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CREDENTI DA IMITARE (Eb.13,7)

Ultimo Aggiornamento: 18/05/2019 13:12
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02/02/2017 09:53
 
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San Lorenzo di Canterbury Vescovo

2 febbraio


m. Canterbury, Inghilterra, 2 febbraio 619

San Lorenzo succedette a Sant’Agostino nel governo della Chiesa di Canterbury e convertì alla fede cristiana il re Edbaldo del Kent.

Etimologia: Lorenzo = nativo di Laurento, dal latino


Emblema: Bastone pastorale, Piaghe


Martirologio Romano: A Canterbury in Inghilterra, san Lorenzo, vescovo, che dopo sant’Agostino governò questa Chiesa e l’accrebbe notevolmente convertendo alla fede il re Edbaldo.







Lorenzo, monaco del monastero di Sant’Andrea al Clelio in Roma, giunse in Inghilterra al seguito di Sant’Agostino di Canterbury per accompagnarlo nella sua nuova missione in una terra ancora pagana. La spedizione era stata fortemente voluta dal papa San Gregorio Magno, informato dalla cristiana regina del Kent della necessità di pastori per convertire gli angli. I missionari, dupo un lungo e pericoloso viaggio, sbarcarono nel 597 sull’isola di Thanet, nel regno del Kent. Tutto ciò che si conosce della vita di Lorenzo lo si deve ai primi due libri della “Storia ecclesiastica” scritta da San Beda il Venerabile. Nel 601, in seguito al battesimo del re Sant’Etelberto, egli fu inviato a Roma per annunciare al pontefice il successo della missione e ricevere ulteriori istruzioni su come procedere. Tornò dunque in Inghilterra con alcuni consigli su come organizzare la nuova chiesa di Canterbury, anche se varie problematiche impedirono momentaneamente l’estensione oltre i confini del regno.
Alla morte di Agostino, nel 604 circa, gli successe proprio Lorenzo, che egli stesso aveva designato quale successore. Il nuovo vescovo consacrò “la chiesa dedicata ai Santi apostoli Pietro e Paolo perché vi potessero essere seppelliti i corpi di Agostino, di tutti i vescovi di Canterbury e dei re della Cantia”. Lorenzo tentò inoltre di proseguire la politica di consolidamento perseguita già da Agostino tra gli anglosassoni del sud est dell’Inghilterra, ma non riuscì al pari del suo predecessore ad intensificare la collaborazione con i vescovi irlandesi e britanni della parte occidentale del paese, ancora legati alle tradizioni insulari. Ai pastori irlandesi indirizzo una lettera che in Inghilterra avrebbe trovato eco duraturo nei secoli successivi: “Prima di comprendere la situazione effettiva, tenevamo in grande stima la pratica religiosa dei britanni e degli irlandesi […]. Conosciuti poi i britanni, abbiamo ritenuto che gli irlandesi sarebbero stati migliori. Ma adesso abbiamo capito […] che gli irlandesi non superano i britanni nell’osservanza ecclesiastica”. Nello stesso tono egli scrisse anche ai vescovi britanni, ma, come sottolineò Beda, non raggiunse assolutamente alcun profitto con tale atteggiamento e dovette quindi fronteggiare il peggiorare della situazione perfino nello stesso Kent.
Quest’ultimo fenomeno culminò nel 616 con l’ascesa al trono di Edbaldo, figlio di Etelberto, che rifiutò di abbracciare la fede cristiana accolta da suo padre. Due monaci seguaci di San Lorenzo, San Mellito (24 aprile) e San Giusto (10 novembre), preferirono a tal punto far ritorno in Gallia, onde evitare di rimanere coinvolti in eventuali sanguinose persecuzioni contro i cristiani. Loranto, dopo aver a lungo meditato in proposito, alla fine preferì restare sulla sua cattedra ed affrontare il nuovo re. Secondo un antica tradizione locale, riportata anche dal racconto di Beda, Lorenzo avrebbe cambiato idea circa la sua partenza in seguito ad un’apparizione molto concreta di San Pietro, che gli permise di mostrare ad Edbaldo i segni lasciati dalle frustrate ricevute per la sua codardia: “Il servo di Cristo Lorenzo, fattosi giorno, andò subito dal re e, aperta la veste, gli fece vedere da quante ferite fosse stato lacerato”. Edbaldo rimase fortemente impressionato da questa straordinaria dimostrazione di potere sovrannaturale e decise di convertirsi al cristianesimo. Concessa la ripresa dello sviluppo della Chiesa nel Kent, anche Mellito e Giusto tornarono ben presto a ricoprire le loro cariche.
San Lorenzo morì il 2 febbraio 619 e ricevette sepoltura a fianco di Sant’Agostino nell’abbazia di Canterbury. La tomba fu aperta nel 1091 dall’abate Guido, per traslare le reliquie in un luogo più eminente, e ne fuoriuscì un intenso profumo che invase l’intero monastero. Un’altra ispezione del suo sepolcro avvenne ancora nel 1915. L’antichità dal culto tributato al santo vescovo è attestata dal Messale irlandese di Stowe, che fissava la data della sua festa al 3 febbraio, commemorazione che è rimasta invariata sino a quando l’ultima edizione del Martyrologium Romanum l’ha trasferita al 2 febbraio, effettivo anniversario della nascita al Cielo. L’iconografia relativa a San Lorenzo è solita raffigurarlo nell’atto di mostrare a re Edbaldo le sue piaghe.


Autore: Fabio Arduino

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03/02/2017 08:22
 
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San Lupicino Vescovo

3 febbraio




Martirologio Romano: A Lione in Francia, san Lupicino, vescovo, al tempo della persecuzione dei Vandali.

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04/02/2017 07:39
 
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Sant' Aventino di Chartres Vescovo

4 febbraio




Martirologio Romano: A Châteaudun vicino a Chartres in Francia, transito di sant’Aventino, vescovo, che aveva prima retto la sede di Chartres.








Secondo il catalogo episcopale di Chartres, Aventino fu il quattordicesimo vescovo di quella diocesi. Egli prese parte al concilio di Orléans del 511 e morì prima del 533. I suoi resti mortali, scampati alla distruzione nel 1793, nel 1854 furono trasferiti nella chiesa di Santa Maddalena di Chàteaudun. Il nome di Aventino ricorre anche nella tradizione concernente san Solenne, vescovo di Chartres. Questi, infatti, si sottrasse con la fuga alla dignità episcopale e in sua vece fu consacrato Aventino, suo fratello. Il fuggiasco, però, raggiunto, fu insediato e Aventino si ritirò allora a Châteaudun, per riprendere in seguito la sua carica dopo la morte di Solenne. La festa di Aventino si celebra il 4 febbraio nelle diocesi di Chartres e di Tours.


Autore: Paul Viard

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05/02/2017 10:24
 
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San Luca di Demenna o d'Armento

5 febbraio


m. 5 febbraio 995

Martirologio Romano: In Basilicata, san Luca, abate secondo gli insegnamenti dei Padri orientali, che condusse un’intensa vita monastica dapprima in Sicilia, sua patria, poi in vari luoghi in seguito all’invasione dei Saraceni, per morire infine presso Armento nel monastero dei santi Elia e Anastasio del Carbone da lui stesso fondato.







E. Santoro lo fece nativo di Tauriana in Calabria, figlio di Giovanni e di Tedibia e fratello di s. Fantino (uno dei maestri di s. Nilo al Mercurion), inducendo in errore F. Ferrari, A. Agresta, G. Fiore, D. Martire e altri scrittori.
In realtà s. Luca nacque in Sicilia, a Demenna (Castrogiovanni), e fu avviato all'ascesi basiliana nel monastero di S. Filippo d'Agira dove si formarono anche altri famosi monaci greci del sec. X.
Per sfuggire alle vessazioni dei Saraceni, che avevano conquistato l'isola attraversò lo stretto e andò a mettersi sotto la disciplina di s. Elia Speleota di Reggio. Ma ben presto anche la zona dell'Aspromonte divenne meta delle incursioni saracene, per cui egli prese la via del Nord fino a raggiungere la famosa eparchia monastica del Mercurion, ai confini tra Calabria e Lucania, meta di tutti i santi italo-greci del sec. X.
Fondò una laura nel territorio di Noia (Noepoli), dove restaurò la cadente chiesa di S. Pietro e dimorò con i suoi discepoli per sette anni, praticando il piú rigoroso ascetismo e dandosi ai lavori dei campi, sí da cambiare il deserto in giardino. Desideroso di maggiore solitudine, passò nel territorio di Agromonte, presso il fiume Agri, dove restaurò il monastero di S. Giuliano. Prestò la sua opera di cristiana carità ai soldati feriti nel conflitto tra i Saraceni e i Tedeschi di Ottone II; fortificò il castello di Armento e la chiesa della Madre di Dio, lasciandone la custodia ai propri discepoli. Di qui ebbe origine intorno al 971 il celebre monastero dei SS. Elia ed Anastasio del Carbone, che divenne il quartiere generale di s. Luca sia come baluardo fortificato contro le incursioni dei Saraceni, sia come palestra dei molti miracoli, che egli vi operò.
Qui Luca morí assistito da s. Saba di Collesano il 5 febbraio 995 e fu sepolto nella chiesa del monastero, dove ebbe culto pubblico.


