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CREDENTI DA IMITARE (Eb.13,7)

Ultimo Aggiornamento: 18/05/2019 13:12
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10/12/2015 07:35
 
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Beati Brian Lacy, Giovanni Mason e Sydney Hodgson Martiri

10 dicembre


† Tyburn, Londra, Inghilterra, 10 dicembre 1591

Brian Lacy, sacerdote originario di Louth, nel Lincolnshire, rimase fedele alla Santa Sede e non aderì all’anglicanesimo. Fu però tradito da suo fratello ed incarcerato a Tyburn, presso Londra. Qui fu compagno di prigionia di John Mason e Sydney Hodgson, due laici che erano stati scoperti assistere ad una celebrazione eucaristica presieduta da Sant’Edmondo Gennings a casa del laico San Swithun Wells. Uccisi insieme il 10 dicembre 1591, furono beatificati nel 1929 insieme a numerose altre vittime della medesima persecuzione.

Martirologio Romano: Sempre a Londra, santi Polidoro Plasden e Eustazio White, sacerdoti, e beati Brian Lacy, Giovanni Mason e Sidney Hodgson, martiri, che nel medesimo anno patirono gli stessi supplizi a Tyburn, alcuni perché entrati in Inghilterra da sacerdoti, altri per aver loro prestato aiuto.

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11/12/2015 08:16
 
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San Daniele lo Stilita Sacerdote

11 dicembre


Maratha, Samosata, 409 - Siria, 490 circa

Nasce a Maratha, nelle vicinanze di Samosata in Siria nel 409. Daniele a dodici anni chiede di essere accolto in un vicino monastero e davanti alla resistenza dell'abate gli risponde che con la sua fede sopporterà la dura vita del cenobio. Guadagna subito la fiducia dell'abate, a tal punto che lo accompagna ad Antiochia dove conoscono san Simone che, da poco, ha iniziato a vivere da asceta in cima ad una colonna. Tornato a Maratha, alla morte dell'abate Daniele viene scelto come suo successore, ma rifiuta l'incarico perché vuol tornare a visitare Simone. A causa delle guerre è costretto a fermarsi a Costantinopoli, quindi si ritira in un tempio abbandonato a Filempora. Nel 459 muore Simone e il suo mantello viene dato a Daniele che, ormai cinquantenne, decide di seguire l'esempio del maestro e si stabilisce su una colonna. Muore nel 490 e viene sepolto ai piedi della colonna sulla quale aveva vissuto trentatré anni e tre mesi. (Avvenire)

Etimologia: Etimologia: Daniele = Dio è il mio giudice, dall'ebraico


Martirologio Romano: A Costantinopoli, san Daniele, detto Stilita, sacerdote, che, dopo aver condotto vita monastica e superato molte difficoltà, seguendo l’esempio di vita di san Simeone, alloggiò sull’alto di una colonna per trentatré anni e tre mesi fino alla morte, imperterrito davanti all’impeto del freddo, del caldo o dei venti.







Testimoni estremi della fede, la cui vita di penitenza era sempre sotto gli occhi di tutti, gli stiliti incarnarono una forma originale di ascetismo cui stenteremmo a credere se non avessimo fonti storiche documentate. Nati nel V secolo in Oriente (si diffusero poi anche in Russia), questi anacoreti vivevano presso un villaggio o un monastero, su una colonna alta dai dieci ai venti metri. Su di essa predicavano, guarivano malati e celebravano l’Eucaristia, trasformando così un simbolo pagano (solitamente sulle colonne si innalzavano gli idoli) in luogo di elevazione cristiana. La piattaforma garantiva la sopravvivenza grazie ad una tettoia, mentre dal balcone vi era il contatto con i fedeli. Alcuni seguaci provvedevano al sostentamento dello stilita innalzando il cibo con una carrucola o una scala. Alla sommità accedevano quanti necessitavano di conforto spirituale o cercavano soluzioni a controversie. Il primo e il più celebre stilita fu S. Simeone detto “il vecchio” (390-459) che visse in Siria a Qal’At Sem’An, nei pressi di Antiochia, e fu famoso per i miracoli e per aver convertito anche alcuni arabi. Daniele fu un suo discepolo, come apprendiamo dalla dettagliata biografia scritta, con diversi particolari storici, da un giovane seguace.
Daniele nacque a Maratha (vicino a Samosata) nel 409 da pii genitori che lo consacrarono subito al Signore. Crebbe buono e a soli dodici anni chiese di essere accolto in un vicino monastero. Alle resistenze dell’abate rispose che era sì giovane ma, con la sua grande fede, avrebbe sopportato la dura vita del cenobio. Pochi anni dopo godeva già della sua fiducia, tanto da accompagnarlo in un viaggio ad Antiochia. Ospiti del monastero di Telanissos (Dair Sem’an), conobbero S. Simeone che aveva da poco iniziato a vivere da asceta in cima ad una colonna, incompreso dai compagni e accusato di vanagloria. Nonostante la grande calura, il santo li accolse e li benedisse facendo breccia nel cuore del giovane, cui però predisse molte sofferenze. Qualche tempo dopo l’abate morì e Daniele venne scelto come suo successore. Egli però, rifiutato l’incarico, tornò a far visita a Simeone con l’intento di raggiungere successivamente la Terra Santa. Ripiegò su Costantinopoli a causa delle guerre, per poi ritirarsi a Filempora, in un tempio abbandonato, sotto la protezione del patriarca S. Anatolio. Nel 459 Simeone morì e il suo mantello, destinato inizialmente all’Imperatore Sergio I, venne dato a Daniele che, ormai cinquantenne, decise di seguire l’esempio del maestro. Alcuni compagni lo aiutarono a stabilirsi su una colonna dove iniziò la sua vita di meditazione e preghiera. All’ordine iniziale dell’Imperatore Leone di lasciare il luogo, la guarigione di un ragazzo posseduto dal demonio convinse il messo imperiale a tornare dall’imperatore per raccontare l’accaduto. Questi chiese a Daniele di pregare affinché l’imperatrice Verena concepisse un figlio. A grazia ottenuta l’imperatore andò di persona a ringraziarlo, salendo sulla colonna e toccandogli i piedi. Fece poi costruire un’altra colonna collegata con un ponte alla precedente, mentre il luogo era ormai meta di pellegrinaggi. Durante una tempesta la struttura corse il pericolo di crollare, ma Daniele non l’abbandonò e, a pericolo scampato, fece graziare il costruttore condannato dall’imperatore per la sua imperizia.
Il santo stilita era continuamente esposto alle intemperie e durante un inverno particolarmente rigido fu salvato in extremis dall’assideramento. L’imperatore fece allora costruire una stanza in cui fosse maggiormente riparato. Purtroppo a Daniele non mancarono gli attriti col Patriarca di Costantinopoli Gennadio e solo dietro ordine imperiale questi andò a trovarlo. All’incontro, nonostante la giornata caldissima, assistette una grande folla e il presule, dopo aver celebrato le preghiere d’ordinazione, salì sulla colonna dove si diedero vicendevolmente la comunione.
Daniele era ormai famoso in tutto l’impero. Si narra che predisse un incendio nella capitale (465) e che davanti alla sua colonna furono siglati patti di alleanza tra principi. Le visite più gradite erano però quelle dei malati che, dopo aver ascoltato la sua sapiente parola, ricevevano i sacramenti. Scese dalla colonna solo quando, morto l’imperatore, gli eretici monofisiti usurpavano il trono. Portato a spalle dalla folla ottenne il riconoscimento del nuovo Imperatore Zenone che, da lì a poco, con gratitudine, andò a onorarlo sulla colonna. Lo stesso successivamente promulgò il decreto detto Henoticon, diretto a vescovi, chierici e monaci della chiesa orientale, relativo all’approvazione del Simbolo Niceno.
Daniele morì ultraottantenne nel 490 (o 493) dopo aver incontrato il Patriarca Eufemio e aver celebrato la Messa. Fu sepolto in un oratorio ai piedi di quella colonna su cui era vissuto trentatre anni e tre mesi.


Autore: Daniele Bolognini

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12/12/2015 07:57
 
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Beato Bartolo Buonpedoni da San Gimignano Confessore

12 dicembre


San Gimignano (SI), ca. 1228 - 12-13 dicembre 1300



Vinta l'opposizione del padre, abbracciò la vita religiosa. Colpito dalla Lebbra a 60 anni, si trasferì in un lebbrosario, dove dette assistenza ai malati lì rinchiusi.

Martirologio Romano: Presso la cittadina di Celloli in Toscana, beato Bartolo Buonpedoni, sacerdote, che, colpito a sessant’anni dalla lebbra, lasciò la cura della parrocchia e, vestito l’abito del Terz’Ordine di San Francesco, diede pazientemente assistenza a tutti nell’ospedale in cui visse rinchiuso.








E’ l’unico figlio dei conti Giovanni e Giuntina Bompedoni, e suo padre vuole vederlo sposato presto, per la continuità della casata. Anzi, vuole trovargli personalmente una moglie adeguata per titoli e patrimonio. Ma a Bartolo non piace questa programmazione del suo avvenire, e se ne va di casa. Destinazione Pisa, dove lo accolgono i Benedettini di San Vito, ma non come aspirante monaco: lui non ha fretta, deciderà dopo aver riflettuto. Intanto, serve il monastero facendo l’infermiere tra i malati.
Ma una notte fa un sogno, o forse ha una visione. Gli accade di vedere Gesù risorto, col corpo sempre piagato, e si sente dire: "Per fare la mia volontà, tu non dovrai diventare monaco; dovrai invece vivere nella sofferenza per vent’anni". Ricevuto quest’ “avviso”, Bartolo lascia il monastero e Pisa, andandosene a Volterra, dove entra nel Terz’Ordine francescano.
Un giorno lo chiama il vescovo di Volterra, che gli indica di diventare prete, al servizio della diocesi. Bartolo accetta, viene ordinato e incomincia il suo ministero come cappellano a Paccioli, passando poi a Picchena come parroco. Ma qui si ammala inguaribilmente: frate Bartolo ha la lebbra. Eccolo arrivato al momento di prova: il suo servizio a Dio consisterà ora nel confortare i sofferenti, soffrendo con loro. E come loro.
Bartolo va a vivere nel luogo che accoglie i suoi compagni di disgrazia respinti dalla società: il lebbrosario. Ce n’è uno nel vicino paese di Cellole, e lui si ritira lì come rettore della pieve, per gli ultimi vent’anni della sua vita. Isolato, ma presto conosciutissimo, per il male che ha e per il suo modo straordinario di viverlo, dando conforto anche ai sani. Lo chiamano “il Giobbe della Toscana”. Non fa miracoli: è un miracolo, personalmente, con la letizia francescana degli occhi e della parola, mentre il corpo si va disfacendo.
Dopo la morte lo si venera come santo. Sepolto a San Gimignano nella chiesa di Sant’Agostino, gli verrà innalzato uno splendido sepolcro, opera di Benedetto da Maiano. Approvato nel 1498, il suo culto sarà confermato nel 1910.


Autore: Domenico Agasso

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13/12/2015 08:44
 
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Sant' Antioco di Sulcis Martire

13 dicembre


Sec. II



Nel giorno della festa di santa Lucia la Sardegna ricorda anche un altro martire, sant’Antioco. Una figura legata alle miniere di questa regione, ai cui lavori forzati durante le persecuzioni i romani destinarono anche molti cristiani. Tra di essi si ricorda appunto Antioco, che fu inviato in esilio nella splendida isola che porta il suo nome (oggi congiunta alla terraferma con un ponte). La tradizione vuole che fosse un medico orientale che, nella prima metà del II secolo, ai tempi dell’imperatore Adriano, percorreva la Galazia e la Cappadocia prendendosi cura non solo dei corpi ma anche delle anime di quanti incontrava. Le conversioni da lui suscitate lo portarono all’arresto e all’esilio in Sardegna. Ma, anche prigioniero, la sua testimonianza cristiana fu talmente forte da aprire alla fede il cuore del soldato Ciriaco, che avrebbe dovuto essere il suo carceriere. La notizia fece infuriare le autorità imperiali che lo condannarono a morte. Prima di morire, comunque, Antioco invocò la protezione di Dio sulla Sardegna e sul suo popolo, che ancora oggi lo venera. (Avvenire)

Emblema: Palma


Martirologio Romano: Nel promontorio di Sulcis in Sardegna, sant’Antioco, martire.








