle membra non lo scoraggiò, né rese anchilosata la sua anima, che restò sana e integra, di cristiano ricco di buona volontà.
Aiutato dalle elemosine dei fedeli, Sant'Augusto si propose di costruire una chiesa dedicata al grande Vescovo francese San Martino. Riuscì infatti a compiere quell'impresa che sembrava tanto superiore alle sue forze. E quando la chiesa fu terminata, a Bourges, egli vi fece portare alcune preziose reliquie del Santo titolare.
Si narra che proprio per la virtù taumaturgica di queste reliquie, lo storpio che non si era arreso davanti alla sua infermità riacquistasse l'uso delle membra. Ma non approfittò per allontanarsi: restò presso la chiesa da lui costruita, in una piccola comunità monastica. Se da infermo aveva superato le menomazioni del suo corpo rattrappito, risanato seppe soggiogare il corpo vigoroso. Rifiutò le gambe a vani movimenti, le mani a indegne occupazioni. Stette fermo e tranquillo, in preghiera e in penitenza.
Il Vescovo della città lo creò Abate del monastero di San Sinforiano, e Sant'Augusto, senza abbandonare i suoi monaci penitenti, governò di lì, saggiamente, tanto l'una quanto l'altra comunità. E in tale incombenza santamente morì, si crede verso il 560, in circostanze che non conosciamo.

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08/10/2017 08:51
 
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Santa Pelagia

8 ottobre




Fu una giovane martire di Antiochia, vittima della persecuzione di Diocleziano. Pelagia, quindicenne, testimoniò in modo insolito la sua fedeltà a Cristo: quando i soldati dell'imperatore si recarono alla sua dimora per portarla davanti al tribunale che l'avrebbe sicuramente condannata perché cristiana, Pelagia domandò loro di permetterle di mutarsi d'abito. Avuto il permesso, salì al piano superiore e ben sapendo a quale trattamento indegno sarebbe stato esposto il suo corpo, si uccise gettandosi dalla finestra.
San Giovanni Crisostomo, involontariamente, ha oscurato la fama di questa Pelagia, raccontando la storia di una ballerina di Antiochia dallo stesso nome, che la gente chiamava Margherita, cioè perla preziosa, per la rara bellezza del suo volto e per i ricchi ornamenti del suo corpo. Bellezza da cui lo stesso vescovo Nonno trasse un insegnamento di tipo spirituale. Le stesse parole del pastore portarono questa Pelagia alla conversione e al battesimo. Si recò poi a piedi a Gerusalemme dove visse in una grotta sul Monte degli Ulivi per il resto dei suoi anni. (Avvenire)

Etimologia: Pelagia = del mare, marino, dal latino


Martirologio Romano: Ad Antiochia in Siria, santa Pelagia, vergine e martire, che san Giovanni Crisostomo esaltò con grandi lodi.



Ascolta da RadioVaticana:
Ascolta da RadioRai:
Ascolta da RadioMaria:




Il Martirologio Romano ricorda quattro sante con questo nome, ma si tratta di un caso, non raro, di sdoppiamento, anzi di doppio sdoppiamento, perché delle due donne con questo nome una sola sarebbe la santa autentica. Sembra che la notorietà di una penitente, della quale parla S. Giovanni Crisostomo in uno dei suoi sermoni, abbia oscurato il nome e la vicenda di una giovane martire di Antiochia di nome Pelagia, vittima della persecuzione di Diocleziano. La fanciulla, quindicenne, testimoniò in modo insolito la sua fedeltà a Cristo: quando i soldati dell'imperatore si recarono alla sua dimora per tradurla davanti al tribunale che l'avrebbe sicuramente condannata perché cristiana, Pelagia domandò loro di permetterle di mutarsi d'abito. Avuto il permesso, salì al piano superiore e ben sapendo a quale trattamento indegno sarebbe stato esposto il suo corpo, per presentarsi incontaminata al cospetto dello sposo divino si gettò dalla finestra, andando a sfracellarsi al suolo.
La donna, di cui parla S. Giovanni Crisostomo, era una ballerina di Antiochia, che la gente chiamava Margherita, cioè perla preziosa, per la rara bellezza del suo volto e per i ricchi ornamenti del suo corpo, così appariscenti da distrarre lo stesso vescovo della città (il non identificato Nonno), mentre si recava in processione al sinodo. Il buon vescovo, dopo un attimo di smarrimento, si ricompose e trovò il modo di trarre un utile insegnamento morale da quella distraente apparizione: se una donna - commentò - si rende così bella per compiacere a un uomo mortale, come dovremmo adornare noi la nostra anima destinata al Dio eterno? Quella donna fu toccata dalla grazia ascoltando occasionalmente le parole del vescovo. Andò poi a prostrarsi ai suoi piedi e ottenne il battesimo. Mutò quindi i preziosi abiti con la tunica del penitente.
Per far perdere le sue tracce, si travestì da uomo e, lasciata nottetempo la città di Antiochia, si recò a piedi fino a Gerusalemme, dove visse i restanti anni della sua vita chiusa in una grotta sul monte degli ulivi, celandosi sotto il nome maschile di Pelagio. Scoperta la sua vera identità dopo la morte, ebbe col nome di Pelagia la devozione di tutti i cristiani.
Quali delle due Pelagie commemora oggi il calendario cristiano? La giovinetta vergine e martire o la penitente? Poiché la Chiesa primitiva riservava un culto speciale alla memoria dei martiri, possiamo ritenere che la santa onorata in questo giorno sia la giovinetta di Antiochia.


