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CREDENTI DA IMITARE (Eb.13,7)

Ultimo Aggiornamento: 18/05/2019 13:12
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19/08/2017 07:17
 
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Sant' Italo Martire

19 agosto




Etimologia: Italo = dell'Italia


Emblema: Palma








E’ un santo martire quasi sconosciuto, dal nome si suppone che sia vissuto nell’Italia Centro-Meridionale, probabilmente nel sud del Lazio e morto durante le grandi persecuzioni contro i cristiani al tempo di Diocleziano.
Il nome proviene dal greco ‘Italós’ e si riferisce all’eroe eponimo dell’Italia di origine incerta, vi sono varie leggende che lo dicono venuto da Creta, diventato re degli Enotri o dei Siculi e padre di Sicelo; oppure è un re dei Liguri, oppure un eroe nativo dell’Enotria e re dell’estremità della penisola (Calabria) da lui denominata Italia; oppure figlio di Telegono e Penelope e fondatore di Tuscolo e di Preneste nel Lazio.
Tutte le leggende però concordano ad indicarlo come signore dell’Italia Meridionale e lodano la sua bontà e saggezza legislativa; da lui Aristotele fece derivare il nome Italia.

Il nome Italo come Italia per le donne, sono diventati nomi patriottici e hanno avuto alterne fortune, secondo i periodi storici che l’Italia ha attraversato, come il periodo fascista.
L’hanno portato gli scrittori Italo Svevo, Italo Calvino, l’aviatore Italo Balbo, inoltre è usato come aggettivo composto, ad esempio: accordo italo-francese, ecc.

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20/08/2017 07:51
 
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San Zaccheo il Pubblicano

20 agosto


I secolo







San Zaccheo detto il Pubblicano, figura evangelica, per la verità è ricordato più in Oriente che dai Latini, il 20 agosto e in altre date; la Chiesa Copta il 20 aprile; i Bizantini la 32ª domenica dopo Pentecoste; nel Martirologio di Rabban Sliba è ricordato il 27 agosto come vescovo di Cesarea; non è menzionato nel Martirologio Romano.
In Francia una tradizione leggendaria, lo fa giungere dalla Palestina a Roc Amadour come sposo della Veronica e venerato sotto il nome di Amadoro il 20 agosto.
Zaccheo era il ricco capo dei pubblicani, cioè dei gabellieri che avevano l’incarico di esattori delle tasse a Gerico e nonostante fosse ebreo, per questa sua attività al servizio dei Romani, era disprezzato dai connazionali.
Quando Gesù passò per Gerico, Zaccheo che era basso di statura, per poterlo vedere salì su un albero di sicomoro.
Il Maestro lo vide, lo invitò a scendere e gli chiese di ospitarlo nella sua casa, nonostante il mormorio di disapprovazione dei presenti.
Da quell’incontro nella casa di Zaccheo il Pubblicano, Gesù ottenne da lui la promessa che avrebbe distribuita la metà dei propri beni ai poveri e se avesse frodato qualcuno, avrebbe restituito il quadruplo di quanto estorto.
Al di fuori di questo racconto evangelico, non si sa altro; tutto il resto è leggenda, come la qualifica di vescovo di Cesarea di Palestina, il suo sbarco in Francia, il matrimonio con la Veronica, l’identificazione con l’eremita Amadoro, ecc.


Autore: Antonio Borrelli

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21/08/2017 15:41
 
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San Quadrato di Utica Vescovo e martire

21 agosto




Martirologio Romano: A Utica in Africa, nell’odierna Tunisia, san Quadrato, vescovo e martire, che insieme a tutto il suo popolo, chierici e laici, rese testimonianza di fede in Cristo e, da buon pastore, seguì a quattro giorni di distanza il gregge che aveva pascolato.

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22/08/2017 07:47
 
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San Giovanni Wall Sacerdote e martire

22 agosto


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† Worcester, Inghilterra, 22 agosto 1679

Nato in Inghilterra fu ordinato sacerdote a Douai in Francia e professò la Regola dei Frati Minori. Esercitò il ministero sacerdotale per 22 anni in Inghilterra, finché fu catturato e condannato a morte. Salì il patibolo a Worcester il 22 agosto 1679.

Martirologio Romano: A Worcester sempre in Inghilterra, san Giovanni Wall, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori e martire, che, dopo avere esercitato di nascosto per più di vent’anni il suo ministero di pastore, per il suo sacerdozio morì impiccato al laccio e sventrato con la spada durante il regno di Carlo II.







Nato da buona e facoltosa famiglia nel 1620 forse a Chinale Hall, vicino Prestnn, nel Lancashire, Giovanni Wall entrò nel 1641 nel Collegio inglese di Douai, dove ricevette l'ordinazione sacra nel 1645. Dopo un breve periodo di missione in Inghilterra, tornò a Douai per vestire il saio francescano nel convento di S. Bonaventura (1651), assumendo il nome religioso di fra Gioacchino di S. Anna; molto apprezzato per le sue ottime qualità, rivesti le funzioni di vicario del convento e di maestro dei novizi, quindi nel 1656 partì nuovamente per la missione inglese, andandosi a stabilire, sorto il nome fittizio di Francis Webb, ad Harvingion Hall nella fonica di Worcester; qui potè esercitare indisturbato per oltre ventidue anni il ministero pastorale con grande uiililà dei cattolici locali.
Catturerò inopinatamente nel dic. 1678, a Rushock Court nei pressi di Bromsgravc, all'epoca della presuma congiura papista montata dal famigerato Tiius Oatcs, Wall si rifiutò decisamente di prestare il giuramento di supremazia, per cui venne rinchiuso nelle prigioni di Worcester, dove rimase per cinque mesi tra acerbe sofferenze, sopportate con grande forza d'animo. Il 25 apr. 1679 veniva processato dal giudice Atkins e condannato a morte sotto l'accusa di alto tradimento, in quanto prete ordinalo all'estero e riemraro nel regno per esplicarvi attività sacerdotale.
Ciò nonostante venne inviato a Londra per esservi esaminato da Oatcs, Bcdloe, Dugdale e Prance, dai quali lu tuttavia scagionato da qualsiasi partecipazione al complotto papista, pur venendo nuovamente condannato alla pena capitale per la sua qualità di sacerdote, per cui venne rispedito a Worcester per l'esecuzione, che ebbe luogo qualche tempo più lardi, ovvero il 22 ag. 1679. Poco prima di salire il patibolo VP. scrisse un lungo discorso, in cui trattò del suo processo e della sua condanna e che consegnò ad un amico perché lo facesse stampare, come infatti fu (Londia 1679).
Unica vittima che subisse il martirio a Worcester a causa della fede, Wall fu assistito negli ultimi giorni della sua esistenza dal confratello Guglielmo Leveson (fratello del martire pure francescano vcn. Francesco Lcvcsoi), morto in prigione in quella stessa città a trentaquattro anni l'Il febb. 1680). I resti mortali dell'eroico confessore della fede furono sepolti nel cimitero annesso alla chiesa di S. Osvaldo di Worcester, mentre il capo fu portato al monastero dei Francescani di Douaì, a cui il martire apparteneva, dove è tuttora conservato e venerato.
Innalzato all'onore degli altari da Pio XI il 15 dic. 1929 (ci. AAS, XXII [19301, p. 18, n. CXXX1I), il beato Wall viene commemorato il 22 agosto.

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23/08/2017 09:19
 
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San Zaccheo Vescovo di Gerusalemme

23 agosto


II secolo

Martirologio Romano: Commemorazione di san Zaccheo, vescovo, che si tramanda abbia retto la Chiesa di Gerusalemme quarto dopo san Giacomo, fratello del Signore.







Il Martirologio Romano riporta solo due santi di nome Zaccheo, uno vescovo di Gerusalemme con festa al 23 agosto e l’altro martire di Cesarea di Palestina insieme a s. Alfio con festa al 17 novembre.
S. Zaccheo vescovo, è riportato da Eusebio (265-340) vescovo di Cesarea e storico delle origini della Chiesa, che nella sua “Historia Ecclesiastica” enumera i nomi dei primi quattro vescovi di Gerusalemme e cioè s. Giacomo il Minore apostolo, s. Simeone, Giusto e s. Zaccheo.
Quindi s. Zaccheo fu il quarto vescovo di Gerusalemme e vissuto nel II secolo.
Purtroppo di lui non si sa altro; l’agiografo Adone († 875) fu il primo ad inserirlo nel suo ‘Martirologio’, dal quale passò in quello di Usuardo († 877) e da questi nel ‘Martirologio Romano’, compilato dal card. Cesare Baronio nel XVI secolo.

Ma c’è un terzo s. Zaccheo detto il Pubblicano, figura evangelica che per la verità è ricordato più in Oriente che dai Latini, il 20 agosto e in altre date; la Chiesa Copta il 20 aprile; i Bizantini la 32ª domenica dopo Pentecoste; nel Martirologio di Rabban Sliba è ricordato il 27 agosto come vescovo di Cesarea; non è menzionato nel Martirologio Romano.
In Francia una tradizione leggendaria, lo fa giungere dalla Palestina a Roc Amadour come sposo della Veronica e venerato sotto il nome di Amadoro il 20 agosto.
Zaccheo era il ricco capo dei pubblicani, cioè dei gabellieri che avevano l’incarico di esattori delle tasse a Gerico e nonostante fosse ebreo, per questa sua attività al servizio dei Romani, era disprezzato dai connazionali.
Quando Gesù passò per Gerico, Zaccheo che era basso di statura, per poterlo vedere salì su un albero di sicomoro.
Il Maestro lo vide, lo invitò a scendere e gli chiese di ospitarlo nella sua casa, nonostante il mormorio di disapprovazione dei presenti.
Da quell’incontro nella casa di Zaccheo il Pubblicano, Gesù ottenne da lui la promessa che avrebbe distribuita la metà dei propri beni ai poveri e se avesse frodato qualcuno, avrebbe restituito il quadruplo di quanto estorto.
Al di fuori di questo racconto evangelico, non si sa altro; tutto il resto è leggenda, come la qualifica di vescovo di Cesarea di Palestina, il suo sbarco in Francia, il matrimonio con la Veronica, l’identificazione con l’eremita Amadoro, ecc.


Autore: Antonio Borrelli

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24/08/2017 00:06
 
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San Giorgio il Limniota Monaco e martire

24 agosto


m. 730 ca.

Martirologio Romano: Sul monte Olimpo in Bitinia, nell’odierna Turchia, san Giorgio Limniota, monaco, che deplorò l’empietà dell’imperatore Leone III per aver distrutto le sacre immagini e bruciato le reliquie dei santi e per questo, mutilato per suo ordine del naso e con il capo dato alle fiamme, salì martire al Signore.








Non si ha di lui che una breve notizia che gli consacrano i sinassari bizantini. Egli andò giovanissimo al Monte Olimpo di Bitinia per farsi monaco, ma si ignora in quale monastero. Sotto Leone III l'Isaurico (717-740), fu crudelmente perseguitato per la sua fedeltà al culto delle immagini e delle reliquie. Fu costretto probabilmente a comparire davanti all'imperatore, perché la notizia riferita dai sinassari dice che egli gli rinfacciò la sua empietà.
Giorgio era allora in un'età molto avanzata, si crede novantacinque anni, nondimeno ebbe il naso tagliato e la testa bruciata.
Era un 24 agosto, giorno in cui si celebra la sua festa.


