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CREDENTI DA IMITARE (Eb.13,7)

Ultimo Aggiornamento: 18/05/2019 13:12
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09/11/2015 08:30
 
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Beata Elisabetta della Trinità Catez Carmelitana

9 novembre


Bourges, Francia, 18 luglio 1880 - Digione, 9 novembre 1906

Elisabeth Catez nacque il 18 luglio 1880 nel Campo d'Avor presso Bourges (Francia), e fu battezzata quattro giorni dopo. Nel 1887 la famiglia si trasferì a Digione. Quello stesso anno muore il papà. Il 19 aprile 1890 riceve la Prima Comunione, l'anno dopo il sacramento della Confermazione. Nel 1894 emise il voto di verginità. Sentendosi chiamata alla vita religiosa chiese alla madre il permesso di poter entrare al Carmelo, ma questa le oppose un netto rifiuto, finchè, non fu costretta a cedere ma a condizione che vi entrasse al compimento della maggiore età. Il 2 agosto 1901 entrava nel Carmelo di Digione dove l'8 dicembre 1901 vestì l'abito religioso. L'11 gennaio 1903 emise la Professione religiosa. Il 21 gennaio dello stesso anno compì la cerimonia della velazione monastica. I cinque anni della sua vita religiosa furono una continua ascesa verso Dio ed il Signore purificò la sua anima con sofferenze spirituali, e con sofferenze corporali attraverso il terribile morbo di Addison che la portò alla morte il 19 novembre 1906.

Martirologio Romano: A Digione in Francia, beata Elisabetta della Santissima Trinità Catez, vergine dell’Ordine delle Carmelitane Scalze, che sin dalla fanciullezza cercò e contemplò nel profondo del cuore il mistero della Trinità e, ancora giovane, tra molte tribolazioni, giunse, come aveva desiderato, all’amore, alla luce, alla vita.







La bibliografia che parla di questa beata è immensa, segno di una incredibile spiritualità tutta da scoprire, meditare, analizzare; maturata nel chiuso di un Carmelo, contemporanea di quell’altra grande colonna dell’ascesi carmelitana, che fu santa Teresa del Bambino Gesù di Lisieux (1873-1897).
Elisabetta Catez nacque nel campo militare di Avor presso Bourges (Francia) il 18 luglio 1880, poi trasferita con la famiglia prima ad Auxonne e poi a Digione, dove nell’ottobre 1887 rimase orfana di padre. Dotata di un carattere piuttosto duro, volitiva, impetuosa, ardente, estroversa, dovette lavorare a lungo e un poco alla volta per dominarsi o come diceva lei, di “vincersi per amore”, attirata da Cristo, particolarmente a cominciare dalla Prima Comunione, ricevuta il 19 aprile 1891 e con la cresima il 18 giugno successivo.
Senza frequentare mai scuole vere e proprie, ebbe i primi rudimenti del sapere, dello scrivere e delle scienze da due istitutrici, con una infarinatura di letteratura. Però fin da piccola frequentò il conservatorio di Digione, dove trovò nella musica una forma di donazione e di preghiera, ottenne i primi premi di esecuzione al pianoforte.
In piena adolescenza, cominciò a sentirsi attratta da Cristo e – racconta lei stessa – “senza attendere mi legai a Lui con il voto di verginità; non ci dicemmo nulla, ma ci donammo l’uno all’altra in un amore tanto forte, che la risoluzione d’essere tutta sua divenne per me ancor più definitiva”.
Sentì risuonare nel suo spirito la parola ‘Carmelo’ per cui non ebbe altro pensiero che ritirarsi in tale sacra struttura. Ma trovò una forte opposizione nella madre, la quale rimasta vedova così giovane, aveva riposto nella figlia e nelle sue possibilità musicali, di avere un aiuto nella vita, pertanto si dimostrò contraria alla vocazione di Elisabetta, proibendole di frequentare il Carmelo di Digione, anzi proponendogli il matrimonio con un buon giovane.
Ma la giovane era ormai innamorata di Cristo e non c’era spazio per altri amori, ad ogni modo ubbidì alla madre per quanto riguardava i contatti con il monastero carmelitano, pur ribadendo la sua immutata volontà.
Solo quando raggiunse i 19 anni la signora Catez cedette, ma ponendo la condizione che avrebbe potuto entrare nel Carmelo solo nel 1901, quando avrebbe compiuto i 21 anni; nel frattempo la conduceva a varie feste danzanti della buona società, con la speranza che Elisabetta avrebbe cambiato idea.
Ma lei anche in mezzo al mondo, ascoltava il suo Gesù nel silenzio di un cuore che non voleva che essere che suo. Prima di uscire per queste feste, s’inginocchiava in casa, pregava, si offriva alla Madonna, poi con naturalezza e con un sorriso, viveva queste occasioni di festa gioiosa, tutta presa dal pensiero della Comunione che avrebbe ricevuta il mattino successivo e si rendeva estranea e insensibile a tutto quello che accadeva intorno a lei.
Si preparò così alla vita monastica, insegnando il catechismo ai piccoli della parrocchia, soccorrendo i poveri più abbandonati, in comunione stretta con la Trinità e con la Madonna. Il 2 agosto 1901 entrò nel Carmelo di Digione e l’8 dicembre ne vestì l’abito, dopo un fervoroso anno di noviziato, l’11 gennaio 1903 pronunciò i voti, prendendo il nome di Elisabetta della Trinità.
Ma la gioia di aver raggiunto la meta desiderata, dopo un inizio pieno di speranze e promesse, fu bloccata ben presto, perché il 1° luglio 1903, si manifestò nella giovane professa uno strano male, non diagnosticato correttamente e curato con terapie sbagliate, solo più tardi si diagnosticò per il terribile morbo di Addison (malattia caratterizzata da una profonda astenia, con ipotensione, dolori lombari, turbe gastriche, una colorazione bronzina della pelle, dovuta per lo più alla tubercolosi delle capsule surrenali).
Nessuno del monastero, ne i medici avvertirono subito la gravità del male, non conoscendone allora sintomi e terapia; il morbo ebbe una sua classificazione nel 1855 dal medico inglese Thomas Addison (1793-1860) da cui prese il nome.
Suor Elisabetta della Trinità accettava tutto con il sorriso e l’abbandono alla volontà di Dio, manifestando la sua “gioia di configurarsi al Crocifisso per amore” e diventando veramente “lode di gloria della Trinità”. Da un suo scritto datato, venerdì 24 febbraio 1899, rileviamo la conoscenza che lei aveva del suo male oscuro e la trasformazione della sofferenza in sublimazione: “Poiché mi è quasi impossibile impormi altre sofferenze, devo pure persuadermi che la sofferenza fisica e corporale non è che un mezzo, prezioso del resto, per arrivare alla mortificazione interiore e al pieno distacco da sé stessi. Aiutami Gesù, mia vita, mio amore, mio Sposo”.
Il 21 novembre del 1904 si era offerta “come preda” alla Trinità con la celebre invocazione: “O mio Dio, Trinità che adoro”, uscita di getto dalla sua anima. Gli anni dal 1900 al 1905 trascorsero tra alti e bassi della malattia, ma nel 1906 la situazione precipitò; le crisi si susseguivano opprimendola e soffocandola, mentre le viscere davano la sensazione di essere dilaniate da bestie feroci; non riusciva ad assumere né cibo né bevande, ciò nonostante non smise mai di sorridere.
In quell’estate del 1906 obbedendo alla priora, scrisse le sue meditazioni, frutto di quei mesi terribili, nell’”Ultimo ritiro di Laudem gloriae” e nel “Come trovare il cielo sulla terra”. La progressione del male ormai la consumava e scrivendo alla madre, diceva: “il mio Sposo vuole che io gli sia una umanità aggiunta nella quale Egli possa soffrire ancora per la gloria del Padre e per aiutare la Chiesa… Egli ha scelto la tua figlia per associarla alla grande opera della Redenzione”.
Parlava comunque e stranamente di gioia; eppure al martirio del corpo si era aggiunto quello dello spirito, con un senso di vuoto e di abbandono da parte di Dio, che tutti i mistici hanno conosciuto, ebbe persino tentazioni di suicidio, superate nella fede dell’amore per Cristo.
Il morbo ebbe un decorso piuttosto lungo e doloroso, verso l’autunno sembrò avviarsi verso la fine; giunto il 1° novembre parve giunta l’ultima ora estrema e in quel giorno disse le sue ultime considerazioni: “Tutto passa! Alla sera della vita resta solo l’amore. Bisogna fare tutto per amore…”, poi per nove giorni si prostrò in uno stato precomatoso; in un ritornare momentaneo della coscienza, fu udita mormorare: “Vado alla luce, all’amore, alla vita”.
Morì il mattino del 9 novembre 1906, a soli 26 anni. Come s. Teresa del Bambino Gesù anche Elisabetta della Trinità fu una grande mistica, che seppe penetrare l’essenza dell’Amore “troppo grande” di Dio, in intima comunione con i suoi “TRE” come Elisabetta si esprimeva familiarmente parlando della SS. Trinità, perno della sua vita di oblata claustrale carmelitana.
Pur essendo vissuta nel monastero poco più di cinque anni e di cui tre in una condizione di ammalata grave e irreversibile, quindi con pochi contatti con l’esterno, essa dopo morta godé subito di una fama di santità, che fece pensare ben presto alla sua glorificazione.
Per diversi motivi il primo processo informativo si ebbe negli anni 1931-41 a Digione e il 25 ottobre 1961 venne introdotta la causa. Il 12 luglio 1982 furono riconosciute le sue virtù vissute in modo eroico, dandole il titolo di venerabile; infine papa Giovanni Paolo II l’ha beatificata il 25 novembre 1984.
Il ‘Martirologio Romano’ riporta la sua celebrazione al 9 novembre. Viene invece onorata come memoria dall'ordine carmelitano scalzo nel giorno 8 novembre.


Autore: Antonio Borrelli

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10/11/2015 07:18
 
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Beato Acisclo (Joaquin) Pina Piazuelo Religioso e martire

10 novembre


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Caspe, Spagna, 26 luglio 1878 - Barcellona, Spagna, 10 novembre 1936



Fra Acisclo (Joaquín) Piña Piazuelo, nato nel 1878 a Caspe (Saragozza), ed entrato a 37 anni a Ciempozuelos. Alla dispersione della sua comunità fu ospite di varie famiglie finché, il 5 novembre 1936, fu arrestato da una pattuglia in perlustrazione, rinchiuso nella tristamente famosa prigione di San Elias e assassinato tra il 10 e l'11 novembre con una quarantina di sacerdoti e religiosi. Fu beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 25 ottobre 1992.

Martirologio Romano: A Barcellona in Spagna, beato Acisclo Pina Piazuelo, religioso dell’Ordine di San Giovanni di Dio e martire, che, durante la persecuzione, fu ucciso in odio alla religione

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11/11/2015 07:03
 
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Beata Alice (Maria Jadwiga) Kotowska Vergine e martire

11 novembre


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Varsavia, Polonia, 20 novembre 1899 - Piasnica presso Wejherowo, Polonia, 11 novembre 1939

La beata Alice (al secolo Maria Jadwiga Kotowska), professa della Congregazione delle Suore della Resurrezione di Nostro Signore Gesu' Cristo, nacque a Varsavia, Polonia, il 20 novembre 1899 e morì a Piasnica presso Wejherowo l'11 novembre 1939. Fu beatificata da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi.

Etimologia: Alice = nobile di aspetto, dal germanico


Martirologio Romano: Nella cittadina di Laski Piasnica presso la città di Wejherowo in Polonia, beata Alicia Kotowska, vergine della Congregazione delle Suore della Risurrezione del Signore e martire, che durante la guerra morì fucilata per avere strenuamente difeso la sua fede in Cristo.

