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CREDENTI DA IMITARE (Eb.13,7)

Ultimo Aggiornamento: 18/05/2019 13:12
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24/07/2016 07:08
 
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Santi Boris e Gleb di Russia Martiri

24 luglio


sec. XI

Principi russi, figli di San Vladimiro, assassinati per ordine del loro fratello, Svjatopolk.

Etimologia: Boris (Bernardo, nelle lingue slave)


Emblema: Palma


Martirologio Romano: In Russia, santi Boris e Gleb, martiri, che, principi di Rostov e figli di san Vladimiro, preferirono ricevere la morte piuttosto che opporsi con la forza al fratello Svjatopolk: Boris conseguì la palma del martirio sul fiume Don vicino a Pereyaslavl, Gleb poco dopo sul fiume Dneper vicino a Smolensk.







Boris e Gleb nacquero da s. Vladimiro, granduca di Kiev, e da Anna, sorella di Basilio II il Bulgaroctono. Il granduca, primo principe cristiano della Russia, onorato dalle Chiese orientali, morì il 15 luglio 1015 dopo aver diviso il territorio fra i dodici figli. Sviatopolk, però, che aveva ereditato il granducato di Kiev, si rifiutò di eseguire la volontà paterna e incaricò alcuni sicari di sterminare tutti gli altri fratelli. Boris, principe di Rostov, fu ucciso nove giorni dopo la morte di Vladimiro (24 luglio 1015), mentre tornava dalla campagna condotta vittoriosamente contro le genti che abitavano il territorio compreso fra le foci del Don e del Danubio e le rive del Mar Nero. Secondo un cronista, Boris avrebbe impedito alle sue truppe di levare le armi contro i messi di Sviatopolk, dicendo di non voler nuocere al fratello che ormai nel suo cuore aveva preso il posto del padre. Gleb fu assassinato durante il viaggio di ritorno a Kiev, il 5 settembre dello stesso anno Sembra che Sviatopolk avesse incaricato alcuni fedeli di abbordare il battello di Gleb presso Smolensk, mentre risaliva il Dnieper, e avesse corrotto il cuoco di bordo, autore materiale del delitto.
In seguito, nel 1019, Jaroslav, primogenito di Vladimiro e principe di Novgorod, vinse Sviatopolk e si impossessò della città di Kiev che governò per trentacinque anni. Nel 1020 trasferì i corpi di Boris e Gleb nella chiesa di S. Basilio a Visgorod, li onorò come martiri per la tragica morte e incrementò la diffusione del loro culto.
La festa comune di Boris e Gleb, che col Battesimo avevano assunto i nomi di Romano e David, si celebra il 2 maggio, giorno anniversario di una traslazione delle reliquie che ebbe luogo nel 1072. La festa particolare di Boris si celebra il 24 luglio, quella di Gleb il 5 settembre. Il metropolita greco di Kiev, già nel secolo XII, fu invitato a procedere a una canonizzazione formale.
I nomi di Boris e Gleb aprono la lista dei santi nazionali della Chiesa russa, mentre la Chiesa rutenacattolica li accettò nel suo calendario perché vissero prima dello scisma. Per i russi, Boris e Gleb, campioni della non-violenza che preferirono morire per non far male ad altri, appartengono alla categoria degli "strastotèrpzi", o "soffritori di passioni", come i martiri propriamente detti. Questo è un modo tipicamente russo di concepire la santità, del quale, però, si trovano numerosi esempi nella storia della spiritualità cristiana. Boris e Gleb sono sempre abbinati, come Cosma e Damiano, Crispino e Crispiniano. I loro nomi finìrono col fondersi in Borisoglebsk, nome di numerosi monasteri e villaggi.
Una delle più belle icone di Alipio l'Iconico (sec: XII) illustrava la "passione" di Boris e Gleb e, secondo Sementovsky, si trovava a Santa Sofia in Costantinopoli ancora nel secolo XIII.


Autore: Ivan Sofranov

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27/07/2016 10:14
 
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Sant' Arnaldo di Lione Vescovo

27 luglio




Emblema: Bastone pastorale








Nel Catalogus Generalis Sanctorum il Ferrari menziona al 27 luglio un Arnaldo, vescovo di Lione, che sarebbe morto martire nel 1128. La notizia è però inverosimile, perché noi conosciamo i nomi dei vescovi che occupavano la sede in quel periodo, e tra essi non figura Arnaldo. La formula usata dall'agiografo "ex tabulis episcop. Lugdun." è troppo vaga perché se ne possa fare un controllo.