Autore: Raymond Janin

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25/08/2017 09:51
 
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San Genesio di Brescello

25 agosto




Etimologia: Genesio = genitore, generato, dal greco








Venerato a Brescello (Reggio Emilia), come vescovo di quell'antica diocesi, sarebbe vissuto tra la fine del IV e gli inizi del V sec., piú o meno contemporaneamente ai grandi vescovi santi delle altre diocesi dell'Emilia occidentale, Savino di Piacenza, Prospero di Reggio, Geminiano di Modena.
Ma nel caso di Genesio tutti i dati derivano da un testo assai sospetto, la Revelatio beati Genesii episcopi, legata alle vicende che determinarono la ricostruzione dell'antica città vescovile, distrutta nel VI sec. durante la guerra gotica. Quando nella seconda metà del X sec. il fondatore della dinastia canossiana, Adalberto Azzo, iniziando la costruzione del castello di Brescello riportò a nuova vita l'antica città, fu naturale rifarsi alle glorie episcopali di un tempo. La Revelatio, composta appunto in quegli anni, intende narrare le fasi di una inventio fatta durante la ricostruzione: il ritrovamento miracoloso del corpo di un dimenticato santo brescellese, la cui santità sarebbe stata dimostrata dai miracoli che precedettero ed accompagnarono l'invenzione, e la cui identità sarebbe stata svelata dall'iscrizione apparsa sulla tomba:

HIC TITUBUS EST VENERABIBIS GENESII

HUIUS BRIXEBEENSIS URBIS EPISCOPI.

Ma troppo sospetto è l'andamento della Revelatio, che non si discosta dai luoghi comuni di mille inventiones di quegli anni, né l'iscrizione può essere antica. Di un Genesio vescovo di Brescello non sappiamo altrimenti nulla, né tanto meno consta un suo culto, antecedente all'inventio. È del resto significativo che i brescellesi siano dovuti ricorrere per il dies natalis al giorno della festa del martire Genesio, il 25 agosto.
Anche l'iscrizione della lamina plumbea già nella chiesa di Brescello, poi—forse nel sec. XVI — passata al Musco Borgiano di Velletri, edita dall'Affò, testimonia unicamente del culto avviato dalla inventio del X sec.
Una grande abbazia benedettina, consacrata a Genesio, sorse comunque allora e fu largamente dotata da Adalberto Azzo e dai suoi successori. Già nel secolo seguente era fiorente e nel 1099 nuove elargizioni in suo favore compì la contessa Matilde in un diploma che ricorda le benevolenze dei suoi avi per la chiesa di S. Genesio.
Nel 1106 Pasquale II assicurò alla fondazione la piú larga immunità con un privilegio che si richiama, nella narratio, alla stessa Revelatio b. Genesii.
Ma nonostante le altissime protezioni e le amplissime elargizioni concesse all'abbazia, il culto per il presunto vescovo di Brescello non ebbe grande fortuna oltre i limiti del territorio brescellese. Nella cittadina emiliana, però, ancora oggi Genesio è venerato come patrono, e le reliquie scoperte nel sec. X vi sono ancora conservate in una cappella della chiesa parrocchiale.

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26/08/2017 10:39
 
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San Melchisedech Re di Salem e sacerdote

26 agosto


II millennio a.C.



“Melchisedech, re di Salem e sacerdote del Dio altissimo” è citato due volte nell’Antico Testamento. Incontrò Abramo, gli offrì pane e vino e lo benedisse. Abramo in cambio gli consegnò la decima del bottino recentemente conquistato (Gn 14,18-20). Quando Gerusalemme diventò capitale del Regno di Israele, il re Davide venne proclamato “sacerdote per sempre alla maniera di Melchisedech” (Sal 110,4). Tale allusione ad un altro sacerdozio, differente da quello levita, venne utilizzata nella Lettera agli Ebrei: Cristo è sacerdote non per discendenza carnale, ma “alla maniera di Melchisedech” (Eb 6,20). La tradizione cristiana vide in Melchisedech una profezia di Cristo e nell’offerta del pane e del vino la profezia dell’Eucaristia.

Etimologia: Melchisedech = il Re, cioè Dio, è giustizia


Emblema: Pane e vino


Martirologio Romano: Commemorazione di san Melchisedek, re di Salem e sacerdote del Dio altissimo, che salutò Abramo di ritorno dalla vittoria con la sua benedizione, offrendo al Signore un sacrificio santo, una vittima immacolata, e fu visto come prefigurazione di Cristo, re di pace e di giustizia e sacerdote in eterno, senza genealogia.








“Melchisedech, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abramo con queste parole: Sia benedetto Abramo dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici”. Così il libro della Genesi (14,18-20) cita questo misterioso personaggio, vissuto verso il secondo millennio avanti Cristo, re cananeo di Salem, nome arcaico della futura città di Gerusalemme e capitale del re Davide, ed al tempo stesso sacerdote della divinità locale el-'eljòn, cioè “Dio altissimo”.
I segni del pane e del vino, che Melchisedech presentò al patriarca biblico Abramo, per il cristiano divennero segno di un più alto mistero, quello dell’Eucaristia. Proprio in tale nuova luce l’episodio di Melchisedech acquista un nuovo significato rispetto a quello originario. Per l’autore della Genesi infatti l’offerta di pane e vino ad Abramo ed alle sue truppe affamate, di passaggio nel territorio del re di Salem tornando da una spedizione militare contro i quattro sovrani orientali per liberare il nipote Lot, è intesa quale segno di ospitalità, di sicurezza e di permesso di transito. Il territorio di Salem e quindi Gerusalemme saranno infatti strappati come è assai noto ai Gebusei solo secoli dopo dal re Davide. Abramo accettò il benevolo gesto di Melkisedech e ricambiò con la decima del bottino di guerra, così da attuare un sorta di patto bilaterale.
La seconda citazione antico testamentaria è data dal Salmo 110,4, nel quale a proposito del re davidico si dice: “Tu sei sacerdote per sempre, al modo di Melkisedech”, forse per assicurare anche al sovrano di Gerusalemine una qualità sacerdotale, differente dal sacerdozio levitino, in quanto Davide ed i suoi successori appartennero alla tribù di Giuda anziché a quella sacerdotale di Levi.
Sin qui il cuore storico del racconto, per altro non esente da interrogativi e da questioni esegetiche che dilungherebbero però eccessivamente la presente trattazione. E’ invece interessante evidenziare la simbologia che il re di Salem ha acquisito dalla successiva tradizione cristiana.Nel Nuovo Testamento la Lettera agli Ebrei (cap. 7) iniziò infatti ad intravedere in Melchisedech il profilo Gesù Cristo, sacerdote perfetto. Infatti l’autore neotestamentario di tale libro, volendo presentare Cristo come sacerdote in modo unico e nuovo rispetto all’antico sacerdozio ebraico, decise di ricorrere proprio all’antica figura di Melkisedech. Questo nome significa infatti “il Re, cioè Dio, è giustizia”, mentre “re di Salem” vuol dire “re di pace”. Si coniugano così nel re-sacerdote i due doni messianici per eccellenza: la giustizia e la pace. Rimarcando poi il fatto che Abramo si sia lasciato benedire da lui, riconoscendone perciò la supremazia, afferma implicitamente la superiorità del sacerdozio di Melkisedech rispetto a quello di Levi discentente di Abramo. Non resta dunque così che concludere che Cristo, discendente davidico, è “sacerdote in eterno alla maniera di Melkisedech”, proprio come predetto dal Salmo 110. È dunque in questa luce che la tradizione cristiana non esitò a riconoscere nel pane e nel vino offerti dal re di Salem ad Abramo una profezia dell’Eucaristia.
Il celebre padre Turoldo, religioso e poeta del XX secolo, cantò infatti: “Nessuno ha mai saputo di lui, donde venisse, chi fosse suo padre; questo soltanto sappiamo: che era il sacerdote del Dio altissimo. Era figura di un altro, l’atteso, il solo re che ci liberi e ci salvi: un re che preghi per l’uomo e lo ami, ma che vada a morire per gli altri; uno che si offra nel pane e nel vino al Dio altissimo in segno di grazie: il pane e il vino di uomini liberi, dietro Abramo da sempre in cammino”.In quest’ottica Melchisedech entrò a far parte anche del patrimonio liturgico latino, tanto da meritarsi una citazione nel cosiddetto Canone Romano, cioè dopo il Concilio Vaticano II la Preghiera Eucaristica I: “Tu che hai voluto accettare i doni di Abele il giusto, il sacrificio di Abramo, nostro padre nella fede, e l’oblazione pura e santa di Melchisedech, tuo sommo sacerdote, volgi sulla nostra offerta il tuo sguardo sereno e benigno”.Ciò comporto una certa influenza anche nell’ambito iconografico ed in tale direzione sono da segnalare i mosaici della basilica romana di Santa Maria Maggiore, risalenti al V secolo, in cui la scena di Melchisedech è stata collocata nei pressi dell’altare al fine di meglio sottolineare il legame intrinseco con l’Eucaristia. Inoltre sulla parete interna della facciata della cattedrale di Reims, XIII secolo, è raffigurato l’incontro tra Abramo e il re sacerdote proprio come se si trattasse della comunione eucaristica. Infine si cita Rubens che nel ‘600 inserì la scena biblica in un arazzo intitolato “Il trionfo dell’Eucaristia”. Il pane e il vino sono infatti ormai definitivamente intesi come quelli deposti sulla tavola dell’ultima cena da Gesù e la spiegazione del loro valore è costituita dalle parole che Cristo stesso pronunziò nella sinagoga di Cafarnao: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. […] Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me io in lui” (Gv 6,51.56).
Venerato come santo, Mechisedech viene ricordato l’8 settembre nel calendario della Chiesa Etiopica, mentre il nuovo Martyrologium Romanum ha inserito in data 26 agosto la “Commemorazione di San Mechisedech, re di Salem e sacerdote del Dio altissimo, il quale benedicendo salutò Abramo che ritornava vittorioso dalla guerra. Offrì a Dio un santo sacrificio, una vittima immacolata. Viene visto come figura di Cristo re di giustizia, di pace e eterno sacerdote, senza genealogia”.


Autore: Fabio Arduino

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27/08/2017 07:48
 
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San Davide Enrico Lewis Sacerdote gesuita, martire

27 agosto


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Abcrgavenny, Inghilterra, 1616/1617 - Usk, Galles, 27 agosto 1679

Quasi un secolo trascorre dal martirio di Edmondo Campion (1581) a quello di David Lewis (1679), tra il primo e l'ultimo dei gesuiti giustiziati durante la lunga persecuzione conosciuta come la Riforma Inglese. (Altri sei gesuiti, incarcerati appunto perché sacerdoti, morirono a causa dei maltrattamenti fra il 1679 e il 1692). Ciò che li unisce, insieme alla loro comune vocazione, è la causa e la costanza della loro testimonianza con il sangue. Sarà David Lewis, parlando dal patibolo, a parlare per tutti: "Sono Cattolico Romano; sono un prete Cattolico Romano; un prete Cattolico Romano di quell'Ordine religioso chiamato la Compagnia di Gesù; e benedico il momento in cui fui chiamato sia alla fede che al mio ministero. Vi prego ora di constatare che fui condannato per aver detto Messa, ascoltato confessioni, amministrato i sacramenti".

Martirologio Romano: Nella cittadina di Usk in Galles, san Davide Lewis, sacerdote della Compagnia di Gesù e martire: ordinato sacerdote a Roma, per oltre trent’anni celebrò di nascosto i sacramenti in patria e aiutò i poveri, finché subì l’impiccagione in quanto sacerdote sotto il re Carlo II.