Lungo le coste meridionali della Sardegna, doppiato il Capo Spartivento e la Punta Teulada, s'incontrano due grandi isole rocciose: la più vasta è l'Isola di Sant’Antico, la più piccola, quella di San Pietro.
Il nome di San Pietro, Apostolo, anzi, Principe degli Apostoli, non ha bisogno di essere illustrato. Non tutti però, almeno fuori della Sardegna, conoscono il Santo che ha l'onore di stargli accanto, e quasi alla pari, al largo delle coste sarde.
Fin dai tempi antichi la Sardegna fu solcata da miniere, dalle quali si estraevano metalli e minerali pregiati. Al pesante lavoro delle miniere venivano addetti schiavi o prigionieri di guerra; e durante le persecuzioni imperiali, molti cristiani furono esiliati in Sardegna e costretti ai lavori forzati. Si ricordano ancora molti Santi e diversi Papi che soffrirono nelle miniere il loro lungo martirio.
L'Isola di Sant'Antioco è oggi congiunta alla terraferma con un ponte che la collega alla strada di Carbonia e di Iglesias. Ma un tempo, isolata e inospitale in mezzo alle acque, doveva servire egregiamente come luogo dì deportazione. Oggi, la zona del Sulcis, prospiciente alle due isole, è nota per l'estrazione del carbone fossile. Un tempo, vi si scavavano metalli, e l'isola dì Sant'Antioco si chiamava Plumbaria, proprio per le miniere di piombo. In questo luogo di lavoro e di deportazione sarebbe finito Sant'Antioco, il quale, secondo la tradizione, era un medico orientale, che, al tempo dell'Imperatore Adriano, cioè nella prima metà del Il secolo, percorreva la Galazia e la Cappadocia, ai confini orientali dell'Impero.
Egli non solo curava i corpi, ma vaccinava le anime col Battesimo, ed era ben noto per le innumerevoli conversioni di pagani. Quando l'Imperatore emise un Editto di persecuzione, lo zelante medico e missionario fu tra i primi ad essere arrestato. Si voleva far di lui un apostata, ma egli non piegò né alle torture né alle minacce. L'Imperatore allora lo inviò esule in Sardegna, nell'Isola Plumbaria, perché avesse tempo di pentirsi della sua ostinazione e di raffreddarsi nel suo entusiasmo di credente.
Giunse nell'isola condotto da un soldato di nome Ciriaco, che doveva essere suo custode ed aguzzino. Non pare però che fosse condannato ai lavori forzati, se è vero che si stabilì in una grotta presso le coste dell'isola, trasformandola in un piccolo oratorio sotterraneo. Qui passò i suoi giorni di esilio, pregando, meditando, digiunando.
Il suo esempio convertì il soldato Ciriaco, e quando la notizia di quel cristiano irriducibile giunse alle orecchie delle autorità imperiali di Cagliari, venne decisa una punizione esemplare. L'esule Antioco fu così colpito a morte, ma prima di morire egli pronunziò una accorata preghiera al Signore, invocandone la protezione sulla Sardegna e sul suo fiero popolo.
Per quanto incerta possa essere la Passione di questo antico Martire, certa e antichissima è la devozione dei Sardi per Sant'Antioco, ricordato con affetto e gratitudine in tutta l'isola, e specialmente nella regione del Sulcis. L'antica diocesi di Iglesias sì onora infatti di avere come Patrono l’esiliato di Cristo, il medico e Martire venuto d'oltremare.
La data di culto per la Chiesa Cattolica è il 13 dicembre mentre in diverse località della Sardegna viene festeggiato il 13 novembre.





Fonte:

Archivio Parrocchia


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14/12/2015 05:15
 
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Santi Ares, Promo ed Elia Martiri

14 dicembre




Emblema: Palma


Martirologio Romano: Ad Ascalona in Palestina, santi Ares, Promo ed Elia, martiri, che, volendo passare dall’Egitto in Cilicia per fare visita ai confessori di Cristo durante la persecuzione dell’imperatore Massimino e dare loro aiuto, furono arrestati a Cesarea, atrocemente privati degli occhi e mutilati dei piedi e poi condotti ad Ascalona, dove, per ordine del governatore Firmiliano, terminarono il loro martirio, Ares sul rogo, gli altri decapitati.







Faceva parte di un gruppo di cristiani egiziani che si erano mossi per portare un po' di sollievo ai correligionari deportati dall'imperatore Massimino Daia in Cilicia. Il 14 dicembre del 308 o 309 furono sorpresi alle porte di Ascalona, mutilati e condannati a lavorare nelle miniere. Ares e latri due del gruppo, Promo ed Elia, furono invece messi a morte: il primo bruciato vivo e gli altri due decapitati.


Autore: Paola Cristofari

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15/12/2015 08:02
 
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Beato Carlo Steeb Sacerdote

15 dicembre


Tubinga (Würtemberg, Germania), 18 dicembre 1773 - Verona, 15 dicembre 1856



Protestante, si fa cattolico a Verona e si dedica ai malati. Fonda con Luisa Poloni (Madre Vincenza) l'Istituto delle Sorelle della Misericordia.

Etimologia: Carlo = forte, virile, oppure uomo libero, dal tedesco arcaico


Martirologio Romano: A Verona, beato Carlo Steeb, sacerdote, che, nato a Tubinga, professò la fede cattolica a Verona e, ordinato sacerdote, fondò l’Istituto delle Suore della Misericordia a sostegno degli afflitti, dei bisognosi e dei malati.








Il fondatore delle Sorelle della Misericordia di Verona è un tedesco: Carlo Steeb, infatti, era nato a Tubinga il 18 dicembre 1773, primogenito di una distinta famiglia di protestanti in cui c’erano dei pastori luterani.
Il padre era amministratore dei beni del duca di Württenberg e amministratore di un grande albergo. Essendo morti tutti i suoi fratelli, Carlo fu mandato a Parigi per fare pratica commerciale e successivamente a Verona, dove era particolarmente fiorente l’industria della seta e della lana. Così imparò a parlare correntemente il francese e, con l’aiuto del sacerdote Sante Fontana, anche l’italiano.
Verona in quegli anni stava vivendo una stagione particolarmente intensa dal punto di vista religioso: Maddalena di Canossa, don Pietro Leonardi, don Nicola Mazza e altri avevano dato vita a opere di carità per i poveri e gli ammalati. Carlo vi arrivò nel marzo 1792 e fu subito colpito dalla fattiva carità della gente. Sua madre gli aveva comandato di evitare le dispute religiose e di stare alla larga dai preti cattolici, ma a orientarlo in senso opposto contribuì la lettura di due opere del famoso scrittore francese Bossuet: Motivi di conversione per un protestante e Divario fra le Chiese Protestanti.
La chiarezza di esposizione, l’assenza di ogni acredine e la limpidezza dello stile spinsero Carlo ad abbracciare la fede cattolica. I genitori, sospettando ciò che stava accadendo al figlio, minacciarono di ripudiarlo e di diseredarlo.
Ad assisterlo spiritualmente in questo cammino di fede furono due fratelli sacerdoti dell’Oratorio di S. Filippo Neri, Francesco e Giovanni Battista Bertolini, e la loro sorella Maddalena. Il 14 settembre 1792 il vescovo di Verona mons. Avogadro ricevette l’abiura dello Steeb. Non gli fu concesso di convincere i familiari circa il valore del suo gesto, anche se egli non cessò mai di pregare per questo: «Ha potuto una madre», diceva pensando a sant’Agostino, «convertire un figlio, e non potrà un figlio convertire una madre?».
Benedetto Del Bene e dei fratelli Bertolini, col fervore e l’impegno dimostrati convinse il vescovo a ordinarlo sacerdote l’8 settembre 1796.
Come primo incarico, gli fu affidata la cura spirituale delle famiglie tedesche residenti a Verona, incarico che egli eserciterà gratuitamente per trentasette anni. In quegli anni, il Veneto fu teatro della guerra tra Napoleone e gli austriaci e lo Steeb si offrì per assistere i feriti negli ospedali e i prigionieri nelle carceri, favorito in questo dalla conoscenza del francese e del tedesco, e per questa sua generosa presenza le autorità gli conferirono l’onorificenza della croce d’oro dell’imperatore Francesco Giuseppe.
Successivamente, una epidemia di colera lo vide all’opera nel Lazzaretto che ospitava circa duemila infermi: se richiesto, accorreva subito al capezzale dei moribondi per confortare, preparare cristianamente alla morte e anche battezzare. Si fece apprezzare anche come confessore, nonostante il suo accento tedesco, per la saggezza e la bontà che dimostrava con tutti, tanto da essere ricercato come direttore spirituale da vescovi, magistrati e nobili della città, oltre che dai semplici fedeli, attirati dalla sua inesauribile carità e dalla dolcezza del suo modo di fare, che ricordava san Francesco di Sales da lui scelto per modello. Per guadagnarsi da vivere, il beato faceva scuola: il vescovo mons. Innocenzo Liruti, nel 1812 lo aveva incaricato di insegnare francese ai chierici del seminario.
Ma tre anni più tardi, sconfitto Napoleone, questa lingua fu sostituita dal tedesco. Ai seminaristi si aggiunsero le alunne del collegio femminile detto “Agli Angeli”. Direttore spirituale del seminario era allora il fondatore degli Stimmatini, San Gaspare Bertoni.
Gli eventi politici di quegli anni, accompagnati dal mutare di ideologie e di governi, lo videro sempre coerente ai principi cattolici, senza lasciarsi coinvolgere in partiti politici, unicamente preoccupato di svolgere al meglio il suo ministero sacerdotale.
Nei rapporti coi protestanti non cambiò stile: servizievole e delicato, dialogando esponeva le sue ragioni con dolcezza e rispetto per gli interlocutori, riportandone trentasei di essi alla fede cattolica.
Più di tutto convincevano la santità della sua vita, la sua povertà, l’umiltà che lo caratterizzava e la carità verso i poveri.
Nel periodo in cui assisteva i malati, entrò in contatto con altre grandi figure ecclesiali che a Verona avevano dato vita a istituti religiosi importanti: con il Venerabile don Pietro Leonardi, che nel 1796 aveva fondato la Evangelica Fratellanza dei Preti e Laici Spedalieri (un’associazione di volontariato ante litteram), di cui lo Steeb era un membro particolarmente influente: scopi della istituzione erano la carità esercitata nella Santa Casa della Misericordia, la catechesi popolare e la diffusione dei buoni libri.
E poi con Santa Maddalena di Canossa, che aveva fondato le Figlie della Carità ricorrendo anche ai consigli del Beato, per il quale ebbe sempre grande ammirazione: «Negli ospedali», diceva riferendosi a lui, «succedevano grandi e continue conversioni» specialmente tra gli ufficiali, e lo definiva «confessore pieno dello spirito di Dio».
Nel 1799, assieme alla Canossa e a don Leonardi aveva istituito una scuola per “Spedaliere”, sorelle infermiere destinate a prestare servizio negli ospedali militari e di campo; poi, terminata la guerra con la sconfitta di Napoleone a Waterloo, la Canossa e il Leonardi si dedicarono ad altri ambiti di apostolato, fondando rispettivamente “le Figlie della Carità” e le “Figlie di Gesù”. Lui invece preferì continuare la sua opera nel Pio Ricovero di Verona dove, con Luigia Poloni e tre sue compagne e l’appoggio dei vescovi Giuseppe Grasser e Pietro Aurelio Mutti, il 2 novembre 1840 diede inizio alla congregazione delle Sorelle della Misericordia. Il beato aveva conosciuto la Poloni (diventata poi Madre Vincenza) perché era sua penitente e suo padre faceva parte della Fratellanza. Dopo averla formata con una lunga e forte direzione spirituale, aveva avviato l’opera impegnando, oltre ai suoi pochi risparmi, una piccola eredità lasciatagli da padre Giovanni Battista Bertolini e, soprattutto, i beni paterni di cui entrato in possesso alla morte della sorella Guglielmina. L’istituto ottenne l’approvazione diocesana il 10 settembre 1848. Madre Vincenza si distinse per una profonda vita interiore, che faceva di Cristo il perno della sua quotidianità; un grande amore a Dio e all’Eucaristia, per cui la preghiera scandiva le sue ore, e uno stile di umiltà, semplicità e carità che orientava il su o agire solo a Dio, amato e servito nel prossimo sofferente.
Lo Steeb, ottantenne e pieno di malanni, sperava di morire assistito dalla Fondatrice, ma un tumore la stroncò l’11 novembre 1855. Don Carlo le sopravvisse poco più di un anno: era stata da poco ultimata la costruzione della chiesa dell’Istituto dedicata all’Immacolata ed egli, dopo avervi celebrato la Messa inaugurale, si mise a letto per non più rialzarsi. La morte sopraggiunse otto giorni dopo, il 15 dicembre 1856. Prima di spirare, egli benedisse le sue suore raccomandando loro l’unione, l’obbedienza e l’amore per i malati.
Paolo VI beatificò lo Steeb il 6 luglio 1975, mentre per la Poloni il medesimo rito si è svolto a Verona il 21 settembre 2008. Oggi le Sorelle della Misericordia sono presenti, oltre che in Italia, in Germania, Portogallo, Albania, Tanzania¸ Angola, Burundi,Argentina, Brasile e Cile.

Autore: Angelo Montonati

Fonte: http://www.famigliacristiana.it

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16/12/2015 07:31
 
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Sant' Adelardo Monaco

16 dicembre




Etimologia: Adelardo = Alart









Figlio di s. Everardo, fondatore dell'abbazia di Cysoing (Eilla), Abelardo succedette al padre, se non come abate, almeno come guardiano o procuratore del monastero, fin verso l'870. A dire il vero, noi siamo poco e male informati sulla personalità di Abelardo: egli è ricordato nel testamento di s. Everardo e in un atto di donazione di sua madre Gisella, in data 14 aprile 869 e destinato all'abbazia di Cysoing .
In ogni modo, quel poco che si sa non permette di presentarlo come un modello di santità ed è senza dubbio per riconoscenza verso il loro fondatore che i canonici regolari di Cysoing hanno tenuto ad accordargli gli onori degli altari il 16 dicembre insieme con suo padre e altri membri della sua famiglia.


Autore: Albert D'Haenens

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17/12/2015 07:53
 
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Santa Begga Badessa di Andenne

17 dicembre




Nata nel VII secolo da nobile famiglia carolingia, Begga si sposò e rimase vedova. Allora - sull'esempio della madre, santa Itta, che alla morte del marito, il beato Pipino di Landen, si era ritirata nel monastero belga di Nivelles - fondò Notre-Dame ad Andenne-sur-Meuse (Belgio), di cui fu badessa. Le si attribuì la fondazione di sei oratori intorno alla chiesa principale: perciò il luogo fu detto "sept-eglises". È considerata, dal XV secolo, l'iniziatrice del movimento delle beghine, per assonanza e perché la scelsero come patrona. (Avvenire)

Martirologio Romano: Ad Andenne nel Brabante, nell’odierno Belgio, santa Begga, vedova, che, dopo la morte del marito, fondò il monastero della Beata Maria Vergine secondo le regole dei santi Colombano e Benedetto.