Autore: Gérard Mathon

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28/07/2016 06:10
 
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Sant' Arduino di Ceprano Sacerdote

28 luglio


† Ceprano, Frosinone, 28 luglio 627

A Ceprano (Fr), attivo centro produttivo noto soprattutto per le sue cartiere, si conserva il ricordo e il corpo di Sant'Arduino. Non abbiamo molte notizie storiche sulla vita del santo, onorato nella Chiesa di Santa Maria Maggiore, a Ceprano. Si sa per certo che che visse nell'undicesimo secolo, al tempo della prima crociata. Probabilmente fu un pellegrino o un crociato straniero, forse inglese, venuto a morte nella cittadina laziale presso il Liri e qui onorato a seguito di particolari grazie e miracoli a lui attribuiti. Il suo culto nel centro laziale fu da subito sincero e profondo, e venne approvato fin dal 1531 dal Papa Clemente VII. La figura di Arduino è il segno di una ricchezza storica di queste zone che spesso hanno vissuto il passaggio di stranieri o si sono trovate al centro di scontri tra eserciti. (Avvenire)







Secondo una recente leggenda Sant’Arduino sarebbe nativo dell’Inghilterra, di stirpe pagana. Sant’Agostino di Canterbury, celebre evangelizzatore dell’isola, lo convertì al cristianesimo e gli conferì l’ordinazione sacerdotale. Per un certo tempo Arduino esercitò il suo ministero dedicandosi intensamente alla preghiera ed al digiuno, finchè insieme ad altri santi pellegrini, Gerardo, Bernardo e Folco, decise di intraprendere la visita dei luoghi santi in Palestina. Al ritorno da questo lungo viaggio si sarebbe fermato a Ceprano, in provincia di Frosinone, ove fu però colpito dalla peste allora dilagante e trovò così la morte il 28 luglio 627. Gli fu data sepoltura nella chiesa di Santa Maria Maggiore. E’ da evidenziare che talvolta l’esistenza terrena di questo santo è invece collocata nell’undicesimo secolo, al tempo della prima Crociata.
Il suo culto, a Ceprano, fu sempre sincero ed affettuoso, e sin dal 1531 venne approvato dal Papa Clemente VII. Verso la metà del XVII secolo il clero della cittadina laziale si avvaleva ancora nella recita dell’Ufficio di una leggenda di Sant’Arduino, suddivisa in più lezioni con inni ed “oremus” propri. Nel 1728, però, i Bollandisti non riuscirono più a risalirvi, in quanto ormai aveva preso piede un Ufficio comune. Alcuni brani della leggenda ci sono comunque pervenuti grazie al Vitagliano che li riportò nel suo “Ceparano ravvivato”.
Verso il ‘600 il vescovo di Veroli, Eugenio Fucci, compì una ricognizione delle reliquie ed un’altra fu effettuata il 31 luglio 1863 dal vescovo Fortunato Maurizi, in occasione del nuovo altare dedicato al santo. In realtà già il 18 luglio 1621 il comune di Ceprano, come risulta dai suoi atti consiliari, aveva effettuato uno scambio di reliquie con il comune di Santo Padre al quale ne aveva ceduta una di Arduino. Il capo inltre, precedentemente separato dal corpo e legato in argento, fu adornato con maggiore fasto nel 1766. Una reliquia del santo si trova anche presso Rocca d’Arce, in diocesi di Aquino, ove nel 1779 fu trasferita in una nuova chiesa dalla vecchia cappella in demolizione a lui dedicata.
I Bollandisti collocarono la festa di Sant’Arduino al 25 ottobre, giorni in cui era ricordato nella seconda edizione del Martirologio di Giovanni Wilson ed in quello di Riccardo Challoner. Quanto all’iconografia del santo, si ha notizia di una sua immagine dipinta nell’antica basilica vaticana. Nella chiesa ormai scomparsa di Ceprano campeggiava una statua lignea con il capo in argento ed una tavola dipinta raffigurava al centro il santo ed attorno ad esso undici miracoli da lui operati. La sua immagine era inoltre intagliata nel prospetto del campanile di Santa Maria in Ceprano insieme con le effigi di altri tre pellegrini. La biografia scritta dal Tavani riporta la stampa di una bella incisione in rame che rappresenta il santo in vesti da pellegrino e sullo sfondo il ponte sul Liri e Ceprano con le sue torri. Ad essa si ispira il moderno dipinto del Boccali, dai vivaci colori, che raffigura Sant’Arduino con i classici attributi del pellegrino e del sacerdote.


Autore: Fabio Arduino

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29/07/2016 07:26
 
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Beato Carlo Nicola Antonio Ancel Martire

29 luglio




Martirologio Romano: Nel braccio di mare antistante Rochefort sulla costa francese, beato Carlo Nicola Antonio Ancel, sacerdote della Società di Gesù e Maria e martire, che, durante la rivoluzione francese, confinato in quanto sacerdote in una galera in condizioni disumane, portò a termine il suo martirio consunto da letale contagio.

