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CREDENTI DA IMITARE (Eb.13,7)

Ultimo Aggiornamento: 18/05/2019 13:12
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13/08/2015 07:39
 
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Sant' Ippolito Sacerdote e martire

13 agosto - Memoria Facoltativa


m. 235

Nel 230, durante l'impero di Alessandro Severo, la cui tolleranza in fatto di religione permise alla Chiesa di riorganizzarsi, venne eletto Papa Ponziano. Ma proprio in questa parentesi di pace avvenne nella Chiesa di Roma la prima funesta scissione che contrappose al legittimo pontefice un antipapa, nella persona di quell' Ippolito, restituito da un provvidenziale martirio all'unità e alla santità. Ippolito, sacerdote, colto e austero, era giunto ad accusare di eresia lo stesso pontefice San Zefirino e il diacono Callisto, e quando quest'ultimo fu eletto papa nel 217, si ribellò, accettando di essere lui stesso invalidamente eletto dai suoi partigiani. Si mantenne nello scisma anche durante il pontificato di San Urbano I e di San Ponziano. Intanto l'imperatore Alessandro Severo veniva ucciso in Germania. Gli subentrava il trace Massimino, più duro nei confronti dei cristiani. Trovandosi di fronte a una Chiesa con due capi, spedì entrambi ai lavori forzati in una miniera della Sardegna. Ponziano rinunciò al pontificato. A succedergli fu Antero, che governò la Chiesa solo per 40 giorni. Ippolito morì nel 235. (Avvenire)

Patronato: Cavalli


Etimologia: Ippolito = che scioglie i cavalli, dal greco


Emblema: Palma


Martirologio Romano: Santi martiri Ponziano, papa, e Ippolito, sacerdote, che furono deportati insieme in Sardegna, dove entrambi scontarono una comune condanna e furono cinti, come pare, da un’unica corona. I loro corpi, infine, furono sepolti a Roma, il primo nel cimitero di Callisto, il secondo nel cimitero sulla via Tiburtina.



Ascolta da RadioVaticana:
Ascolta da RadioRai:
Ascolta da RadioMaria:




Ponziano, dell'antica e nobile famiglia dei Calpurni, venne eletto papa nel 230, durante l'impero del mite e saggio Alessandro Severo, la cui tolleranza in fatto di religione permise alla Chiesa di riorganizzarsi. Ma proprio in questa parentesi di pace avvenne nella Chiesa di Roma la prima funesta scissione che contrappose al legittimo pontefice un antipapa, nella persona di quell'Ippolito, restituito da un provvidenziale martirio all'unità e alla santità. Ippolito, sacerdote, colto e austero, poco incline all'indulgenza e timoroso che in ogni riforma si celasse l'errore, era giunto ad accusare di eresia lo stesso pontefice S. Zefirino e il diacono Callisto, e quando quest'ultimo fu eletto papa nel 217, si ribellò, accettando di essere lui stesso invalidamente eletto dai suoi partigiani.
Si mantenne nello scisma anche durante il pontificato di S. Urbano I e di S. Ponziano. Intanto l'imperatore Alessandro Severo veniva ucciso in Germania dai suoi legionari e gli subentrava il trace Massimino, che rispolverò gli antichi editti persecutori nei confronti dei cristiani. Trovandosi di fronte a una Chiesa con due capi, senza pensarci su spedì entrambi ai lavori forzati in una miniera della Sardegna. Ponziano è il primo papa deportato. Era un fatto nuovo che si verificava nella Chiesa e Ponziano seppe risolverlo con saggezza e umiltà: perché i cristiani non fossero privati del loro pastore rinunciò al pontificato, e anche questa spontanea rinuncia è un fatto nuovo.
A succedergli fu il greco Antero, che governò la Chiesa per quaranta giorni soltanto. Il gesto generoso di Ponziano deve aver commosso l'intransigente Ippolito che morì infatti riconciliato con la Chiesa nel 235. Secondo un'epigrafe dettata da papa Damaso, Ippolito, pur essendosi ostinato nello scisma per un malinteso zelo, nell'ora della prova "al tempo in cui la spada dilaniava le viscere della madre Chiesa, mentre fedele a Cristo camminava verso il regno dei santi", ai seguaci che gli domandavano quale pastore seguire indicò il legittimo papa come unica guida e "per questa professione di fede meritò d'essere nostro martire". D'altronde studi recenti porterebbero a distinguere tre diversi personaggi: un Ippolito vescovo e scrittore, un Ippolito martire romano e un terzo, autore di saggi filosofici, da identificarsi con l'antipapa contrapposto a Callisto e a Ponziano. I corpi dei due martiri, trasportati a Roma con grande onore vennero sepolti, Ippolito lungo la via Tiburtina e Ponziano nelle catacombe di S. Callisto.


Autore: Piero Bargellini

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14/08/2015 08:15
 
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Sant' Arnolfo di Soissons Vescovo

14 agosto


Fiandre, 1040 circa – Oudenbourg, Fiandre, 1087

Abbandonata la carriera militare si fece monaco e fu eletto vescovo di Soissons, in Francia.

Patronato: Produttori di birra e birrai


Etimologia: Arnolfo = forte e astuto, dal tedesco


Emblema: Bastone pastorale, Mitra


Martirologio Romano: Ad Altenburg nelle Fiandre, ora in Germania, transito di sant’Arnolfo, vescovo di Soissons, che da soldato si fece monaco e, eletto poi vescovo, si adoperò per la pace e la concordia, morendo, infine, nel monastero da lui stesso fondato.







Sant’Arnolfo (in francese Arnoul) nacque verso il 1040 nelle Fiandre. Sin dalla giovane età intraprese la carriera militare nell’esercito di Roberto ed Enrico I di Francia, ma in seguito decise di entrare nel monastero di San Medardo presso Soissons, scegliendo di diventare eremita e conducendo una vita improntata ad una severa penitenza e preghiera in una cella alquanto angusta, da cui i rapporti con l’esterno erano limitatissimi.
Nel 1081 un sinodo straordinario lo elesse vescovo della città, su richiesta del clero diocesano e, a quanto pare, della stessa popolazione. Non appena gli comunicarono l’avvenuta elezione, egli replicò: “Lasciate che questo peccatore possa offrire alcuni frutti di penitenza a Dio. Non obbligate uno stolto come me a fare qualcosa che necessita quanta più saggezza possibile”.
Contro la sua volontà fu costretto ad accettare, ma divenne comunque un vescovo molto attivo. Un usurpatore prese però illegittimamente il suo posto per ragioni sconosciute ed egli, anziché ribellarsi, chiese umilmente il permesso di dimettersi dall’incarico che aveva ormai perso.
Fondò in seguito un monastero presso Oudenbourg, nelle Fiandre, ove infine morì nel 1087. Si narra che in un concilio tenutosi a Beauvais nel 1120 l’allora vescovo di Soissons presentò all’assemblea una “Vita” del suo predecessore e chiese il consenso per trasferire in chiesa i suoi resti, sostenendo che, se essi si fossero trovati nel territorio della sua diocesi, già da tempo avrebbero abbandonato il cimitero. L’anno seguente, come richiesto, le reliquie di Arnolfo furono traslate nella chiesa abbaziale di Oudenbourg, atto a quel tempo corrispondente ad un’odierna canonizzazione.
Il santo è popolarmente considerato quale speciale protettore dei produttori di birra e dei birrai.


Autore: Fabio Arduino

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15/08/2015 07:40
 
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Beato Aimone Taparelli Sacerdote domenicano

15 agosto


Savigliano, Cuneo, 1398 - 1495



Nel giorno della solennità dell'Assunzione della beata Vergine Maria, la Chiesa ricorda, tra gli altri, anche il beato Aimone Taparelli. Taparelli, dei conti di Lagnasco, nacque a Savigliano, in Piemonte, nel 1398. Entrò nell'ordine dei Predicatori all'età di 50 anni, dopo la morte della moglie e dei figli. Fu docente all'Università di Torino, confessore di Amedeo IX duca di Savoia, inquisitore per la Lombardia superiore e la Liguria, priore del convento di Savigliano e vicario provinciale dell'ordine. Morì nel 1495 nel giorno dell'Assunta, come lui stesso aveva predetto. Dai primi dell'Ottocento i suoi resti riposano nella chiesa di San Domenico a Torino. Pio IX ne ha approvato il culto nel 1856. (Avvenire)

Etimologia: Aimone = difende la casa con la spada, dal sassone


Martirologio Romano: A Savigliano in Piemonte, beato Aimone Taparelli, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, instancabile difensore della verità.








I Tapparelli, una delle famiglie più antiche di Savigliano, vantarono nei secoli ecclesiastici illustri. Nel secolo XVI il vescovo Gianmaria, nel secolo XVII un gesuita, Cesare Michele, che visse e morì santamente in America. Fra tutti spicca Aimone che nacque nel 1398, nel ramo dei Conti di Lagnasco. La sua lunga vita si sarebbe divisa esattamente a metà: a cinquant’anni la morte seminò il lutto nella sua casa e, vedovo, pianse anche la morte dei figli. Una fede profonda gli fu di conforto tanto che decise di abbracciare la vita religiosa entrando nell’Ordine dei Predicatori. Aveva già una formazione umanistica, si licenziò quindi in Teologia e in Sacra Scrittura. Fin dai primi anni s’impegnò in un intenso apostolato: fu degno figlio di san Domenico, per l’efficacia del sermoneggiare e per l’austerità della vita. Quando la chiara fama delle sue virtù arrivò alla corte sabauda, il Duca B. Amedeo IX lo volle suo predicatore e per un certo periodo confessore. Fu quindi nominato professore all’Università di Torino (lettore in Teologia). Tornò a Savigliano quando fu trucidato dagli eretici il B. Bartolomeo Cerveri (1466), succedendogli l’anno seguente nell’ufficio di inquisitore con patente del padre Antonio Ferreri inquisitore generale. Padre Aimone svolse il suo delicato ministero sul Marchesato di Saluzzo, le diocesi di Alba e Mondovì, Cherasco, Savigliano, la Liguria superiore e parte della Lombardia. Fu infaticabile nel preservare la fede cattolica, fortificato dall’esempio dei confratelli che per svolgere tale missione subirono il martirio. Nel caso del B. Antonio Pavoni dovette personalmente provvedere alla sua onorevole sepoltura.

Come difese i valori del cattolicesimo, pari fu il suo zelo nel ricondurre e confermare la disciplina in seno all’Ordine, tanto da essere ricordato tra i più ardenti riformatori del XV secolo. Amava però anche la solitudine e quando poteva si ritirava in un piccolo eremo a Verzuolo, dov’era una cappella dedicata a santa Cristina (a 860 metri di altitudine, a 5 chilometri da Saluzzo). Aimone compose vari scritti a carattere religioso e promosse il culto alla Madonna, verso cui nutrì sempre profonda devozione. Fu più volte Priore del Convento di Savigliano e Vicario Provinciale. Nel 1475 accolse nell’Ordine Peronino Sereno (m. 1524), futuro celebre cronista saluzzese e domenicano.

Quasi centenario, nel 1495, Aimone predisse la sua morte. Una pia leggenda narra che gli angeli lo avvisarono che sarebbe avvenuta per la solennità della gloriosa Assunzione della Vergine. A letto, recitando l’Ufficio, strinse al cuore il Crocifisso e, ricevuti i sacramenti, spirò pronunciando “Servire Deo regnare est”. I frati in coro leggevano l’introito della messa solenne. Con stento gli tolsero dalle mani il crocifisso mentre già una folla si era radunata presso il convento. Fu sepolto nel coro, in un sepolcro nuovo, dove i fedeli, che presto vollero sue reliquie, potevano recarsi a pregare. Alcuni portarono tavolette di cera quali ex voto. Di due miracoli straordinari è rimasta memoria: la guarigione da cancro alla mamella di una donna e il concepimento di un bambino, in tarda età, di una coppia creduta sterile. Erano della Casata dei Genola e il neonato, cui fu dato il nome Aimone, diverrà un illustre studioso. Fin dalle prime raffigurazioni Aimone Taparelli venne effigiato con i raggi da beato. Al principio del XIX° secolo i suoi resti furono portati a San Domenico di Torino. Il beato Pio IX, il 29 maggio 1856, ne approvò il culto fissandone la memoria al 17 agosto.


Autore: Daniele Bolognini

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16/08/2015 07:10
 
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San Rocco Pellegrino e Taumaturgo

16 agosto


Montpellier (Francia), secolo XIV - 16 agosto di anno imprecisato



Le fonti su di lui sono poco precise e rese più oscure dalla leggenda. In pellegrinaggio diretto a Roma dopo aver donato tutti sui beni ai poveri, si sarebbe fermato a ad Acquapendente, dedicandosi all'assistenza degli ammalati di peste e facendo guarigioni miracolose che diffusero la sua fama. Peregrinando per l'Italia centrale si dedicò ad opere di carità e di assistenza promuovendo continue conversione. Sarebbe morto in prigione, dopo essere stato arrestato presso Angera da alcuni soldati perché sospettato di spionaggio. Invocato nelle campagne contro le malattie del bestiame e le catastrofi naturali, il suo culto si diffuse straordinariamente nell'Italia del Nord, legato in particolare al suo ruolo di protettore contro la peste.

Patronato: Malati infettivi, Invalidi, Prigionieri


Etimologia: Rocco = grande e forte, o di alta statura, dal tedesco


Emblema: Cane, Croce sul lato del cuore, Angelo, Simboli del pellegrino


Martirologio Romano: In Lombardia, san Rocco, che, originario di Montpellier in Francia, acquistò fama di santità con il suo pio peregrinare per l’Italia curando gli appestati.



Ascolta da RadioVaticana:
Ascolta da RadioRai:
Ascolta da RadioMaria:





Nonostante la grande popolarità di San Rocco, le notizie sulla sua vita sono molto frammentarie per poter comporre una biografia in piena regola, comunque è possibile, grazie ai molti studi fatti, tracciare a grandi linee un profilo del nostro Santo, elaborando una serie di notizie essenziali sulla sua breve esistenza terrena. Tra le varie “correzioni” che sono state proposte alle date tradizionali (1295-1327), si è gradatamente imposta quella che oggi sembra la più consolidata: il Santo è nato a Montpellier fra il 1345 e il 1350 ed è morto a Voghera fra il 1376 ed il 1379 molto giovane a non più di trentadue anni di età. Secondo tutte le biografie i genitori Jean e Libère De La Croix erano una coppia di esemplari virtù cristiane, ricchi e benestanti ma dediti ad opere di carità. Rattristati dalla mancanza di un figlio rivolsero continue preghiere alla Vergine Maria dell’antica Chiesa di Notre-Dame des Tables fino ad ottenere la grazia richiesta. Secondo la pia devozione il neonato, a cui fu dato il nome di Rocco (da Rog o Rotch), nacque con una croce vermiglia impressa sul petto. Intorno ai vent’anni di età perse entrambi i genitori e decise di seguire Cristo fino in fondo: vendette tutti i suoi beni, si affiliò al Terz’ordine francescano e, indossato l’abito del pellegrino, fece voto di recarsi a Roma a pregare sulla tomba degli apostoli Pietro e Paolo. Bastone, mantello, cappello, borraccia e conchiglia sono i suoi ornamenti; la preghiera e la carità la sua forza; Gesù Cristo il suo gaudio e la sua santità. Non è possibile ricostruire il percorso prescelto per arrivare dalla Francia nel nostro Paese: forse attraverso le Alpi per poi dirigersi verso l’Emilia e l’Umbria, o lungo la Costa Azzurra per scendere dalla Liguria il litorale tirrenico. Certo è che nel luglio 1367 era ad Acquapendente, una cittadina in provincia di Viterbo, dove ignorando i consigli della gente in fuga per la peste, il nostro Santo chiese di prestare servizio nel locale ospedale mettendosi al servizio di tutti. Tracciando il segno di croce sui malati, invocando la Trinità di Dio per la guarigione degli appestati, San Rocco diventò lo strumento di Dio per operare miracolose guarigioni. Ad Acquapendente San Rocco si fermò per circa tre mesi fino al diradarsi dell’epidemia, per poi dirigersi verso l’Emilia Romagna dove il morbo infuriava con maggiore violenza, al fine di poter prestare il proprio soccorso alle sventurate vittime della peste.
L’arrivo a Roma è databile fra il 1367 e l’inizio del 1368, quando Papa Urbano V è da poco ritornato da Avignone. E’ del tutto probabile che il nostro Santo si sia recato all’ospedale del Santo Spirito, ed è qui che sarebbe avvenuto il più famoso miracolo di San Rocco: la guarigione di un cardinale, liberato dalla peste dopo aver tracciato sulla sua fronte il segno di Croce. Fu proprio questo cardinale a presentare San Rocco al pontefice: l’incontro con il Papa fu il momento culminante del soggiorno romano di San Rocco. La partenza da Roma avvenne tra il 1370 ed il 1371. Varie tradizioni segnalano la presenza del Santo a Rimini, Forlì, Cesena, Parma, Bologna. Certo è che nel luglio 1371 è a Piacenza presso l’ospedale di Nostra Signora di Betlemme. Qui proseguì la sua opera di conforto e di assistenza ai malati, finché scoprì di essere stato colpito dalla peste. Di sua iniziativa o forse scacciato dalla gente si allontana dalla città e si rifugia in un bosco vicino Sarmato, in una capanna vicino al fiume Trebbia. Qui un cane lo trova e lo salva dalla morte per fame portandogli ogni giorno un tozzo di pane, finché il suo ricco padrone seguendolo scopre il rifugio del Santo. Il Dio potente e misericordioso non permette che il giovane pellegrino morisse di peste perché doveva curare e lenire le sofferenze del suo popolo. Intanto in tutti i posti dove Rocco era passato e aveva guarito col segno di croce, il suo nome diventava famoso. Tutti raccontano del giovane pellegrino che porta la carità di Cristo e la potenza miracolosa di Dio. Dopo la guarigione San Rocco riprende il viaggio per tornare in patria. Le antiche ipotesi che riguardano gli ultimi anni della vita del Santo non sono verificabili. La leggenda ritiene che San Rocco sia morto a Montpellier, dove era ritornato o ad Angera sul Lago Maggiore. E’ invece certo che si sia trovato, sulla via del ritorno a casa, implicato nelle complicate vicende politiche del tempo: San Rocco è arrestato come persona sospetta e condotto a Voghera davanti al governatore. Interrogato, per adempiere il voto non volle rivelare il suo nome dicendo solo di essere “un umile servitore di Gesù Cristo”. Gettato in prigione, vi trascorse cinque anni, vivendo questa nuova dura prova come un “purgatorio” per l’espiazione dei peccati. Quando la morte era ormai vicina, chiese al carceriere di condurgli un sacerdote; si verificarono allora alcuni eventi prodigiosi, che indussero i presenti ad avvisare il Governatore. Le voci si sparsero in fretta, ma quando la porta della cella venne riaperta, San Rocco era già morto: era il 16 agosto di un anno compreso tra il 1376 ed il 1379.
Prima di spirare, il Santo aveva ottenuto da Dio il dono di diventare l’intercessore di tutti i malati di peste che avessero invocato il suo nome, nome che venne scoperto dall’anziana madre del Governatore o dalla sua nutrice, che dal particolare della croce vermiglia sul petto, riconobbe in lui il Rocco di Montpellier. San Rocco fu sepolto con tutti gli onori.
Sulla sua tomba a Voghera cominciò subito a fiorire il culto al giovane Rocco, pellegrino di Montpellier, amico degli ultimi, degli appestati e dei poveri.
Il Concilio di Costanza nel 1414 lo invocò santo per la liberazione dall'epidemia di peste ivi propagatasi durante i lavori conciliari.
Dal 1999 è attiva presso la Chiesa di San Rocco in Roma, dove per volontà di Papa Clemente VIII dal 1575 è custodita una Insigne Reliquia del Braccio destro di San Rocco, l’Associazione Europea Amici di San Rocco, con lo scopo di diffondere il culto e la devozione verso il Santo della carità attraverso l’esempio concreto di amore verso i malati ed i bisognosi.
Oltre a quello romano, altri centri rocchiani sono:
- l'Arciconfraternita Scuola Grande di Venezia, che ne custodisce il corpo
- il santuario di San Rocco della sua città natale di Montpellier
- l'Association Internationale che ha sede sempre in Montpellier e che aggrega e collega le diverse associazioni nazionali
- l'Associazione Nazionale San Rocco Italia che ha sede a Sarmato (PC), dove avvenne l'incontro col cane
- il Comitato Internazionale Studi Rocchiani che ha sede in Voghera (PV), località da cui prese avvio il culto.