Autore: Piero Bargellini

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09/10/2017 09:03
 
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San Guntero Eremita

9 ottobre




Martirologio Romano: A Břevnov in Boemia, deposizione di san Guntero, eremita, che, rigettati i piaceri mondani, si ritirò dapprima nel rifugio della vita monastica e in seguito anche nel profondo isolamento delle foreste tra la Baviera e la Boemia, dove visse e morì tanto unito a Dio quanto lontano dagli uomini.

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10/10/2017 08:58
 
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San Paolino di York

10 ottobre


Roma (?) - Rochester (Inghilterra), 644

Martirologio Romano: A Rochester in Inghilterra, transito di san Paolino, vescovo di York, che, monaco e discepolo del papa san Gregorio Magno, fu da lui mandato insieme ad altri a predicare il Vangelo agli Angli, dopo aver convertito alla fede di Cristo Eduino re di Northumbria, lavò nel fiume il suo popolo con il lavacro della rigenerazione.



Ascolta da RadioVaticana:





Uscito dal monastero, entra nella storia. Così si può dire di Paolino, nato da famiglia romana e poi accolto in un’illustre comunità monastica dell’Urbe: Sant’Andrea al Celio, che è luogo di preghiera e anche rampa di lancio. Da qui, infatti, come da altri monasteri, partono nei primi secoli cristiani gli evangelizzatori dell’Europa. Nel 596, il pontefice Gregorio Magno ha preso di qui il priore Agostino e un gruppo di monaci per mandarli nelle Isole britanniche. Cinque anni dopo, fa partire di qui un rinforzo di altri monaci, tra i quali Paolino.
In Britannia non c’è propriamente da introdurre il cristianesimo, ma da salvarlo. Vi è infatti arrivato alcuni secoli prima, al tempo del dominio romano, dandosi via via una gerarchia propria, una struttura. (Già nel 314, ad esempio, tre vescovi britannici avevano partecipato al concilio di Arles, in Francia). Ma nel V secolo, finito il dominio romano, è sorto quello degli Angli e dei Sassoni, conquistatori e immigrati al tempo stesso. Giunti via via dall’Europa occidentale, hanno occupato una vasta parte dell’isola creandovi sette regni: Northumbria, East Anglia, Mercia, Essex, Sussex, Wessex e Kent. La Britannia è diventata “Anglia”, terra degli Angli. Tutti pagani, dai re ai sudditi, sicché la cristianità dell’isola può essere salvata preservando la fede nei territori rimasti britannici, ma soprattutto cristianizzando Angli e Sassoni nei loro territori. Il gruppo di Paolino raggiunge Agostino, che sta rimettendo in piedi una struttura cristiana,intorno alla sede vescovile di Canterbury nel Kent.
Il 21 luglio del 625 Paolino viene consacrato vescovo, e in qualità di consigliere spirituale deve poi accompagnare la giovane Etelberga, figlia del sovrano del Kent, a York, dove sposerà il re di Northumbria, Edvino. York diventa la base operativa dalla quale Paolino intraprende le sue campagne di predicazione rivolta agli Anglosassoni pagani; e fa coraggio ai nuclei di cristiani sparsi nei territori. Egli sa usare efficacemente il metodo indicato da Gregorio Magno col nome di “discrezione”: non distruggere i templi pagani, non accanirsi contro certe usanze e feste, ma cristianizzare con gradualità edifici e usanze.
Dopo il matrimonio di Etelberga, Paolino rimane al suo fianco, per convertire alla fede cristiana anche il re Edvino. L’impresa è difficile e lunga: infine, dopo due anni di colloqui e di esortazioni, nel 627 il sovrano riceve il battesimo. E con lui si fanno cristiani personaggi di corte e sudditi: un’ondata opportunistica di cristiani improvvisati e provvisori; altra gente da quella che Paolino istruisce pazientemente per gradi, nel lungo esercizio della “discrezione”.
Nominato vescovo di York (con Canterbury, una delle due più importanti sedi vescovili d’Inghilterra), incomincia a costruirne la cattedrale in pietra. Ma non la vedrà finita. Il 12 ottobre 633 il re Edvino e suo figlio Osfrido sono uccisi in battaglia presso Doncaster, dal pagano Penda, re della Mercia, e dal suo alleato cristiano, il re gallese Cadwallon. Paolino riesce a condurre in salvo la regina Etelberga e i personaggi della corte, mentre il crollo del regno coinvolge anche le strutture ecclesiali da poco realizzate. Nominato poi vescovo di Rochester, Paolino vi muore nel 644. Alla sua fama di santità contribuirà molto la Storia ecclesiastica di Beda il Venerabile, dottore della Chiesa, nato in Northumbria 28 anni dopo la sua morte.


Autore: Domenico Agasso

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11/10/2017 08:31
 
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San Sarmatas Martire in Egitto

11 ottobre




Martirologio Romano: Commemorazione di san Sármata, abate nella Tebaide, in Egitto, che, discepolo di sant’Antonio, fu ucciso dai Saraceni.

