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CREDENTI DA IMITARE (Eb.13,7)

Ultimo Aggiornamento: 18/05/2019 13:12
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17/03/2015 07:57
 
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Sant' Agricola di Chalon sur Saone Vescovo

17 marzo


m. 580

Etimologia: Agricola = agricoltore, dal latino


Martirologio Romano: A Châlon-sur-Saône in Burgundia, nell’odierna Francia, sant’Agricola, vescovo, che per circa dieci lustri resse questa Chiesa, consolidandola con vari concili.








Nato da famiglia senatoria nel 498, Agricola ricevette una severa educazione. Nel 532 fu eletto alla sede episcopale di Chalon-sur-Saône, dove a lungo risplendette per il suo zelo e le sue virtù. San Gregorio di Tours lo definisce «homo valde elegans et prudens» e ne loda lo zelo e l'abilità nella predicazione e l'austerità di vita. Si dice, infatti, che per tutta la vita Agricola si sia limitato a prendere poco cibo al tramonto. Si distinse ancora nella costruzione di vari edifici, in particolare di una chiesa non meglio identificata, che san Gregorio di Tours dice splendente di marmi e mosaici.
Verso la fine del suo episcopato, tramite il suo arcidiacono, curò la traslazione nella chiesa dell'ospedale dei lebbrosi, nei pressi della città, delle spoglie di san Desiderato (Didier), sacerdote ed eremita a Gourdon, che era morto in grande fama di santità. Il nome di Agricola si trova tra quelli dei partecipanti a diversi concili locali. Fu rappresentato dal sacerdote Avolo al concilio di Orléans del 538, partecipò nella stessa città direttamente a quelli del 541 e del 549. Nello stesso anno prese parte al concilio di Clermont, dove furono confermate le decisioni di quello di Orléans sulla disciplina del clero. Nel 552 fu presente al concilio di Parigi, nel 570 a quello di Lione, e nel 579 a quello convocato nella sua città episcopale dal re Gontrano, dove furono deposti i vescovi di Embrun e Gap.
Venanzio Fortunato nella Vita di san Germano, vescovo di Parigi, racconta che Agricola, avendo un suo domestico gravemente infermo, si rivolse al santo vescovo e ne ottenne la guarigione.
Agricola morì nel 580, forse il 17 marzo, a ottantatré anni, dopo aver retto la diocesi per ben quarantotto anni, e fu sepolto nella chiesa di San Marcello. Nell'878 le sue reliquie, assieme a quelle del vescovo san Silvestro, furono traslate nella chiesa di San Pietro per opera del vescovo Gerbaldo. L'autore degli atti di tale traslazione afferma che papa Giovanni VIII, di ritorno dal concilio di Troyes (agosto 878), ne avrebbe autorizzato il culto, assieme a quello di altri vescovi e del sacerdote Desiderato. Nel 1315 nella diocesi di Chalon-sur-Saône fu istituita una festa comune, celebrata il 30 aprile, nella quale si ricordavano gli antichi vescovi e san Desiderato. Agricola è ricordato il 17 marzo nel Martirologio Romano e nel Proprio della diocesi di Autun, alla quale la diocesi di Chalon-sur-Saône fu unita.


Autore: Gian Michele Fusconi

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18/03/2015 07:36
 
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Sant' Alessandro di Gerusalemme (di Cappadocia) Vescovo e martire

18 marzo


m. 250 circa

Etimologia: Alessandro = protettore di uomini, dal greco


Martirologio Romano: Commemorazione di sant’Alessandro, vescovo e martire, che, venuto a Gerusalemme dalla Cappadocia, accettò la cura pastorale della Città Santa, dove fondò una preziosa biblioteca e istituì una scuola; più tardi, giunto ormai in avanzata età dopo una vita longeva, condotto a Cesarea durante la persecuzione dell’imperatore Decio, subì il martirio per la sua fede in Cristo.



Ascolta da RadioVaticana:





I dati biografici che lo riguardano sono scarsi, ma abbastanza sicuri. Di famiglia pagana, Alessandro ebbe un'accurata formazione culturale. Si convertì al cristianesimo dopo essere passato attraverso l'esperienza dei vari movimenti religiosi e filosofici del tempo. Fu nelle scuole di vari maestri, finché venne ad Alessandria, dove fioriva il Didaskaleion, diretto dal siculo Panteno e poi (dal 200) da Clemente Alessandrino. Scoppiata la persecuzione sotto Settimio Severo, nel 202-203, Alessandro fu imprigionato fino al 211. Immediatamente dopo fu nominato vescovo di una imprecisata città della Cappadocia, dove, sfuggendo la stessa persecuzione, fu suo ospite Clemente, a cui infatti Alessandro consegnò una lettera per la comunità di Antiochia. Nel 212 Alessandro fu coadiutore e successore di Narcisso, vescovo di Gerusalemme. Qui Alessandro, con l'intento di riprendere la tradizione del Didaskaleion, fondò una biblioteca, preziosa per Eusebio, ed una scuola.
Il santo fu un grande ammiratore dell'infaticabile e geniale laboriosità di Origene, e non esitò a sostenerlo durante le continue polemiche con i suoi superiori. Notissime, infatti, sono le iniziative del giovane Origene che, incaricato da Demetrio di Alessandria della direzione di una scuola catechetica, si riservò invece l'insegnamento delle scienze profane, soprattutto della filosofia, alla ricerca d'una più approfondita cultura religiosa. Origene, inoltre, sebbene semplice laico, predicò nelle chiese di Cesarea e di Gerusalemme; fu ordinato presbitero, pur appartenendo alla diocesi di Alessandria, da Alessandro, vescovo di Gerusalemme, e da Teoctisto di Cesarea in Palestina, provocando per sé sentenze sinodali di deposizione e di bando, e per i suoi fautori una serie di complicazioni diplomatiche e religiose.
Della produzione letteraria di Alessandro, che pure dovette essere vasta a causa delle discussioni teologiche che agitavano in quel tempo le diocesi di Oriente, restano solo gli estratti di quattro lettere, tramandati da Eusebio e da san Gerolamo.
Durante la persecuzione di Decio Alessandro soffrì con eroica pazienza carcere e torture, e morì nel 250 nella prigione di Cesarea in Palestina.
Alessandro è commemorato nel Martirologio romano il 30 gennaio e il 18 marzo; nei sinassari greci il 16 maggio, nel calendario palestino-georgiano il 21 aprile altrove, infine, il 12 dicembre.


Autore: Thomas Spidlik

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19/03/2015 07:08
 
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Sant' Alcmondo Martire

19 marzo


† 819

Principe di Northumbria.








Figlio di Alredo (765-774) e fratello di Osredo (788-790), entrambi re di Northumbria, pur vivendo in mezzo agli splendori della corte, seppe santificarsi in virtù del suo profondo sentimento religioso, della sua umiltà e della sua pietà verso i poveri, ai quali distribuì tutte le sue ricchezze. Seguì in Scozia il padre cacciato in esilio, e, al suo ritorno in Inghilterra nell'800, pare che venisse fatto assassinare dall'usurpatore Eardulfo. Un'altra versione afferma, invece, che Alcmondo avrebbe preso parte, con uno dei governatori della Mercia, alla guerra contro i Sassoni e sarebbe caduto combattendo, o forse sarebbe stato ucciso a tradimento durante tale campagna. Secondo altri, infine, Alcmondo passò venti anni in Scozia e fu assassinato da traditori circa nell'819. Venerato comunque come martire e inu­mato a Lilleshall, nello Shropshire, le sue spoglie furono successivamente traslate a Derby, di cui è patrono, e il suo sepolcro divenne ben presto meta di devoti pellegrinaggi. La sua festa si celebra il 19 marzo.


Autore: Jean-Pierre Vandamme

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20/03/2015 08:09
 
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Sant' Alessandra di Amiso e compagne Martiri

20 marzo




Sono poche le notizie che si sanno su di lei, al contrario sono molte e non sempre attendibili le leggende popolari che narrano facesse parte di un gruppo di sette donne che si presentarono al prefetto Amiso, proclamando la loro fede cristiana e denunciandolo per la sua crudeltà. Di conseguenza morirono gettate in una fornace ardente. In modo più attendibile, Teodoto di Ancita ci racconta di sette vergini, con gli stessi nomi, che subirono il martirio sotto il prefetto Teocteno, morendo annegate. Nonostante queste discrepanze, queste sante testimoniano una grandissima fede nel professare e proclamare ad alta voce la propria appartenenza alla Chiesa di Cristo.

Etimologia: Alessandra = forma femminile di Alessandro, protettrice degli uomini, dal greco


Emblema: Palma




Ascolta da RadioMaria:




Sono commemorate il 20 marzo nel Martirologio Romano. Nel Sinassario Costantinopolitano, invece, se ne fa memoria il 18 marzo con un breve elogio, tratto certamente da una passio perduta, ma che non doveva essere molto attendibile. Secondo questo testo, al tempo di Massimiano sette donne e cioè Alessandra, Claudia, Eufrasia, Matrona, Giuliana, Eufemia e Teodosia si presentarono al preside di Amiso, professandosi cristiane e rimproverandolo per la sua crudeltà e la sua ingiustizia nel condannare i cristiani. Subito arrestate, furono flagellate, scarnificate e, infine, gettate in una fornace ardente. Quattro dei nomi sopra ricordati e precisamente Alessandra, Claudia, Eufrasia e Matrona ritornano in un altro gruppo, pur esso di sette vergini, annegate dal prefetto Teotecno e ricordate nella passio, certamente più attendibile, di Teodoto di Ancira. Gli altri tre nomi Giuliana, Eufemia e Teodosia si possono facilmente intravedere nei rispettivi Giulitta, Faine e Tecusa del gruppo di Ancira, commemorato nei sinassari greci e nel Martirologio Romano il 18 maggio.
Con ogni verosimiglianza, quindi, si può concludere che il gruppo di Alessandra e compagne di Amiso non è che un doppione dell'altro formato da Tecusa e compagne di Ancira ed erroneamente attribuito ad Amiso.


Autore: Agostino Amore

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21/03/2015 07:06
 
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Sant' Agostino Zhao Rong Sacerdote e martire

21 marzo


>>> Visualizza la Scheda del Gruppo cui appartiene

Kweichou, Cina, 1746 circa - Sichuan, Cina, primavera 1815

Etimologia: Agostino = piccolo venerabile, dal latino


Emblema: Palma, Croce


Martirologio Romano: Nella provincia di Sichuan in Cina, commemorazione di sant’Agostino Zhao Rong, sacerdote e martire, che, durante la persecuzione, fu gettato in carcere in quanto cristiano e trovò la morte in un giorno non precisato di primavera.








Sant’Agostino Zhao Rong nacque a Kweichou in Cina nel 1746 e a ventisei anni, come guardia carceraria di Wu-chuan, fu chiamato a custodire i cristiani imprigionati durante la persecuzione scoppiata nel 1772. Tra questi vi era un sacerdote che anche in carcere non esitava a spiegare le verità della fede cattolica al suo gregge. Questi era così persuasivo con le sue parole che il carceriere, ascoltandole con attenzione, si ritrovò quasi involontariamente convertito al cristianesimo.

Ricevette quindi il battesimo e la cresima il 28 agosto, assumendo il nome di Agostino in onore del santo del giorno. Postosi al servizio dei missionari ricevette l'incarico di battezzare i bambini moribondi a causa della carestia e, compiuti gli studi teologici necessari, fu ordinato sacerdote nel 1781. Si distinse in particolare come predicatore, poiché le sue parole muovevano alle lacrime gli ascoltatori con il racconto della passione di Gesù. Padre Agostino fu infine inviato a Yunnan a convertire gli aborigeni di quella regione montagnosa, ma durante la persecuzione del 1815 fu riconosciuto come cristiano, arrestato e sottoposto a tortura fino a che morì in carcere in un giorno imprecisato di primavera.

Primo sacerdote di nazionalità cinese di cui sia stato attestato il martirio, Agostino Zhao Rong è stato canonizzato da Papa Giovanni Paolo II il 1° ottobre 2000, durante il grande Giubileo, con altri 119 martiri in terra cinese, ndigeni e missionari. Tra questi ultimi anche alcuni italiani: Giovanni da Triora, Antonino Fantosati, Cesidio Giacomantonio, Giuseppe Maria Gambaro, Gregorio Grassi, Francesco Fogolla (nativo della Diocesi di Pontremoli), Elia Facchini, Alberico Crescitelli, Luigi Versiglia, Callisto Caravario e due suore Francescane Missionarie di Maria (Marianna Giuliani e Clelia Nanetti). Singolarmente Sant’Agostino è festeggiato il 21 marzo, primo giorno di primavera, mentre il 9 luglio ricorre la memoria liturgica comune dei 120 martiri cinesi dei quali Zhao Rong figura come capolista.


Autore: Fabio Arduino

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22/03/2015 09:24
 
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Beato Antonio Cocq Certosino

22 marzo


Avigliana, Torino, 1390 - Chiusa Pesio, Cuneo, 22 marzo 1458

Antonio Coq, nacque ad Avigliana, da una nobile famiglia, antenata di CamilloBenso, conte di Cavour. Entrò nella Grande Chartreuse di Grenoble, dove fece la suaprofessione religiosa e fu ordinato sacerdote.Venne trasferito alla Certosa di Pesio, per sottrarlo alla popolarità ognor crescente.Nel silenzio dell’alta montagna trascorre il resto della vita, in preghiera e scrivendoopere ascetiche. Compose pure uno studio sulla Certosa, poi andato perso.Sia per la sua casata sia per la sua fama di dottrina e santità, ebbe corrispondenzacon i duchi di Savoia e con lo stesso re di Francia. Dedicò un trattato sul libro diGiobbe a Jolante sorella del re e madre dei principi di Savoia Filiberto e Carlo.Ospitò alla Certosa Luigi, figlio di Carlo VII; gli predisse la riconciliazione con il padree la sua ascesa al trono. Infatti nel 1461 salì al trono con il titolo di Luigi XI e fu famosoper essere riuscito a riunire sotto il dominio della corona la maggior parte del territoriofrancese.Quando Carlo VIII scese in Italia, gli venne consegnato il Libro delle profezie diCocq.Anche alla Chiusa Pesio, Antonio ebbe fama di santità per la fede, il distacco dalmondo, l’amore al silenzio e alla preghiera contemplativa.Morì il 22 marzo 1458.