Autore: Mons. Filippo Tucci, primicerio Chiesa San Rocco - Roma

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17/08/2015 07:19
 
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Beato Alberto da Chiatina Sacerdote

17 agosto


† 1202

Etimologia: Alberto = di illustre nobiltà, dal tedesco


Martirologio Romano: A Colle di Val d’Elsa vicino a Siena, beato Alberto, sacerdote, che offrì al popolo un insigne esempio di virtù.







L’arciprete della pieve di Colle nacque a Chiatina nel 1135, uno dei tanti castelli medievali che sorgeva nelle Crete Senesi, nella giurisdizione ecclesiastica del Vescovado d’Arezzo; oggi al suo posto sorge una villa padronale e rientra nel territorio dell’Abbazia di Monteoliveto Maggiore. Ignoti rimangono i nomi dei genitori che, secondo le agiografie, appartenevano alla piccola nobiltà del luogo.
Fin da subito, Alberto mostrò un’indole buona ed un certo ingegno tanto che i genitori pensarono bene indirizzarlo non alle imprese cavalleresche proprie del suo tempo e del suo rango, ma agli studi ed al ministero sacerdotale, che più gli si confacevano. Durante gli anni di studio, egli si rese conto che l’istruzione intellettuale disunita dalla pratica della virtù non lo avrebbe condotto a nulla di buono e così iniziò a trascorrere molte ore, anche di notte, nella meditazione e nella preghiera.
All’età di ventotto anni, venne ordinato sacerdote e gli fu affidata la pieve di S. Maria in Pava, poco lontana da Chiatina. Qui, la sollecitudine nell’adempiere al ministero sacerdotale procurò ad Alberto l’affetto e la venerazione di tutto il suo popolo, ma anche la manifesta ostilità del signorotto locale, cosicché, trovandosi ostacolato e vedendo che la propria fermezza diveniva anche pericolosa ai suoi popolani, rinunciò alla pieve e si trasferì in Siena, dove, per la fama di santità che lo aveva preceduto, gli fu affidata la chiesa di S. Andrea dentro le mura urbane (1175).
A due anni di distanza, nel 1177, il papa Alessandro III, senese, che probabilmente aveva posto lo sguardo su Alberto, lo nominò arciprete della pieve ad Elsa, posta lungo la Via Francigena, appena fuori dal borgo di Gracciano. Si trattava di una nomina importante: l’Arcipretura era, infatti, da tempo immemorabile nullius Dioecesis, ovvero, pur rientrando formalmente nel territorio diocesano di Volterra, dipendeva direttamente dal Sommo Pontefice. Eletto dai chierici del capitolo con l’approvazione della Santa Sede e senza l’intervento del vescovo di Volterra, l’arciprete giurava fedeltà soltanto alla Chiesa Romana ed, entro i ristretti confini della Plebania, esercitava una giurisdizione quasi vescovile: aveva l’autorità di consacrare chiese e cappelle, di spedire bolle per le parrocchie, promulgare editti e fulminare scomuniche, di far lettere dimissorie per tutti gli ordini sacri e dispense per gli impedimenti matrimoniali, nonché di usare il pastorale nelle celebrazioni delle Messe e dei vespri solenni.
Il suo infaticabile apostolato a Gracciano non poté durare che soli quattro o cinque anni, dopo i quali, Alberto si coprì di piaghe e rimase infermo fino alla morte: tra la pelle e le ossa era pieno di putredine maleodorante, che usciva in gran quantità, particolarmente d’estate; gli rimase libera solamente la testa, sicché continuò ad esercitare il ministero sacerdotale dal proprio letto. Non si udì mai un lamento, anzi egli affermava che questo supplizio era dovuto ai suoi peccati. Per questi fatti, sin dalle più antiche agiografie, viene chiamato “il Santo Giobbe della Toscana”.
La fama di quel lungo ed eroico martirio, tanto serenamente sofferto, si diffuse anche oltre la Toscana, tanto che alcuni cardinali della Curia Romana, vescovi, abati ed altri illustri personaggi si fermavano a Colle, sia per ammirare la celebrata virtù dell’arciprete sia per chiedere l’intercessione della sua preghiera.
Intanto, gli anni trascorrevano senza che la malattia accennasse a scomparire. Nel 1185, avendo raggiunta l’età di cinquanta anni, S. Alberto presentò al papa una supplica per essere esonerato dalla dignità arcipretale e sostituito nella cura delle anime. Dopo un primo rifiuto, la supplica fu accolta, sembra nel 1191. Due successori lo videro ancora sofferente.
In quegli stessi anni, teatro di guerre tra opposte fazioni politiche ed opposte città, Gracciano era fatto oggetto di ripetuti attacchi da parte delle milizie senesi. Con il probabile intento di riparare in luogo più sicuro, l’arciprete Alberto spostò la sede plebana da Elsa alla chiesa del SS. Salvatore, posta nel castello di Colle e futura cattedrale. Contemporaneamente gran parte della popolazione abbandonò l’antichissimo insediamento e seguì l’arciprete per unirsi alla popolazione colà residente ed organizzarsi in libero Comune (1195). Gracciano, invece, nella prima metà del Duecento venne raso al suolo dai senesi, i quali rispettarono unicamente la chiesa. Si può, pertanto, osservare che l’unione del popolo nel nascente Comune di Colle di Val d’Elsa ha coinciso con la lungimirante azione del santo arciprete Alberto e non sorprende che, per molti secoli dopo la sua morte, il Comune riconoscente gli tributasse onori e festeggiamenti solennissimi.
Liberato del peso e della responsabilità dell’arcipretura, negli undici anni che seguirono all’accettazione delle dimissioni, il Santo volle dedicare tutto il suo tempo all’orazione, alla meditazione ed all’offerta delle proprie sofferenze. La pietà di S. Alberto si esprimeva, in un modo tutto particolare, nei confronti della preziosa reliquia del S. Chiodo, che si reputava indegno di toccare se non attraverso un paio di guanti, i quali si conservano ancora intatti. Nell’iconografia, infatti, egli è rappresentato o nell’atto di venerare il S. Chiodo o con la stampella, segno questa del suo lento e doloroso martirio.
Dopo venticinque anni di sofferenze continue, all’età di sessantasette anni, S. Alberto da Chiatina morì: era il 17 agosto 1202. Subito i presenti furono testimoni di un singolare miracolo: il corpo del Santo, fino ad allora ricoperto di piaghe maleodoranti, apparve agli occhi di tutti integro e sano in ogni sua parte.
Episodi miracolosi o almeno singolari si verificarono anche presso il suo catafalco funebre. Portato il corpo venerando nella pieve del SS. Salvatore ed esposto alla pietà dei fedeli, la chiesa divenne meta di folle devote che si susseguirono a lungo, chiedendo l’intercessione del Servo di Dio e cercando di tagliuzzarne le vesti sacre. Numerosissime furono le grazie, tra le quali si leggono nelle antiche storie le seguenti:
“Una fanciulla detta Buonasera, e con essa lei un altro Atratto furono portati al suo Feretro, et ambedue, hebber quanto desiderarono. Matteo da Sovicille stato 14 anni sordo, udì come prima. Un studente da S. Cerbonio ricuperò un de’Lati, che havea perduto. Lucia, stata otto anni ossessa dal Demonio, fu la prima, non già l’ultima ad esser liberata. Un putto di Riccardino da Colle gravemente infermo, portato alla sua Sepoltura, fuggì da Quello l’Infermità, e la Morte. Gibaldo da Silano, fù consolato havendo menato al Sepolcro del Santo un figlio, et una sua figlia, i quali stracciavano, e rompevano quanto potevano haver nelle mani. Tre Prigioni di Massa con altri furono liberi, portando al Deposito del Santo, i lacci, e le catene. Belcolore, hebbe grazia ancor lei adoprar’non che distender la Mano, Attratta. Un Giovanetto da Travale scherzando con un Coltello in mano, se lo ficcò in uno degli Occhi: la povera Madre lo raccomandò al Santo, e doppo essersi riposato alquanto, si levò di letto, come se mai havesse havuto male alcuno. E Gisia Fanciullina di tre anni di Berlinghieri da Elci scherzando con sue pari, cadde in un Pozzo senza sponde, di altezza di 60 braccia: quando la desideravano, per darle Sepoltura, la cavarono viva, e per più stupore, i suoi panni non erano punto bagnati. A questo vi fu presente L’Arciprete con tutto il Clero per vedere sì gran maraviglia”.
Finalmente fu possibile dare sepoltura a quelle spoglie venerate nella chiesa, sulla quale, più tardi, fu eretta la cattedrale. La testa, invece, fin da subito venne conservata in un reliquiario. Nel 1618 il corpo, del quale si era persa l’esatta ubicazione, venne ritrovato inserito dentro l’altare della vecchia cappella del S. Chiodo, sotto la pietra della mensa. Il 1° luglio 1620 la reliquia del S. Chiodo, quelle di S. Alberto e tutte le altre furono trasportate con solenne funzione nella nuova cattedrale e poste in adatti tabernacoli entro la cappella che appunto dal S. Chiodo ebbe nome.
In seguito le reliquie di S. Alberto, forse a causa dei nuovi lavori che furono fatti, vennero trasportate nella Sacrestia Capitolare, finché nel 1890 fu eretta la cappella di S. Alberto in quella già sotto il titolo di S. Gregorio Magno (n. X), dove, entro un’urna, riposa il corpo del santo arciprete, che con cura e secondo le leggi canoniche è stato ricomposto e vestito degli abiti sacerdotali, propri della sua dignità ecclesiastica.
Oltre che un Santo della Chiesa, Alberto da Chiatina è stato anche un personaggio di fondamentale importanza nella nascita della comunità colligiana e meritatamente, ad oltre sette secoli di distanza, lo ricordiamo quale nostro protettore.





Fonte:

"La cattedrale di Colle di Val d'Elsa", Colle, 2001, Pro Loco


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18/08/2015 07:17
 
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Sant' Agapito Martire

18 agosto


m. Palestrina, 18 agosto 274



Agapito, probabilmente membro della nobile famiglia Anicia della città di Palestrina, ricevette il dono della fin dagli inizi della sua vita, grazie alla predicazione di S. Pietro che sicuramente si recò ad evangelizzare l'antica Praeneste patria del famosissimo tempio della Fortuna Primigenia. All'età di 15 anni affrontò coraggiosamente il crudele martirio sotto l'imperatore Aureliano e il prefetto Antioco.
Morì decapitato fuori della città il 18 agosto 274. Parlano di sant'Agapito i più antichi sacramentari, tra cui quello Gelasiano e Gregoriano, e anche i più antichi martirologi, come il Gerominiano, il Fuldense e il Romano. E' quest'ultimo, che così riporta la notizia del martirio del santo il 18 agosto: "In Praeneste, dies natalis (nascita al cielo) si sant'Agapito m., che essendo di 15 anni e ardendo di amore per Cristo, per ordine di Aureliano, fu steso sull'éculeo e battuto a lungo con crudi flagelli; poi sotto Antioco prefetto, soffrì supplizi ancora più crudeli, e in ultimo, essendo esposto ai leoni e non riportando alcun danno, con il taglio della testa ricevette la corona". Nel luogo del martirio, intorno al IV sec., fu edificata una Basilica in suo onore della quale oggi si conservano solo alcuni resti e, successivamente, venne costruito un piccolo cimitero dove i fedeli, che desideravano riposare accanto al sepolcro del martire, venivano tumulati. Il corpo di sant'Agapito, in data incerta, venne poi traslato nel Duomo di Palestrina.

Patronato: Palestrina (RM), Sant’Agapito (IS)


Etimologia: Agapito = amabile, dal greco


Martirologio Romano: A Palestrina nel Lazio, sant’Agapíto, martire.








Agapito nacque a Praeneste intorno alla seconda metà del III secolo d.C. da una famiglia prenestina di alto rango. In giovane età venne avviato agli studi di diritto romano, per questo dovette trasferirsi a Roma. Qui, insieme alle leggi, apprese anche i primi fondamenti della vita di Cristo, attraverso gli insegnamenti del suo precettore, un maestro di nome Porfirio.
Agapito si convertì subito alla nascente religione cristiana, da adepto cadde vittima delle persecuzioni che in quel tempo cercavano di minare le prime comunità cristiane. Arrestato, fu condotto davanti all’imperatore Aureliano (270-275 d.C.) che lo esortò a rinunciare alla fede, chiedendogli di celebrare un sacrificio al cospetto degli dei, come prova del suo rinnegamento.
Aureliano aveva infatti deciso di porre un freno alla crisi sociale ed economica in atto nell’Impero ridando nuova linfa al culto degli dei del pantheon romano. Per questo motivo aveva fortemente sostenuto la diffusione del culto del Dio Sole Invitto, Sol Invictus, erigendolo a culto ufficiale dello Stato, nel tentativo di rianimare una religiosità pagana che andava sempre più spegnendosi sotto i colpi dei nuovi culti, spesso provenienti dall’Oriente, che tendevano a soddisfare una forma di spiritualità più personale, più intima che collettiva. Per ottenere questo egli sostenne fortemente la politica di soppressione del nuovo culto cristiano, ostacolandone la diffusione, particolarmente tra i più giovani. Questo tentativo promosso da Aureliano non va inteso come una forma di vera e propria persecuzione contro i cristiani visto che gli storici dell’epoca non ne fanno specifica menzione, ma dovette rientrare nelle quotidiane attività di polizia urbana che venivano effettuate dall’autorità romana contro i seguaci delle altre religioni.
Agapito, però, oppose il suo fermo rifiuto alla richiesta fattagli da Aureliano e allora quest’ultimo ordinò di punirlo. Il Prefetto di Roma, Flavio Antioco (o Antiochiano), venne quindi incaricato di seguire direttamente i supplizi e di eseguire la sentenza di morte nel caso in cui il giovane non avesse ritrattato. Le pene inflitte ad Agapito si fecero via via sempre più crudeli. Venne lasciato senza cibo e acqua per giorni interi cercando di farlo sconfessare con lusinghe e minacce. Risultate vane queste ultime, vista la sua irremovibilità, si decise di rovesciargli addosso un vaso pieno di braci ardenti. L’azione, però, non diede l’effetto desiderato: Agapito, invece di contorcersi ed urlare per il dolore, alzò con limpida voce un ringraziamento a Dio, che in tal modo metteva alla prova la sua fede.
Irritato oltremodo il Prefetto ordinò che fosse nuovamente percosso e quando i suoi aguzzini smisero, accusando loro la stanchezza, fu ordinato di legarlo ad un albero a testa in giù e di esporlo alle fiamme di un focolare. Anche questo supplizio non sortì gli effetti desiderati. Passati infatti cinque giorni, trascorsi i quali si credeva che oramai il giovane fosse morto per i patimenti subiti, il Prefetto si trovò davanti uno spettacolo che andava oltre ogni sua previsione: il giovane era slegato ed in buona salute, le ferite del corpo sanate, il corpo coperto da una candida veste. A quanto pare il suo Dio non l’aveva abbandonato ed aveva inviato a lui un angelo affinché lo sciogliesse dai suoi affanni.
Le condanne inflitte al corpo del giovane prenestino, compresa quella di rovesciargli addosso acqua bollente, non solo non diedero il risultato sperato, ma anzi, convinsero chi era vicino a lui della veridicità delle sue parole: il suo carceriere, un tale di nome Anastasio, dopo aver assistito a tali atti di fede si convertì.