Autore: Francesco Russo

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06/02/2017 07:35
 
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San Paolo Miki
Il salmo responsoriale che parla di lacrime e di gioia non è molto adatto per i martiri giapponesi, perché essi non hanno seminato nel pianto ma nella gioia. In quello che di loro si racconta, il meraviglioso è proprio nella gioia che irradiava dai loro volti mentre andavano al supplizio. Paolo Miki dopo essere stato condannato con gli altri, scrisse a un superiore della Compagnia di Gesù con semplicità: "Siamo stati condannati alla crocifissione, ma non preoccupatevi per noi che siamo molto consolati nel Signore. Abbiamo un solo desiderio, ed è che prima di arrivare a Nagasaki possiamo incontrare un Padre della Compagnia per confessarci, partecipare alla messa e ricevere l'Eucaristia. È il nostro unico desiderio".
Vediamo in questo la gioia della speranza fondata sulla fede che è feconda di frutti di carità. Evidentemente soltanto la fede era fondamento della loro grande gioia, che dimostrarono anche sulla croce. Essere crocifissi con Cristo era per loro grande onore perché credevano con tutta l'anima che Cristo si era dato per loro e per la loro salvezza.
"Il Figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso per me". La croce appare alla fede come il sommo dell'amore di Cristo e dell'amore che noi possiamo dare a lui. In questa fede essi erano pieni di speranza e di gioia.
La loro speranza era non la ricompensa, ma il martirio: speravano che Gesù li avrebbe sostenuti fino alla morte e avrebbe permesso loro di offrire la vita con un amore senza limiti. Il pensiero di imitarlo dando la vita per gli altri era fonte di grande esultanza.
Per commentare il loro martirio si potrebbero prendere le parole della lettera di Pietro: "Rendete conto della speranza che è in voi con dolcezza e rispetto". Dall'alto della sua croce Paolo Miki continuava a predicare Cristo e a testimoniare la sua speranza. Diceva ai presenti: "Io sono giapponese come voi, non sono uno straniero ed è a causa della mia fede in Cristo che sono condannato. Nella situazione estrema in cui mi trovo potete credere alla mia sincerità. Non ho nessuna voglia di ingannarvi e vi dichiaro che non c'è via di salvezza se non nella fede in Cristo". E continuava, manifestando che la fede e la speranza gli riempivano il cuore di intensa carità: "Cristo vuole che perdoniamo a chi ci fa del male e preghiamo per loro. Io dunque perdono a tutti quelli che hanno contribuito alla nostra morte e auguro loro di convertirsi, perché anch'essi si salvino".
E anche tutti i suoi compagni sorridevano e cantavano preghiere dall'alto della croce.
Possiamo pensare che talvolta è più difficile essere gioiosi nelle circostanze ordinarie della vita che in quelle straordinarie, nelle quali la grazia sostiene in maniera speciale. Ma abbiamo altri esempi a illuminare la vita quotidiana. E a proposito della sua vita quotidiana che san Paolo dice: "Sono crocifisso con Cristo e non son più io che vivo, ma Cristo vive in me". La croce di Cristo illuminava le sue numerose, e niente affatto gloriose, difficoltà di ogni giorno: egli stesso parla di tribolazioni umilianti.
Ma nella fede egli ne vedeva il senso di profonda unione a Gesù, ed era lieto nella speranza, paziente nella tribolazione e insegnava questa via di gioia ai cristiani.
Domandiamo al Signore di farci giungere alla stessa unione vitale con lui che vediamo nella vita di questi martiri e di tanti santi.
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06/02/2017 07:40
 
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San Matteo Correa Magallanes Sacerdote e martire

6 febbraio


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Nacque a Tepechitlán, Zacatecas (Diocesi di Zacatecas) il 23 luglio 1866. Parroco di Valparaiso, Zacatecas, (Diocesi di Zacatecas). Il padre Mateo svolse fedelmente tutti gli incarichi sacerdotali: vangelizzare e servire i poveri, ubbidire al suo Vescovo, unirsi a Cristo Sacerdote e Vittima, specialmente convertendosi in martire a causa del sigillo sacerdotale. Lo tennero in carcere alcuni giorni a Fresnillo, Zacatecas, quindi venne condotto a Durango. Il generale gli chiese di confessare alcuni prigionieri, e di riferire poi ciò che aveva appreso in confessione, altrimenti lo avrebbe ucciso. Il Signor Parroco Correa rispose con dignita: "Lei può farlo, ma non sa che un sacerdote deve saper conservare il segreto della confessione. Sono disposto a morire". Fu fucilato in un campo, nei dintorni della citta di Durango, il 6 febbraio 1927 e così quel parroco mite e pronto al sacrificio iniziò la sua vera vita.

Etimologia: Matteo = uomo di Dio, dall'ebraico


Emblema: Palma


Martirologio Romano: Nella città di Durango in Messico, san Matteo Correa, sacerdote e martire, che, mentre infuriava la persecuzione contro la Chiesa, si rifiutò di ottemperare all’ordine di violare il segreto della confessione, ricevendo per questo la corona del martirio.








Mateo Correa Magallanes nasce nel 1866 in Messico, in una famiglia povera, così povera che non potrebbe mai permettersi il lusso di farlo studiare. E lui, che invece vuole diventare prete, va a lavorare nella portineria del seminario per guadagnare quanto basta per andare a scuola. Per capacità, merito e buona condotta vince poi una borsa di studio, che gli permette di continuare a studiare senza dover anche lavorare. Viene ordinato prete a 26 anni e subito lo aspetta un intenso lavoro pastorale in varie parrocchie. La persecuzione contro i cattolici lo sorprende mentre è a Valparaíso, una parrocchia vivace in cui l’Azione Cattolica sta diffondendo e raccogliendo adesioni al “Manifesto” con cui si chiede al Governo l’abrogazione delle leggi anticlericali in vigore. La situazione deve essere troppo effervescente e l’iniziativa cattolica deve raccogliere troppi consensi, se a livello centrale si decide di mandare a Valparaíso il generale Eulogio Ortíz, non a caso soprannominato “El Cruel” (= il Crudele). Come a dire:a mali estremi, estremi rimedi. In pochi giorni Ortiz riesce a dimostrare quanto gli sia appropriato quel soprannome e dispiega tutta la sua azione repressiva, soprattutto nei confronti dei giovani cattolici. Riesce anche ad arrestare e a mandare sotto processo Padre Matteo e il suo collaboratore, insieme ad alcuni giovani, ritenuti i rappresentanti delle associazioni cattoliche locali, ma il giudice li assolve “perché il fatto non sussiste”. Quelli vengono accolti in parrocchia come trionfatori, mentre il generale se lo lega al dito, come un affronto personale di cui prima o poi vuole vendicarsi. Il suo livore è soprattutto nei confronti di Padre Matteo, che sta utilizzando il periodo a lui favorevole per rianimare e rafforzare i suoi cristiani, in attesa della nuova ondata di persecuzioni che, lui sente, non tarderà di certo. Il 30 gennaio 1927, mentre sta andando a portare gli ultimi sacramenti ad una malata accompagnato dal figlio di questa, incrocia una pattuglia di militari: riconosciuto da uno di loro e immediatamente arrestato, ha appena il tempo di consegnare ad una persona fidata la sua teca con l’ostia consacrata. Per strada gli riesce perfino di familiarizzare con i soldati e la serata finisce con la recita del rosario, guidato da lui ed al quale essi rispondono in coro. La musica, però, cambia il giorno dopo, quando è davanti al generale Ortíz, al quale non sembra vero di aver messo le mani su colui che è la sua spina nel fianco: “El Cruel” non può dimenticare lo smacco subito per colpa di quel prete, che in parrocchia è venerato come un santo e di cui la gente si fida ciecamente. Ormai gli è chiaro che è per colpa di Padre Matteo se a Valparaíso la politica anticlericale del governo non riesce ad attecchire e se le associazioni cattoliche stanno così spavaldamente alzando la testa: tutti stanno prendendo esempio da quel prete, dalla fede salda e dal coraggio inossidabile, coerente e limpido, che riesce a catalizzare tutta la parrocchia e ad infiammare i cuori. Con la perfidia che gli è propria e che si addice alla sua fama di “cruel”, ordina a Padre Matteo di andare a confessare in cella i “banditi” che il giorno dopo saranno fucilati e di venirgli poi a riferire quanto da essi saputo in confessione. I “banditi” altro non sono che “cristeros”: messicani, cioè, che anche attraverso la lotta armata rivendicano il diritto di professare liberamente la loro fede, opponendosi all’azione anticlericale del governo, e per questo condannati a morte. “El Cruel” spera così di ottenere informazioni utili per arrestare altre persone e smantellare la rivolta dei cattolici, ma forse ha sottovalutato il coraggio di Padre Matteo. Che, sacerdote fino in fondo, va subito a confessare e a preparare alla morte quei poveri condannati, ma al ritorno, si rifiuta ovviamente di riferire quanto ascoltato in confessione. La furia del generale Ortíz, che si sente beffato, esplode violenta. Minacciato di morte, Padre Matteo risponde con fermezza: “Lei può anche uccidermi, ma il mio generale non sa che un prete è obbligato a conservare il segreto della confessione”. E così il mattino del giorno dopo, 6 febbraio, lo fa giustiziare con la propria pistola d’ordinanza nei pressi del cimitero, regalando alla Chiesa un nuovo martire della Confessione, beatificato da Giovanni Paolo II nel 1992 e canonizzato dallo stesso papa il 21 maggio 2000.