La Vita sanctae Beggae viduae fu redatta nel XII sec. con la fusione di elementi desunti da una Vita di s. Gertrude dell'VIII sec., di reminiscenze classiche e invenzioni fantastiche. Begga nacque da nobilissima famiglia: figlia del b. Pipino di Landen (m. 640) e di s. Itta (o Iduberga), fondatrice del monastero di Nivelles (m. 652), ebbe per fratelli lo sventurato Grimoaldo, che morì nel 663 vittima di intrighi cortigiani, e s. Gertrude, badessa a Nivelles fino al 659, anno della sua morte.
Begga sposò uno dei figli di s. Arnolfo di Metz, Ansegiso o Ansegisello, domesticus alla corte di Sigeberto III (m. 656) e dì Childerico Il (m. 675) e firmatario di alcuni diplomi nel 670. Ansegiso è generalmente confuso col nobile Adalgysel della Cronaca di Fredegario o della carta di fondazione di Cugnon (645-47). Dopo la morte del marito, avvenuta nel 685, Begga fondò e intitolò a Notre-Dame un monastero ad Andenne-sur-Meuse (Belgio), in un terreno di sua proprietà.
Nell'abbandonare il mondo Begga s'ispirò al comportamento della madre Itta che, alla morte del marito, si era rinchiusa nel monastero di Nivelles (Belgio), da lei fondato. E proprio ad Agnese, badessa di Nivelles, ella si rivolse per ottenere libri, reliquie e suore con cui sostenere la sua fondazione di Andenne. Si attribuiva, inoltre, a Begga la fondazione di sei oratori che, disposti intorno alla chiesa principale, rappresentavano le sette basiliche di Roma e valsero ad Andenne il nome dì "sept-tglises", ad septem ecclesias. Le monache di Nivelles praticavano probabilmente la regola di s. Colombano, se si considerano i costanti legami dell'abbazia (consolidatasi sotto la vigile protezione di Amando, Foillano e Ultano, fratelli questi di s. Furseo) coi monaci irlandesi. Ma nel 691 la regola importata ad Andenne era mista di elementi desunti dalle regole di s. Colombano e di s. Benedetto.
La Vita leggendaria pone la morte di B. al 709, attribuendole un viaggio a Roma sotto il papa Adriano I, eletto in realtà nel 772. Al tempo della redazione della Vita il monastero di Andenne fu secolarizzato e affidato a canonichesse nobili con prebende; l'autore descrive questo regime come se fosse quello della fondazione.
Begga fu onorata come santa subito dopo la morte; il suo nome, assente negli antichi martirologi, è passato, dai calendari dell'XI sec. al Martirologio Romano, al 17 dic. Per la somiglianza dei nomi, a partire dal XV sec. si è considerata Begga come iniziatrice del movimento delle beghine, ed è esistita una pia letteratura che, specialmente nei paesi fiamminghi, illustra e difende questa teoria, nata, invece, dal fatto che le beghine scelsero Begga come patrona.


Autore: Henry Platelle

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18/12/2015 08:00
 
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San Flavito Eremita

18 dicembre


Italia VI sec. – Marcilly-le-Hayer (Francia), 18 dicembre 618?

Venerato a Marcilly-Le-Hayer e a Villemaur-sur-Vanne.







In francese è conosciuto come s. Flavy ed è venerato particolarmente a Marcilly-le-Hayer. È ricordato tramite una leggenda riportata da un manoscritto del IX secolo e il suo culto è abbastanza diffuso.
La leggenda racconta che Flavito, vissuto nella seconda parte del VI secolo e l’inizio del VII, fu fatto prigioniero in Italia e poi venduto a Troyes per trenta monete d’argento ad un certo Montanio, che lo impiegò nel suo fondo di “Marcelliacum” (Marcilly-le-Hayer) situato a circa 20 km a sud di Nogent-sur-Seine.
Si sa che fu insidiato dalla moglie del padrone, respingendo la sua passione sopportò le calunnie, non volle sposarsi e fece prosperare gli affari di Montanio.
Svincolato dalla schiavitù, ricevé la tonsura ecclesiastica e poi fu ordinato prete; costruì un oratorio nella zona, dove condusse vita da eremita; morì il 18 dicembre di un anno imprecisato.
Due avvenimenti che lo riguardano sono datati: lo ordinò sacerdote san Lupo vescovo di Sens (m. verso il 623) e avrebbe resuscitato il figlio di re Clotario II (584-629), quindi s. Flavito potrebbe essere morto intorno al 618; Marcilly-le-Hayer ha il centro del suo culto, vi si trovano due fontane del santo, di cui una la “fontaine d’Abondance” sarebbe sgorgata per un suo miracolo.
Nei dintorni vi sono due villaggi, uno Saint-Flavy porta il suo nome, l’altro Villamaur-sur-Vanne aveva una abbazia benedettina a lui dedicata e le sue reliquie sono qui venerate.
E' ricordato il 18 dicembre sin dall’XI secolo.


Autore: Antonio Borrelli

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19/12/2015 07:59
 
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Beata Adelaide di Susa Marchesa

19 dicembre


Susa (Torino), 1015 ca. – Canischio (Torino), 19 dicembre 1091

Etimologia: Adelaide = dal nobile aspetto, dall'antico tedesco








È denominata in parecchie cronache benedettine, come “Beata Adelaide”, ma il suo culto non è stato mai riconosciuto.
Nel grande intrecciarsi delle vicende della Storia, che coinvolge i popoli e i singoli governanti, spesso l’aspetto politico, dinastico, bellico, prende il sopravvento nel ricordo storico, lasciando nell’ombra l’aspetto umano, religioso, morale, caritatevole, del signore dell’epoca.
È il caso soprattutto di tante sante figure di nobili castellane del Medioevo, che operarono più o meno apertamente, nell’aiutare i bisognosi del luogo, nel fondare monasteri e chiese, nell’addolcire l’attività di governo dei consorti, quasi sempre in guerra in quell’epoca difficile e oscura.
Molte di queste castellane, diventate vedove, si dedicavano a vita ritirata presso qualche monastero, da loro fondato in precedenza; diventando spesso badesse di una comunità religiosa, che comprendeva a volte anche qualche loro figlia.
Detto questo, si può comprendere come la figura storica della marchesa di Susa, Adelaide, abbia in parte oscurato i meriti indiscussi della donna, sposa, vedova, madre, che visse ed operò alla luce delle virtù cristiane; tale da essere denominata “Beata Adelaide” e per l’appoggio dato alla Chiesa: “figlia di S. Pietro”.
Figlia primogenita ed erede del conte Olderico Manfredi II, Marchese di Susa e Conte di Torino e di Berta Obertagna dei Marchesi d’Este, Adelaide nacque nel castello di Susa tra il 1010 e il 1016.
La madre morì in giovane età, dopo aver dato alla luce quattro figli, Adelaide, Immilla, Berta ed un figlio morto giovanissimo nel 1034
Il marchese suo padre, rimasto vedovo, divise fra le tre figlie rimaste i suoi possedimenti, dei quali la maggior parte (tutte le terre tra Ivrea e Ventimiglia), andò alla figlia primogenita Adelaide; ma la potenza del marchese di Susa e conte di Torino, era prevalentemente di tipo militare, non trasmettibile ad una donna sola, per cui alla morte del padre, la giovane marchesa, qualificata in molti testi anche come principessa, a soli sedici anni nel 1035, andò in sposa ad Ermanno III duca di Svevia.
Ma fu un matrimonio di breve durata, perché il duca Ermanno nel luglio 1038 morì di peste, senza aver avuto un figlio; Adelaide che aveva 22 anni, allora si risposò con Arrigo I (Enrico I) marchese del Monferrato, ma nel 1044 rimase di nuovo vedova.
Per evidenti ragioni di Stato fu necessario ricorrere ad un terzo matrimonio e la giovane vedova sposò nel 1045 Oddone I (1020 ca. - 19/2/1059), conte di Savoia, Aosta, Moriana, secondogenito del capostipite sabaudo Umberto I Biancamano.
Nei 14 anni di matrimonio, nacquero cinque figli; Pietro I († 1078), Amedeo II († 1080), Berta († 1087), Adelaide († 1079), Oddone († 1102) futuro vescovo di Asti; in effetti ben quattro di essi premorirono alla madre, rimasta di nuovo vedova nel 1059.
Degna nipote di Arduino d’Ivrea, suo bisnonno, che nel 976 cacciò i saraceni dalla Valle di Susa, aveva trascorso gran parte dell’adolescenza fra le armi, vedendo da vicino guerre e stragi, indossando lei pure armi e corazza.
Pur essendo una bella persona anche nel volto, considerava la bellezza e la ricchezza come cose passeggere, valutando invece le virtù come gloria duratura.
Dotata di forte temperamento, non indugiava se necessario, a castigare la corruzione in grossi personaggi della regione, compreso anche dei vescovi, nel contempo premiava magnanimamente le nobili imprese e le attività caritatevoli.
Accoglieva alla sua corte trovatori e menestrelli, ma voleva che i loro canti fossero improntati ad incitare sempre alle virtù, alla religione, alla pietà.
Fondò nei suoi possedimenti molte chiese e monasteri, diventati poi centri di divulgazione del patrimonio di studi e di storia; fece restaurare la chiesa di S. Lorenzo ad Oulx (Torino), che come molte altre era stata distrutta dai saraceni.
La sua protezione ai tanti monasteri fondati in Piemonte, Valle d’Aosta e Savoia, fu tale che s. Pier Damiani († 1072), vescovo e Dottore della Chiesa, suo contemporaneo, poté dire: “Sotto la protezione di Adelaide, vivono i monaci come pulcini sotto le ali della chioccia”.
Fu amata dagli italiani del tempo, che generalmente la chiamavano “la marchesa delle Alpi Cozie”; fu stimata dai suoi sudditi e temuta dai suoi avversari; nei lunghi anni di vedovanza, seppe tenere il potere con notevole abilità e saggezza, tanto che il già citato s. Pier Damiani le scrisse: “Tu, senza l’aiuto di un re, sostieni il peso del regno, e a te ricorrono quelli che alle loro decisioni desiderano aggiungere il peso di una sentenza legale. Dio onnipotente benedica te ed i tuoi figlioli d’indole regia”.
Purtroppo dai suoi figli che amava tanto, giunsero per lei i dolori più forti, perché li vide morire ancora giovani, tranne l’ultimo, il vescovo Oddone.
Inoltre la figlia Berta (1051-1087) fu protagonista suo malgrado, di uno sconvolgimento politico che investì l’impero di Germania e il Papato.
Il marito Enrico IV (1050-1106), imperatore del S.R.I., re di Germania, re d’Italia e duca di Franconia, che lei aveva sposato quindicenne il 13 luglio 1066; ben presto per il suo carattere vizioso e tiranno, prese ad osteggiare la casta giovinetta, mettendo in atto, scontrosità, raggiri e agguati per screditarla e così potersene liberare.
Si scatenò un’ostilità che portò la povera Berta a rinchiudersi nell’abbazia di Lorscheim, in attesa degli eventi; Enrico IV convocò un Concilio a Magonza per discutere la sua richiesta di divorzio, nonostante il parere contrario della madre, l’imperatrice Agnese, anch’essa ritirata in un convento.
Il papa inviò come suo delegato il cardinale vescovo di Ostia s. Pier Damiani, il quale nella discussione che ne seguì, argomentò brillantemente a favore della giovane Berta, convincendo tutti i convenuti.
La reazione di Enrico IV fu grande, e non temendo l’avversione dei sudditi continuò nei suoi propositi e alla fine incappò anche nella scomunica di papa s. Gregorio VII (Ildebrando di Soana, † 1085).
Berta pur avendo tanto subito dallo scellerato sposo, si dimostrò di grande animo, spronandolo con l’aiuto della sua famiglia in Piemonte, a chiedere il perdono del papa.
Adelaide, per intercessione della figlia, acconsentì ad accompagnare l’ingrato genero dal papa, che era ospite della contessa Matilde nel suo castello di Canossa (Reggio Emilia) accompagnati anche dal figlio Amedeo II.
L’umiliato imperatore, dovette a quest’energica donna, molto più che alla stessa contessa Matilde, se il papa Gregorio VII, concesse patti e condizioni dure ma fattibili, togliendogli la scomunica, che aveva comportato la disubbidienza dei sudditi; comunque l’umiliazione fu grande, tanto da passare alla storia, perché Enrico IV fu lasciato per tre giorni fuori dal castello di Canossa, nel pieno inverno del 1077 prima di essere ricevuto dal papa.
Tralasciamo qui il prosieguo delle vicende di Berta ed Enrico che tornarono in Germania e ritorniamo ad Adelaide, che in questa vicenda dolorosa della diletta figlia, seppe obbedire ed onorare il Pontefice e non s’inimicò l’imperatore, districandosi tra le due distinte autorità, l’una spirituale e l’altra temporale, allora in lotta aperta per le investiture ecclesiastiche. In seguito Adelaide si trovò a fare da mediatrice pure in una contesa fra i suoi due generi, lo stesso Enrico IV e Rodolfo duca di Svevia, marito dell'altra figlia Adelaide.
Negli ultimi anni della sua vita, quantunque assai vecchia, conservò sempre lucida la mente; lasciata ogni cura di governo al nipote Umberto II, si ritirò forse prima a Valperga da dove qualche volta si portava a piedi scalzi al piccolo monastero di Colberg, distante due miglia, per onorarvi la Madre di Dio, là venerata; il suddetto monastero prese poi il nome di Belmonte.
Sulla fine della marchesa Adelaide di Susa, vi sono contrastanti ipotesi di vari studiosi; quella più attendibile è che dopo Valperga, ella si spostò in un piccolo villaggio, Canischio (TO), forse per sfuggire alla peste e qui morì e fu sepolta nella chiesa di S. Pietro il 19 dicembre 1091, aveva 76 anni circa, una bella età per quell’epoca.
La testimonianza di uno studioso, dice che nel 1775, gli fu mostrato nella chiesa parrocchiale di Canischio, il suo “meschinissimo sepolcro” in uno stato d’abbandono, che rifletteva lo stato di vita modesta dei suoi ultimi anni.
La suddetta chiesa è stata nel tempo distrutta e del suo sepolcro non esiste più traccia. Un’altra ipotesi degli storici è che i suoi resti mortali, furono trasportati da Canischio nella cattedrale di S. Giovanni Battista di Torino, ma anche qui non esistono tracce.