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30/07/2016 08:42
 
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Beato Arnaldo Amalrico Vescovo

30 luglio




Emblema: Bastone pastorale








ARNALDO AMALRICO, arcivescovo di NARBONA, beato.
Monaco a Citeaux, abate di Poblet in Catalogna, poi di Grandselve e di Citeaux, Arnaldo fu energico campione dell'ortodossia contro gli eretici e gli infedeli. Nel 1204, legato apostolico di Innocenzo III, rafforzò la missione di Pietro di Castelnau contro gli Albigesi, proseguendola dopo l'assassinio di questo (1208). Predicatore della grande crociata antieretica, guidò l'esercito all'assedio e al massacro di Béziers (luglio 1209) e fu l'animatore delle azioni belliche di Carcassonne e Lavour. Ottenne, con implacabile intransigenza, e forzando le lunghe resistenze dello stesso pontefice, la scomunica di Raimondo VI di Tolosa (1211), la deposizione e le dimissioni di vari vescovi, fra i quali Berengario di Narbona. Eletto a quella sede il 12 marzo 1212, partecipò lo stesso anno, con truppe crociate, alla "Reconquista" contro i Mori e alla vittoria di Las Navas de Tolosa (16 luglio). Rivendicò vigorosamente, anche contro le pretese di Simone di Montfort (che egli giunse a scomunicare nel febbraio 1216), i diritti feudali della diocesi. Fu accusato di eccessi, ma ebbe fama di vita integra e di ardente zelo apostolico. Innocenzo III gli inviò il Libro dei Sermoni, una raccolta di discorsi dello stesso pontefice, come attesta la lettera premessa come prologo alla collezione. Arnaldo, che desiderava avere i sermoni di Innocenzo, gli aveva fatto pervenire la sua richiesta tramite il cappellano papale Niccolò. Arnaldo morì nell'abbazia di Fontfroid il 26 o il 29 settembre 1225.
A Citeaux, dove il suo corpo fu trasportato, gli fu eretto un mausoleo. E' ricordato il 30 luglio nei Menologi di Henriquez e Bucelino.


Autore: Alfonso M. Zimmermann

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31/07/2016 07:22
 
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Beata Caterina di Lovanio Monaca

31 luglio


XIII secolo

Nacque all’inizio del tredicesimo secolo da famiglia ebraica e il suo nome era Rachele. Avendo deciso, contro la volontà dei genitori, di abbracciare la religione cristiana, una notte abbandonò la sua casa e si rifugiò nel monastero di Parcum Damarum, presso Lovanio. Qui, battezzata pubblicamente, le fu imposto il nome di Caterina e vestì l’abito cistercense. Il padre tentò con ogni mezzo di farla tornare indietro, ma alla fine prevalse la volontà di Caterina, che poté trascorrere in pace il resto della vita, durante la quale ebbe estasi e visioni e operò vari miracoli. La sua morte avvenne nella prima metà del tredicesimo secolo.
L’Ordine Benedettino la festeggia il 31 luglio.







Nacque al­l'inizio del sec. XIII da famiglia ebraica, e il suo nome era Rachele. Avendo deciso, contro la vo­lontà dei genitori, di abbracciare la religione cri­stiana in cui si era istruita di nascosto, una notte abbandonò la sua casa e si rifugiò nel monastero detto Parcum Damarum presso Lovanio (Sainte Marie du Parc). Qui, battezzata pubblicamente, le fu imposto il nome di Caterina e vestì l'abito religioso dell'Ordine cistercense. Il padre, appreso ciò, tentò ogni mezzo affinché gli fosse riconsegnata la figlia, e sembra riuscisse con il denaro ad avere l'appog­gio di persone autorevoli, tra cui il vescovo di Liegi, mentre incontrò la fiera opposizione di altri, come l'abate di Viviers.
Nacque allora un'aspra e lunga lite, alla quale partecipò anche l'arcivescovo di Colonia, Engel-berto : infine prevalse la giustizia e Caterina potè trascor­rere in pace il resto della vita, durante la quale ebbe estasi e visioni e operò miracoli. La sua morte avvenne nella prima metà del sec. XIII. È ricor­data il 4 magg. ora col titolo di beata, ora con quello di santa.

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01/08/2016 06:08
 
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Beato Benvenuto Maria da Dos Hermanas (Giuseppe de Miguel Arahal) Sacerdote e martire

1 agosto


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Martirologio Romano: A Madrid in Spagna, beato Benvenuto (Giuseppe) de Miguel Arahal, sacerdote del Terz’Ordine di San Francesco degli Incappucciati della beata Vergine Addolorata e martire, che durante la persecuzione contro la fede versò il sangue per Cristo.

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02/08/2016 07:35
 
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San Basilio il Benedetto Taumaturgo russo

2 agosto


1468 - 1552

Basilio nacque nel dicembre 1468 da genitori contadini, in un sobborgo alla periferia di Mosca, fu avviato al mestiere di calzolaio, ma già da fanciullo dimostrò di apprezzare la preghiera solitaria e la vita ascetica. A16 anni predisse la morte di un uomo e a quel punto lasciò la bottega per intraprendere una vita da «folle per Cristo». Trascorreva le giornate nelle strade di Mosca in mezzo alla folla, seminudo e scalzo in tutte le stagioni, rimproverando i viziosi ed esortando tutti a praticare la verità e il bene, e passava le notti sulle soglie delle chiese, penitente per i peccati degli uomini. L'ammirazione popolare per Basilio indusse lo zar Ivan il Terribile ad invitarlo a corte. Nonostante Basilio lo rimproverasse continuamente per i suoi comportamenti sanguinari, Ivan il Terribile portò per lui una profonda venerazione. Basilio morì a 88 anni il 2 agosto 1557; ai funerali partecipò una folla immensa con il patriarca di Mosca, Macario; lo stesso zar portò a spalla il feretro fino alla Piazza Rossa nella cattedrale poi intitolata a Basilio il Benedetto. (Avvenire)