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12/11/2015 07:53
 
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Sant' Atanasie Todoran e compagni Martiri

12 novembre (Chiese Orientali)


† 12 novembre 1763







In un'epoca in cui in Europa si tenta di minimizzare il ruolo del cristianesimo nella formazione dell'identità europea, in Romania il senso mistico e il rapportarsi a modelli di vita cristiana sono ancora molto profondi. La storia della Romania è stata molto travagliata: per tanti secoli sotto il giogo dei vari oppressori, la lotta per il mantenimento dell'identità è stata veramente durissima, sia che il nemico fosse turco, ungherese, austriaco, tedesco, sovietico ecc. Ancora più difficile invece è la lotta contro gli oppressori spirituali. Il riscatto del “povero oppresso” è la libertà dell'animo, la forza della sua fede in Dio e questo tesoro non può essere facilmente conquistato. La profonda cultura religiosa è una costante della storia del popolo romeno, nonostante gli ottomani, gli asburgici o i comunisti abbiano cercato di sradicarla. La recente canonizzazione del martire Atanasie Todoran di Bichigiu - esempio di vita cristiana e di fede professata fino al sacrificio personale- parla proprio del forte animo ortodosso dei romeni.
Ma che importanza può avere oggi l'episodio della canonizzazione di Atanasie Todoran del 11 maggio 2008 svoltosi a Salva (in Transilvania) sull'altipiano “Mocirla” (“Lo Stagno”) dove venne torturato e ucciso sulla ruota 245 anni prima? La risposta può arrivare dallo slogan europeo “unità nella diversità”, usato anche nella saggia predica del Metropolita Bartolomeo per l'occasione. L'alto esponente della chiesa ortodossa romena parla dell' ecumenismo e della necessità del dialogo interreligioso basato sul rispetto reciproco. “ L'ecumenismo non significa l'abbandono della propria fede...ma unità nella diversità e dialogo tra le confessione cristiane. Questo dialogo comincia da una cosa molto semplice, dalla cortesia che mi obbliga ad entrare in una chiesa cristiana con la testa scoperta, in una sinagoga con la testa coperta e in una moschea scalzo. L'ecumenismo comincia dal rispetto verso la fede altrui anche se non la condivido”.
Quindi il caso di cui parliamo è attuale da due punti di vista: sia religioso- in un clima mondiale di preoccupanti scontri, sia identitario e nazionale nell'ampio discorso dei diritti umani, del mantenimento dello specifico nazionale in un Europa unita e in un mondo globalizzato.
La vita del contadino Tanase (Atanasie) Todoran di Bichigiu è stata lunga e rappresentativa per la condizione dei romeni ortodossi, contadini legati al padrone e all'imperatrice di Vienna nel XVIII secolo. La Transilvania a quel tempo si trovava sotto la dominazione asburgica. L'imperatrice Maria Teresa desiderava la cattolicizzazione forzata della popolazione locale di confessione “scismatica ortodossa”. Si ricorda infatti che agli inizi del cristianesimo c'era un'unica chiesa che poi nel 1054 con lo scisma tra l'Oriente ed Occidente si divise come conseguenza a delle dispute dogmatiche e di rito che poi hanno segnato la differenza tra ortodossia (lat. tardo orthodoxus , dal greco orthòdoxos , comp. da orthòs retto, + deriv. da dòxa opinione) e cattolicesimo (lat. catholicus , comune a tutti i cristiani, dal greco katholikòs universale): il matrimonio dei preti, il Filioque nel Credo, l'uso degli azzimi, il primato di Roma e l'infallibilità del Papa ecc. Nella Transilvania del XVIII secolo la confessione ortodossa era maggioritaria (e tutt'oggi in Romania più dell' 85% della popolazione è ortodossa), mentre l'imperatrice voleva portare tutti sotto lo scettro della chiesa di Roma. L'incaricato per la realizzazione della “Chiesa unita con Roma” fu il generale Adolf Bucow che distrusse più di 300 chiese e monasteri ortodosse in Transilvania e costrinse i romeni a passare alla Chiesa Unita. Così nacque infatti la confessione greco-cattolica che ha i suoi addetti anche in presente. Tanase Todoran invece non ha voluto rinunciare alla sua fede e ha pure incoraggiato gli altri a fare altrettanto. Per questo sua atto di coraggio e di pubblica professione della sua fede pago con la sua vita.
Ricordiamo in breve il percorso della sua vita come raccontato negli atti per la richiesta di canonizzazione. Nato in Bichigiu prima del 1663 in una famiglia di contadini liberi, sapeva leggere e scrivere, primeggiava nel comune ed è stato collettore di contributi nei comuni situati nella Valle di Bichigiu e Salauta. Da giovane ha fatto parte di un regimento nei pressi di Vienna, ma dato che la liberazione gli veniva sempre rinviata, disertò per tornare a casa. Inseguito dai soldati dell'impero si rifugiò nelle montagne di Tibles, in Maramures e in Tara Chioarului. Arrivando in Moldavia, rimase per molti anni in servizio lì come risulta dall' atto di liberazione dall'esercito emesso dal principe Mihai Racovita in cui nomina Atanasie – di 74 anni- “rãzes” (contadino libero possessore di terreno), dopo aver servito 13 anni come capitano. Dato che nel suo paese di nascita non c'era un prete ortodosso e lui ci teneva tanto alla sua fede, Tanase Todoran si è opposto alla comunione del suo figlio con l'azzimo e alla confessione da un prete “unito”. Negli anni 1761-1762 ha partecipato alle trattative con il governo di Vienna per la militarizzazione di 21 comuni nella Valle di Bichigiu, Salauta e Somesul Mare. A Vienna le vienne assicurato che se entrano nel regimento doganale di Nasaud i romeni avranno dei benefici. Lui chiede però che non siano obbligati a rinunciare alla loro fede per beneficiare dei diritti promessi. Invano aspettano però il documento ufficiale dell'Imperatrice e allora capisce che la militarizzazione era un mezzo per convertirli e che non avranno la libertà richiesta. Così il 10 maggio 1763 sull' altipiano Mocirla a Salva era organizzata la benedizione delle bandiere e la deposizione del giuramento per le 9 compagnie del regimento doganale di fronte al generale Bucow. Ma quando i militari stavano per giurare il vecchio Tanase Todoran venne di fronte a loro, a cavallo e con la saggezza dei suoi 104 anni fece un discorso molto sentito e persuasivo. Ricordava che “ Da due anni noi siamo militari doganali (“graniceri”) e non abbiamo ancora ricevuto documento dalla Sua Altezza l'Imperatrice che siamo gente libera!... Ma poi noi così non possiamo portare le armi per lasciarci offendere la nostra santa fede! Giù le armi!” (trad. aut.). I militari incoraggiati dalle sue parole buttarono giù le armi in segno di protesta. Ma dopo qualche mese, il 12 novembre 1763 arrivò la condanna dei colpevoli della ribellione. Sullo stesso altipiano fu giustiziato Atanasie Todoran- la prima esecuzione sulla ruota sul territorio della Transilvania. ( Dopo 22 anni verranno uccisi sulla ruota Horea e Closca ad Alba Iulia). Insieme a lui furono uccisi anche Vasile Dumitru di Mocod, Manu Grigore di Zagra e Vasile Oichi di Telciu, anche loro proclamati santi quest'anno.
Dopo 245 anni e a seguito delle ripetute richieste dei cittadini, del popolo di quelle zone che si sente erede della grande impresa dei suoi “vecchi” e fortificato dal loro sangue, la chiesa ortodossa romena ha deciso di dare l'onore meritato a questi martiri. La messa ufficiale di canonizzazione fu fatta l' 11 maggio 2008 a Salva, sul luogo dove vennero giustiziati e di fronte ad un mondo di persone, semplici cittadini e tante personalità del mondo politico, culturale e religioso. Questo è un doveroso atto di amore e di ringraziamento per il grande impegno e per il loro sacrificio in difesa della fede e della libertà dei romeni.
A differenza della procedura per la beatificazione applicata dalla Chiesa Cattolica, nel mondo ortodosso non esistono dei criteri ben determinati, ma piuttosto dei “requisiti” che i martiri o i difensori e servitori della fede devono avere. Il Diritto ecclesiastico ortodosso infatti spiega che la canonizzazione significa “l'atto con cui la Chiesa riconosce, dichiara e ammette tra i santi gli eroi della retta fede addormentatisi nel Signore, che vengono venerati sulla base dell'insegnamento dogmatico”. Il Santo Sinodo ha deciso che, tramite l'esempio della loro vita, i 5 martiri si iscrivono tra i santi morti difendendo la fede ortodossa. “Il sangue dei martiri è la semente del cristianesimo” come diceva Tertulliano.
La vita del santo Atanasie Todoran, la sua fede e il suo martirio sono state soggetto di molti libri, di storie, di canti, di poesie popolari.
Un libro sul martirio di Tanase Todoran che sembra un canto popolare e un documento storico nello stesso tempo è “Il flauto di acciaio” (“Fluierul de otel”) dello scrittore Pascu Balaci (Edizioni Risoprint, 2007, Cluj). Si tratta di una pièce teatrale, un dramma storico in 2 atti che evoca la personalità complessa del vecchio di Bichigiu tra l'amore per la sua terra e le sue pecore, la pace espressa attraverso le sue arie col flauto ricavato, mentre tornava a casa, utilizzando la canna del proprio fucile. La figura di Todoran si rivela nelle letture a voce alta dalla sua Bibbia vecchia, ma anche nella risolutezza, nella saggezza e nel coraggio di soldato giusto, fedele alla causa. Il 1 dicembre 2008 questa storia del martirio viene portata nel “Salone degli Specchi” all' Unione degli Scrittori di Bucarest, di cui l'autore Pascu Balaci è membro, in una lettura pubblica fatta da grandi attori del Teatro Nazionale di Bucarest. Evviva “badea (zio) Todoran”!


Autore: Maria-Floarea Pop

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13/11/2015 08:00
 
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Sant' Abbone di Fleury Abate

13 novembre






Nacque nella diocesi di Orleans verso il 945. In tenera età i genitori l’affidarono al monastero di san Benedetto di Fleury sulla Loira. Conseguì presto una buona formazione letteraria e artistica al punto che già da giovane ebbe l’incarico di insegnare. Approfondì poi le sue conoscenze di filosofia e astronomia a Parigi e a Reims. Ritornato a Fleury, riprese l’insegnamento e scrisse un’opera contro i millenaristi. La sua fama giunse fino in Inghilterra dove il vescovo di Worcester lo invitò a dirigere la scuola monastica di Ramsey. Eletto abate di Fleury, mise la sua influenza al servizio del monastero. Contro il vescovo Arnoldo, che minacciava i diritti dell’abbazia, rivendicò l’autonomia dei monaci. Il re Ugo Capeto lo inviò dal Papa a Roma per evitare l’interdetto a causa di un matrimonio illecito. Abbone, tuttavia, conquistato dalle nuove idee di riforma della Chiesa, si schierò dalla parte del Papa. Da questo momento si adoperò con entusiasmo per accrescere il fervore spirituale della sua abbazia e dei monasteri ad essa soggetti. In viaggio verso il monastero di Réole, cercò di fare da paciere in un scontro tra Franchi e Guasconi. Ferito, uno dei primi esponenti dell’umanesimo monastico, morì nel 1004 e fu subito venerato come santo.

Martirologio Romano: Nel monastero di La Réole nella Guascogna in Francia, transito di sant’Abbone, abate di Fleury, uomo mirabilmente versato nella Sacra Scrittura e nelle lettere, che, difensore della disciplina monastica e coraggioso promotore di pace, morì trafitto da una lancia.