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13/10/2017 08:48
 
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San Comgano
La tradizione vuole Comgan principe irlandese, uno dei numerosi fiori di santità sbocciati in tale isola ma il cui ricordo affiora appena dalla nebbia della storia. Succedette a suo padre Kelly nel governo della provincia di Leinster, finché non venne attaccato dai principi limitrofi. Sconfitto e ferito in battaglia, non gli restò che fuggire in Scozia, portando in esilio anche sua sorella e suo nipote, il futuro abate San Fillian.
Giunti a Lochalsh, dinnanzi all’isola di Skye, Comgan fece edificare un monastero di cui divenne abate, conducendovi per parecchi anni una vita esemplare per l’austerità e lo spirito di penitenza che la contraddistinse. I sette uomini che lo avevano seguito divennero dunque i primi monaci.
Alla sua porte il nipote seppellì il suo corpo nell’isola di Iona, ove dedicò una chiesa alla sua memoria. Questo non fu che il primo di numerosi altri edifici sacri a lui intitolati in tutta la Scozia, talvolta presentando il suo nome sotto diverse forme: Cowan, Coan e Congan. Anche i nomi delle località di Kilchoan e Kilcongen potrebbero ricollegarsi al culto del santo abate ancora oggi venerato.
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14/10/2017 08:19
 
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Santa Angadrisma Badessa

14 ottobre


† 695 circa

Angadrisma visse nel VII secolo nella diocesi di Thérouanne, nella Francia settentrionale. La sua educazione subì il positivo influsso del vescovo, sant'Omero, e del cugino, san Lamberto di Lione, in quel periodo monaco a Fontanelle. Per seguire la vocazione alla vita religiosa, dovette contrastare l'opposizione del padre, che l'aveva promessa in sposa ad un giovane signore, il futuro vescovo di Rouen, sant'Ansberto. Si ammalò di lebbra e fu libera così di ricevere l'abito religioso. Lo stesso giorno la malattia scomparve miracolosamente. La sua vita monacale fu esemplare. Divenne badessa di un convento nei pressi di Beauvais. Parecchi miracoli furono attribuiti alla sua intercessione quando era ancora in vita, tra i quali l'estinzione di un incendio che minacciava il monastero, contrastandolo con l'esposizione delle reliquie del fondatore, sant'Ebrulfo. Angadrisma morì più che ottantenne nel 695 circa. Invocata subito come santa, fu annoverata tra i patroni di Beauvais e invocata contro gli incendi, la siccità e le calamità. (Avvenire)

Martirologio Romano: Presso Beauvais in Neustria, ora in Francia, santa Angadrisma, badessa del monastero fondato da sant’Ebrolfo e chiamato l’Oratorio, perché aveva più luoghi di preghiera, in cui ella senza sosta serviva il Signore.







Santa Angadrisma visse nel VII secolo nella diocesi di Thérouanne, nella Francia settentrionale. La sua educazione subì il positivo influsso del vescovo Sant’Omero e del cugino San Lamberto di Lione, in quel periodo monaco a Fontanelle. Da essi sostenuta nella vocazione alla vita religiosa, dovette però contrastare l’opposizione di suo padre, che l’aveva promessa in sposa ad un giovane signore, il futuro vescovo di Rouen Sant’Ansberto.
Onde evitare le indesiderate nozze, Angadrisma pregò di poter divenire fisicamente meno attraente, ma la sua preghiera ebbe efetti persino esagerati e si ammalò di lebbra. Ciò le permise almeno di essere libera di ricevere l’abito religioso per mano di Sant’Audoeno. Ma da quel giorno la malattia scomparve miracolosamente di colpo.
La sua vita monacale fu a dir poco esemplare ed in seguito divenne badessa di un convento nei pressi di Beauvais. Parecchi miracoli furono attribuiti alla sua intercessione quando era ancora in vita, tra i quali l’estinzione di un incendio che minacciava il monastero contrastandolo cn l’esposizione delle reliquie del fondatore, Sant’Ebrulfo.
Angadrisma morì più che ottantenne nel 695 circa. Invocata subito come santa, fu annoverata tra i patroni di Beauvais ed invocata contro gli incendi, la siccità e le pubbliche calamità. Ripetutamente traslate a causa della distruzione del convento e poi della Rivoluzione Francese, le sue reliquie riposano oggi nella cattedrale.


Autore: Fabio Arduino

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15/10/2017 08:53
 
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Santa Maddalena da Nagasaki Martire

15 ottobre


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Nishizaka, Giappone, 1611 – Nagasaki, Giappone, 15 ottobre 1634

Nacque nel 1611 nei pressi di Nagasaki. Figlia di nobili cristiani martirizzati per la fede, descritta come gracile, delicata e bella si consacrò a Dio, guidata spiritualmente dai beati Francesco di Gesù e Vincenzo di sant'Antonio agostiniani recolletti, che l'ammisero come terziaria. Nel frattempo la persecuzione contro i cristiani si faceva sempre più pressante a tal punto che nel 1629 fu costretta a nasconderti sulle montagne, aiutando i cristiani perseguitati dove visitava i malati, battezzava i bambini, confortava le persone maltrattate. Nel settembre del 1634 si presentò ai giudici proclamandosi cristiana. Neppure le promesse di un vantaggioso matrimonio e le torture piegarono la sua fede. Venne così condannata al tormento della fossa dove sopravvisse per 13 giorni. Il suo martirio destò molta impressione. Beatificata nel 1981 a Manila, fu canonizzata da Giovanni Paolo II il 18 ottobre 1987 a Roma. (Avvenire)

Emblema: Palma


Martirologio Romano: A Nagasaki in Giappone, santa Maddalena, vergine e martire, forte d’animo tanto nel promuovere la fede quanto nel sopportare per tredici giorni il supplizio della forca sotto l’imperatore Yemitsu.