Primo dì nove fratelli, Lewis nacque ad Abcrgavenny nella contea di Monmouth nel 1616 (o 1617) da Morgan Lewis, protestante, e da Mar garer Prichard, ferverne cattolica. Dopo aver frequentato la «Royal grammar school» del suo paese, di cui il padre era direttore, entrò, a quanto pare, nel Middle Temple di Londra per seguirvi gli studi legali. Aveva sedici anni quando andò in Francia, insieme con il figlio del conte Savage, fermandosi a Parigi per circa tre mesi, durante i quali si convertì alla religione cattolica per opera del p. Talbot, com'egli stesso dichiarò poi: " Ad annum usque decimum sextum vixi haereticum » (cf. The Responsi Sckolarum of the English College, Rome, ed. A. Kcnoy, TI. Londra 1963, p. 460).
Perduti i genitori nel 1638, Lewis decise di abbracciare lo stato ecclesiastico, per cui, lasciata l'Inghilterra il 22 ag. di quell'anno, con l'aiuto del p. Carlo Gwynne {alias Brown). giunse fl Roma il 2 nov. per essere ammesso al Collegio inglese, sotto lo pseudonimo di Charles Baker. Ordinato sacerdote il 20 lugl. 1642, passò successivameme nella Compagnia di Gesù, dove venne accolto il 19 ag. 1645. Rimpatriato l'anno seguente, prese a svolgere attività missionaria nella sua contea natale di Monmouth, ma nel 1647 fu richiamato a Roma dal generale del suo Ordine, che gli affidò la cura spirituale del Collegio inglese. Desideroso tuttavia di ritornare alle missioni del suo infelice paese, Lewis ne richiese insistentemente l'autorizzazione ai suoi superiori, che non ebbero animo di rifiutargliela. Rimpatriò quindi nuovamente nel 1648, andandosi a stabilire ancora nel Monmouthshire, dove per oltre trenta anni svolse una infaticabile opera di apostolato, dedicando le sue maggiori cure ed attenzioni agli indigenti ed ai bisognosi, che soccorreva amorevolmente in tutte le maniere, tanto da meritare il titolo di « padre dei poveri ».
Denunciato da due coniugi apostati, il Lewis venne catturato nella parrocchia di S. Michele a Llantarnam, nella contea di Monmouth, mentre si apprestava a celebrare la S. Messa all'alba del 17 nov.1678, Condotto a Lanfoist, fu mandato da quei giudici ad Abergavenny, dove subì un primo intcrrogatorio; quindi venne fatto rinchiudere nelle prigioni di Monmouth, dove rimase sino al 13 genn.1679, allorché fu trasferito in quelle di Usk. Il 28 marzo fu ricondotto a Monmouth per esservi processato sotto la solita imputazione di essere un prete cattolico, ordinato sul continente e ritornato in patria ad esercitare le funzioni del suo ministero contro le leggi emanate dalla regina Elisabetta e sempre in vigore.
Condannato a morte per alto tradimento, Lewis vide la sua esecuzione rinviata per ordine del re, per cut fu nuovamente rinchiuso nelle prigioni di Usk. Nel magg. seguente venne portato a Londra per essere interrogato dal consiglio privato, che, pur riconoscendolo innocente, lo rinviò nel carcere Usk, dove rimase per oltre tre mesi, con grande profitto dei cattolici del luogo, che avevano il permesso di visitarlo. Prima di essere impiccato il 27 ag. 1679 in Usk, Lewis potè rivolgere un lungo discorso alla folla riunita intorno al patibolo, che ne rimase profondamente impressionata. Innalzato da Pio XI all'onore degli altari il 15 dic. 1929 (cf. AAS, XX11 [1950], p. 18, n. CXXXIV1. il beato Lewis viene commemorato il 27 ag.
Una descrizione esatta del suo arresto e delle successive vicende a cui andò incontro (A irne narrative of the impmonrnent and trial of Air. Lcwit), redatta dallo stesso martire durante la sua reclusione, si può leggere, unitamente al testo del suo ultimo discorso, in H, Folev, Rccords (cit, in bìbl.. pp. 917-24, 925-28).

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28/08/2017 07:27
 
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Santa Gioacchina De Vedruna Vedova e fondatrice

28 agosto


Barcellona, Spagna, 16 aprile 1783 - Barcellona, Spagna, 28 agosto 1854



Nacque il 16 aprile 1783 a Barcellona in Spagna. Sposò nel 1799 Teodoro de Mas, del quale restò vedova nel 1816. Allevò con cura nove figli. Nel 1826, guidata dallo Spirito di Dio, fondò la Congregazione delle Carmelitane della Carità che diffuse in tutta la Catalogna, aprendo numerose case per l'assistenza agli infermi e per l'opera di prevenzione e recupero delle classi più esposte alle insidie della miseria e dell'ignoranza. Innamorata del mistero trinitario, da esso trasse le caratteristiche della sua spiritualità: preghiera, mortificazione, distacco, umiltà e carità. Morì a Vich il 28 agosto 1854. Fu beatificata il 19 maggio 1940 e canonizzata il 12 aprile 1959.
L’Ordine Carmelitano celebra la sua festa il 22 maggio.

Martirologio Romano: A Barcellona in Spagna, santa Gioacchina de Vedruna, che, madre di famiglia, educò piamente nove figli e, rimasta vedova, fondò l’Istituto delle Carmelitane della Carità, sopportando serenamente ogni genere di sofferenze, finché morì colpita da colera.








La sua, fu una vita paragonabile ad una strada dritta e grande, che per necessità occorre lasciare per imboccare una secondaria e ritornare poi sulla prima dopo un certo percorso.
Figlia di Lorenzo De Vedruna e Teresa Vidal, genitori di genuina fede cristiana, Gioacchina nacque a Barcellona il 16 aprile 1783 e battezzata nello stesso giorno.
Già dalla fanciullezza si sentì attratta dall’amore di Dio, al punto che la madre gli domandava come facesse a stare così lungamente raccolta in preghiera e lei rispose che tutto le parlava di Dio, gli spilli del merletto a tombolo, le ricordavano le spine della corona di Cristo crocifisso e al quale desiderava portare consolazione con piccoli sacrifici; così il filo da cucire le ricordava le corde con cui Gesù fu legato alla colonna e le erbacce delle aiuole per lei rappresentavano i propri difetti e mancanze da sradicare.
Con questi sentimenti così profondi in una bambina, a nove anni fece la Prima Comunione e a dodici decise di consacrarsi al Signore tra le Carmelitane di clausura di Barcellona, ma per la sua giovane età non fu accettata; crebbe negli anni successivi con questo ideale, che sembrava ormai la via principale della sua vita.
A sedici anni però venne chiesta in sposa da Teodoro De Mas, giovane che pure lui aveva sentito forte il richiamo ad una vita religiosa, ma ostacolato dalla volontà dei genitori, essendo il primogenito e l’erede di un nobile casato.
Gioacchina dopo aver avuto dal suo confessore, la rassicurazione che questa era la volontà di Dio, accettò, sposandosi il 24 marzo 1799 con Teodoro. La perfetta affinità di queste due anime, trasformò la loro casa in un’oasi di pace e di concordia; la loro giornata cominciava con l’andare entrambi in chiesa e si chiudeva la sera con la recita del rosario, a cui si unì con gli anni, il coro dei loro nove figli, cresciuti con amore e incoraggiati nella pratica delle virtù, con il loro encomiabile esempio.
Poi dal 1803 al 1813 la Spagna subì il dominio francese di Napoleone Bonaparte; in quest’arco di tempo il popolo spagnolo si ribellò con le armi alla conquista ed anche Teodoro De Mas, discendente da valorosi guerrieri, si arruolò volontario in difesa della Patria.
Fu coinvolto anche nell’assedio di un castello presso Vich, dove oppose con un gruppo di patrioti una strenua difesa e che i francesi non riuscirono ad espugnare; fu questo un periodo d’intensa sofferenza per Gioacchina De Vedruna, in ansia per la vita del marito, le preoccupazioni per i figli e la grande povertà in cui erano precipitati.
Ma nulla riuscì a scalfire la sua sconfinata fiducia nella Provvidenza e senza mai lamentarsi, non smise mai di pregare. Al ritorno dalla guerra, debilitato nel fisico, Teodoro De Mas morì il 6 marzo 1816; alla giovane vedova, che aveva 33 anni, nello stesso momento guardando il grande Crocifisso appeso nella stanza, le parve che dicesse: “Ora che perdi il tuo sposo terreno, ti scelgo io per mia sposa”.
Rimase a Barcellona ancora per dei mesi per tutelare i diritti dei figli, dalle pretese dei parenti e poi si ritirò a Vich nel feudo ereditato dal marito, chiamato “Manso Escorial”, dove poté meglio occuparsi dei figli e dare più ampio respiro alla propria santificazione.
Come purtroppo era una piaga di quei tempi la mortalità infantile, anche a Gioacchina le morirono tre figli in tenera età, poi quattro abbracciarono lo stato religioso e due si sposarono felicemente. Divenuta più libera dagli impegni familiari, pensò che fosse giunto il momento di realizzare la sua antica aspirazione di entrare in un Ordine religioso di clausura; ma il suo direttore spirituale, il cappuccino di Vich padre Stefano di Olot, la dissuase dicendole che Dio non la voleva in un chiostro, ma come fondatrice di una Congregazione di religiose, dedite alla cura degli ammalati e all’educazione delle fanciulle.
Ancora una volta Gioacchina chinò il capo acconsentendo, e il 6 gennaio 1826 a 43 anni, fece la professione di “Carmelitana della Carità” nella cappella vescovile di Vich, nelle mani di mons. Paolo di Gesù Corcuera, vescovo della città di Vich, che tanto l’aveva incoraggiata e dato il nome alla nuova Istituzione.
E così il 26 febbraio 1826 insieme a nove giovani aspiranti, dopo aver ascoltato la Messa, si diressero al “Manso Escorial”, dove iniziarono la nuova vita, fatta di pace e di fervore religioso.
Il suo amore materno si trasmise alle sue nuove figlie, divenendo un fattore fondamentale del metodo educativo delle “Carmelitane della Carità”. Superando privazioni e stenti, un po’ alla volta l’Istituzione crebbe diffondendosi con una fitta rete di case per tutta la Catalogna, confermando come lei diceva: “che la Congregazione non era opera sua, ma di Dio”.
Nel settembre del 1849 fu colpita da un primo attacco apoplettico, a cui ne seguirono altri che la resero paralizzata e secondo un suo desiderio chiesto al Signore, “inutile e spregevole” agli occhi degli altri.
Il 28 agosto 1854 a 71 anni, dopo un’ulteriore attacco del male, le si presentarono i sintomi del colera che in quel periodo decimava il popolo e circondata dall’affetto delle sue figlie, si addormentò nel Signore.
Venne beatificata il 19 maggio 1940 da papa Pio XII e successivamente canonizzata il 12 aprile 1959, dal papa beato Giovanni XXIII.
La Chiesa la ricorda il 28 Agosto, mentre i Carmelitani Scalzi ne fanno memoria il 22 Maggio.


Autore: Antonio Borrelli

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30/08/2017 07:12
 
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San Teodosio di Oria Vescovo

30 agosto


secolo IX







Nell'ultimo quarto del secolo IX resse la Cattedra di Oria un grande Vescovo, Teodosio. Secondo la tradizione locale egli fu educato in Oria da monaci orientali, meglio da anacoreti e trascorse la sua giovinezza presso la corte di Costantinopoli. Eletto vescovo, Teodosio si distinse per la sua attività pastorale, indicendo pure, attorno all'881, un Sinodo. Egli ebbe anche il merito di conservare la pace tra Bizantini e Longobardi e fare convivere nella diocesi la Chiesa latina e quella greca. Si vuole che Teodosio abbia svolto una missione diplomatica a Costantinopoli per conto del papa Stefano V, da cui nell'886 ricevette in dono per la sua Chiesa le reliquie dei santi martiri romani Crisanto e Daria, che depose nella chiesa ipogea a loro dedicata, posta sull'acropoli cittadina e ancora esistente. Lo stesso vescovo Teodosio accolse in Oria, trasportate dalla Palestina, le reliquie di Barsanufio, santo eremita del V secolo, e le depose in una grotta-chiesa, presso la porta della Città, dove su un'architrave monolitico è incisa l'epigrafe +Theodosius episcopus corpus sci Barsanophii condidit et dicabit. Distrutta Oria dai Saraceni, per lungo tempo si perdette il ricordo del Santo. Ritrovate in seguito, le reliquie di Barsanufio furono trasferite nella Cattedrale, dove sono conservate tuttora. S. Barsanufio è il protettore della Città e della Diocesi, che ne celebrano la memoria il 30 agosto.