L’Imperatore decise quindi di far tornare Agapito nella sua città d’origine, la quale ancora vantava uno dei più grandi santuari del paganesimo, il santuario della Dea Fortuna Primigenia, forse sperando, che tale visione, avrebbe potuto riportarlo alla ragione. Ma, rifiutandosi ancora di adorare le divinità del pantheon romano, venne decretato che in occasione di pubblici giochi, che a Praeneste si svolgevano alla metà del mese di Agosto, il giovane fosse condotto nell’anfiteatro della città e dato in pasto ai leoni. Ancora una volta il divino aiuto accorse affinché non fosse fatto scempio del corpo del giovane e tutti poterono vedere le feroci belve che invece di sbranarlo si limitarono a lambirne i piedi.
Questo fu veramente troppo per i funzionari imperiali che ne decretarono una morte, se non esemplare, quanto mai definitiva. Agapito fu portato in un luogo che le fonti individuano in questo modo: ubi sunt duae viae o ubi sunt duae columnae; qui, il giovane, il 18 Agosto fu alla fine decapitato. Durante la notte il suo corpo, su iniziativa di alcuni seguaci di Cristo, venne trasportato in un campo per ricevere sepoltura all’interno di un sarcofago, intorno al quale, a partire da quel momento, la prima comunità cristiana di Praeneste riconoscerà ed esprimerà la propria spiritualità
La storia della vita del Santo Agapito prenestino venne elaborata e redatta in forma di narrazione per la prima volta intorno all’anno Mille, o forse già qualche decennio prima (IX secolo d.C.), probabilmente all’interno di uno dei monasteri dell’Europa centrale, dove, a partire da un nucleo di informazioni storiche piuttosto scarne e a volte pressoché dimenticate, si tentò di diffondere attraverso un racconto per larga parte di fantasia l’esperienza di fede di numerosi santi martiri vissuti nella tarda antichità. Sono state tramandate tre versioni del racconto (passio) della vita del Santo: la passio cd. Mombriziana (IX secolo d.C.) e i due racconti contenuti nell’edizione seicentesca degli Acta Sanctorum.

Da secoli il Martire è venerato nel Paese in provicia di Isernia che da esso trae il nome. Probabilmente il culto è nato all’epoca della dominazione Longobarda e Normanna nella ormai distrutta Abazia di Sant’Agapito in Valle, sita tra Isernia e l’attuale Sant’Agapito Scalo. Di quel tempo o poco posteriore è il busto ligneo del XVI secolo venerato nella Chiesa Parrocchiale. Le reliquie del Santo furono donate dall’imperatore Arnolfo di Carinzia all’Abazia Benedettina di Kremsmunsten in Austria e li sono ancora conservate. Nel settembre del 2011 furono portate tra un trionfo di popolo a Sant’Agapito, per una breve ma intensissima visita. Il 30 gennaio del 2014 l’Abate e la comunità di Kremsmunsten, su richiesta del Parroco, Canonico don Luigi Russo, hanno donato alla Parrocchia una insigne Reliquia del Santo(l’osso metacarpale) e il 28 marzo una delegazione dell’Abazia guidata dall’Abate Ambros Ebhart e del Municipio, gidata dal Borgomastro, l’hanno solennemente portata in Paese. La reliquia collocata in un Artistico Reliquiario antropomorfo(opera del Maestro Domenico Sepe) a forma di braccio benedicente e da allora venerata nella Chiesa parrocchiale.

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19/08/2015 06:59
 
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Santa Sara Moglie di Abramo

19 agosto






Con l'uscita di Abram da Carran prende avvio la vicenda che porterà alla costituzione del popolo eletto (Gen 13). In questo capitolo di avvio della storia di Israele la moglie di Abramo, Sara, gioca un ruolo fondamentale nella costruzione della discendenza eletta e del compimento della promessa di un Dio che cammina con gli uomini. «Principessa» è il significato del nome di Sara e la sua regalità sarà il segno della presenza di Dio. In Sara, infatti, si realizza la promessa di una discendenza ad Abramo: dopo aver concepito da Agar il figlio Ismaele, illegittimo, il patriarca chiede a Dio un figlio da Sara. La fede di Abramo troverà un segno proprio nella promessa di un figlio dalla moglie ormai anziana. Nascerà così Isacco, il «figlio del riso», poiché Sara aveva riso ascoltando la promessa. Al capitolo 23 del libro della Genesi si legge: «Abramo seppellì Sara, sua moglie, nella caverna del campo di Macpela di fronte a Mamre, cioè Ebron, nel paese di Canaan». Anche dopo la morte, quindi, Sara si lega a una promessa di Dio: quella di una terra promessa. (Avvenire)

Etimologia: Sara = principessa, signora, dall'ebraico









Nel rituale del sacramento del Matrimonio, la splendida benedizione nuziale augura alla sposa di essere “amabile come Rachele, saggia come Rebecca, longeva e fedele come Sara”. Nelle Chiese cattoliche ed ortodosse di tradizione bizantina i loro nmi sono associati a quelli dei loro mariti, quali esemplari coppie dell’Antico Testamento. Il nome di Sara significava in ebraico “principessa” e proprio come una principessa Abramo la volle con se, ciò nonostante ella fosse sua sorellastra da parte paterna.
Sara condivise così tutte le avventure del santo patriarca, dalla vocazione a Ur sino alla morte in terra di Canaan. Il libro della Genesi pone in evidenza solo quegli eventi direttamente correlati alla formazione del popolo di Dio, essendo lei strumento privilegiato delle promesse che Dio formulò ad Abramo, la cui discendenza numerosa quanto le stelle sarebbe nata proprio da questa donna sterile ed ormai sessantacinquenne. Dio le mutò il nome da Sarai, cioè “mia principessa”, in Sara, dunque “principessa”. La sua straordinaria bellezza fu motivo del rapimento architettato prima dal faraone e poi da Abimelec in Gerar, ma Dio la protesse nel suo onore. Dette in sposa ad Abramo la sua schiava egiziana, Agar, auspicando che per mezzo di lei avesse potuto realizzarsi la promessa divina. Ben presto si accorse però dell’alterigia e del disprezzo provati dalla donna, madre di Ismaele, iniziò a maltrattarla sino a costringerla a fuggire.
Ben venticinque anni dopo l’uscita da Ur, all’età di novant’anni concepì miracolosamente il figlio Isacco, ma non tollerando che quest’ultimo divenisse coerede con il fratellastro Ismaele, costrinse Abramo a cacciare di casa Agar e suo figlio. Nel commovente episodio del sacrificio di Isacco, Sara non compare, anche se è facile immaginare come ne soffrisse sicuramente molto. Alla veneranda età di centoventisette anni Sara lasciò questa terra, morendo presso Ebron (odierna Qiriat Arba), e trovò sepoltura nella spelonca doppia di Macpela difronte a Mamre, tomba comune di Abramo, Isacco, Giacobbe, Rebecca e Lia.
La Bibbia evidenzia di questo celeberrimo personaggio femminile la straordinaria bellezza, la longevità, la fedeltà ad Abramo e la fede in Dio che la rese sua degna sposa. Le Sacre Scritture non danno invece particolare peso ai non pochi lati oscuri della sua esistenza, debolezze umane da giudicarsi nel quadro generale dell’Antico Testamento, tempo di imperfezione. Ciò contribuisce comunque a porre la figura di Sara al di sotto di quella di Abramo. Tra i difetti di Sara troviamo innanzi tutto l’atteggiamento verso la sua emula, Agar, pur trasgredendo così le leggi del tempo secondo cui era vietato allontanare la seconda moglie dopo che la prima aveva generato figli. Sara dubitò inoltre talvolta della promessa di Dio di vincere la sua vecchiaia e la sua sterilità donando così ad Abramo la posterità predetta.
San Pietro, nei sacri scritti a lui attribuiti, censisce Sara tra le sante donne che speravano in Dio, che pur adornandosi erano comunque soggette ai loro mariti ed operavano il bene coltivando la loro spiritualità interiore, e considera Sara madre di tutte le credenti, come Abramo lo è per gli uomini. L’apostolo Paolo menziona Sara in più passi ed in particolare nella Lettera ai Galati, ove sottolinea il tipico significato di Sara ed Isacco, Agar ed Ismaele.
Sara è stata infine decisamente sfortunata in duemila anni di cristianesimo sul piano cultuale. Al contrario di Abramo, che il Martirologio Romano commemora al 9 ottobre, la sua sposa non figura in alcun calendario latino od Orientale, ma solo la Chiesa Copta ha fissato per la sua festa la data del 19 agosto. Indirettamente Santa Sara è festeggiata dalla Chiesa Cattolica, in quanto al 24 dicembre sono festeggiati tutti i santi antenati di Gesù Cristo. In questi ultimi tempi è comunque aumentata la produzione iconografica da parte di diverse Chiese volta a raffigurare Sara con l’aureola della santità.


Autore: Fabio Arduino

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20/08/2015 08:50
 
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Sant' Amatore di Lucca

20 agosto










Venerato con grande solennità il 20 agosto nel monastero delle suore del Terz'ordine di S. Francesco, detto di S. Michelotto, che possedeva alcune sue reliquie. Il culto trasse origine da una leggenda divulgata nel sec. XV, la quale riecheggia nelle linee essenziali quella di Amadoro di Rocamadour, per cui è legittimo sospettare che si tratti dello stesso santo.


Autore: Agostino Amore

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21/08/2015 07:06
 
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Santi Agatonico, Zotico e compagni Martiri

21 agosto




Martirologio Romano: In Tracia, nell’odierna Turchia, santi Agatoníco, Zótico e altri, martiri, che si tramanda abbiano subito il martirio a Silivri e in altri luoghi.








AGATONICO, ZOTICO, TEOPREPIO, ACINDINO, SEVERIANO, ZENONE, VITTORE, CESAREO, CRISTOFORO, TEONA e ANTONINO, santi martiri in BITINIA e in TRACIA

I nomi di questi martiri sono variamente distribuiti nei menologi greci e nel Martirologio romano, che li ricorda, infatti, alcuni il 20 aprile, altri il 22 agosto. Secondo la passio leggendaria, durante la persecuzione di Massimiano, il prefetto Eutolmio di Nicomedia prese a ricercare i cristiani della costa meridionale del Mar Nero. Mise a morte Zotico, con due suoi discepoli, poi scoprì Agatonico, figlio del prefetto Asclepiade, che risiedeva in Bitinia. Arrestato e condotto a Nicomedia, Agatonico sostenne impavido interrogatori e torture al punto che molti pagani si convertirono e per questo furono decapitati. Agatonico e alcuni altri cristiani furono successivamente avviati in Tracia, dove allora si trovava l'imperatore. Lungo la strada, a Potamone in Bitinia, furono decapitati Zenone, Teoprepio ed Acindino, mentre presso Calcedonia subì il supplizio un vegliardo di nome Severiano. Giunto a Bisanzio, Agatonico fu nuovamente interrogato e torturato. Finalmente a Selimbria, in Tracia, alla presenza dell'imperatore Agatonico e tutti i compagni superstiti furono decapitati.
Se mancano prove di un culto reso agli occasionali compagni del martirio di Agatonico, non altrettanto si può dire di lui. Fino al sec. XIV Selimbria possedette parte delle sue reliquie, che poi sarebbero state manomesse dai latini, secondo l'accusa di Filateo, vescovo di Selimbria, vissuto nel sec. XIV. Già al tempo di Costantino fu eretta a Costantinopoli una chiesa in suo onore, che fu poi rinnovata sotto Giustiniano e incorporata nei palazzi imperiali al tempo di Maurizio Vero. In questa chiesa i patriarchi ebbero il loro trono per cinquantasette anni e quattro imperatori vi furono incoronati. Un certo pellegrino di nome Antonio avrebbe visto nel 1200 a Costantinopoli le reliquie di sant'Agatonico. Nel rito bizantino esiste un intero Ufficio in onore di sant'Agatonico e soci. Giuseppe, il celebre autore di canoni, compose per quest'Ufficio il Canone di Mattutino. I santi Agatonico e Zotico, poi, furono molto venerati in Oriente: i loro nomi furono inseriti fra quelli degli altri martiri nel piccolo menologio siriaco fin dal IV sec., donde passarono nei sinassari orientali e, infine, nel Martirologio Geronimiano. Sant'Agatonico fu venerato, oltre che nella chiesa a lui dedicata, anche in Santa Teodora e nel Monastero Xylokerkos a Costantinopoli.
Fanno menzione di questi santi martiri il Tipikon della Grande Chiesa di Costantinopoli (IX-X sec.), tutti i menologi greci pubblicati dopo il menologio che si trova nel Vangelo greco dell'VIII sec., il meneo greco di Montfaucon (IX sec.), il Martirologio geronimiano, il Martirologio romano, i menei greci dell'XI e XII sec., i menei greci del Monastero di Grottaferrata (XI-XII sec.); soltanto il Menologio che si trova nell'Epistolario della Biblioteca di Coalen a Parigi sembra non conoscerli.


Autore: Antonio Koren

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22/08/2015 07:25
 
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Beato Bernardo (Domenico) Peroni da Offida Religioso cappuccino

22 agosto


Offida, Ascoli Piceno, 7 novembre 1604 - 22 agosto 1694



Al secolo Domenico Peroni, nacque il 7 novembre 1604 a Villa d'Appignano nei dintorni di Offida in provincia di Ascoli Piceno. Terzo di otto figli, trascorse la sua infanzia in aperta campagna facendo il pastorello e dedicandosi alla cura dei buoi e alla coltivazione dei campi. La vita austera dei cappuccini fu per lui un forte richiamo e, dopo qualche anno, chiese ai suoi familiari e ai frati di poter entrare nel noviziato. Non trovò nessun ostacolo e a ventidue anni indossò l'abito Cappuccino. Dopo la professione fu inviato a Fermo dove rimase una ventina di anni e, nel 1650, dopo essere passato per vari conventi, approdò definitivamente a Offida dove rimase per tutta la vita. La vita di Bernardo fu semplice e nascosta nell'umiltà dei servizi ordinari di un fratello laico cappuccino: fu cuoco, infermiere, questuante, ortolano, portinaio. Innamorato dell'Eucaristia, aveva un rispetto profondo verso i sacerdoti. Muore all'età di 90 anni il 22 agosto 1694. È il più longevo tra i santi e beati cappuccini. Fu beatificato da papa Pio VI il 25 maggio 1795. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Offida nelle Marche, beato Bernardo (Domenico) Peroni, religioso dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, insigne per semplicità di cuore, innocenza di vita e mirabile carità verso i poveri.








