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CREDENTI DA IMITARE (Eb.13,7)

Ultimo Aggiornamento: 18/05/2019 13:12
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15/07/2017 08:06
 
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Sant' Abudemio Martire

15 luglio




Etimologia: Nome di etimologia incerta e di provenienza orientale


Martirologio Romano: Nell’isola di Ténedo nel mare Egeo davanti alle coste dell’Ellesponto, sant’Abudemio, martire.








Il suo martirio avvenne nell'isola di Tenedo sotto Diocleziano o sotto Giuliano. Il motivo del martirio fu che il santo non volle mangiare carni immolate agli idoli. Più tardi sorsero numerose e varie leggende intorno a questo martire, che è ricordato dal Martirologio Romano il 15 lugli

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16/07/2017 09:09
 
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San Giustiniano Venerato a Limoges

16 luglio










Solo un'appendice al Codex Hagiographicus latinus N. 2540 conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi ci informa, in maniera evidentemente leggendaria, su questo santo fanciullo. I suoi genitori, Aniano e Giusta, erano pagani e non avevano figli. Marziale, vescovo di Limoges, li converti, li battezzò e promise loro un discendente. La promessa si realizzò ed essi si recarono a portarne la notizia al vescovo. Per la strada di Angouleme, sulla Charente, il bambino venne al mondo, fu portato da Marziale e da lui battezzato; morí durante il viaggio di ritorno, nel luogo stesso della sua nascita, all'età di quattro giorni.
I miracoli che si dissero ottenuti invocando la sua intercessione, gli valsero la venerazione pubblica; è invocato a Limoges dove la sua festa si celebra il 16 luglio.


Autore: Clémence Dupont

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17/07/2017 10:43
 
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San Nicola II Romanov Zar di Tutte le Russie

17 luglio (Chiese Orientali)


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Carskoe Selo, Russia, 18 maggio 1868 (6 maggio del calendario giuliano) – Ekaterinburg, Russia, 17 luglio 1918








Una croce ortodossa bianca s’innalza oggi sul luogo del martirio degli ultimi Zar di Russia. Nel 1977 Boris Eltsin, allora primo segretario del Partito comunista a Sverdlovsk, ricevette da Mosca l’ordine di distruggere la casa Ipat’ev, luogo di prigionia e del massacro di Nicola II e della sua famiglia, casa che era diventata oggetto di troppa curiosità per molti e con «intenzioni sospette». Macchinari cantieristici lavorarono per una notte intera finché l’edificio venne completamente raso al suolo. Per una strana coincidenza sarà ancora Eltsin, già presidente della Russia, a dare solenne sepoltura ai resti dei Romanov nel 1998 a San Pietroburgo.
Di temperamento malleabile e velleitario, Nicola II (1868-1918) non era nato per il magistrale ruolo storico che il destino gli aveva imposto. Dotato di intelligenza vivace, di buona cultura, di costanza e metodo nel lavoro, oltre che di un grande fascino personale, Nicola II non ereditò dal padre la fermezza di carattere e la capacità sicura e determinata di decidere sugli accadimenti, qualità essenziali per un monarca autocratico. Oltre ad avere un alto grado di influenzabilità (il più delle volte, prima di prendere una decisione, subiva l’ascendente di colui che aveva l’opportunità di parlargli per ultimo), cedeva con grande facilità alle pressioni esterne e in particolare alla moglie di cui era teneramente innamorato.
Fu saldamente ancorato ai suoi principi semplici e forti, ereditati dal padre: lo zar è inviolabile e l’esercito russo invincibile; la religione ortodossa è la sola colla in grado di saldare il popolo al trono. L’unica minaccia, secondo lo zar Nicola, era l’intellighentia: un gruppo di uomini, sviati da cattive letture.
Il fatto di avere, al suo fianco, una straniera, tedesca per sangue e inglese per educazione, non gli giovò di certo, benché Alice d’Assia (1872-1918), divenuta con il matrimonio Alessandra Fëdorovna, abbia immediatamente amato la terra russa e soprattutto la sua religione, fino ad esserne rapita e affascinata, tanto da renderla fanatica dei suoi riti e delle sue impalcature.
La Zarina si circondava di antiche icone che, a suo dire, erano dotate di virtù straordinarie. Accoglieva con estrema disinvoltura monaci sospetti, pope sconociuti, pellegrini pseudo-illuminati e ascoltava tutti con imprudente infantilismo. Fra questi inquietanti personaggi si evidenzia l’infausto Rasputin («debosciato», etichetta data al padre perché grande bevitore di vodka), soprannome di Gregorio Efimovič Novychy (1870-1916). Personalità demoniaca, capace di forza ipnotica, fine psicologo, eroe di orge mistiche, Rasputin utilizzò la sua intelligenza per infiltrarsi alla corte degli Zar e impossessarsi della mente e dello spirito di Alessandra, la quale, sperando nella sua azione di guaritore, si affidò a lui per cercare la salvezza dello zarevič Alessio, unico figlio maschio, malato di emofilia e condannato ad una morte sicura.
Tutto ciò che Alessandra dice e scrive al consorte le è suggerito da Rasputin, convinto, comunque a ragione, che la fame porterà alla rivoluzione.
Uomo privato, più che pubblico, Nicola II ama prendere di più una tazza di tè insieme all’amata moglie che ascoltare un ministro, godere della presenza dei cinque figli (Olga, Tatiana, Maria, Anastasia, Alessio) che prestare attenzione ai lamenti del popolo, anche in momenti particolarmente gravi per la sua patria: scioperi, manifestazioni studentesche, attentati e omicidi ai danni di notabili… eppure sul suo diario preferisce annotare le variazioni di temperatura, descrivere una passeggiata in bicicletta, una gara di canottaggio, un momento particolarmente romantico con la sua Alessandra.
Con il tempo la zarina si ritaglia il suo spazio nell’autorità governativa fino ad interpellare personalmente i ministri, discutere con loro, nominarli o esautorarli.
Il popolo si ribellerà a questa situazione, e a prescindere dai disegni di Lenin, i russi, delusi del loro Zar, arriveranno ad odiare la dinastia Romanov.
Il presidente della Duma, Rodzjanko, convocato da Nicola II, confessa alla vigilia della rivoluzione: «Con nostra grande vergogna, il disordine regna ovunque. La nazione si rende conto che avete bandito dal governo tutti quelli che godevano della fiducia del popolo e che li avete sostituiti con personaggi indegni e incompetenti».
Caduti nelle mani dei bolscevichi, lo Zar lamenta il cattivo trattamento che devono subire e si sente rispondere da uno degli ufficiali sottoposti alla loro custodia: «Io provengo dal popolo. Quando il popolo vi tendeva la mano, non l’avete mai afferrata. Oggi non vi tenderò la mia». In molte fabbriche gli operai reclamano un castigo esemplare per i «vampiri Romanov».
Tutti gli errori compiuti da Nicola non giustificano affatto gli orrori della rivoluzione russa e dei suoi leader, compreso il massacro di Ekaterinburg. Il 20 agosto del 2000, nella cattedrale moscovita di Cristo Salvatore, l’ultimo Zar è stato canonizzato insieme ad altri 853 martiri della rivoluzione comunista.




Autore: Cristina Siccardi

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18/07/2017 09:37
 
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Santa Marina di Orense Martire

18 luglio




Etimologia: Marina = donna del mare, dal latino









Nel precedente Martirologio Romano veniva commemorata così al 18 luglio: "Gallaeciae in Hispania sanctae Marinae virginis et martyris"; il Baronio introdusse la notizia nella seconda ed. del Martirologio Romano, seguendo il Villegas e il Trujillo.
Marina avrebbe sofferto il martirio nelle vicinanze della città di Orense, nella località di Aguas Santas, dove se ne conservano le spoglie in una chiesa a lei dedicata. La grandissima diffusione del culto è attestata dalle innumerevoli chiese e santuari a lei intitolati nelle diocesi di Galizia, di Astorga e in altre piú lontane, come a Cordova e a Siviglia. Nelle vicinanze del presunto luogo del martirio sono indicate dalla leggenda diverse località messe in relazione col martirio stesso e coi miracoli da lei compiuti: ma non possediamo alcun dato sicuro sull'epoca o sulla vita di Marina, come gli stessi Villegas e Trujillo attestano.
I falsari posteriori applicarono a Marina, senza alcun fondamento, la passio di s. Marina o Margherita di Antiochia (v., cf. BHL, II, pp. 78788, nn. 5303-309).
Non è più presente nell'attuale Martirologio Romano.


Autore: Justo Fernández Alonso

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19/07/2017 07:58
 
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San Giovanni Battista Zhou Wurui Martire

19 luglio




Martirologio Romano: Nel villaggio di Lujiazhuang vicino a Yingxian nella provincia dello Hebei in Cina, san Giovanni Battista Zhou Wurui, martire, che, ancora adolescente, davanti ai seguaci della setta dei Boxer si professò apertamente cristiano e per questo fu mutilato di parte delle membra e poi ucciso con una scure.

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20/07/2017 06:28
 
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Sante Maria Zhao Guozhi, Rosa Zhao e Maria Zhao Martiri

20 luglio




Martirologio Romano: Nel villaggio di Wuqiao Zhaojia sempre nello Hebei, commemorazione delle sante Maria Zhao Guozhi e delle sue figlie Rosa e Maria Zhao, che, in quella stessa persecuzione, si gettarono in un pozzo per non essere violentate, ma tirate fuori di lì subirono il martirio.