Autore: Antonio Borrelli

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20/12/2015 08:29
 
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San Baiulo (e Liberato) Martiri romani

20 dicembre




Etimologia: Liberato = signific. chiaro


Emblema: Palma








Sul martire Baiulo ci sono problemi di storicità in quanto il nome è sicuramente un errore di interpretazione nel manoscritto originale.
Il martire Liberato è invece autentico, anche se il nome originale suona come Liberale. Molti documenti ricordano il suo dies natalis tra il 20 o 21 dicembre a Roma e sepolto nel cimitero della via Salaria. Antichi documenti ricordano che la sua tomba era custodita nel sottosuolo della basilica dedicata al martire Giovanni. Non sappiamo come e quando sia morto Liberato: alcuni sostengono che la sua morte sua avvenuta sotto il regno di Claudio il Goto (269-70). Secondo due antiche iscrizioni apprendiamo che era di nobile famiglia, era console e che durante il suo ufficio fu messo a morte. Infine che lo stesso Floro, suo carnefice, costruì il suo sepolcro che poi fu distrutto dall’invasione di Alarico (410?) e successivamente restaurato.
La memoria liturgica è il 20 dicembre.


Autore: Don Marco Grenci

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21/12/2015 07:44
 
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Sant' Anastasio il Giovane Martire

21 dicembre




Etimologia: Anastasio = risorto, dal greco


Emblema: Palma








Nel 599, morto Anastasio il Vecchio, Anastasio gli succedette nella sede di Antiochia e, immediatamente, dando notizia a Gregorio Magno della sua elezione, protestò la sua adesione alla fede ortodossa. Nella sua risposta il papa, pur rallegrandosi dell'ortodossia di Anastasio, lo spronò a iniziare fruttuosamente il suo patriarcato, stroncando le pratiche simoniache piuttosto diffuse nella città.
Quando nel 609 l'imperatore Foca tentò di convertire forzosamente i Giudei, questi si ribellarono e, essendo riusciti ad imporsi in alcune città, tra cui Antiochia, si abbandonarono a sanguinose rappresaglie, durante le quali fu ucciso anche Anastasio
Questi, infatti, dopo essere stato trascinato in catene per tutta la città e aver subito mutilazioni, fu gettato nel fuoco.
Gregorio Magno afferma che Anastasio tradusse in greco il suo 'Liber regulae pastoralis', ma questa versione non ci è giunta. In Oriente Anastasio non gode di culto alcuno, mentre il suo nome è stato inserito dal Baronio nel Martirologio Romano alla data del 21 dicembre.


Autore: Alfonso Raes

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22/12/2015 08:16
 
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Santi Demetrio, Onorato e Floro di Ostia Martiri

22 dicembre




Etimologia: Demetrio = sacro alla dea Demetra, dal greco


Emblema: Palma








Demetrio, Onorato e Floro sono commemorati nel Martirologio Romano il 22 dicembre La notizia proviene da Usuardo, il quale però non si accorse che si trattava di una ripetizione dei santi Demetrio e Onorio ricordati già il 21 novembre. È da notare inoltre che nel Geronimiano invece di Onorato si legge Onorio e in più c'è anche il nome di Felice. Onorato però è ricordato nello stesso Geronimiano il 21 dicembre come vescovo e confessore, ma di ignota sede. Chi fossero poi Felice e Floro è impossibile precisare per mancanza di altre notizie.


Autore: Agostino Amore

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23/12/2015 04:35
 
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Santa Bincema Vergine e martire

23 dicembre


III secolo

Santa Bincema, vergine e martire, vissuta nel III secolo d.C., è annoverata tra i santi martiri della Sardegna nel Santuario della Cattedrale di Cagliari.

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24/12/2015 07:16
 
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> Sezione A > Sant' Adele di Pfalzel Condividi su Facebook Twitter




Sant' Adele di Pfalzel Abbadessa benedettina

24 dicembre


sec. VIII - m. 730

Fondatrice e prima abbadessa del monastero benedettino di Pfalzel (Treviri), che aveva la stessa regola dei monasteri di Ohren e di Nivelles; nonna ed educatrice di san Gregorio di Utrecht. Morì intorno al 730.Santa Adele di Pfalzel è legata al nome di un altro grande apostolo della Germania, l'inglese san Bonifacio che predicò il vangelo in Frisia, nella prima metà del secolo VIII. Durante uno dei suoi frequenti viaggi dalla Frisia alla Renania l'instancabile missionario fu ospite del monastero di cui era badessa Adele. La tradizione vuole che questa santa, rimasta vedova, entrasse nel monastero da lei stessa fondato, portandosi dietro il nipotino Gregorio. Durante la sosta nel monastero Bonifacio parlò così bene delle verità evangeliche che il ragazzo, ammirato, volle seguirlo. Divenne uno dei più zelanti discepoli del grande missionario. È uno degli episodi senza dubbio più significativi di questa santa il cui ricordo si confonde con quello più vivido di S. Irmina, accomunate dalla santità se non dalla parentela.La memoria di sant'Adele è ricordata il 18 e, per lo più, il 24 dicembre, insieme con quella di santa Irmina. Ha culto locale e popolare. (Avvenire)

Etimologia: Adele = figlia nobile, dall'antico tedesco




Ascolta da RadioMaria:




Fondatrice e prima abbadessa del monastero benedettino di Pfalzel (Treviri), che aveva la stessa regola dei monasteri di Ohren e di Nivelles; nonna ed educatrice di s. Gregorio di Utrecht. Morì ca. il 730. E' da identificare con l'abbadessa Adola, destinataria d'una lettera dell'abbadessa Elfled di Streaneshalch e con Adula, «religiosa matrona nobilis», che era a Nivelles il 17 marzo 691 e il cui figlioletto fu ivi salvato dall'annegamento. Poco sicura è invece l'identificazione di Adele con Attala, figlia di s. Irmina, come anche non è dimostrato che Adele fosse figlia di Dagoberto II e sorella di s. Irmina; infine, non genuino è il «testamentum Adulae». Mabillon sembra nutrire qualche riserva sulla santità di Adele, che peraltro ha attestazioni antiche, come quella riportata da un lezionario medievale dallo Schorn («Haec sanctissima A. plena dierum migravit ad Christum»), da cui risulta altresì che Adele fu sepolta nel suo monastero. Nel 1802 il sepolcro fu tolto; la cassa con le reliquie, portata nella chiesa parrocchiale di S. Martino, fu aperta nel 1868: non vi si trovò che una copia del testamento di s. Adele e un verbale del 1802. La tavola di piombo della traslazione del 1207 e l'originario coperchio del sepolcro furono rinvenuti nello stesso anno dietro l'altare maggiore, mentre la testa e le ossa della santa, nascoste sotto lo stesso altare, si scoprirono nel 1933.
La memoria di s. Adele è ricordata il 18 e, per lo più, il 24 dic., insieme con quella di s. Irmina. Ha culto locale e popolare.
S. Adele di Pfalzel è legata al nome di un altro grande apostolo della Germania, l'inglese S. Bonifacio che predicò il vangelo in Frisia, nella prima metà del secolo VIII. Durante uno dei suoi frequenti viaggi dalla Frisia alla Renania l'instancabile missionario fu ospite del monastero di Pfalzel, presso Treviri, di cui era badessa Adele.
La tradizione vuole che questa santa, rimasta vedova, entrasse nel monastero da lei stessa fondato, portandosi dietro il nipotino Gregorio. Durante la sosta nel monastero Bonifacio parlò così bene delle verità evangeliche che il ragazzo, ammirato, volle seguirlo. Divenne uno dei più zelanti discepoli del grande missionario. E’ uno sprazzo di luce sulla nebulosa storia di questa santa il cui ricordo si confonde con quello più vivido di S. Irmina, accomunate dalla santità se non dalla parentela.



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25/12/2015 08:23
 
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Sant' Alburga Principessa

25 dicembre













Sorella o sorellastra di Egberto, re del Wessex, andò sposa a Wolstano, conte di Wiltshire, il quale, per onorare il padre, morto in guerra, restaurò la vecchia chiesa di Wilton e vi stabilì una comunità di canonici, ai quali chiese di pregare per il padre defunto. A sua volta Alburga, rimasta vedova, con l'appoggio del fratello sostituì ai canonici delle religiose, con le quali si ritirò a fare vita in comune» fino alla sua morte, che si calcola sia avvenuta dopo l'800. La sua festa è celebrata il 25 dicembre.



Autore: Sergio Mottironi

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26/12/2015 09:08
 
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San Dionigi (o Dionisio) Papa

26 dicembre


m. 268



(Papa dal 22/07/259 al 26/12/268)
Di patria ignota, fu testimone della tragica fine del sanguinario imperatore Valeriano. Provvide all'organizzazione della Chiesa, costituendo parrocchie e diocesi.

Etimologia: Dionigi = consacrato a Dioniso (è il dio Bacco)


Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Callisto sulla via Appia, san Dionigi, papa, che, colmo di ogni virtù, dopo la persecuzione dell’imperatore Valeriano, consolò con le sue lettere e la sua presenza i fratelli afflitti, riscattò i prigionieri dai supplizi e insegnò i fondamenti della fede a coloro che li ignoravano.








Già presbitero della Chiesa romana, fu eletto al sommo pontificato nel luglio 259 e regnò fino al 268. In una lettera a lui indirizzata il vescovo Dionigi di Alessandria lo chiama "uomo ammirabile e rende testimonianza della sua cultura e della sua eloquenza. S. Basilio poi attesta che egli aveva una fede retta e possedeva tutte le virtù. Durante il suo pontificato Dionigi dovette intervenire in una importante questione dottrinale riguardante l'omonimo vescovo di Alessandria. Questi era stato accusato, da alcuni suoi chierici, presso il pontefice, di negare l'eternità del Verbo, la sua consustanzialità con il Padre, e di asserire che era una creatura. L'accusa non era infondata, poiché il vescovo alessandrino, nella foga di combattere l'errore di Sabellio, in alcune sue lettere aveva adoperato delle frasi che veramente sembravano affermare quegli errori; lo stesso s. Atanasio, pur cercando di spiegarle in senso ortodosso, non ne negava il tenore.
Per esaminare la questione, Dionigi convocò un sinodo e a nome di tutti scrisse due lettere ad Alessandria: una diretta al vescovo, con la quale chiedeva spiegazioni sulla sua fede; l'altra, alla Chiesa alessandrina, nella quale pur tacendo il nome dell'accusato ne confutava e condannava la dottrina.
Questa seconda lettera è un documento dottrinale importantissimo, in cui si trova già condannato avanti tempo quello che poi sarà l'errore degli ariani. Dionigi, pur non discutendo da teologo, ma parlando come custode e difensore della rivelazione aflìdata alla Chiesa, con parole chiare ed energiche, da maestro autorevole, vi condanna sia il modalismo di Sabellio, sia coloro che, per confutare quell'errore, sembrano ammettere in Dio una specie di triteismo; afferma quindi non meno chiaramente l'unità e trinità di Dio; che il Verbo non è una creatura, ma è stato generato dal Padre, dal quale è ab eterno, e quindi non ebbe esistenza col tempo.
Il vescovo alessandrino, accettando in semplice umiltà l'esposizione di Dionigi, rispose con una lettera in cui spiegava il suo pensiero e poi più a lungo con una Apologia.
Dalla lettera di s. Basilio sopra citata, sappiamo ancora che Dionigi, continuando la tradizione caritatevole della Chiesa romana a favore dei bisognosi, scrisse ai fedeli di Cesarea di Cappadocia per consolarli delle tribolazioni sofferte in occasione di una scorreria di barbari, ed insieme inviò degli aiuti in denaro per la liberazione di quei cristiani che erano stati fatti prigionieri.
L'autore del Liber Pontificalis afferma, con poca verosimiglianza, che Dionigi era un monaco e che, eletto papa, distribuì ai presbiteri romani la direzione delle chiese e dei cimiteri.
Sulla sua morte le indicazioni delle fonti sono alquanto discordi. Nella Depositio Episcoporum il suo nome è registrato al 27 dicembre, e il luogo della sepoltura è indicato nel cimitero di Callisto, nel Catalogo Liberiano, invece, e nel Martirologio Geronimiano, seguiti anche dal Romano, si dice che morì il 26 dicembre e fu sepolto nel cimitero di Priscilla: questa notizia è certamente falsa. Il Catalogo, poi, aggiunge che Dionigi morì martire, ma ciò, oltre al fatto di essere in contrasto con l'indicazione della Depositio, è anche inverisimile, poiché il pontificato di Dionigi coincise con il governo degli imperatori Gallieno e Claudio il Gotico, di cui il primo revocò espressamente la persecuzione scatenata dal padre Valeriano, mentre il secondo non fu persecutore.