Autore: Damiano Nicolella

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31/08/2017 09:44
 
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Santi Centomila Martiri di Tbilisi

31 agosto (Chiese Orientali)


XIII secolo







Nel 1225, Gialal Ed-Din, scià di Chorezm, devastata Tbilisi, la capitale della Georgia, massacrò centomila cristiani. Il tragico è descritto in una cronaca georgiana del sec. XIV, nota con il nome di Zhamthaagmzereli [Il descrittore dei tempi], edita nell'antologia La vita della Georgia. Il katholikòs e noto storico della Chiesa georgiana Antonio I, basandosi su tale cronaca, compose nel 1768 l'opera agiografica Lode e narrazione (…), dedicata alle centomila vittime del massacro, e la incluse nella raccolta Martirika, che conteneva altri diciannove racconti di santi martiri georgiani.
Per non stupire il lettore con un numero così elevato di vittime, Antonio I concluse la Cronaca dicendo che, assieme ai cittadini di Tbilisi, erano periti anche gli abitanti dei villaggi, rifugiatisi nelle fortezze della capitale a causa dell'invasione. Difatti, per ordine di Giala Ed-Din, chiunque non avesse rinunciato al cristianesimo, profanando oggetti sacri quali icone e croci, sarebbe stato condannato a morte per decapitazione. La cronaca attesta: “Molti fecero vedere la splendida vittoria e non rinunciarono alla religione, né profanarono le sante icone”. Tuttavia, Antonio I ritiene che molti nel testo della Cronaca non significhi tutti, e aggiunge che alcuni dei prigionieri “rimasero privi della corona”.
Il giorno della commemorazione dei Centomila Martiri della Chiesa georgiana è il 31 agosto.


Autore: Enrico Gabidzashvili

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01/09/2017 08:15
 
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San Tammaro Vescovo

1 settembre


Africa del Nord (data imprecisata) - Benevento, ca. 490

Etimologia: Tammaro = palma da datteri, dall'ebraico


Emblema: Bastone pastorale








Un immigrato dal Nord Africa. Un profugo, arrivato via mare insieme con altri compagni nella regione dell’Agro campano detta Terra di Lavoro (e corrispondente a gran parte dell’attuale provincia di Caserta). Ma quando è arrivato? Un antico documento, la “Vita di san Castrense”, parla del Quinto secolo, dopo l’invasione del Nord Africa da parte dei Vandali di re Genserico (che saccheggerà anche Roma nel 455). Questi ordina una rigida separazione tra la nuova popolazione dei Vandali e i cittadini Romani assoggettati, ed espelle dall’Africa molti preti.
Tra essi, secondo il documento citato, ci sono anche Tammaro e dodici suoi compagni, che dopo aver subito minacce e tormenti vengono imbarcati su una nave e lasciati alla deriva. Giungono fortunosamente sulle coste campane. Di qui i compagni si divideranno, dedicandosi alla predicazione del Vangelo nel Sud dell’Italia. Tammaro ha lasciato ben poche notizie di sé. C’è persino chi lo dice allievo della scuola di sant’Agostino, ma anche qui mancano conferme e documenti certi.
Secondo lo storico capuano Michele Monaco, Tammaro si fa poi eremita nei dintorni di Capua (Caserta). Ma lo vengono a prendere anche nella sua solitudine, e lo acclamano vescovo di Benevento. Troviamo incertezze e difformità su questa nomina, ma è indiscussa la venerazione per Tammaro vescovo, documentata da antichi calendari e dalle molte chiese a lui dedicate in tutta la regione.
Tammaro è uno di quei santi che sembrano aver scelto una sorta di clandestinità, cancellando tracce, lasciando pochissime informazioni sul proprio conto; e tuttavia, misteriosamente, il loro ricordo percorre lo stesso i secoli e i millenni. (Si chiama tuttora Tammaro anche un comune in provincia di Benevento).
Ma un legame particolare ha unito poi il suo nome alla città di Grumo Nevano (Napoli), che oggi rappresenta un importante centro per l’industria dell’abbigliamento. Eredi della secolare devozione a questo santo, già nel XVII secolo gli abitanti di Grumo Nevano lo avevano proclamato loro patrono, portando da Benevento alcune sue reliquie e diffondendone il culto. Tammaro morì probabilmente verso il 490, in età avanzata, e fu sepolto nella sua cattedrale beneventana. Con i successivi rifacimenti del tempio, i suoi resti, con quelli di altri santi, furono collocati in un’arca marmorea. E in quella solida custodia sono rimasti indenni anche sotto il tremendo bombardamento che durante la seconda guerra mondiale distrusse la cattedrale. Una parte delle sue reliquie si trova ora custodita a Grumo, nella chiesa dedicata al santo, e recentemente innalzata alla dignità di basilica.
Nella festa in suo onore vengono esposte in un reliquiario che in un certo senso arriva anch’esso “da oltremare”, come san Tammaro e i suoi compagni, perché è stato donato dai numerosi cittadini di Grumo emigrati negli Stati Uniti.


Autore: Domenico Agasso

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02/09/2017 08:19
 
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San Giusto di Lione Vescovo

2 settembre




Martirologio Romano: A Lione in Francia, deposizione di san Giusto, vescovo, che, lasciato l’episcopato dopo il Concilio di Aquileia, si ritirò insieme al lettore Viatore in un eremo in Egitto, dove condusse per alcuni anni umile vita in compagnia dei monaci; il suo santo corpo insieme alle ossa di san Viatore fu poi traslato a Lione.

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03/09/2017 08:30
 
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Sant' Ausano di Milano Vescovo

3 settembre




Martirologio Romano: A Milano, sant’Ausano, vescovo.








Si trova al ventottesimo posto nella lista episcopale della Chiesa di Milano, che governò nel 558-60, tra Vitale e Onorato. Nella chiesa milanese fu venerato come santo; ne abbiamo testimonianza nella Cronaca di Goffredo di Bussero, del sec. XIII (edita da P. Grazioli, in Archivio storico lombardo [1906], p. 292). Goffredo elogia Ausano come apostolo infaticabile («praedicationis officio non pigro impleto») e come taumaturgo («clarus miraculis coronatus quievit»).
Qualche ombra che potesse aduggiare la figura di Ausano non è difficile dissiparla: si allude a una lettera che papa Pelagio I scrisse tra il settembre 558 e il marzo 560 al patrizio Giovanni, per lamentarsi di Paolino di Aquileia, che, essendosi fatto consacrare vescovo in Milano (e non, secondo la consuetudine, in Aquileia) da un vescovo «scismatico», non doveva considerarsi « consacrato », ma piuttosto « esecrato ». In un'altra lettera al patrizio Valeriano, Pelagio I giunge perfino a raccomandare al destinatario di sequestrare i due prelati, Ausano e Paolino, e di consegnarli all'imperatore; Ma è bene osservare che, anzitutto, non è certo che il vescovo milanese consacrante sia da identificare con Ausano; inoltre, anche se si trattasse di lui, non esistono prove che egli abbia aderito allo scisma dei cosiddetti Tre Capitoli. Probabilmente il papa usò, nei suoi riguardi, l'aggettivo « scismatico » dandogli il senso di un rimprovero piuttosto che di un'esplicita condanna, in conseguenza della consacrazione di Paolino avvenuta in modo irregolare; e se Ausano, come molti vescovi occidentali, si dimostrò davvero contrario alla condanna dei Tre Capitoli formulata dal V concilio Ecumenico, è bene ricordare che tale atteggiamento, in quei tempi agitati, non fu suggerito da animo incline all'eresia, ma piuttosto dalla preoccupazione di non tradire il concilio di Calcedonia e fu determinato anche dalla difficoltà, per gli occidentali, di valutare con piena esattezza il sottile e talora sofisticato linguaggio dei Greci. Di qui si chiarisce una larghezza di vedute dei papi nei confronti dei vescovi occidentali e forse si spiega pure il fatto che Pelagio nella lettera al patrizio Giovanni chiama «scismatico» il vescovo milanese consacrante e nella lettera al patrizio Valeriano, lo chiama semplicemente «vescovo», mentre, nella stessa, non esita a definire Paolino «pseudo-vescovo».
La morte di Ausano avvenne assai probabilmente nel 559; egli il 13 settembre fu deposto nella basilica di Santo Stefano Maggiore, detta ad Rotam o in Brolo, dalla quale fu poi trasportato in Sant'Ambrogio, dove nel 1609 se ne fece una ricognizione ad opera del cardinal Federico Borromeo. Nel Martirologio Romano è ricordato al 3 settembre.


Autore: Pietro Bertocchi

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04/09/2017 07:31
 
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San Mosè Profeta

4 settembre




Etimologia: Mosè = salvato dalle acque, dall'ebraico


Martirologio Romano: Commemorazione di san Mosè, profeta, che fu scelto da Dio per liberare il popolo oppresso in Egitto e condurlo nella terra promessa; a lui si rivelò pure sul monte Sinai dicendo: «Io sono colui che sono», e diede la Legge che doveva guidare la vita del popolo eletto. Carico di giorni, morì questo servo di Dio sul monte Nebo nella terra di Moab davanti alla terra promessa.



Ascolta da RadioRai:





Su questa grande figura di profeta e legislatore del popolo ebraico, si possono scrivere interi volumi riguardanti la sua storia personale e quella degli ebrei; come pure per tutta la sua opera di condottiero, profeta, guida e legislatore del suo popolo.
Bisogna per forza, dato lo spazio ristretto, citare solo i passi salienti della sua vita. Egli è prima di tutto l’autore e legislatore del ‘Pentateuco’, nome greco dei primi 5 libri della Bibbia, denominati globalmente dagli ebrei “la Legge”, perché costituiscono la fase storica, religiosa e giuridica del popolo della salvezza.
Quasi tutta l’opera è dedicata al personaggio e all’opera di Mosè, per mezzo del quale Dio fondò il suo popolo; i “libri di Mosè” sono: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio, essi vanno dalla creazione del mondo alla morte di Mosè.
Visse 120 anni, nel XIV-XIII secolo a. C. e gli ultimi 40 anni della sua vita li dedicò interamente al servizio di Iahweh e di Israele; fu la più elevata figura del Vecchio Testamento e uno dei più grandi geni religiosi di tutti i secoli.
Dio lo preparò a tale compito nei primi 80 anni di vita; nacque durante il periodo più tormentato della persecuzione egiziana contro gli israeliti, sotto il faraone Thutmose III, quando ‘ogni neonato ebreo, doveva essere gettato nel Nilo’, Mosè terzogenito dopo Maria ed Aronne, appartenente alla tribù di Levi, dopo averlo tenuto nascosto per tre mesi, fu posto in un cesto di papiro, spalmato di pece e deposto fra i giunchi della sponda del fiume, mentre la sorella da lontano, controllava.
La figlia del faraone, scese al fiume per bagnarsi e notò il bambino, intenerita lo raccolse e a questo punto la sorella Maria, esce allo scoperto chiedendo se avevano bisogno di una nutrice per allattarlo e propose Iochabed sua madre, la principessa accettò e quindi il bambino, fu ridato senza saperlo alla madre naturale che lo allattò, portandolo poi alla corte alla figlia del Faraone, che lo allevò come un figlio dandogli il nome di Mosé (in egiziano: ragazzo, figlio).
Il ragazzo ebreo ricevé alla corte un’educazione culturale perfetta, più unica che rara, che solo la corte egiziana a quell’epoca poteva dare, che andava dalla letteratura egiziana, alla legislazione babilonese alle leggi e costumi degli Ittiti.

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05/09/2017 09:12
 
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Santi Aconzio, Nonno, Ercolano e Taurino Martiri

5 settembre




Martirologio Romano: Presso l’odierna Fiumicino, santi Aconzio, Nonno, Ercolano e Taurino, martiri.