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21/07/2017 07:12
 
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San Giuseppe Wang Yumei Martire

21 luglio


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1832 circa – Daining, Hebei, Cina, 22 luglio 1900



Giuseppe Wang Yumei (traslitterato anche come Wang-Jou-Mei) era l’anziano custode dell’abitazione dei missionari presenti nel villaggio cinese di Majiazhuang, nella provincia dello Hebei. Dopo aver tentato di salvare la vita dei suoi compaesani, rifugiatisi nella scuola del villaggio, fu il primo tra loro a morire, con la gola trapassata da un colpo di lancia. È incluso nel gruppo dei 119 martiri cinesi che furono canonizzati a Roma il 1 ottobre 2000.

Martirologio Romano: Sulla strada verso Daining nei pressi di Yongnian nella provincia dello Hebei sempre in Cina, passione di san Giuseppe Wang Yumei, martire nella medesima persecuzione.








Giuseppe Wang Yumei era l’anziano custode dell’abitazione dei missionari presenti nel villaggio cinese di Majiazhuang, nella provincia dello Hebei, quando anche quel luogo fu raggiunto dalla rivolta dei Boxer.
Quando i soldati arrivarono, anzitutto incendiarono la chiesa del villaggio. Il capo della squadriglia pose gli abitanti del villaggio di fronte all’alternativa fra apostatare o affrontare la morte, poi andò via coi suoi uomini. Giuseppe, allora, si pose a difesa della scuola del villaggio, dove si erano rifugiate alcune donne coi loro bambini, decise a non abbandonare la fede. Vi si diresse anche Anna Wang, una ragazzina che in quella scuola aveva studiato, convinta di trovarvi la sua insegnante, che invece si era allontanata con le altre allieve. Il maggior conforto di cui potevano godere i rifugiati era la celebrazione della Messa, all’alba, grazie a un padre missionario.
I roghi appiccati dai Boxer, però, si facevano sempre più vicini. Quando i soldati arrivarono, Giuseppe disse a tutti di rifugiarsi nel sotterraneo della scuola; lui avrebbe cercato di sviare gli aggressori accogliendoli sull’ingresso principale. Il capo della banda gli domandò dove fossero gli altri, ma l’anziano si rifiutò di denunciare la loro presenza, per cui venne quasi strangolato, poi scaraventato in un angolo. A quel punto, il capo ordinò di sparare contro le finestre dell’edificio: il fragore dei vetri spaventò i bambini, che, urlando, fecero scoprire il nascondiglio. Tutti i presenti vennero quindi costretti a salire su di un carro e condotti al villaggio dov’era il quartier generale dei Boxer.
Verso sera, alla luce delle fiaccole, i prigionieri vennero sottoposti ad un interrogatorio. Mentre i bambini, giustamente impauriti, piangevano, Lucia Wang Wangzhi, una delle madri di famiglia, provò a presentare la religione cristiana come basata sull’amore e quindi innocua, ma ricevette solo insulti. Nel sentire quelle parole ingiuriose, Giuseppe si fece avanti: «Coloro che c’insegnarono a praticare la religione e la morale cattolica», disse, «meritano i più alti elogi perché pionieri anche di civiltà e di amor patrio in quanto ci abituarono pure al rispetto verso la patria e all’ubbidienza delle leggi». Benché i soldati gli insinuassero di dover pensare, invece, a salvarsi la vita, l’anziano proseguì: «Appunto perché con un piede sulla fossa devo parlare così per rendere omaggio alla verità!». Poi, rivolgendosi alle sue compagne, le esortò: «Nessuna di voi ceda alle ingiuste imposizioni di questi autentici nemici del vero Dio e della vera Cina!».
Sentendolo parlare così, il capo dei Boxer sentenziò che doveva morire all’istante, cosicché gli altri si decidessero ad apostatare. Trascinato di fronte alle rovine della chiesa del villaggio, venne inizialmente trapassato alla gola da una lancia, poi, quando crollò a terra, subì anche la decapitazione.
La causa di canonizzazione per Giuseppe Wang Yumei venne inserita in quella del gruppo capeggiato dal gesuita padre Leone Ignazio Mangin e composto in tutto da cinquantasei martiri. Il riconoscimento del loro martirio venne sancito il 22 febbraio 1955. Il 17 aprile dello stesso anno, domenica “in albis”, si svolse invece la beatificazione. La canonizzazione del gruppo, inserito nel più ampio elenco dei centodiciannove martiri cinesi, avvenne invece il 1 ottobre 2000.


Autore: Emilia Flocchini

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22/07/2017 07:38
 
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San Filippo Evans Sacerdote gesuita, martire

22 luglio


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Monmouth, Galles, 1645 - Cardiff, Galles, 22 luglio 1679



Nato a Monmouth (Galles) nel 1645, gesuita dall'8 settembre 1665. Dopo aver studiato nel collegio di Saint Omer, fu ordinato sacerdote nel 1675 e subito inviato come missionario nel Galles meridionale. Conosciuto per la sua fede, le autorità gallesi chiusero gli occhi sul suo fervido apostolato, ma quando la pseudo-congiura di Titus Oates scatenò una nuova ondata di persecuzione, la situazione di Evans si fece pericolosa e sulla sua testa fu posta una taglia. Consigliato a cambiare distretto, non volle abbandonare il suo gregge; per tradimento fu arrestato il 2 dicembre 1678 e chiuso nella prigione del castello di Cardiff. Avrebbe potuto uscirne libero, se avesse prestato il giuramento di fedeltà e di supremazia del re anche in materia religiosa, ma non accettò, protestando la sua fedeltà al Papa come capo unico della religione cattolica. Tornato in carcere, baciò le catene che lo stringevano, sorrise agli esecutori degli ordini ingiusti e si proclamò felice di portare le insegne del suo Maestro divino. Il 22 luglio 1679 fu impiccato e squartato a Cardiff. Fu proclamato beato il 15 dicembre 1929 da Papa Pio XI. (Avvenire)

Etimologia: Filippo = che ama i cavalli, dal greco


Emblema: Palma


Martirologio Romano: A Cardiff in Galles, santi Filippo Evans, della Compagnia di Gesù, e Giovanni Lloyd, sacerdoti e martiri, che sotto il re Carlo II furono impiccati nello stesso giorno per aver esercitato il loro sacerdozio in patria.








Nato a Monmouth (Galles) nel 1645, gesuita l'8 settembre 1665. Dopo aver studiato nel collegio di Saint Omer, fu ordinato sacerdote nel 1675, e tosto inviato come missionario nel Galles meridionale. Quantunque conosciuto per quello che era, le autorità chiusero gli occhi sul suo fervido apostolato, ma quando la pseudo-congiura di Titus Oates scatenò una nuova ondata di persecuzione, la situazione dell'Evans si fece pericolosa e sulla sua testa fu posta una taglia. Consigliato a mutare distretto, non volle abbandonare il suo gregge; per tradimento di chi gli si diceva amico, fu arrestato il 2 dicembre 1678 e chiuso nella prigione del castello di Cardiff. Avrebbe potuto uscirne libero, se avesse prestato il giuramento di fedeltà e di supremazia del re anche in materia religiosa, ma non accettò, protestando la sua fedeltà al papa come capo unico della religione cattolica: il processo, quindi, tenuto il 3 maggio del 1679, fu breve, non avendo egli negato di essere sacerdote e di avere esercitate le funzioni del suo ministero.
Tornato in carcere, baciò le catene che lo stringevano, sorrise agli esecutori degli ordini ingiusti e si proclamò felice di portare le insegne del suo Maestro divino. Poiché l'ordine di esecuzione della sentenza capitale tardava a giungere, gli fu concesso qualche svago nel cortile della prigione, l'uso di un'arpa con cui accompagnare i suoi canti di ringraziamento a Dio per la sua sorte felice e la licenza di ricevere e confortare i cattolici che accorrevano numerosi a visitarlo. Finalmente, il 21 luglio giunse la notizia che l'esecuzione era fissata per il giorno seguente e il martire l'accolse continuando il gioco cui era intento. L'impiccagione o lo squartamento ebbero luogo a Cardiff il 22 luglio 1679. Fu beatificato il 15 dicembre 1929.


Autore: Celestino Testore

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23/07/2017 07:52
 
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San Valeriano di Cimiez Vescovo

23 luglio




Martirologio Romano: A Cimiez sempre in Provenza, san Valeriano, vescovo, che, elevato dal monastero di Lérins all’episcopato, propose al popolo e ai monaci gli esempi dei santi.