Maddalena nacque nel 1611 a Nishizaka, nei pressi di Nagasaki in Giappone, figlia di nobili e ferventi cristiani. Narrano gli antichi manoscritti che fosse una giovane gracile, delicata e bella. I suoi genitori e fratelli furono condannati a morte per la loro fede cattolica e martirizzati quando essa era ancora giovanissima.
Nel 1624 conobbe due agostiniani recolletti, Francesco di Gesù e Vincenzo di Sant’Antonio, poi anch’essi martiri e beati. Attratta dalla profonda spiritualità dei due missionari, Maddalena si consacrò a Dio come terziaria agostiniana recolletta. Da allora il suo abito fu quello religioso, le sue uniche occupazioni la preghiera, la lettura di libri santi e l’apostolato. Divenne in seguito terziaria domenicana. I tempi erano assai difficili e la persecuzione che infuriava contro i cristiani era divenuta sempre più sistematica e crudele. Maddalena infondeva coraggio ai cristiani, insegnava il catechismo ai fanciulli, domandava l’elemosina ai commercianti portoghesi per i poveri.
Nel 1629 cercò rifugio tra le montagne di Nagasaki, condividendo le sofferenze e le angosce dei suoi concittadini perseguitati, incoraggiandoli a mantenersi forti nella fede, riportando sulla retta via quanti, vinti dalle torture, avevano rinnegato Cristo, visitando i malati, battezzando i bambini, portando a tutti parole e gesti di conforto.
Di fronte alle apostasie di parecchi cristiani terrorizzati dalle torture alle quali erano sottoposti e desiderosa di unirsi eternamente a Cristo, Maddalena pensò di sfidare i tiranni. Vestita con l’abito di terziaria, nel settembre 1634 si presentò ai giudici, portando con se solamente un piccolo fagotto pieno di libri santi per poter pregare e meditare in carcere. Neppure le promesse di un vantaggioso matrimonio e le torture subite riuscirono a piegare la sua ferma volontà.
Ai primi di ottobre fu allora sottoposta al tormento della forca e della fossa: sospesa per i piedi, con la testa ed il petto sommersi in una fossa sottostante, coperta con tavole per renderle più difficile la respirazione. La coraggiosa giovane resistette al tormento per tredici giorni, invocando durante il supplizio i nomi di Gesù e Maria e cantando inni al Signore. L’ultima notte un acquazzone inondò la fossa e Maddalena morì affogata. Era il 15 ottobre 1634. I tiranni bruciarono il suo corpo e sparsero le ceneri nel mare, onde evitare una venerazione delle sue reliquie da parte dei cristiani.
Per procedere alla sua elevazione agli onori degli altari Maddalena fu aggregata ad un gruppo complessivo di sedici martiri domenicani di varie nazionalità, tutti uccisi in terra giapponese, capeggiati da Lorenzo Ruiz, primo santo di origini filippine. Il gruppo fu beatificato da papa Giovanni Paolo II il 18 febbraio 1981 a Manila nelle Filippine e canonizzato a Roma dal medesimo pontefice il 18 ottobre 1987.
Mentre la commemorazione della singola Santa Maddalena da Nagasaki ricorre nel Martyrologium Romanum in data odierna nell’anniversario del suo martirio, la festa collettiva di questo gruppo di martiri è fissata dal calendario liturgico al 28 settembre.


Autore: Fabio Arduino

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16/10/2017 08:49
 
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San Gerardo Maiella Religioso redentorista

16 ottobre


Muro Lucano, Potenza, 1726 - Conv. di Materdomini presso Caposele, Avellino, 16 ottobre 1755



Nato presso Potenza nel 1726, morì nel 1755. Di famiglia povera, tentò invano di diventare Cappuccino, come uno zio materno. Fece il noviziato nei Redentoristi sotto la guida di Paolo Cafaro ed emise i voti come fratello coadiutore, svolgendo poi nel convento le mansioni più umili. Incaricato di organizzare pubbliche collette, ne approfittava per fare opera di conversione, per mettere pace e per richiamare al fervore religioso altri monasteri. Calunniato da una donna e, per la sua anima semplice incapace di difendersi, soffrì molto. Trasferito nella vallata del Sele, svolse in paesini isolati una grande opera di apostolato, comunicando a coloro che l'avvicinavano la sua ricchezza spirituale. Fin da giovanissimo, si erano rivelati in lui slanci mistici che lo portavano all'unione con Dio e, come ogni contemplativo, amava la natura e il bello.

Patronato: Cognati


Etimologia: Gerardo = valoroso con la lancia, dal tedesco


Martirologio Romano: A Materdomini in Campania, san Gerardo Majella, religioso della Congregazione del Santissimo Redentore, che, rapito da un intenso amore per Dio, abbracciò ovunque si trovasse un austero tenore di vita e, consumato dal suo fervore per Dio e per le anime, si addormentò piamente ancora in giovane età.