Il culto per s. Basilio il Grande vescovo di Cesarea del IV secolo, Dottore della Chiesa, è sin dall’antichità molto diffuso nei Paesi Orientali compresa la Russia.
Ma il più grande tempio, famosissimo, eretto a Mosca nel 1555-60 sulla odierna Piazza Rossa, adiacente il Cremlino, dedicato a s. Basilio, non tutti sanno che si tratta di un altro santo omonimo, tipicamente russo, conosciuto come san Basilio il Benedetto.
Egli è anche chiamato il Beato o il Buono e appartiene a quella ristretta categoria di quasi eremiti venerati nella Chiesa russa, chiamati “folli per Cristo”, penitenti che spogli di tutto, avevano comportamenti stravaganti non facilmente comprensibili, senza casa, vivevano di elemosine, seminudi e scalzi in tutte le stagioni, avevano però un carisma che attirava il rispetto della gente, pregavano, quando occorreva rimproveravano i viziosi e gli ingiusti, avevano spesso il dono della profezia.
Basilio nacque nel dicembre 1468 da genitori contadini, in un sobborgo alla periferia di Mosca, fu avviato al mestiere di calzolaio, ma già da fanciullo dimostrò di apprezzare la preghiera solitaria e man mano che cresceva, preferiva la vita ascetica, desideroso di arricchirsi di doni spirituali.
Già a 16 anni mentre era nel negozio di calzolaio, si mise a ridere alla richiesta di un cliente facoltoso che ordinava scarpe che dovevano durare svariati anni, interrogato dal padrone del perché del suo ridere, rispose: ”Mi sembra strano che quel signore ordini delle scarpe per alcuni anni, dato che morirà domani”.
La sua predizione si avverò e a quel punto il giovane Basilio non volle rimanere più nella bottega del calzolaio, sentendosi chiamato alla vita di “folle per Cristo”.
Trascorreva le giornate nelle strade e piazze di Mosca in mezzo alla folla vociante e cercava la compagnia dei mendicanti e dei disgraziati. Qualche volta accettava l’ospitalità della vedova boiara Stefanida Jurlova, ma le notti le passava sulle soglie delle chiese, lacrimando per i peccati degli uomini.
In tutte le stagioni camminava seminudo e scalzo fingendo di essere muto; affermava di continuo: “Se l’inverno è atroce, il paradiso è dolce”. Condusse questo genere di vita fino alla morte, rimproverando i viziosi, esortando tutti a praticare la verità e il bene.
Si comportava a volte proprio come un pazzo, rovesciando le bancarelle del mercato del pane e le brocche del ‘kvas’ (bevanda fermentata russa), suscitando le ire dei venditori, i quali lo percuotevano e lui accettava tutto con gioia ringraziando Dio; più in seguito si comprese il motivo di ciò, i prodotti erano preparati con sostanze pericolose e il ‘kvas’ non era genuino.
Compì un giorno un gesto sacrilego, distrusse l’icona della Madonna venerata presso la Porta S. Barbara a Mosca, il motivo era che solo lui riusciva a vedere, dipinta sotto l’immagine di Maria, quella del demonio.
L’ammirazione popolare per Basilio cresceva di giorno in giorno come uomo di Dio e castigatore di costumi perversi, veniva considerato successore di Massimo altro “folle per Cristo” morto 50 anni prima e venerato in tutta la città.
La sua fama di santità raggiunse anche la corte, infatti lo zar Ivan il Terribile, volle provare se Basilio si facesse corrompere dall’oro; lo convocò a corte, lo rivestì di splendidi vestiti e gli regalò dei lingotti d’oro, poi lo fece seguire per osservare il suo comportamento. Questi lasciato il palazzo reale, si recò sulla Piazza Rossa per consegnare l’oro ad un commerciante straniero, meravigliato di ciò lo zar chiese spiegazioni del perché avesse dato l’oro ad un ricco invece che ai poveri e Basilio rispose: “Quel commerciante era molto ricco, ma la sua flotta affondò lasciandogli come sola ricchezza il lussuoso vestito che portava addosso, da tre giorni non mangiava e vestito così si vergognava di chiedere l’elemosina, mentre i poveri non arrossiscono e riescono a procurarsi il necessario”.
Nonostante che rimproverasse continuamente lo zar per i suoi comportamenti sanguinari, Ivan il Terribile portò per lui una profonda venerazione, lo andò perfino a visitare insieme alla famiglia quando Basilio fu affetto da grave malattia. Il prevedere l’avvenire fu uno dei doni carismatici di cui fu rivestito e questo lo portò ad essere fortemente venerato sia dal popolo, che dai potenti; nonostante la vita di stenti che condusse, Basilio “il folle di Cristo”, visse fino agli 88 anni, morendo il 2 agosto 1557; ai funerali partecipò una folla immensa con il patriarca di Mosca, Macario; lo stesso zar portò a spalla il feretro fino alla chiesa eretta nella Piazza Rossa in onore della Protezione della Madre di Dio. Il popolo cambiò il nome alla cattedrale chiamandola appunto di S. Basilio il Benedetto; dopo la morte cominciarono ad avvenire numerosi miracoli e fu subito venerato dai fedeli, la Chiesa russa lo annoverò fra i suoi santi nel 1588.
Fino allo scoppio della rivoluzione bolscevica, le reliquie si trovavano nella cattedrale di Mosca, di cui s. Basilio è patrono. La festa liturgica è celebrata il 2 agosto e una volta veniva fatta alla presenza dello zar.


