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CREDENTI DA IMITARE (Eb.13,7)

Ultimo Aggiornamento: 18/05/2019 13:12
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12/06/2017 08:42
 
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Sant' Odolfo

12 giugno


m. 865 circa

Martirologio Romano: A Utrecht in Lotaringia, nell’odierna Olanda, sant’Odolfo, sacerdote, che evangelizzò i Frisoni

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13/06/2017 08:43
 
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San Trifilio di Leucosia (Nicosia) Vescovo

13 giugno




San Trifilio, vescovo di Leucosia (odierna Nicosia) a Cipro, difese con forza la fede del Concilio di Nicea. Come riferì San Girolamo fu chiarissimo oratore del suo tempo e stupendo commentatore del Cantico dei Cantici.

Martirologio Romano: A Nicosía nell’isola di Cipro, san Trifillo, vescovo, che difese strenuamente la retta fede di Nicea e, come afferma san Girolamo, fu l’oratore più eloquente del suo tempo e straordinario commentatore del Cantico dei Cantici.








Il bollandista Papebroch ha pubblicato nel 1698 l'unica Vita di Trifillio che ci è pervenuta. F. Halkin nel 1948 ne ha dato una nuova edizione riveduta e corretta con un commento sulla vita e sul culto del santo.
Secondo questo racconto Trifillio era originario di Roma, ma fu educato a Costantinopoli dove il padre era stato trasferito dall'imperatore Costantino. Giovane si portò insieme con la madre a Gerusalemme. Al ritorno divenne primo discepolo di s. Spiridione vescovo di Trimitonte (Cipro) e poi vescovo di Leucosia, oggi Nicosia. Durante l'episcopato predicò tutti i giorni alle sue pecorelle, fece numerosi miracoli e visse poveramente. Fondò un monastero dove sua madre morì. Dopo la morte, gli Agareni profanarono il suo corpo troncandogli la testa e gettarono le reliquie nel fuoco. Alcune di esse si salvarono e furono rinvenute nascoste nel muro.
L'autore di questa biografia si è limitato a raccogliere le tradizioni orali che circolavano a Leucosia su Trifillio. Egli non conosce quanto s. Atanasio, s. Girolamo e Sozomeno hanno scritto sul personaggio. S. Girolamo (De viris illustribus, 92) riferisce che Trifillio lasciò alcuni scritti, fra i quali commentari al Cantico dei Cantici, ma nessuna sua opera è pervenuta. Sozomeno nella sua Storia Ecclesiastica (I, 11) dà alcuni particolari sulla sua formazione giuridica a Beirut e sulla sua eloquenza un po' mondana. S. Atanasio elogia la sua ortodossia in quanto era stato a lui favorevole nel concilio di Sardica. Anche le tracce sul culto non sono numerose.
Nei menei greci è ricordato il 13, l'11 o il 12 giugno. Nel sec. XVI il suo nome fu introdotto nei calendari e martirologi occidentali: prima dal Molano nel 1573. dal Genebrard nel 1577 e dai compilatori del Martirologio Romano nel 1584 con la data al 13 giugno. Le chiese slave si sono conformate ai bizantini nella commemorazione al 13 giugno. La sua immagine orna il calendario russo figurato, dipinto nel sec. XVII e riprodotto dal Papebroch e dal Martinov.

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15/06/2017 12:07
 
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Sant' Isfrido di Ratzeburg Vescovo

15 giugno


† Ratzeburg, Germania, 15 giugno 1204

Canonico professo del monastero di Cappenberg in Westfalia. Nel 1159 venne eletto preposito di Jerichow e nel 1180 vescovo di Ratzeburg. A quel tempo la diocesi era affidata ai Premostratensi ed Isfrido fu lieto di non dover mutare il suo modo di vivere. A lui di deve la restaurazione del monastero di Floreffe, vicino a Namur, distrutto da un incendio, e la consacrazione della chiesa abbaziale di Postel in Belgio, allora sotto la giurisdizione di Floreffe. Gli antichi annali di Stederburg lo presentano come uomo esimio per sapienza cristiana, umiltà e fortezza. Degno successore di S. Evermondo, continuò l’opera di conversioni presso i Vendi non senza diversi problemi e difficoltà. Morì il 15 giugno 1204, giorno in cui se ne celebra la memoria. Nella diocesi di Osnabruck godette di culto antico confermato nel 1725 da Benedetto XIII all’Ordine dei Premostratensi.

Martirologio Romano: A Ratzeburg nell’Alsazia, ora in Germania, sant’Isfrido, vescovo, che, mantenendo l’osservanza di vita dei Canonici Premostratensi, si adoperò per l’evangelizzazione dei Vendi.



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16/06/2017 08:07
 
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San Similiano di Nantes Vescovo

16 giugno


sec. IV

Martirologio Romano: A Nantes sempre nella Gallia lugdunense, san Similiano, vescovo, che san Gregorio di Tours loda come grande confessore.

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18/06/2017 09:57
 
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Sant' Ilia il Giusto Ciavciavadze Martire

18 giugno (Chiese Orientali)


1837 - 1907







Poeta e scrittore, pubblicista e pensatore georgiano, Ilia fu detto il «re non coronato della Georgia». Venne assassinato dai terroristi socialdemocratici.
Era nato nel villaggio di Qvareli (Georgia orientale, provincia di Kacheti) nella famiglia di un principe decaduto; ancora in tenera età perdette i genitori e venne accolto nella famiglia della zia patema, Macrina, dalla quale fu allevato e ricevette la prima formazione. Successivamente, Ilia studiò al ginnasio per i nobili di Tbilisi e, nel 1861, concluse il corso di laurea presso la facoltà giuridica dell'Università di San Pietroburgo.
Nelle sue prime opere poetiche, Ilia esprime la protesta contro l'ingiustizia sociale, che nell'impero russo si concretizzava nell'istituto della servitù della gleba tra i contadini. A poco a poco la penna del giovane poeta e scrittore si volse a educare la coscienza nazionale dei georgiani. Infatti, fin dai primi anni di studio a San Pietroburgo, si avvertiva in I. l'ispirazione derivante dalle idee del Risorgimento italiano.
Dopo il ritorno in Georgia, Ilia si dedicò a svolgere un'intensa attività in svariati campi della vita sociale. Fondò diversi giornali e riviste in lingua georgiana. I suoi articoli attaccavano i numerosi tentativi di falsificare il passato storico della Georgia da parte dell'ideologia ufficiale del governo zarista. Nessun aspetto della situazione politica e spirituale di allora sfuggì alla sua attenzione.
Numerosi sono i racconti, i poemi, le poesie di Ilia, e tale produzione costituisce uno dei più notevoli fenomeni della letteratura georgiana dell'Ottocento.
Oltre a svolgere un'intensa attività di scrittore, Ilia non mancò di servire il suo popolo, entrando nelle strutture ufficiali della società. Fu giudice, funzionario per compiti speciali, presidente dell'Associazione della pubblica istruzione dei georgiani, organizzatore di istituti e scuole femminili, presidente della Banca georgiana.
Nel 1906 Ilia fu eletto al Parlamento russo (la cosiddetta Gosudarstvennaja Duma). In tale occasione, egli fece questa dichiarazione: «Se io entro nel consiglio statale per esprimere gli interessi dei nobili, ciò è pura apparenza formale e giuridica. Nel consiglio io sarò il rappresentante e il difensore degli interessi di tutta la Georgia e di tutti i georgiani».
Ilia è giustamente considerato un innovatore e, anzi, il creatore della moderna lingua letteraria georgiana. Il suo contributo in questo campo è paragonabile a quello di Alessandro Manzoni per la letteratura italiana.
Una profonda religiosità pervade tutte le opere di Ilia scrittore. Il suo concetto di poesia è chiaramente profetico: il poeta, secondo lui, è un inviato divino che dev'essere allevato dal popolo. Il vertice della sua opera poetica è il poema L'eremita, in cui sono trattate questioni ascetiche e spirituali, ed è sviluppato il concetto della preghiera attiva. L'incontro fra l'eremita e il mondo, nel poema finisce tragicamente, il monaco solitario cade in demenza. Tuttavia, l'atmosfera spirituale dell'opera, intrisa di devozione, non consente di pensare a una semplice storia di tentazione e di umano fallimento. Lo sforzo dell'autore risiede altrove: egli tenta di rinnovare il concetto esistente riguardo alla via della salvezza. La strettezza della via evangelica, secondo l'autore, deve essere concepita nel senso della sua difficoltà oggettiva e come misura dell'ardore spirituale che essa esige dall'uomo, e non nel senso di certi comportamenti apparsi nel lungo itinerario delle ricerche umane; indagini che, con il passare del tempo, a poco a poco perdono la loro forza di suggestione.
La morte violenta di Ilia, ucciso dai socialdemocratici nel 1907, dimostrò ancora una volta al popolo georgiano la grandezza di questo suo figlio.
Ilia è stato canonizzato dalla Chiesa ortodossa georgiana nel 1987. Il giorno di commemorazione è quello della sua morte: il 18 giugno.

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19/06/2017 01:04
 
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San Remigio Isoré Sacerdote gesuita, martire

19 giugno


>>> Visualizza la Scheda del Gruppo cui appartiene

Bambecque, Francia, 22 gennaio 1852 – Wuyi, Cina, 19 giugno 1900

Rémy Isoré nacque il 22 gennaio 1852 a Bambecque, in Francia. Nel 1875 stava per essere ordinato sacerdote diocesano quando chiese di essere ammesso nella Compagnia di Gesù. Nel 1882 fu inviato missionario in Cina, dove quattro anni dopo, il 30 luglio 1886, ricevette l'ordinazione presbiterale con san Leon-Ignace Mangin. Si trovava in una comunità dei gesuiti a Chiang Kiach quando ebbe inizio la rivolta dei Boxers. Mentre tornava al suo posto di missione, fece tappa a Ho-oui, dove si incontrò con il confratello Modeste Andlauer. Entrambi vennero sorpresi dai Boxers il 19 giugno 1900 nel villaggio di Ho-oui. Tutti i cristiani presenti furono radunati e vennero proposte loro due alternative: «Se andrete a destra, vuol dire che siete cristiani. Se andrete a sinistra, sarete salvi». Una trentina di persone optarono per la prima possibilità e furono massacrate. Tra questi i due missionari francesi. (Avvenire)

Emblema: Palma


Martirologio Romano: Nel villaggio di Wuyi vicino alla città di Xianxian nella provincia dello Hebei in Cina, santi Remigio Isoré e Modesto Andlauer, sacerdoti della Compagnia di Gesù e martiri, che, durante la persecuzione dei Boxer, furono uccisi mentre pregavano davanti all’altare.