Antonio Le Cocq (o Le Coq) nacque ad Avigliana nel 1390 da nobile famiglia. Ancora oggi, nell’antica e importante cittadina della bassa Val di Susa, si ha memoria della sua casa che sorge nei pressi della chiesa del Gesù. Dovette essere un giovane assai incline alla preghiera se nel farsi religioso decise, a venti anni, di essere certosino. A sette miglia da Susa vi era la certosa di Montebenedetto, ma volle entrare nella Grande Chartreuse di Grenoble, la più antica. Si distinse per il rispetto della Regola, venne ordinato sacerdote e professò solennemente. Come i confratelli, accompagnò la solitudine del corpo all’unione totale con Dio. Il suo esempio però cominciò ad essere additato e il suo nome divenne noto anche fuori della certosa. Nonostante la giovane età aveva frequenti visite da parte di gente semplice e di nobili. Trascorsi sei anni, per non disturbare la quiete del monastero, il Capitolo Generale decise che sarebbe tornato in Italia, tra le montagne di Chiusa Pesio, nei pressi di Mondovì. Nel decreto era nominato come “nuovo professo” secondo la norma prevista quando si cambiava certosa. Le sue giornate tornarono ad essere scandite dalle orazioni, dalle austerità e dallo studio. Amava dipingere immagini di Cristo, della Madonna e di santi e per lui era come pregare, come fu per il beato Angelico. L’umiltà di Antonio aumentava come cresceva la stima di quanti lo conoscevano. Nel celebrare la S. Messa si commuoveva e alle volte andava in estasi. Il monaco portinaio testimoniò che amava recarsi su una vicina altura, detto il bricco della Madonnina, dove si immergeva in una profonda contemplazione e più volte lo vide pregare sollevato da terra, con le mani stese a forma di croce e il capo circondato da raggi splendenti. Anche in cella lo videro rapito, con il corpo sollevato da terra. Aveva il dono di leggere nei cuori e di prevedere il futuro ed era un riferimento anche per gli altri monaci. Quando fra Raimondo Franco della Briga fu destinato con un incarico di responsabilità alla certosa di S. Pietro di Genova fu il beato che lo convinse ad accettare. Nel Capitolo Generale del 1447 i superiori della Lombardia decisero che non avrebbe lasciato Chiusa Pesio per dedicarsi solo allo studio. Era ormai nota a tutti la sua santità.
Il beato Le Cocq era cercato per dottrina e santità dai duchi di Savoia e dal Re di Francia. A Jolanda di Francia, figlia di Carlo VII e sposa del B. Amedeo IX di Savoia, dedicò un trattato sul libro di Giobbe. Contro la duchessa, futura reggente, si scatenerà l’odio dei cognati. Jolanda aveva per il Beato una grande stima e gli chiese di ospitare il fratello Luigi. L’erede voleva anzitempo il trono e il padre giunse persino ad ordinarne l’arresto. Una situazione assai complessa costrinse il delfino, con poca scorta, a rifugiarsi prima presso il duca di Borgogna e poi in varie province. A Pesio i monaci pensarono che fosse un semplice gentiluomo, ma rivelatore e fortunato fu il suo incontro con Antonio. Trascorsero insieme alcune ore, il certosino gli diede molti consigli dicendogli che non era corretto ambire alla corona prima del tempo. Gli predisse la riconciliazione con il padre e l’ascesa al trono, come avvenne nel 1461. Luigi XI passò alla storia per aver riunito sotto il dominio della corona la maggior parte del territorio francese, proseguendo l'opera paterna di unità e stabilità dopo la terribile la Guerra dei Cent’anni. Il monarca lo tenne sempre in grande considerazione e lo avrebbe voluto presso di sé, se la morte non fosse sopraggiunta (chiamò poi s. Francesco da Paola). Si conservavano nella certosa alcune lettere autografe del re che bruciarono nel 1515 in un furioso incendio. Dalla Francia giunsero anche alcune sacre suppellettili e fondi per l’abbellimento della chiesa. Molti furono i vantaggi che nei decenni a venire furono concessi alla certosa.
Antonio fu un fecondo scrittore anche se le sue opere non vennero mai stampate. Oltre al commento sul libro di Giobbe che dedicò a Jolanda, scrisse il “Liber consolationis” in cui raccolse alcuni pensieri tratti da s. Bonaventura e da s. Bernardo e un libro di profezie dalla storia singolare. Carlo VIII Re di Francia, mentre nel 1494 andava alla conquista del regno di Napoli, si fermò ad Asti un mese perché colpito dal vaiolo. Memore della devozione del padre Luigi XI verso Antonio, sapendo che nella certosa si conservava un libro di profezie, spedì un suo cavaliere con lettera al priore, chiedendo del libro. Non c’era il tempo di copiarlo e fu mandato l’originale. Probabilmente andò perso durante la battaglia di Fornovo o non fu più restituito perché il contenuto non era da divulgare. Antonio compose anche uno studio sulla certosa, anch’esso poi andato perso.
Dopo quarantotto anni di vita religiosa, il dotto certosino serenamente spirò il 22 marzo 1458 e come era abitudine dei monaci fu sepolto senza alcun monumento. Presso il suo sepolcro ci furono molte grazie e si raccoglievano piante e fiori da cui si ricavavano unguenti contro la febbre. Molti venivano al monastero e si dice che per non turbare la quiete il priore gli ordinò di non fare più miracoli. Grazie alla fama del beato, furono molti i lasciti per grazie ricevute giunte in particolare da Mondovì. Il suo corpo fu poi trasferito sotto la grande croce comune. Nell’Ordine gli è stato dato il titolo di beato, non confermato perché i certosini per umiltà non lo chiesero a Roma. Sia a Pesio che nella casa natia ad Avigliana fu affrescato il suo ritratto. I certosini da Montebenedetto nel 1498 di trasferirono a Banda nei pressi di Villar Focchiardo, poi andarono ad Avigliana e infine, fino alla soppressione napoleonica, a Collegno. L’importane agiografo piemontese Giacinto Gallizia gli ha dedicato un libro insieme al b. Cherubino Testa nel 1724.


Autore: Daniele Bolognini

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23/03/2015 07:20
 
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Beato Alvaro del Portillo Diez de Sollano Prelato dell’Opus Dei

23 marzo


Madrid, Spagna, 11 marzo 1914 - Roma, Italia, 23 marzo 1994



Don Álvaro, come è chiamato da milioni di persone che in tutto il mondo ricorrono alla sua intercessione, era un brillante studente di Ingegneria quando conobbe Josemaría Escrivá. Resosi conto che Dio lo chiamava a quel cammino, entrò a far parte dell’Opus Dei nel 1935. Ordinato sacerdote nel 1944, una volta terminati gli studi civili ed ecclesiastici, fu il principale collaboratore di San Josemaría e ne divenne il successore alla guida dell’Opus Dei nel 1975. A Roma, dove ha vissuto dal 1946, era molto apprezzato, tra l’altro, per il lavoro che aveva svolto durante il Concilio Vaticano II (1962-1965), contribuendo a potenziare il ruolo dei laici nella Chiesa. Per la sua bontà e umiltà, moltissime persone di tutte le classi e condizioni sociali avevano verso di lui un grandissimo affetto. Álvaro del Portillo è morto a Roma il giorno dopo un pellegrinaggio in Terra Santa, il 23 marzo 1994. Lo stesso giorno Giovanni Paolo II si è recato a pregare dinanzi ai suoi resti mortali. Il Cardinale Camillo Ruini, vescovo vicario di Roma, ha aperto il 5 marzo la fase diocesana della sua causa di canonizzazione.








Álvaro del Portillo, primo successore di San Josemaría Escrivá a capo dell'Opus Dei, nacque a Madrid l'11 marzo 1914. Entrò a far parte dell'Opus Dei nel 1935. Fu ordinato sacerdote il 25 giugno 1944. Membro del Consiglio Generale dell'Opus Dei dal 1940 al 1975, dal 1940 al 1947 e dal 1956 al 1975 ne fu il segretario generale. Era laureato in ingegneria dei trasporti. Si era inoltre laureato in Lettere e Filosofia (sezione di storia) e in Diritto canonico.
Era consultore di diversi organismi della Santa Sede, quali la Congregazione per la dottrina della fede, la Congregazione per il Clero, la Congregazione per le Cause dei Santi e il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali. Prese parte ai lavori del Concilio Vaticano II, dapprima come presidente della Commissione antipreparatoria per il laicato, quindi come segretario della Commissione per la disciplina del Clero e come consultore di altre commissioni. I suoi libri Laici e fedeli nella Chiesa (1999, seconda ed.) e Consacrazione e missione del sacerdote (1990, seconda ed.) sono in buona parte il frutto di quest'esperienza. Quale membro della Commissione per la revisione del codice di diritto canonico, intervenne nella elaborazione dell'attuale codice, promulgato da Giovanni Paolo II nel 1983.
Nel 1975 veniva eletto successore di monsignor Escrivá. Quando l'Opus Dei fu eretto in prelatura personale, il Santo Padre lo nominò prelato; e nel 1990 lo designò vescovo, conferendogli l'ordinazione episcopale il 6 gennaio 1991.
Nel 1985 creò a Roma il Centro Accademico Romano della Santa Croce, nucleo originario dell'attuale Università Pontificia della Santa Croce.
Nel corso dei diciannove anni durante i quali guidò l'Opus Dei, il lavoro della prelatura si estese ad altri venti paesi.
Morì a Roma il 23 marzo 1994. Lo stesso giorno Papa Giovanni Paolo II si recò a pregare davanti alla sua salma.
E' stato beatificato il 27 settembre 2014 a Valdebebas, Madrid, con celebrazione presieduta dal Cardinale Angelo Amato.

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23/03/2015 07:20
 
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Beato Alvaro del Portillo Diez de Sollano Prelato dell’Opus Dei

23 marzo


Madrid, Spagna, 11 marzo 1914 - Roma, Italia, 23 marzo 1994



Don Álvaro, come è chiamato da milioni di persone che in tutto il mondo ricorrono alla sua intercessione, era un brillante studente di Ingegneria quando conobbe Josemaría Escrivá. Resosi conto che Dio lo chiamava a quel cammino, entrò a far parte dell’Opus Dei nel 1935. Ordinato sacerdote nel 1944, una volta terminati gli studi civili ed ecclesiastici, fu il principale collaboratore di San Josemaría e ne divenne il successore alla guida dell’Opus Dei nel 1975. A Roma, dove ha vissuto dal 1946, era molto apprezzato, tra l’altro, per il lavoro che aveva svolto durante il Concilio Vaticano II (1962-1965), contribuendo a potenziare il ruolo dei laici nella Chiesa. Per la sua bontà e umiltà, moltissime persone di tutte le classi e condizioni sociali avevano verso di lui un grandissimo affetto. Álvaro del Portillo è morto a Roma il giorno dopo un pellegrinaggio in Terra Santa, il 23 marzo 1994. Lo stesso giorno Giovanni Paolo II si è recato a pregare dinanzi ai suoi resti mortali. Il Cardinale Camillo Ruini, vescovo vicario di Roma, ha aperto il 5 marzo la fase diocesana della sua causa di canonizzazione.








Álvaro del Portillo, primo successore di San Josemaría Escrivá a capo dell'Opus Dei, nacque a Madrid l'11 marzo 1914. Entrò a far parte dell'Opus Dei nel 1935. Fu ordinato sacerdote il 25 giugno 1944. Membro del Consiglio Generale dell'Opus Dei dal 1940 al 1975, dal 1940 al 1947 e dal 1956 al 1975 ne fu il segretario generale. Era laureato in ingegneria dei trasporti. Si era inoltre laureato in Lettere e Filosofia (sezione di storia) e in Diritto canonico.
Era consultore di diversi organismi della Santa Sede, quali la Congregazione per la dottrina della fede, la Congregazione per il Clero, la Congregazione per le Cause dei Santi e il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali. Prese parte ai lavori del Concilio Vaticano II, dapprima come presidente della Commissione antipreparatoria per il laicato, quindi come segretario della Commissione per la disciplina del Clero e come consultore di altre commissioni. I suoi libri Laici e fedeli nella Chiesa (1999, seconda ed.) e Consacrazione e missione del sacerdote (1990, seconda ed.) sono in buona parte il frutto di quest'esperienza. Quale membro della Commissione per la revisione del codice di diritto canonico, intervenne nella elaborazione dell'attuale codice, promulgato da Giovanni Paolo II nel 1983.
Nel 1975 veniva eletto successore di monsignor Escrivá. Quando l'Opus Dei fu eretto in prelatura personale, il Santo Padre lo nominò prelato; e nel 1990 lo designò vescovo, conferendogli l'ordinazione episcopale il 6 gennaio 1991.
Nel 1985 creò a Roma il Centro Accademico Romano della Santa Croce, nucleo originario dell'attuale Università Pontificia della Santa Croce.
Nel corso dei diciannove anni durante i quali guidò l'Opus Dei, il lavoro della prelatura si estese ad altri venti paesi.
Morì a Roma il 23 marzo 1994. Lo stesso giorno Papa Giovanni Paolo II si recò a pregare davanti alla sua salma.
E' stato beatificato il 27 settembre 2014 a Valdebebas, Madrid, con celebrazione presieduta dal Cardinale Angelo Amato.