Il cognome Maiella o Majella è un'abbreviazione della forma originaria Machiella o Macchiella, secondo la grafia desunta dagli Atti parrocchiali di Baragiano (Potenza) donde proveniva la famiglia.
Umanamente parlando non è un granché: di costituzione gracile, di salute cagionevole, di istruzione scarsa. Anche perché ha dovuto iniziare a lavorare presto per mantenere la famiglia, visto che papà muore quando lui è ancora un bambino, senza aver avuto il tempo di insegnargli il suo mestiere di sarto. Finisce così, come apprendista, in casa di un sarto esperto, dove colleziona ingiurie e percosse, ma il ragazzino non si scompone più di tanto, perché sta imparando ad accettare tutto per “amor di Dio”. Quando potrebbe mettersi in proprio, decide invece di andare a fare il domestico nella casa del vescovo di Lacedonia: non è un posto molto ambito, perché il vescovo è prepotente, esigente e autoritario.
Quelli che l’hanno preceduto hanno resistito in quell’incarico al massimo tre settimane, lui vi resta per tre anni, cioè fino alla morte del vescovo, ed è forse l’unico a piangerlo sinceramente, perché è riuscito a scoprire i buoni sentimenti del padrone anche sotto la scorza di uomo burbero e insopportabile.
Tornato al paese, Muro Lucano, apre bottega, ma neanche come sarto è un granché: prega più volentieri di quanto non sappia tagliare e cucire, è sempre incollato al tabernacolo o assorto in meditazione, più alla ricerca della volontà di Dio che attento alle esigenze dei clienti. La sua diventa la bottega del “sarto fai da te”, che non riesce a mettere un soldo da parte perché, quando si fa pagare, dopo aver comprato quello che serve alla mamma e alle sorelle, il suo denaro va a finire nelle tasche dei poveri o nella celebrazione di messe per i defunti.
Pensa seriamente di farsi religioso, ma la cosa è più facile a dirsi che a farsi: i Cappuccini gli dicono subito di no e anche con i Redentoristi le cose non vanno meglio: venuti in paese a predicare una missione, sono subito assediati e perseguitati da quel giovane che vuole diventare come loro e che essi non vogliono, perché oltre alla gracilità, che si vede ad occhio nudo, tutti lo descrivono come un po’ eccentrico, senza arte né parte, un buono a nulla, insomma. E così consigliano alla mamma di chiuderlo in camera, perché al momento della partenza non corra loro dietro. Il consiglio viene eseguito alla lettera, ma al mattino la mamma, nella stanza da letto, trova soltanto un foglio con poche, semplici parole: “Vado a farmi santo”. Annodando le lenzuola, infatti, il ragazzo è riuscito a calarsi dalla finestra: un’evasione in piena regola, un caso degno di “Chi l’ha visto”, se non fosse che di questa fuga si conoscono il motivo e la destinazione: raggiunti i missionari dopo dodici miglia, è riuscito, vista l’insistenza, a farsi accettare.
Lo mandano come “Fratello inutile” in vari conventi redentoristi, dove fa di tutto: il giardiniere, il sacrestano, il portinaio, il cuoco, l’addetto alla pulizia della stalla e in tutte queste umili semplicissime mansioni l’ex ragazzo “inutile” si esercita a cercare la volontà di Dio.
Ubbidientissimo, mortificato, devoto, semina amore e concordia mentre fa la questua. Ai poveri distribuisce tutto, anche i suoi pochi effetti personali. Nei semplici gesti che compie c’è del prodigioso e la gente grida al miracolo, che fiorisce al suo passaggio. Un giorno viene accusato di una relazione per lo meno sospetta con una ragazza: non si discolpa e non si giustifica, preferendo che la verità venga a galla da sola e cercando anche in questa prova dolorosa di fare la volontà di Dio. Sarà infatti discolpato proprio da chi l’aveva calunniato, mentre tutti ammirano il suo eroismo, la sua pazienza e la sua sopportazione. Un bel giorno è colpito dalla tubercolosi e deve mettersi a letto; sulla porta della sua cella ha fatto scrivere; “Qui si fa la volontà di Dio, come vuole Dio e fino a quando vuole Dio”.
Muore nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 1755: ha soltanto 29 anni, dei quali appena tre passati in convento durante i quali ha fatto passi da gigante verso la santità.
Beatificato da Leone XIII nel 1893, Gerardo Majella è stato proclamato santo da Pio X nel 1904. da allora è uno dei santi più venerati del nostro Meridione, si continua a ricorrere alla sua intercessione e, in particolare, è conosciuto come il “santo dei parti felici” per la particolare protezione che molte mamme hanno sperimentato durante la gravidanza e al momento del parto.