Autore: Gianpiero Pettiti

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07/02/2017 07:49
 
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San Coliano Venerato ad Adria

7 febbraio











Secondo il Lanzoni, Coliano è un personaggio oscuro, vissuto in epoca imprecisata.
Anche il suo nome desta incertezze, perchè i Bollandisti ritengono che sia stato deformato o contratto: infatti, nel sinodo romano del 649 era presente anche il vescovo di Adria, Callionistus o Gallionistus; questo nome col tempo potrebbe aver assunto la forma di Coliano.
Nel Martirologio di Beda si legge che questo santo era venerato ad Adria il 7 febbraio.


Autore: Gian Domenico Gordini

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08/02/2017 08:01
 
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Santi Martiri Costantinopolitani

8 febbraio




Martirologio Romano: Commemorazione dei santi monaci martiri del monastero di Dio a Costantinopoli, che, per difendere la fede cattolica, avendo portato una lettera del papa san Felice III contro Acacio, furono uccisi con grande crudeltà.

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09/02/2017 08:49
 
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Santi Primo e Donato Martiri

9 febbraio




Martirologio Romano: A Lemelléfa in Africa settentrionale, commemorazione dei santi Primo e Donato, diaconi e martiri, anch’essi uccisi dagli eretici in chiesa, mentre cercavano di difendere l’altare.

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10/02/2017 08:20
 
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Santi Zotico e compagni Martiri di Roma

10 febbraio


† Roma, inizio IV secolo

Martirologio Romano: A Roma sulla via Labicana al decimo miglio, santi Zótico e Amanzio, martiri.







Santi ZOTICO, GIACINTO, IRENEO, AMANZIO Martiri di Roma

Nella lingua italiana, il termine zotico identifica una persona grossolana, rozza nei modi, incivile; ma al tempo dell’Impero Romano, era un nome di persona molto diffuso, prova che non aveva il significato attribuitogli in seguito; portano il nome di Zotico ben dieci santi, tutti martiri dell’epoca delle persecuzioni anticristiane.
Il gruppo di cui si parla in questa scheda, è celebrato nel ‘Martirologio Romano’ il 10 febbraio, senza alcuna precisa indicazione topografica cimiteriale.
Essi subirono il martirio a Roma, fra la fine del III secolo e l’inizio del IV, probabilmente sotto l’Impero di Diocleziano, che emise il decreto persecutorio nel 303 e sepolti sulla Via Labicana.
Chi fossero veramente non si sa, di loro non esiste alcuna ‘Passio’, comunque sin dall’VIII secolo, i quattro martiri erano considerati dei semplici fedeli cristiani.
Un errore di traduzione portò a credere a torto, che fossero dei soldati (milites), ma l’indicazione latina riportata dal Martirologio Geronimiano, dice “Via Labicana mil. X hirene”, dove ‘mil.’ deve essere inteso come abbreviazione di ‘miliare’, quindi i loro corpi furono sepolti al X miglio della Via Labicana.
Su questo punto occorre ancora specificare, giacché le indicazioni del luogo dove furono sepolti, sono diverse nei vari Martirologi e codici, che pur li nominano, come il Martirologio Geronimiano, il Martirologio Romano, il Sacramentario Gelasiano, i codici Bernense, Wisseburgense, Eptermacense, di Reichenau, queste fonti portano i quattro martiri Zotico, Ireneo, Giacinto e Amanzio, a volte uniti tutti e quattro, a volte accoppiati a due, a tre o singolarmente e celebrati in giorni diversi, perché ritrovati anche in luoghi diversi.
Comparando tutte queste divergenti indicazioni, gli studiosi più recenti hanno tratto la conclusione, che i martiri erano sepolti in due diversi cimiteri posti nella stessa Via Labicana, Zotico, Ireneo e Amanzio al X miglio e Giacinto al XIV miglio; quindi i primi agiografi li unirono in un’unica celebrazione al 10 febbraio, sebbene morti in diverse date.
Dei due cimiteri non esiste più nulla, tranne delle misere rovine di quello del X miglio; papa Leone III (795-816) fece dei restauri proprio in questo cimitero, segno che nel IX secolo la venerazione dei fedeli locali per questi martiri, era ancora viva.
Ma il suo successore papa Pasquale I (817-824), se ne ignora i motivi, fece trasportare il loro corpi dal cimitero o dai cimiteri di Via Labicana, nella rinnovata Basilica di Santa Prassede a Roma.
San Zotico martire, è raffigurato in una superstite immagine con il nome identificativo, nella conca absidale della Chiesa di S. Maria in Pallara a Roma, ed è mostrato come un uomo di mezza età e di aspetto devoto.
L’immagine faceva parte di un interessante ciclo di affreschi del X secolo, composto da 14 episodi, inerenti alla prigionia e al martirio di Zotico e compagni, andati distrutti nell’originale e di cui esiste una copia in un codice vaticano.


Autore: Antonio Borrelli

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11/02/2017 08:36
 
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San Secondino Vescovo

11 febbraio




Martirologio Romano: In Puglia, san Secondino, vescovo.

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12/02/2017 08:39
 
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San Damiano d'Africa Martire

12 febbraio




Etimologia: Damiano = domatore, o del popolo, dal greco


Emblema: Palma








Nel Martirologio Romano è commemorato il 12 febbraio con la generica indicazione "in Africa" che ricorre anche in alcuni codd. del Geronimiano (Bernense, Wissemburgense), mentre in altri (Eptèrnacense) il luogo del martirio è, più precisamente, Alessandria. Ovunque è detto "soldato" e in alcuni codd. gli sono affiancati come compagni due bambini, Modesto e Ammonio, probabilmente secondo le indicazioni di una perduta passio. Nulla di sicuro è possibile dire sulla figura di Damiano, sconosciuta alle altre fonti agiografiche. Il Delehaye pensa a un'identificazione col noto compagno di Cosma: la commemorazione del 12 febbraio ricorderebbe la dedicazione della basilica di Cosma e Damiano edificata ad Attalia in Panfilia a cura di Giustiniano.


Autore: Agostino Amore

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13/02/2017 09:01
 
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San Martiniano Eremita

13 febbraio


m. Atene, Grecia, 422 circa

Il Martyrologium Romanum ricorda oggi San Martiniano, eremita presso Cesarea di Palestina e morto presso Atene in Grecia. Visse in solitudine nelle regioni impervie e scoscese nella zona di Cesarea, in Palestina.

Martirologio Romano: Ad Atene in Grecia, san Martiniano, che aveva in precedenza condotto vita eremitica nei pressi di Cesarea in Palestina.

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14/02/2017 08:36
 
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Sant' Aussenzio Sacerdote ed archimandrita

14 febbraio


m. Monte Skopa, Bitinia, 14 febbraio 473

Sant'Aussenzio, probabilmente figlio di un persiano di nome Addas, trascorse gran parte della sua vita quale eremita in Bitinia, regione dell'Ellesponto davanti a Costantinopoli. In precedenza era stato una delle guardie equestri dell'imperatore d'Oriente Teodosio II, regnante dal 408 al 450. Venuto a conoscenza durante il servizio militare della vita eremitica praticata da parecchi asceti, Aussenzio decise di abbracciare il loro stile di vita stabilendosi sulla collina desertica di Oxia, a una dozzina di chilometri da Costantinopoli. Si guadagnò ben presto fama di santità e numerose persone cercavano il suo consiglio su questioni spirituali. Sembra che anch'egli ad un certo punto venne accusato di monofisismo, dottrina che negava la natura umana di Gesù, ma venne scagionato. Aussenzio costruì un nuovo eremo sul monte Skopa, nei pressi di Calcedonia, dedicando tutto il resto della propria vita alla pratica della mortificazione e all'istruzione dei suoi discepoli sempre più numerosi, tra i quali vi erano anche alcune donne, che vivevano ai piedi del monte Skopa ed erano conosciute come le «trichinaraeae», cioè indossatrici di sacchi. Aussenzio morì il 14 febbraio probabilmente nell'anno 473. (Avvenire)

Martirologio Romano: Sul monte Scopa in Bitinia, nell’odierna Turchia, sant’Aussenzio, sacerdote e archimandrita, che, vivendo su un’altura come su una cattedra, difese con voce potente la fede calcedonese.