Autore: Antonio Borrelli

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03/08/2016 08:17
 
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Sant' Eufronio di Autun Vescovo

3 agosto




Martirologio Romano: A Autun nella Gallia lugdunense, in Francia, sant’Eufronio, vescovo, che costruì la basilica di san Sinforiano martire e ornò con maggior decoro il sepolcro di san Martino di Tours.

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05/08/2016 07:57
 
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Beato Corrado di Laodicea Vescovo

5 agosto




Vescovo di Laodicea in Siria, il Beato Corrado dell'Ordine della Mercede, fu zelante pastore che condusse molte anime a Dio. Famoso per la santità, le virtù e miracoli si addormentò lietemente nella pace del Signore.
L'Ordine lo festeggia il 5 agosto

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06/08/2016 08:24
 
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Beato Carlo Lopez Vidal Laico coniugato, martire

6 agosto


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Carlos López Vidal, fedele laico, nacque il 15 novembre 1894 a Gandía (Valencia). Sagrestano della Collegiata di Gandía si sposò, nell’ottobre 1923, con la sig.na Rosa Tarazona Ribanocha. Uomo di fede e di vita orante visse nell’esercizio delle virtù cristiane. Aderì a diverse associazioni di apostolato. Incarcerato il 6 agosto 1936, dopo un’ora subì il martirio nella Pedrera di Gandía, al grido di: “Viva Cristo Re!”. La sua beatificazione è stata celebrata da Papa Giovanni Paolo II l’11 marzo 2001.

Martirologio Romano: Vicino alla città di Gandía nel territorio di Valencia in Spagna, beato Carlo López Vidal, martire, che durante la persecuzione contro la fede raggiunse la gloria celeste.

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07/08/2016 07:27
 
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Beato Alberto da Sassoferrato Monaco camaldolese

7 agosto


XIV secolo

Etimologia: Alberto = di illustre nobiltà, dal tedesco


Martirologio Romano: Presso Sassoferrato nelle Marche, beato Alberto, monaco dell’Ordine Camaldolese, insigne per austerità e scrupolosa osservanza della regola.







Uno dei più importanti monumenti della cittadina di Sassoferrato, nelle Marche, in provincia di Ancona (ma più vicina all'Appennino che non al mare Adriatico), è la chiesa di Santa Croce, prossima al quartiere Borgo. Presso Sassoferrato sorgeva un tempo la città umbra di Sentinum, che Ottaviano Augusto assediò invano, e venne poi conquistata di sorpresa e distrutta. La chiesa medievale di Santa Croce venne in parte costruita con materiali provenienti dalla distrutta Sentinum. e oltre a questa curiosità di carattere archeologico, costituisce un edificio di solenne bellezza, con la sua struttura a tre navate, con tre absidi, più due sui fianchi. Edificata a partire dal XII secolo, è di stile romanico con influssi lombardi, di un tipo abbastanza frequente nelle antiche città marchigiane.
E nella chiesa di Santa Croce, presso Sassoferrato, è sepolto il corpo del Beato Alberto, la cui immagine è rappresentata in alcune opere d'arte conservate in questa stessa chiesa, sull'altare del Beato e sull'altar maggiore.
Il Beato Alberto fu monaco nel convento esistente presso la chiesa, e morì nel 1350. Viene considerato come appartenente alla famigli dei Camaldolesi, perché in seguito la chiesa e il monastero di Santa Croce vennero occupati dai monaci di San Romualdo. Ma ciò avvenne alcuni anni dopo la morte del nostro Beato, e quindi non possiamo dire con sicurezza a quale ramo dell'Ordine benedettino appartenne il monaco Alberto.
Il suo culto, approvato nel secolo scorso, fu assai vivace nella zona di Sassoferrato. Tra l'altro egli venne invocato - non sappiamo a quale titolo - contro i mali di testa e il mal di stomaco, e data la frequenza di questi penosi disturbi, è facile immaginare come il nome di un Beato capace di alleviarli potesse facilmente diventare popolare, almeno nella regione nella quale è circoscritto il suo culto! Insieme con il Beato Alberto, viene ricordato anche il Beato Gherardo, suo confratello, morto nel 1367 alla bella età di ottantasette anni.
Anche egli era marchigiano, non però di Sassoferrato. Visse nella non lontana Serra de' Conti, dove ebbe cura d'anime e dove temperò la propria anima con i rigori della vita eremitica.
Le sue spoglie furono riposte e venerate nella chiesa romanica detta de " Le Mòje ", altra bella costruzione medievale assai simile a Santa Croce di Sassoferrato, riportata non molti anni fa alle linee originarie.
Anche il Beato Gherardo di Serra de' Conti viene onorato nell'Ordine di Camaldoli, e non sappiamo quali motivi abbiano condotto a far memoria comune di lui insieme con il Beato Alberto, suo confratello.
0 forse i motivi sono facilmente intuibili dalla comunanza di epoca, di condizione, di intenti; dall'appartenenza a una stessa terra, opima di frutti spirituali, e finalmente dal fatto che il nome e il culto del Beato Alberto, come quello del Beato Gherardo, siano restati legati a due monumenti simili, e ambedue belli, a Sassoferrato e a Serra de' Conti.