Nacque presso Orléans tra il 945 e il 950 e fu affidato, ancora fanciullo, all'abbazia di S. Benedetto sulla Loira (Fleury), dove apprese grammatica, dialettica e aritmetica. Fece tali progressi negli studi da ottenere, ancora giovanissimo, l'incarico di dar lezione nella scuola del monastero. Ma non soddisfatto degli studi fatti, si recò a Parigi e a Reims, dove apprese astronomia, quindi tornò a Orléans, dove si perfezionò in musica. Terminata la sua formazione con lo studio della retorica e della geometria, riprese l'insegnamento nel monastero di Fleury. In questo tempo compose un'opera sui Syllogismi dialectici e alcuni scritti di calcolo e di astronomia per confutare l'opinione di coloro che annunziavano la fine del mondo per l'anno mille. Sotto la sua direzione la scuola del monastero fu fiorente; è interessante notare, tra l'altro, che vi si praticava anche l'insegnamento della tachigrafla. Nel 982 fu chiamato da sant' Osvaldo, arcivescovo di York, a dirigere la scuola abbaziale di Ramsey. In Inghilterra Abbone fu tenuto in grande reputazione e potè stringere legami di profonda amicizia con eminenti personalità religiose e civili del tempo.
Due anni dopo fece ritorno a Fleury e nel 988 ne fu nominato abate. La nuova carica diede un altro indirizzo ai suoi studi: bisognava difendere i diritti del monastero, minacciati dal vescovo di Orléans, Arnolfo; doveva pensare al governo spirituale e materiale della sua grande comunità; poi, portato dalle circostanze, fu coinvolto anche in problemi che riguardavano i rapporti dei vescovi con il re, e del re con il papa. L'ostilità del vescovo Arnolfo si esasperò fino a tal punto che un giorno, mentre Abbone si recava a Tours per la festa di san Martino, fu aggredito assieme ai suoi compagni da un gruppo di ladroni, che ne ferirono parecchi. Abbone lottò contro il re Ugo Capeto per sostenere il diritto dei vescovi alle decime del raccolto; in questa occasione scrisse il suo Apologeticus, indirizzato ai re Ugo e Roberto, nel quale tratta delle vergini e delle vedove, dell'agricoltura e della guerra, del matrimonio e della simonia. La sua aspirazione a instaurare la legge del diritto contro i soprusi dei potenti lo indusse a compilare una raccolta di Canoni, in cui si propone di chiarire i diritti e i doveri del potere civile, e la posizione dei monaci di fronte ai vescovi.
Mandato a Roma nell'aprile del 996 e nell'autunno dell'anno seguente da Ugo Capeto a scongiurare un interdetto papale per il matrimonio del sovrano Roberto II con Berta, Abbone tornò in Francia convinto difensore del Papa, suscitando le ire del re, che però indusse all'obbedienza. Ardente ammiratore delle idee di riforma che irradiavano dal monastero di Cluny, lavorò intensamente per fare anche del suo monastero un centro di intensa vita spirituale. Nel 1004 si accinse a un viaggio in Guascogna per far visita al monastero di La Réole e ristabilirvi l'osservanza religiosa. Ma durante una sommossa scoppiata a La Réole tra Franchi e Guasconi, Abbone rimase ferito gravemente e pochi giorni dopo morì (13 novembre 1004).
Abbone fu uno degli scrittori più fecondi del suo tempo.
I primi indizi di un culto pubblico tributato a questo santo risalgono all'anno 1031; la sua festa si celebra il 13 novembre.


Autore: Andrea Tessarolo

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14/11/2015 08:51
 
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Sant' Antigio Vescovo

14 novembre


† Mermont (Digione), IX sec.







Da non confondere con s. Antidio vescovo di Besançon e martire, ricordato il 17 giugno.
Antigio (in francese Anthôt, Antège) morì prima del secolo IX, in un villaggio oggi chiamato Saint-Anthôt, nel territorio di Mermont, nell’attuale diocesi di Digione, e in questo luogo fu sepolto.
Della sua vita non si sa niente, deve essere stato uno dei tanti vescovi itineranti, cioè senza sede fissa, che giravano l’Europa del tempo, operando conversioni fra i popoli barbari e pagani e fondando chiese e diocesi nei territori evangelizzati.
Per paura delle devastazioni normanne, il prete Aimone trasportò la sua salma a Chiney (Saône-et-Loire), e di lì poi in Italia, molto probabilmente nel gennaio 887, quando i Normanni minacciarono la provincia e la città di Autun.
Il corpo fu deposto infine nel monastero dei Ss. Faustino e Giovita a Brescia, di cui lo stesso prete Aimone fu poi abate per otto anni e mezzo.
Nel corso dei secoli, questo santo è stato classificato di volta in volta per un vescovo di Brescia, di Tolone, oppure per un curato di Mermont.
La festa di s. Antigio si celebra il 14 novembre.


Autore: Antonio Borrelli

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15/11/2015 07:26
 
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Sant' Alonso (Alfonso) Rodriguez Gesuita, martire

15 novembre


Zamora (Spagna) 10 marzo 1599 – Caaró, Rio de La Plata, 15 novembre 1628

Etimologia: Alfonso = valoroso e nobile, dal gotico


Martirologio Romano: In località Caaró in Paraguay, santi Rocco González e Alfonso Rodríguez, sacerdoti della Compagnia di Gesù e martiri, che avvicinarono a Cristo le diseredate popolazioni indigene fondando i villaggi chiamati reducciones, nei quali il lavoro e la vita sociale si coniugavano liberamente con i valori del cristianesimo, e furono per questo uccisi in un agguato dal sicario di uno stregone.







Caso raro se non unico nella agiografia della Chiesa Cattolica, esistono due santi con nome e cognome uguali Alfonso (Alonso) Rodriguez e per di più entrambi gesuiti e contemporanei del XVII secolo, quello che li distingue e che il s. Alfonso Rodriguez di cui parliamo è un martire e l’altro no.
Padre Alonso Rodriguez nacque a Zamora (Spagna) il 10 marzo 1599 e fece il noviziato a Villa Garcia (Valladolid); destinato alle Missioni in Paraguay salpò da Lisbona il 4 novembre 1616 e sbarcò a Buenos Aires il 15 febbraio 1617.
Uomo di grande giudizio e prudenza, capace d’insegnare, fu considerato dal suo superiore Mastrilli uomo di governo; fu il primo gesuita ad apprendere il “guaycurù”, l’ostico e difficile idioma degli Indios locali.
La sua vicenda di apostolato missionario e il fulgido martirio, s’inquadrano nella particolare situazione delle “riduzioni” iniziate dal gesuita M. di Lorenzana, all’inizio del ‘600 in Paraguay ed Uruguay.
Le “riduzioni” erano villaggi indigeni nei quali i Gesuiti riunirono gli Indios che vivevano sparsi e nomadi, insegnando loro a lavorare stabilmente, per convertirli al cristianesimo e avviarli alla vita civile; la prima di queste “riduzioni” della vasta zona del Rio de La Plata, fu quella di S. Ignazio Guassù (S. Ignazio il Grande).
Ma questo benemerito progetto di lavoro sociale e di promozione umana, incontrò l’ostilità degli avidi ‘commendatori’, che per i loro interessi terrieri, sequestravano le terre degli Indios, con l’appoggio di parte del governo coloniale; i missionari gesuiti furono gli strenui difensori delle “riduzioni” e degli emarginati indios
Gli sforzi missionari dei Gesuiti in quelle zone ancora vergini dell’Uruguay e Paraguay e l’istituzione delle “riduzioni”, furono magistralmente rappresentati nel famoso film “Mission”.
Padre Alfonso Rodriguez affiancò padre Rocco Gonzalez de Santa Cruz paraguyano e incaricato del funzionamento delle “riduzioni”, il quale nel 1614 spinse le sue missioni apostoliche attraverso le regioni selvagge del Paranà e dell’Uruguay, fino allora inesplorate, continuando a fondare altre “riduzioni”, dedicandosi ‘tutto a tutti’, battezzando grandi e piccoli, amministrando i Sacramenti.
Ma gli stregoni delle tribù, ovviamente non gradivano la presenza dei missionari e uno di questi di nome Niezú, fingendo di accondiscendere alle ragioni dei missionari, preparò invece una congiura per distruggere le “riduzioni”, che erano viste da lui come il fumo negli occhi.
Padre Rocco Gonzalez de Santa Cruz aveva il 15 agosto 1628, fondata per i 400 Indi del Yjuì la “riduzione” dell’Assunzione, chiamando a dirigerla padre Juan del Castillo gesuita spagnolo, poi proseguì con la collaborazione di padre Alfonso Rodriguez a lavorare per gli Indios, progettando una nuova “riduzione” nel Caaró, allora all’estremo confine dell’Uruguay, oggi nel Brasile e il mattino del 15 novembre 1628 celebrò la Messa su un altare improvvisato, dopo il ringraziamento si misero a lavorare per erigere gli edifici in legno, dirigendo il folto gruppo di Indios.
Mentre erano chini ad attaccare il batacchio della campana per l’erigenda chiesa, uno dei congiurati colpì alla testa con una mazza di pietra uccidendolo, padre Rocco Gonzalez e poi altri uccisero allo stesso modo anche il confratello Alfonso Rodriguez.
Due giorni dopo, il 17 novembre, mentre leggeva il breviario nella sua “riduzione”, anche padre Juan del Castillo, circondato da un gruppo di Indios fu trascinato nei boschi e poi ammazzato a colpi di scure.
Degni figli di S. Ignazio, i tre martiri del Rio de La Plata, furono beatificati da papa Pio XI il 28 gennaio 1934 e poi canonizzati da papa Giovanni Paolo II il 16 maggio 1988 ad Asunción in Paraguay.
S. Alonso Rodriguez è celebrato insieme a s. Rocco Gonzalez il 15 novembre, s. Juan del Castillo il 17 novembre.


Autore: Antonio Borrelli



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17/11/2015 07:49
 
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Santi Acisclo e Vittoria Martiri di Cordova

17 novembre


† Cordova (Spagna), 304 ca.

Etimologia: Vittoria = vincitrice, dal latino


Martirologio Romano: A Córdova nell’Andalusia in Spagna, sant’Acisclo, martire.







Attualmente Acisclo e Vittoria sono i principali santi patroni di Cordova e vengono invocati specialmente contro le tempeste, la loro celebrazione, secondo la liturgia mozarabica e il ‘Martirologio Romano’ è il 17 novembre.
Durante il secolo VIII fu messa in circolazione una fantasiosa ‘Passio’, nella quale accanto ad Acisclo martire fu posta Vittoria, considerata come sua sorella.
Secondo questa ‘Passio’ i due cristiani Acisclo e Vittoria, furono imprigionati verso il 304 da Dione, prefetto della Betica in Spagna (attuale Andalusia), durante la persecuzione di Diocleziano (243-313).
Subirono il martirio per decapitazione nell’anfiteatro di Cordova; poi i loro corpi furono sepolti fuori della città dalla nobile matrona Minciana; in seguito sul sepolcro fu eretta una basilica.
Le notizie della ‘passio’ furono poi riprese da altri autorevoli opere agiografiche, come il Martirologio Lionese (806 ca.), il Calendario di Cordova del 961 e l’antifonario di Leòn del 1066.
Inoltre i due santi vengono menzionati da altri scrittori storici del Medioevo; s. Isidoro di Siviglia (570-636) vescovo e Dottore della Chiesa, nomina il solo s. Acisclo raccontando nella sua “Historia Gothorum”, che Agila re dei Visigoti, avendo profanato il sepolcro del martire durante l’assedio di Cordova, fu per punizione gravemente sconfitto; mentre s. Eulogio di Cordova, martire nell’859, ricorda nel suo “Memoriale sanctorum” sia Acisclo che Vittoria e la basilica eretta in loro onore.
I due santi martiri, ebbero una diffusa venerazione durante la dominazione visigota e nel primo secolo della dominazione araba.
Nel secolo XIII presso la basilica a loro dedicata, fu fondato un monastero cistercense, in seguito passato nel 1300, ai Domenicani.
Le reliquie di s. Acisclo vennero divise al tempo di Carlo Magno e una parte arrivò a Tolosa, mentre un’altra cospicua parte era venerata nel monastero benedettino di S. Salvador in Breda nella diocesi di Gerona.