Sant’Aussenzio, probabilmente figlio di un persiano di nome Addas, trascorse gran parte della sua vita quale eremita in Bitinia, regione dell’Ellesponto frontale a Costantinopoli. In precedenza era stato una delle guardie equestri dell’imperatore d’Oriente Teodosio II, regnante dal 408 al 450 e sostenitore della causa monofisita. Venuto a conoscenza durante il servizio militare della vita eremitica praticata da parecchi asceti, Aussenzio decise allora di abbracciare totalmente il loro stile di vita stabilendosi sulla collina desertica di Oxia, a una dozzina di chilometri da Costantinopoli. Si guadagnò ben presto una grande fama di santità e numerose persone cercavano il suo consiglio su questioni spirituali. Pare che ad un certo punto fu forse sospettato anch’egli di monofisismo, per contatti con l’erronea dottrina attribuita a Eutiche, secondo cui dopo l’Incarnazione in Cristo non rimase che la sola natura divina, e perciò nel 451 entrambi furono convocati a Calcedonia ove era stato convocato il IV concilio ecumenico. Eutiche fu condannato e deposto, mentre Aussenzio scagionato dall’imputazione poté tornare alla sua vita.
Sozomeno scrisse di lui: “Fu noto per la sua pietà piena di fede, lo zelo verso gli amici, la morigeratezza della vita, l’amore per le lettere e la profondità delle sue conoscenze nella letteratura sia secolare che ecclesiastica. Fu modesto e riservato nella condotta, nonostante avesse familiarità con l’imperatore e gli uomini di corte. La sua memoria è tuttora riverita dai monaci e dagli uomini religiosi che lo conobbero”. Aussenzio costruì un nuovo eremo sul monte Skopa, nei pressi di Calcedonia, dedicando tutto il resto della propria vita alla pratica della mortificazione ed all’istruzione dei suoi discepoli sempre più numerosi. Anch’egli, al pari di molti eremiti, pur amando la solitudine non riusciva a cacciare coloro che si recavano da lui in cerca di consiglio. Ad un certo punto anche alcune donne si aggiunsero al novero dei suoi discepoli e vivevano in apposite comunità ai piedi del monte Skopa. Erano conosciute come le “trichinaraeae”, cioè indossatrici di sacchi, per via dei rozzi abiti che indossavano.
Alla morte di Aussenzio, probabilmente il 14 febbraio 473, le monache ottennero le spoglie del santo e le seppellirono nella chiesa del convento. In tale anniversario Sant’Aussenzio, sacerdote ed archimandrita, è ancora oggi commemorato dal Martyrologium Romanum.


Autore: Fabio Arduino

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15/02/2017 08:02
 
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San Quinidio Vescovo di Vaison-La-Romaine

15 febbraio


† 578 o 579

Martirologio Romano: A Vaison nella Gallia lugdunense, nell’odierna Francia, san Quinidio, vescovo.








San Quinidio è l’ottavo vescovo della diocesi di Vaison. Nella cronotassi dei vescovi, figura dopo San Teodosio e prima di San Barso (?).
La diocesi “civitas Vasiensium”, attestata fin dall’inizio del IV Secolo, è stata soppressa il 29 novembre 1801 e il suo territorio fu annesso all’arcidiocesi di Avignone.
Di lui non sappiamo nulla.
Gli storici affermano che governò la diocesi prima del 573 e fino al 578 o 579, epoca in cui si presume morì.
Di San Quinidio, si ricorda la sua partecipazione al concilio di Parigi del 573, dove resistette in maniera indefessa alle rivendicazioni nei confronti del suo territorio, da parte del conquistatore longobardo, il patrizio Mummolo.
Fin dai tempi antichi il corpo di San Quinidio, era conservato nel priorato di Mauriac, e la stessa città lo onorava, come suo antico protettore.
San Quinidio è il patrono secondario di Vaison. E’ ricordato anche nei propri di Avignone di Fréjus.
La sua festa si celebra il 15 febbraio.



Autore: Mauro Bonato

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16/02/2017 09:35
 
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Santi Elia, Geremia, Isaia, Samuele e Daniele e compagni Martiri

16 febbraio


† Cesarea di Palestina, 16 febbraio 310

Martirologio Romano: A Cesarea in Palestina, santi martiri Elia, Geremia, Isaia, Samuele e Daniele: cristiani di Egitto, per essersi spontaneamente presi cura dei confessori della fede condannati alle miniere in Cilicia, furono arrestati e dal governatore Firmiliano, sotto l’imperatore Galerio Massimiano, crudelmente torturati e infine trafitti con la spada. Dopo di loro ricevettero la corona del martirio anche Panfilo sacerdote, Valente diacono di Gerusalemme, e Paolo, originario della città di Iamnia, che già avevano trascorso due anni in carcere, e anche Porfirio, domestico di Panfilo, Seleuco di Cappadocia, di grado avanzato nell’esercito, Teodúlo, anziano servitore del governatore Firmiliano, e infine Giuliano di Cappadocia, che, tornato proprio in quel momento da un viaggio, dopo aver baciato i corpi dei martiri, si rivelò come cristiano e per ordine del governatore fu bruciato a fuoco lento.








Elia, Geremia, Isaia, Samuele e Daniele erano di nazionalità egiziana e convertendosi al cristianesimo assunsero i nomi suddetti di origine bibblica. Si recarono in Cilicia, regione della Turchia meridionale, al fini di visitare e portare conforto ad altri neofiti condannati ai lavori forzati nelle miniere. Con l’avvento al trono imperiale di Galerio Massimiano, si intensificarono le violente persecuzioni contro i cristiani già iniziate dal suo predecessore Diocleziano. Fu così che Elia ed i suoi compagni, una volta sulla strada di ritorno, furono arrestati dalle guardie imperiali presso Cesarea di Palestina. A quel tempo in questa città soggiornava il celebre storico ecclesiastico Eusebio di Cesarea, che riportò la vicenda nella sua opera “Martiri della Palestina”. I cinque furono condotti al cospetto del governatore Firmiliano e, orribilmente torturati, fu chiesto loro il nome e la terra d’origine: Elia elencò i nomi di tutti ed affermò che la loro patria era Gerusalemme, alludendo in tal modo alla loro meta, la Gerusalemme celeste. Infine vennero decapitati il 16 febbraio 310.
Secondo la testimonianza di Eusebio, il medesimo giorno furono martirizzati il suo maestro, amico e forse congiunto Panfilo, presbitero, i diaconi di Gerusalemme Valente e Paolo, provenienti dalla città di Iamnia, già incarcerati da due anni, Porfirio, servo di Panfilo, Seleuco della Cappadocia, centurione, Teodulo, anziano servitore della casa del governatore Firmiliano e per ultimo Giuliano della Cappadocia, che essendo entrato in città proveniente dalla campagna proprio quando gli altri martiri venivano uccisi ed accusato di essere cristiano perché ne aveva baciati i corpi, fu condannato ad essere bruciato a fuoco lento. Le vicende di questo secondo gruppo sono narrate a parte su questo scritto nella scheda “San Panfilo e compagni”, in quanto un tempo essi erano commemorati separatamente al 1° giugno.


Autore: Fabio Arduino

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17/02/2017 08:13
 
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San Teodoro di Amasea Soldato e martire

17 febbraio




Soldato dell'esercito romano di origine orientale, Teodoro era stato trasferito ad Amasea, in Anatolia (Turchia) al tempo dell'imperatore Galerio Massimiano (IV sec.). Lì la guarnigione venne raggiunta da un ordine: tutti dovevano sacrificare agli dèi. Teodoro, cristiano, si rifiutò. Venne torturato, imprigionato e infine bruciato vivo. Il culto si diffuse rapidamente in Oriente e dal VI secolo in Occidente. (Avvenire)

Patronato: Militari, reclute, Brindisi


Etimologia: Teodoro = regalo, dono di Dio, dal greco. In veneto Tòdaro


Emblema: Palma


Martirologio Romano: Ad Amasea in Ellesponto, nell’odierna Turchia, passione di san Teodoro Tirone, che, al tempo dell’imperatore Massimiano, per aver confessato la sua fede cristiana fu violentemente percosso e gettato in carcere e, infine, dato a bruciare sul rogo. Celebrò le sue lodi san Gregorio di Nissa in un celebre encomio.