Dal primo annuncio del Vangelo in terra cinese sino ai giorni nostri, i missionari francesi, spagnoli ed italiani, nonché i cristiani indigeni, hanno subito ripetute violente persecuzioni perpetrate dai vari regimi succedutisi. Il 1° ottobre 2000 in Piazza San Pietro a Roma papa Giovanni Paolo II canonizzò 120 martiri caduti in Cina in odio alla fede cattolica tra il 1648 ed il 1930. Poiché il martirio avvenne in diverse regioni affidate dalla Santa Sede a religiosi di differenti ordini e congregazioni, i martiri sono stati divisi in gruppi secondo le loro rispettive congregazioni: Dominicani (6), Francescani (30), Gesuiti (56), Salesiani (2), e Missioni Estere di Parigi (24). Due martiri non appartengono a nessuno dei gruppi citati. La maggioranza dei martiri furono laici, ma non mancano anche alcuni vescovi, sacerdoti e religiosi. Il gruppo complessivo canonizzato da papa Wojtyla fu denominato “Santi Agostino Zhao Rong e 119 compani” e la memoria facoltativa è stata inserita nel calendario liturgico romano al 9 luglio.
L’apice delle persecuzioni in terra cinese si ebbe nell’anno 1900, con la cosiddetta “rivolta dei Boxers”: iniziata nello Shandong, diffusasi poi nello Shanxi e nell’Hunan, raggiunse anche lo Tcheli Orientale Meridionale, allora Vicariato Apostolico di Xianxian, affidato ai Gesuiti, ove i cristiani uccisi si contarono a migliaia. Secondo alcuni storici, in tale vicariato circa 5000 Cattolici offrirono la loro vita per la fede in Cristo, ma purtroppo si è a conoscenza dell’identità solamente di 3069 di loro. Fra questa immensa schiera i padri gesuiti raccolsero materiale e testimonianze circa quattro loro confratelli di origine francese (Leon Ignace Mangin, Paul Denn, Modeste Andlauer, e Remi Isore) e ben 52 laici cristiani cinesi: uomini, donne e bambini, sposati e catecumeni, il più anziano (Pablo Liou-Tsinn-Tei) aveva l’età di 79 anni, mentre il più giovane (Andrea Wang Tien-K'ing), soltanto 9 anni. Tutti subirono il martirio nel mese di luglio 1900; molti di essi furono uccisi nella chiesa del villaggio di Tchou-Kia-ho in cui si erano rifugiati ed erano in preghiera insieme ai primi due dei missionari sopra elencati. Per questo folto gruppo, denominato “Leon-Ignace Mangin e 55 compagni” fu introdotta dunque la causa di canonizzazione il 28 maggio 1948, che portò alla beatificazione il 17 aprile 1955, in seguito al riconoscimento del loro martirio avvenuto il 22 febbraio precedente, ed infine come già anticipato all’ufficializzazione della loro santità da parte di Giovanni Paolo II durante il Grande Giubileo del 2000.

Rémy Isoré nacque il 22 gennaio 1852 a Bambecque, diocesi di Cambrai. Intrapresi gli studi seminaristici, nel 1875 stava per essere ordinato sacerdote diocesano quando chiese di essere ammesso nella Compagnia di Gesù. Nel 1882 fu inviato missionario in Cina, dove quattro anni dopo, il 30 luglio 1886, ricevette l’ordinazione presbiterale con San Leon-Ignace Mangin. Si trovava in una comunità dei gesuiti a Chiang Kiach quando ebbe inizio la rivolta dei Boxers e non gli rimase che mettersi subito in cammino per tornare al suo posto di missione, Weihsien. Fece tappa a Ho-oui, dove si incontro con il confratello Modeste Andlauer per discutere circa la difficile situazione.
Entrambi vennero sorpresi dai Boxers il 19 giugno di tale anno nel villaggio di Ho-oui, ove aveva sede la missione di padre Isoré, che si fermarono nella piccola cappella della loro comunità. Tutti i cristiani presenti furono radunati sul piazzale antistante e vennero proposte loro due alternative: “Se andrete a destra, vuol dire che siete cristiani. Se andrete a sinistra, sarete salvi”. Una trentina di persone optarono per la prima possibilità e furono subito massacrate, tra i quali i due missionari francesi.
Il Martyrologium Romanum, che commemora separatamente i martiri in base agli anniversari di morte, commemora i Santi Modeste Andlauer e Remy Isoré al 19 giugno, mentre la celebrazione comune a tutti i martiri cinesi è posta al 9 luglio.


Autore: Fabio Arduino

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20/06/2017 08:41
 
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San Guibsech di Cluain-Bairenn

20 giugno










I Mar­tirologi di Gorman e del Donegal commemorano questo santo il 20 giug. È il patrono di Cluain-Bairenn (Clonburren, contea di Roscommon) e po­trebbe esservi qualche connessione tra lui e Càirech Dergain, considerato fondatore di una comunità di monache a Cìuain-Bairenn.


Autore: Léonard Boyle

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21/06/2017 08:08
 
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Santa Marzia Martire

21 giugno




Emblema: Palma








Santa Marzia è venerata il 21 giugno insieme a s. Rufino, ambedue martiri di Siracusa, essi sono citati in tutti i più antichi Martirologi, compreso quello ‘Romano’ che è il più ufficiale.
Ma alcuni studi tendono ad escludere la loro esistenza a Siracusa, identificando Rufino con il martire Rufo o Rufino di Capua, il cui nome è scolpito al 21 giugno, sul famoso calendario marmoreo di Napoli, conservato in locali adiacenti il Duomo; mentre Marzia o Marcia, sarebbe una corruzione di Marciano, primo vescovo di Siracusa, ricordato oggi il 14 giugno, ma anticamente lo era al 30 ottobre.
Come si vede se è realmente esistita una santa Marzia, di lei non si sa niente solo che era martire e che comunque è ricordata il 21 giugno.

Il nome deriva dal latino ‘Martius’ e significa “dedicata a Marte”, il nome originale è Marcia, come la moglie di Catone, ma fu Dante che cambiò il nome in Marzia. Martius era anche il nome del nostro mese di marzo. Ad ogni modo il nome Marzia è sufficientemente diffuso in Italia.


Autore: Antonio Borrelli

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22/06/2017 08:33
 
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San Flavio Clemente Console e martire

22 giugno




Nel 1725 furono ritrovate, nella chiesa di S. Clemente Papa al Laterano, alcune sue presunte reliquie. Flavio Clemente era nipote dell’imperatore Vespasiano e marito di Flavia Domitilla (omonima della santa citata nel Martirologio Romano alla data 22 giugno).

Martirologio Romano: A Roma, commemorazione di san Flavio Clemente, martire, che dall’imperatore Domiziano, di cui era stato collega nel consolato, fu ucciso con l’accusa di ateismo, ma in realtà per la sua fede in Cristo.



Ascolta da RadioVaticana:




La famiglia dei Flavi, a cui appartenne Flavio Clemente, era originaria probabilmente di Rieti. Il valore, la capacità l'intraprendenza di alcuni suoi membri consentirono a questi provinciali, non appartenenti all'antica aristocrazia, il raggiunoimento, a metà del sec. I, delle più alte cariche dello Stato. Flavio Vespasiano, poi, venne proclamato imperatore nel 69 iniziando la dinastia dei Flavi.

Flavio Clemente, figlio di Flavio Sabino, fratello dell'imperatore Vespasiano, poté egli pure raggiungere altissime cariche essendo stato proclamato console nel 95. Aveva sposato una parente, Flavia Domitilla, da cui ebbe sette figli, due dei quali, destinati alla successione imperiale, giacché il cugino Domiziano, succeduto a Tito nell'81, era senza prole. Le fortune della famiglia vennero però improvvi.samente troncate da Domiziano. Infatti., neo-li ultimi anni del suo impero, divenuto quanto mai sospettoso e crudele, fece eliminare molte persone, ritenute a lui avverse. Iniziò anche una persecuzione contro i giudei e i cristiani, quantunque non si sappiano precisare esattamente i motivi addotti per la condanna di questi ultimi.

Anclie Flavio Clemente venne coinvolto nella persecuzione domizianea. La grande maggioranza degli storici ritiene che egli sia caduto in disgrazia perché aveva fatto professione di Cristianesimo. Sia Svetonio, sia Dione Cassio parlano esplicitamente di condanna, maper il motivo usano espressioni molto generiche. Il testo di Svetonio dice: «Denique Flavium Clementem patruelem suum, contemptissimae inertiae... repente ex tenuissima suspicione tantum non ipso eius consulatu interernit » (Domit., 15, 1). A sua volta Dione Cassio riferisce: «in questo anno (95) Domiziano mandò a morte con molti altri, Flavio Clemente, allora console, benché fosse suo cugino e avesse in moglie Flavia Domitilla, sua parente. Tutti e due furono condannati per il delitto di ateismo. Secondo questi capi di accusa furono condannati molti altri, che avevano seguito i costumi giudaici: alcuni furono uccisi, altri puniti con la confisca dei beni» (Historia romana, LXVII, 13-14). Come si vede nessun accenno al Cristianesimo; ma dalle fonti contemporanee sappiamo che i cristiani per la loro vita riservata erano ritenuti quasi degli ignavi (contemplissimae inertiae di Svetonio) e soprattutto furono accusati di ateismo, come attestano gli apologisti cristiani.

Può darsi che Flavio Clemente non volendo compiere un atto di culto pagano abbia dato a Domiziano il motivo per condannarlo. Nell'antichità non c'è menzione di culto; al 9 novembre il Martirologio Geronimiano elenca un Clemente che, peraltro, difficilmente può essere identificato con Flavio Clemente. Nel 1725 furono scoperte nella basilica di S. Clemente al Celio delle reliquie che furono credute quelle di Flavio Clemente.