Il più antico documento che li ricordi è la Depositio Martyrum, che al 5 settembre reca: «Aconti in Porto, et Nonni, et Herculani et Taurini». Nel Martirologio Geronimiano, invece, sono divisi in due gruppi e riferiti in giorni diversi, probabilmente per influsso delle fonti agiografiche. Infatti al 25 luglio sono ricordati i soli Aconzio e Nonno: «Romae Portu natale Canti (corruzione evidente di Aconti) et Nonni»; curiosa anche la variante Acinti introdotta da Floro, onde si ebbe la falsa interpretazione Jacinti, il martire venerato insieme con Proto. Al 5 settembre, poi, sono ricordati solamente Taurino ed Ercolano. Finalmente nel Martirologio Romano a quest'ultima data è commemorato il solo Ercolano.
Purtroppo di questi martiri non si hanno altre notizie degne di fede: essi sono ricordati, però, nelle favolose leggende di sant' Aurea e di san Censorino. Di Aconzio, tuttavia, si ricorda una chiesa (« titulus sancti Aconti») in un documento del sec. X, precisamente nel Libellus in defensionem sacrae ordinationis papae Formosi; Taurino ed Ercolano appaiono col titolo di martiri in un'iscrizione di Porto. Papa Formoso (891-896), che era stato vescovo di Porto, trasportò nella chiesa di San Giovanni Caibita nell'isola Tiberina, che apparteneva alla diocesi di Porto, le reliquie dei martiri Nonno, Taurino ed Ercolano, e le ripose sotto l'altare maggiore; di Aconzio non si fa menzione: evidentemente doveva riposare in altro luogo, come si può desumere dal testo della Depositio.


Autore: Carlo Carletti

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06/09/2017 07:32
 
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Santi Donaziano, Presidio, Mansueto e compagni Martiri

6 settembre




Martirologio Romano: Commemorazione dei santi Donaziano, Presidio, Mansueto, Germano e Foscolo, vescovi in Africa, che, durante la persecuzione dei Vandali, per ordine del re ariano Unnerico, furono orribilmente percossi per aver confessato la verità cattolica e mandati in esilio. Con loro si commemora anche Lieto, vescovo di Nefta nell’odierna Tunisia, uomo coraggioso e di grande cultura, che dopo un lungo periodo di sordida prigionia morì arso sul rogo.

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07/09/2017 06:47
 
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Santi Festo e Desiderio Martiri a Pozzuoli

7 settembre


Pozzuoli, † settembre 305

Martirologio Romano: A Benevento, santi martiri Festo, diacono, e Desiderio, lettore.







La vicenda terrena dei martiri miseni, Festo e Desiderio va posizionata nel secolo IV, ed è strettamente collegata al martirio del grande e più conosciuto, vescovo s. Gennaro e degli altri martiri Sosso, Procolo, Eutiche ed Acuzio.
Bisogna subito dire che i nomi dei sette martiri, compaiono più o meno in ben sette antichi ‘Atti’, ‘Passio’, ‘Vitae’, naturalmente tutti parlando in primo piano di s. Gennaro, del suo famoso miracolo della liquefazione del sangue e poi delle varie traslazioni delle reliquie dei martiri, con destinazioni diverse e del loro culto in varie località.
Dei vari autorevoli documenti sopra citati, vi sono gli “Atti Puteolani” o “Acta s. Proculi”, che illustrano le gesta del martire Procolo; questi “Atti” furono rinvenuti nell’Archivio della Curia di Pozzuoli e pubblicati per la prima volta, dal gesuita bollandista Stilting, nel 1867 a Parigi.
Non avendo la possibilità di accedere a questo Archivio, ci dobbiamo contentare di citare quanto raccontano i cosiddetti “Atti Bolognesi”, conservati in un codice del 1180, del monastero bolognese di S. Stefano dei padri Celestini e che riporta il racconto, già molto noto prima del secolo VII.
Mentre infuriava la persecuzione dell’imperatore Diocleziano (284-305), contro i cristiani, il vescovo di Benevento Gennaro, si trovava a Pozzuoli in incognito, per non essere riconosciuto dai pagani, che allora correvano numerosi a consultare la Sibilla Cumana, la quale risiedeva nel suo antro, appunto nella vicina Cuma.
Ma comunque la sua presenza, era nota ai cristiani della zona, perché il trentenne diacono di Miseno, Sosso o Sossio, accompagnato dal diacono Festo e dal ‘lettore’ Desiderio, si recarono più volte a fargli visita con grande cautela e circospezione. Ma i pagani però smascherarono Sosso come cristiano e lo denunziarono al giudice Dragonzio; il diacono di Miseno fu catturato ed imprigionato e poi condannato ad essere sbranato dagli orsi, nell’anfiteatro di Pozzuoli.
Il vescovo Gennaro, Festo e Desiderio, saputo del suo arresto, pur sapendo dei rischi a cui andavano incontro, vollero far visita a Sosso, per portargli il loro conforto; furono anch’essi scoperti, confessarono di essere cristiani e quindi condotti dal giudice Dragonzio, il quale visto il loro rifiuto di abiurare, li condannò alla stessa pena di Sosso. Non si sa bene il perché, ma la sentenza “ad bestias” fu commutata dallo stesso Dragonzio, nella decapitazione per tutti.
A questo punto entrano nel racconto i tre puteolani, il diacono Procolo ed i laici cristiani Eutiche ed Acuzio, i quali protestarono vivacemente contro la condanna, mentre i martiri venivano condotti al supplizio; con la facilità e il fanatismo di allora, furono presi anche loro e condannati alla stessa pena della decapitazione, che ebbe luogo, secondo la tradizione, il 19 settembre del 305, nel Foro Vulcano, nei pressi della celebre Solfatara.
Da questo punto in poi, il gruppo dei sette martiri campani, li si ritrova nel successivo culto, a volte tutti insieme, a volte a coppie, a volte singolarmente; anche nelle catacombe dette di S. Gennaro, di S. Severo, di S. Gaudioso; essi sono raffigurati divisi e in diverse catacombe.
La storia delle traslazioni delle reliquie è ancora più complessa; quelle di s. Gennaro dall’agro Marciano presso Pozzuoli, dove sembrano che furono tutti sepolti, furono poi portate a Napoli, poi avventurosamente a Benevento, a Montevergine e poi di nuovo a Napoli.
I corpi dei santi Festo e Desiderio, furono sepolti prima fuori Benevento, poi nell’824 nella rinnovata cattedrale di Benevento e poi nell’abbazia di Montevergine. Le reliquie del diacono Sosso o Sossio, vennero accolte con onore nella sua Miseno, città poi distrutta dalle orde saracene nel secolo IX, recuperate furono portate a Napoli e dal 1807 sono custodite e venerate nella città di Frattamaggiore (diocesi di Aversa).
Le reliquie di Eutiche ed Acuzio, furono conservate nel ‘praetorium Falcidii’, presso la basilica paleocristiana di S. Stefano, prima cattedrale puteolana e sembra che nella seconda metà dell’VIII secolo, furono deposte nella cattedrale Stefania di Napoli.
Infine il santo diacono Procolo, patrono principale della città di Pozzuoli, avrebbe trovato una definitiva collocazione nel tempio Calpurniano, trasformato nella nuova cattedrale puteolana.
Secondo un documento del IX secolo, forse fittizio, si dice che nell’871, i corpi di Gennaro, Procolo, Eutiche ed Acuzio, sarebbero stati portati da un cavaliere svevo nell’abbazia di ‘Angia Dives’ o Reichenau, sul lago di Costanza in Svizzera; effettivamente nel 1780 si rinvennero delle ossa, che in successive analisi ed ispezioni fatte nel 1964 a Napoli, confermerebbero che mancano alle reliquie napoletane e puteolane. Nel 1781 Pozzuoli riebbe metà delle reliquie dei tre santi puteolani.
Tralasciamo volutamente tutto il seguito che riguarda il miracolo del sangue e il culto di s. Gennaro, presente nel sito con scheda propria; per completare dicendo che l’iconografia pittorica del martirio dei sette martiri è molto vasta, e se pure in primo piano vi è sempre la decapitazione di s. Gennaro, intorno a lui, in attesa del loro martirio, oppure a terra già decapitati, gli autori dei quadri, hanno sempre inserito gli altri martiri; i tre diaconi Procolo, Festo e Sosso, indossano la tipica ‘dalmatica’ del loro Ordine sacro.
Questo dovrebbe portarci a credere, che il giorno della celebrazione dovesse essere il 19 settembre per tutti, invece a questa data si celebra il solo s. Gennaro; il 7 settembre Festo e Desiderio; Sosso il 23 settembre; Procolo, Eutiche e Acuzio, il 18 ottobre.
Forse queste antiche date, passate poi nel ‘Martirologio Romano’, stanno ad indicare, che è probabile che siano stati martirizzati in due gruppi e in due giorni diversi.


Autore: Antonio Borrelli

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08/09/2017 10:13
 
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San Corbiniano Vescovo, missionario in Baviera

8 settembre


m. 8 settembre 725



Secondo il vescovo di Frisinga, Arbeone, Corbiniano nasce a Castrum nel territorio di Melun, (oggi Arpajon in Francia), ma gli studiosi sono diffidenti. La sua vita e l'opera da lui svolta rientrano nel quadro delle missioni irlandesi sul continente e per questo Corbiniano è ritenuto un monaco insulare. Dopo aver trascorso un periodo di vita ascetica, Corbiniano si porta a Roma, presso Gregorio XI al quale sta a cuore l'evangelizzazione della Baviera. Arrivato in Baviera, è bene accolto dal duca Teodone e dal figlio Grimoaldo, residenti a Frisinga, e gli viene concesso di esercitare il suo apostolato di vescovo missionario. Si stabilisce prima a Maia presso Merano, per la devozione a san Valentino, antico vescovo della Rezia, e di lì passa a Frisinga. È detto primo vescovo di Frisinga, ma erroneamente perché la diocesi è eretta san Bonifacio non prima del 739. Muore l'8 settembre del 725 e viene sepolto a Maia, presso la tomba di san Valentino. Verso il 765 il vescovo Arbeone ne fa trasportare il corpo a Santa Maria di Frisinga. (Avv.)

Emblema: Orso


Martirologio Romano: A Frisinga nella Baviera, in Germania, san Corbiniano, che, ordinato vescovo e mandato a predicare il Vangelo in Baviera, raccolse frutti copiosi.