Questo umile frate laico cappuccino, piccolo di statura, nacque il 7 novembre 1604 a La Lama, frazione di Offìda, nella diocesi di Ascoli Piceno (Marche), da Domenico Puccio ed Elisabetta Perani, poveri contadini. Al fonte battesimale gli fu imposto il nome di Francesco. Sotto la guida dei genitori, del rettore della chiesa di San Lazzaro in Campagna, che sorgeva poco lontano da casa sua, e dei Padri Cappuccini di Offìda, il piccolo imparò a crescere ben presto pio e obbediente.
Più che allo studio il beato fin dall'infanzia si diede al lavoro e alla preghiera specialmente dopo la prima comunione. Di mano in mano che cresceva in età imparò a condurre le pecore al pascolo, a fare il bifolco e a maneggiare la zappa. Oltre che in chiesa, anche durante le occupazioni quotidiane egli si sentiva molto attratto alla preghiera. Il padre cominciò a comprendere che quel suo figlio non era fatto per il mondo il giorno in cui lo sorprese inginocchiato in preghiera tra le pecore. Mentre esse pascolavano, egli faceva di solito la sua orazione rivolto a una Madonna dipinta sopra il muro della casa presso la quale sostava con il gregge. Nei giorni di festa saliva a Offida per prendere parte non a una, ma a due o a tre Messe nella chiesa dei Cappuccini; fare sovente la comunione e istruirsi nella dottrina cristiana per insegnarla ai pastorelli con i quali si sarebbe incontrato durante la settimana.
All'inizio del 1626, a 22 anni, Francesco chiese di essere ammesso nell'Ordine dei Frati Minori dei Cappuccini. La sua richiesta fu subito accolta essendo ben noto in convento per la sua devozione, la santità di vita e la laboriosità. A Corinaldo (Ancona), dove fu mandato, vestì il saio francescano con il nome di Fra Bernardo, e fece il noviziato durante il quale si distinse per l'austera osservanza della regola e lo spirito di povertà. Dopo la professione religiosa, che emise al termine del noviziato, il P. Provinciale lo destinò al convento di Fermo (Ascoli Piceno) con due importanti compiti da svolgere: fare il cuoco e occuparsi dell'infermeria. È superfluo dire che li adempì entrambi per oltre quarant'anni con grande soddisfazione tanto dei confratelli sani, quanto dei confratelli malati.
Il B. Bernardo da Offìda possedeva in grado eminente tutte le virtù, ma in modo particolare quella della pazienza e della carità. Il suo confessore, P. Carlo da Monte Granaro, attestò che non lo vide mai mancare a queste virtù, e i suoi confratelli nei processi canonici deposero di non averlo mai visto triste in volto. Detestava la mormorazione, difetto tanto diffuso un po' in tutte le comunità religiose di questo mondo. Era quindi temuto dai detrattori della fama altrui. Difatti costoro, appena lo vedevano arrivare, si dicevano l'un l'altro: "Zitti, ecco Fra Bernardo".
Il beato fu nemico capitale dell'ozio. Quando le occupazioni gli lasciavano libero un po' di tempo, egli ne approfittava per aiutare i confratelli nel disbrigo dei loro lavori, oppure si recava a pregare in chiesa o nel bosco adiacente al convento. Era solito iniziare la giornata prendendo parte a tutte le messe celebrate in chiesa, e facendo per due ore la meditazione sulla Passione del Signore. Più volte la settimana faceva la comunione con sentimenti di grande umiltà perché si riteneva un miserabile peccatore. Sovente fu visto piangere mentre si accostava alla mensa eucaristica a piedi scalzi, dopo che vi si era preparato con la confessione e la disciplina. Non usciva e non rientrava in convento senza fare prima una visita, sia pure breve, al SS. Sacramento. Quando gli capitava di passare davanti all'altare si prostrava con la faccia fino a terra e la baciava. Di notte dormiva poche ore con la testa reclinata sopra un tronco di legno ricoperto da uno straccio bianco. Dopo la recita del Mattutino restava ancora a lungo in chiesa a pregare genuflesso.
Fra Bernardo per la fede sarebbe morto volentieri martire. Non avendo la possibilità di andare in missione pregava per la conversione degli infedeli e dei peccatori e, poiché temeva della propria salvezza eterna, dava soddisfazione a Dio per le mancanze commesse nel mondo portando un cilicio intessuto di peli di cavallo, digiunando a pane ed acqua il venerdì e il sabato, nonché nelle vigilie delle feste della Madonna. In tali occasioni agli occhi dei confratelli egli appariva più diligente nei suoi doveri e più lieto in volto. Glielo facevano talora notare dicendo per celia: "Fra Bernardo si è già vestito a festa". Il beato, sempre di poche parole, anziché aversela a male si limitava a dire con voce sommessa e cortese: "Voglio che andiamo tutti in paradiso. Oh, paradiso! paradiso!".
A 65 anni il P. Provinciale destinò il beato Bernardo al convento di Offìda con il compito di andare alla questua per i paesi e le campagne. Pur non essendo più giovane e pur provando un vero tormento a conversare con le donne, d'estate e d'inverno, con il vento, la pioggia o la neve, senza un lamento egli andò alla ricerca del cibo necessario ai suoi confratelli e ai poveri che accorrevano alla porta del convento. Strada facendo teneva la testa bassa, e tra le dita faceva scorrere la corona del rosario che portava abitualmente in mano. Quando lo vedevano comparire in strada tanti gli si stringevano attorno per baciargli la mano, ma egli non glielo permetteva. Gli afferravano allora il cordone o la tonaca rappezzata per portarseli con venerazione alle labbra. Fra Bernardo approfittava di quegli incontri per strada o nelle case per esortare tutti a fuggire il peccato, a temere Dio e ad amare la Madonna. Molti cambiarono vita in seguito ai suoi saggi avvisi o alle sue amorevoli riprensioni. Non era importuno nel chiedere, anzi rifiutava il superfluo. Ringraziava chi lo beneficava dicendo: "Dio ve ne renda merito", oppure: "Dio sia benedetto, Dio sia lodato, Dio sia ringraziato".
Fra Bernardo ebbe una vita molto longeva. Tuttavia, quando cominciò a sentire gli acciacchi della vecchiaia i superiori, invece di mandarlo alla questua, gli affidarono la custodia della portineria. A contatto di tanta gente paesana e forestiera egli fu molto paziente e prudente. Per tutti, specialmente per i poveri e i malati, ebbe parole di consolazione da dire, consigli da dare, esortazioni da fare. Diversi sacerdoti e religiosi ricorsero a lui per essere illuminati riguardo a controversie teologiche, a brani difficili della Scrittura o a loro dubbi e ansietà. Come facesse un povero fratello laico, quasi analfabeta, a dare ad essi risposte tanto precise e illuminanti, rimase un mistero. Evidentemente Dio lo aveva arricchito del dono della scienza infusa.
Al convento era continua la processione di coloro che volevano parlare con Fra Bernardo perché avevano bisogno di qualche grazia o di essere liberati da una infermità. A tutti egli diceva: "Che cosa vi posso fare io, ignorante e miserabile peccatore?". Ma, a loro sollievo, soggiungeva subito: "Andiamo dal beato Felice da Cantalice" (+1587). E li conduceva a pregare prima davanti all'altare del SS. Sacramento, e poi davanti al quadro che raffigurava la Madonna con Fra Felice da Cantalice, umile fratello laico pure lui, beatificato da Clemente XI il 1° ottobre 1620. I malati venivano da lui unti con l'olio della lampada che ardeva davanti all'altare dedicato al beato. Un giorno si sparse la notizia che i superiori volevano trasferire Fra Bernardo da Offida a un altro convento. Il vescovo, che aveva concepito una grande stima di lui, ne rimase tanto conturbato che supplicò immediatamente il P. Provinciale a volerlo lasciare a Offìda perché faceva da solo più bene lui nella sua diocesi che 20 missionari.
Nel tempo in cui Fra Bernardo fu portinaio del suo convento gli abitanti del Piceno diverse volte furono afflitti dalla carestia e dalla fame. I poveri accorsero più numerosi del solito alla porta del convento in cerca di un piatto di minestra o di un tozzo di pane. Il beato verso di loro fu largo di aiuti nonostante i borbottamenti del cuoco, le sgridate del P. Guardiano e le rampogne del Provinciale il quale giunse a chiamarlo ipocrita, fariseo e bacchettone, e a calpestargli persino l'orticello che coltivava per sovvenire alle necessità del prossimo. Dai confratelli di poca fede era considerato il "dilapidatore" dei beni del convento. Egli invece, che possedeva la fede di Abramo, era intimamente convinto che l'elemosina era il mezzo più efficace per attirare sul convento la protezione e la benedizione della Provvidenza divina.
Da vecchio il B. Bernardo da Offìda fu assalito da tremiti, e per la grande debolezza cui andò soggetto fu costretto a fare uso di stampelle.
Non potendo più attendere come al solito alle quotidiane occupazioni moltiplicò le orazioni e le meditazioni. Muoveva a devozione anche solo vederlo starsene in ginocchio davanti all'altare del SS. Sacramento con le braccia in croce.
Il degno figlio di S. Francesco morì serenamente il 22 agosto 1694 dopo pochi giorni di febbre e di risipola, stringendo tra le mani il crocifisso con cui il P. Guardiano aveva voluto che benedicesse i confratelli e i benefattori del convento. Attorno al corpo del defunto fu un accorrere di devoti per tre giorni di seguito. E furono tanti coloro che vollero tornarsene a casa con una reliquia di lui che i cappuccini, per ben tre volte, dovettero cambiargli la tonaca con cui lo avevano rivestito. Il P. Carlo da Monte Granaro quando parlava del suo penitente non riusciva a trattenere le lacrime tant'era grande l'emozione da cui si sentiva assalito.
Fra Bernardo da Offìda fu beatificato da Pio VI il 19 maggio 1795.
La data di culto per la Chiesa universale è il 22 agosto, mentre viene ricordato il 23 agosto dai Frati Minori Cappuccini e ad Offida.


Autore: Guido Pettinati

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23/08/2015 07:23
 
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Sant' Antonio di Gerace Eremita

23 agosto




Martirologio Romano: Nel monastero di San Filippo vicino a Locri in Calabria, sant’Antonio di Gerace, eremita.








Di Antonio, asceta basiliano calabrese del sec. X, si hanno poche e frammentarie notizie. Contemporaneo di san Nilo di Rossano, fu penitente nel monastero greco di San Filippo Argirò, in territorio di Locri, insieme con san Nicodemo di Mammola e san Jeiunio di Gerace. La sua vita non si differenziò da quella degli asceti greci contemporanei, essendo caratterizzata dal distacco completo dai beni della terra, dallo spirito di orazione e dall'ardore della penitenza. Compì diversi miracoli sia in vita che dopo la morte; ebbe culto pubblico nel monastero, in cui morì e fu sepolto, e nella città di Gerace, in cui si trova ancora una sua statua lignea, che viene portata in processione in occasione della sua festa, che cade il 23 agosto. Il Ferrari ricorda assieme ad Antonio anche Nicodemo, cui dà l'appellativo di beato, ma sul culto di quest'ultimo le testimonianze sono discordanti.
Qualcuno tramanda particolari favolosi su Antonio, confondendolo con sant'Antonio di Cassano e quindi facendone un eremita del Monte Lipirachi. Il Menniti ne fa un archimandrita: cosa che non risulta da altra fonte. Il Karalewskij ne sdoppia la personalità, ricordando un Antonio, archimandrita di Locri, riferito dal Menniti, e un Antonio di Gerace, ricordato dall'Agresta, ignorando che Locri è il nome antico di Gerace. L'Oppedisano, infine, assegna Antonio al 1313, malgrado affermi che «insieme a lui si santificarono san Jeiunio e san Nicodemo », che appartengono al sec. X.


Autore: Francesco Russo

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24/08/2015 07:12
 
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Beato Andrea Fardeau Martire

24 agosto




Martirologio Romano: Ad Angers in Francia, beato Andrea Fardeau, sacerdote e martire, ghigliottinato in odio al suo sacerdozio durante la rivoluzione francese

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25/08/2015 07:15
 
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San Ludovico (Luigi IX) Re di Francia

25 agosto - Memoria Facoltativa


Poissy, Francia, 25 aprile 1214 - Tunisi, 25 agosto 1270

Luigi IX, sovrano di Francia, nacque il 25 aprile 1214 in Poissy. Incoronato re di Francia, Luigi si assunse il compito, davanti a Dio e agli uomini, di diffondere il Vangelo. Nell'anno 1244 fu sorpreso da una fortissima febbre. Guarito, volle di persona guidare una crociata per la liberazione della Terra Santa. Sbarcato in Egitto, presso la città di Damietta, attaccò con successo i Saraceni. Ma una terribile pestilenza decimò l'esercito crociato, colpendo lo stesso re. Assalito nuovamente dai Turchi, venne sconfitto e fatto prigioniero. Dopo essere stato rilasciato, proseguì come pellegrino per la Terra Santa, dove compì numerose opere di bene. Tornato in Francia, governò con giustizia e cristiana pietà, fondando la Sorbona e preparando una nuova crociata. Ma a Tunisi una nuova epidemia colpì l'esercito. Luigi IX, sentendosi morire, si fece adagiare con le braccia incrociate sopra un letto coperto di cenere e cilicio, dove spirò. Era il 25 agosto del 1270. (Avvenire)

Patronato: Re, Ordine Francescano Secolare


Etimologia: Ludovico = variante di Clodoveo


Emblema: Corona, Globo


Martirologio Romano: San Luigi IX, re di Francia, che la fede attiva sia in tempo di pace sia nel corso delle guerre intraprese per la difesa dei cristiani, la giustizia nel governo, l’amore verso i poveri e la costanza nelle avversità resero celebre. Unitosi in matrimonio, ebbe undici figli che educò ottimamente e nella pietà. Per onorare la croce, la corona di spine e il sepolcro del Signore impegnò mezzi, forze e la vita stessa. Morì presso Tunisi sulla costa dell’Africa settentrionale colpito dalla peste nel suo accampamento.



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Il re santo
Luigi, secondo figlio conosciuto di Luigi, figlio primogenito ed erede del re di Francia Filippo II Augusto, e della moglie di Luigi, Bianca di Castiglia, nasce molto probabilmente nel 1214 a Poissy il 25 del mese di aprile. Ed ecco che già da questa semplice nota biografica possiamo cogliere un indizio della personalità del futuro santo, egli, infatti, amava farsi chiamare “Luigi di Poissy”, non tanto perché era abitudine dei grandi personaggi dell’epoca aggiungere al proprio nome il luogo di nascita, ma perché, da buon cristiano, riteneva che la sua vera nascita fosse avvenuta il giorno del suo Battesimo a Poissy.
Se l’anno di nascita non fu ritenuto dai biografi contemporanei degno di particolare nota, lo fu, invece, il giorno come attesta il carissimo amico di san Luigi, Joinville, in piena conformità con l’abitudine medievale di ricavare presagi per la vita dalle caratteristiche del giorno della nascita di una persona: “Secondo che gli ho inteso dire, nacque egli il giorno di San Marco Evangelista, dopo la Pasqua. In questo giorno si portano croci in processione in molti luoghi e in Francia sono chiamate croci nere. E ciò fu quasi una profezia della gran copia di persone che morirono in quelle due crociate, cioè in quella d’Egitto e nell’altra in cui egli stesso morì a Cartagine; chè molti grandi lutti vi furono in questo mondo, e molte grandi gioie vi sono ora in paradiso, per coloro che in quei due pellegrinaggi morirono da veri crociati” (Joinville, Histoire de Saint Louis).
Nonostante Luigi, a soli quattro anni, sia divenuto erede al trono subentrando alla morte del fratello maggiore Filippo, non ci sono notizie di lui fino almeno al 1226; certamente è stato educato in modo particolarmente accurato inizialmente da parte della madre e poi, in età militare, dal padre (secondo la massima enunciata da Giovanni di Salisbury nel suo Policraticus: “Rex illitteratus quasi asinus coronatus” cioè: un re illetterato non è che un asino coronato). È certo anche che di una parte considerevole della sua educazione si sia occupato il nonno Filippo Augusto, il quale, dopo la prestigiosa vittoria di Bouvines, si era ritirato dalla pratica dell’arte della guerra. Luigi può, quindi, fregiarsi anche di un piccolo primato: quello di essere il primo re di Francia ad aver conosciuto il proprio nonno, cosa che avrà un alto valore per il senso dinastico del futuro re. Una particolare attenzione nel panorama educativo del futuro re è stata certamente riservata all’educazione religiosa e morale al fine di esercitare la funzione regia, proteggere la Chiesa e seguirne i consigli. L’ambiente che circondava il giovane Luigi svolge una funzione determinante per la fioritura della sua esemplare vita cristiana, non bisogna, infatti, dimenticare che la madre, Bianca di Castiglia, sarà anch’essa proclamata santa e la sorella, Isabella di Francia, beata.
Alla morte di Filippo Augusto, molti contemporanei tentano di riconoscere nella sua persona un santo grazie ai racconti orali dei prodigi che avevano accompagnato tanto la sua nascita (tra cui la comparsa di una cometa) quanto la sua morte (per lo più guarigioni). Ma nel Duecento avviene, in seno alla Chiesa, un cambiamento radicale nella concezione della santità e il papa Innocenzo III ne prende atto formalmente regolarizzando i processi di canonizzazione, in particolare, stabilendo che i miracoli da considerare in tale processo sono solo quelli avvenuti post mortem e dichiarando la santità della vita quotidiana quale nuovo imprescindibile criterio. Per questo motivo, Luigi riuscirà dove il nonno fallì a causa della sua vita coniugale ritenuta scandalosa da Roma e può essere a buon diritto definito un santo moderno.

Il re cristiano
Del mondo di San Luigi, è importante tenerlo presente, fa parte, insieme alla Francia, la “Christianitas”: egli governa da sovrano la prima ed è una delle teste della seconda che ingloba anche il suo regno. La Cristianità si riferisce essenzialmente all’Europa che nel XIII secolo stava vivendo un particolare momento di sviluppo economico: san Luigi sarà anche il primo re di Francia a battere una moneta d’oro, lo Scudo, nel 1226, pratica cessata da Carlo Magno in poi.
All’epoca di san Luigi, la Cristianità è ancora turbata dalle lotte tra papato e impero, ma il vero interesse politico è tutto rivolto all’irresistibile ascesa delle monarchie nazionali. Anche in questo campo san Luigi sarà in grado di far compiere all’amministrazione dello stato alcuni decisivi passi verso il consolidamento della monarchia francese: essa diventerà uno stato moderno unito attorno alla persona del suo re. L’eredità che il nonno Filippo Augusto lascia al giovane san Luigi è notevole sotto ogni aspetto, vale la pena, però, di approfondire quello dell’eredità morale fondata sullo sviluppo della “religione regia”. Attraverso la consacrazione, il deposito dei regalia nell’abbazia di Saint Denis e i nuovi riti funebri la monarchia e la persona del monarca vanno assumendo un carattere spiccatamente sacro. Lo stesso papa Innocenzo III nel 1202 con la decretale Per venerabilem dichiara che il re di Francia non riconosce alcun superiore nella sfera temporale e con Luigi IX si definisce che il re di Francia deriva il suo potere “solo da Dio e da se stesso”.
La storia della Cristianità del XIII secolo è caratterizzata dalle numerose eresie pauperiste di cui la più pervasiva è l’eresia catara, nota in Francia con il nome di “eresia degli aubigeois (albigesi)”. Il grande fermento religioso di questo secolo è, però, ben più allargato e comprende almeno altre due manifestazioni importantissime rimaste, tuttavia, nell’ortodossia. La prima è la nascita di nuovi ordini religiosi che rispondono ai nuovi bisogni spirituali dei fedeli e tentano di reagire alla decadenza del monachesimo: sono i nuovi Ordini Mendicanti che intendono portare la pratica della vita cristiana nella vita quotidiana degli uomini delle città e fanno della predicazione la loro arma. Il maggior impulso a questa nascita avviene per opera dei due santi Domenico di Calaruega, fondatore dei frati Predicatori, e Francesco d’Assisi, fondatore dei frati Minori. Determinante nella vita di san Luigi sarà la presenza degli Ordini Mendicanti, tanto che sarà non senza malizia definito “il re degli Ordini Mendicanti” e in qualcuno nascerà il sincero sospetto che voglia egli stesso farsi frate mendicante. L’altra manifestazione del grande movimento religioso del XIII secolo è l’ascesa dei laici all’interno della Chiesa, soprattutto attraverso la fondazione dei cosiddetti “Terz’ordini laicali” degli Ordini Mendicanti. Di conseguenza, anche la santità, che precedentemente pareva essere monopolio di chierici e monaci, si estende anche ai laici, uomini e donne. Se sant’Omobono, un mercante di Cremona, è il primo laico canonizzato nel 1199 da Innocenzo III solo due anni dopo la morte, san Luigi è sicuramente il più famoso.