Originario dell’Oriente, arruolato nell’esercito romano, era stato trasferito con la sua legione nei quartieri invernali di Amasea (Anatolia) al tempo dell’imperatore Galerio Massimiano.
Improvvisamente fu promulgato un editto per cui si ordinava ai soldati di sacrificare agli dei; Teodoro che era un cristiano si rifiutò nonostante le sollecitazioni del tribuno e dei compagni; gli fu concesso un tempo per ripensarci ma egli ne approfittò per incendiare il tempio di Cibele (Madre degli dèi) che sorgeva al centro di Amasea presso il fiume Iris.
Ricondotto in tribunale fu torturato con il cavalletto e poi gettato in prigione a morire di fame, lì ebbe celesti e confortanti visioni, infine fu condannato a bruciare vivo, ciò avvenne il 17 febbraio probabilmente fra il 306 e il 311 d.C. Il suo sepolcro stava in una piccola località Euchaite vicino ad Amasea (odierna Aukhat in Turchia) che nel secolo X fu chiamata anche Teodoropoli.
Le notizie della sua vita ci sono pervenute da un discorso pronunciato da s. Gregorio di Nissa nella basilica che sorgeva già nel IV sec. ad Euchaite nel Ponto ove era il suo sepolcro. Discorso poi confermato in una ‘passio’ greca di poco posteriore.
Il suo culto si propagò in tutto l’Oriente cristiano e successivamente nell’impero Bizantino. In Occidente la prima traccia di un culto a lui tributato deve considerarsi il mosaico absidale tuttora esistente nella basilica dei santi Cosma e Damiano al Foro Romano eretta nel 526-30.
Monasteri a lui dedicati esistevano già alla fine del secolo VI a Palermo, Messina, Ravenna, Napoli; a Venezia fino al sec. XII fu invocato come patrono della città e poi sostituito con s. Marco.
Secondo un’antica tradizione il suo corpo fu trasferito a Brindisi dove è conservato in un’urna –reliquiario di argento nella Cattedrale. Venezia lo ricorda nelle figure di una vetrata e nel portello dell’organo di due chiese e poi anche con la colonna posta in piazzetta s. Marco sulla cui sommità vi è una sua statua in armatura di guerriero, con un drago ai suoi piedi simile ad un coccodrillo.
Nel sec. IX Teodoro era l’unico santo con questo nome, ma poi appare un altro Teodoro non più soldato ma generale il quale sarebbe morto ad Eraclea al tempo di Licinio il 7 febbraio e anche lui
Sepolto ad Euchaite il 3 giugno. Questo sdoppiamento dell’unico martire Teodoro generò una doppia fioritura di leggende di cui rimangono relazioni in greco, latino e altre orientali e influirono a loro volta nei giorni delle commemorazioni.
Nei sinassari bizantini il T. generale è ricordato l’8 febbraio mentre il soldato il 17 febbraio.
Nei martirologi occidentali invece il generale è ricordato il 7 febbraio e il soldato il 9 novembre.
A volte compaiono tutti e due insieme in mosaici o affreschi riguardanti santi militari.
Comunque trattasi della stessa persona commemorata in due giorni diversi.


Autore: Antonio Borrelli

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18/02/2017 08:16
 
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Santa Esuperia di Vercelli

18 febbraio


VI secolo

Etimologia: Esuperia = esagerata, dal latino








Durante i lavori di ricostruzione della basilica eusebiana di Vercelli, nel XVI secolo fu estratta dalle fondazioni una lapide che recava scolpito l’elogio metrico di due monache ivi sepolte, di nome Costanza ed Esuperia. L’elogio, che le onora come sante religiose, ricorda che entrambe ricevettero la sacra velazione dal fratello San Costanzo, vescovo della città piemontese. L’antico calendario eusebiano commemorava al 18 febbraio una santa vergine di nome Costanza, senza però specificare se si trattasse della sorella del vescovo, ed in tal caso perché non facesse menzione anche di Santa Esuperia. Alcune frettolose spiegazioni attribuiscono questo fatto all’eventualità che Costanza eccellesse in virtù e in santità in confronto della sorella. Accettando l’identificazione, si può dire che Costanza ed Esuperia vissero nella prima metà del VI secolo, prima della discesa di Alboino in Italia. Fecero parte del monastero femminile istituito dal protocescovo Sant’Eusebio ed affidato a sua sorella Santa Eusebia.
L’elogio metrico che ornava il sepolcro delle due sorelle affermava che esse godevano ormai “una grata quiete nella pace della morte. Vissero simili nei costumi e nella professione monastica, modeste negli atti. Come un solo sacro recinto era stato la loro dimora in vita, così un solo sepolcro le accoglieva in morte, presso le sacre spoglie delle consorelle. Conservarono la castità sia spiritualmente che fisicamente e, per tale loro merito, chiunque professa la fede e la vera dottrina, è certo che esse vivono nella luce della vita eterna”. Queste energiche affermazione, che come l’intero carme sono attribuite al vescovo poeta San Flaviano, successore di Costanzo sulla cattedra vercellese, possono considerarsi testimonianza eloquente in favore della santità di Esuperia e della sorella. Odiernamente purtroppo nessuna delle due sorelle compare nel calendario liturgico dell’arcidiocesi di Vercelli.

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19/02/2017 08:42
 
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San Dositeo Monaco

19 febbraio










Forse egiziano, fu monaco in Palestina. Paggio di un alto ufficiale dell'esercito un giorno manifetsò il desiderio di visitare Gerusalemme. Nel Getsemani vide un quadro rappresentante l'inferno, che lo fece seriamente pensare al problema della sua salvezza eterna. Decise di entrare nel monastero fondato e diretto dall'abate Seridos vicino a Gaza. Doroteo a cui Dositeo fu affidato per la formazione lo spinse alla mortificazione interna, all'umiltà, all'obbedienza e al distacco da tutto. Ma il fisico del piccolo monaco non resistette a lungo al severo regime monastico. Si ammalò di tisi sopportata con esemplare pazienza.
E' commemorato il 19 febbraio.

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20/02/2017 07:25
 
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Sant' Eleuterio di Costantinopoli Martire

20 febbraio




Emblema: Palma




Ascolta da RadioMaria:




Questo nome inconsueto ai nostri giorni fu assai comune nei primi secoli del cristianesimo appartenendo a ben quattordici santi, tra cui un papa che governò la Chiesa dal 175 al 189 e viene festeggiato il 26 maggio come martire, benché il suo martirio non sia comprovato da testimonianze storiche attendibili. Oggi il Martirologio Romano ricorda due vescovi con lo stesso nome: S. Eleuterio di Costantinopoli, che resse la Chiesa bizantina in un'epoca imprecisata (inizio del secondo secolo o addirittura fine del quinto secolo), e S. Eleuterio, vescovo di Tournai in Belgio, dov'è molto diffusa la sua devozione.


Autore: Piero Bargellini

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21/02/2017 09:04
 
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Sant' Eleonora Regina d'Inghilterra

21 febbraio


1222 - Amesbury, 25 giugno 1291

Nacque nel 1222 da Raimondo Berengario IV, conte di Provenza, e da Beatrice di Savoia. Donna di grande pietà ed amante delle lettere, il 14 gennaio 1236 sposò a Canterbury il re Enrico III d'Inghilterra. Nella sua nuova residenza inglese fu seguita da un gran numero di parenti e connazionali, che abbandonarono la Provenza in cerca di fortuna. Esercitò una grande influenza, sia durante il regno di Enrico, sia nei primi anni del regno di suo figlio Edoardo I. Ritiratasi nell'abbazia benedettina di Amesbury, vi prese il velo il 3 luglio 1276 e lì visse poi sempre sino alla morte, avvenuta il 25 giugno 1291 in concetto di santità.

Etimologia: Eleonora = che ha pietà, dal greco; dimin. = Nora, Norina








In duemila anni di cristianesimo non sono purtroppo molti i fedeli laici ascesi alla gloria degli altari e tra questi la gran parte sono teste coronate di tutta Europa. Molte sovrane sono state acclamate sante dal loro popolo e la Chiesa ha ratificato il culto loro tributato. Esempi significativi sono le sante regine francesi Clotilde, Radegonda, Bianca, Giovanna e Batilde, nonchè Matilde di Germania, Elisabetta del Portogallo, Margherita di Scozia, Gladys del Galles, Berta del Kent ed Etelburga di Northumbria. Quali beate sono venerate Beatrice de Suabia, Gisella d’Ungheria, Caterina di Borsnia ed Ildegarda di Kempten, consorte di Carlo Magno. Già nell’Antico Testamento troviamo la Regina Ester, oggi commemorata anche dal Martyrologium Romanum. Giovanni Paolo II ha dichiarato “patrona d’Europa” la regina Brigida di Svezia ed ha dichiarato sante le regine polacche Kinga ed Edvige. “Venerabili” sono state riconosciute dalla Chiesa Maria Clotilde di Borbone e Maria Cristina di Savoia, rispettivamente sovrane del Regno di Sardegna e delle Due Sicilie. Recentemente sono state introdotte le cause di canonizzazione anche per Isabella “la Cattolica”, celeberrima regina di Castiglia, ed Elena del Montenegro, moglie di Vittorio Emanuele III di Savoia.
Oggi è invece festeggiata Santa Eleonora, nelle cui vene per parte materna scorreva anche sangue sabaudo. Nata nel 1222, era infatti figlia di Beatrice di Savoia e Raimondo Berengario IV, conte di Provenza. Il nonno non era che il Beato Umberto III conte di Savoia, primo santo di Casa Savoia. Eleonora, donna di grande pietà ed amante delle lettere, il 14 gennaio 1236 a Canterbury convolò a nozze con il re Enrico III d’Inghilterra.
Nella sua nuova residenza inglese fu seguita da numerosi suoi parenti e connazionali, che abbandonarono la Provenza in cerca di maggior fortuna. Molti di essi, infatti, riuscirono con la sua intercessione ad occupare vari importanti uffici pubblici, ma il favoritismo di Eleonora nei loro riguardi suscitò contro di lei una grande impopolarità da parte dei sudditi inglesi. Questi insorsero nel 1261, costringendala a rifugiarsi nella torre di Londra. Allorché Enrico III fu fatto loro prigioniero nel 1264, durante la battaglia di Lewes, ad Eleonora non restò che fuggire nel continente, ove riunì un esercito con cui riuscì a far liberare il marito.
Tornata dunque in Inghilterra nel 1265, insieme al Legato Pontificio, Eleonora non mancò di esercitare una grande influenza, sia durante il regno di Enrico, sia nei primi anni del regno del figlio nato dalla loro unione, Edoardo I. Ritiratasi infine dalla vita pubblica, il 3 luglio 1276 prese il velo nell’abbazia benedettina di Amesbury, ove trascorse i suoi giorni sino alla morte, avvenuta il 25 giugno 1291 in concetto di santità.
E’ facile comprendere come la venerazione nei suoi confronti sia nata in modo particolare all’interno dell’ordine religioso di cui fece parte e comunque il suo culto non è mai stato ufficializzato dalla Chiesa. Nonostante ciò la festa di Santa Eleonora viene localmente celebrata al 21 febbraio.