Fonte:

Archivio Parrocchia

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08/08/2016 12:34
 
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Beato Antonio Silvestre Moya Sacerdote e martire

8 agosto


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Martirologio Romano: In località El Saler vicino a Valencia in Spagna, beato Antonio Silvestre Moya, sacerdote e martire, che nel corso della persecuzione contro la fede raggiunse invitto il regno celeste per la sua ferma testimonianza data a Cristo

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09/08/2016 08:35
 
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Beato Claudio Richard Martire

9 agosto




Martirologio Romano: In una sordida galera ancorata nel mare al largo di Rochefort in Francia, beato Claudio Richard, sacerdote dell’Ordine di San Benedetto e martire, che, scacciato dal monastero di Metz durante la rivoluzione francese a causa del suo sacerdozio, fu gettato in una nave adibita a prigione, dove morì contagiato nel prestare assistenza ai detenuti malati.

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10/08/2016 07:06
 
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San Besso Martire

10 agosto


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† Campiglia, Torino, fine III secolo



Secondo la tradizione, Besso era un soldato della legione Tebea convertitosi al Cristianesimo. Intorno al 286 , l’imperatore romano Massimiano si trovava con le sue truppe ad Agaunum (odierna Saint-Maurice in Svizzera). I soldati cristiani della legione Tebea, vennero massacrati per aver rifiutato di sacrificare agli dei pagani. All'eccidio scamparono solo pochi legionari, che presero a vagare per i monti, portando il messaggio della nuova fede. Questi soldati spesso martirizzati, furono i primi evangelizzatori di molte vallate della Alpi Occidentali. Anche Besso riuscì a convertire un gran numero di montanari della Val Soana, finchè venne catturato e scaraventato giù dal Monte Fautenio. Besso morì, ma lasciò miracolosamente la sua impronta sulla roccia sottostante, dove ora sorge il santuario a lui dedicato.

Patronato: Campiglia (To), Valprato Soana (To), Cogne (Ao)