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25/07/2017 07:09
 
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Santa Eugenia Vergine e martire

25 luglio










Dall’autentica che accompagnò la reliquia di Sant’Eugenia nel suo pellegrinare fino in Valsesia, si apprende che essa fu riconosciuta, due anni dopo il suo prelievo dalla catacomba di San Callisto nel 1764, da monsignor Giovanni Lercario arcivescovo titolare di Adrianopoli, il 4 settembre 1766 e fu deposta, con la presunta ampolla del sangue, presso l’ufficio delle reliquie del vicariato di Roma. I resti di questa santa hanno una storia alquanto singolare che è raccontata in una copia della relazione del loro trasporto e dell’accoglienza a Ferrera: “Detto corpo santo, di nome proprio, trovavasi già da qualche tempo al Vicariato di Roma, vestito ed aggiustato come al presente e rinchiuso nella sua attuale urna, esso doveva essere inviato ad una chiesa di una città del Messico, ma nella costruzione dell’altare, stato a tal fine commissionato essendosi involontariamente commesso uno sbaglio nelle dimensioni, l’urna, contenente il corpo della santa, non avrebbe potuto introdurvisi nel vacuo ad hoc preparato. Dal Messico venne perciò contromandato l’ordine di spedizione, cos,ì per Divina disposizione, il corpo di Santa Eugenia, in luogo di solcare le onde dell’Atlantico, prese la via dell’alpestre Valsesia.” L’episodio fornisce un’idea di come, ancora nella seconda metà dell’ottocento, era molto viva la richiesta di corpi santi da ogni parte del mondo ed evidenzia inoltre come la loro assegnazione, a privati o a comunità, non abbia seguito regole e criteri precisi ma sia stata spesso determinata dalla concordanza delle più diverse circostanze, spesso casuali. Il corpo di Eugenia fu destinato a Ferrera per interessamento del parroco don Cusa che, già nel 1877 e poi ancora l’anno seguente, accompagnato da una lettera di presentazione da parte della curia diocesana, ne aveva fatto richiesta alla Congregazione per le Indulgenze e le Reliquie, senza ottenere però alcuna risposta. Nel 1880 lo stesso parroco reiterò la domanda attraverso don Pietro Fornara, che doveva recarsi a Roma, questi andò al Vicariato, presso la sezione preposta alla distribuzione delle reliquie, pochi giorni dopo esser giunta dal Messico la revoca del trasporto delle reliquie di Eugenia, le quali, essendo già preparate per il lungo viaggio oltre oceano, furono utilizzate per adempiere alle insistenti richieste del parroco valsesiano. Don Fornara organizzò il trasporto del corpo santo che nel luglio dello stesso anno giunse a Novara in treno; collocato poi su un carro arrivò fino a Varallo, da dove partì alla volta di Ferrea su una elegante carrozza. Ai confini della parrocchia, tra le località di Nosuggio e Saliceto dove erano in attesa parroco e popolazione, si formò la processione che accompagnò la reliquia fino in paese. Per alcuni mesi l’urna fu conservata in casa parrocchiale, in attesa che si preparasse un apposito spazio per conservarla, ultimati i lavori, il 3 ottobre seguente avvenne il solenne trasporto della santa nella chiesa parrocchiale, dove fu collocata in un vano ricavato nella parete sinistra della cappella di San Giovanni Battista. Sopra alla nicchia venne dipinta una scritta: EUGENIA DULCIS ANIMA IN PACE, che potrebbe forse essere il testo epigrafico inciso sulla chiusura del loculo catacombale Attualmente, per sottrarla all’umidità, l’urna è sistemata direttamente sulla mensa dell’altare della stessa cappella dove, sulla parete destra, il pittore Cesare Tos ha eseguito, nel 1945, un affresco, già molto deteriorato, che riproduce idealmente il martirio di Eugenia. Interessanti notizie circa questo corpo santo vengono anche dai registri delle spese della chiesa, si legge, infatti, in quello dell’anno 1880: “Alla signora Matilde Scevola per il corpo di Sant’Eugenia £ 1800. A Pietro Fornara per trasporto da Roma dello stesso e per le spese d’imballaggio £ 113 e soldi 20. All’indoratore Dago, al falegname Ricca, per la sistemazione dell’urna £ 29. A Monsignor Imbrico per i reliquiari della santa e ai due maestri Cagnoni e Masini £ 84.” Tali indicazioni, prive di qualsiasi ulteriore specificazione, non consentono di conoscere il ruolo effettivo nella vicenda di tutti i citati personaggi, in particolare risulta molto oscuro il pagamento della reliquia a Matilde Scevola, della quale nulla si conosce; Pietro Fontana è da identificare con il sacerdote che, come già ricordato, si occupò di ottenere il corpo per il parroco di Ferrera; Monsignor Imbrico è sicuramente Innocenzo Imbrici, arcidiacono della cattedrale, venuto a Ferrera in rappresentanza del capitolo canonicale ed uno dei due reliquiari da lui pagati potrebbe essere quello che contiene il “vas sanguinis”, ancora conservato nell’urna; infine i due maestri citati erano rispettivamente i direttori della cappella strumentale del duomo e della basilica di San Gaudenzio di Novara. L’arrivo di Eugenia a Ferrera rientra nel particolare clima di fervore religioso e risveglio sociale vissuto dal paese in seguito alla costituzione della parrocchia, avvenuta nel 1846. La ricorrenza annuale in onore di Eugenia, un tempo celebrata con maggior solennità, cade nell’ultima domenica di luglio a ricordo del suo arrivo in paese. Le sue reliquie non possono essere attribuite all’omonima santa romana, sia perché esse risultano conservate nella basilica dei Santi Apostoli e sia perché tutte le fonti la indicano sepolta nella catacomba di Aproniano e non nel complesso di Callisto, da cui venne recuperato il corpo inviato a Ferrera.


Autore: Damiano Pomi

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26/07/2017 07:55
 
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San Caro di Malcesine Eremita

26 luglio


Malcesine (Verona), sec. VIII - IX







Santi BENIGNO e CARO, eremiti

Benigno e Caro sono due eremiti, che vissero tra l’VIII e il IX secolo nella zona di Malcesine, oggi incantevole Comune sulla sponda veronese del grande Lago di Garda, da cui si può raggiungere il Monte Baldo con una funivia che giunge fino a m. 1780.
Della loro vicenda umana, purtroppo non si sa niente, si ipotizza che fossero eremiti agostiniani; quello che è certo che il loro culto era molto sentito ancora nel secolo XVI.
Ancora oggi a Cassone, presso Malcesine, una chiesa è a loro dedicata; una leggenda attribuisce loro il trasporto in altra sede, delle ossa di s. Zenone, vescovo di Verona, che riposavano in quel luogo, ciò sarebbe avvenuto nell’807 ca.
A Malcesine, Benigno e Caro sono venerati il 26 luglio nella chiesa di S. Stefano, dove nel 1314 le loro reliquie, furono collocate in una nuova cappella, dal vescovo Tebaldo.

Il nome Caro, deriva dal latino “Carus”, nome assai usato dai Latini e significa “diletto”, oggi è solo usato come aggettivo affettuoso.


Autore: Antonio Borrelli

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27/07/2017 08:32
 
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Santa Natalia e compagni Martiri a Cordova

27 luglio




Etimologia: Natalia = nascita, dal latino


Martirologio Romano: A Córdova nell’Andalusia in Spagna, santi martiri Giorgio, diacono e monaco siro, Aurelio e Sabigoto (Natalia), coniugi, e Felice e Liliosa, ugualmente coniugi, che durante la persecuzione dei Mori, mossi dal desiderio di testimoniare la fede in Cristo, gettati in carcere non cessarono mai di lodare Cristo e morirono, infine, decapitati.







Visse durante l’occupazione musulmana a Cordova, centro del califfato ommiade (756-1091) e il suo nome era Sabigoto, conosciuta poi con il nome di Natalia. Cristiana di fede, sposò Aurelio giovane dalla solida formazione cristiana (era nato da madre cristiana e da padre maomettano, divenuto orfano fu educato da una zia cristiana).
Essi vivevano da perfetti cristiani ma senza farsi riconoscere dai musulmani, ebbero l’occasione di assistere alle offese e insulti che il cristiano Giovanni subiva da parte dei maomettani, edificati dalla serenità di lui, sentirono il desiderio di subire anch’essi il martirio per Cristo
Questo desiderio venne rafforzato dalle visite che facevano in carcere ai futuri martiri, Giovanni, Eulogio, Flora e Maria, ma c’era un impedimento all’ardore di fede dei due coniugi, le due piccole figlie di cinque e otto anni, che rimaste sole sarebbero diventate musulmane, come tutti i loro parenti, secondo le disposizioni vigenti degli arabi.
Allora decisi, le portarono al monastero ‘Tabanense’ sotto la cura di Isabella, vedova del martire Geremia, lasciandole denaro a sufficienza per il loro mantenimento.
C’era anche un’altra coppia cristiana, che aveva gli stessi ideali, Felice e Liliosa, tutti e due figli di genitori, mori di razza, ma cristiani di religione, a loro si aggiunse un diacono Giorgio, monaco di S. Saba di Gerusalemme, giunto in Spagna per chiedere elemosine per il suo monastero e arrivato da Sabigoto (Natalia), si sentì dire da lei che aspettava proprio lui, perché in una visione le era stato promesso un monaco come compagno di martirio.
Anche Giorgio sentì il desiderio di dare la propria vita per Cristo; i cinque si accordarono affinché le due donne andassero nella moschea a viso scoperto, facendosi così riconoscere come cristiane; furono tutti arrestati e mentre le due coppie spagnole Natalia ed Aurelio, Liliosa e Felice furono condannati a morte, Giorgio essendo straniero venne rilasciato, ma non era quello che desiderava, allora si mise ad offendere Maometto e quindi venne decapitato insieme agli altri quattro, il 27 luglio dell’852 a Cordova.
I cristiani ricuperati i loro corpi, li seppellirono in vari monasteri e chiese, separati e distanti. Natalia (Sabigoto) fu sepolta nella chiesa dei SS. Fausto, Gennaro e Marziale, poi chiamata di S. Pietro.
Lo storico agiografo Usuardo nell’858, nel suo viaggio in Spagna, prese con sé i corpi dei santi Aurelio e Giorgio e li portò nel monastero parigino di Saint-Germain-des-Prés.
Sono celebrati tutti e cinque nel giorno del loro martirio, il 27 luglio.