Autore: Fabio Arduino

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22/02/2017 07:57
 
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San Pascasio di Vienne Vescovo

22 febbraio


Prima del 441

Martirologio Romano: A Vienne nella Gallia lugdunense, ora in Francia, san Pascasio, vescovo, insigne per cultura e santità di costumi.








San Pascasio (o Paschade) divenne vescovo e governò la diocesi di Vienne agli inizi del V secolo.
Nella cronotassi ufficiale dei vescovi della diocesi è inserito all’undicesimo posto, come indicato dalla “Cronaca universale” di Adone.
Fa parte di quella prima schiera di vescovi antichi della diocesi di Vienne, che vengono considerati tutti Santi.
Non c’è una data certa del suo governo. Sappiamo che succede a San Simplicio menzionato nel 400 e precede San Claudio, vescovo prima del 441.
Viene ricordato per la sua integrità ed erudizione.
Inoltre San Pascasio è conosciuto quale un famoso confessore.
Su di lui, intorno al secolo X, si inventò un falso privilegio, secondo cui il Papa Silvestro in una sua lettera autografa lo nominava primate di tutti i vescovi di Gallia.
La sua festa è stata fissata al 22 febbraio.


Autore: Mauro Bonato

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23/02/2017 09:25
 
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San Sereno (o Sireno o Sinero) di Sirmio Martire

23 febbraio




Martirologio Romano: A Sirmio in Pannonia, oggi in Serbia, san Siréno o Sinéro, martire, che, giardiniere, denunciato da una donna che egli aveva rimproverato per la sua lascivia e fatto prigioniero dal giudice, si professò cristiano e, rifiutatosi di sacrificare agli dei, morì decapitato.

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24/02/2017 06:04
 
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San Modesto di Treviri Vescovo

24 febbraio




Martirologio Romano: A Treviri in Gallia belgica, nell’odierna Germania, san Modesto, vescovo.








San Modesto è il diciannovesimo vescovo di Treviri. Nella cronotasasi ufficiale dei vescovi succede a San Mileto e precede Massimiano.
San Modesto fu governò la diocesi di Treviri nel difficile periodo in cui la città passò sotto il dominio dei Franchi.
Egli era vescovo durante l'invasione effettuata dai re franchi Meroveo e Childerico I.
Sulla vita di questo vescovo sappiamo ben poco.
La tradizione lo ricorda come predicatore instancabile per le vie della città. Fu un uomo assiduo nella preghiera che praticava sistematicamente la pratica del digiuno.
San Modesto ha combattuto contro lo scoraggiamento e la povertà di tutto il suo popolo. Fu inoltre instancabile nella lotta all'indisciplina del clero e nella lotta alla corruzione.
Si pensa morì intorno al 486.
Le sue reliquie sono venerate nella chiesa di San Mattia a Treviri .
La sua festa secondo il Martirologio Romano è stata fissata il giorno 24 febbraio.


Autore: Mauro Bonato

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25/02/2017 09:26
 
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Santa Valburga (Valpurga) Badessa di Heidenheim

25 febbraio


Devonshire, Wessex, Inghilterra, 710 c. - Heidenheim, Germania, 25 febbraio 779

Di lei si sa che visse nel secolo VIII, di stirpe inglese, Valburga era sorella dei santi Villibaldo e Vunibaldo, faceva parte del gruppo di monache e monaci che aiutarono s. Bonifacio (680-755) ad evangelizzare la Germania. Era monaca nel monastero di Wimborne (Dorset) e dopo due anni divenne badessa delle monache del doppio monastero, istituito da suo fratello Villibaldo ad Heidenheim, mentre l’altro fratello Vunibaldo guidava il ramo maschile. Alla morte di Vunibaldo, prese lei la direzione dell’intera istituzione, rimanendo badessa per tutta la vita.

Martirologio Romano: Nel monastero di Heidenheim nella Franconia in Germania, santa Valburga, badessa, che, su richiesta di san Bonifacio e dei suoi fratelli i santi Villibaldo e Vinebaldo, dall’Inghilterra venne in Germania, dove resse saggiamente due monasteri, di monaci e di monache.







Il suo nome è stato trascritto in varie forme: Valpurga, Valburga, Valpurgis. Lei è una delle figure più rappresentative tra i missionari inglesi che nel secolo VIII d.C. diffondono e organizzano il cristianesimo in terra tedesca. Li guida Vinfrido, più conosciuto poi come san Bonifacio e definito l’“apostolo della Germania”, che ha chiamato a quest’impresa molti suoi parenti. Anche Valpurga è una di loro: ha studiato in un monastero del Wessex e poi ha raggiunto la Germania con altre religiose d’Inghilterra. (In questo gruppo di missionari c’è anche la futura santa Leoba o Lioba, una religiosa educata nel monastero dell’isoletta di Thanet, e poi animatrice del monachesimo femminile nel mondo tedesco).
Di lei si sa che visse nel secolo VIII, di stirpe inglese, Valburga era sorella dei santi Villibaldo e Vunibaldo, faceva parte del gruppo di monache e monaci che aiutarono s. Bonifacio (680-755) ad evangelizzare la Germania.
In Germania, Valpurga trova i suoi due fratelli: Villibaldo, che è vescovo di Eichstätt, nella Baviera; e Vinnibaldo, che dirige a Heidenheim un monastero “doppio”, formato cioè da una comunità maschile e da una femminile sotto un unico abate. Questa è una novità trapiantata dall’Inghilterra, e qui Valpurga diventa badessa dopo la morte del fratello nel 761: una donna che comanda anche agli uomini. Guidata da lei, l’abbazia continua a essere un centro di forte irradiazione religiosa e culturale, e di aiuto alla gente del luogo, secondo la tradizione benedettina. Non vi mancano le monache scrittrici come Ugeburga, biografa dei due fratelli Villibaldo e Vinnibaldo.
Valpurga guida monaci e monache di Heidenheim per diciotto anni, fino alla sua morte, e subito dopo si diffonde intorno alla sua figura una venerazione popolare che dura nel tempo. Circa un secolo dopo, il vescovo di Eichstätt fa portare il corpo di Valpurga nella sua città, e altre reliquie arrivano in Francia e nelle Fiandre. Dalla sua nuova tomba trasuda per qualche tempo una sostanza liquida che, secondo alcuni, sarebbe un medicamento prodigioso. Un’ingenua voce, che a suo modo tramanda la fama di Valpurga come soccorritrice dei sofferenti. Venerata come santa per voce dei fedeli, in suo onore sono state istituite due feste: nell’anniversario della morte (25 febbraio) e poi nel giorno della sua traslazione a Eichstätt, avvenuta il 1° maggio 870. Ma la notte sul 1° maggio – secondo remote leggende precristiane diffuse nel mondo germanico – era anche quella in cui una moltitudine di streghe si abbandonava a deliranti festini, in mezzo a "un nebbione d’inferno", mentre "irrompe a fiumi un furibondo canto di magia" (dal Faust di Goethe). Per questa casuale coincidenza cronologica, l’immaginaria notte delle streghe scatenate viene anche chiamata “notte di santa Valpurga”. Due realtà distanti, che proprio non hanno nulla da spartire.
Nell’893 ci fu una cerimonia di diffusione delle sue reliquie, considerata come una ‘canonizzazione’, alcune furono mandate nelle Fiandre, nella Francia del Nord e nella Renania, contribuendo così alla diffusione del culto per santa Valburga.
Il re di Francia, Carlo III il Semplice (879-929), costruì nel suo palazzo ad Attigny, un santuario a lei dedicato. È celebrata normalmente nel giorno della sua morte il 25 febbraio, ma ha anche altre date celebrative a Eichstätt e Zutphen.


Autore: Antonio Borrelli

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26/02/2017 09:17
 
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San Faustiniano Vescovo di Bologna

26 febbraio


Bologna, IV secolo

Secondo Vescovo di Bologna. Con le sue predicazioni, fortificò e fece fiorire la Chiesa oppressa dalle persecuzioni.