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24/03/2015 06:32
 
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Sant' Aldemaro di Bucchianico Religioso

24 marzo


sec. X








Benedettino, originario di Capua, dopo essere stato per alcuni anni monaco a Montecassino, fu nominato, benché ancora diacono, rettore del monastero di San Lorenzo di Capua, edificato dalla principessa Aloara, vedova di Pandolfo Testa di Ferro, verso il 982. La fama di santità e i miracoli che vi compì indussero l'abate Aligerno (949-86) a richiamarlo a Montecassino. Nacque allora una grossa lite tra la principessa e l'abate, per troncar la quale Aldemaro fuggì a Boviano. Qui operò ancora miracoli: tra l’altro guarì un canonico da grave malatt1a; sfuggì miracolosamente all’attentato di un tale, irritato per una donazione di terre fatta dal fratello al Santo. Più tardi fu ordinato sacerdote.
Fondò il monastero di S. Eufemia in Bucchianico di cui fu abate. Passò poi per vari luoghi della diocesi di Chieti costruendo altri monasteri ed evangelizzando il popolo. Mentre si trovava in visita ad uno dei monasteri da lui fondati, fu colpito da febbre nei pressi del paese di S. Martina.
Qui morì sulla fine del sec. X o i primi anni dell’XI. Il suo corpo fu sepolto a Bucchianico.
La festa si celebra il 24 marzo. Il suo nome manca nel Martirologio Romano.


Autore: Benedetto Cignitti

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25/03/2015 07:09
 
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Beato Arnaldo de Amer Maestro Generale dell’Ordine Mercedario

25 marzo


† 1308

Appartenente alla famiglia di San Pietro de Amer, il Beato Arnaldo si distinse nel convento di Santa Maria degli Angeli di El Puig (Spagna), per i tanti meriti e perseveranza nella preghiera e digiuni. Il 29 settembre del 1301 venne eletto Maestro Generale dell’Ordine Mercedario con l’appoggio di Re Giacomo II° il quale chiese conferma dell’elezione a papa Bonifacio VIII°, fu inviato in seguito dal Re d’Aragona a trattare una questione di pace. Come redentore liberò 223 schiavi dalle carceri dei pagani e visitò tutti i conventi di Castiglia. Morì santamente nel 1308.
L’Ordine lo festeggia il 25 marzo

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26/03/2015 07:06
 
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Santi Baronto (Baronzio) e Desiderio Eremiti a Pistoia

26 marzo


sec. VII

Martirologio Romano: Presso Montalbano in Toscana, santi Baronzio e Desiderio, eremiti.








BARONTO (BARONZIO) e DESIDERIO, eremiti a PISTOIA, santi.

Il Baronio introdusse al 25 marzo, nel Martirologio Romano, la celebrazione di Baronto e Desiderio, fondandosi su Atti della Chiesa di Pistoia. In questo testo, redatto da un monaco italiano tra il sec. XI e il XII e pubblicato dai Bollandisti, Baronto è identificato con l'omonimo monaco di Longoreto, che, dopo aver compiuto la penitenza impostagli da san Pietro e aver visitato le tombe degli apostoli, avrebbe deciso di abbracciare la vita eremitica, fissandosi sul monte Albano, presso Pistoia. Questo racconto, accettato per molto tempo senza critica alcuna, è però ben poco attendibile, dal momento che, nella tradizione di Baronto di Longoreto, non si accenna affatto a un viaggio in Italia del santo. E' sembrato quindi giusto e opportuno scindere le due figure e le loro vicende, indubbiamente confuse. La fama di santità di un eremita, di nome Baronto, e stabilitosi sul monte Albano nel corso del sec. VII, indusse cinque giovani a unirsi a lui nelle penitenze, e tra essi si distinse per fervore religioso Desiderio. Morto alla fine del sec. VII, Baronto fu sepolto nell'oratorio, che aveva costruito presso la sua cella, e, sulla sua tomba che il popolo non aveva mai cessato di venerare, Restaldo, vescovo di Pistoia (1012-1023), fece erigere un monastero benedettino a lui dedicato. Il monastero di San Baronto, in cui erano state trasferite le reliquie di Baronto assieme a quelle di Desiderio e degli altri eremiti, presso cui nel 1107 era sorto un ospedale, nel sec. XV fu dato in commenda e nel 1577 fu unito alla abbazia di Santa Maria di Firenze della Congregazione cassinese.


Autore: Pietro Burchi

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27/03/2015 09:46
 
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Sant' Aimone di Halberstadt Vescovo

27 marzo


m. 27 marzo 853

Etimologia: Aimone = difende la casa con la spada, dal sassone


Emblema: Bastone pastorale








Entrò giovanissimo nel monastero benedettino di Fulda; fu compagno di Rabano Mauro, con il quale ascoltò le lezioni di Alcuino (802) nel celebre monastero di S. Martino di Tours. Ritornò a Fulda (804), dove risiedette e insegnò fino all'839 ca., quando fu trasferito ad Hersfeld. Nell'840 ad opera dell'imperatore Ludovico il Germanico fu nominato vescovo di Halberstadt e come tale partecipò ai sinodi di Magonza degli anni 847 e 852. Rabano Mauro gli dedicò l'opera De universo; anche Aimone scrisse parecchio, ma non tutte le opere a lui attribuite e raccolte in tre volumi nel Migne sono autentiche.
Aimone morì il 27 marzo 853. Nei martirologi benedettini è talvolta chiamato «beato» o «santo», ma non consta che abbia mai avuto un culto ufficiale e riconosciuto dalla Chiesa.


Autore: Alfonso M. Zimmermann

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28/03/2015 06:43
 
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Beato Antonio (Patrizi) da Monticiano Eremita agostiniano

28 marzo


† Monticiano, 23 aprile 1311



Il beato Antonio Patrizi appartenne alla Congregazione agostiniana di osservanza di Lecceto, presso Siena, di cui a ragione è stato detto: "Ilycetum, vetus sanctitatis illicium", “Lecceto, antico covo di santità”. Il beato nacque a Siena verso il 1280. Conosciuti gli eremiti agostiniani di Lecceto, con loro compì l’anno del noviziato; poi fu inviato di comunità a Monticiano. Umile e devoto, alternava la preghiera con il servizio alla comunità. Non si lasciava sfuggire l'occasione di convertire gli increduli e di riprendere fraternamente i peccatori, di comporre dissensi e soccorrere i bisognosi. Dopo essere uscito dal monastero per andare all’eremo di Camerata a visitare un confratello, rientrando a Monticano, morì la notte stessa, il 23 aprile dell’anno 1311. Acclamato santo dal popolo, il suo culto è stato riconosciuto dalla Chiesa nel 1805. Con il beato Antonio, la diocesi di Siena celebra, come beati, i venticinque religiosi leccetani dipinti nell’ “Albero agostiniano di Lecceto”.

Martirologio Romano: A Monticiano presso Siena, beato Antonio Patrizi, sacerdote dell’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino, che fu vero amante dei fratelli e del prossimo.








L’Italia è il primo paese occidentale ove il cristianesimo ha trovato sin dagli albori terreno fertile ove attecchire e portare copiosi frutti di santità. Purtroppo questo grande patrimonio di testimonianza e fedeltà a Cristo è spesso sconosciuto e soprattutto ai giorni nostri è a rischio di cadere nell’oblio più assoluto. Parecchi personaggi medioevali, per i quali la Chiesa si è premurata di ufficializzare il riconoscimento della loro santità, sono oggi dimenticati o comunque il loro culto è ormai limitati alla chiesa o al paese ove riposano le loro spoglie.
E’ questo il caso anche del Beato Antonio Patrizi di Montigiano, cui poche ed incerte sono le notizie sulla sua vita. Nato a Siena verso la prima metà del XIII secolo da una nobile famiglia, entrò nell’eremo agostiniano di Lecceto, per poi passare a Monticiano ove morì all’inizio del secolo seguente, forse verso il 1311. Solo una volta si era concesso una pausa recandosi in visita all’amico e confratello Pietro nel vicino eremo di Camerata.
Due anni dopo la morte i suoi resti furono traslati dal cimitero comune per essere collocati in un’urna lignea sotto un altare. Altre traslazione pare avvennero nel 1616 e nel 1700. Sin dal 1313 esistette una confraternita intitolata al beato, il cui culto fu confermato solo nel 1804 dal pontefice Pio VII.


Autore: Fabio Arduino

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29/03/2015 06:26
 
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Santi Armogasto, Archinimo e Saturnino Martiri

29 marzo




Martirologio Romano: Commemorazione dei santi Armogasto, Archinímo e Saturnino, martiri, che in Africa, al tempo della persecuzione vandalica, sotto il re ariano Genserico, per aver professato la vera fede patirono molti atroci supplizi e infamità.








ARMOGASTE, MASCULA e SATIRO, santi, confessori in AFRICA.

Nel Martirologio Romano, al 29 marzo, sono riuniti in un'unica celebrazione questi tre santi, perché, pur avendo confessato la fede in epoca e circostanze diverse, l'unico autore che di essi parla, Vittore di Vita, li nomina uno dopo l'altro nella sua Historia persecutionis. Al tempo della persecuzione ariana di Genserico, probabilmente tra il 457 e il 458, Armogaste, rifiutatosi di abiurare, fu crudelmente seviziato e poi condannato a morte per ordine di Teodorico, figlio del re. Ma un prete ariano, Giocondo, consigliò di non uccidere Armogaste, per evitare che egli fosse onorato come martire e Teodorico allora lo inviò a lavorare in una cava nella provincia Byzacena e poi, per umiliarlo, lo mandò a custodir vacche presso Cartagine. Avendogli Dio rivelato l'appressarsi della morte, Armogaste convinse un cristiano, di nome Felice, a seppellirlo ai piedi di un carrubo. Quando Armogaste morì, nella fossa scavata presso l'albero da lui indicato si trovò un magnifico sarcofago di marmo in cui i suoi resti furono degnamente composti.
Mascula, condannato a sua volta alla decapitazione, dopo vari tormenti, fu risparmiato, come Armogaste, perché non gli si tributasse culto di martire. Anche Satiro, procuratore della corte di Unnerico, ebbe salva la vita per lo stesso motivo, dopo che anche la moglie e i figli avevano tentato di convincerlo a farsi ariano per non essere ucciso.
Il testo di Vittore di Vita ha dato luogo a diverse questioni circa la condizione sociale e il nome stesso dei tre. Armogaste è da alcuni ritenuto un conte, ma l'espressione «comes bonac confessionis» della Historia persecutionis, da cui deriva il comitis del Romano, ha il senso di cum bona confessione. Il problema concernente il secondo confessore non è di così facile risoluzione: alcune edizioni della Historia persecutionis hanno: «Archimimum, nomine Masculam», cioè «un archimimo, chiamato Mascula». Altre invece hanno «Archimimum nomine, Masculanum», cioè «uno di Mascula (città della Numidia) di nome Archinimo». Questa lezione fu accettata da Floro e Adone che per primi introdussero i tre nei loro martirologi, mentre contro di essi è il Baronio che autorevolmente afferma sia da preferirsi la lezione «Mascula, archimimo».


Autore: Mario Salsano

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30/03/2015 08:24
 
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Beato Amedeo IX di Savoia Duca, Terziario francescano

30 marzo


Thonon, Savoia, 1° febbraio 1435 - Vercelli, 30 marzo 1472

Amedeo nasce da Anna di Lusignano e da Ludovico, duca di Savoia, il 1° febbraio 1435. Il suo matrimonio fu combinato per necessità politiche, infatti sposò Iolanda di Valois, figlia di Carlo VII di Francia. I due però si trovarono; avevano soprattutto in comune una fede profonda e sapevano condividere tutto, dalla preghiera al governo dello stato. Amedeo soffriva di epilessia e questo gli causò parecchie difficoltà. Pur essendo un propugnatore di una crociata per liberare Costantinopoli dai Turchi, fu fondamentalmente un pacifista, era anche molto generoso con i poveri che spesso erano suoi commensali. Edificò chiese e monasteri. Aggravandosi il suo male nel 1469 abdicò in favore di Iolanda, ma i suoi fratelli e i nobili lo assediarono al punto che per liberarlo dovette intervenire Luigi XI. Morì il 30 marzo 1472 a Vercelli.

Patronato: Valle Chisone


Etimologia: Amedeo = che ama Dio, dal latino


Emblema: Collare dell'Ordine Supremo della Santissima Annunziata


Martirologio Romano: A Vercelli, beato Amedeo IX, duca di Savoia, che, durante il proprio governo, favorì in ogni modo la pace e sostenne incessantemente con i mezzi materiali e con l’impegno personale le cause dei poveri, delle vedove e degli orfani.