Autore: Antonio Borrelli

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18/11/2015 09:38
 
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San Barula Fanciullo, martire

18 novembre










Romano, diacono della chiesa di Cesarea, era stato accusato di esortare i cristiani ad essere fedeli a Dio. Sottoposto a vari tormenti, tentava di spiegare al Prefetto la bellezza della sua religione, convincendolo infine a chiamare un bambino innocente, per domandare a lui da che parte fosse la verità.
Così, il Prefetto fece femare un bimbo di 6 anni di nome Barulo e sua madre che subito si spaventò, vedendo le torture a cui era sottoposto Romano. Il Prefetto si avvicinò al piccolo, chiedendogli chi fosse il vero Dio. e Barulo, senza esitazioni rispose: "Il Dio dei cristiani!", guardandosi intorno e professandosi cristiano anche lui. Il Prefetto lo invitò invece a sacrificare a Giove e il piccolo rifutò, confermando la sua fede.
Infuriato, il funzionario ordinò ai suoi uomini di intervenire contro il bimbo, di sospenderlo in alto e di picchiarlo. Il piccolo corpo venne battuto a sangue tra lo strazio degli astanti e della mamma che, pur nell'immensa angoscia, lo incitava a sopportare la pena inflittagli perchè presto sarebbe stato accanto a Gesù. Alla fine, il Prefetto decise di punire anche Romano e ordinò per lui il rogo, mentre destinò Barulo alla decapitazione.


Autore: Patrizia Fontana Roca

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19/11/2015 07:00
 
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Sant' Anastasio II Papa

19 novembre


m. 19 novembre 498



(Papa dal 24/11/496 al 19/11/498)
Romano di origine, combatté l'Arianesimo e ottenne la conversione di Clodoveo, re dei Franchi, che venne battezzato la notte di Natale del 498 o 499.

Etimologia: Anastasio = risorto, dal greco









Non si conoscono le origini della famiglia, probabilmente greca (nda: anastasìs significa resurrezione in greco) stabilitasi a Roma. Anastasio II fu consacrato papa il 24 novembre del 496.
Così come non risultano molte altre notizie sul suo pontificato, del resto di breve durata se non quelle nefaste per aver tentato una sorta di riconciliazione con gli eretici monofistici con la riammissione alle sue funzioni il diacono di Tessalonico Fotino, fervido seguace dell'idea monofisita.
La tradizione volle che questo papa fosse così impopolare, diversamente dal suo predecessore che fosse stato colpito dalla "maledizione divina" "nutu divinu percussus est"
Lo stesso Dante Alighieri, molti secoli dopo, finì per collocarlo nel canto XI, 6-9 dell' Inferno della Divina Commedia:
" ci racostammo, in dietro, ad un coperchio
d'un grand'avello, ov'io vidi una scritta
che dice: "Anastasio papa guardo,
lo qual trasse Fotin della via dritta".

Sempre secondo la tradizione la sua morte sarebbe stata simile a quella di Ario il quale, mentre era intento alle sue funzioni corporali e fisiologiche perse tutte le viscere che si sparsero sul terreno.
Questo sarebbe accaduto il 19 novembre del 498. Le sue spoglie furono sepolte sul sagrato di San Pietro ma il suo nome non comparì mai nè sul martirologio nè sul calendario universale.

Il titolo di "santo" gli viene attribuito in alcune liste di Romani Pontefici e da qualche scrittore; tuttavia, come osservano i Bollandisti, il suo nome non si trova in alcun Martirologio antico, nè esiste alcuna traccia di culto su di lui.


Autore: Franco Gonzato

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20/11/2015 08:21
 
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Beato Ambrogio Traversari Monaco

20 novembre


Portico di Romagna, 1386 - Firenze, 1439



Nato in Romagna nel 1386, a 14 anni entrò tra i camaldolesi nel monastero di Santa Maria degli Angeli a Firenze. Ebbe come amico il beato Angelico e come confratello il pittore e miniatore Lorenzo Monaco. Convinto sostenitore della vita monastica, rimase aperto ai fermenti della nuova cultura fiorentina. La sua cella divenne luogo di ritrovo di quanti credevano possibile un incontro tra la riscoperta dell’eredità antica e la fedeltà alla tradizione cristiana. Ebbe una carriera brillante all’interno del suo ordine fino a diventare superiore generale. Della sua attività come riformatore monastico scrive nella sua opera 'Hodoeporicon' o 'Itinerario', una realistica descrizione della vita religiosa nei vari monasteri da lui visitati. Per il suo equilibrio svolse delicate missioni al servizio della Santa Sede. Fu legato al concilio di Basilea ed ebbe un ruolo ancora più importante nel Concilio di Ferrara-Firenze. Buon conoscitore della lingua greca e della teologia orientale, con il cardinale Bessarione scrisse il testo dell’effimera unione con la Chiesa d’Oriente. Con le sue traduzioni fece conoscere all’Occidente le opere di Giovanni Crisostomo, Basilio Magno e Efrem Siro morì nel 1439.








Ambrogio Traversari è ricordato nella storia della Chiesa e in quella della letteratura.
Appartenne inoltre alla storia della diplomazia della Chiesa, in un'epoca delicata e difficile, e in questa si acquistò meriti altissimi, pari soltanto alla sua altissima umiltà. Infine appartenne alle glorie di un glorioso Ordine italiano, quello dei Camaldolesi.
Umanista e maestro di umanisti; legato pontificio e Padre conciliare; Abate camaldolese e riformatore del suo Ordine, amico e sostenitore di Cosimo de' Medici, e Beato della Chiesa.
Era nato da nobile famiglia toscana, e si fece monaco camaldolese a 14 anni quando, al principio del '400, la prima generazione degli artisti dei Rinascimento cominciava a stampare la propria impronta sul volto della città. Suo coetaneo e compagno di vocazione fu il domenicano Giovanni da Fiesole, detto il Beato Angelico.
Monaco a Santa Maria degli Angioli, a Firenze, dove ebbe per confratello il pittore e miniatore Lorenzo Monaco, fu sensibile e aperto ai fermenti della nuova cultura fiorentina, studiando il greco, il latino, l'ebraico, la letteratura e la filosofia classica. Insegnava ai giovani, religiosi e laici, e formò studiosi e letterati come Giannozzo Manetti e Poggio Bracciolini. La sua cella, come quella dell'agostiniano Luigi Marsili, a Santo Spirito, fu punto d'incontro degli ingegni più vivi del suo tempo.
Religioso serio, di carattere dolce e benevolo, percorse rapidamente la carriera in seno al proprio Ordine, fino a diventare superiore generale. Per il suo distacco di sapiente e la sua serenità di uomo di studio, fu incaricato a più riprese di svolgere opera di mediatore e di pacificatore, in missioni diplomatiche spesso assai delicate, non soltanto di carattere religioso, ma anche civili e politiche.
Il Papa Eugenio IV lo incaricò della riforma del suo Ordine, e Ambrogio Traversari assolse il compito con somma prudenza e pazienza. Visitando i monasteri, poté raccogliere e studiare codici antichi e manoscritti preziosi. A Roma, fu bibliotecario del Papa e dei Cardinali. A Firenze, si adoperò per il ritorno dell'esule Cosimo de' Medici, futuro Signore della città.
Legato pontificio al Concilio di Basilea, sostenne le ragioni e il prestigio del Papato. Più tardi ebbe grande parte nel Concilio, apertosi a Ferrara e proseguito a Firenze, per l'unione tra la Chiesa greca e la latina, facendovi intervenire il Patriarca di Costantinopoli e lo stesso Imperatore bizantino.
La felice conclusione di quel Concilio, nel 1439, fu anche il trionfo di Ambrogio Traversari, che aveva vergato con il suo stile di umanista il documento di unione tra le due Chiese sorelle.
il monaco camaldolese non sopravvisse di molto a quel consolante avvenimento. Morì nello stesso anno, non ancora vecchio. E mentre il suo nome restava alto nel firmamento della cultura italiana, attorno al suo ricordo si accendeva il culto riservato ai Beati.





Fonte:

Archivio Parrocchia


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21/11/2015 08:35
 
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Santi Celso e Clemente Martiri

21 novembre




Emblema: Palma








Il 21 novembre nel Martirologio Romano sono commemorati, come martiri a Roma, Celso e Clemente, introdottivi dal Baronio sull'autorità del Martirologio di S. Ciriaco (sec. XI), che, però, è testo di scarso valore storico. In realtà, Clemente è il papa del sec. I, celebrato il 23 novembre, la cui memoria, nel Martirologio Geronimiano, ricorre anche, per un'erronea anticipazione, al 21 novembre. Di Celso, invece, nulla può dirsi, ma è possibile che al 21 novembre sia celebrato uno dei tanti santi di questo nome, che ricorre molto spesso nei martirologi antichi.


Autore: Alfonso Codaghengo

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23/11/2015 08:24
 
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Beati 11 Cavalieri laici dell’Ordine Mercedario Confessori

23 novembre






Questi 11 Beati cavalieri laici dell’Ordine Mercedario: Berengario Rosselli, Raimondo Rigald, Guglielmo de Rubeis, Guglielmo de Olesa, Guglielmo da Monteblanco, Giovanni de Exea, Perpignano de Cortsavino, Bernardo de Calderis, Mattia da Balaguer, Raimondo da Burgos e Michele de Lizama, furono insigni per la dottrina, la carità e la santità della vita.
Testimoniarono la fede cattolica contro i saraceni e prendendo la loro croce seguirono il Signore e con lo stesso Signore esultarono senza fine.
L’Ordine li festeggia il 23 novembre

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24/11/2015 07:39
 
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Sant' Alberto di Lovanio Vescovo e martire

24 novembre




Martirologio Romano: A Reims in Francia, passione di sant’Alberto di Louvain, vescovo di Liegi e martire, che fu costretto all’esilio per aver difeso la libertà della Chiesa e fu ucciso nello stesso anno in cui era stato ordinato.








Molte fonti, di tendenze opposte, ma che manifestano un accordo rimarchevole sugli avvenimenti principali, ci ragguagliano su sant'Alberto. La principale, la Vita Alberti, conservata solamente nel ms. 723-727 della Biblioteca reale del Belgio a Bruxelles, fu composta da un anonimo che venne abbondantemente documentato dall'abate di Lobbes, Wéres (m.1209), amico molto intimo di Alberto di Lovanio (l'opinione di G. Kurth, che attribuisce la Vita Alberti all'arcidiacono Hervard di Liegi, non ha incontrato punto credito). Scritta durante il 1194 o all'inizio del 1195, la Vita contiene qualche raro errore - a dire il vero delle inezie (ai capi 3 e 5) - e qualche omissione che sembra dovuta a una certa parzialità: poiché, nonostante le sue grandi qualità, la Vita Alberti è un panegirico. Una seconda fonte è il Chronicon Hannoniense di Gisleberto di Mons terminato nel 1196; una terza - alcune righe - è la cronaca analitica di Lamberto il Piccolo (m.1194), monaco di S. Giacomo di Liegi; una quarta, la continuazione di Anchin della Cronaca di Sigeberto di Gembloux (sul valore di questa documentazione vedere lo studio acuto di È. de Moreau).
Fratello minore di Enrico I, duca di Brabante, Alberto fu destinato da suo padre, Gedefredo III, allo stato ecclesiastico. Essendo morto nella terza Crociata Raoul (Rodolfo) di Zabringen, vescovo di Liegi, i canonici, sotto il patronato del duca, elessero Alberto per sostituire il vescovo deceduto; era l'8 settembre 1191 e Alberto aveva ca. venticinque anni. Il conte di Hainaut e di Fiandra aveva appoggiato la candidatura di Alberto di Rethel. Così si trovarono in conflitto i due principali sovrani dei Paesi Bassi. L'imperatore Enrico VI, che doveva confermare l'elezione e conferire l'investitura al novello vescovo, diede, contro ogni diritto, il vescovato a un terzo candidato, Lotario di Hochstade. Malgrado tutto, Alberto si fece consacrare a Reims, ma fu costretto a restare in questa città, non permettendo l'imperatore di stabilirsi nel principato di Liegi. Poco dopo il suo arrivo a Reims, alcuni malfattori alemanni lo raggiunsero, ne guadagnarono la fiducia e lo assassinarono il 24 novembre 1192. Una parte della responsabilità di questo crimine pesa sull'imperatore.
Fu necessario attendere il principio del sec. XVII per ottenere il riconoscimento del culto di sant'Alberto: alla domanda dell'arciduca Alberto, Paolo V il 9 agosto 1613 permise di celebrare la sua festa, a Bruxelles e a Reims, il 21 novembre (per errore essendo stato iscritto il santo a questa data nel Martirologio piuttosto che al 24 dello stesso mese); l'arciduca Alberto ottenne pure di far trasferire a Bruxelles quelle che si credeva fossero le sue ossa e le fece deporre presso i Carmelitani. Da questo prezioso deposito furono separate alcune reliquie, nel 1892, in favore delle chiese di Lovanio, Malines e Liegi e, nel 1905, in favore dell'abbazia di Mont-Césa a Lovanio. Nel 1919, in seguito ai restauri della cattedrale di Reims sinistrata, si apprese che nel sec. XVII ci si era ingannati: le ossa di sant'Alberto giacevano sempre a Reims e i particolari della Vita Alberti lo provavano pienamente. Si procedette a uno scambio, cosicché attualmente il corpo di sant'Alberto riposa nel Belgio, dove, soprattutto dal 1914, è venerato come patrono.