Emblema: Palma, Spada, Stendardo, Croce Mauriziana, Elmo con piume di struzzo









Tra i numerosi martiri pseudo-tebei, cioè presunti appartenenti alla mitica Legione Tebea, San Besso pare essere quello con un culto popolare maggiormente radicato ed ancor oggi fiorente. In realtà incerte ed oscure sono le notizie che lo riguardano. La leggenda ne ha fatto come dicevamo un ex soldato della Legione Tebea, dunque compagno di San Maurizio, scampato al tragico eccidio di Agunum (odierna Saint-Maurice in Svizzera) ordinato dall’imperatore Massimiano e, passando per la Valle d’Aosta ed in particolare da Cogne ove è venerato, rifugiatosi in Piemonte. Qui si sarebbe dedicato all’evangelizzazione dei montanari pagani. Talvolta però Besso è considerato un vescovo di Ivrea, vissuto nell’VIII secolo e viene allora avanzata l’ipotesi, peraltro non suffragata da antiche fonti, che si possa trattare di due personaggi ben distinti: il primo sarebbe stato un eremita morto e venerato nel santuario alpestre sopra Campiglia in Val Soana, mentre il secondo un martire di Ivrea, qui venerato sin dall’antichità, a volte fu creduto addirittura vescovo della città. Ad aumentare la confusione circa la reale identità del santo contribuisce la doppia festa liturgica in suo onore il 10 agosto ed 1° dicembre, celebrata sia nel santuario che ad Ivrea.
Anche sulle circostanze del martirio di San Besso esistono molteolici versioni. Quella riportata in un breviario del 1473 conservato presso la diocesi di Ivrea, racconta di come il santo, invitato da alcuni ladri di bestiame ad un banchetto ed accortosi della provenienza furtiva della carne di pecora che gli era stata offerta, deplorò aspramente il costume dei montanari che lo ospitavano. Questi, adirati contro di lui, lo scaraventarono giù dal Monte Fautenio e lì, ancora in vita, egli sarebbe stato raggiunto e trucidato dai legionari romani rimasti sulle sue tracce da Agaunum. Sulla roccia sarebbe miracolosamente impressa una sua impronta. Secondo la tradizione, il santuario fu costruito sul luogo del martirio sotto al grande masso, ancora oggi meta di pellegrinaggi. La stessa fonte documentale riporta che, secondo un’altra versione, il santo si sarebbe miracolosamente salvato e, rifugiatosi nella vicina Valle di Cogne, in quest’ultima dimora sarebbe stato massacrato dai legionari romani.
Lo storico ed antropologo francese Robert Hertz raccolse nel 1912 ancora un’altra versione della vita di San Besso, tramandata oralmente tra la gente di Cogne, secondo la quale il santo non fu un milite tebeo, ma semplicemente un devoto pastore locale che Dio ricompensava facendo prosperare il suo gregge. Secondo tale versione, egli sarebbe stato scaraventato giù dalla rupe da alcuni montanari miscredenti, furenti dall’invidia nei suoi confronti.
Sulle vicende delle spoglie mortali del santo, la leggenda vuole che nel IX secolo, dopo esser state trafugate da pii ladri avidi di reliquie, esse siano finite in avventurose circostanze ad Ozegna, ove ora sorge il santuario della Beata Vergine del Convento e del Bosco. Un paio di secoli dopo, ad opera del celebre Re Arduino, le sacre reliquie vennero da qui traslate nella cripta della cattedrale di Ivrea, ove trovarono degna collocazione in un antico sarcofago romano tuttora visibile. Oggi riposano invene in un altare laterale di detta cattedrale insieme ad altri santi martiri.
San Besso ebbe fama di grande santo taumaturgo, autore di innumerevoli miracoli, protettore dei soldati contro i pericoli della guerra. La speciale devozione verso il santo si esprime ancor oggi nella festa in suo onore celebrata annualmente il 10 agosto nel santuario posto tra le montagne del Parco Nazionale del Gran Paradiso, nell’alta Val Soana ad oltre 2000 metri di altitudine. I fedeli accorrono numerosi in pellegrinaggio sia da Campiglia che dalla vallata di Cogne, da cui occorre partire il giorno prima e pernottare presso il ricovero del santuario. Molti, un tempo, indossavano i coloratissimi costumi tradizionali delle diverse valli. La statua del santo viene portata in processione compiendo un giro attorno alla grande rupe che fu testimone del suo martirio: l’onore di portare la statua del santo, oggi attribuito ponendola all’incanto, fu un tempo causa di violenti liti tra Campigliesi e Cognensi, due comunità oggi appartenenti a differenti diocesi, ma prima del 1200 unite sotto la diocesi di Ivrea, oltre che dalla comune parlata dialettale franco-provenzale.
Nelle credenze e nei riti popolari è possibile individuare elementi che rimandano alle antiche venerazioni di rocce ritenute centri di irradiazione di una forza divina. Talune fonti affermano che “durante il rito devozionale, i fedeli effettuano pratiche segrete e misteriose basate sulla convinzione che il contatto con la pietra favorisca la fecondità”. In realtà l’origine di questo culto è certamente precristiana ed è caratterizzata dalla persistenza di un forte culto litico. Ancora oggi le popolazioni di Cogne e Campiglia sono fortemente attaccate alla tradizione dei poteri taumaturgici della roccia di Besso, ovvero di scaglie scalpellate dalla roccia del monte Fautenio. Occorre infine come sia del tutto singolare e significativa l’assonanza tra il nome di San Besso ed il dio egizio Bes, anch’egli particolarmente invocato per la fecondità. Un’ulteriore somiglianza fra il santo cristiano e la divinità pagana è prettamente iconografica, in quanto entrambi sono sovente raffigurati con un copricapo di piume di struzzo.

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11/08/2016 08:25
 
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San Cassiano di Benevento Vescovo

11 agosto




Martirologio Romano: A Benevento, san Cassiano, vescovo.








Secondo un antico breviario della Chiesa di Benevento, Cassiano fu il quarto vescovo della città succedendo, verso la metà del sec. IV, ad Apollonio. Il De Vipera data il suo episcopato intorno al 311, ma erroneamente, perché Apollonio era ancora vescovo nel 326; il Sarnelli, invece, seguito poi dall'Ughelli e da altri, sostiene una cronologia prossima al 340. Cassiano resse a lungo la diocesi, ma mancano documenti particolari sulla sua attività pastorale. Morì il 12 agosto di un anno ignoto e il suo corpo fu sepolto in Santa Sofia. Al santo vescovo fu dedicata una chiesa parrocchiale, esistente certamente nel sec. XII, come attesta un documento relativo ai beni della badia di Santa Sofia in Benevento: oggi, però, non sussiste alcuna memoria di essa.
Il 12 agosto si celebra la festa di Cassiano, che il Lanzoni pensa si possa identificare con il martire omonimo venerato ad Imola il 13 agosto: la sua è, però, una ipotesi non suffragata da prova alcuna.