Autore: Agostino Amore

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27/12/2015 08:47
 
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Santa Fabiola di Roma Matrona romana

27 dicembre


m. 399

Nel Sabato santo di un anno imprecisato Fabiola si presenta, vestita con tela di sacco, nella basilica di San Giovanni in Laterano, chiedendo di essere accolta nella Chiesa. Discende da un casato illustre nella storia romana, quello dei Fabi, e alle spalle ha già due matrimoni finiti il primo con un divorzio, il secondo con la morte del marito. Facendosi cristiana, si fa anche povera, rinunciando ai suoi beni e costruendo un ospedale per i malati. Un giorno le accade di appassionarsi a un trattato sulla vita eremitica. Autore ne è Gerolamo, che dal 385 si trova in Palestina. Fabiola decide di vivere anche lei in solitudine e nel 394 va da lui in Palestina, affidandosi alla sua guida spirituale. Nel 395, però, essendo l'Impero in pericolo per l'irruzione di popoli germanici dal Nord, decide di tornare a Roma tra i suoi, a spartirne ansie e difficoltà; e continua a vivere al modo degli eremiti, ma alla preghiera solitaria accompagna il lavoro per i poveri. Pur restando laica, diventa così un modello per il mondo monastico e per la gente comune di Roma. Muore nel 399. (Avvenire)

Etimologia: Fabiola = dalla romana gens Fabia


Martirologio Romano: Commemorazione di santa Fabíola, vedova romana, che, secondo la testimonianza di san Girolamo, volse e destinò la sua vita di penitenza a beneficio dei poveri.







L'unica fonte biografica è l'Epistola 77 di s. Girolamo, scritta nell'estate del 400 ad Oceano. Della nobile famiglia dei Fabi, Fabiola andò assai giovane sposa ad un uomo vizioso dal quale poco dopo divorziò per sposarsi nuovamente. Mortole il secondo marito, riparò il peccato presentandosi nella basilica lateranense la vigilia di Pasqua davanti al papa, al clero ed ai fedeli e chiedendo perdono.
Ritiratasi a vita privata si dedicò all'assistenza dei poveri fondando un hospitium e distribuì le sue sostanze a monasteri.
Nel 394 andò in Palestina ospite di s. Girolamo ed ivi si dedicò allo studio delle S. Scritture. L'anno seguente tornò a Roma dove visse poveramente, morendovi nel 400. Ai suoi funerali partecipò tutta la città al canto dell'Alleluja.
Girolamo le indirizzò nel 397 una dissertazione sulle vesti sacerdotali ed a lei pure destinò, nel 400, il Liber exegeticus de XLII mansionibus Israelitarum in deserto. Essa, inoltre, aveva fatto tesoro della lettera di Girolamo scritta al monaco Eliodoro intorno al 376 in cui era elogiata la solitudine. Nella lettera ad Oceano così Girolam,o sintetizza le virtù di Fabiola: "Laudem Christianorum, miraculum gentilium, luctum pauperum, solatium monachorum".
Il nome di Fabiola figura nei martirologi solo dal XV al XVIII sec. al 27 dicembre; non fu però inclusa dal Baronio nel Martirologio Romano. Essa deve la sua larga notorietà al famoso romanzo del card. Wisemann, intitolato Fabiola ossia la Chiesa delle catacombe (Londra 1855) che ci presenta una Fabiola "spettatrice simpatica delle ultime persecuzioni", anziché una matrona penitente della fine del sec. IV.


Autore: Dante Salboni

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28/12/2015 07:45
 
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Santa Caterina Volpicelli Vergine, Fondatrice

28 dicembre


Napoli, 21 gennaio 1839 - 28 dicembre 1894



Nata a Napoli in una famiglia dell’alta borghesia, Caterina Volpicelli fu la prima zelatrice dell’Apostolato della Preghiera nella sua città. Colta e intelligente, fece della casa paterna un circolo dedito alla preghiera, alla diffusione della stampa cattolica e del culto al Sacro Cuore di Gesù. Sotto l’impulso dell’arcivescovo di Napoli, il cardinal Sisto Riario Sforza, fondò le Ancelle del Sacro Cuore di Gesù, impegnate nell’apostolato e nella santificazione delle anime. Morì a Napoli il 28 dicembre 1894, a 55 anni. Beatificata a Romail 29 aprile 2001,è stata canonizzata, sempre a Roma, il 26 aprile 2009. I suoi resti mortali sono venerati nel Santuario Diocesano del Sacro Cuore alla Salute, in largo Caterina Volpicelli 7 a Napoli.

Martirologio Romano: A Napoli, beata Caterina Volpicelli, vergine, che, tutta dedita all’assistenza dei poveri e dei malati, fondò l’Istituto delle Ancelle del Sacro Cuore, in cui cercò di fare sempre esprimere la carità cristiana in attività adeguate alle esigenze della società contemporanea.








Nacque a Napoli il 21 gennaio 1839, da una famiglia dell’alta borghesia. Educata in casa, secondo i sani valori della tradizione del Meridione d’Italia, passò poi a completare la sua formazione nel Real Collegiodi San Marcellino, avendo così un alto grado di cultura, cosa non comune per una donna del suo tempo.
Desiderando di poter raggiungere “l’intima unione con Dio” entrò a vent’anni nel monastero delle Adoratrici Perpetue, ma dovette lasciarlo dopo sei mesi, a causa della sua salute cagionevole. Il francescano padre Ludovico da Casoria “amico dell’anima sua” (canonizzato nel 2014) glielo aveva predetto, ripetendole: «Il Cuore di Gesù, o Caterina, questa è l’opera tua».
Nel 1864 venne a conoscenza dell’esistenza dell’associazione dell’“Apostolato della Preghiera”. A quel punto, la sua vita ebbe una svolta decisiva. Scrisse al padre Enrico Ramière, che in seguito incontrò personalmente e da cui ricevette tutte le informazioni per impiantare l’associazione a Napoli. Ottenne il diploma di zelatrice, la prima della città, e fece della propria casa un centro per l’espandersi dell’Apostolato della Preghiera.
Napoli è la patria di san Tommaso e di sant’Alfonso, i teologi dell’Eucaristia, che hanno segnato la pietà popolare e nel cui solco si colloca anche l’amore di Caterina Volpicelli per il Santissimo Sacramento. È l’Eucaristia la sorgente del suo convinto servizio alla Chiesa, che lei considera Corpo Mistico di Cristo. Venera quindi i Pastori con devozione filiale e eroica umiltà, accettando da loro ogni sorta di prova che richiedono.
Del suo circolo di preghiera entrò a far parte anche un avvocato, Bartolo Longo, uscito da una grave crisi religiosa che l’aveva portato ad avvicinarsi allo spiritismo. Improvvisamente, e per un certo tempo, lui che era così assiduo a quegli incontri prese a non venirci. Un’amica della Volpicelli, la contessa Marianna Farnararo vedova De Fusco, s’interessò al suo caso e mandò una sua domestica a controllare: in effetti, era ammalato e non mangiava da giorni, a causa dell’assenza della proprietaria della pensione dove alloggiava. Venne quindi deciso che fosse ospitato da Caterina, mentre avrebbe mangiato a casa della contessa.
Un giorno lei gli fece una proposta lavorativa: doveva occuparsi dell’amministrazione di alcuni suoi possedimenti agricoli, situati in una località detta Valle di Pompei. Fu in quel luogo che l’avvocato divenne propagatore della preghiera del Rosario e fondò, in onore della Vergine Maria, un santuario e le annesse opere di carità (è Beato dal 1980).
Lasciata la casa paterna, Caterina fissò la sua dimora e la sede delle sue opere in largo Petrone alla Salute (attuale largo Caterina Volpicelli) dove in seguito, grazie all’aiuto del cardinale arcivescovo Sisto Riario Sforza e per la presenza di gesuiti insigni, di padre Ludovico da Casoria, per la predicazione quasi ininterrotta di esercizi spirituali, divenne un vivissimo centro di spiritualità.
Sotto l’invito del Cardinale, Caterina fondò l’Istituto delle Ancelle del Sacro Cuore che, contrariamente agli Ordini religiosi femminili dell’epoca, dediti soprattutto alla contemplazione e alle opere assistenziali, sorse per l’apostolato e la santificazione delle anime. L’Istituto ebbe dall’origine tre rami, uno religioso (le cui aderenti non portavano un abito definito) e due laicali. Queste particolarità, insieme allo studio della teologia e al servizio alla Chiesa in spirito d’apostolato, sono tutte specifiche che anticipano quasi un secolo prima le novità del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Il 14 maggio 1884 il nuovo arcivescovo di Napoli, Guglielmo Sanfelice, consacrò il Santuario dedicato al Sacro Cuore,adiacente alla Casa Madre.
Il 21 novembre 1891 si celebrò a Napoli il primo Congresso Eucaristico Nazionale, che vide Caterina e le sue consorelle impegnate nell’organizzazione delle Adorazioni in Cattedrale, nella preparazione alla confessione e Comunione generale e nella gestione degli arredi sacri.
Il 28 dicembre 1894 Caterina Volpicelli morì a Napoli, a soli 55 anni.
San Giovanni Paolo II l’ha proclamata Beata in piazza San Pietro il 29 aprile 2001, mentre papa Benedetto XVI l’ha canonizzata, sempre a Roma, il 26 aprile 2009. Si è quindi avverato l’auspicio del suo primo biografo,monsignor Michele Jetti:«Napoli abbia presto, al pari delle fortunate città di Alessandria, Siena, Genova e Bologna, la sua santa Caterina».


Autore: Antonio Borrelli

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29/12/2015 07:27
 
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Sant' Ebrulfo (Ebrolfo) di Ouche Abate

29 dicembre




Martirologio Romano: A Exmes in Neustria, ora in Francia, sant’Ebrolfo, abate del monastero di Ouche al tempo del re Childeberto.







Il 29 dicembre il Martirologio Romano menziona Ebrulfo, abate al tempo del re Childeberto II (m. 596). Sembra che il santo sia vis­suto nella regione di Ouche, nell'alta Normandia, fra Exmes e Laigle (Orne). Lo menziona anche, lo stesso giorno, il Martirologio di Usuardo (PL, CXXIV, coll. 849-50), un esemplare del Martirolo­gio di Beda (secc. X-XI) che può provenire da St-Calais nella diocesi di Le Mans (Quentin, pp. 31-36) e un sacramentario dell'abbazia di St-Evroult scritto nella seconda metà del sec. XI. La topo­nimia del paese di Ouche attesta ugualmente la devozione a Ebrulfo : due villaggi, una foresta e, non lontano, un'abbazia portano il suo nome. È stato fatto patrono di una dozzina di chiese della diocesi di Sens e di diocesi vicine.
In Gallia Christiana (ed. 1656, IV, pp. 347 sgg.) è detto che egli nacque a Bayeux nel 517 e che morì ottuagenario il 29 dic. 596. Autori dei secc. XI e XII, come il cronista Orderico Vital (m. verso il 1144) monaco di St-Evroult, ci hanno tra­mandato le informazioni che lo concernono e che sembrano riposare sui dati antichi, anzi contem­poranei.
Di origine nobile, Ebrulfo ricevette un'educazione di­stinta e diede prove di virtù profonde. Alto fun­zionario di Clotario I (m. 561) sposò una donna del proprio rango sociale, da cui poi si separò per condurre una vita di maggiore perfezione. Si stabilì allora, con alcuni compagni, nella foresta di Ouche, infestata dalle bestie feroci e dai briganti; questi ultimi si convertirono e alcuni, anzi, si fe­cero monaci.
Il santo avrebbe fondato una quindicina di mo­nasteri, operato numerosi miracoli e anche risu­scitato dei morti. Nel sec. XII Giovanni di St-Evroult compose un'opera in versi in suo onore e Orderico afferma che si ottenevano guarigioni presso la sua tomba. Durante le invasioni norman­ne, i suoi resti furono trasportai a Orléans, secondo Orderico, a Rebais (diocesi di Meaux), secondo un monaco di questa casa. Si cercò, in seguito, di riportarle a St-Evroult, ma senza successo.


Autore: Paul Viard

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30/12/2015 08:52
 
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Sant' Anisio di Tessalonica Vescovo

30 dicembre


m. 406



Partecipò al Sinodo di Capua e, per la sua fedeltà alla dottrina della Chiesa, ricevette grandi lodi da Santo Ambrogio.

Martirologio Romano: Commemorazione di sant’Anisio, vescovo di Salonicco, che, costituito dai Romani Pontefici vicario apostolico nell’antico Illirico e colmato di lodi da sant’Ambrogio, fiorì al tempo dell’imperatore Teodosio.








Succedette sulla cattedra episcopale di Tessalonica (odierna Salonicco) a sant'Acolio, nel 383 (Gams, p. 429). Sant'Ambrogio, in una lettera che reca l'elogio del predecessore, esorta Anisio «a mostrarsi degno di lui non solo nella dignità, ma anche nei costumi».
Il Sinodo di Capua, convocato nel dicembre del 391, affidò a un collegio di vescovi illirici, presieduti da Anisio, l'inchiesta contro Bonoso, vescovo di Naisso, che negava la perpetua verginità di Maria e la divinità di Gesù Cristo (secondo Fotino). Anisio assolse l'incarico con molto rigore, e Bonoso fu interdetto dalle funzioni vescovili.
Innocenzo I (401-417) confermò i privilegi e i poteri concessi ad Anisio dai suoi predecessori Damaso Siricio e Anastasio; lo nominò vicario per la provincia dell'Illirico e mostrò di valutare giustamente le sue suppliche, attestate da lettere e dal terzo Dialogo di Palladio di Elenopoli, a favore di san Giovanni Crisostomo, perseguitato insistentemente da Eudossia, moglie di Arcadio, che l'aveva fatto esiliare prima dal Sinodo della Quercia e definitivamente nel 404. In base alle lettere di ringraziamento del Crisostomo, l'intervento di Anisio presso il pontefice si può datare al 406. L'episcopato di Anisio ebbe fine con la sua morte, nel 410. Baronio introdusse nel 1586, il nome di Anisio nel Martirologio Romano al 30 dicembre, forse perché nello stesso giorno si celebrava già la festa di sant'Anisia, anch'ella di Tessalonica.