Autore: Albert d'Haenens

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25/11/2015 08:39
 
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Beato Andrea de las Heras Mercedario

25 novembre




Missionario apostolico dell'America Meridionale, il Beato Andrea de las Heras, faceva parte del convento mercedario di Valdivia. Evangelizzando quelle popolazioni fu preso dagli indigeni idolatri e venne crudelmente trucidato in odio alla fede cattolica, onorando con il suo martirio il proprio Ordine e la Chiesa di Dio.
L'Ordine lo festeggia il 25 novembre.

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26/11/2015 08:08
 
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Sant' Alipio (Stiliano) lo stilita Anacoreta

26 novembre


Adrianopoli (Paflagonia), 515 ca. - † 614 ca.

È conosciuto erroneamente come Stiliano il Paflagone, nome che gli derivò dal fatto di essere uno "stilita" (un asceta, che per penitenza viveva in meditazione sulla sommità di una colonna isolata o di vecchi ruderi). Il primo stilita fu san Simeone il Vecchio (V secolo) che ebbe numerosi imitatori fra gli anacoreti orientali. Alipio nacque nel 515 ad Adrianopoli in Paflagonia (regione dell'Asia Minore) e a tre anni rimase orfano del padre. Fu così mandato dal vescovo Teodoro per essere istruito. Venne nominato diacono ed economo della Chiesa di Adrianopoli, finché a 30 anni volle ritirarsi in solitudine, chiudendosi in una cella, dove rimase per due anni. Infine salì su una colonna fuori dalla città. Il suo ascetismo attrasse attorno alla colonna molti discepoli. Alipio decise quindi di fondare due monasteri, uno maschile e uno femminile. Sembra che Alipio sia rimasto in piedi sulla colonna per 53 anni. Poi colpito da paralisi alle gambe, restò per altri 14 anni disteso su un fianco, finché morì a 99 anni verso il 614. (Avvenire)

Etimologia: Alipio = che ha le ali ai piedi, dal latino


Martirologio Romano: Ad Adrianopoli in Paflagonia, nell’odierna Turchia, sant’Alipio, diacono e stilita, che morì quasi centenario.







S. Alipio stilita è conosciuto erroneamente anche come Stiliano il Paflagone, nel precedente Martirologio Romano, egli era ricordato con questo nome, ma nella nuova edizione, il nome Stiliano è scomparso, mentre è rimasto Alipio.
Evidentemente stiliano era un aggettivo di riconoscimento del santo, essendo uno stilita, nome che veniva dato agli asceti cristiani, che per penitenza vivevano in meditazione sulla sommità di una colonna isolata o di vecchi ruderi (stilita dal greco stylos = colonna).
Il primo stilita fu s. Simeone il Vecchio (V secolo) che ebbe numerosi imitatori fra gli anacoreti orientali, soprattutto della Siria e della Mesopotamia (s. Daniele, s. Simeone il Giovane, ecc.).
Soggetti alla venerazione popolare gli stiliti venivano frequentemente visitati dai discepoli. Rari furono invece gli stiliti in Occidente, dove ebbero diffusione altre forme di ascesi.
S. Alipio nacque nel 515 ca. ad Adrianopoli in Paflagonia (regione storica dell’Asia Minore, provincia romana nel III secolo); già prima della nascita, la madre ebbe una visione premonitrice della gloria futura del nascituro; a tre anni rimase orfano del padre, venne inviato giovinetto al vescovo Teodoro per istruirlo.
Venne nominato diacono ed economo della Chiesa di Adrianopoli (nell’odierna Turchia), finché a 30 anni manifestò l’intenzione di ritirarsi in solitudine, chiudendosi in una cella, dove rimase per due anni, poi salì su una colonna posta fuori dalla città.
Il suo ascetismo estremo radunò man mano, attorno alla colonna, un gran numero di discepoli e quindi Alipio poté così fondare due monasteri, uno maschile e uno femminile.
Viene raccontato che una luce discese dal cielo sul santo e che ebbe la facoltà di predire il futuro e guarire gli ammalati; sembra una favola ma Alipio rimase in piedi sulla colonna per 53 anni, poi colpito da paralisi alle gambe, restò per altri 14 anni disteso su un fianco, finché morì a 99 anni verso il 614, durante il regno di Eraclio I (610-641) imperatore di Bisanzio.
Si racconta che un invasato fu liberato dal suo male, accostandosi alla sua tomba. La reliquia della sua testa si trova in un monastero del Monte Athos, al quale nel 1428 furono unite le comunità fondate da s. Alipio lo stilita.
A lui fu dedicato un monastero a Costantinopoli e venne raffigurato in un mosaico insieme a s. Simeone, nella basilica di S. Marco a Venezia. La sua ‘Vita’ ci è giunta raccontata da vari autorevoli autori dell’antichità; con il nome di Stiliano, s. Alipio è invocato contro la sterilità.


Autore: Antonio Borrelli

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27/11/2015 07:54
 
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Sant' Acario di Noyon e Tournai Vescovo

27 novembre




Etimologia: Acario = Acharius, dal latino (tratto dall'aggettivo Acharis,


Martirologio Romano: A Noyon in Francia, sant’Acario, vescovo, che, eletto alle Chiese di Noyon e Tournai dopo essere stato monaco a Luxeuil, si diede all’evangelizzazione delle popolazioni delle regioni settentrionali.








Nel medioevo quando, in Francia, si voleva indicare una persona con un tocchetto di follia si soleva affermare che era affetta dal mal monsieur sainct Aquaire. Ai nostri giorni si usa, sempre oltralpe, l’espressione acariâtre allorché ci si intende riferire ad uno scontroso, ad un carattere difficile. Entrambi quei modi di dire hanno a che fare con Sant ‘Acario o Aicaro o Aicardo, in quanto egli viene invocato per un favorevole intervento su tali persone.
Il santo fu dapprima monaco a Luxeuil nel nord della Franca Contea, una storica regione che ha per capitale Besançon e confina in larga parte con la Svizzera. Successivamente venne ordinato vescovo e destinato alla sede episcopale di Noyon e Tournai, due città che si trovano oggi l’una, dove nel 1509 nacque Calvino, in territorio francese e l’altra in Belgio ad appena nove chilometri dal confine, ben ristrutturata dopo i massicci bombardamenti durante la seconda guerra mondiale.
Come vescovo fu molto attivo sia nel campo religioso sia nel campo politico-sociale, ottenendo particolare stima dal figlio di Clotario Il, Digoberto I il Grande, abilissimo re dei Franchi fino alla propria morte nel 638. Questo rapporto permise ad Acario di potere ottenere consensi ad alcune proposte relative alla organizzazione episcopale della regione. Strinse amicizie con Sant’Alberto, vescovo di Cambrai e con Sant’Audoberto, vescovo di Thérouanne, affrontando alcune problematiche strettamente religiose di quei tempi. Grande fu la sua attenzione nei riguardi delle missioni in una Europa ancora poco cristianizzata ed in tal senso sostenne gli sforzi del vescovo di Maastricht, divenuto poi Sant ‘Amando.
Con tutte quelle importanti relazioni Acario ebbe modo quindi di confrontarsi con persone dai caratteri più diversi. Non è detto che non ne incontrasse anche di quelli ai limiti della cosiddetta normalità o addirittura ben al di là del suo confine. Quale preciso rapporto vi sia con il patronato verso questi ultimi è difficile da stabilire.
II vescovo Acario morì nel 640. Venne ben presto venerato soprattutto in Belgio, nella Francia settentrionale e nella Franca Contea. Le sue reliquie furono conservate per secoli in una chiesa appena fuori dalle mura di Noyon. Scomparvero però, un caso fra i tanti, durante la Rivoluzione francese.
Viene festeggiato il 27 novembre.


Autore: Mario Benatti

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28/11/2015 09:32
 
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Sant' Andrea Tran Van Trong Martire

28 novembre




Martirologio Romano: Nel territorio di Khám Đường in Annamia, ora Viet Nam, sant’Andrea Trần Văn Trǒng, martire, che, dopo aver patito il carcere e atroci torture per essersi rifiutato di recare oltraggio alla croce, fu decapitato sotto l’imperatore Minh Mạng,



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29/11/2015 08:29
 
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Beato Anselmo Simon Colomina Sacerdote gesuita, martire

29 novembre


>>> Visualizza la Scheda del Gruppo cui appartiene

Valencia, Spagna, 18 marzo 1877 – El Saler, Spagna, 29 novembre 1936

Padre Anselmo Simón Colomina nacque a Valencia il 18 marzo 1877 ed entrò nella Compagnia di Gesù nel 1895, ove divenne sacerdote. Fu Rettore del Collegio di San José. Venne assassinato ad El Saler il 29 novembre del 1936, all’età di 59 anni.

Martirologio Romano: In località detta El Saler vicino a Valencia in Spagna, beato Alfredo Simón Colomina, sacerdote della Compagnia di Gesù e martire, che durante la persecuzione contro la Chiesa confermò con il suo sangue la sua fedeltà al Signore.

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30/11/2015 07:32
 
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Beato Alessandro Crow Martire

30 novembre




Etimologia: Alessandro = protettore di uomini, dal greco


Martirologio Romano: A York sempre in Inghilterra, beato Alessandro Crow, sacerdote e martire, che da umile calzolaio divenne sacerdote e per il suo sacerdozio terminò gloriosamente sul patibolo il suo martirio sotto la stessa regina.

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01/12/2015 05:40
 
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Sant' Agerico di Verdun Vescovo

1 dicembre




Etimologia: Agerico = nato nella nebbia, dal celtico


Martirologio Romano: Presso Verdun in Austrasia, nel territorio dell’odierna Francia, sant’Ageríco, vescovo, che costruì chiese e battisteri e patì molto da parte del re Teodorico per aver fatto della sua chiesa un luogo di asilo per i fuggitivi.