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17/10/2017 08:44
 
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Santi Catervio, Severina e Basso Martiri

17 ottobre


m. Tortona (AL), 68 circa

Patronato: Tolentino








La recente promulgazione da parte della Conferenza Episcopale Italiana del nuovo Rito del Matrimonio contenente, fra i vari formulari proposti, anche le nuove “Litanie dei santi sposi”, ha suscitato in diversi ambiti ecclesiali una riscoperta ed un notevole interesse per quelle coppie di sposi che si sono distinte per la loro particolare santità.
Non presente in tale incompleto elenco titanico, ma comunque supportata da un antichissimo culto, è una famiglia romana composta dai coniugi Flavio Giulio Catervio e Settimia Severina e dal loro figlio Basso. Per riscoprire le poche certezze storiche su questi santi occorre fare un breve viaggio a Tolentino, città a cui è tradizionalmente legato il loro culto.
Qui un’antica chiesa è dedicata proprio a San Catervo, il più celebre dei tre familiari, e la vita di tale edificio sacro presenta tre fasi salienti. La prima, iniziatasi in data anteriore all’anno 1000, arriva sino al 1256, quando i monaci benedettini chiesero all’allora papa Alessandro IV l’autorizzazione per restaurare la chiesa. La seconda fase iniziò dunque dopo tale anno, ma purtroppo non si sono conservati particolari reperti archeologici per poter fare un raffronto con il primitivo edifico. La nuova chiesa sorse con asse orientato in direzione est-ovest, con tre navate in stile romanico ogivale, pilastri cruciformi e presbiterio sito nell’area dell’attuale facciata. Tale costruzione, di cui sussiste una parte nella Cappella di San Catervo, allora cappella della Santissima Trinità, resto pressoché immutata fino al 1820, qualora si pensò di dare un nuovo assetto all’ormai fatiscente edificio. Furono incaricati di tale perazione prima il pittore tolentinate Giuseppe Lucatelli ed in un secondo momento l’architetto maceratese Conte Spada. Questi nel voler dare alla chiesa un nuovo assetto architettonico di tipo neoclassico, decise di cambiarne l’orientamento invertendolo, ponendo il nuovo ingresso ove prima era il presbiterio della chiesa monastica del 1256, di cui resta un grandioso portale sul lato sinistro della chiesa. Il nuovo edificio a tre navate, inglobante tutte le strutture della precedente costruzione, fu realizzato a croce latina.
In fondo alla navata sinistra si realizzò così la Cappella di San Catervo, volta a custodire il grandioso sarcofago, uno tra i più importanti delle marche, ricavato da un unico blocco di marmoe comprendente i busti dei due coniugi. Dall’iscrizione inclusa nella tabula del sarcofago si apprende che Flavio Giulio Catervio appartenne ad una nobile famiglia senatoria, che fu prefetto del pretorio e morì all’età di soli 56 anni. In tale epigrafe si ricorda inoltre, con un formulario intessuto di forme poetiche, impregnate di una fede lucente nella resurrezione, il sacramento matrimoniale: “Il Signore Onnípotente, che con meriti uguali vi unì nel dolce vincolo del matrimonio, custodisce per sempre il vostro sepolcro. O Catervio, Severina è felice per essersi unita a te: possiate insieme risorgere, con la grazia di Cristo, o voi beati, che il sacerdote del Signore, Probiano lavò con l'acqua battesimale e unse con il sacro crisma”.
Tale monumento fu fatto costruire dalla moglie per entrambi. Il sarcofago fu oggetto di ispezione nel 1455 ed in tale occasione ne fu estratto il capo di San Catervo, che venne posto in un reliquiario alla venerazione dei fedeli. Di una successiva apertura nel 1567 esiste una testimonianza documentata e particolareggiata. Furono così rinvenuti i corpi di San Catervo e di suo figlio Basso. La cappella del sarcofago è comunque uno dei pochi residui dell’antico complesso monastico benedettino.
La tradizione vuole che Catervio sia stato il primo evangelizzatore della città di Tolentino e proprio ciò abbia comportato il martirio per lui e la sua famiglia., ma come per tutti i martiri loro contemporanei non è purtroppo possibile reperire ulteriori informazioni e dettagli circa il loro operato, quanto piuttosto sul culto loro tributato.
La figura di San Catervo si è dunque strettamente legata alla città di Tolentino di cui è patrono, sebbene questa sia più conosciuta per il celebre San Nicola. Sebbene un tempo si sia addirittura dubitato sulla reale esistenza storica dei tre santi, la recente ricognizione dei resti sembra invece confermare l’antica tradizione tramandataci dalla Chiesa e dall’affetto popolare.
Nonostante la maggior rilevanza dei festeggiamenti per San Nicola da Tolentino, come dice il detto “se fa tutto per Nicò e niente per Catè”, San Catervo e la sua famiglia conservano comunque un posto speciale nel cuore di tutti i tolentinati.
Un’improbabile leggenda piemontese attribuisce a questa santa famiglia anche l’evangelizzazione della città di Tortona, di cui sarebbero stati i protomartiri, verso l’anno 68, quando appena giungevano sulle Alpi Cozie altri evangelizzatori quali Priscilla, Elia, Mileto, Marco e Quinto Metello, tutti sfuggiti alla persecuzione neroniana di quattro anni prima.Il Massa, celebre agiografo della santità pedemontana, ricorda Catervio come un uomo ormai centenario. L’intera famiglia si prodigò con nell’evangelizzazione di Tortona, divenendo preziosi collaboratori del primo vescovo San Marciano o Marziano. Precedendolo nel versare il loro sangue per Cristo, divennero così i primi martiri della città e dell’intero Piemonte geograficamente inteso. Questa versione è stata forse ideata per giustificare la presenza nella città piemontese di alcune reliquie dei santi in questione.