Ascolta da RadioVaticana:
Ascolta da RadioRai:





Il 30 marzo si ricorda il dies natalis del Beato Amedeo IX, duca di Savoia e uomo di Dio. Nacque il 1° febbraio del 1435 nel castello di Thonon-les-Bains in Alta Savoia, sulle rive del lago di Ginevra. Sua madre era Anna di Lusingano e suo padre il duca Ludovico I di Savoia. Nel 1452 si sposò con Jolanda di Valois, figlia di re Carlo VII di Francia. Il loro fu un matrimonio combinato fin dalla più tenera età; eppure, nonostante le ragioni di Stato la loro unione fu formidabile e riuscitissima, cementata sulla fede in Cristo. Ad Amedeo IX venne assegnato il governatorato del Piemonte, con il disaccordo del fratello Filippo che lo avrebbe attaccato se Ludovico di Savoia non avesse arrestato il figlio.
Gli sposi andarono a vivere nel bresciano ed ebbero otto figli: Anna, Carlo (Principe di Piemonte), Filippo I , Bernardo, Carlo I, Giacomo Luigi (conte di Ginevra e di Gex), Maria (contessa di Neuchàtel), Ludovica (morta in concetto di santità), Gian Claudio.
Jolanda fu un’ottima consorte per Amedeo IX, infatti alleviò molto il marito nei compiti di governo, in quanto il duce soffriva di crisi epilettiche, una patologia che accettò sempre con grande rassegnazione, in quanto la considerava un mezzo per essere più vicino alle sofferenze di Cristo. Amedeo venne più volte attaccato dai suoi stessi parenti perché considerato inadatto al governo; ma la sua magnanimità e la sua benevolenza ebbero la meglio. Nel 1459, durante il Concilio di Mantova aperto da papa Pio II, Amedeo IX fu fautore di una crociata indetta per liberare Costantinopoli dai turchi e in difesa del Peloponneso. Per tale ragione, con grande determinazione e conscio di realizzare un’impresa votata alla causa religiosa, il duca reclutò uomini, denari ed armi. Nel 1464, alla morte del padre Ludovico, Amedeo ereditò il ducato di Savoia e con esso la posizione da tenere nella guerra stabilitasi fra Luigi XI e Carlo il Temerario. L’appoggio di Amedeo e di Jolanda andò al re di Francia, il quale, come risposta dell’alleanza, diede il suo sostegno contro Guglielmo VIII di Monferrato e Giangaleazzo Sforza, nemici dei duchi di Savoia.
Seppe amministrare con acume lo Stato, si conquistò la stima e la simpatia dei sudditi anche per il suo amore ai poveri che si concretizzava in aiuti cospicui e generosi. Si racconta che un giorno un ambasciatore gli domando se possedesse cani da caccia, allora il beato Amedeo mostrò una tavola imbandita sul terrazzo che si trovava fuori dal suo palazzo, attorno alla quale sedevano un gran numero poveri e mendicanti, e disse: «Queste sono le mie mute ed i miei cani da caccia. È con l’aiuto di questa povera gente che inseguo la virtù e vado a caccia del regno dei cieli».
Uomo dalla vita morigerata e austera, non lesinava in penitenze e digiuni, eresse chiese e monasteri, donò beni preziosi alla cattedrale di Vercelli e, quando la sua malattia non gli permise più di governare, lasciò la mansione alla moglie, poiché i suoi figli erano ancora troppo giovani. Tuttavia la corte si ribellò alleandosi con i fratelli di Amedeo e venne imprigionato, finché Luigi XI lo liberò, ristabilendo l’ordine.
Stremato dall’epilessia, Amedeo, che visse in pienezza tutte le virtù in grado eroico, consegnò a Jolanda, ai figli e ai suoi ministri il suo testamento spirituale: «Siate retti. Amate i poveri e Dio vi garantirà la pace». Morì a Vercelli il 30 marzo 1472. Le sue spoglie riposano oggi nella cattedrale di Vercelli sopra l’altare della cappella di destra, di fronte a quella di sant’Eusebio, evangelizzatore e patrono del Piemonte.
Il processo di canonizzazione, apertosi poco dopo la sua morte, che fu seguita da un florilegio di miracoli, si chiuse soltanto il 3 marzo 1677 con papa Innocenzo XI, che fissò la festa del Beato il 30 marzo. La sua memoria si conserva a Vercelli, a Pinerolo, a Torino e precisamente nel Duomo della città, nelle chiese della Madonna del Carmine (dove è contitolare), di San Filippo, della Gran Madre, nel santuario di Maria Ausiliatrice e nella sabauda basilica di Superga.

Autore: Cristina Siccardi





Amedeo nacque il 1° febbraio 1435 nel castello di Thonon-les-Bains, sulle rive del lago di Ginevra in Alta Savoia, da Anna di Lusignano e dal duca Ludovico I di Savoia, figlio del prmo duca sabaudo Amedeo VIII, antipapa col nome di Felice V e poi riconciliatosi con la Chiesa. Sin da bambino fu promesso in sposo a Jolanda di Valois, figlia del re Carlo VII di Francia, per cementare l'amicizia tra i due paesi. Amedeo crebbe diventando un bel ragazzo, purtroppo soggetto a crisi epilettiche, che egli accettò quale correzione all’inevitabile adulazione da parte dei cortigiani di suo padre, nonchè come un’opportunità per sentirsi a più stretto contatto con Dio. La partecipazione quotidiana all’Eucaristia e la preghiera personale rappresentarono sempre la sua fonte di forza.
Amedeo e Jolanda si sposarono nel 1452 e la coppia si ritirò nella relativamente quieta provincia di Brescia, territorio assegnatogli oltre al governatorato del Piemonte. Ciò suscitò le ire di suo fratello Filippo nei suoi confronti, che quasi si preparò ad attaccare Amedeo, se loro padre non lo avesse arrestato. Nacquero vari figli: Anna, Carlo (Principe di Piemonte), Filiberto I (Duca di Savoia), Bernardo (morto infante), Carlo I (Duca di Savoia), Giacomo Luigi (Conte di Ginevra e di Gex), Maria (contessa di Neuchàtel), Ludovica (venerata come “beata”) e Gian Claudio (morto ancora in fasce). Tutto sommato questo matrimonio combinato si rivelò dunque dei più felici, poiché Jolanda si interessava allo stesso tempo delle pratiche religiose e del governo dello stato, alleviando le fatiche del consorte, che cominciava a manifestare i sintomi dell’epilessia.
La malattia e la sua vita decisamente inclinata al trascendente procurarono ad Amedeo numerose difficoltà, poiché più volte i suoi stessi fratelli gli si ribellarono contro e più volte i nobili sabaudi meditarono di sostituirlo con un erede al trono più energico. Infine però la bontà di Amedeo riuscì pacificamente a prevalere sui suoi nemici. Questo non significa comunque che Amedeo non fosse pronto a combattere per una giusta causa: nel 1459, infatti, durante il concilio di Mantova indetto da papa Pio II, il giovane principe fu solerte e fiero fautore di una crociata volta a liberare Costantinopoli, da poco conquistata dai Turchi, e in difesa del Peloponneso. A tal fine reclutò uomini, armi e denaro.
Nel 1464, alla morte del padre, Amedeo IX assunse il governo del ducato di Savoia. Immediatamente radunò i tre Stati per decidere sulla posizione da tenere nella guerra tra Luigi XI e Carlo il Temerario: l’assemblea, conforme al parere di Amedeo e Jolanda, si pronunziò favorevole ad appoggiare il re di Francia, senza comunque combattere in campo aperto il duca di Borgogna. In cambio di tale atteggiamento, Luigi XI sostenne il cognato contro Guglielmo VIII di Monferrato e Giangaleazzo Sforza. Anche da quest’ultimo Amedeo venne provocato: alla morte del duca Francesco Sforza, il figlio Giangaleazzo tentò di tornare dalla Francia passando in incognito per la Savoia e venne arrestato. Nonostante Amedeo lo avesse fatto subito rilasciare, munendolo anche di una scorta, Giangaleazzo non gli fu riconoscente, ma addirittura giunse a scindere l’alleanza che suo padre aveva stipulato con il duca sabaudo. Era chiaro che Giangaleazzo puntasse solo ad arrivare allo scontro armato, ma Amedeo per riappacificare i loro rapporti gli concesse in sposa sua sorella Bona. Librò inoltre suo fratello Filippo, per il quale organizzò il matrimonio con Margherita di Borgogna, donandogli i territori brescani e conquistandosi cos’ immancabilmente il suo affetto.
Pacifista in politica estera, Amedeo fu un saggio amministratore del suo stato, benvoluto dai sudditi per la sua liberalità e per l’amore che nutriva per i poveri, concretizzato nell’elargizione di ingenti aiuti. Si narra che, quando un ambasciatore gli domandò se avesse mute di cani e delle razze differenti da quelle del suo padrone, Amedeo mostrò al legato una mensa imbandita sul terrazzo fuori del suo palazzo, alla quale sedevano i poveri e i mendicanti della città: “Queste sono le mie mute ed i miei cani da caccia. E’ con l’aiuto di questa povera gente che inseguo la virtù e vado a caccia del regno dei cieli”. L’ambasciatore gli chiese allora quanti secondo lui fossero impostori, approfittatori ed ipocriti, ma Amedeo replicò: “Non li giudico troppo severamente per non essere giudicato severamente da Dio”.
Amedeo fece edificare numerose chiese e monasteri, ad altri foce varie donazioni, tra cui preziosi paramenti per la cattedrale di Vercelli. Nonostante la sua grande generosità, non ebbe alcun problema economico, anzi grazia ad un’oculata amministrazione riuscì anche a saldare i debiti contratti dai suoi predecessori. Il suo stile di vita era estremamente austero, lontano dal concedersi qualsiasi privilegio nonostanta la sua precaria salute e proprio per tale motivo fece piuttosto credere di dover digiunare. Con l’aumento della debolezza e l’aggravarsi del male, nel 1469 Amedeo cedette il governo del ducato alla moglie, poiché il figlio maggiore Carlo, l’unico in età di regnare, era morto da poco. I nobili però si ribellarono e, alleatisi con i fratelli di Amedeo, lo imprigionarono, finché non intervenne il cognato, Luigi XI, a liberarlo e a sconfiggere definitivamente la fronda dei signori.
Gli ultimi anni della vita di Amedeo IX furono molto penosi per il frequente ripetersi delle crisi dell’epilessia, che egli tuttavia sopportò “come una grazia del Signore”. Quando si rese conto di essere ormai prossimo alla morte, affidò i figli all’amata moglie ed alla presenza loro e dei ministri pronunciò le sue ultime raccomandazioni: “Siate retti. Amate i poveri e Dio vi garantirà la pace”, nobilissimo testamento spirituale di un ottimo principe. Spirò a Vercelli il 30 marzo 1472 e le sue spogli furono inumate nell’antica basilica eusebiana, sotto i gradini dell’altare maggiore.
La pietà popolare non tardò a proclamarlo santo, soprattutto dinnanzi ai miracoli verificatisi per sua intercessione. Il processo ufficiale di canonizzazione si protrasse invece molto a lungo, sino al 3 marzo 1677, quando papa Innocenzo XI confermò il culto del Beato Amedeo IX, fissandone la festa al 30 marzo. San Francesco di Sales e San Roberto Bellarmino lo additarono come esempio ai sovrani e furono grandi assertori della sua canonizzazione, provvedimento papale ancora oggi atteso.
Oggi le reliquie del beato riposano nella Cattedrale di Vercelli, più precisamente sopra l’altare della grande cappella di destra, simmetricamente a Sant’Eusebio, patrono del Piemonte. Degna collocazione per un sovrano che meriterebbe egli stesso tale titolo, insieme al protovescovo vercellese. Bisogna invece purtroppo deplorare l’assenza quasi totale del Beato Amedeo di Savoia dal calendario della Regione Pastorale Piemontese, non fosse per la memoria facoltativa riservatagli al 28 novembre dalla Diocesi di Pinerolo: il duca soggiornò infatti a lungo a Pinerolo nela palazzo degli Acaja, ebbe come guida spirituale Bonivardo, prima abate dell’Abbadia Alpina di Santa Maria e poi vescovo di Vecelli, ed il Senato di Pinerolo lo elesse patrono della Valle Chisone.
A Torino, capitale sabauda, il Beato Amedeo è co-titolare della chiesa della Madonna del Carmine, ove è anche custodita una sua reliquia, ed è inoltre venerato in particolare nella cattedrale cittadina, nella chiesa di San Filippo, nella cripta di Maria Ausiliatrice e nelle basiliche collinari della Gran Madre e di Superga. Anche un ponte è dedicato alla sua memoria.
Nella vasta iconografia che lo ritrae, il Beato Amedeo è facilmente riconoscibile per il collare dell’Ordine dinastico della Santissima Annunziata. Ciò lo rende anche facilmente distinguibile dal Beato Umberto III, conte di Savoia, in quanto l’ordine fu fondato solo nel 1362 dal celebre “Conte Verde” Amedeo VI.

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31/03/2015 08:12
 
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Sant' Agilulfo (Agilolfo) Vescovo

31 marzo


m. 751/752

Martirologio Romano: A Colonia in Austrasia, ora in Germania, sant’Agilolfo, vescovo, illustre per la santità di vita e la predicazione.








Secondo una passio del sec. XI (BHL, I, p. 25, n. 145) sarebbe stato vescovo di Colonia, consigliere di Carlo Martello, e ucciso il 31 marzo 716 nei pressi di Amblève, mentre si recava ambasciatore da Chilperico e Ragenfrid; sarebbe stato seppellito nella chiesa di San Lorenzo, non lungi dal monastero di Stavelot-Malmédy. Nel 1062 il vescovo Anno II ne trasferì le reliquie a Colonia e le compose nella chiesa di Santa Maria ad Gradus; da allora se ne celebra la festa il 9 luglio.
Secondo un altro testo, poi, della fine dello stesso sec. XI (BHL, I, p. 25, n. 146), composto certamente dopo la traslazione a Colonia, Agilulfo prima di essere vescovo sarebbe stato monaco di Malmédy, discepolo dell'abate Anglino, al quale sarebbe succeduto nell'ufficio abbaziale, che avrebbe conservato pur reggendo la chiesa di Colonia.
Queste notizie agiografiche mal si compongono con altre storicamente accertate, secondo le quali Agilulfo di Malmédy fu abate dal 752 al 757, mentre Agilulfo era già vescovo di Colonia nel 748 (forse anche nel 745), e morì nel 751-52. Per questo, dunque, bisogna distinguere il vescovo dall'abate. Chi fosse poi il martire del 716 è difficile precisare; si potrebbero fare diverse ipotesi, pensando che sia esistito un altro vescovo di Colonia di nome Agilulfo all'inizio del sec. VIII, o che l'autore della passio abbia fatto confusione di nomi, volendo glorificare l'oscuro martire del suo monastero, attribuendogli la qualifica di vescovo.
Agilulfo è venerato il 31 marzo (dies natalis) ad Amel (Amblève), dove gli è dedicata una chiesa. A Colonia, invece, è venerato il 6 luglio, giorno della traslazione. Le sue reliquie nel 1802 furono trasferite a Kempen, ma nel 1846 furono riportate a Colonia e nel 1893 nuovamente esposte alla pubblica venerazione.