Autore: Antonio Borrelli

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30/07/2017 09:53
 
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Sant' Orso di Auxerre Vescovo

30 luglio


† 508

Martirologio Romano: Ad Auxerre nella Gallia lugdunense, in Francia, sant’Orso, vescovo.








Sant’Orso è il decimo vescovo di Auxerre. Nella lista dei vescovi figura dopo San Censorio e prima di San Teodosio, menzionato nel 511.
Governò la diocesi, per sei anni, all’inizio del VI Secolo.
Sant’Orso era un eremita, sembra nell’abbazia di San Amâtre, prima di essere eletto vescovo in età avanzata, intorno ai settantacinque anni.
La tradizione ci narra che fu eletto vescovo dopo aver salvato con le sue preghiere la città di Auxerre.
Il martirologio romano fissa la sua festa nel giorno 30 luglio.

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31/07/2017 06:59
 
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San Calimero di Milano Vescovo

31 luglio


sec. III

Emblema: Bastone pastorale, Palma


Martirologio Romano: A Milano, san Calimero, vescovo.







Nato da nobile famiglia, dopo un viaggio a Roma, fu consacrato prete. Alla morte del vescovo di Milano, S. Castriziano, di cui fu fedele coadiutore, s. Calimero fu eletto dalla gente a succedergli.
L’episcopato di S. Calimero si pone nel periodo che va dal 270 al 280.
La tradizione vuole S. Calimero martire, in quanto gettato alcuni pagani in un pozzo dove trovò la morte.
San Calimero è sepolto nella basilica a lui dedicata a Milano. Nel VIII secolo, nella cripta della basilica, le sue reliquie furono ritrovate in un pozzo, ancora oggi esistente, immerse nell’acqua.
Un tempo in occasione della festa del santo, l’acqua del pozzo veniva distribuita ai malati.
La chiesa milanese commemora il suo quarto vescovo martire il 31 luglio. Insieme agli altri santi vescovi milanesi, S. Calimero è festeggiato anche il 25 settembre.


Autore: Francesco Roccia

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03/08/2017 07:53
 
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Sant' Eufronio di Autun Vescovo

3 agosto




Martirologio Romano: A Autun nella Gallia lugdunense, in Francia, sant’Eufronio, vescovo, che costruì la basilica di san Sinforiano martire e ornò con maggior decoro il sepolcro di san Martino di Tours.

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04/08/2017 07:58
 
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Sant’ Eleuterio Martire

4 agosto


† Tarsia, Turchia, 305/310



Eleuterio era senatore e morì a Costantinopoli decapitato per ordine dell'imperatore Massimiano Galerio tra il 305 e il 310. Di lui non si conoscono né i genitori né la patria. Sappiamo che era cubiculario dell'imperatore e da lui benvoluto. Pur non essendo ancora cristiano, praticava le virtù del cristianesimo e, poiché alla corte gli era impossibile manifestare da sua fede, decise di allontanarsi da essa. Adducendo motivi di salute si recò in Bitinia dove comprò un podere presso il fiume Sangari (attuale Sakarya in Turchia), costruì una casa e in essa un oratorio sotterraneo. Fattosi battezzare da un presbitero del luogo, Eleuterio viveva il suo cammino di fede. Il suo allontanamento dalla corte imperiale, però, suscitò i sospetti di Massimiano che, informato da un servo, volle recarsi nella villa del suo cubiculario. Scoprì l'oratorio e, sicuro ormai che Eleuterio era cristiano, tentò con lusinghe di farlo ritornare al paganesimo ma, vedendo inutile ogni tentativo, lo condannò alla decapitazione. Il corpo di Eleuterio fu sepolto nell'oratorio della sua villa. (Avv.)

Martirologio Romano: A Tarsia in Bitinia, nell’odierna Turchia, sant’Eleuterio, martire.








Secondo il Martirologio Romano, che lo ri­corda il 4 ag., era senatore e morì a Costantino­poli, decapitato per ordine dell'imperatore Mas­simiano Galerio. I sinassari greci, invece, lo com­memorano il 25 ag. Eleuterio non era però di Costanti­nopoli, ma in quella città esisteva una chiesa a lui dedicata, costruita al tempo dell'imperatore Arcadio (395-405). La fonte più antica è un di­scorso, recitato nel giorno della festa, certamente prima del sec. X, in cui l'autore raccoglie tradi­zioni- orali intorno ad Eleuterio. Secondo questo scritto non si conoscevano né i genitori né la patria del martire; si sapeva soltanto che era cubiculario del­l'imperatore Massimiano e da lui benvoluto. Pur non essendo ancora cristiano, praticava le virtù del Cristianesimo e poiché alla corte gli era impos­sibile manifestare da sua fede, decise di allonta­narsi da essa. Adducendo quindi motivi di salute si recò in Bitinia dove comprò un podere presso il fiume Sangari (attuale Sakarya), costruì una casa e in essa un oratorio sotterraneo. Fattosi poi battezzare da un presbitero del luogo, Eleuterio viveva tranquillo nella pratica della nuova religione. Il suo allontanamento dalla corte imperiale, però, su­scitò i sospetti di Massimiano il quale, informato anche da un servo di Eleuterio, volle recarsi nella villa del suo cubiculario per rendersi edotto delle cose: scoprì l'oratorio e, sicuro ormai che Eleuterio era cristia­no, tentò prima con lusinghe di farlo ritornare al paganesimo e alla corte, ma poi, vedendo inutile ogni tentativo, lo condannò alla decapitazione. Il corpo di Eleuterio fu sepolto nello stesso oratorio della sua villa, dove più tardi, quando ritornò la pace, fu costruita una grande chiesa. Se le notizie to­pografiche e cronologiche di questo discorso sono esatte, il martirio di Eleuterio avvenne presso il fiume Sakarya nella regione chiamata Tarsia, a est del lago di Sabandja, non lungi da Nicomedia, tra il 305 ed il 310.


Autore: Agostino Amore

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05/08/2017 08:44
 
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San Paride Vescovo di Teano

5 agosto




Martirologio Romano: A Teano in Campania, san Paride, vescovo, che si ritiene abbia retto per primo questa sede.







Una pia leggenda, di nessun valore storico, racconta che Paride, ateniese, essendosi rifugiato a Roma al tempo delle persecuzioni fu consacrato vescovo di Teano dal papa s. Silvestro, non senza essersi prima acquistati grandi meriti presso gli abitanti di questa città: egli, infatti, avrebbe miracolosamente ammansito un enorme e terribile dragone, che arrecava continui danni alla popolazione. Fu il Baronio ad introdurre questo nome nel Martirologio Romano, in seguito però a comunicazioni dalla Chiesa di Teano.
Paride viene considerato come primo apostolo e patrono principale della città di Teano, dove sarebbe morto nel 346. Il suo corpo, conservato nella cattedrale, ha riscosso un culto immemorabile; anche a quanto riferisce Michele Monaco, la sua venerazione si diffuse anche altrove, come ad es. a Capua. La festa si celebra il 5 agosto.


Autore: Giovanni Mongelli

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06/08/2017 06:28
 
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Sant' Ormisda Papa

6 agosto


Nato a Frosinone - m. 6 agosto 523

(Papa dal 20/07/514 al 06/08/523)
Nato a Frosinone, fu Papa dal 514 al 523. Ormisda era un vedovo e un diacono romano al momento della sua elezione. Suo figlio divenne a propria volta Papa con il nome di Silverio. Una delle prime preoccupazioni di Papa Ormisda fu di rimuovere le ultime vestigia dello scisma laurenziano a Roma, riaccogliendo nella Chiesa coloro che non si erano ancora riconciliati. Gran parte del suo Pontificato fu dedicata a ricucire lo strappo che esisteva sin dal 484 tra Oriente ed Occidente a causa dello scisma Acaciano. Questo era stato prodotto come risultato del tentativo di Acacio di Costantinopoli di placare i monofisiti. La Chiesa di Costantinopoli venne riunita con Roma nel 519, attraverso la confessione di fede che viene detta Formula di Ormisda. Nell'arte, Ormisda viene raffigurato come un giovane uomo con un cammello. È il santo patrono dei palafrenieri e degli stallieri. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Roma presso san Pietro, deposizione di sant’Ormisda, papa, che, alfiere di pace, riuscì in Oriente a ricomporre lo scisma di Acacio e in Occidente a far rispettare dalle nuove popolazioni i diritti della Chiesa.