Il Martirologio Romano ne ricorda la traslazione il 22 giugno.


Autore: Gian Dornenico Gordini

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23/06/2017 08:03
 
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San Liberto di Cambrai Vescovo

23 giugno


m. 22 giugno 1071

Etimologia: Liberto = signific. chiaro








Liberto, vescovo di Cambrai dal 1051 al 1076, è, come il suo predecessore Gerardo I (1012-1051) e il suo successore Gerardo II (1076-1092) uno dei migliori rappresentanti della Chiesa imperiale prima della riforma gregoriana. La vita di Liberto è ben nota grazie alle Gesta Lietberti episcopi, continuazione delle Gesta episcoporum Cameracensium composta nel 1076 da un contemporaneo, e alla Vita Lietberti composta dal monaco Raul del Santo Sepolcro, che aveva accompagnato Liberto in Terra Santa nel 1054. Entrambe le fonti sono degne di fede.
Nato nel Brabante, Liberto apparteneva ad una famiglia aristocratica. Fu affidato fin dall'infanzia al vescovo di Cambrai, Gerardo I, e quindi esercitò le funzioni di scolastico, di prevosto, di arcidiacono. Alla morte del vescovo (1051) in qualità di prevosto del capitolo e arcidiacono di Cambrai, fece parte dell'ambasceria incaricata di rimettere a Enrico III il bastone pastorale. L'imperatore scelse lui come successore nella sede di Cambrai ricevendone il giuramento di fedeltà.
L'autore della Vita Lietberti ha modificato questo racconto, tramandato dalle Gesta, in maniera notevole, narrando una elezione (immaginaria) da parte del popolo e del clero di Cambrai prima della nomina imperiale: si può già vedere in questo fatto l'influenza delle preoccupazioni gregoriane.
Per comprendere l'episcopato di Liberto bisogna ricordare che il vescovo di Cambrai aveva ricevuto. nel 948, i diritti comitali sulla città e quindi, nel 1007, SU tutta l'estensione della contea. Egli era dunque il rappresentante temporale dell'imperatore, oltre che il capo della diocesi. Liberto, come il suo predecessore, ebbe a lottare contro l'avvocato o castellano di Cambrai, che, teoricamente, era un funzionario episcopale e, di fatto, un signore indipendente. Allo stesso modo egli ebbe a combattere dapprima un certo Giovanni, secondo marito di Ermentrude, vedova del castellano di Cambrai, poi un certo Ugo, di cui tuttavia il vescovo aveva protetto gli inizi.
In occasione di un viaggio pastorale, Liberto era stato fatto perfino prigioniero di costui e mentre i suoi compagni erano stati uccisi, egli venne liberato grazie all'intervento del conte di Fiandra, Roberto il Frisone (1071-1093). Anche questi, tuttavia diventò pericoloso, poiché cercò di impadronirsi di Cambrésis. Liberto ammalato e vecchio, si fece trasportare fino al campo nemico ed ottenne che il conte togliesse l'assedio.
A Liberto si deve la costruzione del monastero del Santo Sepolcro (1063), dei nuovi bastioni della città che si era molto estesa e di due nuove chiese. Egli favorí anche la riforma monastica, specialmente a Hasnon dove i monaci sostituirono i canonici (1070). Ma l'episodio piú celebre della sua vita fu il pellegrinaggio in Terra Santa, raccontato dettagliatamente nella Vita. Viaggio pericoloso, in cui Liberto era sostenuto dalla aspirazione al martirio unitamente al desiderio di vedere il Santo Sepolcro. I pellegrini attraversarono l'Ungheria, la Dalmazia, la Grecia e giunsero a Laodicea in Siria. Di là, avendo saputo che la strada era impra ticabile, ritornarono a Cipro, dove furono catturati dal governatore dell'isola; scoraggiati per le difficoltà ritornarono in Europa senza aver veduto Gerusalemme.
Liberto, morto il 22 giugno 1071, fu inumato il 23, giorno in cui è festeggiato, nell'abbazia del Santo Sepolcro da lui fondata dove tuttavia nel XVII sec. si cantavano ancora, alla vigilia della sua festa, i vespri dei morti e la sua tomba era ornata di fronde e di fiori. La persistenza di questa ufficiatura funebre, però, osserva l'Henskens non toglie nulla alla venerazione che pur riscuotono col titolo di beati o di santi sia Liberto sia altri personaggi, ricordando tra gli altri il caso di s. Norberto.


Autore: Henri Platelle

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24/06/2017 08:10
 
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Dai «Sermoni» di san Lorenzo Giustiniani, vescovo

(Sermone 8, nella festa della Purificazione
della B. V. Maria: Opera, 2, Venezia 1751, 38-39)
Maria serbava tutte queste cose
meditandole nel suo cuore

Maria meditava nel suo cuore tutto ciò che assimilava con la lettura, la vista, l'udito, e che crescita grande realizzava nella fede, che acquisto faceva in meriti, di quanta saggezza veniva illuminata e di quale incendio di carità andava sempre più avvampando!
Schiudeva verso di sé la porta dei misteri celesti e si colmava di gioia, si arricchiva copiosamente del dono dello Spirito, orientandosi verso Dio, e nel medesimo tempo si conservava nella sua profonda umiltà.
L'opera del dono divino ha questo di caratteristico, che eleva dagli abissi al vertice e porta di gloria in gloria.
Beato il cuore della Vergine Maria che, avendo in sé lo Spirito e godendo del suo insegnamento, rimaneva docile alla volontà del Verbo di Dio!
Maria non era mossa da un suo sentimento o da proprie voglie, ma seguiva esternamente le vie della fede che la sapienza le suggeriva interiormente. E veramente si addiceva a quella Sapienza divina, che si costruisce a propria abitazione la casa della Chiesa, di servirsi di Maria santissima per inculcare l'osservanza della legge, la norma dell'unità e l'esigenza dell'offerta spirituale.
O anima fedele, imita la Vergine Maria. Entra nel tempio del tuo cuore per essere spiritualmente rinnovata ed ottenere il perdono dei tuoi peccati. Ricordati che Dio ricerca piuttosto l'intenzione, con la quale compiamo le nostre azioni, che l'opera medesima che noi facciamo. Perciò sia che ci rivolgiamo con l'anima a Dio mediante la contemplazione e ci dedichiamo a lui, sia che attendiamo al progresso delle virtù e ci occupiamo assiduamente in opere buone a servizio del prossimo, tutto facciamo in modo da sentirci sempre spinti dalla carità. Ripetiamo, infatti, che l'offerta spirituale che purifica noi e sale gradita a Dio, non è tanto l'opera delle nostre mani in se stessa, quanto il sacrificio spirituale che si immola nel tempio del cuore, ravvivato dalla presenza e dal compiacimento di Cristo Signor nostro.
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24/06/2017 08:13
 
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Sant' Eros e fratelli Martiri di Satala in Armenia

24 giugno


Antiochia - Satala, Armenia sec. IV







Nella precedente edizione del ‘Martyrologium Romanum’ i santi Orenzio, Eros, Farnace, Firmino, Firmo, Ciriaco e Longino tutti fratelli, erano commemorati il 24 giugno, data nella quale li aveva posti nel ‘500 lo storico Cesare Baronio, estensore del primo ‘Martirologio Romano’.
Il Baronio li trovò scritti nei Sinassari bizantini dell’epoca al 24 giugno, in precedenza in Occidente essi erano completamente sconosciuti. La storia raccontata dai sinassari bizantini è leggendaria, essa riporta vari elementi che compaiono in altre ‘Passio’ di martiri dell’epoca, questo sembra il frutto di una politica messa in atto da Bisanzio sulla costa orientale del Mar Nero, divenuta l’ultimo avamposto dell’impero greco.
Per consolidarvi la propria posizione strategica, contro gli arabi che avanzavano, Bisanzio tentò qui come in altre regioni, di mantenere la popolazione locale nell’ambito della Chiesa imperiale; uno dei mezzi di propaganda della sua politica religiosa, era di coltivare o suscitare leggende poetiche e pietose tradizioni locali che si confondessero con le antiche glorie dell’impero romano.
E in tale contesto si può inserire la storia probabilmente vera, ma ingigantita per i motivi suddetti, di Eros, Orenzio e fratelli. La nuovissima edizione del ‘Martyrologium Romanum’ non ne fa più cenno.
Orenzio ed i suoi sei fratelli sopra elencati, tutti cristiani, erano stati arruolati ad Antiochia con altri 1200 coscritti ed avviati verso la Tracia per essere inseriti nella ‘Legione Legeandra’; dopo la morte di Diocleziano (313), l’imperatore associato Massimiano, viene colto di sorpresa da una invasione di Sciti che attraversando il Danubio (Istro) devastano la Tracia ex provincia romana.
Il re degli Sciti, Marmaroth sfida l’imperatore in uno scontro personale, per decidere le sorti della guerra; Massimiano era poco propenso a scontrarsi con il re scito, visto che era un gigante, allora Orenzio volontariamente si fa avanti per combattere al suo posto e come Davide davanti a Golia, uccide il capo degli invasori, portandone la testa a Massimiano, che organizza subito delle cerimonie per ringraziare gli dei, ma Orenzio che era cristiano, con i fratelli rifiuta di parteciparvi.
Nonostante ciò viene in un primo momento ricolmo di onori e regali tra cui il cinturone di Marmaroth. Ma trascorsi pochi giorni, l’imperatore cambia radicalmente atteggiamento nei suoi confronti, Orenzio ed i fratelli vengono obbligati ad abiurare la loro fede e giacché si rifiutano, vengono subito esiliati a Satala odierna Sadagh in Armenia.
Viene data loro l’opportunità di rinnegare il cristianesimo e quindi poter ritornare e ricevere la dovuta ricompensa, se no verranno portati in esilio in Abasgia e in Zicchia, cosa che avvenne alla fine.
Durante questa lunga e disagiata marcia forzata verso il Caucaso, muore per primo Eros giunto a Kené Parembolé, città della costa tra Trebisonda e Rhizos, due giorni dopo il 24 giugno, la carovana giunge a Rhizos e Orenzio viene gettato in mare con una pietra al collo ma l’arcangelo s. Raffaele gli viene in aiuto, deponendolo su uno scoglio, dove muore e sepolto sul luogo.
Farnace muore ad una trentina di km oltre Rhizos, mentre Firmo e Firmino giungono ad Apsaros vicino Petra e spirano insieme il 3 luglio. Ciriaco muore nella città di Ziganeos sempre sulla costa il 24 luglio, infine Longino che viene imbarcato su un battello, muore in mare il 28 luglio prima di arrivare al porto di Pityonte.
I sinassari bizantini, già citati, conservarono la data del 24 giugno, giorno della morte di Orenzio, come celebrazione di tutto il gruppo, mentre il sinassario armeno di Ter Israel, li celebra il 18 marzo. Anche se morti in varie località armene, essi furono conosciuti come ‘Martiri di Satala’, luogo da dove erano partiti prima di subire il martirio.