La fonte più importante su Corbiniano è la sua Vita scritta da Arbeone, vescovo di Frisinga (m. 783), su richiesta di Virgilio, vescovo di SalisbUrgo, in occasione della traslazione del corpo del santo, avvenuta nel 765. Eccellente testimonianza per quanto riguarda i rapporti di Corbiniano con i duchi di Baviera, essa è però meno sicura per quel che concerne l'origine e l'inizio della sua opera missionaria.
Secondo Arbeone, Corbiniano nacque a Castrum nel territorio di Melun, località identificata con Chátres (oggi Arpajon), ma gli studiosi sono diffidenti verso questi dati. La sua vita e l'opera da lui svolta rientrano nel quadro delle missioni irlandesi sul continente e per questo Corbiniano è ritenuto un monaco insulare. Anche la duchessa Pilitrude, che egli aveva richiamato all'osservanza delle leggi canoniche, lo dice: "Britannorum genere ortus". Dopo aver trascorso un periodo di vita ascetica, Corbiniano si portò a Roma, presso Gregorio 11, al quale stava molto a cuore l'evangelizzazione della Baviera. Neppure tale notizia è sicura, in quanto il biografo sembra anticipare in favore di Corbiniano i rapporti di s. Bonifacio con Roma, anzi lo Schneider e il Krusch non accettano il viaggio di Corbiniano alla volta di tale città. Lo Schneider, poi, attribuisce all'immaginazione fertile del biografo i sentieri segreti che il santo avrebbe seguito per passare i monti. Corbiniano, arrivato in Baviera, fu bene accolto dal duca Teodone e dal figlio Grimoaldo, residenti a Frisinga, e gli fu concesso di esercitare il suo apostolato di vescovo missionario. Egli si stabilì prima a Maia presso Merano, per la devozione a s. Valentino, un antico vescovo della Rezia, e di lì passò a Frisinga dove venne in urto con Grimoaldo il quale, contro i sacri canoni, aveva sposato Pilitrude, vedova di suo fratello Teobaldo. C. tornò nuovamente a Maia e in seguito a Frisinga, quando a Grimoaldo succedette Ucperto. Ivi, secondo l'usanza celtica, dimorava in un monastero, S. Maria, diventato poi cattedrale della diocesi. E' detto primo vescovo di Frisinga, ma erroneamente perché tale diocesi fu eretta da s. Bonifacio non prima del 739. Il nome di Corbiniano vescovo appare la prima volta nel libro delle confraternite di S. Pietro di Salisburgo, risalente al 784.
Morì l'8 settembre del 725, o poco dopo, e fu sepolto a Maia, presso la tomba di s. Valentino, secondo il suo desiderio, e verso il 765 il vescovo Arbeone ne fece trasportare il corpo a S. Maria di Frisinga. Un breviario della stessa città, dei secc. XIII-XIV, ricorda la traslazione delle reliquie al 20 novembre. Da allora il santo riposa nella cripta della cattedrale. Il suo giorno abituale passò nel Martirologio di Beda del cod. ora Monacense 15518 e, da questo, nel Martirologio Romano. In una litania di Frisinga, conservata in un manoscritto della seconda metà del sec. X, il nome di Corbiniano è scritto in lettere maiuscole. Nel 1710, una reliquia insigne fu inviata a Chátres-Arpajon. Ad Hótting, nei pressi di Innsbruck, in una cappella eretta in suo onore, si venerava il sangue uscito dal naso del santo durante il trasporto da Frisinga a Maia; raccolto in una ampolla era stato inumato, ma durante la traslazione del 765 era stato ritrovato e onorato nella cappella. Poiché il giorno anniversario della morte di Corbiniano era dedicato alla natività della Vergine, la festa del santo era stata spostata al giorno seguente, 9 settembre.


Autore: Filippo Caraffa

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08/09/2017 10:14
 
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Dai «Discorsi» di sant'Andrea di Creta, vescovo

(Disc. 1; PG 97, 806-810)
Le cose vecchie sono passate,
ecco ne sono nate di nuove

«Il termine della legge è Cristo» (Rm 10, 4). Si degni egli di innalzarci verso lo spirito ancora più di quanto ci libera dalla lettera della legge.
In lui si trova tutta la perfezione della legge perché lo stesso legislatore, dopo aver portato a termine ogni cosa, trasformò la lettera in spirito, ricapitolando tutto in se stesso. La legge fu vivificata dalla grazia e fu posta al suo servizio in una composizione armonica e feconda. Ognuna delle due conservò le sue caratteristiche senza alterazioni e confusioni. Tuttavia la legge, che prima costituiva un onere gravoso e una tirannia, diventò, per opera di Dio, peso leggero e fonte di libertà.
In questo modo non siamo più «schiavi degli elementi del mondo» (Gal 4, 3), come dice l'Apostolo, né siamo più oppressi dal giogo della legge, né prigionieri della sua lettera morta.
Il mistero del Dio che diventa uomo, la divinizzazione dell'uomo assunto dal Verbo, rappresentano la somma dei beni che Cristo ci ha donati, la rivelazione del piano divino e la sconfitta di ogni presuntuosa autosufficienza umana. La venuta di Dio fra gli uomini, come luce splendente e realtà divina chiara e visibile, è il dono grande e meraviglioso della salvezza che ci venne elargito.
La celebrazione odierna onora la natività della Madre di Dio. Però il vero significato e il fine di questo evento è l'incarnazione del Verbo. Infatti Maria nasce, viene allattata e cresciuta per essere la Madre del Re dei secoli, di Dio.
La beata Vergine Maria ci fa godere di un duplice beneficio: ci innalza alla conoscenza della verità, e ci libera dal dominio della lettera, esonerandoci dal suo servizio. In che modo e a quale condizione? L'ombra della notte si ritira all'appressarsi della luce del giorno, e la grazia ci reca la libertà in luogo della schiavitù della legge. La presente festa è come una pietra di confine fra il Nuovo e l'Antico Testamento. Mostra come ai simboli e alle figure succeda la verità, e come alla prima alleanza succeda la nuova. Tutta la creazione dunque canti di gioia, esulti e partecipi alla letizia di questo giorno. Angeli e uomini si uniscano insieme per prender parte all'odierna liturgia. Insieme la festeggino coloro che vivono sulla terra e quelli che si trovano nei cieli. Questo infatti è il giorno in cui il Creatore dell'universo ha costruito il suo tempio, oggi il giorno in cui, per un progetto stupendo, la creatura diventa la dimora prescelta del Creatore.
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09/09/2017 08:01
 
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San Ciarano il Giovane Abate

9 settembre




Martirologio Romano: Nel monastero di Clonmacnois sulla riva del fiume Shannon in Irlanda, san Ciarano, sacerdote e abate, fondatore di questo cenobio.








E' uno dei più illustri patriarchi del monachesimo irlandese, Ciarano (ir. Kieràn, Cíarán, Quéràn; lat. Queranus) il Giovane, abate di Clonmacnoise, annoverato tra i «Dodici Apostoli» dell'Irlanda. Nato nel Roscommon o nel Westmeath in Irlanda tra il 510 e il 520, da padre oriundo della contea di Midhe e di mestiere carpentiere (Ciarano era detto, infatti, mac ant Sair, cioè figlio del carpentiere), fu educato e formato alla scuola di sant'Enda e di san Finnian, nei monasteri di Inishmore e di Clonard. Tra il 544 e il 548, fondò, insieme con otto compagni, il famoso monastero di Clonmacnoise (Cluain moccu Nóis), sul fiume Shannon (Sinann) quasi nel centro geografico dell'Irlanda. L'agiografia popolare abbonda di episodi e di leggende che hanno questo santo come protagonista. Morì ancora giovane, probabilmente nel 549. Gli si attribuiscono composizioni poetiche e una regola monastica che, però, non sembrano appartenergli; il suo monastero fu, tuttavia, grazie al suo esempio e alle sue direttive, un faro di cultura e di civiltà per vari secoli.
Nel Martirologio Romano è ricordato il 9 settembre.


Autore: Hilary Inskip

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10/09/2017 08:04
 
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Santi Nemesiano, Felice, Lucio, Litteo, Poliano, Vittore, Iader e Dativo

10 settembre




Martirologio Romano: Commemorazione dei santi Nemesiano e compagni, Felice, Lucio, un altro Felice, Littéo, Poliano, Vittore, Iader e Dativo, che, vescovi, sacerdoti e diaconi, allo scoppio della feroce persecuzione perpetrata in Africa sotto gli imperatori Valeriano e Gallieno, furono per la loro fede in Cristo dapprima crudelmente percossi e poi legati in ceppi e destinati alle miniere, dove san Cipriano con le sue lettere li esortava a sopportare con fermezza la prigionia e a custodire i precetti del Signore.

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11/09/2017 09:15
 
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Santi Vincenzo, Ramiro e compagni Martiri

11 settembre










Una tardiva ‘Passio’ racconta che s. Vincenzo abate di S. Claudio, monastero sito nella città di León in Spagna, rimase vittima di una persecuzione che Riciliano, ultimo re degli svevi, ariano, aveva scatenato contro i cattolici, nella seconda metà del secolo VI.
Vincenzo fu condotto davanti ad un tribunale e qui professò la sua fede cattolica, parlando apertamente contro gli ariani, che professavano la eresia di Ario (280-336), secondo cui il Verbo incarnato in Gesù, non è della stessa sostanza del Padre, ma rappresenta la prima delle sue creature.
La condanna degli eretici da parte di due Concili, instaurò una lotta non solo ideologica fra il cristianesimo ufficiale ed i fautori dell’eresia.
Per la sua intransigenza dottrinaria, Vincenzo venne decapitato l’11 marzo e sepolto nella chiesa del suo monastero; secondo l’iscrizione sulla lastra della tomba, sarebbe morto nel 630.
Due giorni dopo il suo martirio, vennero uccisi anche Ramiro, priore dello stesso monastero e dodici monaci; del martirio di questo gruppo esistono altre due ‘passiones’ anch’esse tardive e leggendarie.
Le reliquie dell’abate Vincenzo furono in seguito trasferite ad Oviedo, dove ancora si conservano nella cosiddetta ‘Camera Santa’ della cattedrale.
Invece le reliquie di Ramiro e dei dodici monaci, furono trasferite nella cattedrale di León, il 26 aprile 1596. La festa di tutti ricorre a León l’11 marzo, mentre nei martirologi benedettini ricorre l’11 settembre, data riportata anche dal ‘Martirologio Romano’.


Autore: Antonio Borrelli

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12/09/2017 08:42
 
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San Guido di Anderlecht Pellegrino

12 settembre


m. 1012 circa

È uno dei santi più venerati del Belgio. Nato da una famiglia di contadini nella regione del Brabante fu dapprima sagrestano in una chiesa di Laken, nei pressi di Bruxelles. Divenne quindi commerciante, peraltro con l'obiettivo di aiutare i poveri, ma la prima nave che armò affondò nella Senna. Decise allora di indossare gli abiti del pellegrino. Per sette anni si mise in cammino lungo le tormentate strade d'Europa e non solo. Si recò a Roma e a Gerusalemme. Di ritorno dal lungo pellegrinaggio fu ospitato da un sacerdote di Anderlecht, dove poco dopo morì. Era il 12 settembre 1012. Sulla sua tomba si verificarono numerosi miracoli e il culto di Guido crebbe rapidamente. Le sue spoglie si trovano nella Collegiata di Anderlecht. L'iconografia ritrae solitamente Guido come pellegrino o con gli abiti del contadino. Frequentemente accanto a lui c'è un bue. Il culto popolare lo vuole protettore di contadini, sagrestani, cocchieri, stalle, scuderie e cavalli. (Avvenire)

Etimologia: Guido = istruito, dall'antico tedesco


Martirologio Romano: Ad Anderlecht in Brabante, nell’odierno Belgio, san Guido, che fu dapprima custode della chiesa di Mariensee; noto per la sua generosità verso i poveri, si fece pellegrino per sette anni ai luoghi santi e, tornato infine nella sua terra, vi morì piamente.



Ascolta da RadioVaticana:




Due secoli prima che il Poverello di Assisi celebrasse con tanto candore le sue nozze con Madonna Povertà, un altro santo, meno conosciuto, aveva avvertito il pericolo che il denaro fa correre alle anime, anche quando lo si riveste di nobili intenzioni, come il desiderio di soccorrere con l'elemosina gli indigenti. E’ Guido di Anderlecht, che una incerta cronologia colloca negli anni 950-1012. Il suo primo biografo, che scrive nel 1112, al tempo della esumazione delle sue reliquie, lo dice figlio di contadini della regione belga del Brabante. Mite e generoso, Guido mostrò fin da giovane il suo distacco dai beni terreni, donando quanto possedeva ai poveri. Desideroso di condurre vita ascetica, lasciò anche la casa paterna e a Laken, presso Bruxelles, scelse di fare il sacrestano al parroco, per rendersi utile al prossimo e al tempo stesso dedicarsi alla preghiera e alle pie pratiche dell'ascesi cristiana. A un certo punto della sua vita, non per desiderio di guadagno, ma per costituire un fondo a favore dei poveri, si mise nel commercio. Non fu una scelta felice e se ne accorse quasi subito, poiché la prima nave che riuscì ad armare affondò nella Senna con tutto il carico.
Per Guido fu un avvertimento del Cielo, non perchè la professione del commerciante sia contraria alle leggi del Signore - si affrettava a soggiungere il biografo - ma perché egli aveva preferito la via più comune a quella più ardua nel cammino verso la perfezione. Guido indossò allora l'abito del pellegrino e per sette anni percorse le lunghe e insicure strade dell'Europa per recarsi in visita ai più grandi santuari della cristianità. Fu a Roma e poi proseguì per la Terrasanta. Di ritorno dal lungo pellegrinaggio, stanco e malato, venne ospitato da un sacerdote di Anderlecht, una cittadina presso Bruxelles, dalla quale prese l'appellativo e dove poco dopo morì, senza lasciare un ricordo particolare. Infatti anche la sua tomba venne per molto tempo trascurata, finché il ripetersi di alcuni prodigi rinverdì la memoria del santo, al quale fu dedicata una grande chiesa che ne accolse le reliquie.
Nel corso dei secoli la devozione a S. Guido si allargò. Così sotto la protezione dell'umile sacrestano, figlio di contadini, si sono posti i lavoratori dei campi, i campanari, i sacrestani, i cocchieri. S. Guido protegge le stalle, le scuderie e in particolare i cavalli, che durante la festa annuale ad Anderlecht vengono benedetti al termine di una folcloristica processione. Poichè sembra sia morto di dissenteria, il suo nome è invocato da quanti sono afflitti da questo male.