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18/10/2017 07:58
 
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San Giusto Martire

18 ottobre










Il compendio del Martirologio Geronimiano detto di Gellonne e un altro compendio dello stesso Martirologio, della fine dell'VIII sec. menzionano, al 18 ottobre, Iusti martyris. Il Martirologio di Usuardo e il Martirologio Romano portano, al 18 ottobre, "in territorio Belvacensi, sancti Iusti martyris"; a Senlis (Oise) lo invocano le litanie di un Sacramentario del IX secolo. Nell'866, l'abbazia di Saint-Ríquier ricevette "de corpusculo sancti Iusti os quoddain".
Il Martirologio auxerrese dell'XI secolo, che però tramanda tradizioni anteriori, riferisce che la testa di Giusto (rivendicato come figlio di Auxerre) venne riportata nella chiesa di St.-Amátre e quivi deposta. Il martire ha dato il suo nome al borgo di Saint-just-en-Chaussée (Oise, importante nodo stradale).
Il culto di Giusto si è sviluppato anche in paesi píú lontani; l'abbazia di Malmédy (Belgio) affermava che agli inizi del X secolo i suoi monaci avevano acquistato, a buon prezzo, il corpo del martire. In Inghilterra: gli Annales monasterii de Wintonia riferiscono che nel 924 il re Athelstano donò al tesoro di Winchester la testa del martire. Siccome, però, la tradizione di Auxerre appare anteriore, si può arguire che "o non si trattava della vera testa oppure che si trattava di un semplice frammento di essa". Nella prima metà dell'XI secolo anche la diocesi di Coira (Svizzera) ricevette reliquie del giovane martire.
Esistono diverse redazioni della sua passio; il piú antico manoscritto oggi conosciuto risale al VIII secolo, e ciò farebbe supporre l'esistenza di un testo anteriore, del VII secolo. A quell'epoca le tradizioni relative alla tomba di Giusto avrebbero preso forma di Atti, quali appaiono nella passio, e che rassomigliano molto a quelli di s. Giustino di Parigi (l° agosto), cosa che ha provocato confusione nei Breviari.
Ecco l'essenziale della passio: Giusto, ancora fanciullo, fuggì da Amiens per sottrarsi al prefetto Riziovaro, persecutore dei cristiani (fine del III sec.), personaggio immaginario che si ritrova in molte passiones. Raggiunto dai soldati fu decapitato in un luogo detto Sinomovicus nel territorio di Beauvais, compiendo il prodigio della cefaloforia.
Sinomovicus sembra fosse situato all'incrocio di due importanti strade, Vermand-Beauvais e Amiens-Senlis; in seguito questo luogo avrebbe preso il nome di Saint-just-en-Chaussée.


Autore: Paul Viard

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19/10/2017 08:49
 
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San Giovanni de la Lande Martire

19 ottobre


>>> Visualizza la Scheda del Gruppo cui appartiene

† Ossenon, U.S.A., 19 ottobre 1646







Jean de la Lande nacque a Dieppe nella regione della Normandia in Francia. Entrò tra i coadiutori della Società di Gesù, laici che si ponevano gratuitamente al servizio dei Gesuiti in cambio del loro sostentamento. Fu inviato missionario nella cosiddetta “Nouvelle-France”, nel Nord-America, per evangelizzare le popolazioni indigene, ben conscio che il desiderio di servire Dio lo portasse in un paese in cui era ben sicuro di doversi aspettare la morte.
Il 24 Settembre 1646 lasciò Trois-Rivieres con il Padre Isaac Jogues ed alcuni indiani diretti in Uronia in missione di pace. Ad Ossenon, odierna Auriesville nello stato di New York,vennero però ricevuti con diffidenza dagli Irochesi, che reputavano la religione dei “Manti Neri” quale responsabile delle malattie che avevano decimato il loro villaggio. Padre Jogues venne ucciso con un colpo alla nuca e decapitato il 18 Ottobre 1646 e Giovanni de la Lande subì la stessa sorte il giorno seguente.
Furoni in tutto otto i martiri gesuiti che effusero con il loro sangue la terra nordamericana, beatificati nel 1925 e canonizzati nel 1930 da Papa Pio XI. Mentre la commemorazione del singolo San Giovanni de la Lande ricorre in data odierna nell’anniversario del suo martirio, la festa collettiva di questo gruppo di martiri è fissata dal calendario liturgico al 19 ottobre.

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20/10/2017 07:58
 
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San Cornelio il centurione

20 ottobre


Cesarea di Palestina, I secolo

Era un centurione romano noto come uomo pio e timorato, che pregava ed era generoso nelle elemosine. La sua residenza era a Cesarea di Palestina, sede del governatore romano e apparteneva alla coorte detta «Italica». Gli Atti degli Apostoli narrano che mentre un giorno verso le tre del pomeriggio, pregava Dio desideroso di conoscerne la volontà, ebbe la visione di un angelo che gli disse di mandare degli uomini a Giaffa (Ioppe) per invitare nella sua casa un uomo di nome Simone detto anche Pietro, il quale l'avrebbe istruito su quanto chiedeva. Cornelio inviò allora due servitori ed un soldato alla sua ricerca. Pietro l'Apostolo, che era in visita alle Chiese della Giudea, aveva nel frattempo avuto una visione simbolica che gli chiariva la volontà di Dio sull'ammissione dei Gentili nella Chiesa. Pertanto incontrati i messi di Cornelio, accettò l'invito e venne a Cesarea nella sua casa. Entrato, si mise a predicare il Vangelo e mentre parlava lo Spirito Santo scese su tutti i presenti, manifestandosi con il dono delle lingue. Da qui ebbe inizio l'evangelizzazione dei «gentili». (Avvenire)

Martirologio Romano: Commemorazione di san Cornelio centurione, che fu battezzato da san Pietro Apostolo a Cesarea in Palestina, primizia della Chiesa dei gentili.