Etimologia: Faustiniano = (come Fausto) propizio, favorevole, dal latino


Emblema: Palma


Martirologio Romano: A Bologna, san Faustiniano, vescovo, che rafforzò e fece crescere con la parola della predicazione la Chiesa oppressa dalla persecuzione.



Ascolta da RadioVaticana:




S. Faustiniano, secondo la più antica lista dei vescovi dell’archidiocesi di Bologna, cioè il cosiddetto “Elenco renano” precedente al secolo XIV, è posto al secondo posto; questa notizia è confortata anche da un’iscrizione a caratteri gotici, anteriore al 1494, dove si legge che s. Zama fu il primo vescovo e s. Faustiniano il secondo.
Secondo alcuni studiosi egli sarebbe da identificare con il ‘Faustinus’ vescovo, citato da s. Atanasio vescovo di Alessandria, nella sua “Apologia contra Arianos”, in un elenco di vescovi italiani partecipanti al Concilio di Sardica (antico nome di Sofia in Bulgaria), nel 343.
L’ipotesi è accettabile in quanto questi vescovi in buona parte erano del litorale adriatico, e nell’elenco non è indicato per nessuno la città di cui erano vescovi, poi nell’antichità era abbastanza comune creare diminutivi dei nomi (Faustus = Faustinus = Faustinianus).
Se tutto ciò fa stabilire che s. Faustiniano era in carica nel 343, fa risultare come non plausibile, l’antica tradizione bolognese che dice, che durante la persecuzione di Diocleziano, morto nel 313, s. Faustiniano avrebbe divulgato la fede in Bologna; le date non corrispondono, anche perché la sede episcopale di Bologna non sembra essere sorta prima del secolo IV.
Il culto per il santo vescovo iniziò solo dopo il secolo XII; nel 1586 ad opera del cardinale Gabriele Paleotti, le reliquie furono trasferite nella cattedrale; la sua celebrazione è al 26 febbraio.


Autore: Antonio Borrelli

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27/02/2017 08:14
 
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San Gregorio di Narek Monaco e Dottore della Chiesa

27 febbraio


Andzevatsik, Turchia, circa 950 - Narek, Turchia circa 1005



Il monaco Gregorio di Narek fu un insigne teologo, poeta e scrittore religioso armeno. Tra le sue opere si annoverano un commentario al Cantico dei Cantici, numerosi panegerici (tra i quali uno in onore alla Madonna) ed una raccolta di 95 preghiere in forma poetica dette “Narek” dal nome del monastero ove visse. La sua teologia presenta importanti aspetti di mariologia, tra cui il preannuncio del dogma dell’Immacolata Concezione, proclamato oltre ottocento anni dopo.Il 12 aprile 2015 Papa Francesco lo ha dichiarato “Dottore della Chiesa universale” con la Lettera apostolica “quibus sanctus Gregorius Narecensis Doctor Ecclesiae universalis renuntiatur”.

Martirologio Romano: Nel monastero di Narek in Armenia, san Gregorio, monaco, dottore degli Armeni, insigne per la dottrina, gli scritti e la scienza mistica.








La vita
San Gregorio nacque molto probabilmente intorno all’anno 950 ad Andzevatsik in Armenia, oggi territorio turco, da una famiglia di scrittori. Fu dunque proprio il clima domestico a favorire la sua formazione intellettuale. Era inoltre nipote del fratello di Anania Narekatsi, padre del monastero di Narek, uno dei dottori più celebri dell’epoca, soprannominato “filosofo”. La madre di Gregorio morì mentre egli era ancora in tenera età e suo padre Khosrov, divenuto in seguito arcivescovo, decise di affidarlo insieme al fratello Giovanni proprio ad Anania. Presso il monastero di Narek, città anch’essa oggi parte della Turchia, esisteva una celebre scuola di Sacra Scrittura e di Patristica.
A quel tempo, l’Armenia viveva in relativa tranquillità. Non c’erano state le invasioni mongoliche e turche che mutarono la fisionomia del paese ed era un’epoca di creatività e pace, cosa che permise alla nazione una fioritura delle arti — letteratura, pittura, architettura, teologia —, nella quale Gregorio svolse un ruolo importantissimo.
Gregorio trascorse nel monastero tutta la sua vita: ben presto fu ordinato sacerdote e venne eletto abate del monastero alla morte di Anania, conducendo sempre una vita piena di umiltà e carità, impregnata di lavoro e di preghiera, animato da un ardente amore per Cristo e la sua Madre Santissima. La vita monastica gli fu indubbiamente di aiuto nel raggiungere le vette della santità e dell’esperienza mistica, dando dimostrazione della sua sapienza in vari scritti teologici e divenendo uno dei più importanti poeti della letteratura armena.
Siccome la sua fama di santità passò dal monastero di Narek ai monasteri delle vicinanze, San Gregorio divenne un riformatore di monaci. Tuttavia, la sua radicale fedeltà all’osservanza delle regole monastiche contrastava con il rilassamento di alcuni novizi. Questi, mossi inoltre dall’invidia, promossero contro di lui un’infame persecuzione, accusandolo di disseminare eresie nei suoi insegnamenti. Di conseguenza, fu deposto dai suoi incarichi.
La Provvidenza non tardò a venire in aiuto del suo fedele servitore. Delle cronache antiche raccontano che i vescovi designarono due monaci saggi per interrogare il santo abate riguardo alle sue presunte eresie. Questi, però, ritennero più efficace sottoporlo a una prova. Si presentarono nella sua cella, nel periodo quaresimale di astinenza dalla carne prescritto dalla regola, e gli offrirono un delizioso paté di piccioni come se si trattasse di pesce. Non appena entrarono, Gregorio interruppe la preghiera, aprì la finestra, cominciò a battere le mani e a gridare agli uccelli che lì intorno cinguettavano: “Venite, uccellini, a giocare con il pesce che si mangia oggi”. I due monaci intesero che quella facilità a scoprire e a liberarsi del tranello era una testimonianza eloquente della santità di Gregorio e, pertanto, dell’ortodossia della sua dottrina.
Entro le mura di un monastero, nelle misteriose terre orientali dell’antica Armenia, questo monaco scelse la parte migliore: imparò a conversare, nel tempo, con il Signore delle Altezzee, per godere della sua compagnia in eterno.
Già in vita, fu circondato da fama di santità e gli si attribuirono alcuni miracoli. Morì nel 1005, nel Monastero di Narek, dove venne sepolto.

Il Libro delle Lamentazioni
Nel 1003 Gregorio terminò la sua opera più famosa: il Libro delle Lamentazioni, chiamato anche Narek. Era il frutto di non poche fatiche durante una dolorosa malattia, come rivela in una delle sue preghiere: “Abbattuto dai miei crimini, sul letto delle mie malattie e il letamaio dei miei peccati, non sono niente più che un cadavere vivente, un morto che ancora parla. [...] Allora, come al giovane chiamato alla vita per lenire il dolore di sua madre, Tu ridammi la mia anima peccatrice rinnovata come la sua”. Libro unico nel suo genere, è composto in forma di invocazioni, soliloqui, colloqui con Dio che evocano, raccontano, piangono il dramma dell’itinerario spirituale, la tragedia dell’esistenza, dell’esserci in questo mondo proteso verso qualcosa che non è di questo mondo. Gregorio considerava questo suo capolavoro come un vero e proprio testamento spirituale ed espresse il desiderio ardente che le preghiere in esso contenute facessero sentire la sua presenza dopo la morte: “Che invece di me, al posto della mia voce, questo libro risuoni come un altro me stesso”.
Il Narek si compone di 95 “capitoli”, di dimensioni molto varie, che l’autore chiama ban, termine corrispondente al greco logos di cui esprime tutte le sfumature. “Dal profondo del cuore colloquio con Dio”: queste sono le parole poste all’inizio del primo ban, quasi un’antifona che si ripeterà, ampliata pressoché in tutti i ban successivi.
Gregorio di Narek, formidabile interprete dell’animo umano, sembrò pronunciare parole profetiche: “Io mi sono volontariamente caricato di tutte le colpe, da quelle del primo padre fino a quello dell’ultimo dei suoi discendenti, e me ne sono considerato responsabile” (Libro delle Lamentazioni, LXXII). Colpisce questo suo sentimento di universale solidarietà ed è facile sentirsi piccoli di fronte alla grandezza delle sue invocazioni: “Ricordati, [Signore,] … di quelli che nella stirpe umana sono nostri nemici, ma per il loro bene: compi in loro perdono e misericordia (...) Non sterminare coloro che mi mordono: trasformali! Estirpa la viziosa condotta terrena e radica quella buona in me e in loro” (ibid., LXXXIII).