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13/09/2017 07:58
 
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San Marcellino Martire

13 settembre


sec. V

Fu un alto funzionario imperiale, amico di S. Agostino, cristiano esemplare “fama et pietate notissimus”. Per conto dell’imperatore Onorio presiedette la conferenza di Cartagine tra i vescovi cattolici e quelli che seguivano Donato. Questi affermava che la Chiesa è la società dei santi e che non sono validi i sacramenti somministrati da chi è in peccato. Marcellino accusò Donato, contro cui l’imperatore promulgò un edito di proscrizione. I donatisti, per vendetta, lo denunciarono di essere complice di Eracliano, usurpatore del trono di Onorio. Giustiziato, Marcellino venne riabilitato da Onorio un anno dopo la morte.

Etimologia: Marcellino, diminutivo di Marco = nato in marzo, sacro a Marte, dal latino


Emblema: Palma


Martirologio Romano: A Cartagine, nell’odierna Tunisia, san Marcellino, martire, che, tribuno e intimo amico di sant’Agostino e di san Girolamo, per l’ostilità dell’usurpatore Eracliano fu, benché innocente, ucciso dagli eretici donatisti per aver difeso la fede cattolica.



Ascolta da RadioMaria:




Il martirio di Marcellino, alto funzionario imperiale e amico di S. Agostino, è legato allo scisma donatista che dilaniò per più di un secolo la Chiesa africana. Gli inizi risalgono al 310 quando venne contestata la validità della elezione del vescovo di Cartagine, Ceciliano, perché consacrato da vescovi "traditori". Quando l'editto di Diocleziano impose ai cristiani di consegnare i libri sacri per bruciarli, coloro che ne assecondarono la volontà furono detti "traditores" e considerati come pubblici peccatori.
Il vescovo Donato (da cui il nome di donatismo alla sètta), opposto dal partito scismatico al legittimo vescovo Ceciliano, aveva riassunto l'affermazione dottrinale in questi due punti: la Chiesa è la società dei santi; i sacramenti amministrati dai peccatori sono invalidi. Il pretesto dottrinale mascherava in realtà opposizioni regionali e sociali: Numidia contro Africa proconsolare, proletari contro proprietari romani. E’ a questo punto che si inserisce la vicenda personale del santo odierno, vittima illustre dei donatisti.
Marcellino svolgeva a Cartagine le mansioni di tribuno e di notaio. Buon padre di famiglia, cristiano esemplare, venne definito dall'amico S. Agostino uomo molto noto per l'universale stima di cui godeva per la sua religiosità: "fama et pietate notissimus". Desideroso di apprendere, si rivolse spesso a S. Agostino per avere chiarimenti sui punti più controversi della dottrina cattolica. Dobbiamo alla lodevole curiosità del pio funzionario alcune opere scritte dal grande teologo di Ippona, come il trattato “Sulla remissione dei peccati”, “Sullo spirito” e quello più celebre “Sulla Trinità”, che tuttavia Marcellino non poté leggere perché nel frattempo aveva pagato con la vita il coraggio di schierarsi dalla parte della tradizione cattolica, nella conferenza tenutasi a Cartagine nel 411 tra i vescovi cattolici e i donatisti. Marcellino diede la vittoria ai cattolici, e ciò valse un editto di proscrizione contro i donatisti promulgato dall'imperatore Onorio. Per questo i donatisti si vendicarono accusandolo di complicità con l'usurpatore Eracliano. L'accusa era grave e Marcellino fu condannato a morte dal conte Marino il 13 settembre. L'anno dopo lo stesso imperatore riconosceva l'errore commesso dalla giustizia romana. Caduta l'accusa di intesa tra Marcellino e il ribelle Eracliano, vennero sanzionate e approvate tutte le decisioni prese dal tribuno Marcellino, che la Chiesa onorò come martire per non essere mai sceso a compromessi con la verità neppure dinanzi alla morte.


Autore: Piero Bargellini

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15/09/2017 09:00
 
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San Baldo Penitente a Sens

15 settembre


† Sens (Francia), 620 ca.







Una leggenda riportata in un manoscritto del priorato di S. Eligio di Parigi, datato del secolo XIV, narra la vita di s. Baldo penitente, che presenta tutti i tratti delle tragedie medioevali, degne di rappresentazioni teatrali di successo.
Nativo della Spagna o del Portogallo, Baldo sin dall’adolescenza aveva avuto il presagio che avrebbe ucciso il padre e la madre, sconvolto, per non macchiarsi di così grave delitto, abbandonò il paese natio ed andò ad abitare in un villaggio di altra regione, dove poi si sposò.
Dopo vari anni, i genitori presi dal desiderio di rivedere il figlio, si misero alla sua ricerca, trovandolo dopo molti tentativi.
Giunti alla sua casa, furono accolti dalla nuora, perché il marito era assente momentaneamente; pur non conoscendoli li trattò con affabilità, li rifocillò e visto la loro spossatezza per il lungo viaggio, li fece coricare insieme nel suo letto matrimoniale; poi uscì alla ricerca del marito.
Baldo tornò invece per altra strada non incontrandola, entrato in casa vide nel suo letto due corpi nella penombra e supponendo che fosse la moglie che lo tradiva con qualche uomo, accecato dalla gelosia e dall’ira, con una scure affilata tagliò loro la testa.
Pochi istanti dopo la moglie tornò e lui si accorse del terribile sbaglio; in espiazione della sua colpa, decise di abbandonare il tetto coniugale e di condurre vita nomade.
Fu pellegrino al Santo Sepolcro in Palestina, alle tombe degli Apostoli a Roma e ad altri celebri santuari; poi attraversò le Alpi e giunse a Sens in Francia (Gallia) di cui era vescovo Artemio, al quale si confidò chiedendo una penitenza.
Il vescovo gli porse il bastone che teneva in mano, ordinandogli di piantarlo sulla cima di un monte vicino alla città, innaffiandolo con l’acqua del fiume Icauna, finché non mettesse radici, rami, fiori e frutti.
Baldo accettò con gratitudine la penitenza, aumentando lo sforzo del trasporto dell’acqua, scegliendo una strada più lunga e aspra, invece di una breve.
Alla sua morte fu sepolto nella cella che si era costruita sulla cima del monte, si ritiene che morì verso il 620; dopo qualche tempo sul tempo fu edificata una chiesa che prese il suo nome.
Nell’ottobre 1081, la chiesa e i terreni circostanti, furono donati dall’arcivescovo di Sens, Richerio, a Guglielmo abate di S. Remigio sempre a Sens, che vi eresse un priorato detto di San Bond a Paron, meta di pellegrinaggi a Pentecoste.
Nel 1674 passò ai Padri Lazzaristi e nel 1854 divenne parrocchia, dove dopo alterne vicende riposano le sue reliquie.
Il culto fiorì in varie zone della Francia, a Parigi e a Soissons, dove è patrono della parrocchia di Pavant con festa al 15 settembre. A Sens invece è festeggiato il 29 ottobre.


Autore: Antonio Borrelli

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17/09/2017 09:19
 
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San Stanislao di Gesù Maria (Jan Papczynski) Sacerdote, fondatore

17 settembre


Podegrodzie, Polonia, 18 maggio 1631 - Góra Kalwaria, Polonia, 17 settembre 1701



Jan Papczynski nacque il 18 maggio 1631 a Podegrodzie, in Polonia. Entrato tra i padri Scolopi col nome di Stanislao di Gesù Maria, divenne sacerdote nel 1619. Il suo impegno per una maggior osservanza della Regola lo vide costretto a chiedere di essere dimesso dalla congregazione, per evitare ulteriori attriti con i confratelli della Provincia polacca. L’11 dicembre 1670 compì un atto di offerta a Dio e alla Vergine Immacolata, promettendo di impegnarsi a propagandarne il culto con la fondazione di un nuovo istituto, i Chierici mariani sotto il titolo della Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. Padre Stanislao propose la sua idea di vita religiosa a un gruppo di eremiti che vivevano a Puszcza Korabiewska (attuale Puszcza Mariańska). L’ordine – l’ultimo di chierici regolari nella storia della Chiesa – ricevette l’erezione canonica dal vescovo di Poznań. L’approvazione pontificia avvenne il 21 settembre 1699. Tra le sue particolarità, oltre a quella della difesa dell’Immacolata Concezione, entrarono anche la preghiera per le anime del Purgatorio, specie quelle dei soldati e di coloro che muoiono improvvisamente, e la predicazione ai contadini scarsamente istruiti dal punto di vista religioso. Padre Stanislao, ormai malato, morì il 17 settembre 1701 a Nowa Jerozolima (oggi Góra Kalwaria), nel piccolo convento attiguo alla chiesetta detta “Cenacolo del Signore”, dove attualmente è sepolto. È stato beatificato il 16 settembre 2007 e canonizzato domenica 5 giugno 2016.








Nascita e primi anni
Jan Papczyński nacque il 18 maggio 1631 a Podegrodzie, in Polonia, probabilmente ultimogenito del fabbro Tommaso e di Sofia, nativa di Tacikowska. Quasi nulla sappiamo di suo fratello Pietro e delle altre sei sorelle. Terminati gli studi elementari, frequentò la scuola media parrocchiale di Podegrodzie tra il 1649 e 1650, poi presso i collegi gesuiti di Leopoli ed a Rawa Mazowiecka. Qui nel 1654 completò anche il biennio di filosofia.

Sacerdote tra gli Scolopi
Entrò dunque dagli Scolopi nel noviziato di Podoliniec, assumendo il nome religioso di Stanislao di Gesù Maria. Durante il secondo anno di noviziato intraprese a Varsavia gli studi teologici e qui nel 1656 professò i voti semplici. Fu ordinato diacono e, nel, 1661 sacerdote.
Padre Stanislao si distinse innanzitutto quale maestro di retorica, ma durante il suo soggiorno a Varsavia, tra il 1663 ed il 1669, divenne anche famoso come predicatore e confessore. Tra i penitenti che si rivolsero a lui vi fu anche il nunzio apostolico in Polonia, Antonio Pignatelli, poi asceso al soglio di Pietro col nome di Innocenzo XII. Il santo sacerdote prestava inoltre particolare attenzione ai problemi interni al suo istituto e fu promotore di una più stretta osservanza della regola, nonché di un maggior peso dei religiosi della provincia polacca nell’elezione dei loro superiori.