Autore: Alfonso M. Zimmermann

ICONOGRAFIA. Questo santo è normalmente rappresentato con la dalmatica, i guanti, il piviale e la mitra come si può vedere in una tavola del XVI sec. custodita nel Museo di Colonia. Suoi attributi più comuni, poi, sono il libro, che ricorda gli studi da lui compiuti nella abbazia di Stavelot nelle Ardenne, e la spada, strumento del martirio che subì ad Amblève. Altro attributo quasi costante è il falcone tenuto alto sul pugno: secondo la tradizione popolare, infatti, avendo un cacciatore messo in dubbio la santità di Agilulfo ed essendosi detto disposto a credervi soltanto se il falcone si fosse messo a cantare, il santo avrebbe compiuto tale miracolo. Questo ed altri avvenimenti della vita di Agilulfo sono rappresentati sugli sportelli laterali di una grande pala d'altare del XVI sec. attualmente nella cattedrale di Colonia. Altra immagine del santo, vestito dei sacri paramenti, si trova, sempre a Colonia, in una vetrata del XVII sec. della chiesa di San Pantaleone.

Autore: Maria Chiara Celletti

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01/04/2015 06:58
 
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Sante Agape e Chionia Martiri a Salonicco

1 aprile


m. Salonicco, 304

Emblema: Palma


Martirologio Romano: A Salonicco in Macedonia, ora in Grecia, sante Agape e Chionia, vergini e martiri, che durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano, essendosi rifiutate di mangiare la carne di animali sacrificati agli idoli, furono consegnate al governatore Dulcezio e condannate al rogo.








Sante AGAPE, CHIONIA ed IRENE, Martiri a Salonicco

Il martirio di queste tre giovani sorelle è raccontato in un documento che è una versione un po' ampliata di testimonianze genuine. Le donne furono portate davanti al governatore della Macedonia, Dulcizio, con l'accusa di aver rifiutato di mangiare del cibo che era stato offerto in sacrificio agli dei.
Quando il Governatore chiese loro da chi avevano imparato idee così strane, Chionia rispose: "Da nostro Signore Gesù Cristo" e di nuovo lei e Agape rifiutarono di mangiare l'empio cibo e, a causa di ciò, furono bruciate vive. Intanto Dulcizio era venuto a sapere che Irene aveva conservato in suo possesso dei libri cristiani invece di consegnarli come richiedeva la legge. La interrogò di nuovo e lei disse che quando era stato pubblicato il decreto dell'Imperatore contro i cristiani lei e altri erano fuggiti sulle montagne. Evitò di coinvolgere le persone che le avevano aiutate e dichiarò che nessuno tranne loro sapeva che avevano i libri: "Temevamo la nostra gente quanto ogni altro" disse.
Dopo il loro ritorno a casa avevano nascosto i libri ed erano state molto infelici perché non potevano leggerli a tutte le ore come era loro abitudine. Il Governatore ordinò che Irene fosse denudata ed esposta in un bordello, ma là nessuno la molestava, così le fu data un'ultima possibilità di sottomettersi e poi fu condannata a morte. Anche i libri, le Sacre Scritture, furono bruciati pubblicamente.
Altre tre donne e un uomo furono giudicati insieme a queste martiri; una delle donne fu rinviata in carcere perché era incinta. Non è riferito cosa accadde di loro.


Autore: Donald Attwater

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02/04/2015 07:09
 
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Sant' Abbondio Vescovo di Como

2 aprile


Vescovo di Como dal 440 - Morto a Como nel 469-499

A lui si ispirò certamente il Manzoni nel dare il nome al suo celebre personaggio sul «ramo del lago di Como». Di Abbondio si sa che fu vescovo lariano dal 440, mentre non si conoscono con certezza data di nascita e morte. Come ignoto è il luogo di origine. Conosceva bene il greco e, perciò, prima di dedicarsi a tempo pieno al servizio episcopale (e all’attività missionaria nelle zone montuose vicino Lugano ancora scristianizzate), fu mandato dal Papa Leone I Magno a Costantinopoli per dirimere, con successo, la questione dottrinale sulle due nature di Cristo suscitata da Nestorio ed Eutiche. I resti del patrono sono nella basilica di Como. (Avvenire)

Patronato: Como


Etimologia: Abbondio = abbondante, dal latino


Emblema: Bastone pastorale


Martirologio Romano: A Como, sant’Abbondio, vescovo, che fu inviato a Costantinopoli dal papa san Leone Magno e vi difese con zelo la retta fede.








Alessandro Manzoni ha chiamato “don Abbondio” il poco animoso curato dei Promessi sposi, ispirandosi a un nome famoso e venerato nella terra dov’è ambientato il romanzo: sant’Abbondio, vescovo di Como, città che conserva tuttora i suoi resti nella basilica a lui dedicata e lo onora come patrono. Una tradizione lo dice greco, di Tessalonica (attuale Salonicco), ma il nome così schiettamente latino ne fa dubitare. Risulta invece che Abbondio conosce bene la lingua greca, caso ormai raro nella Chiesa d’Occidente all’epoca sua.
Ignoti il tempo e il luogo della nascita, la prima data certa della sua biografia è il 17 novembre del 440: in quel giorno Abbondio, già collaboratore del vescovo Amanzio in Como, riceve la consacrazione episcopale come suo successore. Ma non può dedicarsi subito alla diocesi: il papa Leone I Magno (quello dell’incontro con Attila) ha bisogno di lui per un compito tutt’altro che tranquillo: deve andare a Costantinopoli come legato pontificio presso l’imperatore Teodosio II. E lì Abbondio dovrà ristabilire in modo duraturo l’unità nella fede, dopo il lungo conflitto dottrinale suscitato dal vescovo Nestorio e dall’archimandrita Eutiche. Questi sono due figure eminenti del cristianesimo orientale, entrambi però in contrasto con la dottrina della Chiesa di Roma e dei concili sul tema delle due nature – umana e divina – nella persona di Cristo; e per buon peso sono in contrasto pure fra di loro, con le inevitabili divisioni anche fra i cristiani, i conflitti per la nomina dei vescovi, con accompagnamento anche di violenze fisiche: com’è accaduto al patriarca Flaviano di Costantinopoli, seguace dell’ortodossia, aggredito brutalmente e deposto, tanto da morirne poco dopo.
Morto anche l’imperatore Teodosio II nel 450, Abbondio a Costantinopoli trova il suo successore Marciano: e a lui, come ai vescovi, al clero, ai monaci e ai fedeli, Abbondio ribadisce con franchezza la dottrina cattolica sulle due nature in Cristo, come l’ha esposta Leone I in una lettera diretta ancora a Flaviano. E porta a termine la missione facendo accettare il documento pontificio da tutti i vescovi d’Oriente, con in testa quello di Costantinopoli, già nemico di Flaviano.
Un successo pacifico e pieno per Abbondio, accolto festosamente a Roma da papa Leone nel 451. Dopo una missione analoga nel Nord dell’Italia, egli può infine essere vescovo di Como a tempo pieno. E questo significa farsi missionario, annunciando il Vangelo nelle regioni montane, nella zona di Lugano e in altre terre non ancora cristianizzate. Il diplomatico e teologo diventa predicatore. E muore in un giorno di Pasqua, dice un testo dell’epoca, appunto dopo aver predicato. Ma non si conosce con certezza l’anno della morte, indicato da alcuni nel 469, da altri nel 488 o nel 499.
Il Martyrologium Romanum lo ricorda il 2 aprile, mentre la diocesi di Como lo festeggia il 31 agosto.


Autore: Domenico Agasso

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03/04/2015 07:40
 
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Beati Ezechiele Huerta Gutiérrez e Salvatore Huerta Gutiérrez Laici e martiri

3 aprile


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† Mezquitán, Messico, 3 aprile 1927







Nel contesto della persecuzione religiosa messicana, provocata dalla nuova costituzione promulgata nel 1917, parecchi cristiani subirono il martirio e tra essi rifulge questo gruppo comprendente otto fedeli laici dell’arcidiocesi di Guadalajara, tutti cristiani integerrimi attivamente impegnati nella difesa della libertà religiosa e della Chiesa, che furono uccisi per la loro fede cristiana tra il 1927 e il 1928. Il 3 aprile 1927 furono uccisi i due fratelli Ezequiel Huerta Gutiérrez e Salvador Huerta Gutiérrez. Il martirio di questi Servi di Dio fu riconosciuto il 22 giugno 2004 da Giovanni Paolo II e furono poi beatificati il 20 novembre 2005, sotto il pontificato di Benedetto XVI.

José Luciano Ezequiel Huerta Gutiérrez Padre di famiglia
Magdalena, Messico, 7 gennaio 1876 - Mezquitán, Messico, 3 aprile 1927

José Luciano Ezequiel Huerta Gutiérrez nacque a Magdalena il 6 gennaio 1876. Sposo e padre esemplare di una numerosa prole, possedeva un magnifica voce da tenore drammatico. Era inoltre organista di professione. Assai devoto all’Eucaristia, riceveva spesso la Comunione. Molto caritatevole, condivideva i suoi beni con i più bisognosi.
Fu arrestato la mattina del 2 aprile 1927, poichè aveva due fratelli presbiteri, Eduardo e José Refugio, molto rispettati a Guadalajara ed aveva appena visitato la camera ardente allestita per Anacleto González Flores. Nelle celle del comando della polizia lo torturarono sino a fargli perdere conoscenza. Quando rinvenne, espresse il suo dolore cantando l’inno eucaristico “Che viva il mio Cristo, che viva il mio Re”.
All’alba del giorno seguente, fu portato insieme a suo fratello nel cimitero municipale. Lì si formò il plotone per l’esecuzione. Ezequiel disse a suo fratello Salvador: “Li perdoniamo, vero?”. “Sì, che il nostro sangue serva per la salvezza di molti”, rispose Salvador. Una scarica di proiettili pose fine al loro dialogo. La moglie di Ezequiel, vicinissima al luogo dell’esecuzione, udì gli spari senza però sapere chi fossero le vittime. Riunì comunque tutti i suoi figli e disse: “Figli miei, recitiamo il rosario per queste povere persone che hanno appena fucilato”.

José Salvador Huerta Gutiérrez Padre di famiglia
Magdalena, Messico, 18 marzo 1880 - Mezquitán, Messico, 3 aprile 1927

José Salvador Huerta Gutiérrez nacque a Magdalena il 18 marzo 1880. Meccanico tornitore per vocazione, si dedicò interamente a questo mestiere, divenendo uno dei più competenti meccanici di Guadalajara. Fervido amante di Gesù Sacramentato, partecipava quotidianamente all’Eucaristia ed all’adorazione. La sua condotta quale figlio, sposo e padre fu sempre esemplare. Possedeva un particolare intuito dinanzi al pericolo, che affrontava con singolare forza. Al principio del 1927, con la persecuzione religiosa, la situazione divenne insostenibile per i cattolici. I chierici vennero perseguitati senza tregua in quanto ritenuti istigatori della resistenza armata. Il 2 aprile 1927, consumato l’assassinio di Anacleto González e dei suoi tre compagni, Salvador andò al cimitero per rendergli l’estremo saluto.
Tornando alla sua officina, trovò ad attenderlo agenti di polizia che lo arrestarono. Nella caserma generale fu sottoposto a crudeli torture e lo appesero per i pollici. I carnefici volevano scoprire ove si trovavano i sacerdoti Eduardo e José Refugio. Esanime, fu gettato in una cella. All’alba del giorno seguente, fu condotto nel cimitero di Mezquitán con suo fratello Ezequiel. Di fronte al plotone di esecuzione chiese una candela accesa per illuminare il suo petto scoperto. Urlò: “Viva Cristo Re e la Vergine di Guadalupe! Sparate, muoio per Dio, che amo molto”.


Autore: Fabio Arduino

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04/04/2015 07:22
 
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Santi Agatopodo e Teodulo Martiri

4 aprile


† Tessalonica, 302 circa

Martirologio Romano: A Salonicco, in Macedonia, ora in Grecia, santi martiri Agatopódo, diacono, e Teodúlo, lettore, che, sotto l’imperatore Massimiano, su ordine del governatore Faustino, per aver confessato la fede cristiana furono gettati in mare con un masso legato al collo.







I santi Agatopodo e Teodulo subirono il martirio presso Tessalonica al tempo dell’imperatore Massimiano, probabilmente dopo il 302, quando un editto ordinò di bruciare i testi cristiani e di costringere i cristiani a sacrificare agli dei pagani. Dal messale Vaticano Greco del 1660 apprendiamo che Agatopodo, anziano diacono, e Teodulo, giovane lettore, vivevano santamente in preghiera. Catturati e condotti al cospetto del governatore Faustino, confessarono coraggiosamente la loro fede. Condotti in carcere, trascorsero la notte in preghiera lodando Dio, ed il giorno seguente Faustino fece persino avvicinare al collo di Teodulo la spada del carnefice nella speranza che dermodesse, ma né minacce né lusinghe sortirono effetto su di lui e con il suo compagno fu allora nuovamente incarcerato. Il menologio di Basilio Porfirogenito afferma che, durante la notte, i due fecero un sogno che preannunciava loro l’ormai prossimo martirio. Il mattino, dopo un terzo infruttuoso interrogatorio, furono entrambi gettati in mare con legata al collo una grossa pietra.


Autore: Fabio Arduino

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05/04/2015 08:31
 
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Sant' Alberto di Montecorvino Vescovo

5 aprile


m. 1127

Etimologia: Alberto = di illustre nobiltà, dal tedesco


Martirologio Romano: A Montecorvino in Puglia, sant’Alberto, vescovo, che dedicò la sua vita alla preghiera continua a Dio e al bene di tutti i poveri.