Il re fanciullo
Il 3 novembre 1226, durante la crociata contro il conte di Tolosa, protettore degli eretici, Luigi VIII muore a Montpensier lasciando un primogenito la cui tenera età pone immediatamente dei seri problemi dinastici, soprattutto considerando che Luigi VIII ha un fratellastro venticinquenne alleato con gli immancabili baroni poco sottomessi all’autorità regia. Ma Bianca di Castiglia, la cui reggenza è confermata da un documento firmato dai vescovi più importanti del regno e depositato nel “Tresor des charter” (l’archivio regio), una volta sepolto Luigi VIII si dedica interamente alla difesa e all’affermazione di suo figlio, il re fanciullo, al mantenimento e al rafforzamento della potenza della monarchia francese.
Alla guida della Francia c’è, come non accadeva da un secolo e mezzo, un dodicenne e un sentimento d’angoscia si diffonde in tutto il regno. Bisogna, infatti, considerare che la funzione principale di un re medievale è quella di mettere in rapporto con la divinità la società di cui è capo. Ora, un fanciullo, per quanto re legittimo e unto, è un fragile intermediario, tanto più che l’infanzia nel Medioevo è concepita soltanto come un non-valore; l’infanzia dell’uomo modello del Medioevo, il santo, viene negata: un futuro santo manifesta la sua santità mostrandosi precocemente adulto. Né la legge dello stato né il diritto canonico stabilivano leggi riguardo alla maggiore età e la consuetudine la fissava a ventuno anni, eccezion fatta proprio per i sovrani che la raggiungevano a quattordici. Nel caso di san Luigi, la forza e il desiderio di governare di Bianca di Castiglia è molto probabile che lo abbiano fatto attendere, inoltre c’è un periodo di passaggio in cui è chiaro dagli atti che entrambi siano sullo stesso piano. Ma alla fine del 1226, Luigi è, per quanto precipitosamente, consacrato re.
L’attività di governo per Luigi inizia subito con alcune questioni della massima urgenza ma ben presto tutto barcolla: il sovrano è un fanciullo e sua madre una donna straniera, così un numero importante di baroni si riunisce a Corbeil e decide di impadronirsi del giovane re, non per detronizzarlo ma per governare in suo nome al posto di sua madre e dei suoi consiglieri aggiudicandosi, inoltre, terre e ricchezze. Ma ecco che per la prima volta il popolo di Parigi si stringe attorno al suo re scortandolo e proteggendolo dai suoi attentatori. Un secondo tentativo di impadronirsi della mente del re avviene in modo più sottile allorché gli stessi baroni iniziano a diffondere false dicerie sui presunti cattivi costumi morali di Bianca di Castiglia. I primi anni di regno di Luigi, che gli storici si limitano a presentare come anni di rischi e difficoltà, sono anche per il giovane re anni di progressi decisivi del potere regio e del suo prestigio personale grazie, soprattutto, alla sapiente presenza del re in molte operazioni militari vincenti.
Nel 1234, ottavo anno di regno, Luigi sposa, in seguito ad un accordo tra i genitori, Margherita, figlia primogenita di Raimondo Breringhieri V conte di Provenza. Luigi e Margherita sono parenti di quarto grado, ma il papa Gregorio IX concede loro la dispensa a causa della “urgente ed evidente utilità” di un unione che contribuirà a riportare la pace in una terra sconvolta dalle eresie e dalla guerra contro gli eretici. Il matrimonio viene celebrato dal vescovo di Valence e zio di Margherita Guglielmo di Savoia a Sens, facilmente raggiungibile da Parigi e dalla Provenza, il 27 maggio, vigilia della domenica che precede l’Ascensione.
Sappiamo, da una confidenza fatta molto tempo dopo dalla regina Margherita, che il giovane sposo regale non toccò sua moglie nella prima notte di nozze, rispettando, come gli sposi cristiani molto pii, le “tre notti di Tobia” raccomandate dalla Chiesa sulla scorta dell’esempio di Tobia nell’Antico Testamento. I figli iniziano a coronare il matrimonio solo sei anni dopo, saranno undici di cui, però, solo sette sopravvivranno al padre.

Il re devoto
Molti sono gli aspetti per cui san Luigi si è facilmente prestato ad essere definito “il re devoto”, di seguito ne analizzerò solo alcuni tra i più significativi.
Già Filippo Augusto e ancor più san Luigi intuiscono l’importanza per la monarchia francese di avere a Parigi, nonostante non sia ancora una vera capitale, un focolaio di studi superiori che sia in grado di apportare gloria, sapere e alti funzionari chierici e laici alla regalità. I re di Francia non hanno ancora in quell’epoca una vera e propria politica universitaria, tuttavia, capiscono che, come Roma era la capitale politica della Cristianità, così Parigi poteva esserne la capitale intellettuale in quanto sede della facoltà di teologia.
Moderno e tradizionale allo stesso tempo si presenta l’atteggiamento di san Luigi nei confronti dell’Impero: pur nel solco della tradizione capetingia, ormai affrancata dalla giurisdizione imperiale, san Luigi manterrà sempre un devoto rispetto per la figura dell’Imperatore, all’epoca Federico II, perché da buon medievale si sente membro di un corpo, la Cristianità, che ha due teste: il Papa e l’Imperatore. La possibilità di mantenere questo equilibrio reverenziale nei confronti dell’assodata bicefalia della Cristianità è permessa anche dal fatto che da tempo, ormai, tanto l’Impero quanto la Chiesa non possono più vantare diritti o poteri giuridici nel regno di Francia, come già descritto. Inoltre, Luigi IX mette in atto per molto tempo e in molti modi diversi una grande opera di pacificazione nei confronti delle due massime autorità della Cristianità.
I dissidi che san Luigi si trova ad affrontare con i vescovi di Reims e, soprattutto, di Beauvais, ci mostrano un re che, pur nella sua personale religiosità e sottomissione alla Chiesa, tanto da essere chiamato dai contemporanei “il re devoto”, nelle questioni temporali che riguardano lo Stato è inflessibile sostenitore dei diritti e doveri di quest’ultimo, fulgido esempio sempre attuale di quanto sia possibile mantenere il giusto equilibrio tra la religione e la politica.
E proprio l’aspetto della devozione che preannuncia il futuro san Luigi si rivela non solo nel suo personale interessamento, riferito esplicitamente dall’amico Joinville, nella costruzione dell’abbazia di Royaumont, dando compimento ad una delle ultime volontà del defunto Luigi VIII che aveva lasciato un’ingente somma a tal fine, ma anche nel lavoro manuale che, come alcune biografie riferiscono, il re prodigò in tale iniziativa coinvolgendo anche i fratelli e alcuni cavalieri del suo seguito. In realtà, il padre aveva indicato anche quale avrebbe dovuto essere l’Ordine religioso affidatario della struttura, ma l’attrazione che il monachesimo riformato cistercense esercita su Luigi e che tornerà altre volte nella sua vita sarà più forte.
È innegabile che nella Cristianità del XIII secolo una grande manifestazione di devozione e, pari tempo, fonte di grande prestigio è il possesso di insigni reliquie e anche per san Luigi si presenta ben presto la possibilità di ottenerne alcune davvero molto preziose allorché, nel 1237, Baldovino, il giovane imperatore dell’Impero Latino di Costantinopoli viene in Francia per cercare aiuto contro i greci che volevano riprendersi la loro capitale. Egli, proprio mentre si trova presso la corte francese, viene raggiunto dalla notizia che i baroni dell’Impero Latino, in preda alla necessità di denaro, hanno deciso di vendere la più preziosa reliquia conservata a Costantinopoli: la Corona di spine di Gesù. Il re di Francia e sua madre si infiammano subito si santo zelo per ottenrla: emblema di umiltà, la Corona di spine è, nonostante tutto, una corona, cioè una reliquia con una forte caratterizzazione regale. Essa incarna quella regalità sofferente e umile che è diventata l’immagine di Cristo nella devozione del XIII secolo e che l’immaginario collettivo trasferisce sul capo del re, immagine di Gesù sulla terra. Tra molti perigli e trattative la sacra Reliquia giunge nei pressi della Francia e, come cinque anni prima era corso incontro alla fidanzata, Luigi ora corre a ricevere il sacro acquisto; egli porta con sé la madre, i fratelli, molti vescovi e cavalieri; l’incontro avviene a Villeneuve-l’Archeveque: i testimoni oculari spenderanno in seguito pagine e pagine per descrivere l’intensa emozione dimostrata dai reali. Segue poi la processione penitenziale che accompagna la Reliquia nella cattedrale di Sens: sono il re e suo fratello Roberto, a piedi nudi e con una sola tunica, a trasportare la cassa. Di là, dopo la rituale esposizione, riprende il viaggio verso Parigi dove viene esposta nella cattedrale di Notre Dame e poi definitivamente deposta nella cappella palatina di Saint Nicolas.Poiché il bisogno di denaro da parte dell’imperatore di Costantinopoli continua, Luigi ben presto completa, non senza grandi spese, la sua collezione di reliquie della Beata Passione (parti della Croce, la sacra Spugna, il ferro della Lancia di Longino). La cappella del palazzo reale si dimostra ben presto indegna di accogliere e custodire simili tesori, Luigi si rende conto che occorre una chiesa che possa essere essa stessa un reliquario glorioso e, a questo scopo, inizia la costruzione della Sainte Chapelle. Già nel 1243 papa Innocenzo IV concede alcuni privilegi alla futura cappella, nel 1246 Luigi fonda un collegio di canonici che ne assicurino l’officiatura e nel 1248 alcune risorse dello Stato vengono destinate alla sua manutenzione. La consacrazione solenne, alla presenza del re, avviene il 26 aprile 1248, due mesi prima che Luigi parta per la crociata. Fin dall’epoca di Luigi IX la cappella era considerata un capolavoro dell’arte gotica.
Un altro evento devozionale del regno di san Luigi degno di una speciale nota è il famoso smarrimento e ritrovamento dell’insigne reliquia del Santo Chiodo presso Saint Denis: durante una solenne ostensione, tale reliquia va misteriosamente perduta e le cronache si prodigano a descrivere tanto la disperazione di san Luigi, manifestata anche dalla sua personale ricerca, quanto la sua somma gioia dopo il casuale rinvenimento. Va, anzitutto, ricordato che nel Medioevo nell’animo dei più semplici come in quello dei più saggi e potenti esiste, incrollabile, la credenza nella virtù sacra di taluni oggetti che garantiscono la prosperità di un regno e la cui perdita occasionale può presagirne inequivocabilmente la rovina: il giovane Luigi condivide e stimola la religiosità più profonda del suo popolo e comincia a costruire la sua immagine e la sua politica sull’espressione pubblica e intensa di questi sentimenti. Nel suo entourage, tuttavia, quelle manifestazioni di devozione sono ritenute eccessive e indegne di un re che deve sempre dimostrare un grande senso della misura e dare esempio di ragionevolezza. Ma per Luigi non c’è alcun problema intimo: egli vuol essere, al tempo stesso e senza contraddizione, re di Francia cosciente dei suoi doveri, compresi quelli che concernono apparenza e simbologia, e buon cristiano, il quale, per essere di buon esempio e assicurare la salvezza sua e del suo popolo, deve manifestare la sua fede secondo le antiche e nuove pratiche con un comportamento sensibile.
Un episodio apparentemente irrilevante della vita di san Luigi ma che risulta importante per capire la sua spiritualità di re santo si verifica nel momento in cui i mongoli sembrano invadere l’Europa da est. Dalle lettere che invia alla madre, emerge un santo escatologico che vede in essi l’invasione dei popoli di Gog e Magog annunciati dall’Apocalisse come preludio alla fine del mondo. San Luigi aspira a due possibili destini: il martirio o la fine del mondo, egli si affida confidente a Dio ed è pronto ad abbracciare entrambi.
Tutto il regno di san Luigi sarà segnato da una forte discordanza tra la sua personale pietà e l’opinione pubblica; forse anche il re stesso avrà qualche periodo di dubbio, in particolare dopo il fallimento della crociata, ma ne uscirà sempre più convinto di trovarsi sulla retta via nella necessaria fusione delle sue due principali occupazioni: il bene del regno e del popolo e la sua salvezza personale, che in quanto re, coinvolge inevitabilmente quella di tutto il popolo. In un’epoca in cui non occupare il proprio posto secondo lo status dato da Dio a ciascuno è cosa assolutamente scandalosa, è percepito come problematico un re a più riprese definito re-monaco o re-frate, ma, alla fine, la soluzione giusta sarà trovata dalla maggioranza dell’opinione pubblica e sancita dalla Chiesa: egli sarà un re-santo, un re laico e santo.

Il re crociato
Nel 1244, san Luigi cade in un forte attacco di una malattia che già lo perseguitava da tempo ed arriva a perdere conoscenza tanto che molti lo credono morto e la regina madre invia a Pontoise, dove egli si trova, le Reliquie reali affinché il re le possa toccare. Appena ripreso da quello stato e appena è in grado di parlare, racconta sempre l’amico Joinville, chiede soltanto di diventare crociato. Le reazioni all’annuncio di questo voto sono di diversa natura, come, del resto, in quel secolo era in fase di mutamento lo spirito stesso con cui si affrontava l’argomento delle crociate dopo che i numerosi fallimenti avevano portato ad un forte scoraggiamento nella classe politica. Un trovatore, invece, interpreta l’entusiasmo popolare per un san Luigi crociato e, nei testi della sua propaganda si meraviglia che un uomo “leale e integro, esempio di saggezza e di rettitudine” che conduce “una vita santa, linda, pura, senza peccato e senza macchia” si sia fatto crociato quando i più intraprendevano le crociate per fare penitenza. Ma per Luigi, che spinge all’estremo la fede che gli è stata inculcata, la crociata non è che il coronamento della retta condotta di un principe cristiano. Così, il 12 giugno 1248, Luigi va a Saint Denis a prendere l’orifiamma, la tracolla e il bordone dalle mani del cardinale legato, segni della sua intima convinzione dell’identità tra crociata e pellegrinaggio. Poi si reca a piedi nudi e seguito da una grande processione di popolo all’abbazia reale di Saint Antoin de Champs e, prima di partire, nomina sua madre reggente del regno. Da notare il lavoro silenzioso e paziente di questa santa regina che per tutta la vita ha degnamente preparato e sostituito nelle necessità il figlio al timone del regno di Francia. La partenza da Parigi segna anche, nella vita di san Luigi, una svolta che colpisce molto gli appartenenti al suo entourage. Le norme regolatrici della crociata ingiungono ai crociati la modestia nel vestire; si può facilmente immaginare che il rigoroso Luigi rispettò e fece rispettare quelle prescrizioni, ma Luigi, per quanto riguarda la sua persona, non si accontenta di applicare rigorosamente le prescrizioni della Chiesa e, secondo la sua abitudine, va molto oltre conservando tale austerità anche al ritorno dalla crociata fino alla morte. Questa rinuncia è il segno di una svolta nella vita di san Luigi, il passaggio da un genere di vita e di governo semplicemente conformi alle raccomandazioni della Chiesa a una condotta personale e politica autenticamente religiosa, da un semplice conformismo ad un vero ordine morale.
La crociata si apre in Egitto con alcune piccole vittorie ma ben presto sopraggiungono le sconfitte e Luigi stesso viene fatto prigioniero dai musulmani e questa è la disgrazia peggiore per un re, ancor più lo è per un re cristiano essere fatto prigioniero dagli infedeli. Alla liberazione, avvenuta un mese dopo la cattura, il cappellano reale racconta la dignità e il coraggio dimostrati dal re durante la prigionia: Luigi pensa anzitutto agli altri crociati prigionieri, rifiuta qualsiasi dichiarazione contraria alla propria fede cristiana e sfida perciò la tortura e la morte. Anche quando viene a sapere che i suoi sono riusciti a frodare i musulmani versando un cifra inferiore rispetto a quella pattuita per il suo riscatto, si infuria, convinto che la sua parola debba essere sempre mantenuta e onorata anche se prestata a dei miscredenti.La crociata termina con un nulla di fatto e, mentre si trova in Terra Santa, Luigi vede svanire anche un altro dei suoi più grandi sogni: la conversione dei mongoli. Infatti, i missionari da lui inviati al gran Khan ritornano sconfitti. Infine, è un terribile evento a mettere fine alla sua permanenza in Terrasanta: nella primavera del 1253, Luigi riceve la notizia della morte dell’amata madre che era deceduta il 27 novembre del 1252. L’amico Joinville racconta le scomposte manifestazioni di dolore che accompagnano l’apprensione della notizia da parte di san Luigi e i rimproveri da parte dei contemporanei per l’esagerata reazione.
Ma qualche cosa, sebbene a livello spirituale, san Luigi la sa guadagnare da queste dolorose sconfitte. Infatti, discutendo con i suoi interlocutori musulmani, pur continuando a detestare la loro falsa religione, si rende conto che il dialogo con questi ultimi è possibile; inoltre, è in grado di imparare qualcosa di utile dai musulmani, infatti, tornato in patria, è il primo re che costruisce una biblioteca di manoscritti di opere religiose sul modello di quella del sultano.