Autore: Germano Giovanelli

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31/12/2015 05:00
 
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San Barbaziano di Ravenna

31 dicembre




Martirologio Romano: A Ravenna, san Barbaziano, sacerdote.








Il Martirologio Romano celebra la sua memoria il 31 dicembre. Antiocheno d'origine, Barbaziano era venuto a Roma agli inizi del V sec. e, appartatosi nel cimitero di Callisto, si dedicò ad una vita di preghiera e di penitenza. Operò numerosi miracoli anche in favore di personalità della corte imperiale e per la sua fama di santità fu caro all'imperatrice Galla Placidia, al seguito della quale si recò a Ravenna, dove costruì il Monasterium S. Iohannis Baptistae e vi diresse una comunità di monaci. Per intercessione di Barbaziano, Galla Placidia poté ottenere miracolosamente reliquie di san Giovanni Evangelista e, quindi, sciogliendo un voto, far erigere, nel 425, la celebre basilica in onore di questo santo. Alla morte di Barbaziano tanto l'imperatrice quanto il vescovo di Ravenna, san Pier Crisologo, curarono che egli venisse tumulato nel suo Monasterium, che poi si sarebbe chiamato dei SS. Giovanni e Barbaziano. Tutto questo raccontano ampiamente gli Acta S. Barbatiani (BHL, I, p. 146, n. 972),.dei quali il Lanzoni ha fornito il testo critico e una profonda analisi; da essa risulta che lo scritto non è purtroppo che un romanzo agiografico, di cui oltre la metà rimaneggiamento di una raccolta di miracoli dei ss. Giro e Giovanni (BHL, I, p. 313, n. 2080), composto da un ignoto romano residente a Ravenna. Più difficile è stabilire quando furono scritti tali Acta: certamente prima del sec. XI, perché ne dipende il sermone LXV di san Pier Damiani, composto in onore di Barbaziano. Il Lanzoni, seguito anche dai Bollandisti, lo ritiene posteriore al sec. IX e dipendente dal Liber Pontificalis di Agnello ravennate (XXII Petrus); mentre il Testi Rasponi nega tale dipendenza degli Acta da Agnello, affermando anzi che il testo del Liber Pontificalis agnelliano, nella forma che conosciamo, è posteriore agli Acta. Ma di quel testo non è certa la genuinità, e le frasi che si riferiscono a Barbaziano potrebbero esser frutto di interpolazioni posteriori ad Agnello.
Sempre secondo il Testi Rasponi, Barbaziano fu un prete ravennate del Monasterium di San Giovanni Battista, morto dopo Teodorico (m. 526) e venerato almeno dal sec. VIII. Le sue reliquie sono ora nella Cattedrale di Ravenna in un sarcofago del VI secolo.


Autore: Giovanni Lucchesi

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01/01/2016 09:04
 
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Beato Andrea Gomez Saez Sacerdote salesiano, martire

1 gennaio


>>> Visualizza la Scheda del Gruppo cui appartiene

Bicorp, Spagna, 7 maggio 1894 - Madrid, Spagna, 1 gennaio 1937







Andrés Gómez Sáez nacque a Bicorp in provincia di Valenza il 7 maggio 1894 e fu battezzato il giorno dopo. Emise i voti religiosi a Carabanchel Alto (Madrid) il 28 luglio 1914 e ricevette l'ordinazione sacerdotale a Orense il 9 settembre 1925.
Esercitò il sacro ministero a Baracaldo, La Coruña e Santander, dove lo sorpre-se la rivoluzione del 1936. Si nascose per non venire incarcerato, ma il 1° gennaio del 1937 fu denunciato come sacerdote ai miliziani, che lo arrestarono e lo fucilarono.
Beatificato il 28 ottobre 2007

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02/01/2016 08:28
 
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Sant' Adalardo di Corbie Abate

2 gennaio


752 - Corbie, Piccardia, Francia, 2 gennaio 827

Etimologia: Adalardo = Alart


Martirologio Romano: Nel monastero di Corbie nel territorio di Amiens in Francia, sant’Adalardo, abate, che tutto dispose in modo che ognuno avesse a sufficienza, ovvero che nessuno avesse in eccesso e nulla andasse perduto, ma tutto fosse donato amorevolmente a lode di Dio.








È nominato in vari martirologi, ma non nel Martirologio Romano; gli Acta Sanctorum riportano una sua vita in forma di panegirico scritta da s. Ratberto Pascasio, e un'altra, che vorrebbe essere più fedele alla realtà storica, opera di s. Gerardo abate.
Nato a Huyse, nei pressi di Audenard, intorno al 753 e allevato a corte fino a vent'anni, disgustato dai vizi dell'ambiente Adalardo si ritirò nel monastero di Corbie con le mansioni di monaco giardiniere. Per evitare distrazioni nella sua vita meditativa si trasferì in incognito nell'abbazia di Mon-tecassino, ma dopo due anni le pressioni di Carlo Magno, di cui era cugino, lo costrinsero a tornare a Gorbie, dove divenne abate. Ebbe alcuni incarichi politici : nell'809 partecipò al Sinodo di Aqui-sgrana e ad una ambasceria, con esito negativo, presso papa Leone III per fare approvare l'aggiunta del Villoque nel Simbolo.
Alla morte di Pipino il Giovane, di cui era ministro, divenne tutore di Bernardo, re d'Italia, e quando questi, nell'817, si oppose a Ludovico il Pio, succeduto a Carlo Magno, venne ritenuto complice della rivolta e relegato nell'abbazia di S. Filiberto nell'isola di Héri, alla foce della Loira (Noirmoutier). Anche suo fratello Wala, e le sorelle Gondrada e Teodrada subirono la relegazione.
Durante l'esilio consigliò al suo sostituto a Corbie, Adalardo II, di dedicarsi alla evangelizzazione dei Sassoni, fondando un priorato a Héthis che, al suo ritorno (822), venne trasportato a Hoexter, dando origine all'abbazia di Korvay (Nouvelle-Corbie). Fu uno degli ispiratori della Dieta di Attigny (822); per la sua eloquenza e la sua cultura, di cui diede prova scrivendo il Livres des statuts; il De ordine palatii, perduto (cf. A. Molier, Sources de l'histoire de France, I, p. 236); il De ratione lunae paschalis, perduto; le Admonitiones in congregatone (in Mabillon, Acta, V, p. 308), fu detto « l'Agostino dell'epoca ». Ma ebbe anche una grande umiltà e non tralasciò di occuparsi con sollecitudine della santificazione dei suoi monaci.
Morì a Gorbie il 2 genn. 827, giorno in cui oggi viene festeggiato, e gli succedette come abate il fratello Wala. Le sue reliquie, scoperte miracolosamente, operarono diverse guarigioni, soprattutto di paralitici e sordomuti. Per la frequenza dei miracoli, papa Giovanni XIX nel 1026 ordinò l'esumazione dei suoi resti e la loro solenne traslazione (10 ott. 1040), equivalenti, secondo le leggi canoniche del tempo, alla canonizzazione ufficiale. Gran parte delle sue reliquie, dopo varie peregrinazioni, riposa dal 1827 nella casa dei Gesuiti a Saint-Acheul.


Autore: Charles Lefebvre

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03/01/2016 07:56
 
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San Ciriaco Elias Chavara Cofondatore indiano

3 gennaio


Kainakari, India, 8 febbraio 1805 – Konammavu, India, 3 gennaio 1871



Ciriaco, cofondatore e primo Priore Generale dei Carmelitani di Maria Immacolata, nacque a Kerala, in India, il 10 febbraio 1805. Entrò in seminario nel 1818 e fu ordinato sacerdote nel 1829. Pose le fondamenta della prima casa della Congregazione a Mannanam nel 1831 ed emise i voti religiosi nel 1855. Nel 1866 collaborò anche alla fondazione della Congregazione delle Suore della Madre del Carmelo. Dal 1861 ricoprì la carica di Vicario Generale della Chiesa siro-malabarica. Difensore dell'unità della Chiesa contro lo scisma di Rocco, per tutta la vita lavorò per il rinnovamento spirituale della Chiesa siro-malabarica. Si distinse come uomo di orazione. Fu pieno di zelo per il Signore nell'Eucaristia e particolarmente devoto della Vergine Immacolata. Morì a Koonammavu nel 1871. Papa Francesco lo ha canonizzato il 23 novembre 2014.

Martirologio Romano: Nel monastero di Mannemamy nel Kérala in India, beato Ciriaco Elia Chavara, sacerdote, fondatore della Congregazione dei Carmelitani di Maria Immacolata.



Ascolta da RadioVaticana:





Il beato nacque l’8 febbraio 1805 a Kainakari nel Kerala, India, da genitori cristiani di rito siro-malabarico ed al battesimo ebbe il nome di Kuriakose (Ciriaco).
Frequentò gli studi primari nel villaggio nativo, proseguendo quelli ecclesiastici a Pallipuram con la guida del sacerdote Tommaso Palackal, dedicandosi con impegno allo studio della liturgia e delle lingue orientali e latina.
Cresciuto in santità, scienza e disponibilità nel servizio al prossimo, venne ordinato sacerdote nel novembre del 1829; due anni dopo nel 1831, collaborò con il citato padre Palackal e con Tommaso Porukara alla fondazione della Congregazione dei Servi di Maria Immacolata, con il fine di una vita religiosa, aperta all’apostolato più impegnato.
Morti nel 1841 e nel 1849 i due cofondatori, padre Kuriakose Chavara, restò l’unica indiscussa guida dell’Istituzione; la quale l’8 dicembre 1855 assumeva la denominazione di “Servi di Maria Immacolata del Carmelo”, emettendo per primo la professione nel Terz’Ordine dei Carmelitani Scalzi, con il nuovo nome di Kuriakose Elias della S. Famiglia.
Subito dopo ricevé la professione di dieci padri diventando primo Priore dell’Istituto, che nel 1861 diventava Congregazione dei “Terziari Carmelitani Scalzi”, di rito siro-malabarico.
La sua guida dell’Istituzione ne dimostrò le doti straordinarie di formatore religioso, convinto e profondo, dalla spiritualità fondata su un grande culto all’Eucaristia, una devozione filiale alla Madonna, e una fedeltà totale alla Chiesa Cattolica, accoppiati ad un grande spirito di preghiera e mortificazione; e con il praticare metodi nuovi di apostolato evangelico.
Coadiuvato e sostenuto da altre degne figure di carmelitani, fra cui l’italiano padre Leopoldo Beccaro, nel 1866 fondava a Konammavu un convento femminile del Terz’Ordine Carmelitano, il cui scopo era quello soprattutto di insegnare alle ragazze le virtù cristiane e alcuni lavori professionali, quindi oltre a religione, lingua, matematica e musica, padre Chavara e padre Leopoldo, istituirono corsi di cucito, per realizzare opere artigianali e artistiche, per fabbricare i rosari, invitando persone esperte per l’insegnamento.
Il suo grande sogno fu un futuro nel quale le donne sarebbero state ad un livello elevato, sia in campo educativo che culturale, anche se le maggiori difficoltà provenivano dalle diverse tradizioni culturali che esistevano nella società indiana dell’epoca.
Non disdegnarono, nel 1868, ad andare casa per casa a convincere i genitori di mandare le ragazze a scuola. In tutto questo fervore di opere, ebbe anche l’incarico di Vicario Generale per i malabarici, che lo vide impegnato nella controversia scismatica contro il pseudo-metropolita intruso caldeo Tommaso Rochos, risoltosi nel 1863 con la sua vittoria.
Trovò anche il tempo di comporre opere spirituali e devote, in prosa e versi nella lingua locale, pubblicate dopo la sua morte. Padre Chavara fu chiamato “il grande Padre Priore”, egli fondò e formò i primi due Istituti religiosi della Chiesa in India, i quali sono diventati strumenti di multiforme sviluppo e progresso del cristianesimo.
La sua Congregazione dei “Carmelitani di Maria Immacolata”, secondo il nome recentemente adottato, è molto fiorente e la cui attività apostolica ha già superato i confini della grande Nazione asiatica. Fu il primo ad istituire nel Kerala, l’adorazione delle Quarantore; grande devoto della Sacra Famiglia, a cui affidò le sue Istituzioni; sul letto di morte rivelò ai suoi addolorati figli e confratelli che era stato sempre devoto della Sacra Famiglia sin da quand’era bambino e che sempre era stata davanti ai suoi occhi.
Morì santamente il 3 gennaio 1871 a Konammavu, dopo una breve malattia, circondato dai suoi figli, dal padre Beccaro e dal vicario generale della diocesi. Fu inumato sotto l’altare della chiesa di S. Filomena di Konnanam, nuova sede centrale della Congregazione da lui voluta e dove tuttora le reliquie sono oggetto di venerazione di tanti fedeli.
Il processo di beatificazione, per svariati motivi, iniziò solo nel 1957 e poi introdotto presso la competente Congregazione a Roma, il 15 maggio 1980; il 7 aprile 1984 fu dichiarato venerabile e infine l’8 febbraio 1986 papa Giovanni Paolo II l’ha beatificato solennemente a Kottayam in India, insieme alla prima beata indiana la clarissa Alfonsa dell’Immacolata Concezione.
In pochi anni sono stati beatificati tre degni figli della grande e lontana India, frutto dell’impegno missionario di tanti religiosi che hanno speso la loro vita, per portare nell’immenso Paese il cristianesimo e l’aiuto organizzativo e sociale, per sollevare tanti indigenti; al beato Kuriakose Elias Chavara, alla beata Alfonsa d’India, e alla beata Mariam Thresia Mankidiyan, si aggiungerà fra breve, la più nota madre Teresa di Calcutta, che alle miserie dell’India donò tutta la sua vita, proveniente dalla lontana Albania.