Autore: Antonio Borrelli

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25/06/2017 09:10
 
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San Prospero di Reggio Emilia Vescovo

25 giugno




Patronato: Reggio Emilia


Etimologia: Prospero = vegeto, florido, felice, significato chiaro


Emblema: Bastone pastorale


Martirologio Romano: A Reggio Emilia, san Prospero, vescovo.








Di s. Prospero si sa ben poco, fu certamente vescovo di Reggio Emilia nel sec. V ma mancano documenti dell’epoca che lo attestino. D’altra parte il culto è antichissimo e ben radicato fra i fedeli per cui bisogna considerare che all’epoca, ai fedeli più che interessare la storia cronologica della vita di un santo, aveva importanza la narrazione delle sue virtù, che in questo caso non mancano.
Bisogna considerare che il culto così diffuso è certamente spontaneo e non suggerito o imposto dalla città di Reggio Emilia, allora non in grado di farlo dato il suo scarso rilievo.
Parlano di lui due omelie del sec. X, una per la vita e un’altra per la traslazione, riportate dalla “Bibliotheca
Hagiografica Latina” 2 voll. Bruxelles 1898-1901 e nel ‘Libro dei miracoli’ di M. Mercati del 1896.
Il suo corpo fu tumulato nella chiesa di s. Apollinare nelle vicinanze della città, successivamente ricostruita e dedicata poi allo stesso s. Prospero (inizio sec. VIII). Dopo la metà del X sec. essendo la chiesa invasa dalle acque, il vescovo Ermenaldo (962) trasportò il corpo nella Cattedrale di s. Maria nel centro della città in attesa di costruirne un’altra nuova. Il progetto fu realizzato dal suo successore vescovo Teuzone (979) e il papa Gregorio V nell’anno 997 di passaggio per Reggio diretto a Pavia, consacrò il nuovo tempio nella zona di Castello. Nel sec. XVI la chiesa fu ricostruita nelle forme attuali, il corpo riposa sotto l’altare maggiore.
Il culto fu così diffuso nei secoli XI a XIV tale da contare nelle province di Parma, Bologna, Lucca e altre città oltre Reggio ben 31 chiese o cappelle a lui dedicate; dopo il Concilio di Trento il culto si restrinse verso Reggio, scomparendo man mano le intestazioni di questi edifici sacri.
La diocesi di Reggio Emilia lo celebra il 24 novembre.
E’ raffigurato quasi sempre con un libro in mano ad attestare la sua qualità di teologo e in abito episcopale.
In molte chiese di Reggio Emilia vi sono statue e affreschi che lo raffigurano come anche in un ottima tela nella chiesa di s. Giacomo dell’Orio a Venezia.

Dal latino prosperus ‘fortunato, lieto, felice’.


Autore: Antonio Borrelli

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26/06/2017 10:01
 
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San Jose Maria Robles Hurtado Martire Messicano

26 giugno


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Mascota, Jalisco (Tepic), 3 maggio 1888 – Quila, Jalisco, (Messico) 26 giugno 1927

Naque a Mascota, Jalisco (Diocesi di Tepic) il 3 maggio 1888. Parroco di Tecolotlán, Jalisco e fondatore della Congregazione religiosa Sorelle del Cuore di Gesù Sacramentato. Fervido apostolo della devozione al Sacro Cuore di Gesù, scrisse piccole opere divulgative. Poco prima di uscire dal carcere per essere ucciso. Nella sierra di Quila, Jalisco (Diocesi di Autlán), venne appeso ad un albero il 26 giugno 1927.

Emblema: Palma


Martirologio Romano: Nei pressi di Guadalajara nello Stato di Jalisco in Messico, san Giuseppe Maria Robles, sacerdote e martire, che, nel corso della persecuzione contro la Chiesa durante la rivoluzione messicana, morì appeso ad un albero.







Dopo le grandi persecuzioni contro la Chiesa nel periodo della Rivoluzione Francese, delle leggi anticlericali dei governi italiani e francesi della seconda metà dell’Ottocento, delle sanguinose persecuzioni contro i missionari e fedeli cattolici in Cina, negli anni a cavallo fra il XIX e XX secolo; della Rivoluzione Bolscevica in Russia del 1918 e prima di arrivare negli anni 1934-1939 alla grande carneficina della Guerra Civile Spagnola, si ebbe la persecuzione in Messico dal 1915 al 1929.
Dopo la dittatura di Porfirio Diaz (1876-1911) si ebbe un periodo di rivoluzioni e di guerre civili; in quest’arco di anni, le condizioni della Chiesa nel Messico furono estremamente difficili, specialmente dopo l’entrata in vigore, il 5 febbraio 1917, della nuova Costituzione anticlericale e antireligiosa.
Il clero cattolico fu oggetto di minacce, soprusi e vessazioni da parte dei governi massonici, che si spinsero fino alla più bruta violenza e all’assassinio; in fondo si perseguitarono i preti solo perché sacerdoti.
In un continuo succedersi di presidenti chiamati a guidare il Paese, alcuni uccisi, in preda a costanti conflitti interni, si giunse alla nomina di Plutarco Elias Calles nel 1924, questi lavorò per il risanamento economico, il rafforzamento del movimento operaio, favorì la distribuzione della terra ai contadini, ma inasprì anche la lotta contro la Chiesa, che in varie occasioni e situazioni si tramutò in una vera e propria persecuzione; i sacerdoti ed i laici cattolici vennero a scontrarsi con il più acerrimo ateismo.
Papa Giovanni Paolo II il 22 novembre 1992, beatificò nella Basilica di S. Pietro, 25 di questi perseguitati, che da sacerdoti, parroci o laici, donarono con il martirio la loro vita per la difesa della Fede e per l’affermazione della presenza della Chiesa Cattolica in Messico.
Il 21 maggio del 2000 lo stesso pontefice li ha canonizzati tutti i 25 in Piazza S. Pietro, indicando alla Chiesa Universale l’esempio della loro santità, operata in vita e coronata dal martirio finale.
Si riportano i 25 nomi, per ognuno esiste una scheda biografica:
Parroco Cristóbal Magallanes Jara - parroco Román Adame Rosales - parroco Rodrigo Aguilar Alemán - parroco Julio Alvarez Mendoza - parroco Luis Batis Sainz - sacerdote Agustín Caloca Cortés - parroco Mateo Correa Magallanes - sacerdote Atilano Cruz Alvarado - sacerdote Miguel de la Mora de la Mora - sacerdote Pedro Esqueda Ramírez - sacerdote Margarito Flores García - sacerdote José Isabel Flores Varela - sacerdote Pedro de Jesús Maldonado Lucero - sacerdote David Galván Bermudez - ragazzo Salvador Lara Puente - sacerdote Jesús Méndez Montoya - laico Manuel Morales - parroco Justino Orona Madrigal - sacerdote Sabás Reyes Salazar - parroco José María Robles Hurtado - ragazzo David Roldan Lara - sacerdote Toribio Romo Gonzáles - sacerdote Jenaro Sánchez Delgadillo - parroco David Uribe Velasco - viceparroco Tranquilino Ubiarco Robles. (La loro celebrazione collettiva è al 21 maggio).

Padre José Maria Robles Hurtado nacque a Mascota (Jalisco), diocesi di Tepic il 3 maggio 1888. Parroco di Tecolotlán (Jalisco) fu un fervido apostolo della devozione al Sacro Cuore di Gesù, scrisse piccole opere divulgative del culto.
Fondatore della Congregazione religiosa delle “Sorelle del Cuore di Gesù Sacramentato”. Nel mese consacrato al culto del S. Cuore di Gesù, nel giugno del 1927, la bufera della persecuzione si abbatté sulla sua parrocchia di Tecolotlán, e il parroco fu arrestato e imprigionato. Qualche giorno prima di uscire dalla prigione per essere ucciso, scrisse una poesia con i suoi ultimi desideri:
Desidero amare il tuo Cuore,
Gesù mio, con partecipazione totale,
desidero amarlo con passione,
desidero amarlo fino al martirio.
Con l`anima ti benedico,
mio Sacro Cuore;
dimmi: Si arriva all`attimo
della felice ed eterna unione?

Il 26 giugno 1927, padre José Maria, proprio per il suo grande amore a Cristo, venne appeso ad un albero nella “sierra” di Quila, Jalisco (diocesi di Autlan) e lì lasciato morire.
Aveva concluso la sua poesia con una domanda ed un desiderio “Si arriva all’attimo della felice ed eterna unione?” essa esprime il grande desiderio di fede nell’Eucaristia, di questo esemplare uomo di Dio: seppe vivere ogni giorno il dono ricevuto da Cristo del sacerdozio, arrivando preparato e desideroso al supremo eroico momento di quella eterna unione.


Autore: Antonio Borrelli

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27/06/2017 10:30
 
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San Zoilo di Cordova Martire

27 giugno




Martirologio Romano: A Córdova nell’Andalusia in Spagna, san Zóilo, martire.