Il re escatologico
Premeditato o improvvisato, l’incontro tra Ugo di Digne, appartenente alla corrente rigorista degli Spirituali francescani, e il re santo avrà grande importanza nella vita di quest’ultimo. In preda allo sconforto per gli eventi appena elencati, san Luigi ne ricerca le cause e si domanda cosa debba fare per piacere a Dio, assicurare la propria salvezza e quella del suo popolo e servire la Chiesa, Ugo gli mostrerà la via: far regnare sulla terra la giustizia nella prospettiva del momento in cui “i tempi saranno compiuti”, promuovere una città terrestre evangelica, in breve, diventare un re escatologico. Questa proposta, che probabilmente interpretava i desideri profondi di Luigi, diventerà il programma dell’ultimo periodo del suo regno.
Joinville testimonia il passaggio dalla semplicità all’austerità che contrassegna la vita di san Luigi dopo il ritorno dalla Terrasanta e il suo confessore, consigliere e primo biografo, Goffredo di Beaulieu, ne racconta i sentimenti in modo mirabile: “Dopo il suo felice ritorno in Francia, i testimoni della sua vita e i confidenti della sua coscienza videro fino a qual punto egli cercò di essere devoto verso Dio, giusto verso i suoi sudditi, misericordioso verso gli infelici, umile verso se stesso e come fece ogni sforzo per progredire in tutte le virtù. Come l’oro è superiore in valore all’argento, così il suo nuovo modo di vivere, portato con sé dalla Terrasanta, superava in santità la sua vita precedente; eppure in gioventù, egli era sempre stato buono, innocente ed esemplare”.
Tutto questo fervore si riflette nelle sue decisioni politiche e in ogni ordinanza regia non trascura di aggiungere provvedimenti riguardanti la moralità, tra cui misure repressive della bestemmia, del gioco, della prostituzione, della frequentazione delle taverne, prescrizioni contro gli ebrei e la propagazione del principio della presunzione d’innocenza per gli imputati richiamando i giudici all’esempio del Giudice supremo, Dio di giustizia e di misericordia. Oltre alla giustizia, l’altro dovere che si impone ad un re cristiano è la pace e Luigi saprà essere arbitro oltre i confini del suo regno dando l’esempio a molti, tanto da arrivare ad essere definito “arbitro e pacificatore della Cristianità”.
Nel 1267, Luigi decide di intraprendere una nuova crociata e da inizio ad un nuovo periodo di preparazione e purificazione emanando nuove leggi contro la bestemmie, reato equiparato alla lesa maestà, e gli ebrei e facendo intensificare la predicazione. Partito come nel 1248, il 14 marzo 1270, l’esercito sbarca a Tunisi per raggiungere l’Egitto, ma la via di Tunisi si rivela ben presto una vera e propria Via Crucis. Sfumata la possibilità di convertire l’Emiro musulmano che si rivela immediatamente illusoria ancorché san Luigi non vi voglia rinunciare e, di nuovo, il flagello del Mediterraneo, l’epidemia di tifo, si abbatte sull’esercito regio. Dopo suo figlio Giovanni Tristano, anche san Luigi muore il 25 agosto assistito dal suo inseparabile confessore. È lui che racconta che sul letto di morte, pur sentendo la fine avvicinarsi, san Luigi non ha altra preoccupazione che le cose di Dio e l’esaltazione della fede cristiana. Così, a fatica e a bassa voce, proferisce le sue ultime parole: “Cerchiamo, per l’amor di Dio, di far predicare e di introdurre la fede cattolica a Tunisi”. Benché la forza del suo corpo e della sua voce si affievoliscano a poco a poco, egli non cessa di chiedere i suffragi dei Santi a cui era più devoto, in particolare san Dionigi patrono del suo regno. Più volte mormora le ultime parole della preghiera a san Dionigi: “Noi ti preghiamo, Signore, per l’amore che abbiamo per te, di darci la grazia di disprezzare i beni terreni e di non temere le avversità”. Poi ripete l’inizio della preghiera a san Giacomo: “Sii, o Signore, il santificatore e il custode del tuo popolo”. Ancora il Beaulieu riferisce che Luigi muore all’ora stessa della morte del Signore su un letto “di ceneri sparse in forma di croce”. Così il re-Cristo muore nell’eterno presente della morte salvatrice di Gesù. Secondo una certa tradizione, egli avrebbe mormorato nella notte precedente alla sua morte: “Andremo a Gerusalemme”.
La bara con le ossa di Luigi IX, debitamente trattate, viene portata ed esposta a Parigi nella chiesa di Notre Dame e i funerali hanno luogo a Saint Denis il 22 maggio, quasi nove mesi dopo la morte del re. Attorno ai sacri resti, i visceri in Sicilia e lo scheletro a Saint Denis, si verificano numerosi miracoli sin da subito, ma ormai la fama non è più sufficiente per creare dei santi, la curia romana si è riservata tale diritto ed inizia il processo di canonizzazione la cui prima iniziativa risale a papa Gregorio X. Sarà però papa Bonifacio VIII con la bolla Gloria, laus a pronunciare la canonizzazione solenne di Luigi IX e a fissarne la festa nel giorno della sua morte, il 25 agosto.
Ed è così che il re, nato sotto il sego del lutto e morto in terra straniera e infedele, fa il suo ingresso nella gloria eterna.


Autore: Emanuele Borserini

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26/08/2015 07:15
 
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Beato Ambrogio da Benaguacil (Luis Valls Matamales) Sacerdote e martire

26 agosto


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Benaguacil, 3 maggio 1870 – 24 agosto 1936

Predicazione, ministero delle confessioni e della direzione spirituale furono la sua attività di frate minore cappuccino.
Fu uomo di preghiera e di carità. Costretto a lasciare il convento di Massamagrell (Valencia), si diresse a Vinalesa dove la notte del 24 agosto 1936 fu arrestato e condotto davanti al comitato del popolo per essere interrogato. Sulla strada da Valencia a Barcellona, nel luogo detto “Altura De Los Consumos” fu assassinato.
E’ stato beatificato da Papa Giovanni Paolo II, domenica 11 Marzo 2001.

Martirologio Romano: A Valencia sempre in Spagna, beato Ambrogio (Luigi) Valls Matamales, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini e martire, che per il sangue versato durante la persecuzione meritò di essere partecipe del banchetto eterno.







Nacque il 3 maggio 1870 a Benaguacil (Valencia) e fu battezzato il 4 maggio 1870 nella parrocchia di Nuestra Señora de la Asunción di Benaguacil e ricevette la Confermazione nella parrocchia di Liria (Valencia). Era figlio di D. Valentín Valls e di Donna Mariana Matamales. Entrò nell’Ordine cappuccino nel 1890, vestendo l’abito il 28 maggio 1890; emise la professione temporanea il 28 maggio 1891 e quella perpetua il 30 maggio 1894. Fu ordinato sacerdote il 22 settembre 1894 e celebrò la sua prima Messa nel convento dei Cappuccini di Sanlúcar de Barrameda (Cadice).
“Era un religioso molto modesto - dice di lui Suor Maria Amparo Ortells - sempre con lo sguardo raccolto; molto umile; tutto gli sembrava troppo e si notava in lui un grande spirito di preghiera. Era molto devoto della santissima Vergine”. “Fra i compagni di religione era considerato un buon religioso. Fedele osservante delle regole francescane e molto devoto del nostro Padre san Francesco...”. Lavorò apostolicamente nella predicazione, nel ministero della confessione e della direzione spirituale. “Di preferenza lavorò come confessore e come direttore del Terz’Ordine di san Francesco”. “Il suo campo di apostolato fu principalmente la predicazione”. Nella Provincia cappuccina di Valencia passò come uno dei migliori predicatori. La sua limpida devozione alla Vergine rimase scolpita in un piccolo opuscolo dedicato alla Vergine di Montiel, dal titolo Historias, Novenas, Favores y Montielerías de Nuestra Señora de Montiel, venerada en su ermita de Benaguacil, che nel 1934 giungeva alla terza edizione.
Risiedeva nel convento di Massamagrell (Valencia), quando si scatenò la persecuzione religiosa del 1936 in Spagna; si rifugiò allora in casa della Sig.ra María Orts Lloris a Vinalesa. Dal suo nascondiglio desiderava di morire per Cristo nella Chiesa cattolica. “Non ebbe reazione contro il martirio - dichiara la Sig.ra María Orts - anzi, al contrario, aveva ardente desiderio di morire per Cristo. La sua reazione davanti al pericolo che correva era di grande serenità e di animo coraggioso. ‘Mi uccideranno - diceva - ma a voi non succederà niente’, come poi effettivamente avvenne”.
A Vinalesa sarà arrestato la notte del 24 agosto 1936. Portato in auto fino a Valencia, quella stessa notte verrà ucciso. In quel momento - racconta la Sig.ra María - “il Servo di Dio ci chiese di pregare che non tornasse indietro nel suo cammino. I miliziani erano armati di fucili e di mitragliatrici. P. Ambrogio dalla nostra casa fu portato al Comitato di Vinalesa per l’interrogatorio. Un’ora più tardi lo condussero al luogo del martirio. Mi consta che durante la strada lo insultarono e lo maltrattarono, imputandogli il delitto di aver tenuto a Benaguacil una predica contro il comunismo. Al che il Servo di Dio rispose: ‘Io ho predicato soltanto la dottrina di Dio e il Vangelo’”.





Fonte:

Santa Sede


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27/08/2015 06:47
 
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Sant' Amedeo di Losanna Vescovo

27 agosto


Chatte (Dauphiné, Francia), 21 gennaio 1110 - Lausanne (Vaud, Svizzera), 27 agosto 1159

Sant’Amedeo, appartenente alla nobile famiglia dei Clermont, figlio del Beato Amedeo il Vecchio, fu allievo di San Bernardo di Clairvaux. Abate di Altacomba dal 1139 e poi vescovo di Losanna dal 1144, fu pastore sollecito nella formazione dei giovani e del clero. Alla morte del conte Amedeo III di Savoia fu nominato tutore del piccolo Umberto III, venerato poi come “beato”. Partecipò a parecchie Diete dell'imperatore Federico I Barbarossa. Amedeo ci ha lasciato alcuni scritti, tra cui otto omelie mariane che hanno le caratteristiche di veri trattati teologici sulla grandezza della Madre di Dio e che gli meritarono di essere considerato un assertore dell’assunzione di Maria. Anche la Liturgia delle Ore riporta alcuni suoi brani. Morì a Losanna il 27 agosto 1159. Le sue reliquie, conservate nella cattedrale, furono rinvenute nel 1911. Il suo culto è stato confermato ufficialmente dal pontefice Clemente XI nel 1710.

Emblema: Mitra, Pastorale


Martirologio Romano: A Losanna nell’odierna Svizzera, sant’Amedeo, vescovo, che, monaco di Chiaravalle, fu posto come abate del cenobio di Hautecombe e, divenuto poi vescovo, istruì con cura i giovani, formò un clero pio e puro e celebrò nella sua predicazione la Beata Vergine Maria.







Sant’Amedeo, appartenente alla nobile famiglia dei Clermont imparentata con la casa reale di Franconia, nacque il 21 gennaio 1110 in Val d’Isèr nel castello di Chatte, nel Delfinato francese.
Suo padre era il Beato Amedeo di Clermont il Vecchio, signore di Hauterive, nella regione Drôme, che abbandonò il mondo con altri sedici cavalieri suoi vassalli entrando nell’Ordine dei Cluniacensi a Bonnevaux. Morì nel 1150, dopo essersi prodigato nella fondazione di vari monasteri.
Tornando dunque al figlio, entrò anch’egli a Bonnevaux con il padre quando non aveva ancora compiuto i dieci anni di età. La sua formazione prosegui poi nel celebre monastero di Cluny dal 1121 e presso la corte reale tedesca, accolto dal parente Corrado, futuro imperatore di Germania.
Ma il giovane Amedeo non si sentiva assolutamente attratto dal mestiere delle armi e nel 1125 giunse alla decisione di iniziare il noviziato nel monastero di Clairvaux, sotto la preziosissima guida di San Bernardo.
Nel 1139 Amedeo fu eletto abate dell’abbazia di Hautecombe (Altacomba), in Savoia, recentemente fondata dal conte Amedeo III per divenire la prima necropoli del casato sabaudo. Già durante tale periodo era conosciuto come il “saggio di Savoia”.
Dal 1145 dovette rinunciare a tale carica, chiamato ad occupare la sede episcopale di Losanna, oggi città capoluogo del cantone svizzero del Vaud. Ricevette la consacrazione episcopale il giorno del suo compleanno, festa di sant’Agnese.
Esercitò il suo ministero nello spirito della riforma cistercense, ma oltre alle funzioni di vescovo dovette occuparsi anche di politica. Alla morte del conte Amedeo III di Savoia, avvenuta nel corso di una crociata, fu infatti nominato tutore del piccolo Umberto III, venerato poi come “beato”. Partecipò a parecchie Diete dell’imperatore Federico I Barbarossa, che lo nominò Gran cancelliere del regno di Borgogna. Coinvolto in conflitti nobiliari, specialmente con il conte Amedeo di Ginevra, e quindi costretto per un certo tempo all'esilio, riuscì a giungere a un compromesso con il duca Konrad von Zähringen.
Tutti questi avvenimenti potrebbero farci pensare che Amedeo sia stato soprattutto un buon politico. Ma vi è un’altra faccia della sua vita.
Egli amava definirsi “Amedeus peccator Lausannensis vocatus episcopus”.
Apostolo infaticabile, fu anche pastore sollecito nella formazione dei giovani e del clero. Era anche solito ritirarsi in un castello nei pressi di Chexbres per potersi assicurare dei tempi di preghiera e di meditazione.
Egli affidò Losanna alla particolare protezione di Maria.
Amedeo ci ha lasciato alcuni scritti tra cui, oltre ad una lettera ai suoi figli spirituali della Chiesa di Losanna, otto omelie mariane che hanno le caratteristiche di veri trattati teologici sulla grandezza della Madre di Dio e che gli meritarono di essere considerato un assertore dell’assunzione di Maria.
I loro titoli sono:
1. Des fruits et des fleurs des vertus de la sainte Vierge.
2. De la justification ou grâce intérieure de la sainte Vierge.
3. De l’incarnation du Seigneur.
4. De l’enfantement de la Vierge et de la naissance de Jésus-Christ.
5. De la force d’âme, ou du martyre de la sainte Vierge.
6. De la joie et de l’admiration de la sainte Vierge à la résurrection et ° l’ascension de Jésus-Christ.
7. De la mort de la sainte Vierge , de son assomption et de son exaltation à la droite de son Fils.
8. De la plénitude de perfection dans la sainte Vierge, de sa gloire et de la puissance de sa proctetion.
Il suo è uno stile fresco, encomiastico e quasi ingenuo, anche nell’affrontare argomenti come la divina maternità, la regalità, l’assunzione, la verginità e la mediazione della Beata Vergin Maria, che egli concepisce quale “Nuova Eva”. Amedeo ci presenta la posizione di Maria nell’economia della salvezza e riscontra in lei il punto di incontro tra i due Testamenti, paragonati a due canestri d’oro posti ai lati di Maria: l’antico profetizza gli eventi futuri ed il Nuovo loda l’onnipotenza di Colui che li ha portò a compimento. In tutto ciò Maria presenziò sempre accanto al Figlio che compie la volontà del Padre.
Nell’esporre il progresso spirituale di Maria, Amedeo illustrò gli effetti dei sette doni dello Spirito Santo su Maria: il Timore di Dio opera la giustificazione di Maria, la Pietà unisce Maria allo Spirito Santo quasi in una vera alleanza nuziale, la Scienza è diffusa nel mondo da Maria tramite il suo parto verginale, la Fortezza si rivela nel mistero della spada che trafigge la sua anima, il Consiglio riempie di gioia l’animo di Maria nei misteri della Resurrezione e Ascensione del Signore, l’Intelletto le dona l’immensa beatitudine nella gloria celeste ed infine la Sapienza riempirà di pienezza la Vergine quando tutti gli uomini giungeranno all’eterna salvezza.
Ora Maria continua nel Cielo la sua materna missione che svolse sulla terra in favore degli uomini. Manifestazione concreta di tale sua opera sono i continui prodigi che opera nei santuari a lei dedicati. La sua materna premura dovrebbe spingere gli uomini a confidare in lei e a rivolgerle preghiere di supplica.
Questo è in sintesi il pensiero di del santo vescovo Amedeo di Losanna, che meritò di essere citato come testimone della fede nell’Assunzione di Maria in occasione della definizione solenne di tale dogma da parte del pontefice Pio XII nel 1950. Amedeo fa inoltre parte di quella che viene definita la “seconda generazione” di autori spirituali cistercensi, con Gilbert de Hoyland, Baudouin de Ford ed Isaac de l’Etoile.
Morì a Losanna il 27 agosto 1159, all’età di quarantanove anni. Questa data fu a lungo al centro di controversie tra gli storici. Le sue reliquie, conservate nella cattedrale, furono rinvenute nel 1911. Il suo culto è stato confermato ufficialmente dal pontefice Clemente XI nel 1710. La Liturgia delle Ore riporta ancora oggi alcuni suoi brani nell’Ufficio delle Letture.