Autore: Antonio Borrelli

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04/01/2016 08:15
 
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Beata Cristiana da Santa Croce (Oringa Menabuoi) Vergine

4 gennaio


Santa Croce sull'Arno, Pisa, 1240 - Firenze, 4 gennaio 1310



Battezzata con il nome di Oringa nacque a Santa Croce sull'Arno tra il 1237 e il 1240 in una famiglia di umili condizioni. Fin dall'infanzia cominciò a manifestare interesse verso la vita religiosa e la preghiera, che curava con particolare dedizione mentre era sola per badare alle pecore. Preferì dedicarsi al Signore e non volle sposarsi nonostante le pressioni dei familiari. Trasferita a Lucca si procurava vitto e vesti servendo come domestica. Nel 1265 intraprese un pellegrinaggio al santuario di San Michele al Gargano e a Roma aveva fatto voto di visitare i corpi dei martiri fino alla morte. Fu in questo periodo che venne chiamata con il nome di Cristiana. Ad Assisi il Signore le mostrò in visione la fondazione di una casa religiosa nel suo paese natio. Ottenuta una costruzione dal Comune, il 24 dicembre 1279 vi si rinchiuse con alcune compagne, dando inizio al monastero di Santa Maria Novella, posto dalla fondatrice sotto la regola di sant'Agostino e canonicamente riconosciuto nel 1296. Colpita da grave infermità, Cristiana morì il 4 gennaio 1310. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Santa Croce in Val d’Arno in Toscana, beata Cristiana (Oringa) Menabuoi, vergine, che fondò un monastero sotto la regola di sant’Agostino.








La beata Cristiana Menabuoi, sebbene vissuta in un contesto storico-sociale lontano nel tempo, quando la santità si manifestava in particolare con i pellegrinaggi e con l’esperienza monacale, può anche oggi essere d’esempio, per quanti, volendo vivere con coerenza il proprio credo, vanno controcorrente. Oringa fu una donna coraggiosa, seguì la “via stretta” del Vangelo senza paura, nelle varie forme di vita che via via poté mettere in pratica.
In un’umile famiglia di S. Croce sull’Arno, poco lontano da Pisa, all’epoca però diocesi di Lucca, Oringa nacque nel 1240. Presto orfana di madre, il padre Sabatino nutrì per lei un particolare affetto. Fin dalla tenera età la giovane volle mantenere candida la sua anima. Mettendo in pratica i precetti evangelici della carità, nel piccolo borgo natio ebbe modo di apprendere, grazie ad alcuni sacerdoti, i fondamenti della fede e la sostanza della Sacre Scritture. Verso i dieci anni cadde gravemente ammalata e fu costretta a stare lungamente a letto. Il suo paese era guelfo, fedele al papa e alla Chiesa, sentimenti che la giovane fece propri senza la contaminazione politica che, ai tempi, era causa di lotte cruente. Molto popolare era il movimento francescano il cui influsso Oringa unì alla devozione verso l’Arcangelo Michele. Non ricevette alcuna istruzione, come era normale ai tempi e fu posta dai fratelli a guardia del bestiame al pascolo. Trascorreva lunghe giornate immersa nella natura, ciò le permetteva una contemplazione singolare del Creato. Le cronache raccontano però del pessimo rapporto con i fratelli che erano alquanto rozzi. Proprio tali ingerenze la indussero, intorno ai vent’anni, a fuggire da casa per evitare un matrimonio imposto dalle esigenze economiche delle famiglie del paese. Oringa prese una decisione coraggiosa, rinunciò a tutto per seguire la via di Cristo.
I primi ad ospitare la giovane furono, ad Altopascio, i frati ospitalieri - detti del Tau - dediti alla cura dei malati e all’accoglienza dei pellegrini. Tale esperienza consolidò la sua volontà di consacrarsi a Dio. Si diresse quindi a Lucca, dove giunse intorno al 1258. Per cinque anni visse nella città del “Santo Volto”, davanti al quale ebbe modo di pregare molte volte. Almeno fino al 1266 lavorò come domestica presso il Cavalier Cortevecchia, un nobile dalla vita esemplare. Erano tempi in cui le lotte tra guelfi e ghibellini sterminavano intere famiglie; è di quegl’anni la battaglia di Montaperti. Si organizzavano preghiere pubbliche cui certo Oringa non mancava di partecipare. Le giungeva l’eco delle violenze cui venivano sottoposte pure le sue terre natie.
Oringa visse da laica una profonda spiritualità, contrastata però da violenti lotte contro il maligno. A difenderla fu il suo avvocato, l’Arcangelo Michele, e ciò la spinse a intraprendere un pellegrinaggio, con alcune compagne, sul Monte Gargano, per pregare nel venerato santuario. Avvolta dal silenzio di quel luogo santo, Oringa si raccolse in speciale contemplazione. Volle poi visitare il centro della cristianità, Roma, ma vi si trattenne per circa dieci anni. Un frate minore, Rinaldo, le procurò un lavoro al servizio di una nobile, chiamata Margherita, che era vedova. Oringa pregò nelle basiliche romane, sulle tombe dei martiri ed anche nell’Urbe rispose all’anelito di aiutare il prossimo sofferente. Con la pia nobildonna volle pregare alla Porziuncola di Assisi: qui il Signore le mostrò una casa e le ispirò la fondazione di un monastero nella sua S. Croce sull’Arno. Visitò ancora Castelfiorentino dove era ancora vivo il ricordo della beata Verdiana, morta nel 1242, una donna che dopo alcuni pellegrinaggi - Santiago e Roma - era vissuta da reclusa in una cella accanto ad un oratorio. Oringa veniva comunemente chiamata Cristiana per la sua condotta devota.
Nel 1277 Oringa tornò nel suo borgo natio dove, insieme ad un gruppo di donne, diede vita ad una comunità secondo la regola delle terziarie francescane. Gli inizi non furono facili: si stabilì una collaborazione con l’autorità civica e con il vescovo, con il quale però i rapporti ebbero fasi alterne. Il 31 ottobre 1279 il Consiglio comunale concesse una casa in contrada San Nicola. Nel mese di dicembre ci fu la delibera e il perfezionamento della donazione. Ebbe il permesso di tenere con sé fino a dodici compagne. Costruirono quindi un oratorio per “la lode divina e fare atti di penitenza”: l’esemplarità di vita della comunità fece avere a Cristiana e alla consorelle una “lettera di fraternità” da parte del Maestro Generale degli Umiliati (1293), nel 1295 invece il Generale degli Agostiniani volle estendere alle religiose i “beni spirituali” dell’Ordine; nel 1296 il cardinale legato di Firenze confermò il potere alla comunità di eleggere la badessa; il 10 marzo 1298 un’altra lettera di fraternità fu data dal priore generale dei Servi di Maria. Il monastero fu dedicato a S. Maria Novella e a S. Michele, rispetto alla prima impostazione francescana, abbracciò poi la regola agostiniana, probabilmente per l’influenza di alcune personalità religiose del territorio. La data di appartenenza all’Ordine Agostiniano si può definire grazie ad una lettera del vescovo Paganello dei Porcari (gennaio 1294) che concesse alla comunità di Madre Cristiana “alcuni privilegi”, così come era abitualmente fatto con gli ordini “ufficiali”. Un Sostegno determinante venne anche dai vescovi, nonostante ciò le monache vissero sempre poveramente, tanto da essere costrette alla questua. Nel 1303 il vescovo lucchese Enrico del Carretto, francescano, esortò i fedeli a concedere elemosine affinchè potessero procedere i lavori di ampliamento del monastero, ricordando in particolare che in esso si solennizzava la festa della Immacolata Concezione della Vergine Maria. Tale consuetudine era già in atto nel 1290, come prova un decreto del vescovo Paganello. La beata Cristiana fece proprio e trasmise lo spirito di Sant’Agostino: “… abbiamo il comandamento di vivere uno core et anima in Dio”.
Cristiana dettò le Costituzioni del monastero, da cui si deduce lo stile di vita della comunità: “humiltà di core et corpo”, raccomandava di ”essere studiose” e di comportandosi “maturamente et pacificamente”; le cose spirituali erano da “preponre alle temporali”. Alcuni aneddoti tramandatici sono significativi: durante una carestia Cristiana aprì il monastero per i soccorsi, a ricordo di uno dei suoi miracoli ancor’oggi, in occasione della festa, si distribuiscono i cosiddetti “panellini”. Un giorno uscì dalla clausura e si presentò al Consiglio degli anziani del Comune scongiurando di usare, nella delicata situazione politica che viveva il suo borgo, le sole armi della diplomazia. Non la ascoltarono e le conseguenze portarono ad una dolorosa sconfitta.
Raggiunta la soglia dei settant’anni, dopo tre anni di infermità, la beata Cristiana fu colpita da una paralisi completa del lato destro del corpo, afflitta da dolori acuti, ma confortata dalla preghiera. Alcuni testimoniarono che, avvicinandosi il suo trapasso, una luce brillò maggiormente sul suo volto. Circondata dalle consorelle, in un vicendevole scambio di tenerezza e affetto, Madre Cristiana morì il 4 gennaio 1310. Il corpo rimase esposto per diciotto giorni, perché ininterrotto fu il flusso dei devoti che vollero prestarle un ultimo saluto.
A metà del secolo XIV un anonimo scrisse la prima biografia: Castore Duranti (1300-1377) affermò d’aver raccolto le testimonianze di quanti la conobbero, in particolare delle consorelle. Possediamo inoltre importanti lettere che la beata scrisse a due vescovi di Lucca, ad alcuni benefattori e persino ad alcuni cardinali.
Già dal primo anniversario della morte le furono tributati onori e culto, confermati dalle autorità comunali. Molti ottennero grazie per sua intercessione e in una bolla del 26 ottobre 1386 il vescovo di Lucca, fra’ Giovanni Saluzzi, chiamò Cristiana con l’appellativo “beata”. Nel gonfalone quattrocentesco del municipio di S. Croce è raffigurato il volto della santa concittadina.
Il corpo si mantenne incorrotto, ma il 20 agosto 1515 un terribile incendio lo danneggiò come avvenne a buona parte del monastero. Furono raccolte le ossa e poste in una statua. La conferma ufficiale del culto avvenne il 15 giugno 1776. San Giovanni Bosco, nel 1857, propose le vicende della beata Cristiana ai suoi giovani. Una statua in marmo della beata fu collocata presso la facciata del duomo di Orvieto, un'altra nel chiostro di S. Croce a Firenze. Il monastero voluto e fondato dalla beata Cristiana è oggi uno dei più antichi d’Italia, sopravvissuto ad alterne vicende, vive e trasmette il carisma della sua fondatrice.

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05/01/2016 07:55
 
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Sant' Astolfo Monaco e vescovo

5 gennaio


† Magonza, 28 gennaio 826







Astolfo il nome latino è ‘Uistulfus’ ed è ricordato il 5 gennaio dal ‘Martirologio Geronimiano’ come vescovo di Magonza, città della Germania, sede vescovile dell’VIII secolo che divenne il centro ecclesiastico di tutta la Germania.
Di lui si sa che fu monaco a Wissemburg ed ebbe molti contatti con la celebre abbazia di Fulda, sede nel Medioevo di una importante scuola monastica.
Dalle poche notizie che si sanno, si rileva che Astolfo fu vescovo di Magonza e che durante il suo episcopato nell’814, ordinò sacerdote il celebre monaco benedettino Rabano Mauro (784-856), autore dell’opera enciclopedica “De Universo”.
S. Astolfo morì a Magonza il 28 gennaio 826.


Autore: Antonio Borrelli

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06/01/2016 08:43
 
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Sant' Andrea Bessette (Alfredo) Religioso

6 gennaio


Saint-Gregoire-d’Iberville, Montreal, Canada, 9 agosto 1845 – Montreal, 6 gennaio 1937



Nella solennità dell'Epifania si ricorda anche il beato canadese Alfredo Bessette. Orfano a nove anni, nel 1854, fu cresciuto da una zia. Lavorò nelle filande ed emigrò negli Usa, improntando la vita alla spiritualità di san Giusppe. Tornato in patria, entrò come fratel Andrea nella Congregazione della Santa Croce, nata per far rinascere le scuole cattoliche francesi, abolite un secolo prima dagli inglesi. Fu per 40 anni portinaio del collegio di Notre-Dame a Montreal, operando guarigioni. Sul monte cittadino edificò una cappella a san Giuseppe, divenuta un importante santuario. Morì 91enne nel 1937 e fu lutto nazionale. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Montréal nel Québec in Canada, beato Andrea (Alfredo) Bessette, religioso della Congregazione della Santa Croce, che fece edificare in questo luogo un insigne santuario in onore di san Giuseppe.