Il 20 luglio del 514, un giorno dopo la morte del suo predecessore Simmaco fu proclamato pontefice Ormisda, diacono nativo di Frosinone, sposato con prole, il figlio Silverio divenne a sua volta pontefice.
(Il nome Ormisda deriva dal persiano. Latinizzato in Hormisdas, significa "buono". E’ un nome usato anche al femminile).
L'elezione ebbe esiti unanimi e senza disordini.
Tutto il pontificato fu teso a ricomporre le divisioni teologali tra la Chiesa di Roma e quella Orientale di Costantinopoli e nella rifinitura delle opere architettoniche già iniziate durante il precedente pontificato quali: la basilica di S. Pancrazio sul Gianicolo e di San Martino ai Monti.
Dopo la morte dell'imperatore Anastasio I, con l'avvento del suo successore Giustino finalmente la chiesa romana riuscì a profilare un nuovo "modus vivendi " con la realtà orientale di Costantinopoli.
Le nuove basi per un comune intento nell'ambito dell' ortodossia teologica furono gettate durante il concilio di Costantinopoli che si rifece ai dogmi dettati dai precedenti concilii di Nicea e di Calcedonia, bandendo definitivamente tutte le eresie imperversanti quali quelle monifisiste, eutichiane, ariane e manicheiste, tant'è che lo stesso patriarca di Bisanzio sottoscrisse la cosidetta "formula Ormisda" che si chiudeva con le seguenti parole: "...sono concorde con il papa e rimprovero tutti quelli che il papa rimprovera."
Il 28 marzo del 519 il concilio di Costantinopoli si concluse con la piena affermazione delle volontà della Chiesa di Roma.
Il pontefice Ormisda si spense il 6 agosto del 523 e fu sepolto all'interno della basilica di San Pietro. Il suo nome non figura nel calendario universale ma viene ricordato nel giorno della sua morte.


Autore: Franco Gonzato

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07/08/2017 08:33
 
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San Donato di Arezzo Vescovo e martire

7 agosto


m. Arezzo, 7 agosto 362



Nato a Nicomedia, studia da chierico a Roma. Suo compagno di formazione è Giuliano, ma mentre questi diventa suddiacono della Chiesa di Roma, Donato rimane semplice lettore. Tuttavia divenuto imperatore, Giuliano (l'Apostata) promulga una violenta persecuzione contro la Chiesa. Donato fugge ad Arezzo accolto dal monaco Ilariano a cui si affianca nell'apostolato, penitenza e preghiera; con lui opera tra il popolo prodigi e conversioni. La sua «passio» racconta di miracoli eclatanti: fra i tanti, durante la celebrazione di una Messa, al momento della Comunione, entra nel tempio un gruppo di pagani che mandano in frantumi il calice. Donato, dopo intensa preghiera, raccoglie i frammenti e li riunisce, ma manca un pezzo del fondo del calice. Il vescovo continua a servire il vino senza che esso cada dal fondo mancante; fra lo stupore generale ben 79 pagani si convertono. Un mese dopo Donato è arrestato e, sotto la persecuzione di Giuliano l'Apostata, viene decapitato ad Arezzo il 7 agosto. (Avvenire)

Etimologia: Donato = dato in dono, dal latino


Emblema: Bastone pastorale


Martirologio Romano: Ad Arezzo, san Donato, secondo vescovo di questa sede, di cui il papa san Gregorio Magno loda la virtù e l’efficacia della preghiera.



Ascolta da RadioRai:





Della vita del santo si ha conoscenza da un’antica ‘Passio’ scritta secondo la tradizione da Severino vescovo, suo secondo successore sulla cattedra vescovile di Arezzo. Bisogna dire che l’intera ‘passio’ porta in sé notizie certe ma anche altre che nel tempo sono state confutate dagli stessi agiografi, perché non rispondenti alle date storiche abbinate a certuni personaggi che vi compaiono; la stessa qualifica di martire è posta in incertezza perché in tanti antichi documenti egli è menzionato come “episcopi et confessoris”, tenendo conto che già a partire dal IV secolo il termine “confessore” assumeva per i santi il significato attuale che non è di martire.
Donato sarebbe morto martire, secondo la tradizione, il 7 agosto 362 sotto Giuliano l’Apostata.
Nato a Nicomedia, ancora fanciullo venne a Roma con la famiglia, qui fu educato da Pimenio prete e fatto chierico; suo compagno di studi e di formazione religiosa era Giuliano, ma mentre costui giunse a diventare suddiacono della Chiesa di Roma, Donato rimase semplice lettore.
S. Pier Damiani nei suoi Sermoni così commenta: “ Ecco che nel campo del Signore crescono assieme due virgulti, Donato e Giuliano, ma uno di essi diverrà cedro del Paradiso, l’altro carbone per le fiamme eterne”.
Infatti divenuto imperatore ed apostata, Giuliano promulgò una nuova persecuzione contro la Chiesa, prima con l’interdizione ai cristiani dell’insegnamento nelle scuole, cariche pubbliche e carriera militare e poi nell’autunno del 362 anche con la violenza nei loro confronti.
Nella città di Roma, furono vittime fra gli altri i suoi devoti genitori ed il prete Pimenio, allora Donato fugge ad Arezzo accolto dal monaco Ilariano a cui si affianca nell’apostolato, penitenza e preghiera; con lui opera tra il popolo prodigi e conversioni.
La ‘passio’ racconta di miracoli eclatanti, fra i tanti, fa risuscitare una donna di nome Eufrosina che aveva in custodia una ingente somma di denaro, ma che con la sua improvvisa morte non si trovava più; fa vedere di nuovo ad una povera cieca a cui dona anche la luce della fede, di nome Siriana; libera dal demonio il figlio del prefetto di Arezzo, Asterio.
Viene poi ordinato diacono e sacerdote dal vescovo Satiro e prosegue così la sua opera con predicazioni in città e nelle circostanti campagne. Alla morte del vescovo, viene scelto a succedergli e quindi ordinato vescovo dal papa Giulio I, prosegue la sua opera con rinnovato zelo e altri prodigi lo confortano e gli danno popolarità.
Durante la celebrazione della Messa, al momento della Comunione ai fedeli nelle due specie, mentre egli distribuisce il pane e il suo diacono Antimo distribuisce con un calice di vetro il vino, entrano nel tempio i pagani che con violenza mandano in frantumi il calice fra la costernazione dei fedeli. Donato allora, dopo intensa preghiera, raccoglie i frammenti e li riunisce, ma manca un pezzo del fondo del calice, egli noncurante continua a servire il vino senza che esso cada dal fondo mancante; fra lo stupore generale provocato dal miracolo ben 79 pagani si convertono.
Ma un mese dopo l’episodio, il prefetto di Arezzo, Quadraziano, fa arrestare sia Ilariano che Donato, i quali vittime della nuova persecuzione indetta da Giuliano l’Apostata, vengono uccisi, Ilariano monaco ad Ostia il 16 luglio e Donato vescovo decapitato ad Arezzo il 7 agosto.
Donato è rappresentato nell’arte in vesti vescovili e i suoi attributi sono il calice di vetro riferendosi al miracolo suddetto e il drago da lui combattuto vittoriosamente.
Protettore di Arezzo, è celebratissimo in città, il suo busto si trova in un grosso d’argento della Repubblica Aretina del sec. XIII custodito al Museo Nazionale di Napoli; nella cattedrale di Arezzo vi è la ricca arca marmorea del suo corpo con decine di formelle a cui hanno lavorato artisti insigni, narranti la vita e i suoi miracoli.
Donato è un nome dato ad un figlio molto atteso, di origine latina, diminutivo: Donatello.


Autore: Antonio Borrelli

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08/08/2017 06:33
 
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San Famiano Venerato a Gallese

8 agosto




Martirologio Romano: A Gallese presso Viterbo, san Famiano, eremita, che, nativo di Colonia, distribuì i suoi beni ai poveri e, dopo sacri pellegrinaggi compiuti vestendo l’abito cistercense, morì in questo luogo.







Il nome Famiano deriva dal latino e significa “che ha acquistato fama”.
San Famiano era un frate cistercense di origine tedesca che fu per molti anni eremita in Spagna.
Nato a Colonia nel 1090 venne chiamato Quardo e più tardi Famiano per la fama acquistata con i miracoli da lui fatti. E’ molto venerato a Gallese, centro laziale situato nella valle del Tevere. Questo paese del viterbese ha dato i natali a 2 Papi: Martino I° e Romano I°. Il prestigio che il centro acquisì grazie alla sua religiosità chiamò a Gallese diversi pellegrini, tra cui appunto San Famiano.
Questo monaco, detto appunto “di Gallese” morì nel paese in oggetto l’8 Agosto del 1150. Dopo la morte fu canonizzato da Adriano IV con il nome di San Famiano e le sue spoglie furono deposte in una grotta dove nel 1155 venne eretta la chiesa che porta il suo nome.
Nel luogo di culto è conservato, custodito in un prezioso sarcofago posto nella cripta il corpo di San Famiano, patrono di Gallese. La chiesa appunto, situata al di fuori del perimetro urbano ingloba la grotta, trasformata in cripta, dove il Santo volle essere sepolto. A tre km circa dal centro storico di Gallese, in piena campagna, si trova l’altra chiesa dedicata a San Famiano, la cappella di San Famiano a Lungo.
In essa è conservata la sorgente che il Santo, il giorno 17 Luglio 1150, al termine del suo pellegrinaggio che lo aveva portato in Spagna (dove è ancora venerato), in Terra Santa e a Roma, fece scaturire percotendo il suolo con il suo bastone viatorio. Ancora oggi, il 17 Luglio di ogni anno, il luogo è meta di un pellegrinaggio che parte alle prime ore del mattino. Il culto del Santo e la custodia delle due chiese sono affidati all’antica confraternita di San Famiano, ricostituitasi nel 1990.