È ancora controversa la questione del numero e dei nomi dei martiri che subirono il martirio con il famoso santo di Cordova, Zoilo. Alcuni sono giunti ad enu­merarne diciannove, altri ventuno; vi sono altri, infine, che si riferiscono unicamente a Zoilo. Perciò, i riferimenti che seguono si limitano esclusiva­mente a lui, giacché fu il meglio studiato e quegli che ricevette il maggior culto.
Il poeta Prudenzio, trattando desìi antichi mar­tiri di Spagna, chiama Zoilo una delle glorie della Chiesa di Cordova: « Corduba Acisclum dabit et Zoellum, tresque coronas ».
Il suo nome figura al 27 giug. nel Martirologio Geronimiano, ma delle circostanze relative al mar­tirio siamo poco informati; l'unico testo letterario giunto fino a noi, la passio, è una documentazione piuttosto artificiosa e di poco valore. Secondo quan­to essa narra, Zoilo discendeva da nobile stirpe di Cordova; nel fior degli anni, durante la persecu­zione saracena soffrì, prima dell'a. 590 (sic!), un crudele martirio per essere cristiano: il suo corpo fu dilaniato con ganci di ferro.
Più degna di fede è la relazione della inven­zione e traslazione delle sue reliquie ad opera del vescovo Agapio. Essa è testimoniata soprattutto da tre documenti. Usuardo, dopo aver ricordato la festa di Zoilo al 27 giug. aggiunge: « Cuius corous (Zoilii) cum longo tempore ubinam sepultum fuerit latuisset, venerabili episcopo eiusdem loci, nomine Agapio, ex divina revelatione manifestatimi est ». Il calendario di Cordova, compilato nel 961 da Recemundo, reca: « In ipso est festum sancti Zoili et sepultura eius est in ecclesia vici Tiraciorum ». Il 4 nov. fa menzione di una festa cele­brata annualmente in Cordova in commemorazione della invenzione delle reliquie: « In ipso est Latinis festum translationis Zoili ex sepulcro eius in vico Cris ad sepulcrum ipsius in ecclesia vici Tiraciorum in Corduba ». Un testo, infine, pubblicato la prima volta nel 1938 dal de Gaiffier, accenna ai dettagli che portarono alla invenzione del corpo di Zoilo. Questo testo è stato soltanto conservato in un manoscritto, il Passionano di S, Fedro di Gardena (British Museum, ms. Add. 25.600) datato al se­condo quarto del sec. X. Secondo una caratteristica delle Vite dei santi, fu trascritto in appendice di mano della fine del sec. X. Fino a quel momento la narrazione della traslazione delle reliquie di Zoilo era nota soltanto attraverso alcuni compendi, e, cioè, la notizia di Lucio Marineo Siculo, le lezioni del breviario di Burgos del 1502, Passio, Inven­tio, Translatio et Miracula di Rodriguez de Cerrato e il testo pubblicato da Tamayo de Salazar. Queste testimonianze provengono tutte da una fonte co­mune, la relazione del Passionano di S. Pedro di Gardena. Siculo riprese la Inventio da una redazio­ne assai simile al testo pubblicato dal de Gaiffier. La sua nota corrisponde ai paragrafi dal 2 ad 4. Il breviario di Burgos ha attinto a una fonte che presenta assai poche varianti rispetto a quella del Siculo, ma le lezioni comprendono soltanto il para­grafo 2 e una parte del 3 del testo pubblicato dal de Gaiffier. Rodrigo de Cerrato, cui si debbono varie Vitae di santi, ha riassunto il testo della Inventio. Il p. Villada scriveva nel 1929: « Da questo sommario esame risulta che gli Atti dei martiri prima nominati non offrono alcuna garan­zia di autenticità e bisogna utilizzarli con molta cautela. La fine della narrazione può essere accet­tata come veritiera, purché la si spogli delle esage­razioni e inverosimiglianze... ». Vi sono soltanto pochi altri documenti che escono da questa regola. Uno di questi è l'epitome del Cerratense su Zoilo. La notizia è redatta nello stile dei martirologi e non si deve allontanare troppo dalla realtà.
Esso così dice: « Zoilo, nato a Cordova, di illu­stre lignaggio, fu fin da bambino educato alla reli­gione cristiana. Confessando pubblicamente il Cri­sto, nella sua giovinezza, fu condotto dinanzi al prefetto che, non potendo convincerlo a sacrifi­care agli idoli, lo condannò alla pena capitale. Il suo corpo fu seppellito fra i gentili, nel cimitero di detta città, perché i cristiani non lo riconosces­sero e lo raccogliessero ».
Il riassunto del Cerratense non ha il valore che gli è stato attribuito dal p. Villada: non è altro che un riassunto della biografia posta a fronte della relazione dall'autore della Inventio. Questi, nella redazione del martirio di Zoilo, si è ispirato alla misera composizione della Passio s. Zoilii. La Vita, pubblicata da Tamayo de Salazar nel suo martiro­logio, presenta spesso, punto per punto, il testo del Siculo. Dove trovò costui le narrazioni che cita? non lo sappiamo.
Il testo offertoci dal de Gaiffier non supera il livello ordinario delle invenzioni di reliquie. Nelle sue notizie, spesso si è spinti ad estrarre, da tanto materiale leggendario, la sostanza dei fatti. Per contestare le affermazioni del nostro agiografo, di­sponiamo di ben poche fonti storiche. Se dobbiamo stare a quanto dice, fu il vescovo Agapio, durante il regno del re Sisebuto, che procedette alla trasla­zione delle reliquie di Zoilo. Fino alla fine del sec. VI il corpo del santo rimase nel cimitero degli stranieri. Questo cimitero, secondo il calendario di Cordova, stava in Vico Cris. Il luogo esatto del vicus non è stato però identificato, ma è chiaro che stava fuori della cinta della città. Il citato calen­dario di Cordova dichiara in varie occasioni che il corpo di Zoilo riposa nella basilica del Vicus Tara-ceorum. Questa corrisponde alla basilica parvula, dedicata al martire s. Felice — sicuramente il diacono di Siviglia celebrato il giorno 2 di magg. — sostituita da un'altra nuova che prese il nome di S. Zoilo.
Durante la persecuzione araba del sec. IX, vari martiri furono seppelliti nella basilica di S. Zoilo: i santi Cristoforo e Ovigildo, Paolo e Teodomiro e Teocrizia. Al termine dell'a. 883, Lucidio, inviato da Alfonso III, portò a Oviedo le reliquie di questi ultimi. Nel sec. XI il corpo di Zoilo fu trasla­to nel monastero benedettino di Carrión de los Condes nella diocesi di Palencia. Quivi ricevette il culto dei monaci fino alla soppressione del monaste­ro di Mendizàbal del 1835, durante la quale il mo­nastero, che prendeva il suo nome, fu abbandonato. Ricuperato alla fine del sec. XIX dalla Compagnia di Gesù, è divenuto oggi seminario diocesano. In un'epoca non nota, la basilica edificata dal vescovo Agapio in onore di Zoilo fu distrutta ed oggi non rimane traccia di essa. Il culto al martire cordovese, tuttavia, continuò nella sua città e si diffuse per tutta la penisola, specialmente a Toledo e Pamplona, dove fino ai giorni nostri esistono chiese dedicate alla sua memoria.


Autore: Tomas Moral

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29/06/2017 09:11
 
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San Siro di Genova Vescovo

29 giugno


Struppa, Genova, III-IV secolo – Genova, 29 giugno 381 circa

Vescovo di Genova, si dedicò con grande zelo alla cura delle anime. Nel periodo del suo servizio pastorale, la vita cristiana progredì a tal punto che i suoi contemporanei e i posteri ricordarono il nome di Siro come quello di un pastore santo e vigilante.
Visse nel secolo IV. In età avanzata e in fama di santità morì il 29 giugno. Fu sepolto nella basilica dei Dodici Apostoli, che in seguito prese il suo nome ed è ricordata da san Gregorio Magno.
A Genova la sua festa si celebra il 7 luglio a ricordo della traslazione delle sue reliquie nella Chiesa cattedrale ad opera del vescovo Landolfo.

Etimologia: Siro = nativo della Siria, dal latino


Emblema: Bastone pastorale, Mitra


Martirologio Romano: A Genova, san Siro, che è venerato come vescovo.







La nomina dell’arcivescovo di Genova, Cardinal Tarcisio Bertone, a nuovo Segretario di Stato vaticano ha ridestato l’interesse per la figura del santo oggi festeggiato, in particolare grazie alla lettera che il pontefice Benedetto XVI ha indirizzato ai fedeli di tale Chiesa locale per spiegare loro il motivo di tale scelta e rassicurarli sulla sua volontà di “provvedere quanto prima alla nomina del nuovo successore sulla Cattedra di San Siro”.
Il nome di questo santo rievoca principalmente il celebre stadio milanese, il cui nome è dovuto in realtà un altro santo omonimo, vescovo e martire presso Pavia nel IV secolo e festeggiato al 9 dicembre, il cui culto si è esteso sino a Milano.
Il Martyrologium Romanum cita invece in data odierna un San Siro coevo del precedente e perciò talvolta con esso confuso. Questi fu vescovo del capoluogo ligure, ove si dedicò con grande zelo alla cura delle anime sottoposte alla sua cura. Pochissimo sappiamo delle sue origini, ma alcuni studiosi lo vorrebbero nativo del fondo vescovile di Molliciana, odierna Mollesana, e quindi più precisamente nella zona di Struppa, ove infatti sorge una grande ed antica basilica a lui dedicata. Non a caso il santo è talvolta citato come “San Siro di Struppa”. La tradizione narra che fosse figlio di Emiliano Dolcino e discepolo del vescovo Felice.
Nel periodo del suo ministero pastorale, collocabile approssimativamente tra il 349 ed il 381, la vita cristiana della città di Genova progredì a tal punto che i suoi contemporanei tramandarono ai posteri il nome di Siro abbinandolo meritevolmente al ricordo di un pastore santo e vigilante. In età ormai avanzata e circondato da un’indiscussa fama di santità, Siro morì il 29 giugno di un anno imprecisato, forse proprio il 381 che viene considerato l’ultimo del suo episcopato.
Ricevette sepoltura nella basilica genovese dei Dodici Apostoli, che in seguito prese il suo nome ed è fu citata anche da san Gregorio Magno. In seguito le sue spoglie vennero traslate nella Cattedrale ad opera del vescovo Landolfo ed in tale anniversario, il 7 luglio, l’arcidiocesi di Genova ne celebra la festa. Il martirologio romano, che ricorda i santi ed i beati nell’anniversario della loro nascita al cielo, ha invece optato per il 29 giugno.