Nato nella terza decade del sec. VI ad Harville (Agerici villa), frequentò la scuola vescovile dei SS. Pietro e Paolo di Verdun, stabilendo la propria dimora presso quella città, nel luogo ove sarà sepolto e dove nel 1037 sorse un'abbazia che prese da lui il nome. Ebbe gli ordini sacri da san Desiderato e, alla morte di quest'ultimo, venne eletto al suo posto. La data non è conosciuta, ma poiché il suo predecessore prese parte al Concilio di Orléans nel 549, ne consegue che la nomina di Agerico avvenne dopo; in ogni modo è certo che nel 570, quando fece da padrino al re Childeberto II, era vescovo della sua città. Fu amico di san Gregorio di Tours, che lo ricorda nei suoi scritti con espressioni di lode e di ammirazione e lo colloca fra i migliori vescovi del suo tempo; fu pure in relazione col poeta Venanzio Fortunato. Fra le chiese costruite si ricordano San Medardo, fondata dove erano stati sepolti i SS. Mauro, Salvino e Aratore, e quella di Sant'Andrea, nella quale fece portare le reliquie di san Martino.
Sant'Agerico fece di tutto per opporsi ai barbari usi dei re che uccidevano senza pietà i loro nemici, senza peraltro che la sua opera sortisse molto successo. Quantunque, infatti, come si è accennato, avesse tenuto a battesimo Childeberto, non riuscì a impedire che i tutori del giovane re massacrassero il duca Bosone; parimenti non riuscì ad evitare da parte di Childeberto l'uccisione dei duchi Ursione e Bertefrido, avvenuta nell'oratorio episcopale, dove quelli avevano cercato rifugio. Il dolore causatogli da quest'ultimo fatto fu così forte che il santo ne morì poco dopo, nel 588.
Fu sepolto nella chiesa di Sant'Andrea e San Martino che aveva fatto edificare sul luogo dove era la casa dei suoi genitori. Il canonico Bertario che nel 916 scrisse la storia dei vescovi di Verdun, afferma che Agerico partecipò al concilio convocato a Verdun nel 590, e tenutosi poi a Metz, indetto per giudicare Egidio vescovo di Reims, accusato di aver cospirato contro il re. Contro questa notizia, in fonti più attendibili, si indica il 588 come data della morte. Il culto di Agerico, limitato peraltro alla diocesi di Verdun, non sembra anteriore alla fondazione dell'abbazia di Saint-Airy, innalzata sulla sua tomba nel 1037 dal vescovo Raimberto e andata distrutta durante la Rivoluzione. La festa cade il 1° dicembre.

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02/12/2015 08:28
 
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Sant' Aurelia di Alessandria Martire, venerata a Montanaro

2 dicembre


III secolo







Sant’ Aurelia nacque in Alessandria d’ Egitto negli anni 40 del terzo secolo e fu martire sotto Valeriano, assieme a numerosi esponenti della sua famiglia: i quattro cugini Adria, Paolina, Neone e Maria, la madre Martana e una zia.
Del padre di lei la storia non parla e di lui ci è taciuto anche il nome, forse perché perso in tenera età, ma del resto i primi anni della sua stessa vita ci sono quasi totalmente ignoti e sappiamo solo che fu la madre l’ unica sua educatrice alla virtù e alla religione cristiana.
Giunse però a madre e figlia in Alessandria la notizia che i cugini Adria e Paolina, coi loro figli, avevano in Roma subito il martirio e immediatamente le due donne, sistemati i loro affari in Alessandria, si misero in viaggio verso la capitale dell’ Impero, spinte dal desiderio di onorare quei gloriosi campioni della fede e di stabilire la loro dimora presso i loro sepolcri, nelle catacombe di san Sebastiano.
Tra i frequentatori di queste catacombe vi era un giovane romano, ancora pagano, di nome Clodio Dionisio, di nobile stirpe, che annoverava tra i suoi congiunti cavalieri e senatori. Affascinato dalla bellezza e dalla virtù di Aurelia, stimandosi felice di averla per compagna della sua vita, la chiese in sposa. Le trattative tra la madre di lei Martana – al cui saggio consiglio Aurelia si era rimessa- e i genitori di Clodio Dionisio furono, in pochi giorni concluse, e Aurelia ricevette dalle mani di Dio quel giovane che il Signore le destinava a sposo.
Dai documenti storici pervenutici, ai quali dà irrefragabile conferma l’ esame medico dei suoi resti mortali, possiamo asserire che Aurelia non aveva più di sedici anni quando andò in sposa a Clodio Dionisio e diede, pochi mesi dopo il suo matrimonio, il sangue e la vita per amore di Gesù Cristo.
Il marito Clodio era ancora pagano quando contrasse in suo matrimonio, ma non potè a lungo desistere alle attrattive della santità della sua consorte e, poco dopo il suo matrimonio, ricevette il battesimo e si fece pure lui cristiano.
Forse per invidia di qualche rivale di Clodio, forse per cupidigia di qualche suo parente, che avrebbe beneficiato dei beni di quella nobile famiglia, qualora fosse stata spenta, allo spirare dell’ impero di Valeriano (che cadde prigioniero di Sàpore I re di Persia), e prima che il figlio di lui Gallieno ponesse fine alla persecuzione contro i cristiani, Aurelia, assieme alla madre e a una zia, fu accusata di professare il credo cristiano.
Fu dunque tradotta in tribunale, di fronte al giudice Secondiano, il quale non lesinò promesse di onori e di agiatezze, purchè bruciasse l’ incenso agli idoli, ma tutto fu vano e Aurelia perseverò nella sua fedeltà a Cristo, venendo quindi condannata a morte per decapitazione. Dovette anche assistere a un supplizio ancora peggiore: veder decapitare, il giorno precedente alla sua esecuzione, la madre e la zia.
Il giorno seguente, 2 dicembre del 260, Aurelia fu tratta dal carcere e, condotta là ove giacevano, stesi al suolo, i corpi decollati della madre e della zia, e con un colpo di spada le fu spiccato il capo dal busto.
Clodio Dionisio, ottenuto a peso d’ oro d’ avere il sacro corpo della martire sua sposa, lo ripose in una bella tomba di marmo bianco, nel Cimitero di Priscilla, con accanto un’ ampolla piena del sangue di Aurelia, come usavasi, in segno del sofferto martirio. E questa tomba fu, finchè visse, oggetto delle sue cure più assidue e meta dei suoi quotidiani pellegrinaggi. Ma temendo che, a causa del trascorrere degli anni, venisse a smarrirsi la memoria di quel prezioso sarcofago, o che il corpo avesse in seguito a confondersi con altri corpi di martiri, coprì il caro avello con una lapide pure di marmo, incidendovi sopra a graffito, come usavasi nelle iscrizioni catacombali, le seguenti parole: Clodius Dionysius Aureliae Alexandriae coniugi benemerenti fecit (Clodio Dionisio pose ad Aurelia d’ Alessandria sua benemerita consorte).
Dopo 1500 anni , il Cardinale Vittorio Amedeo delle Lanze, abate commendatario dell’ abbazia di Fruttaria in San Benigno Canavese, assai influente a Roma, ottenne il permesso dal pontefice Clemente XIII di raccogliere, il 13 novembre 1758, il corpo della santa assieme ai frammenti del vaso del sangue e alla pietra sepolcrale, destinandola alla sua cappella privata. Con la consacrazione della chiesa parrocchiale di Montanaro, terra dipendente materialmente e spiritualmente dall’ abbazia, avvenuta nel 1765, il corpo della santa fu donato alla suddetta comunità e traslato nella nuova chiesa, ove si trova tutt’ ora.


Autore: Don Giuseppe Ponchia

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03/12/2015 07:27
 
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San Birino di Dorchester Vescovo

3 dicembre


m. 649/650

Secondo Beda il Venerabile i Sassoni occidentali, al tempo del re Cinigilso, furono convertiti alla fede cristiana da Birino, inviato da papa Onorio I (625-38). Egli, dopo essere stato consacrato vescovo da Asterio, vescovo di Genova, si diresse in Britannia col proposito di spingersi oltre i territori degli Angli, dove nessun predicatore l'avesse preceduto. Di fatto di dedicò all'evangelizzazione dei Sassoni occidentali (detti allora Gevissi), ancora completamente pagani. Nel 635, a un anno dal suo sbarco, convertì il re della provincia Cinigilso, che fu tenuto a battesimo da Osvaldo, re della Northumbria. I due donarono a Birino, come sede episcopale, Ia città di Dorchester. Birino morì nel 649 o nel 650 e fu sepolto nella stessa città. Dopo molti anni, durante l'episcopato di Edda (876-903), il suo corpo fu traslato nella chiesa della città di Venta (Winchester) che era stata costruita da Cenwalh, figlio di Cinigilso, al centro del proprio regno attorno al 643. La cattedrale, consacrata nel 648, con l'annesso monastero sarebbe diventata, entro il 670 il cuore religioso e amministrativo del Wessex. (Avvenire)

Emblema: Bastone pastorale


Martirologio Romano: A Winchester in Inghilterra, deposizione di san Birino, che, mandato nella Britannia inferiore dal papa Onorio, tenne per primo la sede di Dorchester e divulgò con impegno tra i Sassoni occidentali il messaggio della salvezza.







Beda il Venerabile racconta che i Sassoni occidentali, al tempo del re Cinigilso (o Cinigislo), furono convertiti alla fede cristiana da Birino, inviato da papa Onorio I (625-38). Egli, dopo essere stato consacrato vescovo da Asterio, vescovo di Genova, si diresse in Britannia col proposito di spingersi oltre i territori degli Angli, dove nessun predicatore l'avesse preceduto: avendo, però, cominciato a evangelizzare i Sassoni occidentali (detti allora Gevissi), ancora completamente pagani, si fermò tra loro, abbandonando l'idea di andare più oltre. Nel 635, a un anno dal suo sbarco, il pio missionario poté convertire il re della provincia Cinigilso, che fu tenuto a battesimo da Osvaldo, re della Northumbria, chiamato da Beda "santissimo e vittoriosissimo". I due donarono a Birino Ia città di Dorchester "ad faciendam inibi sedem episcopalem" e il santo, dopo avere costruito e dedicato più chiese, "multisque ad Dominum pio eius labore populis advocatis", morì nel 649 o nel 650 e fu sepolto nella stessa città. Dopo molti anni, durante l'episcopato di Edda (876-903), il suo corpo fu traslato nella chiesa della città di Venta (Winchester) che era stata consacrata nel 648.
I resti del vescovo, la cui memoria ricorre il 3 dicembre, furono collocati in una cassa nel 980; nel 1035 in un reliquiario, a cura del re Canuto, e nel 1150 in un luogo più onorifico All'inizio del secolo XIII i Canonici Regolari di s. Agostino di Dorchester affermarono, e sostennero poi sempre con grande accanimento, che le ossa del santo erano conservate nella loro chiesa, allegando come prova un miracolo operato da Birino nel monastero in cui era stata scoperta la sua presunta tomba. Neppure l'intervento del papa Onorio IV valse a dirimere la disputa, che finì solo con la soppressione del monastero decretata da Enrico VIII.

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04/12/2015 07:33
 
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Santa Barbara Vergine e martire

4 dicembre


sec. III



Nacque a Nicomedia nel 273. Si distinse per l'impegno nello studio e per la riservatezza, qualità che le giovarono la qualifica di «barbara», cioè straniera, non romana. Tra il 286-287 Barbara si trasferì presso la villa rustica di Scandriglia, oggi in provincia di Rieti, al seguito del padre Dioscoro, collaboratore dell'imperatore Massimiano Erculeo. La conversione alla fede cristiana di Barbara provocò l'ira di Dioscoro. La ragazza fu così costretta a rifugiarsi in un bosco dopo aver distrutto gli dei nella villa del padre. Trovata, fu consegnata al prefetto Marciano. Durante il processo che iniziò il 2 dicembre 290 Barbara difese il proprio credo ed esortò Dioscoro, il prefetto ed i presenti a ripudiare la religione pagana per abbracciare la fede cristiana. Questo le costò dolorose torture. Il 4 dicembre, infine, fu decapitata con la spada dallo stesso Dioscoro, che fu colpito però da un fulmine. La tradizione invoca Barbara contro i fulmini, il fuoco e la morte improvvisa. I suoi resti si trovano nella cattedrale di Rieti. (Avvenire)

Patronato: Architetti, Minatori, Moribondi, Fucili e polvere da sparo, Vigili del Fuoco


Etimologia: Barbara = straniera, dal greco


Emblema: Palma, Torre


Martirologio Romano: A Nicomedia, commemorazione di santa Barbara, che fu, secondo la tradizione, vergine e martire.