Di Cornelio si parla negli ‘Atti degli Apostoli’ cap. 10, egli era un centurione romano noto come uomo pio e timorato, che pregava ed era largo di elemosine.
La sua residenza era a Cesarea di Palestina, sede del governatore romano e apparteneva alla coorte detta ‘Italica’; è probabile che sapesse del cristianesimo e che il suo cuore fosse turbato e alla ricerca di Dio, non accontentandosi più degli dei pagani.
E mentre un giorno verso le tre del pomeriggio, pregava Dio desideroso di conoscerne la volontà, ebbe la visione di un angelo che chiamandolo per nome, gli disse che le sue preghiere e le sue elemosine erano gradite a Dio, e poi gli disse di mandare degli uomini a Giaffa (Ioppe) ad invitare nella sua casa, un uomo di nome Simone detto anche Pietro, che era ospite di un certo Simone conciatore, nella sua casa in riva al mare, il quale l’avrebbe istruito su quanto chiedeva.
Cornelio inviò allora due servitori ed un soldato alla sua ricerca; Pietro l’Apostolo, che era in visita alle Chiese della Giudea, aveva nel frattempo avuta una visione simbolica che gli chiariva la volontà di Dio sull’ammissione dei Gentili nella Chiesa.
Pertanto incontrati i messi di Cornelio, accettò l’invito e venne a Cesarea nella sua casa. Cornelio attorniato dai familiari, quando lo vide, lo accolse con gli onori dovuti ad un inviato di Dio, prostrandovisi davanti, ma Pietro lo esortò ad alzarsi dicendo: “Alzati anche io sono un uomo!”, quindi entrato prese a predicare di Gesù il Risorto “per il quale ottengono la remissione dei peccati, tutti coloro che credono in Lui”.
E mentre proseguiva nel suo parlare apostolico, ecco lo Spirito Santo scendere su tutti i presenti, manifestandosi con il dono delle lingue; dietro il verificarsi di questa nuova Pentecoste, Pietro comprende chiaramente la volontà di Dio, quindi li battezza aggregandoli alla Chiesa, senza la prescritta circoncisione della legge mosaica, per cui anche i pagani potevano così essere ammessi nella nuova religione, che inizialmente sembrava riservata solo agli ebrei circoncisi.
Da qui parte l’inizio ufficiale dell’evangelizzazione dei Gentili e della loro ammissione “non come ospiti e forestieri, ma come cittadini e membri della famiglia di Dio”. A questo punto finisce la narrazione apostolica che riguarda Cornelio il centurione, tutto quanto poi si sa sul suo futuro, non ha carattere di certezza, anzi è argomento di diverse interpretazioni fra la Chiesa latina e la Chiesa Greca, che nei suoi ‘Menologi’ lo classifica a volte come vescovo a volte come martire.
Egli certamente soffrì per la fede in Skepsi in Misia, dove i greci lo pongono se non come vescovo, come ‘prefetto’ ecclesiastico di quella città, con la sua predicazione ‘testimoniò’ unitamente ai patimenti, quel Gesù che così prodigiosamente gli si era rivelato.
Le sue sofferenze inflitte da Demetrio prefetto della città, ebbero fine quando questi, veduti i miracoli operati dal centurione, anche in favore di sua moglie e del figlio, si convertì al cristianesimo e non solo lo liberò dal carcere, ma lo ricoprì di onori.
Quindi Cornelio fu si incarcerato, ma poi morì in pace; tutti i menologi greci portano la sua ricorrenza al 13 settembre. La sua casa, tramutata in chiesa, fu visitata dalla matrona romana santa Paola, alla fine del IV secolo, nel suo pellegrinaggio in Terra Santa, descritto da s. Girolamo.
Inoltre la Chiesa Greca lo ricorda insieme con i santi martiri Demetrio, la moglie Evanzia e il figlio Demetriano, convertiti da Cornelio; la Chiesa Latina lo ricordava da solo il 12 febbraio, i vari ‘Martirologi’ occidentali lo qualificavano come vescovo di Cesarea di Palestina, ma il silenzio su ciò di autorevoli storici ecclesiastici dell’antichità, come Eusebio di Cesarea e Origine, tanto legati a Cesarea, non fa confermare questo episcopato.
La recente edizione del ‘Martyrologium Romanum’ porta s. Cornelio il centurione al 20 ottobre.

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21/10/2017 08:52
 
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Sant' Odilia Martire

21 ottobre




Principessa. Amica di Sant'Orsola, ha viaggiato e fu martirizzata con lei.

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POTRESTE AVERE DIECIMILA MAESTRI IN CRISTO, MA NON CERTO MOLTI PADRI, PERCHE' SONO IO CHE VI HO GENERATO IN CRISTO GESU', MEDIANTE IL VANGELO. (1Cor. 4,15 .
 
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