La sua Vita (Acta SS. Aprilis, I, Venezia 1737, pp. 433-37) fu scritta dal vescovo Riccardo, «ibidem non diu post ipsum electus» e riscritta «lucidiori stylo» da Alessandro Gerardini, che fu vescovo di Montecorvino nel 1496-1515. La sua famiglia, «e genere nobili Normandorum», si trasferì a Montecorvino, appena fondata, quando Alberto aveva cinque anni. Egli trascorse la gioventù, oltre che nello studio delle lettere, «in ieiunio, in ornatu templorum, et continua ad Deum prece». Alla morte del vescovo Beato, il popolo e il conte Landolfo lo nominarono loro pastore. Sua prima cura fu di trasformare il tempio della città, che era «parvum et incultum», in «altum et celebre». La fama della sua santità e dei suoi miracoli fece venire a lui, per confessarsi insieme col popolo, i grandi della terra e perfino il duca di Puglia, Guglielmo. Essendo rimasto cieco, gli fu dato come coadiutore il sacerdote Crescenzio, «hominem potentem et scelerum plenum», il quale fece di tutto per abbreviargli la vita e averne, così, la successione.
Morì il 5 aprile 1127. Tra i miracoli operati in vita, convertì l'acqua in vino, e dopo la morte, sanò un paralitico e liberò un energumeno. La sua festa si celebrava il giorno anniversario della sua morte, ma, essendo spesso impedita dalle solennità della settimana santa, nel 1717 fu fissata al lunedì in albis. La diocesi di Montecorvino nel 1433 fu unita a quella di Volturia (oggi Volturara Appula) e nel 1818 entrambe furono unite a Lucera.


Autore: Giuseppe Carata

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06/04/2015 09:36
 
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San Brychan di Brecknock Re di Gwynedd

6 aprile


V secolo







Figura assai singolare, nel vasto panorama di santità fiorita presso le corti inglesi del primo millennio cristiano, è costituita da San Brychan di Brecknock, figlio del re Anlach di Garthmadrun, dal quale ereditò poi il trono di Gwynedd. Visse nel V secolo. Da bambino ebbe forse le lentiggini, come ricorda il suo nome. Fu mandato dai genitori in Irlanda e poi in Galles. All’età di quattro anni fu affidato ad un sant’uomo di nome Drichan, sulle rive del fiume Ysgir, e tre anni dopo poteva già considerarsi abbastanza istruito per affrontare il mondo. Il suo maestro, ormai quasi cieco, in seguito ad uno strano episodio predisse un futuro prospero e felice per il giovane Brychan.
Alcuni anni dopo scoppiò la guerra fra il re Anlach e Banadl, re irlandese che usurpava Powys. Si rese necessario inviare il principe Brychan quale ostaggio per difendere le terre occupate, ma egli fu trattato bene alla corte di Irishman e si innamorò pazzamente di Banhadlwedd, figlia del re. Dalla sua irregolare relazione, prima che egli facesse ritorno a Gathmadrun, nacque il suo figlio primogenito, Canog (Cynog), morto poi martire presso Merthyr-Cynog durante una invasione barbarica approssimativamente nel 492 e venerato come santo al 7 ottobre.
Nel frattempo morì il re Anlach ed i nobili elessero al trono Brychan, il cui regno fu trionfante, come aveva predetto Drichan, tanto che i sudditi in suo onore vollero mutare il nome del regno in Brycheiniog. Fu un sovrano sempre fedele alla Chiesa ed ai suoi insegnamenti. Si sposò per ben tre volte e secondo la tradizione ebbe in tutto ventiquattro figli e figlie venerati tutti come santi. L’iconografia è solita infatti rappresentare San Brychan che con l’ausilio di un grande telo tiene in braccio tutti i suoi bambini. Il secondogenito, San Cledwyn (Clydwyn), fu l’erede al trono.
San Brychan testimoniò ripetutamente la sua pietà, ma non esitò a ricorrere all’uso della forza nelle varie occasioni in cui dovette difendere le sue terre e l’onorabilità della sua famiglia. L’esempio più ecclatante si verificò quando la sua figlia maggiore, Santa Gladys, fu rapita dal suo futoro marito San Gwynllyw, inizialmente noto come brigante e dissoluto. Brychan li inseguirono per notti e giorni, finché fu combattuta una sanguinosa battaglia in cui caddero parecchi uomini. Intervenne poi provvidenzialmente il celebre re Artù a pacificare i due sovrani gallesi. Ma molte ancora furono le atrocità compiute dal sovrano in difesa del suo regno, finché un giorno preferì abdicare in favore del suddetto figlio Clydwyn, per potersi dedicare alla vita eremitica. Alcuni studiosi sostengono che quest’ultimo periodo della vita del sovrano sia da identificare con quello di un suo presunto figlio, San Nectan.
Brychan morì in età assai avanzata e fu sepolto sull’Ynys Brychan, odierna isola di Lundy. Il suo nome è presente anche nelle varianti di Brocanus, in latin, e Brecon, in inglese. La sua festa ricorre al 6 aprile.


Autore: Fabio Arduino

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07/04/2015 09:37
 
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Sant' Aiberto di Crespin Monaco

7 aprile


m. 1140

Martirologio Romano: Presso il monastero di Crespin nell’Hainault, nell’odierna Francia, sant’Aiberto, sacerdote e monaco, che ogni giorno recitava in solitudine, in ginocchio o prostrato a terra, tutto il Salterio e ai penitenti che accorrevano a lui amministrava la divina misericordia.








Nato a Espain, a pochi chilometri da Tournai, nel 1060 da Albaldo, uomo d'armi, e da Elvide, mostrò fin da fanciullo una grande tendenza alla pietà, al punto di levarsi da letto la notte per poter pregare con maggior raccoglimento e di praticare spesso lunghi digiuni. L'esempio di penitenza di san Teobaldo, di cui venne a conoscenza per mezzo di un mendicante, lo spinse a ritirarsi a vita eremitica nei dintorni del monastero di Crespin, insieme con un monaco di nome Giovanni che già, col consenso dell'abate, serviva Dio in quei luoghi deserti.
Dopo vent'anni di dure penitenze e rigorosi digiuni, Aiberto si recò col suo compagno di solitudine e con l'abate in pellegrinaggio a Roma. Al suo ritorno entrò come monaco nel cenobio di Crespin, dove occupò gli uffici di preposito e di cellerario, senza peraltro abbandonare il rigore della vita fino ad allora condotta. Rimase nel chiostro venticinque anni, quindi, per poter attendere più liberamente alla preghiera e alla mortificazione del proprio corpo, chiese ed ottenne dall'abate il permesso di ritirarsi nuovamente nell'eremo; e poiché il popolo accorreva sempre più numeroso alla cella, che Aiberto si era fabbricata, il vescovo di Cambrai, Burcardo, «Ut populis ad se venientibus melius consuleret, et familiarius secreta confessionum audiret», lo ordinò sacerdote.
Aiberto ebbe dai papi Pasquale II e Innocenzo II facoltà e privilegi speciali e fu visitato da vescovi, arcidiaconi, abati, letterati e nobili; il popolo gli strappava le vesti che indossava e le portava via come preziose reliquie. Morì il 7 aprile 1140, giorno di Pasqua, dopo cinquanta anni di vita religiosa, e fu sepolto nel punto dove sorgeva la sua cella; anche dalla tomba il santo continuò a far miracoli.
I suoi resti furono, in seguito, traslati nell'abbazia di Crespin e collocati nella chiesa; nel 1303 e ancora nel 1464 essi furono messi in nuove e più ricche urne. Nel 1568, dopo essere stati tenuti nascosti due anni per timore che venissero bruciati dai calvinisti, furono sistemati definitivamente in una cappella intitolata alla Santa Croce della Vergine e a sant'Aiberto. La sua festa si celebra il 9 aprile oppure, a ricordo della traslazione del 1568, il 2 maggio. Aiberto è invocato soprattutto per guarire dalla febbre.


Autore: Charles Lefebvre

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08/04/2015 08:05
 
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Beato Agostino Jeong Yak-jong Padre di famiglia, catechista e martire

8 aprile


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Gwangju, Corea del Sud, 1760 – Seul, 8 aprile 1801



Agostino Jeong Yak-jong venne a conoscenza del cattolicesimo due anni dopo la sua introduzione in Corea. Le prime persone che evangelizzò furono la sua seconda moglie Cecilia Yu So-sa, e i figli Carlo Jeong Cheol-sang, Paolo Jeong Ha-sang [Chong Hasang] ed Elisabetta Jeong Jeong-hye [Chong Chong-hye]. Appassionato della dottrina cristiana, la compendiò in un Catechismo in due volumi nella sua lingua natia. All’esplodere della persecuzione Shinyu (1801), finì subito sulla lista dei ricercati. Dopo aver patito numerose torture, venne decapitato presso la Piccola Porta Occidentale a Seul l’8 aprile 1801, a quarantuno anni. La moglie e i figli, non molto tempo dopo, subirono la sua stessa sorte. Agostino e il figlio Carlo sono stati inseriti nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung e beatificati da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud. Cecilia e gli altri due figli, invece, sono stati canonizzati il 6 maggio 1984 da san Giovanni Paolo II.








Agostino Jeong Yak-jong nacque nel 1760 a Majae, presso Gwangju, nel distretto del Gyeonggi (attualmente Neungnae-ri, Joan-myeon, Namyangju-si, Gyeonggi-do), in una famiglia di studiosi molto noti.
Nel 1786, due anni dopo l’introduzione del cattolicesimo in Corea, Agostino ne venne a conoscenza. Apprese il catechismo da suo fratello maggiore e, una volta che l’ebbe assimilato profondamente, ricevette il Battesimo. Da allora, si diede a insegnarlo anzitutto ai membri della sua famiglia: alla sua seconda moglie, Cecilia Yu So-sa, e ai figli, Carlo Jeong Cheol-sang (nato dalle sue prime nozze), Paolo Jeong Ha-sang [Chong Hasang] ed Elisabetta Jeong Jeong-hye [Chong Chong-hye].
Per praticare più tranquillamente la sua religione, Agostino si trasferì a Bunwon (attualmente Bunwon-ri, Namjong-myeon, Gwangju-si, Gyeonggi-do). A quell’epoca, i suoi fratelli iniziarono a distaccarsi gradualmente dalla Chiesa, ma lui s’impegnava ancora di più: aveva frequenti contatti coi fedeli dei villaggi vicini e li invitava a casa sua per apprendere il catechismo; inoltre, prendeva attivamente parte alle attività ecclesiali.
Quando, sul finire del 1794, arrivò clandestinamente in Corea padre Giacomo Zhou Wen-mo, missionario cinese, Agostino andò spesso a Seul per incontrarlo e ricevere i Sacramenti, dedicandosi ad aiutare lui e gli altri fedeli. Grazie alla sua padronanza della dottrina, scrisse «Jugyo-yoji», un Catechismo in lingua coreana, in due volumi, facilmente comprensibile a tutti. Con l’approvazione di padre Giacomo, quel testo ricevette larghissima diffusione tra i fedeli. Nel frattempo, il missionario aveva fondato il Myeongdohoe, una comunità di credenti, e nominò Agostino primo presidente. Insieme a Giovanni Choe Chang-hyeon, aiutò molti fedeli nello studio del catechismo, tra i quali Paolo Yi Guk-seung.
Nel 1800, all’inizio di una persecuzione nei dintorni della regione vicina, lui e i suoi familiari si trasferirono a Seul. Tuttavia, nell’anno successivo, con la persecuzione Shinyu, l’intera Chiesa cattolica di Corea fu a rischio. Il nome di Agostino finì subito sulla lista dei ricercati e i suoi libri consegnati all’ufficio del governo. La corte reale ordinò di arrestarlo immediatamente, cosa che avvenne l’11 febbraio 1801 del calendario lunare.
L’indomani, venne pesantemente interrogato e torturato, ma, determinato com’era a morire in nome di Dio, non cedette a nessuna tentazione. Non disse nulla di dannoso per la Chiesa o per i fedeli, bensì cercò di spiegare che la dottrina cattolica era esatta e veritiera: «Non c’è nulla di sbagliato nel venerare il Signore, ma è cosa buona e giusta. [...] Dio è il “nostro Grande Re e Grande Padre del cielo e della terra”. Se non comprendiamo il motivo per cui dobbiamo venerare Dio, siamo peccatori sotto il cielo e, benché siamo vivi, siamo morti».
I persecutori adoperarono tutti i mezzi possibili per farlo cedere, ma risultarono confusi dalla dottrina che predicava. Infine, la corte approvò la condanna a morte promulgata dal Ministero della Giustizia. Così, quindici giorni dopo il suo arresto, Agostino venne condotto presso la Piccola Porta Occidentale a Seul, per essere giustiziato.
Appena il carro che doveva condurlo al terreno di esecuzione fu pronto, vi salì sopra e gridò a voce alta, rivolto alla gente che si era radunata: «Fratelli e sorelle, non derideteci. Noi crediamo che morire per Dio sia naturale per tutte le persone che nascono al mondo. Nel giorno del giudizio finale, le nostre lacrime si muteranno in pura beatitudine e le vostre liete risate si trasformeranno in acerbi dolori».
Agostino, che aveva quarantuno anni, rese lo spirito dicendo: «Meglio morire guardando in alto verso il cielo che vivere guardando in basso sulla terra». Era l’8 aprile 1801 (26 febbraio secondo il calendario lunare).
I suoi familiari, dopo essere stati privati dei loro beni, incontrarono la sua medesima sorte: il figlio Carlo Jeong Cheol-sang, il 14 maggio 1801; la moglie Cecilia Yu So-sa, il 23 novembre 1839; gli altri due figli, Paolo Jeong Ha-sang ed Elisabetta Jeong Jeong-hye, rispettivamente il 22 settembre e il 29 dicembre 1839. Questi ultimi tre sono stati canonizzati il 6 maggio 1984 da san Giovanni Paolo II, inseriti nel primo grande gruppo dei martiri coreani.
Agostino Jeong Yak-jong e Carlo Jeong Cheol-sang, invece, sono stati inseriti nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung (del quale fanno parte anche i già menzionati padre Giacomo Zhou Wen-mo, Giovanni Choe Chang-hyeon e Paolo Yi Guk-seung) e beatificati da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.