Ascolta da RadioVaticana:
Ascolta da RadioMaria:





Esistono molte redazioni in greco e traduzioni latine della passio di Barbara; si tratta, però, di narrazioni leggendarie, il cui valore storico è molto scarso, anche perché vi si riscontrano non poche divergenze. In alcune passiones, infatti, il suo martirio è posto sotto l’impero di Massimino il Trace (235 – 38) o di Massimiano (286 – 305), in altre, invece, sotto quello di Massimino Daia (308 –13). Né maggiore concordanza esiste sul luogo di origine, poiché si parla di Antiochia, di Nicomedia e, infine, di una località denominata “Heliopolis”, distante 12 miglia da Euchaita, città della Paflagonia. Nelle traduzioni latine, la questione si complica maggiormente, perché per alcune di esse Barbara sarebbe vissuta nella Toscana, e, infatti, nel Martirologio di Adone si legge: “In Tuscia natale sanctae Barbarae virginis et martyris sub Maximiano imperatore”. Ci si trova, quindi, di fronte al caso di una martire il cui culto fino all’antichità fu assai diffuso, tanto in Oriente quanto in Occidente; invece, per quanto riguarda le notizie biografiche, si possiedono scarsissimi elementi: il nome, l’origine orientale, con ogni verisimiglianza l’Egitto, e il martirio. La leggenda, poi, ha arricchito con particolari fantastici, a volte anche irreali, la vita della martire: si tratta di particolari che hanno avuto un influsso sia sul culto come sull’iconografia.
Il padre di Barbara, Dioscuro, fece costruire una torre per rinchiudervi la bellissima figlia richiesta in sposa da moltissimi pretendenti. Ella, però, non aveva intenzione di sposarsi, ma di consacrarsi a Dio. Prima di entrare nella torre, non essendo ancora battezzata e volendo ricevere il sacramento della rigenerazione, si recò in una piscina d’acqua vicino alla torre e vi si immerse tre volte dicendo: “Battezzasi Barbara nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Per ordine del padre, la torre avrebbe dovuto avere due finestre, ma Barbara ne volle tre in onore della S.ma Trinità. Il padre, pagano, venuto a conoscenza della professione cristiana della figlia, decise di ucciderla, ma ella, passando miracolosamente fra le pareti della torre, riuscì a fuggire. Nuovamente catturata, il padre la condusse davanti al magistrato, affinché fosse tormentata e uccisa crudelmente. Il prefetto Marciano cercò di convincere Barbara a recedere dal suo proposito; poi, visti inutili i tentativi, ordinò di tormentarla avvolgendole tutto il corpo in panni rozzi e ruvidi, tanto da farla sanguinare in ogni parte. Durante la notte, continua il racconto seguendo uno schema comune alle leggende agiografiche, Barbara ebbe una visione e fu completamente risanata. Il giorno seguente il prefetto la sottomise a nuove e più crudeli torture: sulle sue carni nuovamente dilaniate fece porre piastre di ferro rovente. Una certa Giuliana, presente al supplizio, avendo manifestato sentimenti cristiani, venne associata al martirio: le fiamme, accese ai loro fianchi per tormentarle, si spensero quasi subito. Barbara, portata ignuda per la città, ritornò miracolosamente vestita e sana, nonostante l’ordine di flagellazione. Finalmente, il prefetto la condannò al taglio della testa; fu il padre stesso che eseguì la sentenza. Subito dopo un fuoco discese dal cielo e bruciò completamente il crudele padre, di cui non rimasero nemmeno le ceneri.
L’imperatore Giustino, nel sec. VI, avrebbe trasferito le reliquie della martire dall’Egitto a Costantinopoli; qualche secolo più tardi i veneziani le trasferirono nella loro città e di qui furono recate nella chiesa di S. Giovanni Evangelista a Torcello (1009). Il culto della martire fu assai diffuso in Italia, probabilmente importato durante il periodo dell’occupazione bizantina nel sec. VI, e si sviluppò poi durante le Crociate. Se ne trovano tracce in Toscana, in Umbria, nella Sabina. A Roma, poi, secondo la testimonianza di Giovanni Diacono (Vita, IV,89), s. Gregorio Magno, quando ancora era monaco, amava recarsi a pregare nell’oratorio di S. Barbara. Il testo, però, ha valore solo per il IX sec.; comunque, è certo che in questo secolo erano stati costruiti oratori in onore di B., dei quali fa testimonianza il Liber Pontificalis (ed. L. Duchesne, II, pp. 50, 116) nelle biografie di Stefano IV (816-17) e Leone IV (847-55).
Barbara è particolarmente invocata contro la morte improvvisa (allusione a quella del padre, secondo la leggenda); in seguito la sua protezione fu estesa a tutte le persone che erano esposte nel loro lavoro al pericolo di morte istantanea, come gli artificieri, gli artiglieri, i carpentieri, i minatori; oggi è venerata anche come protettrice dei vigili del fuoco. Nelle navi da guerra il deposito delle munizioni è denominato “Santa Barbara”.
La festa di Barbara è celebrata il 4 dicembre.


Autore: Gian Domenico Gordini

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05/12/2015 06:18
 
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Beata Agustina (María Anunciación) Peña Rodríguez Religiosa e martire

5 dicembre


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Ruanales, Cantabria, Spagna, 23 marzo 1900 – Aravaca, Madrid, 5 dicembre 1936



Suor Agustina Peña Rodríguez, al secolo María Anunciación, era una religiosa delle Suore Serve di Maria Ministre degli Infermi, fondate da santa Maria Soledad de Acosta. Venne incaricata di accudire le consorelle anziane, in particolare suor Aurelia Arambarri Fuente, sofferente di paralisi. Con lo scoppio della guerra civile spagnola, dovette abbandonare il sacro abito e rifugiarsi con suor Aurelia e altre due consorelle in una casa fidata, ma dovette separarsi da loro. Accusata di essere una religiosa e di essere stata sorpresa a pregare, trovò il martirio il 5 dicembre 1936. Aveva trentasei anni, di cui tre di vita religiosa. Papa Francesco, con decreto del 3 giugno 2013, ha autorizzato la sua beatificazione, avvenuta il 13 ottobre 2013 a Tarragona.








María Anunciación Peña Rodríguez nacque a Ruanales, nella regione spagnola della Cantabria, il 23 marzo 1900. I suoi genitori, Melitón e Agustina, la portarono al fonte battesimale della parrocchia del Triunfo de la Santa Cruz (Esaltazione della Santa Croce) due giorni dopo.
Ben presto, nella sua vita, si affacciò il dolore, con la perdita della madre in tenera età e l’impegno nel lavoro. Con il passar del tempo, si formava in lei uno spirito austero, laborioso e sensibile ai bisogni di quanti la circondavano.
Il 14 dicembre 1924 entrò come Postulante nell’Istituto delle Suore Serve di Maria Ministre degli Infermi, fondate da madre Maria Soledad de Acosta (Santa dal 1970), presso la casa di Tudela, ma si trasferì per il Noviziato nella Casa Madre, situata a Madrid. Là prese l’abito di suora coadiutrice (denominazione simile a quella di conversa, ossia suora proveniente da una famiglia povera) il 4 luglio 1925, assumendo, in ricordo della madre, il nome di suor Agustina. Nel periodo del noviziato venne descritta come «Persona di virtù non comune, sentimenti molto nobili e, benché di scarsa istruzione, molto intelligente».
A Madrid, il 5 luglio 1927, emise i primi voti e quattro giorni dopo entrò a far parte della comunità di Pozuelo de Alarcón, dove divenne un grande sostegno per le suore anziane e malate lì ricoverate. Si dedicava principalmente alla coltivazione dell’orto ed accorreva appena le consorelle avevano bisogno di qualcosa. Appena aveva un momento libero, la si poteva incontrare in cappella, raccolta di fronte a Gesù Eucaristia.
La sua carità si esercitò in maniera palese quando le venne affidata suor Aurelia Arambarri Fuente, sofferente di paralisi. La notte si alzava ogni volta che lei la chiamava, senza emettere il minimo lamento.
Allo scoppio della guerra civile spagnola, nel luglio 1936, le religiose dovettero deporre l’abito e furono costrette a non poter comunicare le une con le altre, neppure per pregare. Quelle che potevano, si rifugiarono presso case di persone amiche. Quella che ospitava suor Aurelia e suor Agustina custodiva altre due religiose: suor Aurora López González, la più anziana dell’intero Istituto, e suor Daría Andiarena Sagaseta, di cinquantasette anni.
La famiglia ospitante dichiarò che, quando i miliziani vennero a catturarle e le insultarono sospettando che fossero suore in incognito, suor Daría affermò: «In effetti, siamo religiose; potete disporre come volete di noi, ma vi supplico di non far nulla a questa famiglia, perché, al vederci senza casa e autorizzata dal Comitato [organizzazione civile che sostituiva il Municipio] di Pozuelo, ci hanno accolte nella loro casa per carità».
Suor Agustina venne costretta a separarsi dalle consorelle e si unì a un’altra famiglia che stava scappando a Las Rozas e lì, da sola, venne accusata di essere una religiosa e di essere stata vista pregare. Il 5 dicembre 1936 subì il martirio, a trentasei anni. Le altre tre, invece, morirono probabilmente l’indomani o il giorno dopo.
Il 3 giugno 2013 papa Francesco ha firmato il decreto che riconosce l’uccisione in odio alla fede di suor Daría e delle sue tre compagne, la cui cerimonia di beatificazione si è tenuta il 13 ottobre 2013 a Tarragona.


Autore: Emilia Flocchini

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05/12/2015 06:18
 
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Beata Agustina (María Anunciación) Peña Rodríguez Religiosa e martire

5 dicembre


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Ruanales, Cantabria, Spagna, 23 marzo 1900 – Aravaca, Madrid, 5 dicembre 1936



Suor Agustina Peña Rodríguez, al secolo María Anunciación, era una religiosa delle Suore Serve di Maria Ministre degli Infermi, fondate da santa Maria Soledad de Acosta. Venne incaricata di accudire le consorelle anziane, in particolare suor Aurelia Arambarri Fuente, sofferente di paralisi. Con lo scoppio della guerra civile spagnola, dovette abbandonare il sacro abito e rifugiarsi con suor Aurelia e altre due consorelle in una casa fidata, ma dovette separarsi da loro. Accusata di essere una religiosa e di essere stata sorpresa a pregare, trovò il martirio il 5 dicembre 1936. Aveva trentasei anni, di cui tre di vita religiosa. Papa Francesco, con decreto del 3 giugno 2013, ha autorizzato la sua beatificazione, avvenuta il 13 ottobre 2013 a Tarragona.