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09/08/2017 07:24
 
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Santa Candida Maria di Gesù Cipitria (Giovanna Giuseppa Cipitria y Barriola) Fondatrice

9 agosto


Andoain (Guipuzcoa, Spagna), 31 maggio 1845 - Salamanca, 9 agosto 1912

Martirologio Romano: A Salamanca in Spagna, beata Candida Maria di Gesù (Giovanna Giuseppa) Cipitria, vergine, che fondò la Congregazione delle Figlie di Gesù per collaborare nell’opera di formazione cristiana dei fanciulli.








Giovanna Giuseppa primogenita dei sette figli di Giovanni Michele Cipitria tessitore e di Maria Gesù Barriola, nacque il 31 maggio 1845 nel casale di Berrospe, antica ‘casa torre’ del paese di Andoain nella regione di Guipúzcoa (Spagna); a tre anni il 5 agosto 1848, ricevette la Cresima.
Per motivi di lavoro la famiglia si trasferì nel 1852 a Tolosa e qui Giovanna Giuseppa trascorse l’infanzia e l’adolescenza, impegnata nei compiti di solito spettanti alla più grande di una numerosa famiglia, badò alle sorelle più piccole insegnando loro le preghiere e le canzoni che aveva imparato; come spesso accadeva in quei tempi non andò a scuola.
A dieci anni nel 1855 fece la Prima Comunione, fu un incontro con Gesù che le lasciò tanta gioia e sin da allora avvertì che non poteva appartenere se non a Lui; proposito che ribadì quando le si presentò una vantaggiosa proposta di matrimonio.
Nel 1865 si trasferì a Burgos a servizio della famiglia Mantoya, ma vedendo le difficoltà che le facevano per le sue pratiche religiose, il suo confessore padre Raimondo Sureda gesuita, la fece trasferire presso la famiglia del magistrato Giuseppe Sabater Noverges, la cui consorte Hermitas Becerra, donna di eccezionali virtù, l’agevolò nelle pratiche cristiane e con il confessore la guidarono all’orazione quasi continua e a vedere più chiaramente i tratti della sua spiritualità: la devozione eucaristica e mariana, la predilezione per i poveri, la donazione di sé e la penitenza, la meditazione per la Passione del Signore.
Seguendo la famiglia Sabater Becerra a Valladolid nel 1868, qui trovò la definizione della volontà di Dio, con l’incontro di padre Michele de Los Santos San José Herranz, che in seguito alla Rivoluzione di Spagna del 1868, viveva fuori dal chiostro in casa di suo fratello.
Il loro incontro fu provvidenziale e permise di riconoscere come volontà divina, l’ispirazione che Giovanna Giuseppa Cipitria y Barriola, ebbe il 2 aprile 1862 davanti all’altare della Sacra Famiglia nella Chiesa del Rosarillo e cioè che sarebbe stata la fondatrice di una congregazione di religiose denominate “Figlie di Gesù”, dedite all’educazione e all’istruzione, quale mezzo di salvezza delle anime, soprattutto delle bambine e delle giovani.
La stessa ispirazione l’aveva ricevuta padre Herranz durante la celebrazione della Messa, cosicché quando Giovanna Giuseppa gli raccontò la sua esperienza, egli non tardò a riconoscerla come volontà di Dio.
Cominciò così subito l’istruzione culturale e spirituale della giovane, che era quasi analfabeta, fra lo scetticismo di parecchi, mentre altri fra i quali il vescovo di Salamanca Joaquin Lluch y Garriga, considerarono quell’opera utile per la Chiesa e benefica per la società.
L’8 dicembre del 1871 dopo aver affittato una casa a Salamanca, Giovanna Giuseppa fondò la Congregazione delle Figlie di Gesù insieme a cinque compagne e cambiando il nome in Candida Maria di Gesù; la Congregazione fu approvata il 3 aprile 1873 dal suddetto vescovo di Salamanca.
L’8 dicembre 1873 la Madre Fondatrice e le consorelle emisero i voti religiosi e un mese dopo aprirono il loro primo collegio a Salamanca, più una scuola domenicale per le domestiche.
Dopo le necessarie tappe di riconoscimento succedutesi negli anni seguenti, il 6 agosto 1901 la nuova Congregazione ottenne l’approvazione della Santa Sede e il 27 ottobre 1902 l’approvazione delle Costituzioni, che la stessa Madre Candida Maria di Gesù aveva presentate e difese a Roma.
Col tempo si dimostrò che dietro quella semplice e quasi analfabeta giovane, stava una forza provvidenziale che dava a suor Candida la forza di proclamare la sua speranza, con la generosità di chi si abbandona nelle mani del Padre in cui credeva e sperava: “È posta nelle mani di Dio la nostra causa. Siamo Figlie di Gesù. Egli ci difenderà da ogni male. Questa è la nostra speranza e non saremo deluse”.
Pur mancando di risorse materiali, madre Candida portò avanti il consolidamento della sua opera, lavorando per l’estensione del Regno di Dio e la sua maggior gloria, poté così esclamare nell’ora della sua morte, avvenuta a Salamanca il 9 agosto 1912: “Muoio tranquillamente serena, perché dei 41 anni della mia vita religiosa, non ricordo un solo momento che non sia stato per Dio”.
Fu sepolta nella Casa madre della Congregazione; oggi la sua Opera è diffusa in 12 Stati d’Europa, delle Americhe, dell’Asia. Il processo per la sua beatificazione ebbe inizio nel 1942 e il 12 maggio 1996 papa Giovanni Paolo II l’ha proclamata beata a Roma.
E' stata canonizzata a Roma da papa Benedetto XVI il 17 ottobre 2010.
La celebrazione liturgica è il 9 agosto.


Autore: Antonio Borrelli

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10/08/2017 07:43
 
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Santi Martiri Alessandrini

10 agosto




Martirologio Romano: Commemorazione dei santi martiri, che ad Alessandria d’Egitto, durante la persecuzione dell’imperatore Valeriano, sottoposti per lungo tempo dal prefetto Emiliano a molteplici e raffinate torture, ottennero con vari generi di morte la corona del martirio.

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11/08/2017 06:58
 
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Sant' Alessandro il Carbonaio Vescovo

11 agosto




Etimologia: Alessandro = protettore di uomini, dal greco


Martirologio Romano: A Gumenek nel Ponto, nell’odierna Turchia, sant’Alessandro, detto il Carbonaio, vescovo, che, raggiunta per il tramite della filosofia una particolare consapevolezza dell’umiltà cristiana, fu poi elevato da san Gregorio Taumaturgo alla sede di questa Chiesa, dove rifulse non solo nella predicazione, ma anche per aver subito il martirio tra le fiamme.








Alessandro, che non compare nei calendari antichi, è stato introdotto dal Baronio nel Martirologio Romano. Il santo ci è noto soltanto per un episodio della Vita di san Gregorio il Taumaturgo, scritta da san Gregorio Nisseno.
Gli abitanti di Comana (nel Ponto) invitarono il Taumaturgo a recarsi nella loro città per organizzarvi la comunità cristiana. Quando si trattò di scegliere il vescovo, i vari candidati furono a uno a uno scartati dal santo visitatore. Qualcuno allora, per irritazione o per scherno, propose un carbonaio, Alessandro. Il Taumaturgo lo mandò a chiamare: Alessandro si presentò, lacero e nero di fuliggine. San Gregorio, informatosi minuziosamente su di lui, capì di trovarsi dinnanzi un uomo eccezionale. Alessandro, infatti, era stato ricco e filosofo: aveva tutto abbandonato ed esercitava quell'umile mestiere per ascesi. La scelta quindi cadde senzaltro su di lui, che fu vescovo degnissimo.
Alessandro morì martire, bruciato vivo in una delle persecuzioni del sec. III, forse sotto Aureliano (270-75). Il santo, che è patrono dei carbonai, viene festeggiato l'11 agosto.

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12/08/2017 10:22
 
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San Muiredach di Kellala Vescovo

12 agosto




Martirologio Romano: A Killala in Irlanda, san Muredach, vescovo

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13/08/2017 07:46
 
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San Benildo Romancon Religioso

13 agosto


Thuret, Alvernia, Francia, 14 giugno 1805 - Sangues, Alta Loira, 13 agosto 1862



Nato a Thuret il 14 giugno 1805 e battezzato col nome di Pietro Romancon, dai lavori campestri il beato passò alle scuole tenute dai Fratelli delle Scuole Cristiane a Riom. Egli avrebbe voluto entrare in quella Congregazione, ma non poté essere ammesso per la sua piccola statura. L'anno seguente, però, rinnovò la domanda, che fu accolta, e poté passare al noviziato, durante il quale la sua vocazione fu posta a dura prova dalle insistenze del padre che lo rivoleva in casa. Il giovane resistette con tenacia, fu ammesso ai voti e prese il nome di Benildo, ponendosi sotto la protezione di s. Benilde. Per venti anni fu addetto a varie scuole (Riom, Moulins, Limoges, Aurillac, Clermont, Billon), facendosi dovunque apprezzare dai confratelli, per la sua dolcezza, e dagli alunni, per la sua sapienza pedagogica. Durante questi anni, Benildo si occupò anche, per breve periodo, della cucina, dell'orto, dimostrando in questi lavori una serena umiltà e una grande cura.
Il 21 settembre1841 Benildo fu inviato a Sangues, a fondare e dirigere una nuova scuola, richiesta da quel comune e finanziata con pubblica sottoscrizione, ed ivi rimase fino alla morte. Le incomprensioni e le sofferenze furono molte, aggravate da un lavoro massacrante (tre soli fratelli per circa trecento alunni), ma Benildo riuscì ad impiantare e a far funzionare egregiamente la scuola fino alla sua morte, avvenuta il 13 agosto 1862.
Particolare impegno mise sempre nell'insegnamento del catechismo: in questa materia non ammetteva che alcun alunno rimanesse ignorante. Prendeva perciò a parte i più tardivi e con essi insisteva, fino a che avessero imparato a dovere le formule e il loro senso. In questo atteggiamento tipico lo rappresenta appunto, sull'altare a lui dedicato nella cappella della casa generalizia di Roma, un bel gruppo marmoreo dello scultore Ciocchetti; mentre una tela del pittore Mariani lo raffigura nell'atto di consacrare gli alunni a s. Giuseppe, per il quale dimostrò sempre una grande devozione.
Benildo ebbe una tale capacità di penetrare nell'animo dei giovanetti come maestro e più ancora come guida spirituale, che molti pensarono a speciali doni celesti, ottenuti con l'assiduità delle preghiere e delle penitenze. Presso la popolazione di Sangues egli godé sempre di una vera reputazione di santità. Un Crocifisso a lui appartenuto viene, ancora oggi, portato presso gli infermi del luogo, che piamente lo baciano invocando l'intercessione del beato, al quale è consacrata una cappella della chiesa parrocchiale.