Dimissioni e fondazione dei Chierici Mariani
La provincia era però divisa su tali argomenti in due fazioni nettamente contrapposte e per riportare la pace al Papczyński non restò che chiedere nel 1670 la dimissione dalle Scuole Pie.
Intraprese dunque la fondazione di un nuovo ordine religioso, i Chierici Mariani dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, che con ben due secoli d’anticipo rispetto alla proclamazione pontificia di tale dogma promosse il culto di cotanto singolare privilegio mariano. A tal fine scelse per la novella congregazione l’abito bianco, che egli stesso assunse nel 1671.
Per dare maggiore impulso alla sua opera decise di associarsi con Stanislao Krajewski ed i suoi compagni, che vivevano nell’eremitaggio di Korabiew, odierna Puszcza Mariańska. Padre Papczyński fu nominato superiore dal vescovo Swiecicki il 24 ottobre 1673 e proprio tale data è comunemente considerata quale fondazione ufficiale dei Padri Mariani.

Erezione canonica e carattere specifico
L’unione suddetta impose a questi ultimi un’impostazione di vita eremitica e penitenziale di stretta clausura, ma ciò fu di aiuto per giungere nel 1679 all’erezione canonica, pur non concordando propriamente con il carattere che il fondatore voleva imprimere al nascente istituto, per esempio nell’opera di assistenza pastorale ai parroci.
Spinto dalle esperienze mistiche delle pene del Purgatorio e dalle richieste rivoltegli dalle anime dei soldati caduti in battaglia contro i turchi, padre Stanislao sin dal 1676 volle includere tra le principali finalità della congregazione il suffragio per le anime maggiormente bisognose del Purgatorio, in particolare le vittime della guerra e della peste.

Attività apostolica e consolidamento della congregazione
Dal 1677 ottenette una seconda casa, cioè quella di Nuova Gerusalemme presso l’odierna Góra Kalwaria, ove lui stesso si stabilì e rimase sino alla morte nel piccolo convento attigua alla chiesetta detta “Cenacolo del Signore”. Qui svolse un’intensa attività apostolica, anche in favore della povera gente delle campagne.
Rimase sempre attento all’osservanza della regola e si dedicò con premura al governo dell’istituto religioso. Onde provvedere ad una sua maggiore stabilità giuridica ed alla possibilità di emettere i voti solenni da parte dei mariani, ma solo nel 1699 ottenne l’approvazione pontificia che, ritenendo la “Norma Vitae” quale Costituzioni, concedette loro la Regola delle Dieci Virtù della Beata Vergine Maria, che comportò però l’aggregazione all’Ordine Serafico degli Osservanti.

La morte e la sua eredità
Ormai seriamente malato, il santo fondatore morì il 17 settembre 1701, lasciando parecchi scritti spirituali.
A quel tempo l’ordine contava solo una ventina di membri, ma nel XVIII secolo trovarono nuovo vigore grazie all’opera riformatrice intrapresa da Padre Casimiro Wyszynski e nel 1786 papa Pio VI concesse loro l’indipendenza dagli Osservanti. Nel 1908 i Mariani erano ormai ridotti ad un solo membro, ma il provvidenziale ingresso del beato Giorgio Matulaitis portò ad una nuova riforma che diede nuova vita a questa famiglia religiosa, portandola a contare centinaia di membri in tutto il mondo: Polonia, Stati Uniti d’America, Inghilterra, Portogallo, Germania, Argentina, Brasile, Australia, Lituania, Lettonia e Italia; la Casa generalizia è a Roma.

La causa di beatificazione
Mentre era ancora in vita, padre Stanislao di Gesù Maria era circondato da un’incontestata fama di santità e già nel 1751 fu promossa la causa per portarlo alla gloria degli altari. È facile comprendere il motivo per cui i processi si protrassero per secoli, vista la movimentata storia dell’ordine, ma con il primo papa polacco, san Giovanni Paolo II, la causa ritrovò lo slancio decisivo: il 13 giugno 1992 il Pontefice autorizzò la promulgazione del decreto con cui lui veniva dichiarato Venerabile.

Il primo miracolo e la beatificazione
Sotto il pontificato di Benedetto XVI, il 16 dicembre 2006, è stato riconosciuto un miracolo attribuito alla sua intercessione: la nascita di un bambino polacco, Sebastian, avvenuta nel 2001, nonostante fossero sopraggiunte complicazioni durante la gravidanza. La beatificazione si è svolta a Lichen, in Polonia, il 16 settembre 2007, presieduta dall’allora Segretario di Stato vaticano, cardinal Tarcisio Bertone, come inviato del Santo Padre.

Il secondo miracolo e la canonizzazione
Come secondo miracolo per la canonizzazione è stata convalidata la guarigione di una giovane donna polacca, Barbara. Mentre era prossima al matrimonio, nella Quaresima del 2008, prese ad avere qualche problema respiratorio, poi perse conoscenza ed entrò in terapia intensiva. Sua madre ricevette nella sua parrocchia un libretto con la novena per chiedere grazie mediante il Beato Stanislao e iniziò la preghiera: nel giro di pochi giorni, Barbara riprese conoscenza e, quando venne sottoposta a esame radiologico, si vide che i polmoni non avevano alcun segno di malattia. Si sposò poche settimane dopo; oggi ha due bambini.
La canonizzazione è stata celebrata da papa Francesco domenica 5 giugno 2016 a Roma, insieme a quella della Beata Maria Elisabetta Hesselblad, durante il Giubileo straordinario della Misericordia.

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18/09/2017 09:12
 
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Sant' Eumenio di Gortina Vescovo

18 settembre




Martirologio Romano: A Górtina nell’isola di Creta, sant’Eumenio, vescovo.

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19/09/2017 08:03
 
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ant' Emilia Maria Guglielma de Rodat

19 settembre


Druelle (Rodez, Francia), 6 settembre 1787 - Villefranche-de-Rouergue, 19 settembre 1852



Maria Guglielma Emilia de Rodat è la fondatrice delle suore della Sacra Famiglia, che si dedicano a diverse categorie di persone in difficoltà: ragazze, bimbi, carcerati, malati. Nata nel 1787 a St. Martin de Limouze, in Francia, la sua giovinezza trascorse nel clima della Rivoluzione. Diede vita alla congregazione a Villefranche nel 1815. I carismi mistici di cui era dotata furono da lei vissuti nel nascondimento. Morì a Villefranche nel 1852. Papa Pio XII l'ha elevata agli onori degli altari come beata nel 1940 e poi, dieci anni dopo, l'ha proclamata santa. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Villefranche nel territorio di Rodez in Francia, santa Maria Guglielma Emilia de Rodat, vergine, che fondò la Congregazione delle Suore della Santa Famiglia per la formazione della gioventù femminile e l’assistenza ai poveri.








Nel bel castello di Druelle (vicino a Rodez, nel sud della Francia) il 6 settembre 1787 nacque Maria Guglielma Emilia, primogenita di Gian Luigi de Rodat e di Enrichetta de Pomeyrols, entrambi appartenenti ad antica nobiltà. Aveva appena due anni quando venne affidata alla nonna materna che viveva nell’appartato castello di Ginals, nei pressi di Villefranche de Rouergue, lontana dagli sconvolgimenti della Rivoluzione Francese prima e napoleonica poi. Era con loro anche una zia monaca visitandina, secolarizzata a causa delle soppressioni religiose. Dal carattere vivace, crebbe agiatamente mantenendo profondi sentimenti religiosi. A undici anni fece la prima comunione, in modo semiclandestino visti i tempi difficili. All’ingresso in società, a sedici anni, sentì una certa insofferenza verso lo stile di vita austero in cui era cresciuta. Cambiò confessore, scontrandosi inevitabilmente con la nonna. Fece ritorno dai genitori, ma anche qui dovette adeguarsi alle abitudini monotone della casa. I principi religiosi di Emilia avevano radici profonde e la festa del Corpus Domini del 1804 segnò la sua maturazione spirituale: decise che avrebbe speso a gloria di Dio tutta la vita. Compiuti i diciotto anni, iniziò a collaborare con le suore di Saint Cyr di Villefranche, presso cui aveva studiato. Il desiderio di unirsi alla comunità era però di difficile attuazione in quanto, in realtà, quell’istituto era gestito da religiose di differenti congregazioni, soppresse durante la Rivoluzione. Non seguivano un’unica Regola e per l’età già avanzata erano poco propense ad accettare le idee innovative di Emilia. Iniziò invece un ottimo rapporto con l’abate Antonio Marty, cappellano della scuola, che per tre volte le suggerì di realizzare la propria vocazione altrove. Andò dalle Dame di Nevers a Figeac, poi a Cahor e infine dalle Suore della Carità di Moissac, ma inutilmente. Ogni volta tornava a Villefranche con molta incertezza e una profonda pena nel cuore. La svolta arrivò nella primavera del 1815, durante la visita ad un’ammalata. Comprese il reale disagio economico e morale in cui vivevano i poveri dei paesi circostanti e che il modo duraturo per migliorare le condizioni dei loro figli era istruirli: divenne lo scopo della sua vita. Importante fu l’incoraggiamento dell’abate Marty.
I primi bambini (quaranta!) furono ospitati in una piccola stanza dell’Istituto St. Cyr. Tre giovani donne, seguendo il suo esempio, costituirono il nucleo della futura Congregazione delle Suore della Santa Famiglia, dette di Villefranche. L’iniziativa suscitò molta ammirazione, ma pure i malumori di alcune religiose della casa e di parte del clero locale. Emilia, con l’aiuto del Marty, non si scoraggiò e l’anno successivo aprì una scuola gratuita in un locale preso in affitto. Poco dopo le religiose della casa di St. Cyr lasciarono i locali alla Rodat che, con otto compagne, aveva intanto pronunciato pubblicamente i voti religiosi. I bambini accolti erano diventati cento. Nel 1819 Madre Emilia acquistò anche un monastero abbandonato, ma la morte prematura di alcune suore e di alcune orfanelle, a causa di un’epidemia, fece scandalo. Si sentì indegna di portare avanti un progetto tanto ambizioso e pensò di porre fine al nascente istituto, confluendo nell’Ordine delle Figlie di Maria, da poco fondato. Furono proprio le compagne a convincerla a portare avanti un’opera tanto necessaria. Iniziarono per Emilia, in quegli anni, alcuni disturbi di salute che durarono poi tutta la vita: un tumore al naso e un ronzio permanente all’udito. Le sue suore, nel frattempo, erano richieste anche in altre città. La Madre, come ormai era chiamata, aprì una casa ad Aubin dove si era recata per farsi curare, portando avanti il progetto nonostante il dissenso dell’abate Marty che, chiamato ad altri incarichi (Vicario Generale della diocesi di Rodez), interruppe la collaborazione. Il numero delle case crebbe e le suore si dedicarono, oltre che all’insegnamento, anche all’assistenza ospedaliera e carceraria. Emilia amava però, soprattutto, la preghiera contemplativa ed ebbe l’ispirazione di fondare anche alcune comunità di claustrali che divennero il motore silenzioso di tutta l’opera.
Madre Rodat era per tutti un punto di riferimento anche se il carattere forte e a tratti austero, alle volte, causava malumori. Con cortesia e arguzia trovava la soluzione ad ogni problema. Temendo tuttavia di peccare d’orgoglio, visse gli ultimi anni in modo forse eccessivamente dimesso.
Nell’aprile del 1852 il tumore che da tanti anni la tormentava attaccò l’occhio sinistro. Consapevole della gravità della malattia lasciò l’incarico di Superiora Generale. La salute peggiorò costantemente fino al 19 settembre, giorno in cui finalmente fu accolta tra le braccia del Padre Celeste. Molti, con la sua intercessione, ottenevano grazie e la tomba divenne meta di pellegrinaggi. Beatificata nel 1940, fu canonizzata nell’Anno Santo 1950 (il 23 aprile) da Papa Pio XII.
L’opera di S. Emilia, attraverso la Congregazione delle Suore della Santa Famiglia, è oggi presente in varie parti del mondo.

Autore: Daniele Bolognini

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POTRESTE AVERE DIECIMILA MAESTRI IN CRISTO, MA NON CERTO MOLTI PADRI, PERCHE' SONO IO CHE VI HO GENERATO IN CRISTO GESU', MEDIANTE IL VANGELO. (1Cor. 4,15 .
 
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