María Anunciación Peña Rodríguez nacque a Ruanales, nella regione spagnola della Cantabria, il 23 marzo 1900. I suoi genitori, Melitón e Agustina, la portarono al fonte battesimale della parrocchia del Triunfo de la Santa Cruz (Esaltazione della Santa Croce) due giorni dopo.
Ben presto, nella sua vita, si affacciò il dolore, con la perdita della madre in tenera età e l’impegno nel lavoro. Con il passar del tempo, si formava in lei uno spirito austero, laborioso e sensibile ai bisogni di quanti la circondavano.
Il 14 dicembre 1924 entrò come Postulante nell’Istituto delle Suore Serve di Maria Ministre degli Infermi, fondate da madre Maria Soledad de Acosta (Santa dal 1970), presso la casa di Tudela, ma si trasferì per il Noviziato nella Casa Madre, situata a Madrid. Là prese l’abito di suora coadiutrice (denominazione simile a quella di conversa, ossia suora proveniente da una famiglia povera) il 4 luglio 1925, assumendo, in ricordo della madre, il nome di suor Agustina. Nel periodo del noviziato venne descritta come «Persona di virtù non comune, sentimenti molto nobili e, benché di scarsa istruzione, molto intelligente».
A Madrid, il 5 luglio 1927, emise i primi voti e quattro giorni dopo entrò a far parte della comunità di Pozuelo de Alarcón, dove divenne un grande sostegno per le suore anziane e malate lì ricoverate. Si dedicava principalmente alla coltivazione dell’orto ed accorreva appena le consorelle avevano bisogno di qualcosa. Appena aveva un momento libero, la si poteva incontrare in cappella, raccolta di fronte a Gesù Eucaristia.
La sua carità si esercitò in maniera palese quando le venne affidata suor Aurelia Arambarri Fuente, sofferente di paralisi. La notte si alzava ogni volta che lei la chiamava, senza emettere il minimo lamento.
Allo scoppio della guerra civile spagnola, nel luglio 1936, le religiose dovettero deporre l’abito e furono costrette a non poter comunicare le une con le altre, neppure per pregare. Quelle che potevano, si rifugiarono presso case di persone amiche. Quella che ospitava suor Aurelia e suor Agustina custodiva altre due religiose: suor Aurora López González, la più anziana dell’intero Istituto, e suor Daría Andiarena Sagaseta, di cinquantasette anni.
La famiglia ospitante dichiarò che, quando i miliziani vennero a catturarle e le insultarono sospettando che fossero suore in incognito, suor Daría affermò: «In effetti, siamo religiose; potete disporre come volete di noi, ma vi supplico di non far nulla a questa famiglia, perché, al vederci senza casa e autorizzata dal Comitato [organizzazione civile che sostituiva il Municipio] di Pozuelo, ci hanno accolte nella loro casa per carità».
Suor Agustina venne costretta a separarsi dalle consorelle e si unì a un’altra famiglia che stava scappando a Las Rozas e lì, da sola, venne accusata di essere una religiosa e di essere stata vista pregare. Il 5 dicembre 1936 subì il martirio, a trentasei anni. Le altre tre, invece, morirono probabilmente l’indomani o il giorno dopo.
Il 3 giugno 2013 papa Francesco ha firmato il decreto che riconosce l’uccisione in odio alla fede di suor Daría e delle sue tre compagne, la cui cerimonia di beatificazione si è tenuta il 13 ottobre 2013 a Tarragona.


Autore: Emilia Flocchini

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06/12/2015 05:23
 
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Beata Angelica da Milazzo Terziaria

6 dicembre


Sec. XVI







Anche il ramo dell'Ordine francescano fondato nel '500 da San Francesco di Paola, e chiamato per umiltà Ordine dei Minimi, ebbe il proprio Terz'Ordine, aperto ai laici, uomini e donne.
Al Terz'Ordine di San Francesco di Paola appartenne la Beata Angelica, morta mezzo se. colo dopo il fondatore dei Minimi, nel 1559. Era nata a Milazzo, nella punta occidentale della Sicilia, città di antichissima origine, importante nel Medioevo e nel Rinascimento come porto commerciale e centro di produzione; e anche come ben munito caposaldo militare dove la devozione per il Santo di Paola fu particolarmente viva.
La figura di Angelica da Milazzo si inserisce così nel quadro della prima fioritura della spiritualità francescana dei Minimi. La sua santità non ebbe nulla di clamoroso o di appariscente. Fu una costante, segreta lotta contro le debolezze della carne, le infermità, e anche le difficoltà dell'ambiente, tanto più insidiose quanto più dovute non all'ostilità, ma allo stesso affetto.
Angelica da Milazzo visse in costante lotta contro le attrazioni del mondo. Non le tentazioni, ma le legittime e umane preoccupazioni di chi desiderava per lei una vita normale e felice, rispettata e appagata.
Bellissima di aspetto, sensibile e virtuosa, la giovane di Milazzo avrebbe dovuto, nei desideri della famiglia, seguire il destino di tante altre sue coetanee, scegliendosi uno sposo, o meglio accettando quello a lei destinato dai parenti, per formare una famiglia terrena.
Non fu facile, per la fanciulla isolana, sfuggire a quelle continue e affettuose pressioni. Angelica vi resistette con ostinazione caparbia, più forte delle lusinghe e anche delle minacce, che non le mancarono, almeno in un certo periodo della sua vita.
Nei momenti di più grave tensione, ricorreva al Crocifisso, implorandone l'aiuto. Venne esaudita dalla Croce con una croce, cioè con una gravissima malattia, che mise in pericolo la sua stessa vita.
Fu allora che, per voto, indossò l'abito del Terz'Ordine di San Francesco di Paola. In quell'abito, come entro una mistica corazza, si sentì sicura di poter restare per sempre nello stato desiderato.
Superata la malattia, però, le insistenze e le pressioni ritornarono. Riprese l'incruento calvario dell'ostinata fanciulla di Milazzo.
Finché lo Sposo da lei desiderato non la segnò col suo sigillo, davanti al quale ogni altro pretendente arretrò sconvolto.
Divorata da un tumore maligno, la sua bellezza si mutò in ribrezzo, mentre la sofferenza sempre più lancinante le affinava lo spirito, consumandone il corpo come un fuoco.
Fu l'anno terribile del fidanzamento, dopo il quale la morte, liberandola dal peso della carne, le aprì la casa dello Sposo che non delude.

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07/12/2015 07:53
 
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Sant' Atenodoro Martire

7 dicembre




Martirologio Romano: In Siria, sant’Atenodoro, martire, che, come si tramanda, dopo essere stato torturato con il fuoco e con altri supplizi sotto l’imperatore Diocleziano e il governatore Eleusio, fu, infine, condannato a morte, ma crollato a terra il suo carnefice, né osando alcun altro colpirlo con la spada, pregando si addormentò nel Signore.

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08/12/2015 08:05
 
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Sant' Eutichiano Papa

8 dicembre


m. 283



(Papa dal 04/01/275 al 07/12/283)
Nato a Luni, papa dal 4 gennaio 275 al 7 dicembre 283, fu sepolto nella Cripta dei Papi nel Cimitero di Callisto. Innocenzo X donò le reliquie di S. Eutichiano al nobile sarzanese Filippo Casoni, il quale, nominato vescovo di Fidenza nel 1659, le portò con se, destinandole, dopo la sua morte, alla cattedrale di Sarzana, dove si venerano a tutt’oggi.
Nel suo pontificato combattè l’eresia dei Manichei ed ebbe un particolare culto per i martiri. Ordinò che venissero tumulati, in segno di distinzione, con una dalmatica rossa o con la veste detta “colobia”. In prima persona partecipò alla sepoltura di 342 testimoni della fede e nella prima versione del Liber Pontificalis egli stesso viene definito martire.
E’ così riportato dal Martirologio Romano alla data 7 dicembre: A Roma il beato Eutichiano papa, che in diversi luoghi seppellì con le sue mani trecentoquarantadue Martiri; dei quali poi divenuto anch’egli compagno, sotto l’Imperatore Numeriano, fu coronato col martirio, e sepolto nel cimitero di Callisto.

Patronato: Marinella di Sarzana (SP)


Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Callisto sulla via Appia, deposizione di sant’Eutichiano, papa.








Le reliquie di questo antico Pontefice non si trovano a Roma, ma a Sarzana, nella bella cattedrale gotica della città che è centro della Lunigiana, nodo di strade e ferrovie e, un tempo, caposaldo di grande importanza strategica tra Liguria, Toscana ed Emilia, allo sbocco della strada della CIS, talché fu contesa a lungo tra Pisani e Lucchesi, Fiorentini e Genovesi'.
~ assai interessante ricordare la storia di come le reliquie di Sant'Eutichiano Papa giunsero a Sarzana, dove esiste, sempre nella cattedrale, una imponente statua marmorea dedicata a questo personaggio. Non solo, ma il Santo è anche Patrono della parrocchia che comprende l'antica Luni, o meglio le rovine di quella che fu, un tempo, una delle più splendide città della costa tirrenica.
Proprio a Luni, infatti, Eutichiano sarebbe nato nella prima metà del III secolo, ed è comprensibile che questa città si gloriasse di aver dato i natali a un Pontefice di alta statura, anche se di nebulosa storia, successore di San Felice sulla Cattedra romana.
Dopo la sua morte, verso il 283, Eutichiano era stato deposto nelle Catacombe di San Callisto, lungo la Via Appia, e precisamente nella celebre cripta dei Papi. Nel secolo scorso, il grande archeologo De Rossi ne trovò la lastra tombale, con il nome.
Per molti secoli le reliquie del Pontefice restarono a Roma, finché un gentiluomo di Sarzana, Filippo Casoni, non le chiese con insistenza al Papa Innocenzo X, per poterle riportare nella terra natale del Santo, se non proprio nella città di Luni, distrutta, come sappiamo, dai Normanni.
Innocenzo X trovò giusta quella richiesta e concesse le reliquie. Quando Filippo Casoni, nel 1659, divenne Vescovo di Fidenza, si portò dietro le reliquie del Santo, che però non erano destinate a restare in Emilia. Quando infatti il Vescovo Casoni morì, le destinò per testamento alla cattedrale di Sarzana, dove finalmente il sacro deposito terminò le proprie peregrinazioni.
Questa curiosa vicenda fa stranamente contrasto con l'episodio saliente ricordato sul conto del Papa Eutichiano. Pare infatti che egli, nell'intervallo tra due persecuzioni, abbia dato cristiana e onorata sepoltura, a Roma, ai corpi di ben 342 Martiri, quasi per fissar loro una dimora che, almeno nelle sue previsioni, avrebbe dovuto essere permanente e definitiva.
L'episodio, riferito dalla tradizione, non è certo; come non son certe le altre, poche notizie pervenuteci circa l'attività di questo Pontefice, come l'introduzione dell'uso di far benedire, dopo il Canone della Messa, frutta e altri cibi, comprese fave e uva.
Anche le tradizioni che fanno di Papa Eutichiano un Martire sono erronee, dovute al desiderio di onorare maggiormente l'antico Pontefice. Non vi furono persecuzioni, a Roma, negli anni del Pontificato di Eutichiano, e i documenti più antichi lo ricordano tra i Vescovi, ma non tra i Martiri.
Forse, anche su questa tradizione influì il ricordo dei 342 Martiri che Eutichiano avrebbe seppellito con le proprie mani, non senza aver prima avvolto i loro corpi in tuniche di porpora, simili a regali mantelli della loro sanguinosa gloria.

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09/12/2015 08:04
 
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Beato Agostino de Revenga Mercedario

9 dicembre


† 1569

Discendente da un'illustre famiglia, il Beato Agostino de Revenga, fu molto più illustre nell'Ordine Mercedario per la sua opera e le virtù della vita religiosa. Nel convento dell'Immacolata Concezione di Alcalà in Spagna, fu famoso dottore in Sacra Teologia e rettore dello stesso collegio dal 1545 fino alla morte. Grande penitente, digiunò quasi tutti i giorni astenendosi dalla carne per tutta la sua vita, dormiva in terra e passava quasi tutta la notte in orazione e contemplazione portando sempre un cilicio. Morì santamente nel 1569 ed il suo corpo fu sepolto nella chiesa dello stesso convento.
L'Ordine lo festeggia il 9 dicembre.

Etimologia: Agostino = piccolo venerabile, dal latino

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POTRESTE AVERE DIECIMILA MAESTRI IN CRISTO, MA NON CERTO MOLTI PADRI, PERCHE' SONO IO CHE VI HO GENERATO IN CRISTO GESU', MEDIANTE IL VANGELO. (1Cor. 4,15 .
 
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