Martirologio Romano: Nella cittadina di Saugues presso Puy-en-Vélay sempre in Francia, san Benildo (Pietro) Romançon, dell’Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, che passò la vita dedito alla formazione della gioventù.








Pietro Romançon, questo il suo nome da laico, nacque a Thuret piccolo villaggio dell’Alvernia in Francia il 14 giugno 1805, egli crebbe in questo paese che aveva già conosciuto gli orrori della Rivoluzione Francese sebbene di appena 1800 abitanti, i suoi compaesani furono tutti indomiti fedeli alla Chiesa Cattolica Romana e quindi disertarono la parrocchia diretta da un parroco ‘giurato’, cioè di quegli ecclesiastici che cedettero alle minacce dei governanti di allora, aderirono alla nuova Costituzione Civile del Clero, e giurarono fedeltà allo Stato e non al romano pontefice.
I cittadini di Thuret pieni di viva fede cattolica, assidui alle funzioni, difensori della religione, presero a frequentare di nascosto un altro sacerdote non ‘giurato’, che officiava clandestinamente spostandosi di continuo per non essere catturato.
Questo era il clima di religiosità in cui nacque Pietro Romançon e i suoi genitori Giovanni e Anna Chanty erano degni interpreti di questa religiosità e timore di Dio; quando nacque, la Francia e l’Europa erano sconvolte da guerre che vedevano contrapposte nell’era napoleonica nazioni contro nazioni.
Anche nel villaggio di Thuret, il fanciullo Pietro cresceva con davanti le scene della partenza dei giovani coscritti per le armate di Napoleone Bonaparte, lo strazio delle madri, il terrore di giovani che cercavano di sfuggire a questa dura sorte e scappavano sui monti inseguiti dalle pattuglie di polizia militare.
Gli avvenimenti storici che si susseguivano, fecero comprendere ben presto al ragazzo l’instabilità delle umane istituzioni, egli concepì così un vero orrore per ogni prepotenza e ingiustizia e imparò a riporre in Dio ogni sua fiducia, e ben presto sentì chiaramente l’invito divino a distaccarsi dalle cose terrene, per dedicarsi ad un superiore destino religioso.
Cresciuto con l’amorevole cura della mamma molto devota, un giorno l’accompagnò alla fiera di Clermont e lì fortuitamente dopo una preghiera alla Madonna nel vicino santuario, fra la folla, il piccoloPietro vide un sacerdote con colletto bianco che incurante della confusione del mercato, proseguiva il suo cammino con la corona in mano e pregando; il ragazzo domandò alla madre chi fosse e lei rispose che era un Fratello delle Scuole Cristiane e dietro altra sua richiesta, continuò a dire, che essi facevano scuola per tutta la vita, specialmente ai fanciulli poveri, per amore di Dio.
Pietro tacque e rifletté, poi rispose in tono deciso: “Così mamma voglio essere anch’io”. Il Signore dispone le cose in modo che esse possono attuarsi, se sono secondo la Sua volontà; dopo un certo tempo i Fratelli delle Scuole Cristiane, aprirono un loro Istituto nella vicina Riom e Pietro venne inviato dai genitori, come collegiale dai Fratelli nella nuova sede, affinché potesse continuare negli studi, anche se questo comporterà un allontanamento da casa dell’amato figlio.
Il contatto giornaliero con i membri professori di questa Congregazione, fondata nel 1680 da s. Jean-Baptiste de La Salle (1651-1719) fece maturare ancor più la nascente vocazione di farsi religioso, ma un inflessibile Direttore non lo ammise, perché per i suoi quattordici anni era apparso troppo piccolo di statura.
Dopo quasi due anni l’ammissione fu possibile e così il 10 febbraio del 1820, il giovane Pietro Romançon lasciava per sempre la sua casa di Thuret per entrare nel noviziato dei Fratelli di Clermont accompagnato dal direttore del Collegio di Riom.
Il periodo del noviziato, fu per lui un tempo di dure prove, preso dal desiderio di diventare un religioso, dovette più volte resistere alle insistenze del padre che lo rivoleva a casa, bisognoso del suo aiuto ora che si era fatto vecchio. Per tutta la vita fratel Benildo, questo il nome che gli venne dato alla sua ‘vestizione’, restò inflessibile e fedele alla sua vocazione e il Signore benedirà il suo Noviziato con grazie singolari, che faranno esclamare al suo Direttore Fratel Aggeo: “Non mi stupirei che questo caro figliuolo divenisse un giorno una gloria del nostro Istituto”.
Superate con tenacia le resistenze paterne, fu ammesso ai voti, ponendosi sotto la protezione di s. Benilde, martire spagnola di Cordova, della quale aveva preso il nome. Per venti anni fu addetto a varie scuole nelle città di Riom, Moulins, Limoges, Aurillac, Clermont, Billon; ovunque apprezzato dai confratelli per la sua mitezza e dagli alunni per la sua sapiente pedagogia; durante questo lungo periodo si occupò brevemente anche della cucina e dell’orto con serena umiltà; nel contempo l’11 settembre 1836 fece la sua Professione solenne.
Il 21 settembre 1841 fratel Benildo venne inviato a Saugues a fondare e dirigere una nuova scuola, richiesta e finanziata da quel Comune, con una pubblica sottoscrizione; non si mosse più da lì, dopo tanti trasferimenti, che se pur previsti nella Regola dell’Ordine, apportavano ferite dolorose al suo cuore ed ai suoi sentimenti, verso le centinaia di alunni che incontrava, formava, avviava, istruiva, in ogni posto dove era stato mandato e che egli poi doveva lasciare.
A Saugues il lavoro fu incredibile e massacrante, c’erano solo tre fratelli per circa trecento alunni, ma fratel Benildo, nonostante le numerose incomprensioni e le molte sofferenze, riuscì ad impiantare saldamente la scuola ed assicurarne il funzionamento.
Mise sempre un particolare impegno nell’insegnamento del catechismo, specie con i più tardivi, perché su questa materia non voleva che nessuno rimanesse indietro; e attorniato da ragazzi è raffigurato in un bel gruppo marmoreo, nella cappella a lui dedicata nella Casa Generalizia di Roma e in un quadro del pittore Mariani, nell’atto di consacrare un gruppo di fanciulli a s. Giuseppe, per il quale ebbe sempre una grande devozione.
Fratel Benildo ebbe una tale capacità di penetrare nell’animo degli adolescenti, come maestro, ma ancor più come guida spirituale, che molti presero a pensare che fosse dotato di speciali doni celesti, ottenuti con la preghiera assidua e con le penitenze.
Presso la popolazione di Saugues, dove visse ed operò per 21 anni, egli godé sempre di una reputazione di santità; quando compariva per le strade, i ragazzi scorgendolo, se lo additavano dicendo: “Il santo! Ecco il Santo! Viene il Santo!”; rendendo così omaggio a questa sua unica grandezza, la sua intimità con Dio, dalla quale non nascevano le cose grandi, ma le cose perfette.
Visse in povertà, vestì spesso con vesti rammendate, dimesse; aveva imparato a cucire e rammendare, trovando fra l’altro il tempo di rendere questi umili servigi ai suoi confratelli, anche se non con perfezione.
Più volte presagì l’approssimarsi della fine della sua vita e come per tutti i Santi, la vita divenne una preparazione alla morte, da offrire a Dio come l’ultimo loro atto di fedeltà.
Nel 1862 ultimo suo anno di vita, le sue forze declinarono, i dolori di un probabile cancro al fegato si facevano acuti, ma lui fra la costernazione dei Fratelli e le preghiere della Comunità di Saugues, continuò a compiere i suoi doveri di Direttore della Scuola Cristiana; agli inizi di giugno dovette mettersi a letto, alternando qualche raro giorno di miglioria, che Fratel Benildo utilizzava per giungere fino alle classi degli studenti per salutarli e dispensare i suoi ultimi consigli, come un testamento spirituale. Man mano che il male avanzava, egli veniva a distaccarsi sempre più dalle cose terrene, la sua preghiera si faceva più intensa e continua.
Dopo aver ricevuto cosciente gli ultimi Sacramenti con angelica gioia e mistico raccoglimento, Fratel Benildo morì il 13 agosto 1862 a 57 anni, di cui oltre 40 di vita religiosa, tra il compianto generale.
Il giorno dell’Assunzione di Maria, si svolsero i solenni funerali nella parrocchia di Saugues, cui partecipò tutto il clero e i Fratelli con gli alunni ed ex alunni; da quel giorno la fama di santità, già forte in vita, divenne costante con numerosi pellegrinaggi alla sua tomba.
Numerosi furono e sono i miracoli ottenuti per la sua intercessione; un Crocifisso a lui appartenuto, viene ancora oggi, portato presso gli infermi di Saugues che con devozione lo baciano, invocando l’intercessione di fratel Benildo.
Il decreto di introduzione per la causa di canonizzazione si ebbe nel 1903, fu dichiarato venerabile nel 1928, in questa occasione papa Pio XI pronunciò un memorabile discorso sopra il “terribile quotidiano” e cioè sull’eroicità senza splendore.
Venne beatificato il 4 aprile 1948 da papa Pio XII e infine proclamato santo da papa Paolo VI il 29 ottobre 1967.