Autore: Emilia Flocchini

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09/04/2015 08:35
 
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Sant' Acacio di Amida Vescovo

9 aprile


sec. V

Etimologia: Acacio = Acazio, Achazia


Martirologio Romano: A Diyarbakir in Mesopotamia, oggi in Turchia, sant’Acacio, vescovo, che, per riscattare dei Persiani fatti prigionieri e sottoposti a crudeli torture, persuase il clero e arrivò a vendere ai Romani anche i vasi sacri della Chiesa.








Nell'anno 419-20 Acacio, vescovo di Amida (località della Mesopotamia sulla riva sinistra dell'alto Tigri, attuale Diarbekir), fu scelto dall'imperatore Teodosio II come ambasciatore presso il re dei re, il sassanide Iezdgerd I (399-420). Ospite del re dei re a BethArdasir (residenza estiva dei sassanidi, mentre Ctesifonte era la residenza invernale) era anche il patriarca d'oriente Yahbalahã I, il quale, sollecitato da visite e da lettere di vescovi persiani che consigliavano l'approvazione in un sinodo dei decreti dei precedenti concili, decise di rendere letterale l'osservanza dei canoni di Seleucia (410) e di adottare i canoni di Nicea, Ancira, Neocesarea, Gangra, Antiochia e Laodicea. Yahbalahã I indisse, quindi, un sinodo nel 420 a Seleucia, di cui gli atti ci sono pervenuti. Secondo gli atti di Dadiso, l'intervento di Acacio fu necessitato da uno scisma che minacciava la priorità di Yahbalahã I e il suo cattolicato. Necessità che non traspare dagli atti del concilio, per quanto si possa facilmente inferire, essendo particolarmente ambigua in quel tempo la situazione della chiesa persiana sotto una dinastia votata al più rigido nazionalismo e alla restaurazione minuziosa delle tradizioni iraniche, ostile a qualunque influenza che provenisse dall'occidente.
Con l'apertura dell'ostilità tra Romani e Persiani (42l-22), Acacio ritornò ad Amida dove gli giungeva eco delle stragi e delle devastazioni compiute dai Romani in quella delle cinque province al di là del Tigri che andava sotto il nome di Arzanene. La miserabile condizione in cui versavano settemila Persiani deportati, che i Romani lasciavano morire di fame, lo mosse a pietà. Acacio radunò il clero della diocesi, spiegò che la magnificenza del Signore non poggia sulla suppellettile dei suoi templi e vendette i sacri vasi per sfamare la moltitudine e pagare ai Romani il riscatto. Convertiti i prigionieri dal madzeismo, che sotto i sassanidi era stato riconosciuto religione di stato, e impartito loro il battesimo li rimandò al re Baharam V (420-438), successore di Iezdgerd, che, stupito dalla singolarità del gesto, lo volle presso di sé per ringraziarlo. Di qui il probabile secondo viaggio di Acacio in Persia (422), di cui si servì l'imperatore Teodosio per i negoziati di pace. Alcuni autorevoli critici identificarono la missione di Acacio (419-420) con quella che Socrate (Historia ecclesiastica, VII, 21) aveva posto nel 422 sotto il regno di Baharam V; e questo arbitrariamente, perché Socrate, essendosi limitato a riferire l'invito del re dei re in seguito all'episodio dei settemila prigionieri, non escluse la possibilità di un precedente viaggio di Acacio in Persia. Del resto il suddetto episodio non avrebbe avuto motivo di essere prima del 420, anno dell'apertura delle ostilità.
Per porre nella luce che gli è propria lo stesso atto di Acacio, bisogna tener conto della commistione dei problemi politici e religiosi per cui il santo, conosciuta nel primo viaggio la reale situazione dei cristiani di Persia, per caldeggiare, poi, con una autorità la loro causa, poté oculatamente aver desiderato di ingraziarsi Baharam V. Il quale, però, secondo l'anonimo della passione di Péroz , durante la persecuzione da lui medesimo indetta, non esitò a distruggere una chiesa fondata da Acacio a Maskenã e ad incamerarne la splendida suppellettile nei magazzini reali.
Sembra che Acacio abbia composto lettere commentate di Mari di Beth Ardasir. Baronio affermò di aver letto il nome di Acacio nei menologi; i Bollandisti, invece, non ne trovarono alcuna traccia nei menologi e nei sinassari, e spiegarono quest'assenza come una tacita accusa di nestorianesimo, il movimento condannato nel 431 dal concilio di Efeso che i sassanidi tollerarono o persino protessero, soprattutto da quando (489) fu bandito come eretico dall'impero bizantino. Unica fonte di Baronio e di Cassiodoro è Socrate. Giovanni Molano, teologo di Lovanio, deriva la menzione di Acacio da Cassiodoro, come Canisio nel Martirologio germanico. Dal Martirologio germanico proviene la menzione del Martirologio Romano al 9 aprile che manca, come lo stesso nome di Acacio, nei più antichi martirologi. Fino al XVII secolo le reliquie di Acacio erano conservate nella chiesa di San Giacomo Maggiore a Bologna, ma non si poté mai accertare se appartenessero a lui o all'omonimo vescovo di Melitene.


Autore: Maria Vittoria Brandi

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10/04/2015 07:19
 
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Beato Antonio Neyrot da Rivoli Sacerdote domenicano, martire

10 aprile


Rivoli, Torino, 1423 c. - Tunisi, 1460

Nato a Rivoli (Torino) intorno al 1423, Antonio Neyrot entrò tra i Domenicani, ricevendo l'abito, nel convento di San Marco a Firenze, da sant'Antonino, il futuro arcivescovo della città. Si imbarcò per un pericoloso viaggio in Sicilia. La rotta era, infatti, battuta dai pirati: e se la prima volta gli andò bene, di ritorno dalla Sicilia per Napoli il nostro fu catturato. Era il 1458 e il religioso venne condotto come schiavo a Tunisi. Qui, sotto le pressioni dei saraceni, abiurò la fede e si sposò. Ma gli apparve in sogno Antonino, nel frattempo morto, che lo invitò a pentirsi. Nel Giovedì Santo del 1460 rimise l'abito e professò pubblicamente la sua fede davanti al sultano. Un gesto che gli costò la vita. In seguito il corpo fu acquistato da mercanti genovesi e, nel 1469, Amedeo di Savoia lo fece portare a Rivoli, dove riposa. (Avvenire)

Emblema: Palma


Martirologio Romano: A Tunisi sulla costa dell’Africa settentrionale, beato Antonio Neyrot, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori e martire, che, condotto con la forza in Africa dai pirati, rinnegò la fede, ma, con l’aiuto della grazia divina, il Giovedì Santo riprese pubblicamente l’abito religioso, espiando la precedente colpa con la lapidazione.








Per nascita è piemontese, ma non abbiamo notizie certe sulla sua origine. Incominciamo a conoscerlo quando chiede di essere accolto nel convento dei Domenicani a Firenze. Il convento è quello già appartenente ai Silvestrini, così chiamati da san Silvestro Guzzolini, che li fondò nel Duecento: ora è affidato ai Domenicani, che l’hanno fatto rimettere a nuovo con l’aiuto di Cosimo de’ Medici il Vecchio, che in Firenze è sovrano senza corona né trono né titoli. E proprio in quest’epoca lo sta affrescando frate Giovanni da Fiesole, che il mondo conoscerà come Beato Angelico. Priore di questa comunità è Antonino Pierozzi, che ha già guidato altre comunità a Cortona, Roma e a Napoli, e che sta per diventare arcivescovo di Firenze.
Il giovane Neyrot da Rivoli è uno degli ultimi giovani che Antonino ha potuto seguire prima di passare al governo della diocesi, chiamandolo via via agli ordini sacri, e sempre mettendolo in guardia contro la fretta: per riuscire buon domenicano, gli ripeteva, occorre molto studio, con molta preghiera e molta pazienza. Ma lui non conosce la pazienza. Sopporta male il lento apprendistato sui libri. Si considera già preparatissimo, vorrebbe andare subito in prima linea. Insiste con i superiori, chiede di essere mandato in Sicilia. Gli rispondono di no. Allora decide di appellarsi a Roma, e va a finire che ci riesce: per insistenza sua, per raccomandazioni autorevoli, chissà. In Sicilia ci arriva davvero, con tutti i permessi romani.
Nel 1458 – e ancora per ragioni che non si conoscono – si imbarca dalla Sicilia diretto a Napoli, secondo alcuni; oppure, secondo altri, verso l’Africa: un’ipotesi che sembrerebbe in linea con le sue note impazienze missionarie. Ma questa è anche una stagione di pirati, e in essi s’imbatte appunto la sua nave: così lui arriva davvero in Africa, ma come schiavo. Sbarca a Tunisi, che all’epoca è la fiorente capitale di un vasto stato berbero, creato dalla dinastia musulmana degli Almohadi, e dal XIII secolo sotto il governo degli emiri Hafsidi. Un solido stato autonomo, legato da intensi rapporti commerciali con i Paesi mediterranei.
Padre Neyrot è dunque arrivato – sia pure in maniera inaspettata – in Africa da rievangelizzare, alla terra dei suoi entusiasmi. Ma rapidamente essa diventala terra di tutti i fallimenti. Il predicatore impaziente dei tempi fiorentini tradisce i suoi voti, butta l’abito domenicano e rinnega la fede, prende moglie e si fa pubblicamente musulmano.
Intanto a Firenze, nel maggio 1459, muore il vescovo Antonino, il suo maestro poco ascoltato, e la notizia lo raggiunge a Tunisi. (Secondo un’altra versione, il vescovo gli sarebbe apparso in sogno dopo la morte). Di qui prende avvio per Antonio il cammino del ritorno, che è rapido e senza incertezze. Non solo egli ritrova dentro di sé la fede cristiana, ma subito la proclama pubblicamente davanti all’emiro e con addosso l’abito di domenicano. Questo comporta la condannaa morte, che viene eseguita a Tunisi mediante lapidazione. Questo accade, secondo il Martirologio romano, nella feria quinta in Coena Domini, ossia il Giovedì santo, nell’anno 1460.
Mercanti genovesi riportano in Italia il suo corpo, che nel 1464 raggiunge la cittadina nativa, Rivoli, dov’è tuttora custodito nella collegiata di Santa Maria della Stella. Clemente XIII ne ha approvato il culto come beato nel 1767.


Autore: Domenico Agasso

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11/04/2015 07:27
 
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Beato Angelo (Carletti) da Chivasso Sacerdote

11 aprile


Chivasso, Torino, 1411 circa – Cuneo, 11 aprile 1495

Antonio Carletti (così si chiamava prima di abbracciare la vita consacrata) nacque a Chivasso nel 1411 da un'antica e nobile famiglia. Dopo aver studiato a Bologna diritto canonico e civile esercitò la professione forense. A trentatré anni la svolta: morti i genitori, persone molto pie, rinunciò alla toga per consacrarsi a Dio. Dopo aver venduto i propri beni (distribuendo il ricavato tra il fratello e i poveri) entrò tra i francescani di Santa Maria del Monte a Genova, assumendo il nome di frate Angelo. L'attenzione per i poveri sarà il grande filo rosso della sua vita. A Genova e a Savona promosse la costituzione dei Monti di pietà per combattere il fenomeno dell'usura. Tra i francescani fu eletto Vicario generale degli Osservanti, il ramo fondato da san Bernardino da Siena. Numerosi gli incarichi delicati a lui affidati da papa Sisto IV, anche lui francescano, che aveva conosciuto Angelo da Chivasso a Genova. Fu autore anche di numerose opere tra cui la «Summa Angelica», un manuale di teologia morale che ebbe grande fortuna. Morì nel 1495 nel convento di Sant'Antonio a Cuneo. (Avvenire)

Patronato: Chivasso (TO)


Martirologio Romano: A Cuneo, beato Angelo (Antonio) Carletti da Chivasso, sacerdote dell’Ordine dei Minori, insigne per dottrina, prudenza e carità.