È stato canonizzato il 17 ottobre 2010 da papa Benedetto XVI. Personalmente l’ho pregato nei giorni più difficili della mia vita. E lo prego tuttora.
È uno dei miei amici in Paradiso. Aveva più di novant’anni all’inizio del 1937, quando anche lui fra’ Andrea Bessette si accorse di essere assai vicino all’incontro con Dio. Sospirò: «Viene il grande misericordioso Dio!». In mezzo ai suoi dolori disse ancora: «Quanto soffro, mio Dio, quanto soffro!».
Un sacerdote che lo assisteva gli domandò perché non si rivolgesse a S. Giuseppe per la sua guarigione. «Non posso chiedere nulla per me! - rispose con serenità – ma quanto più il grande ha fatto per me!». Le sue ultime parole, il giorno dell’Epifania del Signore, 6 gennaio 1937, e pure mercoledì, sacro a S. Giuseppe, furono: «Maria Ss.ma, mia buona Madre, e madre del mio Salvatore, sia misericordiosa verso di me e mi assista!». Poi: «S. Giuseppe, S. Giuseppe». La sua anima vedeva Dio.
Dal 6 al 12 gennaio 1937, nell’arco di pochi giorni, un milione di pellegrini salì silenziosamente sul monte Royal, presso Montreal, in Canada, a rendere omaggio alla salma dell’umile frate, che in vita era stato un grande taumaturgo.
Che fosse morto un santo, un santo da porre sugli altari, non c’era dubbio alcuno già allora.

Un Santo per la vostra Comunità

Alfredo Bassette era nato a Saint Gregoire d’Iberville, presso Montreal (Canada) il 9 agosto 1845, ottavo di 12 fratelli. A 12 anni, rimane orfano di entrambi i genitori. Sua madre gli ha lasciato come tesoro più prezioso una fede vivissima in Gesù, l’Uomo-Dio, l’Amico incomparabile di ogni anima che confida il Lui. Alfredo viene affidato a degli zii. Il suo parroco, don Andrea Provençal, si prende cura di lui e approfondisce in lui un grande amore a Gesù Eucaristico.
Don Provençal lo incoraggia a rivolgersi sempre nella preghiera a S. Giuseppe, padre putativo di Gesù e patrono del Canada: «Egli ti ascolterà e ti benedirà. In seguito lo pregherai per tanti benefici, perché S. Giuseppe davanti a Dio è onnipotente». Da allora, Alfredo ama rifugiarsi spesso in chiesa presso il santo tabernacolo e l’immagine di S. Giuseppe.
Appena dodicenne già si guadagna da vivere lavorando come calzolaio, come fornaio, come servo presso un’azienda agricola e come fabbro. È piuttosto fragile di salute e a 15 anni è colpito da una gastropatia che lo accompagnerà per tutta la vita. Da questo tempo della sua adolescenza, aiutato dal suo parroco, intesse un intenso rapporto con Dio: ogni giorno la Via Crucis e diversi rosari, la Confessione e la Comunione regolare e frequente. Mentre lavora intrattiene colloqui confidenziali con S. Giuseppe, cui affida tutto se stesso.
A 20 anni, Alfredo si reca a lavorare negli Stati Uniti e S. Giuseppe rimane il suo intercessore e modello presso Gesù: è sicuro che non sbaglierà ad affidarsi a Colui che custodì i Tesori più grandi: Gesù e Maria SS.ma: «Custodirà anche me, è sicuro!». Si interroga spesso: «Che cosa farò della mia vita?». per sei mesi prega S. Giuseppe per trovare chiarezza. Don Provençal lo consiglia di ritornare in Canada: «Padre, dice Alfredo, ho deciso che mi farò frate». Tutti e due si inginocchiano, nella chiesa a ringraziare S. Giuseppe per il dono della vocazione.
Per qualche tempo, lavora ancora come operaio parlando così spesso ai suoi amici del suo Santo Protettore che essi lo chiamano "il folle di S. Giuseppe". Don Provençal scrive ai Frati della Congregazione della S. Croce a Montreal: «Vi mando un santo per la vostra Comunità». Quelli, a cominciare dai superiori, si convincono subito della sua santità, appena lo hanno ammesso al noviziato il 27 dicembre 1870. Prende il nome di fra’ Andrea, in onore del suo parroco e direttore spirituale.
Trascorso un anno, non lo si ammette ai voti, perché fra’ Andrea è troppo fragile di salute. Lui allora, promette a S. Giuseppe di erigere un grande santuario in suo onore, se non sarà mandato via dal convento: «Accetto i lavori più umili, pur di consacrarmi a Gesù con i santi voti». In quei giorni, passa nella comunità della S. Croce il Vescovo di Montreal, Mons. Bourget e fra’ Andrea gli confida la sua preoccupazione e il suo progetto di costruire un santuario a S. Giuseppe. Mons. Bourget è quasi sgomento di sapere che quel ragazzo porta nel cuore lo stesso desiderio che ha lui e proprio per questo aveva chiamato dalla Francia i Frati della S. Croce.
«Lei pensa che S. Giuseppe possa permettere che la mia promessa non si realizzi e che io debba rinunciare alla mia vocazione» domanda fra’ Andrea al Vescovo. Il quale gli risponde: «Figlio mio, non temere nulla: tu sarai ammesso alla professione».

Il taumaturgo

Il 22 febbraio 1872, fra’ Andrea fa i voti temporanei: il 2 febbraio 1874, i voti perpetui. É molto felice di appartenere a Gesù per sempre, nella Congregazione dedicata alla Sua Croce: umile frate laico, perché sacerdote non lo sarà mai. Un piccolo del Vangelo, cui vengono svelati e aperti i segreti del Padre, come ai piccoli prediletti da Gesù.
«Terminato il noviziato – racconterà lui stesso – i superori mi affidarono la portineria e lì sono rimasto per 40 anni, senza muovermi». Nella stretta portineria del Collegio di Notre-Dame, è sempre pronto a soccorrere i poveri e a dare ascolto a insegnanti, genitori e studenti. È molto amato da quelli che scoprono la sua anima candida, la sua bontà superiore.
Qualcuno approfitta della sua bontà. Certi confratelli non lo considerano troppo: sa appena leggere e scrivere o poco più. Fra’ Andrea si adatta a tutto: suona le campane al mattino, aiuta nella lavanderia, fa il barbiere agli studenti e pure l’infermiere. Alla sera tardi, lava i pavimenti e i corridoi, perché all’indomani dev’essere tutto splendente.
A mezzanotte, quanto gli altri già riposano, lui prega in cappella la Via Crucis, il Rosario, le preghiere al "suo" S. Giuseppe. Comprende sempre di più che quella sua vita nascosta e un po’ canzonata sarà feconda di bene e di santità, come era stato per altri fratelli laici: S. Pasquale Baylon, S. Martino dei Porres, S. Giovanni Macias… Egli sarà come loro. Intanto chi si raccomanda alle sue preghiere viene esaudito da Dio. Molti cominciano a guardarlo, come "il frate santo". Certi malati, guariscono per le sue preghiere: sì, a S. Giuseppe "perché lui è onnipotente presso Dio".
Nel marzo 1885, un Padre del convento si lamenta con lui: «La mia gamba peggiora sempre più. Per la festa di S. Giuseppe non potrò scendere in cappella». Andrea gli risponde: «Padre, esiste un rimedio molto semplice: reciti una novena a S. Giuseppe con grande fiducia. Anch’io dirò la novena con lei». Il 19 marzo 1885, il Padre miracolato celebra la S. Messa all’altare di S. Giuseppe.
Poco dopo, Andrea strofina la medaglia di S. Giuseppe sul collo di un ragazzo malato di difterite: «Fannullone – esclama – scendi dal letto, ché sei guarito». E così avviene. Il reparto dei malati rimane occupato da 40 pazienti agonizzanti, affetti da vaiolo. I medici non sanno più che fare, ma fra’ Andrea si inginocchia in mezzo a loro e ad alta voce supplica S. Giuseppe. Guariscono tutti.

Il costruttore

Si diffonde la voce dei suoi "miracoli". La portineria si riempie di persone in cerca di aiuto. Ma qualcuno lo considera "un ciarlatano", come il dottor Giuseppe Charette, uno dei suoi avversari più accaniti. Ma Andrea lo contraccambia guarendogli la moglie agonizzante e un collega medico, gravemente claudicante. «Lei è convinto che S. Giuseppe può ottenere questo miracolo da Gesù?» domanda. «Sì», risponde il medico zoppo. «Allora posi le stampelle e cammini bene». Come avviene.
A chi gli chiede di pregare per ottenere grazie o miracoli, lui risponde spesso con l’invito a cambiare vita, a confessarsi, a vivere in amicizia con Gesù: «Poi tutto sarà possibile, se credi». A chi si meraviglia, risponde: «Non sono io che guarisco, è S. Giuseppe, è Gesù stesso. Abbiate fede in loro».
Non ha dimenticato il progetto della chiesa in onore di S. Giuseppe. Per finanziare l’opera, fonda la Confraternita di S. Giuseppe e la rivista "Annali di S. Giuseppe". I soldi li manda la divina Provvidenza. Nel 1904 viene inaugurato il primo piccolo oratorio. Fra’ Andrea si trasferisce per sempre in quel luogo. Ogni giorno riceve 700 visitatori e spesso non trova il tempo per mangiare. Di notte prega per tutti, passando lunghe ore in preghiera. Alcuni notano attorno a lui una grande luce.
Si sta innalzando a Montreal il più grande santuario del mondo dedicato a S. Giuseppe. Molte persone – spiega l’anziano frate – si sono affidate alla mia preghiera: devo chiedere tante conversioni, guarigioni e grazie. Voglio elencare tutti i nomi e non lo posso fare se dormo». A 80 anni, si presta ancora a far da questuante nelle città americane per il suo santuario. Quando arriva, viene assalito da folle entusiaste, da molti fotografi e i giornali parlano di lui e delle guarigioni sensazionali che opera la sua preghiera.
Nel 1936, la costruzione rustica della Chiesa è completata ed è assicurato il completamento dell’edificio. «Non c’è bisogno di me – dice fra’ Andrea con gioia – posso andarmene». È noto in mezzo mondo, ma uno dei suoi amici ha detto di fra’ Andrea: «Non credo che si rendesse conto della grandezza della sua fama e del suo compito. Dovunque andava, sceglieva volentieri l’ultimo posto e per quanto riguardava i miracoli diceva: «Non è colpa mia. Dio ne è responsabile…. e S. Giuseppe».
Ma noi lo sappiamo: l’ultimo posto è un regno, nello stile di Gesù.
Fra’ Andrea, come S. Giuseppe, aveva solo cercato "gli interessi di Gesù".
Ora lo veneriamo: Sant Andrea Bessette. S. Andrea di S. Giuseppe.

Autore: Paolo Risso

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07/01/2016 08:31
 
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Beato Ambrogio Fernandes Religioso gesuita, martire

7 gennaio


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Sisto, Portogallo, agosto 1551 – Suzuta, Giappone, 7 gennaio 1620

Martirologio Romano: A Suzuta in Giappone, beato Ambrogio Fernández, martire: recatosi in Oriente spinto da ricerca di guadagno, fu poi ammesso come religioso nella Compagnia di Gesù e, dopo aver patito molte privazioni, morì in carcere per Cristo.








L’evangelizzazione del Giappone ebbe inizio nel XVI secolo ad opera del grande missionario gesuita San Francesco Saverio. A quel tempo l’impero marittimo portoghese era alla sua massima espansione ed un giovane di tale nazione, Ambrosio Fernandes, nato nell’agosto 1551 a Sisto, non fu che uno dei tanti che sbarcarono il lunario fra gli alti e bassi della fortuna. Sognava infatti di imbarcarsi per l’Oriente, ove un giovanotto ben piantato come lui poteva tentare la sorte e magari far ritorno in patria, magari con le tasche piene. Finalmente un bel giorno, all’età di ventisei anni, Ambrosio lasciò il suo villaggio in diocesi di Oporto e s’imbarcò su una delle tante imbarcazioni mercantili dirette verso il lontano Giappone.
Lo scavo del canale di Suez arrivò però solo tre secoli dopo e necessitava dunque circumnavigare il continente africano. Come è possibile immaginare si trattava di un’impresa tutt’altro che semplice, infatti anche la sua nave incappò in una spaventosa tempesta che la tenne in balìa per giorni e giorni ed ogni momento era buono per finire in pasto agli squali. Ambrosio, terrorizzato, fece voto di farsi religioso se solo fosse giunto vivo alla sua meta. La Provvidenza lo esaudì ed egli, giunto in Giappone, mantenne la promessa vestendo l’abito dei gesuiti quale fratello coadiutore.
Sembrava però destino che egli proprio non avesse dovuto rivedere mai più la sua amata patria: scoppiata infatti una violenta persecuzione anticristiana, il Fernandes fu arrestato ed incarcerato presso Nagasaki, città ove risiedeva a principale comunità cristiana del paese. In cella vi restò per quattro lunghi anni, per morire infine di stenti il 7 gennaio 1620.
Ambrosio Fernandes fu beatificato da Papa Pio IX il 7 luglio 1867, insieme con altri 204 martiri in terra giapponese dei quali ben 33 sacerdoti, coadiutori e novizi gesuiti.


Autore: Fabio Arduino

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08/01/2016 07:05
 
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Beato Edoardo Waterson Sacerdote e martire

8 gennaio


† Londra, Inghilterra, 8 gennaio 1593



Anglicano che abbracciò la Fede cattolica e fu ordinato sacerdote. Inviato in missione in Inghilterra durante il regno di Elisabetta I, fu catturato e condannato a morte. Beatificato nel 1929.

Martirologio Romano: A Newcastle-on-Tyne in Inghilterra, beato Edoardo Waterson, sacerdote e martire, che, condannato a morte sotto la regina Elisabetta I perché venuto in Inghilterra come sacerdote, fu impiccato al patibolo.

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POTRESTE AVERE DIECIMILA MAESTRI IN CRISTO, MA NON CERTO MOLTI PADRI, PERCHE' SONO IO CHE VI HO GENERATO IN CRISTO GESU', MEDIANTE IL VANGELO. (1Cor. 4,15 .
 
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