Autore: Fabio Arduino

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30/06/2017 08:31
 
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Santi Andronico e Giunia di Roma Sposi, discepoli di San Paolo

30 giugno


I secolo

Salutati dall'apostolo Paolo nella lettera ai Romani. Li chiama "miei parenti e compagni di prigionia; sono degli apostoli insigni che erano in Cristo già prima di me" (Rm 16,7). Sarebbero due coniugi giudeo-cristiani che per il loro zelo meritarono di essere chiamati con il titolo di "apostoli".







Andronico e Giunia vivevano a Roma verso l’anno 58 d.C., quando l’apostolo Paolo li salutò calorosamente nella Lettera ai Romani (Rom 16,7) sogiungendo: “Sono miei parenti e compagni di prigionia, illustri tra gli apostoli, e fattisi cristiani prima di me”. Il legame di parentela potrebbe essere effettivo oppure in senso più esteso come spesso accadeva in Oriente. Come Paolo anch’essi erano di origine giudea e forse appartenenti alla stessa tribù di Beniamino, mentre la comune prigionia alluderebbe ad una delle molteplici occasioni in cui l’apostole delle genti soffrì ceppi e catene. Definirli “illustri tra gli apostoli” costituisce una lode al loro zelo, esplicato in modo particolare tra i loro connazionali giudei presenti a Roma. Andronico e Giunia erano cristiani della prima ora, convertitisi probabilmente già a Gerusalemme e poi trasferitisi a Roma.
Come si è visto sono assai scarse le informazioni sul loro conto contenute negli scritti paolini, ma la tradizione cristiana ha sopperito a tale carenza tramandando non poche leggende su questi misteriosi santi. Lo stesso nome di Giunia non è chiaro se sia il nome di un uomo, contrazione di Giuniano, o di una donna, in questo caso sorella o piuttosto moglie di Andronico, come infatti ipotizzarono il Crisostomo e molti altri studiosi più recenti. Andronico e Giunia sarebbero allora una coppia di coniugi giudeo-cristiani, proprio come Aquila e Priscilla citati poco prima da San Paolo, che per il loro zelo meritarono l’appellativo di “apostoli”. Secondo Ippolito di Roma, Andronico sarebbe stato uno dei settanta discepoli inviati da Gesù, poi vescovo in Pannonia, mentre il “Catalogus virorum apostolicorum” lo vuole vescovo in Spagna.
Andronico e Giunia, mai inseriti nel Martyrologium Romanum, sono festeggiati dalla Chiesa greca al 30 giugno insieme a tutti i santi del Nuovo Testamento.


Autore: Fabio Arduino

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01/07/2017 10:16
 
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San Justino Orona Madrigal Martire Messicano

1 luglio


>>> Visualizza la Scheda del Gruppo cui appartiene



Justino Orona Madrigal nacque a Atoyac, in Messico, il 14 aprile 1877 e fu parroco di Cuquío, nell'arcidiocesi di Guadalajara e fondatore della congregazione delle Sorelle Clarisse del Sacro Cuore. La sua vita fu segnata da dolori ma sempre restò cortese e generoso. Una volta scrisse: «Coloro che perseguono il cammino del dolore con fedeltá, sicuramente possono salire al cielo». Quando la persecuzione contro la Chiesa divenne più pesante rimase tra i fedeli dicendo: «Resterò tra i miei vivo o morto». Una notte, dopo aver deciso con il suo vicario e compagno di martirio, padre Atilano Cruz, una speciale pastorale da tenersi in mezzo ad innumerevoli pericoli, entrambi si ritirarono in una fattoria vicino a Cuquío per riposare. All'alba del 1° luglio 1928 le forze federali irruppero nella fattoria e colpirono la porta della stanza in cui i due religiosi dormivano. Justino aprì e salutò il giustiziere esclamando «Viva Cristo Re!». Per tutta risposta gli spararono. (Avvenire)

Emblema: Palma


Martirologio Romano: Nel villaggio di Rancho de las Cruces nel territorio di Guadalajara in Messico, santi Giustino Orona e Attilano Cruz, sacerdoti e martiri, uccisi insieme per il regno di Cristo durante la persecuzione messicana.







Nacque a Atoyac, Jalisco (Diocesi di Ciudad Guzmán) il 14 aprile 1877. Parroco di Cuquío, Jalisco (Arcidiocesi di Guadalajara). Fondadore della congregazione religiosa delle serelle Clarisse del Sacro Cuore. La sua vita fu segnata da dolori ma sempre si mantenne cortese e generoso. Una volta scrisse: "Coloro che perseguono il cammino del dolore con fedeltá, sicuramente possono salire al cielo". Quando la persecuzione dicenne più pesante rimase tra i suoi fedeli dicendo: "Io resterò tra i miei vivo o morto". Una notte, dopo aver deciso con il suo vicario e compagno di martirio, padre Atilano Cruz, una speciale pastorale, da tenersi in mezzo ad innumerevoli pericoli, entrambi si ritirarono in una casa del "Rancho de Las Cruces", vicino a Cuquío per riposare. All`alba del 1° luglio 1928 forze federali ed il presidente municipale de Cuquío irrumpero violentemente nel rancho e colpirono la porta della stanza in cui dormivano. Il Signor Curato Orona aprì e con voce forte salutò il giustiziere: "Viva Cristo Re!". La risposta fu una piogga di pallottole.

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02/07/2017 08:21
 
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Santi Liberato, Bonifacio, Servio, Rustico, Rogato, Settimo e Massimo Martiri

2 luglio


sec. IV



Fra i monasteri africani che si considerano di ispirazione fondamentalmente agostiniana, riveste una importanza particolare quello di Gafsa (odierna Tunisia) per il martirio dei suoi religiosi. In seguito all’editto emanato nel 484 dal re vandalo Unnerico, che ordinava la consegna ai barbari mauri dei monasteri cattolici con i loro abitanti, i sette religiosi del monastero di Gafsa furono incarcerati e, dopo aver sopportato atroci sofferenze, vennero martirizzati a Cartagine, offrendo un grande esempio di fede e di unione fraterna. Erano: Liberato, superiore del monastero, il diacono Bonifacio, i suddiaconi Servio e Rustico, Rogato, Settimo e Massimo. Tra essi merita particolare menzione san Massimo, ragazzo di circa 15 anni, che non volle separarsi dai confratelli, pur potendosi salvare, e subì con essi lo stesso martirio.

Patronato: S. Liberato di Cantalice (RI)


Emblema: Palma


Martirologio Romano: Commemorazione dei santi martiri Liberato, abate, Bonifacio, diacono, Servio e Rustico, suddiaconi, Rogato e Settimo, monaci, e il fanciullo Massimo: a Cartagine, nell’odierna Tunisia, durante la persecuzione dei Vandali, sotto il re ariano Unnerico, furono sottoposti a crudeli torture per aver confessato la fede cattolica e difeso l’unicità del battesimo; uccisi a colpi di remi sul capo mentre erano inchiodati a legni su cui si era tentato di bruciarli, conclusero il corso del loro ammirevole combattimento, ricevendo dal Signore la corona del martirio.








Santi Liberato, Bonifacio e Compagni, martiri.

Ricevuto il battesimo da s. Ambrogio, a Milano, nel 387 s. Agostino e ritorna in Africa per mettere in atto il suo proposito di vita monastica. “Ricevuta la grazia battesimale - è il suo biografo s. Possidio che racconta - decise di tornare con altri concittadini e amici suoi, postisi come lui al servizio di Dio, in Africa, alla propria casa e ai propri campi. Là giunto, dopo essersi liberato dei suoi beni, vi dimorò circa tre anni, e viveva per Dio insieme a chi si era unito a lui, nel digiuno, nella preghiera, nelle opere buone, nelle meditazioni, di notte e di giorno, della legge del Signore. Anche quando divenne vescovo, nel 395, e poi per tutta la vita, visse da monaco, pur assillato dalle tante occupazioni pastorali e propagò con ogni mezzo la vita religiosa in tutta l'Africa cristiana.
Alla sua morte, avvenuta nel 430, continua il biografo, “Agostino lasciò alla Chiesa monasteri maschili e femminili, pieni di servi e serve di Dio, con i loro superiori, insieme a biblioteche ben fornite di libri”.
Le invasioni dell'Africa romana prima da parte dei Vandali poi degli Arabi distrussero le fondazioni monastiche agostiniane.
Fra i monasteri africani che l'Ordine considera di ispirazione fondamentalmente agostiniana, riveste una importanza particolare quello di Gafsa in Tunisia per il martirio dei suoi religiosi: Bonifacio diacono, Liberato abate, Severo, Rustico, Rogato, Settimio e Massimo monaci.
In seguito all'editto emanato nel 484 dal re Unnerico che ordinava la consegna ai mori dei monasteri con i loro abitanti, i sette religiosi di quel monastero furono incarcerati e, dopo aver sopportato acerbe prove, vennero martirizzati a Cartagine, offrendo un grande esempio di fede e di unione fraterna. La loro celebrazione fu concessa all'Ordine il 6 giugno 1671e la memoria liturgica ricorre il 2 luglio.


Autore: P. Bruno Silvestrini O.S.A.

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03/07/2017 10:08
 
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Sant' Anatolio di Laodicea

3 luglio




Martirologio Romano: A Laodicea in Siria, commemorazione di sant’Anatolio, vescovo, che lasciò scritti degni di ammirazione non solo per gli uomini di fede, ma anche per i filosofi.








Anatolio di Laodicea, alessandrino di origine, si distinse tra i suoi concittadini per la cultura letteraria, filosofica e scientifica. In particolare gli si ascrive il merito di aver salvato una parte notevole dei suoi concittadini dai rigori dell'assedio posto dai Romani, probabilmente nel 263, al quartiere portuale di Alessandria detto il Bruchio (Bruchium). Poco dopo, forse perché compromesso in quell'episodio militare, si spostò in Palestina e si pose al servizio del vescovo di Cesarea, Teotecno, che lo creò vescovo e lo scelse come suo coadiutore. In occasione del secondo Concilio adunato ad Antiochia nel 268 contro Paolo di Samosata, Anatolio passò per Laodicea. Qui era stato vescovo per qualche anno, dal 264, Eusebio, suo compatriota e amico, nonché compagno nell'affare del Bruchio, venuto a mancare da poco alla sua chiesa. E per l'affetto che portavano allo scomparso e per la fama che Anatolio già godeva, gli abitanti di Laodicea costrinsero il santo ad accettare il governo della loro chiesa. Non sappiamo come Anatolio trascorse il suo episcopato, né quando morì. Secondo Eusebio, che ci tramanda le poche notizie che possediamo sulla sua vita, ad Anatolio vanno attribuiti un computo pasquale e dieci libri sull'aritmetica. Di questi ultimi restano alcuni frammenti, mentre è discussa la paternità del Liber Anatolii de ratione paschali, pubblicato per la prima volta dal Boucher nel 1634.