DALLE “OMELIE” DI SANT’AMEDEO DI LOSANNALa santa Vergine Maria fu assunta in cielo. Ma il suo nome ammirabile rifulse su tutta la terra anche indipendentemente da questo singolare evento, e la sua gloria immortale si irradiò in ogni luogo prima ancora che fosse esaltata sopra i cieli. Era conveniente, infatti, anche per l'onore del suo Filgio, che la Vergine Madre regnasse dapprima in terra e così alla fine ricevesse la gloria nei cieli. Era giusto che la sua santità e la sua grandezza andassero crescendo quaggiù, passando di virtù in virtù e di splendore in splendore per opera dello Spirito Santo, fino a raggiungere il termine massimo al momento della sua entrata nella dimora superna. Perciò quando era qui con il corpo, pregustava le primizie del regno futuro, ora innalzandosi fino a Dio, ora scendendo verso i fratelli mediante l'amore.Fu onorata dagli angeli e venerata dagli uomini. Le stava accanto Gabriele con gli angeli e le rendeva servizio, con gli apostoli, Giovanni, ben felice che a lui, vergine, fosse stata affidata presso la croce la Vergine Madre. Quelli erano lieti di vedere in lei la Regina, questi la Signora, e sia gli uni che gli altri la circondavano di pio e devoto affetto. Abitava nel sublime palazzo della santità, godeva della massima abbondanza dei favori divini, e sul popolo credente e assetato faceva scendere la pioggia delle grazie, lei che nella ricchezza della grazia aveva superato tutte le creature. Conferiva la salute fisica e la medicina spirituale, aveva il potere di risuscitare dalla morte i corpi e le anime. Chi mai si partì da lei o malato, o triste, o digiuno dei misteri celesti? Chi non ritornò a casa sua lieto e contento dopo d'aver ottenuto dalla Madre del Signore, Maria, quello che voleva?Maria era la sposa ricca di gioielli spirituali, la madre dell'unico Sposo, la fonte di ogni dolcezza, la delizia dei giardini spirituali e la sorgente della acque vive e vivificanti che discendono dal Libano divino, dal monte Sion fino ai popoli stranieri sparsi qua e là. Ella faceva scendere fiumi di pace e grazia. Perciò mentre la Vergine delle vergini veniva assunta in cielo da Dio e dal Filgio suo, re dei re, tra l'esultanza degli angeli, il giubilo degli arcangeli e le acclamazioni festose del cielo, si compì la profezia del salmista che dice al Signore: «Sta la regina alla tua destra in veste tessuta d'oro, in abiti trapunti e ricamati» (Sal 44, 10 volg.)
[Dalle “Omelie” di sant’Amedeo di Losanna, vescovo (Om. 7; SC 72, 188. 190. 192. 200)]


Autore: Fabio Arduino

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28/08/2015 08:06
 
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Sant' Adelina di Poulangy Badessa

28 agosto




Etimologia: Adelina (come Adele ed Adelaide) = figlia nobile, dall'antico tedesco








Figlia del beato Guido, fratello di s. Bernardo di Chiaravalle, e della beata Elisabetta, che fu badessa di Larrey (Digione), abbracciò la vita monastica nel monastero materno o forse a Jully o a Tard. Inviata a Poulangy (diocesi di Langres) per introdurvi la riforma cistercense, divenne badessa di quel monastero, ca. la metà del sec. XII. Ivi accolse s. Ascelina: nella Vita di quest'ultima sono ricordate le sue virtù. Nella sua attività a profitto dell'Ordine obbedì alle direttive dello zio, s. Bernardo. Morta ca. il 1170, fu onorata come beata o santa; ma non c'è traccia di culto ufficiale. La sua memoria ricorre il 2 sett. o il 28 agosto.


Autore: Fabiano Giorgini

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29/08/2015 09:09
 
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Sant' Adelfo di Metz Vescovo

29 agosto




Etimologia: Adelfo = fratello, dal greco


Martirologio Romano: A Metz nella Gallia belgica, ora in Francia, sant’Adelfo, vescovo.








Visse nel V sec. Secondo una Vita, apparsa nel IX sec. e definita negli Acta Sanctorum «apocrypha et fabulosa», Adelfo nacque da una famiglia di nobili Burgundi. Qualche tempo prima della sua nascita, in sogno apparve alla madre, Beatrice, un angelo che la salutò con queste parole: « Ave, Deo dilecta », e proseguì: «Gaude quia concipies ac panes novum Paulum Adeiphum episcopum». La Vita prosegue narrando la nascita di Adelfo, la sua giovinezza e infine il verificarsi della profezia con la sua elezione a vescovo. Adelfo fu il decimo vescovo di Metz. Ma questa Vita non merita alcun credito, come pure è molto dubbia la notizia, riportata in Gesta episcoporum Mettensium e nel Chronicon episcoporum Mettensium di Paolo Diacono, secondo cui Adelfo sarebbe vissuto nel III sec. Di scarso valore sono anche le scene riprodotte nel sec. XV nei tappeti di Neuvillers.
Nell'836, sotto l'episcopato di Drogone, i resti di Adelfo furono trasportati nell'abbazia di Neuvillers (Alsazia) e divennero mèta di numerosi pellegrinaggi. Nel sec. XI furono collocati in una chiesa consacrata al suo nome ma, durante la Riforma, furono riportati nella chiesa abbaziale. Il busto-reliquiario di Neuvillers è mera imitazione di quello di San Lamberto a Liegi. La festa di Adelfo cade il 29 agosto, ma a Neuvillers è celebrata il 1° settembre.


Autore: Charles Lefebvre

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30/08/2015 07:21
 
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Beato Alfredo Ildefonso Schuster Cardinale arcivescovo di Milano

30 agosto


Roma, 18 gennaio 1880 - Venegono, Varese, 30 agosto 1954

Nacque a Roma il 18 gennaio 1880, divenne monaco esemplare e, il 19 marzo 1904, venne ordinato sacerdote nella basilica di San Giovanni in Laterano. Gli furono affidati incarichi gravosi, che manifestavano però la stima e la fiducia nei suoi confronti. A soli 28 anni era maestro dei novizi, poi procuratore generale della Congregazione cassinese, poi priore claustrale e infine abate ordinario di San Paolo fuori le mura. L'amore per lo studio, che fanno di lui un vero figlio di san Benedetto, non verrà meno a causa dei suoi impegni che sempre più occuperanno il suo tempo e il suo ministero. Grande infatti fu la sua passione per l'archeologia, l'arte sacra, la storia monastica e liturgica. Il 15 luglio1929 fu creato cardinale da papa Pio XI e il 21 luglio fu consacrato arcivescovo di Milano nella suggestiva cornice della Cappella Sistina. Ebbe inizio così il suo ministero di vescovo nella Chiesa ambrosiana fino al 30 agosto 1954, data della sua morte, avvenuta presso il seminario di Venegono, da lui fatto costruire come un'abbazia in cima ad un colle. Fu proclamato beato da Giovanni Paolo II il 12 maggio 1996. (Avvenire)

Etimologia: Alfredo = guidato dagli elfi, dall'anglosassone


Emblema: Bastone pastorale


Martirologio Romano: A Venegono vicino a Varese, transito del beato Alfredo Ildefonso Schuster, vescovo, che, da abate di San Paolo di Roma elevato alla sede di Milano, uomo di mirabile sapienza e dottrina, svolse con grande sollecitudine l’ufficio di pastore per il bene del suo popolo.



Ascolta da RadioRai:




Nato a Roma il 18 gennaio 1880 da Giovanni, caposarto degli zuavi pontifici, e da Maria Anna Tutzer, fu battezzato il 20 gennaio. Rimasto all’età di undici anni orfano di padre, e viste le sue doti per studio e la sua pietà, fu fatto entrare dal barone Pfiffer d’Altishofen nello studentato di S. Paolo fuori le mura. Ebbe come maestri il Beato Placido Riccardi e don Bonifacio Oslander che l’educarono alla preghiera , all’ascesi e allo studio (si laureò in filosofia al Collegio Pontificio di Sant’Anselmo a Roma).
Fu monaco esemplare e il 19 marzo 1904 venne ordinato sacerdote in San Giovanni in Laterano. Gli furono affidati incarichi gravosi, che manifestavano però in se la stima e la fiducia nei suoi confronti. A soli 28 anni era maestro dei novizi, poi procuratore generale della Congregazione Cassinese, successivamente priore claustrale e infine abate ordinario di San Paolo fuori le mura (1918). L’amore per lo studio, che fanno di lui un vero figlio di San Benedetto, non verrà meno a causa dei suoi innumerevoli impegni che sempre più occuperanno il suo tempo e il suo ministero. Grande infatti fu la sua passione per l’archeologia, l’arte sacra, la storia monastica e liturgica.
Gli infiniti impegni lo porteranno dalla cattedra di insegnante alla visita, come Visitatore Apostolico, dei Seminari. Il 26 giugno 1929 fu nominato da papa Pio XI arcivescovo di Milano; il 15 luglio lo nomina cardinale e il 21 luglio lo consacra vescovo nella suggestiva cornice della Cappella Sistina. Ebbe inizio così il suo ministero di vescovo nella Chiesa Ambrosiana. Prese come modello il suo predecessore il Santo vescovo Carlo Borromeo e di lui imitò anzitutto lo zelo nel difendere la purezza della fede, nel promuovere la salvezza delle anime, incrementandone la pietà attraverso la vita sacramentale e la conoscenza della dottrine cristiana. A testimonianza di ciò sono le numerose lettere al clero e al popolo, le assidue visite pastorali, le minuziose e dettagliate prescrizioni specialmente in ordine al decoro del culto divino, i frequenti sinodi diocesani e i due congressi eucaristici. La sua presenza tra il popolo fu continua e costante. Per questo non mancò mai ai riti festivi in Duomo, moltiplicò le consacrazioni di chiese e altari, le traslazioni di sacre reliquie, eccetera. Allo stremo delle forze si era lasciato persuadere dai medici di trascorrere un periodo di riposo. Scelse come luogo il seminario di Venegono, da lui fatto costruire come un’abbazia in cima ad un colle, mistica cittadella di preghiera e studio.
Qui si spense il 30 agosto 1954 congedandosi dai suoi seminaristi con queste parole: “ Voi desiderate un ricordo da me. Altro ricordo non ho da darvi che un invito alla santità. La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione, ma di fronte alla santità, ancora crede, ancora si inginocchia e prega. La gente pare che viva ignara delle realtà soprannaturali, indifferente ai problemi della salvezza. Ma se un Santo autentico, o vivo o morto, passa, tutti accorrono al suo passaggio. Ricordate le folle intorno alla bara di don Orione? Non dimenticate che il diavolo non ha paura dei nostri campi sportivi e dei nostri cinematografi. ha paura, invece, della nostra santità”.
Pochi giorni dopo, l’impressionante corteo che accompagnava la salma del cardinale Schuster da Venegono a Milano confermava che “ quando passa un Santo, tutti accorrono al suo passaggio”. Il processo di beatificazione ebbe inizio nel 1957 e si concluse nel 1995 con l’approvazione del miracolo ottenuto per sua intercessione: la guarigione di suor Maria Emilia Brusati, da glaucoma bilaterale. La proclamazione solenne di beatificazione è del 12 maggio 1996. La memoria liturgica è il 30 agosto.

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31/08/2015 07:16
 
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Sant' Aidano di Lindisfarne Vescovo

31 agosto


Irlanda ? – Bambourgh, Inghilterra, 31 agosto 651

Di Aidano ci è giunta una descrizione a opera del monaco anglosassone Beda il Venerabile, che nacque 20 anni dopo la sua morte. È sconosciuto il luogo e la data di nascita di Aidano, ma si crede che fosse irlandese. Nel 635 fu nel monastero di Iona nell'omonima isola e centro missionario dell'epoca. In quell'anno il re di Northumbria, Oswald desideroso di diffondere il cristianesimo nel suo regno, si rivolse all'abate di Iona, dove era stato convertito e battezzato, affinché mandasse un missionario. Dopo il fallimento del vescovo Cormano, fu mandato lo stesso Aidano, che intanto era stato consacrato vescovo missionario. Accolto dal re Oswald gli concesse l'isola di Lindsfarne nel Mare del Nord per fondarvi un monastero e una sede episcopale. Aidano ebbe un aiuto costante da parte del re Oswald e quando questi morì nel 642, il successore Oswin, continuò ad appoggiarlo nella sua opera di apostolato missionario. Undici giorni dopo la morte del re Oswin assassinato, anche Aidano morì a Bambourgh il 31 agosto 651 e sepolto nel suo monastero. (Avvenire)

Etimologia: Aidano = splendido capo, dall'antico normanno


Emblema: Bastone pastorale


Martirologio Romano: A Lindisfarne nella Northumbria, in Inghilterra, sant’Aidano, vescovo e abate, che, uomo di somma mansuetudine, pietà e rettitudine di governo, dal monastero di Iona fu chiamato dal re sant’Osvaldo a questa sede episcopale, dove fondò un monastero per attendere efficacemente all’evangelizzazione del regno.







Di s. Aidano ci ha lasciato una sua memorabile descrizione, il monaco anglosassone s. Beda il Venerabile (672-735), Dottore della Chiesa, nella sua “Historia Ecclesiastica Gentis Anglorum”, e che nacque 20 anni dopo la sua morte, quindi abbastanza vicino al suo tempo.
È sconosciuto il luogo e la data di nascita di Aidano, ma ragionevolmente si crede che sia irlandese; lo si ritrova nel 635 nel monastero di Iona, fondato nel 563 da s. Colombano nell’omonima isola e centro missionario dell’epoca, al tempo del quinto abate Seghino.
In quell’anno 635, il re di Northumbria, Osvaldo (604-642) desideroso di diffondere il cristianesimo nel suo regno, si rivolse all’abate di Iona, dove era stato convertito e battezzato, affinché mandasse un missionario.
Fu inviato prima il vescovo Cormano, il quale fallì perché considerò il popolo di Northumbria barbaro ed ostinato; Aidano monaco anch’egli ad Iona, non fu d’accordo con Cormano, ritenendo che il suo agire era stato troppo rigido e non comprensivo dell’ignoranza di quelle genti, alle quali bisognava far conoscere “il latte di una dottrina più umana”.
La tesi di Aidano fu accettata dall’abate e così consacrato vescovo missionario, sempre nel 635 fu mandato in Inghilterra, accolto favorevolmente dal re Oswald, il quale visto i successi desiderati in conversioni, gli concesse l’isola di Lindsfarne nel Mare del Nord per fondarvi un monastero con la regola di s. Colomba e una sede episcopale di fronte alla residenza reale di Bambourgh.
L’isola di Lindsfarne, fu poi conosciuta come l’Isola Santa (Holy Island) per il gran numero di monaci e cristiani che l’abitavano. Nel 664 fu riconosciuta la sua primazia sull’Inghilterra cristiana. Aidano ebbe un aiuto costante da parte del re Oswald e quando questi morì nel 642, il successore Oswin, continuò ad appoggiarlo nella sua opera di apostolato missionario.
Beda descrive la sua opera infaticabile, che lo portò a fondare chiese, scuole, monasteri, rafforzando lo ‘sciptorium’ di Lindsfarne, anche se Aidano mantenne gli usi celtici per la celebrazione della Pasqua, introducendoli in Inghilterra.
Uomo virtuoso, dedito all’astinenza, alla carità, alla preghiera e allo studio delle Scritture, seppe nel contempo combattere con vigore i ricchi ed i potenti, che viziosi opprimevano i poveri.
Viaggiava sempre a piedi, evitava di sedersi alla tavola del re, distribuiva ai poveri i doni ricevuti, accontentandosi dello stretto necessario. Si guadagnò per la santità di vita, la stima dei grandi ecclesiastici del tempo; fu direttore spirituale della badessa Ilda.
Undici giorni dopo la morte del re Oswin assassinato, anche Aidano morì a Bambourgh il 31 agosto 651 e sepolto nel suo monastero, ma poi le sue reliquie furono traslate nella chiesa di S. Pietro a Lindsfarne; una parte di esse nel 664, furono portate a Iona, dal suo successore Colmano.
Gli studiosi inglesi lo considerano “l’apostolo dell’Anglia”; a lui è attribuita la vocazione di s. Cutberto (637-687), il quale divenne monaco e poi vescovo di Lindsfarne.
Si raccontano alcuni prodigi da lui compiuti; placò una tempesta versando nel mare dell’olio consacrato e durante una guerra tra il re della Mercia e quello della Northumbria, con le sue preghiere, ritorse addosso ai nemici le fiamme che questi avevano appiccato a Bambourgh.
Venerato particolarmente nell’Argyll e in Scozia, la sua festa è al 31 agosto.


Autore: Antonio Borrelli

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01/09/2015 06:56
 
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Sant' Adiutore Vescovo

1 settembre


V secolo

Etimologia: Adiutore = colui che aiuta, dal latino


Emblema: Bastone Pastorale, Sacra Scrittura








Adiutore, vescovo, santo, venerato in Campania. La più antica memoria di S. Adiutore si trova
in una lista del Martirologio Geronimiano, in varie date (2 giugno, 17-19 dic.) e nel calendario Marmoreo di Napoli (sec. IX), accoppiata a quella di S. Prisco al 1° settembre.
Il culto del santo è diffuso con maggiore larghezza nelle zone di Benevento, Capua, Caserta, Cava, Salerno. Quanto alla personalità di Adiutore, la leggenda riportata negli Acta Sanctorum al 1° settembre, lo fa compagno di quella schiera di 12 vescovi, che, nella persecuzione dei Vandali del V sec., scacciati dall’Africa, approdarono ai lidi della Campania, donde si sparsero nelle regioni vicine, per predicare il Vangelo. La leggenda è troppo tardiva e oggi non viene presa da alcuno in considerazione. In generale si ritiene che Adiutore, come i suoi compagni, appartengano alle stesse regioni in cui predicarono e nelle quali, in seguito, si diffuse il loro culto. Sebbene il Lanzoni, accennando in particolare a sant’Adiutore, ha affermato di non sapere chi fosse, questo culto non può in alcun modo mettersi in dubbio. S. Adiuore era venerato a Benevento, ma nessuno dei cronisti locali, come il Sarnelli (1691) ed il Borgia (1764), lo includono nella lista dei vescovi di quella diocesi. La festa di Adiutore era già celebrata in quella città il 19 XII, ma il card. Orsini, poi papa Benedetto XIII, la fissò per tutta la diocesi al 28 gennaio, dopo aver collocate le reliquie del santo sotto l’altare maggiore della cattedrale, il 10 XI 1687. Nel nuovo Proprio, pubblicato nel 1945, l’Ufficio del Santo è stato soppresso. Particolare culto Sant’Adiutore riceve in Cava dei Tirreni, dove anche oggi è venerato come patrono della città e della diocesi, come primo evangelizzatore e vescovo.
La festa liturgica è assegnata al 15 maggio. Qui il culto, contrariamente a quanto scrive il Mallardo, ha origini assai più remote che a Capua: un castrum sancti Adiutoris, tuttora esiste e che sarebbe stata la dimora del Santo in Cava, è documentato sin dal sec. IX; nel 1049, sotto il principe longobardo Gisulfo, venne donato a S. Alferio, fondatore e primo abate del monastero della Santissima Trinità di Cava; nel 1064 e nel 1096 vi sono chiese dedicate al santo, rispettivamente in Cava ed in Giffoni (Sa), e nel 1200, si ha notizia di un monte S. Adiutore in Eboli; in un calendario pergamenaceo del 1280 dei Benedettini di Cava la festa del santo è assegnata al 18 XII. Il prof. Adinolfi, nella sua Storia della Cava, aggiunge per Adiutore la qualifica di martire all’altra di vescovo, ma è una notizia isolata, che non trova nessuna conferma in nessun documento. Dalla più antica chiesa di Capua dedicata ad Adiutore si trova menzione in un documento del 1266.