Preannunci del dogma dell’Immacolata Concezione
Secondo una tradizione armena trasmessa di generazione in generazione, durante un lungo periodo della sua vita, Gregorio pianse implorando a Dio la grazia di vedere con i suoi propri occhi la Vergine Maria con il Bambino Gesù in braccio, almeno per una volta sola. Una notte, mentre era nella sua cella, vide scendere dal Cielo una luce che incideva su una piccola isola nel Lago di Van. Una lieve brezza si fece sentire e Maria Santissima apparve con Gesù in braccio. Non appena la vide, esclamò: “Ora, Signore, accogli la mia anima, perché ho già ottenuto quello che tanto desideravo”. La visione scomparve, ma l’isola passò a chiamarsi Aṙter — Aṙ Tēr significa “Signore, accogli”, in armeno —, e questo fatto memorabile fu riprodotto in molte miniature.
L’amore a Maria Santissima è una caratteristica dominante della sua spiritualità. A lei si riferisce come: “Questa Madre, che mi ama come un figlio, è spirituale, celeste e luminosa”. Una così grande devozione fu manifestata in modo particolare nell’orazione 80, intitolata Alla Madre di Dio, nella quale presenta importanti aspetti di mariologia, tra cui il preannuncio del dogma dell’Immacolata Concezione, proclamato oltre ottocento anni dopo.
Riportiamo i suoi bei passi iniziali: “Ecco che Ti supplico, Santa Madre di Dio, Angelo e figlia degli uomini, Cherubino apparso in forma corporea, Sovrana celeste, sincera come l’aria, pura come la luce, senza macchia che si alza come la stella del mattino, più santa della dimora inviolabile del Tempio, luogo di beate promesse, Eden dotato del soffio divino, albero della vita eterna, custodita da una spada di fuoco! Il sublime potere del Padre Ti ha ricoperto con la sua ombra e lo Spirito Santo, riposando in Te, Ti ha ornato con la sua santità; il Figlio, facendo in Te la sua dimora, Ti ha preparato come un tabernacolo; l’Unigenito del Padre è il tuo Primogenito, tuo Figlio per nascita, tuo Signore, poiché Ti ha creato. Niente macchia la tua purezza, niente macchia la tua bontà; Tu sei la santa immacolata, la cui intercessione ci protegge”.
Il suo rapporto con la Madre di Dio, molto allo stile orientale, esprime la dottrina in forma di panegirico e lode, a differenza degli occidentali, in particolare i latini, che formulano invece canoni e definizioni dogmatiche.

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28/02/2017 09:23
 
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San Romano di Condat Abate

28 febbraio


390 - 463

La Vita Patrum Jurensium, scritta da un suo seguace, ci racconta che Romano per primo ebbe l’idea di isolarsi in prossimità delle foreste Giura. Per la sua fama , il vescovo Ilario di Besancon, lo ordinò sacerdote. Con il fratello Lupicino ed altri seguaci, Romano fondò un grande monastero a Condat, un secondo a Leuconne e un monastero femminile di clausura a le Beaume, di cui fu badessa una loro sorella.

Etimologia: Romano = nativo di Roma, dal latino


Emblema: Bastone pastorale


Martirologio Romano: Sul massiccio del Giura in Francia, deposizione di san Romano, abate, che, seguendo il modello degli antichi monaci, per primo condusse in quel luogo vita eremitica, divenendo poi padre di moltissimi monaci.



Ascolta da RadioVaticana:
Ascolta da RadioRai:
Ascolta da RadioMaria:




I primi contatti del monachesimo orientale col mondo latino furono propiziati dai frequenti esili ai quali venne condannato S. Atanasio. E’ nel secolo IV infatti che prese il via il monachesimo occidentale, destinato a produrre effetti di spirituale perfezione e di civile progresso.
Basti ricordare S. Benedetto. Il primo monastero in Gallia sorse nel 371 per opera di S. Martino di Tours: poi si ebbe una improvvisa fioritura di abbazie, in una delle quali, ad Ainay, presso Lione, troviamo all'inizio del V secolo il monaco Romano.
Non contento della pur rigida regola che vigeva nel suo monastero, col permesso dell'abate, munito di un testo della Sacra Scrittura e con gli attrezzi da lavoro sulle spalle, egli si inoltrò tra le inesplorate montagne del Giura. Di lui si persero poi le tracce, ma ciò non impedì che qualche anno dopo suo fratello Lupicino, rimasto vedovo, ne scoprisse il romitaggio e si aggregasse a lui, attirando dietro di sé altri uomini. Romano e Lupicino fecero spazio ai nuovi venuti, erigendo un primo grande monastero a Condat e un secondo a Leuconne. Poi li raggiunse anche una loro sorella, per la quale eressero un terzo monastero, poco lontano, in località detta La Beaume. I due fratelli condividevano in perfetta armonia il governo delle nuove comunità. I loro temperamenti, diametralmente opposti, si completavano a vicenda: Romano era uno spirito tollerante, incline alla comprensione e alla magnanimità; Lupicino era austero, intransigente con la regola, della quale pretendeva l'assoluta osservanza. Così, dopo un raccolto eccezionale, avendo i monaci scordato le rigide norme dell'astinenza, Lupicino fece gettare le provviste nel torrente e ordinò che a mensa venisse servita soltanto una minestra d'orzo. Dodici monaci non ressero a tanta austerità e abbandonarono il convento: fu Romano a correr loro dietro e ad implorarli con le lacrime agli occhi di far ritorno all'ovile.
La sua bontà trionfò anche in questa occasione. Più tardi, durante un pellegrinaggio alla tomba di S. Maurizio a Ginevra, compiuto in compagnia di un suo monaco, S. Pallade, avendo trovato riparo per la notte nella capanna dove si celavano due poveri lebbrosi, Romano non esitò ad abbracciarli. Il mattino dopo quei due relitti umani constatarono di essere completamente guariti e corsero in città a raccontare l'accaduto. Altri prodigi si verificarono durante quel pellegrinaggio. Poi il dolce e piissimo Romano tornò definitivamente alla solitudine di Condat dove precedette il fratello e la sorella nella tomba, nel 463. Era nato verso il 390.


Autore: Piero Bargellini

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01/03/2017 08:37
 
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San Silvio e compagni Martiri venerati ad Anversa

1 marzo


† Roma, II secolo

Etimologia: Silvio = abitatore delle selve, uomo dei boschi, selvaggio, dal latino


Emblema: Palma








Ci sono cinque santi, tutti dell’antichità cristiana, che portano questo nome, poi ve ne sono altri con le varianti Silvino, Silvano, Silvia, Silvana; il Silvio del quale si parla in questa scheda, fa parte di un gruppo di martiri di cui alcuni nomi sono Massimo, Benigno, Fedele, Silvio.
Di loro non si sa niente, chi furono nella vita, come subirono il martirio, chi furono i loro giudici; si sa solo che le loro reliquie erano deposte nel cimitero di S. Callisto in Roma, quindi è da presumere perlomeno che morirono a Roma, in una delle grandi persecuzioni contro i cristiani.
Di s. Silvio e compagni si ritornò a parlarne il 28 febbraio 1650, quando i Gesuiti belgi di Anversa, ricevettero le loro reliquie (si ricorda che era pratica molto diffusa, quella di donare le reliquie dei martiri a Comunità e Chiese meritevoli in Italia e in Europa) e come era logico, esse furono accolte con solenni riti, che le cronache dell’epoca riportarono ampiamente.
Gli studiosi della materia, cercarono loro notizie, trovando solo la conferma della loro provenienza romana e dei loro nomi, evidentemente incisi sui contenitori, com’era uso fare nei cimiteri e catacombe cristiane.
La loro ricorrenza liturgica nella chiesa della Compagnia di Gesù, si celebrava ad Anversa il 1° marzo.


Autore: Antonio Borrelli

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02/03/2017 07:22
 
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San Quinto il Taumaturgo

2 marzo


m. 280/285

Etimologia: Quinto = il quinto figlio nato, dal latino




Ascolta da RadioRai:




E’ considerato martire per i supplizi ricevuti anche se come s. Giovanni Evangelista, dopo averli sopportati morì in pace di vecchiaia.
Nativo della Frigia da un famiglia cristiana, si portò in Eolide e qui si dedicò all’assistenza dei poveri. Il governatore Rufo, al tempo dell’imperatore Aureliano (270-275), cercò di costringere Quinto a sacrificare agli idoli secondo i decreti imperiali, ma poi lo lasciò libero perché era stato liberato dall’ossessione demoniaca in merito alle preghiere dello stesso Quinto.
I sinassari greci raccontano che questo avvenne nella città di Cime, dove un terremoto abbatté le statue e il tempio degli idoli, mettendo in fuga quanti erano lì presenti. Quaranta giorni dopo il suo rilascio, Quinto fu di nuovo arrestato da un altro magistrato Clearco, più intransigente di Rufo e sottoposto a torture, ma Dio lo guarì immediatamente dalle ferite, visto ciò fu di nuovo rilasciato e non ci si occupò più di lui.
Poté continuare così il suo ministero risanando i malati e venendo in aiuto dei poveri per altri dieci anni, morì nel 280-85 circa.
Nome piuttosto diffuso fra i Romani e indicava il “quinto figlio”: quintus.


Autore: Antonio Borrelli

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POTRESTE AVERE DIECIMILA MAESTRI IN CRISTO, MA NON CERTO MOLTI PADRI, PERCHE' SONO IO CHE VI HO GENERATO IN CRISTO GESU', MEDIANTE IL VANGELO. (1Cor. 4,15 .
 
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