Autore: Giorgio Eldarov

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04/07/2017 06:17
 
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San Luarsab Re di Karthli, martire

4 luglio (Chiese Orientali)


† 1622

Luarsab successe al padre Giorgio X re di Kartli, regione della Georgia, nel 1609 all'età di 14 anni. Poco dopo i turchi e i tatari della Crimea invasero il paese mentre Luarsab si trovava nella sua residenza estiva e poté sfuggire all'attacco grazie al prete Teodoro che con uno stratagemma riuscì a dirottare i nemici; ciò permise a Luarsab di raccogliere le forze con le quali annientò il nemico. Anche lo Scià di Persia aveva mire sulla Georgia e tentò ripetutamente di ridurla in suo potere non con la forza, ma attraverso una politica che mirava a mettere l'uno contro l'altro Luarsab re di Kartli e Tamaraz re di Kakheti ma, non essendo riuscito a renderli nemici fra loro, divisò di farli uccidere durante una partita di caccia ma anche questo disegno andò a vuoto. Tuttavia con l'inganno riuscì a fare prigioniero Luarsab al quale offrì un lauto pranzo durante la quaresima e, avendo egli rifiutato di rompere il digiuno, gli ordinò di abbracciare l'islam ma, al nuovo diniego del santo re, ordinò che fosse strangolato nel 1622.

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06/07/2017 07:07
 
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San Giusto di Condat Monaco

6 luglio




Martirologio Romano: Nel territorio di Condat presso il massiccio del Giura in Francia, san Giusto, monaco.

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07/07/2017 09:14
 
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San Giuseppe Maria Gambaro Sacerdote francescano, martire

7 luglio


Galliate (Novara), 7 agosto 1869 - Hoang-scia-wan (Cina), 7 luglio 1900

Martirologio Romano: Vicino alla città di Hengyang nella provincia dello Hunan in Cina, sant’Antonino Fantosati, vescovo, e Giuseppe Maria Gambaro, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che, durante la persecuzione dei Boxer, approdati per portare aiuto ai fedeli, morirono lapidati.








Il 1° ottobre del 2000, papa Giovanni Paolo II ha canonizzato un numeroso gruppo di 120 martiri in Cina, vittime delle ricorrenti persecuzioni che si scatenarono contro la cristianità in quel grande Paese, fino al secolo XX.
Fra questi c’è un gruppo di 29 martiri, vittime nei primi giorni di luglio dell’anno 1900, dei famigerati ‘boxers’, che avevano scatenato una furiosa e sanguinosa persecuzione contro i cristiani e gli europei in generale, provocando in soli cinque mesi e nelle sole province dello Shan-si e dell’Hu-nan, una carneficina di circa 20.000 vittime fra vescovi, sacerdoti, religiosi, suore, catechisti e cristiani cinesi.
In questo gruppo di 29 santi martiri, che furono beatificati nel 1946 da papa Pio XII e che comprende 3 vescovi, 4 sacerdoti, 1 fratello religioso tutti Minori Francescani, 7 suore Francescane Missionarie di Maria, 5 seminaristi cinesi e nove domestici-collaboratori cristiani cinesi, 26 morirono decapitati a Tai-yuen-fu, sede del Vicariato dello Shan-si e tre nel Vicariato dello Hu-nan.
In questa scheda parleremo di padre Giuseppe Maria Gambaro, che insieme ai due francescani, mons. Antonino Fantosati e padre Cesidio Giacomantonio, diedero la loro vita per Cristo nello Hu-nan in Cina, nei giorni precedenti il massacro del 9 luglio a Tai-yuen-fu; anch’essi vittime dei sanguinari ‘boxers’ e dei loro fiancheggiatori pagani, aizzati dagli invidiosi bonzi confuciani, con vergognose calunnie contro i missionari; e favoriti dal crudele viceré Yü-sien e tollerati dalla settantenne imperatrice Tz-Hsi.
Bernardo Gambaro nacque a Galliate, provincia di Novara, il 7 agosto 1869 da Pacifico e Francesca Bozzolo pii genitori. Crebbe gioioso e esempio di bontà e di purezza; ad otto anni fece la Prima Comunione, cosa rara per quel tempo e già all’età di 13 anni, dopo aver seguito un corso di Esercizi Spirituali predicati in paese dai Padri Passionisti, maturò in lui l’ideale di farsi religioso.
Verso i 17 anni chiese il permesso ai suoi amati genitori e venne ammesso nel Collegio Serafico di Monte Mesma, posto sul Lago di Orta; il suo antico Superiore attestò che Bernardo veniva notato per la sua docilità e obbedienza alle Regole e per l’assidua occupazione allo studio.
Il 27 settembre 1886 fu ammesso al noviziato posto nello stesso convento, cambiando il nome in fra Giuseppe Maria; sempre del medesimo umore, sempre lieto, segno evidente del suo innocente candore.
Al termine del noviziato, andò a completare gli studi ginnasiali e liceali nel Convento di S. Maria delle Grazie in Voghera dove restò per tre anni, mantenendosi un perfetto esemplare di vita religiosa.
Terminati gli studi filosofici, il futuro martire passò al corso teologico a Cerano nel Novarese, dove pronunciò i voti perpetui il 28 settembre 1890, e il 13 marzo 1892 nello stesso convento di Cerano, già culla del beato Pacifico, venne consacrato sacerdote, alla presenza dei genitori venuti da Galliate.
Poi fu subito trasferito a dirigere il Collegio Serafico ad Ornavasso dove rimase in questo incarico delicato fino alla partenza per la Cina. Fu sempre amato dai suoi discepoli, ai quali sembrava un padre, una madre, un leale e sincero amico; attirava tutti con la sua amabile dolcezza.
Ma il suo antico desiderio di farsi missionario, si faceva più impellente e finalmente i suoi Superiori concessero il loro permesso; il 5 dicembre 1895 partì per Roma per essere sottoposto all’esame richiesto ai Missionari che avevano come destinazione la Cina; l’11 dicembre lasciò Roma per Napoli per imbarcarsi diretto ad Alessandria d’Egitto e poi in Terra Santa dove rimase per due mesi e da lì il 6 febbraio 1896 salpò definitivamente per la Cina.
Padre Giuseppe Gambaro scrisse al fratello le impressioni del lungo viaggio e gli incontri con le varie Missioni nelle tappe della nave, compresi i pericoli di epidemie e tempeste di mare. Giunto nel porto di Han-kow venne accolto dai suoi confratelli della ‘Casa di S. Giuseppe’, qui secondo l’antico uso locale depose l’abito francescano e indossò gli abiti cinesi, gli venne rasa la testa adattando il tradizionale codino.
Da Han-kow fu mandato a 1000 km di distanza a Heng-tciau-fu dove si dedicò all’apostolato fra i contadini e gli artigiani. Ma mons. Antonino Fantosati, Vicario Apostolico del Hu-nan era rimasto favorevolmente colpito dalla figura di padre Gambaro e soprattutto dalla sua esperienza come educatore di giovani chierici, così gli affidò il Seminario indigeno, nel contempo insegnò filosofia e teologia ad alcuni giovani cinesi vicini al sacerdozio.
Visse in questo compito gradito, felice di rivivere le dolci attrattive del Collegio serafico di Ornavasso; univa la dolcezza alla severità; ogni settimana si recava a Hoang-scia-wan per incontrarsi con il Vescovo e con il suo Vicario. Trascorsero così tre anni, finché giunsero nello Hu-nan quattro nuovi missionari di rinforzo, per cui il vescovo destinò padre Gambaro alla Comunità cristiana di Yen-tcion, realizzando così il desiderio antico del missionario, di essere apostolo attivo fra la popolazione e verso la fine di marzo del 1900 lasciò i suoi cari chierichetti e partì per la nuova destinazione, accolto con gli onori di un Gran Mandarino; si fece subito voler bene da tutti, cristiani e pagani, che lo rispettavano contenti di averlo con loro.
Padre Giuseppe Gambaro rimase pochi mesi a Yen-tcion, perché mons. Fantosati si era recato nella città di Lei-yang, per la Pentecoste del 1900, per battezzare e cresimare una ventina di catecumeni e per rendere più solenne la cerimonia e per avere un aiuto, richiese la presenza del missionario,
Dopo Lei-yang i due si fermarono a San-mu-tciao per ricostruire una cappella distrutta dai pagani l’anno precedente e qui giunse loro la notizia, che il 4 luglio 1900 la residenza del Vescovo (Vicario Apostolico del Hu-nan) mons. Fantosati a Hoang-scia-wan era stata distrutta dai pagani, aizzati dai ‘boxers’, come pure l’orfanotrofio e le case dei cristiani e dei protestanti; inoltre uno dei padri, Cesidio Giacomantonio, era stato ucciso e bruciato.
Il giorno 6 luglio, mons. Fantosati, padre Gambaro e quattro cristiani salirono su una barca per tornare a Hoang-scia-wan, nonostante i tentativi di molti cristiani di trattenerli. Verso mezzogiorno del 7 luglio la barca arrivò sul fiume nei pressi della città; riconosciuti da alcuni ragazzi e al grido “morte agli Europei” la plebaglia dalla riva, prese le barche dei pescatori e circondarono quella dei missionari, i quali a stento riuscirono a scendere sulla riva, dove aggrediti dalla folla urlante, furono massacrati con sassi e colpi di bastone; padre Gambaro morì dopo una ventina di minuti di percosse, mentre al vescovo Fantosati agonizzante per le botte, ma ancora vivo, un pagano gl’infilò un palo di bambù con punta di ferro da dietro; negli spasmi il martire riuscì a sfilarlo, ma un altro pagano preso lo stesso palo lo conficcò in modo che uscì dall’altra parte del corpo.
Padre Gambaro prima di spirare si era trascinato vicino al suo vescovo, gravemente ferito, quasi a stringerlo in un abbraccio e dopo avergli sussurrato qualcosa, a cui mons. Fantosati ormai morente, alzava con pena la mano per benedirlo e con quell’amplesso unico nella storia del Martirologio cristiano, morirono i due martiri; padre Giuseppe Gambaro aveva 31 anni di età, di cui quattro di vita missionaria.