Autore: Antonio Borrelli

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14/08/2017 07:30
 
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San Fachtna (o Fachanano) Vescovo

14 agosto




Martirologio Romano: A Ross in Irlanda, san Fachanano, vescovo e abate, che fondò in questo luogo un monastero, celebre per l’insegnamento delle scienze sacre e umane.

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16/08/2017 09:41
 
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Sant' Arsacio di Nicomedia

16 agosto




Martirologio Romano: Commemorazione di sant’Arsacio, che sotto l’imperatore Licinio professò la fede cristiana e, abbandonato l’esercito, condusse a Nicomedia vita eremitica; infine, preannunciando l’imminente rovina della città, mentre pregava rese lo spirito a Dio.








E' ricordato da Sozomeno (Hist. ecci., IV, 16), il quale, tuttavia, ne dà poche notizie. Persiano di origine, Arsacio, mentre era soldato, aveva professato apertamente la fede cristiana al tempo di Licinio. In seguito, abbandonata la milizia, si diede alla vita eremitica nei dintorni di Nicomedia. Predisse il terribile terremoto che il 24 agosto 358 distrusse la città, esortando i suoi concittadini alla preghiera e alla penitenza. Anche Arsacio, cui Sozomeno attribuisce molti miracoli, morì vittima di questo terremoto. I greci non ricordano il santo nei loro libri sacri, mentre Usuardo ne ha iscritto il nome nel suo martirologio con un bellissimo elogio, ripreso da Sozomeno ed entrato poi nel Martirologio Romano. La festa di Arsa

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16/08/2017 09:41
 
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Sant' Arsacio di Nicomedia

16 agosto




Martirologio Romano: Commemorazione di sant’Arsacio, che sotto l’imperatore Licinio professò la fede cristiana e, abbandonato l’esercito, condusse a Nicomedia vita eremitica; infine, preannunciando l’imminente rovina della città, mentre pregava rese lo spirito a Dio.








E' ricordato da Sozomeno (Hist. ecci., IV, 16), il quale, tuttavia, ne dà poche notizie. Persiano di origine, Arsacio, mentre era soldato, aveva professato apertamente la fede cristiana al tempo di Licinio. In seguito, abbandonata la milizia, si diede alla vita eremitica nei dintorni di Nicomedia. Predisse il terribile terremoto che il 24 agosto 358 distrusse la città, esortando i suoi concittadini alla preghiera e alla penitenza. Anche Arsacio, cui Sozomeno attribuisce molti miracoli, morì vittima di questo terremoto. I greci non ricordano il santo nei loro libri sacri, mentre Usuardo ne ha iscritto il nome nel suo martirologio con un bellissimo elogio, ripreso da Sozomeno ed entrato poi nel Martirologio Romano. La festa di Arsa

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17/08/2017 08:44
 
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San Carlomanno Monaco

17 agosto


707 – 17 agosto 754



Era il figlio maggiore del Maestro di palazzo di Neustria ed Austrasia, Carlo Martello, e di Rotrude de Tréves (695-724). Nel 741, alla morte del padre ereditò l'Austrasia, la Svevia e la Turingia, che governò come maggiordomo (maestro di palazzo), senza assumere il titolo di re. Fu costantemente in lotta contro il ducato d'Aquitania, gli Alemanni, i Bavari ed i Sassoni, che riuscì sempre a sconfiggere. Fu promotore, sotto l'influsso di San Bonifacio, che era sotto la sua protezione, tra il 742 ed il 744 di una politica di moralizzazione dei costumi dei chierici e di rispetto per i beni della Chiesa e delle sedi vescovili da parte dei laici. Dopo tante battaglie, nel 747, rinunciò al potere e si fece religioso; si incontrò con Papa Zaccaria, affinché sollecitasse il suo passaggio allo stato clericale e si ritirò nell'abbazia di Montecassino, lasciando in mano al fratello Pipino il Breve, tutti i suoi titoli ed i suoi possedimenti. Nel 751 cercò di intervenire, per impedire l'incoronazione del fratello a re dei Franchi, ma il papa riuscì a fermarlo in Provenza e gli impose di rientrare immediatamente a Montecassino. Nel 753, fu inviato in Francia per una missione di pace ma morì a Vienne, nel 754. Fu tumulato nell'abbazia di Montecassino.

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18/08/2017 06:46
 
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San Lauro e compagni Martiri

18 agosto


Bisanzio - † Ulpiana, Illirico (II secolo)



Gemelli e martiri, Floro e Lauro era stati istruiti nell'arte della scultura. Quando i loro maestri, cristiani come loro, subirono il martirio sotto l'imperatore Adriano (117-138), i due fratelli decisero di lasciare Bisanzio e recarsi nella penisola balcanica mettendosi al servizio del preside romano Licione nella città di Ulpiana (odierna Skopje in Macedonia). A loro si rivolse Licinio, figlio dell'imperatrice Elpidia, per costruire un tempio. L'opera fu portata a termine. E avvenne anche un fatto straordinario: il figlio del sacerdote pagano Anastasio venne colpito da una scheggia in un occhio e i fratelli operarono il prodigio di guarirlo e convertire il giovane Alessandro al cristianesimo. Quando videro che nel tempio venivano sistemate statue pagane, organizzarono una processione riparatrice e di notte fecero a pezzi gli idoli. Arrestati e condannati, furono calati in un pozzo e sepolti vivi. (Avv.)

Etimologia: Lauro = alloro, dal latino


Emblema: Palma









La sua celebrazione, unitamente ai santi Floro, Proculo e Massimo, è riportata nel ‘Martirologio Romano’ al 18 agosto e deriva da altre citazioni dei Sinassari e Atti greci. Lauro e Floro sono considerati fratelli, di mestiere tagliapietre o fabbricanti di statue, ma anche costruttori edili, discepoli di Proculo e Massimo a Bisanzio.
I loro maestri, cristiani come loro, subirono il martirio sotto l’imperatore Adriano (117-138), quindi i due fratelli decisero di lasciare Bisanzio e recarsi nell’Illirico (regione storica della Penisola Balcanica, costituita nel 27 a.C. come provincia romana), mettendosi al servizio del preside romano della zona, di nome Licione, nella città di Ulpiana (nell'odierno Kosovo).
Il racconto prosegue dicendo, che essi furono richiesti per costruire un tempio, da un certo Licinio, figlio di una imperatrice di nome Elpidia. L’opera fu portata egregiamente a termine; ci fu anche un fatto prodigioso, il figlio di Anastasio sacerdote pagano, mentre era presente alla costruzione, per caso venne colpito da una scheggia in un occhio; i due fratelli operarono il prodigio di guarirlo e nel contempo convertirono il giovane Alessandro al cristianesimo, seguito dopo un po’ dallo stesso padre Anastasio.
Ma Floro e Lauro quando videro che nel tempio venivano sistemate delle statue di idoli pagani, organizzarono prima una processione riparatrice di cristiani con la Croce, e poi nottetempo assoldarono un numeroso gruppo di poveri e con loro penetrarono nel tempio e fecero a pezzi gli idoli.
Furono tutti arrestati e condannati, i poveri vennero bruciati vivi, mentre Floro e Lauro, dopo essere stati interrogati, furono calati in un profondissimo pozzo e sepolti vivi.
Dopo i secoli delle persecuzioni contro il cristianesimo, i loro corpi furono prodigiosamente ritrovati dai cristiani di Ulpiana. Si diceva che le loro reliquie fossero conservate nel monastero greco di Cristo “Pantocreator” a Costantinopoli.

L’uso dei nomi maschili di Floro e Lauro è pressoché scomparso, pur essendoci alcuni santi che ne hanno portato il nome; mentre sono ampiamente diffusi i nomi femminili di Flora e Laura, che comunque ricordano delle sante omonime, che nulla hanno a che vedere con i due fratelli suddetti.


Autore: Antonio Borrelli

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POTRESTE AVERE DIECIMILA MAESTRI IN CRISTO, MA NON CERTO MOLTI PADRI, PERCHE' SONO IO CHE VI HO GENERATO IN CRISTO GESU', MEDIANTE IL VANGELO. (1Cor. 4,15 .
 
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