Nel 1411 a Chivasso, cittadina poco distante da Torino, nell’antica e nobile famiglia Carletti, nacque il nostro Beato a cui fu dato il nome di Antonio. Studiò a Bologna, uno dei centri culturali più importanti d’Europa, conseguendo la laurea in Diritto Canonico e Civile e in Teologia. La sua era una famiglia pia, tanto che anche un altro fratello diverrà sacerdote.
Tornato a Chivasso esercitò la professione forense e divenne membro della Corte di Giustizia. Erano gli anni dei fasti e dello splendore della dinastia dei Paleologi. Benché giovane, Antonio fu notato da Giangiacomo Paleologo che lo nominò Senatore e Consigliere del suo Marchesato. Il nostro beato dei Paleologi vedrà sia la fortuna che la caduta. La svolta della vita venne però all’età di trentatre anni: morti i genitori, rinunciò alla brillante professione e al matrimonio per consacrarsi a Dio. Sposò la povertà francescana prendendo il nome di Angelo. Vendette i propri beni, dividendo il ricavato tra il fratello e i poveri, e assegnò una casa paterna alla comunità per i pubblici consigli.
Entrò nel Convento di S. Maria del Monte a Genova, appartenente all’Osservanza di S. Bernardino da Siena che da poco era morto (un’unica Provincia univa Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta). Qui conobbe Francesco della Rovere (futuro Papa Sisto IV). Ebbe come primo e delicato incarico l’insegnamento della teologia ai novizi. Genova sarà per venti anni la sua residenza principale. Durante questo periodo promosse l’erezione in città e a Savona dei Monti di Pietà per combattere il drammatico problema dell’usura che era in mano a uomini potentissimi. L’attenzione per i poveri sarà costante per tutta la vita. A Savona fece anche costruire il Convento di S. Giacomo.
Dotto, umile, mansueto, paziente, dalle maniere cortesi, nel 1464 fu eletto Vicario Provinciale. Era il primo di numerosi incarichi: nel Capitolo di Mantova del 1467 venne nominato Commissario, insieme a Padre Pietro da Napoli, per la suddivisione della grande Provincia francescana di Germania (nacquero così quella di Boemia, di Polonia e d’Austria). Nel 1472 a L’Aquila ebbe, per la prima volta, l’incarico più importante: Vicario Generale degli Osservanti. In occasione di quel Capitolo, presenti duemila frati, si traslò il corpo di S. Bernardino dalla chiesa dei Conventuali a quella nuova a lui intitolata e il B. Angelo ebbe l’onore di collocarlo personalmente nella cassa. In questo triennio fondò i monasteri di Saluzzo, Mondovì e Pinerolo. Fu rieletto Vicario Generale a Pavia nel 1478. Tale carica significava viaggiare per l’Italia, spesso a piedi, per visitare i conventi, controllare l’osservanza della Regola ed eventualmente risolvere problemi e questioni.
Nel 1480 un gravissimo pericolo minacciò l’Italia. I Turchi conquistarono Otranto, dopo l'eroica resistenza degli abitanti che furono barbaramente trucidati (gli 800 superstiti piuttosto che abiurare la fede preferirono il martirio e sono oggi venerati come Beati). I musulmani volevano conquistare Roma e sottomettere tutta la cristianità. Sisto IV, che bene conosceva le doti dell’amico Angelo, lo nominò Nunzio e Commissario Pontificio per organizzare la difesa cristiana contro l’avanzata ottomana. Il B, Angelo visitò tutti i regnanti d’Italia manifestando la gravità della minaccia. La valorosa resistenza degli Otrantini (quindici giorni) che permise al Duca Alfonso d'Angiò di organizzare un esercito, la morte del sultano Maometto II, l’impegno e le preghiere del nostro Beato scongiurarono il pericolo.
Nonostante avesse chiesto di essere dispensato fu eletto nuovamente Vicario Generale nel 1484 alla Verna (presente anche il B. Bernardino da Feltre) e poi confermato a Urbino nel 1489 (era quasi ottantenne). Rinunciò più volte alla dignità vescovile, rimanendo per tutta la vita un semplice sacerdote. Accettò nel 1491, solo per obbedienza al nuovo Papa Innocenzo VIII, l’incarico di arginare, col Vescovo di Moriana, la diffusione della Riforma Valdese nel Ducato di Savoia. Ottenne numerose conversioni e un accordo pacifico tra Cattolici e Valdesi (1493). Al termine del suo ultimo Generalato le Province dell’Ordine erano venticinque, tutte esemplari per santità.
Fu un grande predicatore: i suoi quaresimali affollavano chiese e piazze. Predicò a Mantova, Genova, Cuneo, Susa, nel Monferrato e a Torino alla corte di Carlo I. Scrisse diverse opere, la più importante delle quali è la “Summa casuum conscientiae”, detta "Summa Angelica". La prima edizione fu del 1476. Divisa in 659 capi, in ordine alfabetico, tratta delle varie questioni di coscienza. Utilissima per i confessori è un vero e proprio dizionario di Teologia morale. Ebbe grande fortuna e diffusione. Come simbolo dell’ortodossia cattolica Lutero la bruciò nella pubblica piazza di Wittemberg il 10 dicembre 1520 insieme alla Bolla di Scomunica, al Codice di Diritto Canonico e alla Summa Teologica di S. Tommaso. Era già stata stampata trentun volte.
Fu guida spirituale di umili e di potenti: ricordiamo il Duca di Savoia Carlo I, S. Caterina di Genova (dal 1475) e la Beata Paola Gambara (che conobbe nel 1484). Quest’ultima, attratta dalla vita religiosa, si consigliò con lui prima di sposare il Conte Costa di Benevagienna. L’unione infelice, causa l’infedeltà e il carattere del consorte, fu però una scuola di santificazione. Iscritta al Terz’Ordine Francescano, il Beato Angelo le fu Padre Spirituale indicando il modo in cui trascorrere le giornate: alzarsi presto, recitare le preghiere e il Rosario, frequentare la S. Messa, attendere ai lavori domestici e alla carità verso i poveri senza trascurare le letture spirituali.
Carico d’anni, di fatiche e di meriti morì l’11 aprile 1495, povero e umile (per tutta la vita disdegnò gli onori), nel convento di S. Antonio di Cuneo, dove ottantenne si era ritirato. Negli ultimi anni aveva persino questuato per le strade della città.
Tra i primi miracolati ci furono il Conte Costa, consorte della B. Paola, e un facoltoso genovese. Questi offrì la prima arca solenne in cui fu riposto il corpo del Beato che, incorrotto e flessibile, emanava una soave fragranza. A metà del XVI secolo il convento di S. Antonio, per ampliare le mura cittadine, venne abbattuto e il corpo fu traslato solennemente nel Convento di S. Maria degli Angeli che sorgeva fuori città. Nel 1625 vennero istruiti i primi Processi per la beatificazione.
Le sacre reliquie furono sempre tenute in grande considerazione, venerate spesso anche dai Savoia. L’arca venne trasferita temporaneamente nella cappella dell’Ospizio cittadino dei Frati per essere maggiormente accessibile al popolo in occasione di calamità: la pestilenza del 1630 e un temuto assedio nel 1640. Nel 1681, con atto pubblico, fu proclamato dai Cuneesi loro Patrono. Nel 1691 e nel 1744 i Francesi cercarono di conquistare la città e la protezione del B. Angelo fu tangibile. Nel 1691 una bomba inesplosa, dopo aver forato il tetto della chiesa, si adagiò di fronte all’urna. Benedetto XIV confermò il culto nel 1753, fissando la memoria al 12 aprile. In tale occasione Carlo Emanuele III, Re di Sardegna, fece dono di una cassa d’argento e bronzo per custodire il corpo, visibile attraverso un lato di cristallo. Nel 1802, a causa della soppressione del convento per le leggi napoleoniche, l’arca fu portata in Cattedrale. Dopo venti anni tornerà definitivamente a S. Maria degli Angeli.
Nella natia Chivasso, alla fine d’agosto di ogni anno, il santo concittadino è festeggiato con un’antica fiera. Alla sua città era rimasto sempre affezionato: vi costruì il convento di S. Bernardino (distrutto dai francesi nel 1542) e vi fece stampare la sua Summa nel 1486 da Giacomino Suigo. La cugina Bartolomea Carletti si fece, dietro suo consiglio, terziaria francescana fondando nel 1505, pochi anni prima di morire santamente, un monastero di Clarisse.


Autore: Daniele Bolognini

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12/04/2015 09:02
 
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Sant' Alferio Abate

12 aprile


Salerno, 930 - 12 aprile 1050

Nato a Salerno nel 930 dalla nobile famiglia dei Pappacarbone, servì per lungo tempo Guaimaro, principe della sua città. Settantenne, nel 1002, era a capo di una legazione diretta in Francia al re Enrico II. Essendosi ammalato prima di valicare le Alpi, chiese ospitalità al monastero di San Michele della Chiusa e fece voto di farsi monaco se fosse guarito. Ristabilitosi, lasciò il mondo per rivestire l'abito benedettino, e seguì a Cluny sant'Odilone incontrato nel convento della Chiusa. Alcuni anni dopo, il principe di Salerno chiese all'abate di Cluny il suo antico ministro per impiegarlo nella riforma dei monasteri locali, ma, dopo un tentativo poco fruttuoso, Alferio si ritirò con due compagni nella «valle Metilia», presso Salerno (nell'attuale Cava dei Tirreni), per condurvi vita eremitica. In seguito vi costituì, dedicandolo alla Santissima Trinità, un monastero per dodici discepoli, destinato a diventare uno dei principali centri della riforma monastica. Fra i discepoli del santo dobbiamo ricordare san Leone di Lucca e il monaco Desiderio, che più tardi sarà papa Vittore III. Alferio morì nel 1050. (Avvenire)

Martirologio Romano: Nel monastero di Cava de’ Tirreni in Campania, sant’Alferio, fondatore e primo abate, che, dopo essere stato consigliere di Guaimario duca di Salerno, divenuto discepolo di sant’Odilone a Cluny, apprese in modo eccellente la disciplina della vita monastica.







Nato a Salerno nel 930 dalla nobile famiglia dei Pappacarbone, servì per lungo tempo Guaimaro, principe della sua città. Settantenne, nel 1002, era a capo di una legazione diretta in Francia al re Enrico II, per ottenerne la protezione sul suo signore e sul suo principato. Essendosi ammalato gravemente prima di valicare le Alpi, chiese ospitalità al monastero di S. Michele della Chiusa e, mentre i suoi compagni proseguirono il loro cammino, fece voto di farsi monaco se fosse guarito. Infatti, ristabilitosi, lasciò il mondo per rivestire l'abito benedettino, e seguì a Cluny s. Odilone incontrato nel convento della Chiusa.
Alcuni anni dopo, il principe di Salerno chiese al grande abate di Cluny il suo antico ministro per impiegarlo nella riforma dei monasteri del salernitano, ma, dopo un tentativo poco fruttuoso, Alferio si ritirò con due compagni nella Cavea metiliana o “valle Metilia”, presso Salerno (nell'attuale Cava dei Tirreni), per menarvi vita eremitica in preghiera e penitenza. In seguito vi costituì, dedicandolo alla S.ma Trinità, un monastero per dodici discepoli, destinato a diventare uno dei principali centri della riforma monastica. La comunità fu organizzata sul tipo di quella di Cluny e secondo il suo spirito. Fra i discepoli del santo dobbiamo ricordare il mercante di Lucca s. Leone e il monaco Desiderio, che più tardi salirà al trono pontificio col nome di Vittore III e tesserà l'elogio di Alferio nel terzo libro dei suoi Dialoghi. Il monastero godette della particolare benevolenza di Guaimaro, il quale con decreto del 1025 ne riconosceva l'esistenza, concedendo un largo tratto di terra intorno e piena libertà di governo, compresa quella di eleggere l'abate in seno alla comunità senza alcuna ingerenza di secolari.
Alferio morì nel 1050, il 12 aprile, giorno in cui è festeggiato, dopo aver designato Leone di Lucca suo successore e aver revocato la norma stabilita di non accogliere nel suo monastero più di dodici monaci.
I suoi undici immediati successori sono venerati con culto pubblico riconosciuto dalla Chiesa; come santi: Leone, Pietro e Constabile, insieme col santo fondatore Alferio, con decreto di Leone XIII del 1893 ; come beati: Simeone, Falcone, Marino, Benincasa, Pietro II, Balsamo, Leonardo e Leone II, con decreto di Pio XI del 1927.


Autore: Ildebrando Mannocci

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13/04/2015 07:12
 
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Sant' Albertino da Montone Abate

13 aprile


Montone, 1250 (?) - Fonte Avellana, 13 aprile 1294

Etimologia: Albertino = diminutivo di Alberto, illustrissimo, dall'antico germanico


Martirologio Romano: Nel monastero di Fonte Avellana nelle Marche, beato Albertino, eremita e priore di una comunità di eremiti, che preferì la solitudine agli onori e cercò di riconciliare città tra loro nemiche.







Nato a Montone nell'Umbria verso la metà del sec. XIII, si fece monaco nell'eremo di Fonte Avellana. Eletto Priore, quasi contemporaneamente fu scelto dai suoi monaci quale Priore Generale della Congregazione Avellanita che servì con saggezza e santità di vita.
Fu uomo di pace. Intere popolazioni e comuni in discordia ritrovarono la fratellanza per la sua paziente e generosa mediazione.
Eletto vescovo di Osimo, vi rinunciò per umiltà e amore per la solitudine.
Morì a Fonte Avellana il 13 aprile 1294 dove il suo sepolcro è meta continua di pellegrinaggi che ne invocano l'intercessione.


Autore: Elisabetta Nardi

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13/04/2015 07:12
 
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Sant' Albertino da Montone Abate

13 aprile


Montone, 1250 (?) - Fonte Avellana, 13 aprile 1294

Etimologia: Albertino = diminutivo di Alberto, illustrissimo, dall'antico germanico


Martirologio Romano: Nel monastero di Fonte Avellana nelle Marche, beato Albertino, eremita e priore di una comunità di eremiti, che preferì la solitudine agli onori e cercò di riconciliare città tra loro nemiche.







Nato a Montone nell'Umbria verso la metà del sec. XIII, si fece monaco nell'eremo di Fonte Avellana. Eletto Priore, quasi contemporaneamente fu scelto dai suoi monaci quale Priore Generale della Congregazione Avellanita che servì con saggezza e santità di vita.
Fu uomo di pace. Intere popolazioni e comuni in discordia ritrovarono la fratellanza per la sua paziente e generosa mediazione.
Eletto vescovo di Osimo, vi rinunciò per umiltà e amore per la solitudine.
Morì a Fonte Avellana il 13 aprile 1294 dove il suo sepolcro è meta continua di pellegrinaggi che ne invocano l'intercessione.


Autore: Elisabetta Nardi

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POTRESTE AVERE DIECIMILA MAESTRI IN CRISTO, MA NON CERTO MOLTI PADRI, PERCHE' SONO IO CHE VI HO GENERATO IN CRISTO GESU', MEDIANTE IL VANGELO. (1Cor. 4,15 .
 
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