Autore: Antonio Borrelli

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08/07/2017 08:13
 
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Sant' Alberto da Genova Monaco, eremita

8 luglio


† Sestri Ponente, Genova, 8 luglio 1180

Nato verso la fine dell'XI secolo, condusse dapprima vita monastica nell'Ordine benedettino. Nel 1129 scelse la riforma cistercense, ma, aspirando alla vita solitaria, si ritirò in una grotta del monte Contessa presso Sestri Ponente, dove morì l'8 luglio, probabilmente nell'anno 1180.

Etimologia: Alberto = di illustre nobiltà, dal tedesco








Genova e la regione ligure hanno donato alla Chiesa non pochi santi e beati, anche se purtroppo nessuno di essi ha raggiunto una venerazione a livello universale. Culto rigorosamente locale è infatti riservato anche al santo oggi festeggiato, Alberto da Genova, che il calendario diocesano del capoluogo ligure commemora in data odierna, ma che il Martyrologium Romanum ha sempre ignorato.
Alberto nacque verso la fine dell’XI secolo ed intraprese in un primo tempo la vita monastica nell’Ordine benedettino, per poi optare nel 1129 scegliendo la riforma cistercense. Aspirando però ad una vita solitaria, preferì infine ritirarsi in una grotta del monte Contessa, presso Sestri Ponente, antico borgo a sei miglia ad ovest di Genova, oggi quartiere della città stessa. Qui morì l’8 luglio, probabilmente nell’anno 1180.


Autore: Fabio Arduino

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09/07/2017 07:42
 
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Sante Floriana e Faustina Martiri di Roma

9 luglio




Emblema: Palma








L'unica testimonianza riguardante queste due martiri si trova nel Martirologio Geronimiano, al 9 luglio, in cui sono associate con altre sante: "Romae ad guttam iugiter manantem natale virginum Florianae, Faustinae, Anatholiae, Felicitatis".
Questo latercolo però è un piccolo enigma, come se ne trovano altri nello stesso Martirologio. Anatolia infatti è la compagna di Vittoria, martire della Sabina, mentre Felicita è la presunta madre dei sette fratelli: ambedue sono anticipate dal giorno 10. Di Floriana e Faustina, che in altri codd. del Geronimiano sono anche presentate come uomini non si conosce niente di preciso. Sull'indicazione topografica del loro sepolcro, che il Delchaye dichiara irreperibile, sappiamo dal Baronio che si trovava presso le Acque Salvie; il nome sarebbe derivato da una sorgente ivi esistente. Da un'iscrizione del sec. VII si sa che un oratorio dedicato a s. Faustina esisteva presso la Massa Maralis, nel fondo Capitone, al XII miglio della via Latina.


Autore: Agostino Amore

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10/07/2017 05:56
 
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Santa Anatolia Martire

10 luglio


m. 249

Etimologia: Anatolia = proveniente dall’Anatolia, regione dell’oriente.


Martirologio Romano: In Sabina nel Lazio, sante Anatolia e Vittoria, martiri.



Ascolta da RadioVaticana:




ANATOLIA, AUDACE E VITTORIA, santi martiri.

Una prima menzione di Anatolia è nel De Laude Sanctorum (Cap.XI,in PL.XX,col.453)" composto verso il 396 da Vittrice di Rouen (330-409). La Santa vi figura tra i taumaturghi. All'inizio del sec. VI troviamo Anatolia e Vittoria ricordate insieme nel Martirologio Geronimiano al 10 luglio:"VI idus iulii in Savinis Anatholiae Victoriae"; Vittoria è anche ricordata sola al 19 dicembre:"In Savinis civitate Tribulana Victoriae".
Poco dopo le due Sante compaiono effigiate nei mosaici di S.Apollinare Nuovo in Ravenna, l'una a fianco dell'altra, in mezzo alle martiri più illustri dell'Occidente, avendo a sinistra S.Paolina, a destra S.Cristina, in quel corteggio maestoso che fa omaggio a Cristo delle proprie corone. Abbiamo, infine, databile al VI o VII sec., una Passio ss.Anatoliae et Audacis et s. Victoriae, che fu letta da Adelmo (m.709) e poi da Beda (m. 735),i quali ne derivarono, il primo il carme in lode delle due Sante, il secondo gli elogi, per Anatolia e Audace al 9 luglio, per Vittoria al 23 dicembre, nel suo martirologio. Gli elogi di Beda, riassunti in Adone e in Usuardo, furono accolti quasi per intero dal Baronie nel Martyrologio Romano, che colloca appunto Anatolia ed Audace al 9 luglio e Vittoria al 23 dicembre. La Passio è un vero centone, dove riaffiorano spunti e dettagli delle "passioni" di Nereo e Achilleo,Calogero e Partenio, Rufina e Seconda, Giovanni e Paolo e di molti altri,come ha ben dimostrato il Raschini. Secondo la Passio, Anatolia e Vittoria, giovani romane di nobile famiglia, rifiutarono le nozze con due patrizi perché consacrate a Dio. I due aspiranti, allora, col favore imperiale, le relegarono nei loro possedimenti di Sabina, Vittoria presso Trebula Mutuesca (l’odierna Monteleone Sabino sulla via Salaria), Anatolia presso Tora. Dopo varie vicende, in cui si sbizzarrisce la fantasia dell’agiografo,Vittoria venne uccisa e sepolta in una caverna: Anatolia sopravvisse di poco. Un soldato, Audace, fu incaricato di ucciderla, rinchiudendola in una stanza con un serpente. Il rettile lasciò incolume la Santa, mentre si avventò su Audace entrato, l'indomani, nella stanza per accertarne la morte. Ma Anatolia salvò Audace dal serpente e Audace si fece cristiano; quindi, ambedue furono uccisi di spada. Il martirio delle due Sante e di Audace è fissato dalla Passio al tempo di Decio(249-51).
Per quanto scarso sia il valore di questo testo,il culto delle due Sante è antichissimo e, a partire dal sec. VI-VII, ad esse è congiunto Audace, del quale non è possibile, però, garantire se sia un personaggio reale o una creazione dell'agiografo. Centro del culto è sempre stata, la Sabina,dove dovette avvenire il martirio: Trebula Mutuesca (Monteleone Sabino) per Vittoria, Tora per Anatolia e Audace. Più tardi il culto si propagò in altri luoghi in seguito a traslazioni di reliquie. Il corpo di S.Vittoria fu trasferito nell'anno 827 dall'abate Pietro di Farfa, in fuga davanti ai Saraceni, nel Piceno, sul Monte Matenano: fu poi riportato a Farfa il 20 giugno 931 dall'abate farfense Ratfredo, ma nel Piceno rimase assai vivo il culto della Santa . I corpi di Anatolia e di Audace verso la metà del sec. X furono ritrovati nelle campagne di Tora dall'abate sublacense Leone e trasferiti a Subiaco. In epoca imprecisata un braccio di S.Anatolia fu trasportato nelle diocesi di Camerino, in un paese che si chiamò da allora Santa Anatolia (oggi Esanatoglia) in prov. di Macerata. I Documenti del Regesto Farfense, Sublacense, Tiburtino, nominano frequentemente chiese e contrade recanti il nome delle due Sante. E ancora oggi nella campagna Sabina, nel Tiburtino e nel Sublacense la devozione popolare per le due Sante è notevole.
I corpi dei ss. Anatolia e Audace riposano ancora a Subiaco nella basilica di S.Scolastica, sotto l'altare del Sacramento. Al di sopra un bel quadro secentesco rappresentante la Santa nell'atto di liberare Audace dal serpente. Il capo di S.Anatolia, come pure quello di S.Vittoria sono conservati, però, nel Sacro Speco. E l'immagine delle due Sante, che compare sull'arco di ingresso alla Santa Grotta in un affresco di scuola romana del sec.XIII, sembra guidare il fedele al mistico luogo santificato dalla presenza del grande Santo di Norcia. Altra immagine di Anatolia, di scuola senese del sec. XIV, è sulla parete di destra della Scala Santa dello stesso Santuario, presso la Grotta dei pastori.


Autore: Benedetto Cignitti

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11/07/2017 08:49
 
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Santi Sigisberto e Placido

11 luglio




Martirologio Romano: A Disentis nella Rezia superiore, ora in Svizzera, santi Placido, martire, e Sigisberto, abate, dei quali il secondo, compagno di san Colombano, fondò in questo luogo il monastero di San Martino, nel quale il primo coronò con il martirio la vita monastica

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12/07/2017 06:03
 
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San Pietro Khanh Martire

12 luglio




Martirologio Romano: Nella provincia di Nghệ An in Annamia, ora Viet Nam, san Pietro Khanh, sacerdote e martire, che, riconosciuto come cristiano al banco delle imposte, fu messo in prigione per sei mesi e, dopo vani inviti ad abiurare, fu decapitato sempre per ordine dell’imperatore Thiệu Trị.

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13/07/2017 06:55
 
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Santa Mirope di Chio Martire

13 luglio




Martirologio Romano: Nell’isola di Chio nel mare Egeo, santa Mirópe, martire.

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14/07/2017 08:36
 
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San Giovanni Wang Guixin Martire

14 luglio




Martirologio Romano: Nella città di Nangong nella provincia dello Hebei in Cina, san Giovanni Wang Guixin, martire, che durante la persecuzione dei Boxer preferì morire per Cristo piuttosto che macchiarsi sia pure di una lieve menzogna

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POTRESTE AVERE DIECIMILA MAESTRI IN CRISTO, MA NON CERTO MOLTI PADRI, PERCHE' SONO IO CHE VI HO GENERATO IN CRISTO GESU', MEDIANTE IL VANGELO. (1Cor. 4,15 .
 
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