Autore: Canio Riccardo Topazio

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02/09/2015 05:31
 
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Sant' Abibo di Edessa Diacono e martire

2 settembre


Edessa, † 15 novembre? 322

Etimologia: Abibo = padre, dalla radice sumerica hab


Emblema: Palma


Martirologio Romano: A Edessa nell’antica Siria, sant’Abib, diacono e martire, che, sotto l’imperatore Licinio, concluse il suo glorioso combattimento condannato al rogo dal governatore Lisania.







Fino a poco tempo fa era ricordato insieme ai santi Guria e Samona al 15 novembre, ma nell’ultimissima edizione riveduta del ‘Martyrologium Romanum’, sant’Abibo è ricordato da solo al 2 settembre, mentre gli altri due martiri sono rimasti al 15 novembre.
Abibo (Habib) era un diacono di Edessa, città della Siria che fu centro di cultura cristiana (Scuola di Edessa) nel IV-V secolo; scampò alla persecuzione contro i cristiani di Galerio, imperatore d’Oriente del 305, il quale poi nel 311 emanò un editto di tolleranza.
In questa persecuzione caddero uccisi nel 306 i santi martiri Guria e Samona, suoi amici e compatrioti; subentrata la tolleranza imperiale, Abibo poté esercitare liberamente il suo ministero e per vari anni sostenne e fortificò la fede del popolo cristiano di Edessa.
Ma con l’avvento dell’imperatore Licinio Valerio (250-325) si scatenò una nuova persecuzione e anche il diacono Abibo fu arrestato, ma riuscì comunque a liberarsi; desideroso del martirio non restò nascosto in attesa del passaggio della bufera persecutoria, e si presentò spontaneamente a Teotecne, uno degli ufficiali di Lisania, governatore della provincia.
Sottoposto ad interrogatorio rimase insensibile a minacce, promesse e torture, finché venne condannato ad essere bruciato vivo (15 novembre? 322).
Benché morto, il suo corpo venne risparmiato miracolosamente dalle fiamme; quindi venne imbalsamato e sepolto presso la tomba dei martiri suoi amici Guria e Samona; il culto fu associato a loro per tutti questi secoli, ma i sedici anni di distanza fra le loro morti, 306 e 322, ha determinato la divisione della celebrazione.


Autore: Antonio Borrelli

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03/09/2015 09:21
 
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Sant' Aigulfo (Aigolfo) di Lerins Abate

3 settembre




Etimologia: Aigulfo = protegge dai lupi, dall'arcaico sassone


Martirologio Romano: Nell’isola di Lérins nella Provenza in Francia, sant’Aigolfo, abate, e compagni monaci, che si ritiene abbiano subito il martirio durante un’incursione dei Saraceni.








Nato verso il 630 a Blois da umili e pii genitori, all'età di venti anni entrò nel monastero benedettino di Fleury-sur-Loire, fondato poco tempo prima e governato dall'abate Mummolo. Questi, secondo un antico agiografo, avrebbe incaricato Aigulfo di recarsi a Montecassino, rovinato dai Longobardi, a prendere i corpi dei ss. Benedetto e Scolastica. La traslazione sarebbe avvenuta fra grandi peripezie nel 653; ma si tratta, come avvertono i Bollandisti, di una favola.
Nominato verso il 671 abate del celebre monastero di Lérins, faticò non poco a farvi ritornare i monaci, che le invasioni barbariche avevano disperso e più ancora a riportarvi la disciplina. A questo proposito si narra che due monaci, Arcadio e Colombo, non potendo tollerare la severità dell'abate, insorsero contro di lui e con l'aiuto di alcuni soldati forniti loro dal vescovo di Uzès, guadagnato al loro partito, lo catturarono insieme con un gruppo di monaci fedeli, strapparono loro la lingua e li accecarono e trasportarono nell'isola di Capraia, dove li uccisero. Circa l'epoca del martirio, si pensa che esso sia avvenuto fra il 674 e il 681. Il numero dei martiri è fatto salire da alcuni a 33, numero che i Bollandisti riducono a tre. Si conoscono i nomi di un Turcharius e di un Frongentius. I loro corpi furono trasportati a Lérins sotto il successore di Aigulfo.
Le reliquie di Aigulfo furono poi trasferite a Provins nel priorato benedettino, durante le invasioni normanne, dove furono riconosciute da Seguino, arcivescovo di Sens, nel sec. X. La festa cade il 3 settembre.


Autore: Charles Lefebvre

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04/09/2015 07:12
 
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Beato Bernardo da Lugar Nuevo de Fenollet (José Bleda Grau) Religioso e martire

4 settembre


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1867 - 1936

Martirologio Romano: Vicino al villaggio di Genovés nel territorio di Valencia sempre in Spagna, beato Bernardo (Giuseppe) Bieda Grau, religioso dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini e martire, che sempre nella stessa persecuzione compì il glorioso combattimento per Cristo.







Era nato a Lugar Nuevo de Fenollet (Valencia) il 23 luglio 1867. Fu battezzato il 28 dello stesso mese nella parrocchia di san Diego de Alcalá de Lugar Nuevo dal parroco D.Antonio Donat, che gli pose il nome di José. Era il maggiore dei tre figli che ebbero gli sposi D. José Bleda Flores e Donna Rosario Antonia Grau Más. Nel suo paese ricordano che “fu un bambino di grande pietà fin dall’infanzia. Nella sua casa - dicono - si conserva ancora una pietra sulla quale, a detta di tutti, si inginocchiava per la preghiera. Apparteneva ad una famiglia molto cristiana. Nonostante fin dall’infanzia desiderasse abbracciare la vocazione religiosa, siccome un suo fratello faceva il servizio militare a Cuba e lui doveva aiutare i genitori, ritardò l’ingresso nell’Ordine cappuccino fino al rientro del fratello”. Entrò nell’Ordine cappuccino nel 1900, vestendo l’abito come fratello a 32 anni di età, il 2 febbraio 1900 dalle mani del P. Provinciale Luís de Massamagrell. Fece la professione temporanea il 2 febbraio 1901 e quella perpetua il 14 febbraio 1904 a Orihuela.
I religiosi dicono di lui che “era figlio dell’obbedienza...Il suo temperamento era straordinariamente pacifico; la qua qualità più notevole era il suo abbandono alla volontà di Dio...Era fedele osservante delle Regole cappuccine...Fr. Berardo era un sant’uomo. Non osava alzare lo sguardo da nessuna parte...era un religioso molto esemplare. Compì perfettamente gli incarichi a cui fu destinato dai Superiori. Era amato da tutti coloro che lo conoscevano”. Dopo la professione fu destinato al convento di Orihuela (Alicante), dove passò tutta la vita come questuante e come sarto della comunità, edificò la gente della città con la sua vita esemplare quando chiedeva l’elemosina e la sua comunità con la sua bontà, umiltà e santità di vita.
Chiuso il convento a causa della persecuzione del 1936, fr. Berardo si rifugiò nel suo paese dai suoi familiari, dedicandosi alla preghiera e alle opere di carità, mostrando in ogni momento pazienza e rassegnazione. Era quasi completamente cieco. La notte del 30 agosto 1936 fu preso dai membri del Comitato locale, con il pretesto che avrebbe dovuto fare alcune dichiarazioni. Lo misero in un’auto e lo condussero al passo della strada di Beniganim, distretto di Genovés (Valencia), dove fu ucciso. Nel Registro civile la sua morte è alla data del 4 settembre 1936.
Il Sig. Francisco Cháfer, abitante del paese, ricorda come scoprì il cadavere di fr. Berardo: “A fine di agosto e in un giorno molto caldo io andavo con mio padre al vicino paese di Beniganim e vidi nella cunetta della strada il cadavere di un anziano. Mio padre mi disse di andare avanti e io, ragazzo di tredici anni, vinto dalla curiosità, mi avvicinai e vidi che era stato colpito da una fucilata in un occhio e che sanguinava copiosamente”.
Così si seppe della sua morte. Il suo corpo fu sepolto in una fossa comune nel cimitero di Genovés. I suoi resti non hanno potuto essere identificati

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05/09/2015 04:54
 
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Santi Aconzio, Nonno, Ercolano e Taurino Martiri

5 settembre




Martirologio Romano: Presso l’odierna Fiumicino, santi Aconzio, Nonno, Ercolano e Taurino, martiri.








Il più antico documento che li ricordi è la Depositio Martyrum, che al 5 settembre reca: «Aconti in Porto, et Nonni, et Herculani et Taurini». Nel Martirologio Geronimiano, invece, sono divisi in due gruppi e riferiti in giorni diversi, probabilmente per influsso delle fonti agiografiche. Infatti al 25 luglio sono ricordati i soli Aconzio e Nonno: «Romae Portu natale Canti (corruzione evidente di Aconti) et Nonni»; curiosa anche la variante Acinti introdotta da Floro, onde si ebbe la falsa interpretazione Jacinti, il martire venerato insieme con Proto. Al 5 settembre, poi, sono ricordati solamente Taurino ed Ercolano. Finalmente nel Martirologio Romano a quest'ultima data è commemorato il solo Ercolano.
Purtroppo di questi martiri non si hanno altre notizie degne di fede: essi sono ricordati, però, nelle favolose leggende di sant' Aurea e di san Censorino. Di Aconzio, tuttavia, si ricorda una chiesa (« titulus sancti Aconti») in un documento del sec. X, precisamente nel Libellus in defensionem sacrae ordinationis papae Formosi; Taurino ed Ercolano appaiono col titolo di martiri in un'iscrizione di Porto. Papa Formoso (891-896), che era stato vescovo di Porto, trasportò nella chiesa di San Giovanni Caibita nell'isola Tiberina, che apparteneva alla diocesi di Porto, le reliquie dei martiri Nonno, Taurino ed Ercolano, e le ripose sotto l'altare maggiore; di Aconzio non si fa menzione: evidentemente doveva riposare in altro luogo, come si può desumere dal testo della Depositio.


Autore: Carlo Carletti

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06/09/2015 07:38
 
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Beato Anastasio Garzon Gonzalez Coadiutore salesiano, martire

6 settembre


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Madrigal de las Altas Torres, Spagna, 7 settembre 1908 - Madrid, Spagna, 6 settembre 1936







Nacque a Madrigal de las Altas Torres, in provincia di Avila, il 7 settembre 1908 e fu battezzato poco dopo. Mentre era allievo delle Scuole Professionali salesiane di Madrid, sentì la vocazione religiosa e ottenne di fare il Noviziato a Carabanchel Alto (Madrid), dove emise i voti il 15 agosto 1929 come coadiutore. Per il buono spirito che lo animava e le attitudini alla meccanica, venne inviato in Italia a completare la formazione tecnica e religiosa. Dopo il ritorno in patria ebbe l’incarico del laboratorio di meccanica nel collegio di Madrid.
Qui lo sorprese la rivoluzione del 1936. Dopo alterne vicende, riconosciuto come religioso, fu definitivamente imprigionato il 6 settembre e condotto alla fucilazione.
Beatificato il 28 ottobre

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07/09/2015 07:25
 
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Sant' Albino (Alpino) di Chalons Vescovo

7 settembre




Etimologia: Albino = bianco, dal latino


Martirologio Romano: A Châlons nella Gallia lugdunense, ora in Francia, sant’Alpino, vescovo, che fu discepolo di san Lupo di Troyes.








I soli dati veramente certi intorno a questo personaggio sono inseriti nella Vita Lupi episcopi Trecensis: «Sanctum quoque Albinum Catalaunicae pontificem civitatis, resplendentem praerogativa diutinae sanctitatis locis plurimis, non silendum est quam saepe daemonum purgator extiterit». Meno certo è quanto si trova nelle due Vite edite e commentate dai Bollandisti. Albino nacque nell'agro di Châlons, in un villaggio chiamato Baia, da genitori cristiani, che all'età di circa vent'anni lo affidarono al vescovo di Troyes, Lupo, perché lo educasse. Poiché sappiamo che Lupo tenne la sede episcopale dal 426-27 al 479, ne consegue che Albino visse nel sec. V. D'altra parte Châlons nel 461 aveva il suo vescovo nella persona di Amando (o Amandino o Amantino) e questo significa che l'episcopato di Albino deve essere collocato dopo quell'anno. Egli era vivo senza dubbio nel 480 e la sua morte si suole collocare verso il 510. Nelle predette Vite si parla di un suo viaggio in Inghilterra per opporsi a Pelagio, morto verso il 427, e di un suo intervento contro Attila, che aveva invaso le Gallie nel 451, ma la cronologia ne dimostra l'inconsistenza. Le sue reliquie furono riconosciute nella seconda metà del sec. IX ed altre volte in seguito. La sua festa si celebra il 7 settembre.


Autore: Pietro Burchi

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08/09/2015 09:28
 
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Beato Adamo Bargielski Sacerdote e martire

8 settembre


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Kalinowo, Polonia, 7 gennaio 1903 – Dachau, Germania, 8 settembre 1942

Il beato Adamo Bargielski, sacerdote diocesano, nacque a Kalinowo (Lomza) il 7 gennaio 1903 e morì a Dachau, Germania, l'8 settembre 1942. Fu beatificato da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi.

Etimologia: Adamo = nato dalla terra, dall'ebraico


Martirologio Romano: Vicino a Monaco di Baviera in Germania nel campo di prigionia di Dachau, beato Adamo Bargelski, sacerdote e martire, che, durante la guerra, si consegnò spontaneamente ai nemici della fede al posto del suo parroco e, dopo aver patito in carcere crudeli torture, raggiunse invitto la gloria eterna

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09/09/2015 06:40
 
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San Ciarano il Giovane Abate

9 settembre




Martirologio Romano: Nel monastero di Clonmacnois sulla riva del fiume Shannon in Irlanda, san Ciarano, sacerdote e abate, fondatore di questo cenobio.








E' uno dei più illustri patriarchi del monachesimo irlandese, Ciarano (ir. Kieràn, Cíarán, Quéràn; lat. Queranus) il Giovane, abate di Clonmacnoise, annoverato tra i «Dodici Apostoli» dell'Irlanda. Nato nel Roscommon o nel Westmeath in Irlanda tra il 510 e il 520, da padre oriundo della contea di Midhe e di mestiere carpentiere (Ciarano era detto, infatti, mac ant Sair, cioè figlio del carpentiere), fu educato e formato alla scuola di sant'Enda e di san Finnian, nei monasteri di Inishmore e di Clonard. Tra il 544 e il 548, fondò, insieme con otto compagni, il famoso monastero di Clonmacnoise (Cluain moccu Nóis), sul fiume Shannon (Sinann) quasi nel centro geografico dell'Irlanda. L'agiografia popolare abbonda di episodi e di leggende che hanno questo santo come protagonista. Morì ancora giovane, probabilmente nel 549. Gli si attribuiscono composizioni poetiche e una regola monastica che, però, non sembrano appartenergli; il suo monastero fu, tuttavia, grazie al suo esempio e alle sue direttive, un faro di cultura e di civiltà per vari secoli.
Nel Martirologio Romano è ricordato il 9 settembre.


Autore: Hilary Inskip

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10/09/2015 04:24
 
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Beati 52 Martiri di Nagasaki

10 settembre


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† Nagasaki, Giappone, 10 settembre 1622

Martirologio Romano: A Nagasaki in Giappone, beati Sebastiano Kimura, della Compagnia di Gesù, Francesco Morales, dell’Ordine dei Predicatori, sacerdoti, e cinquanta compagni, martiri, che, sacerdoti, religiosi, coniugi, giovani, catechisti, vedove e bambini, morirono per Cristo su un colle davanti a una grande folla tra crudeli torture

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11/09/2015 07:22
 
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Sant' Adelfio di Remiremont Abate

11 settembre




Etimologia: Adelfio = (Adelfo) fratello, dal greco


Martirologio Romano: Nel monastero di Luxeuil in Burgundia, ora in Francia, transito di sant’Adelfio, abate del monastero di Remiremont, che lavò a lungo nelle lacrime la discordia di un breve momento

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POTRESTE AVERE DIECIMILA MAESTRI IN CRISTO, MA NON CERTO MOLTI PADRI, PERCHE' SONO IO CHE VI HO GENERATO IN CRISTO GESU', MEDIANTE IL VANGELO. (1Cor. 4,15 .
 
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