Autore: Antonio Balducci

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12/08/2016 15:30
 
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Beato Bonaventura Garcia Paredes Sacerdote domenicano, martire

12 agosto


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Castanedo de Luarda, Spagna, 19 aprile 1866 - Madrid, Spagna, 12 agosto 1936








Bonaventura Garcìa Paredes nacque il 19 aprile 1866 in Asturia (Spagna), a Castanedo de Luarda, in una semplice famiglia di pastori, i cui forti principi cristiani fecero maturare nel giovane la vocazione religiosa. Aiutava il padre nel pascolo delle pecore e frequentava la prima classe nella scuola parrocchiale, quando conobbe l’Ordine Domenicano durante una missione popolare nel suo paese. I frati intuirono che il giovane possedeva doti non ordinarie e, nei due anni successivi, gli fecero frequentare la Scuola Apostolica Domenicana di Curias. Iniziò quindi il noviziato e, dopo un breve periodo in famiglia a causa di un problema di salute, proseguì gli studi a Toledo, abitando nella cella che era stata del martire s. Melchor Garcìa Sampedro. Il 30 agosto 1883 ricevette l’abito, quattro anni dopo fece la professione solenne. Prese il nome di Bonaventura di San Ludovico Bertran. Frequentò i corsi di teologia ad Avila, studiando in particolare la Summa di San Tommaso d’Aquino. Passò all’Università di Salamanca, poi a Valencia e a Madrid. Il 25 luglio 1891, nella cappella del palazzo episcopale di Avila, venne ordinato sacerdote. Nei vari corsi universitari che frequentò ebbe sempre i massimi voti. Ottenne il dottorato in filosofia e lettere, con tesi su s. Tommaso e l’estetica moderna, e in diritto civile. Trentenne fu mandato nelle isole Filippine, a Manila, per completare gli studi, poi, tornato in patria, ad Avila, iniziò ad insegnare ed a pubblicare alcuni articoli. Nel 1901 fu eletto priore del convento di s. Tommaso. Ebbe quindi l’incarico di scrivere il volume dedicato a Papa Leone XIII per l’Historia Ecclesiastica iniziata dal P. Rivas e aprì una scuola a Segovia. Il 14 maggio 1910 fu eletto superiore della Provincia di Manila, la più numerosa dell’Ordine, che contava seicento frati. Animato dallo spirito missionario, si preoccupò costantemente della formazione dei nuovi frati. Visitò la Cina, il Giappone, il Vietnam, dove eresse scuole e ospedali. Fondò la rivista “Missiones Dominicanas”, per far conoscere le fatiche dei missionari. A Manila progettò e costruì la nuova sede della curia provinciale. Nel 1911, a trecento anni dalla fondazione, diede inizio all’ampliamento della Università di s. Tommaso in Spagna. Costruì inoltre il Centro Studi Teologici di New Orleans. Al termine dei quattro anni di provincialato fu, da Papa Pio X, riconfermato nell’incarico perché proseguisse il suo intenso apostolato. Nel 1917 diede mano alla costruzione della casa del Rosario di Madrid di cui poi divenne superiore. Viveva in quella casa anche il b. Manuel Alvarez che riceverà, nel 1936, anch’egli la corona del martirio. Era un punto di riferimento per tutto l’Ordine e il 22 maggio 1926 fu eletto Maestro Generale, nonostante le sue suppliche d’esserne esonerato. Alla prima benedizione come Maestro, erano presenti alcuni futuri compagni di martirio. Chiese la collaborazione di tutti, mettendo la preghiera a fondamento del nuovo, gravoso, compito. Si trasferì quindi nella sua nuova dimora, la città eterna.
Come guida di tutta la congregazione il suo impegno non poteva certo conoscere rallentamenti. Ad un anno dall’elezione assunse, nei confronti di tutte le monache e le suore legate all’Ordine, un provvedimento importante. Ognuna di esse, per diritto, poteva firmare con la sigla O.P. Tutti erano chiamati a testimoniare la fede nel nome del s. Padre Domenico, perché, come in una sola grande famiglia, “batte in tutti i cuori domenicani, lo stesso amore per il bene comune dell’Ordine”. Nominò quindi le commissioni per adattare le Costituzioni, sia dei frati che del ramo femminile, al nuovo diritto canonico. Intanto, nella sua amata Spagna veniva proclamata la Repubblica (1930), dopo la caduta del dittatore Primo de Rivera. Il governo era però debole e, per reprimere le agitazioni operaie in Asturia e in Catalogna, fu chiamata dal Marocco la Legione Straniera, comandata da Francisco Franco. Nel 1936 ci furono libere elezioni ampiamente vinte dal Fronte popolare che era però diviso al suo interno (era composto da anarchici, comunisti, socialisti e repubblicani). In questo clima ebbe il sopravvento, con un colpo di stato, Francisco Franco. Scoppiò la guerra civile che vide giungere nel paese moltissimi volontari antifascisti da tutta Europa mentre, dall’Italia e dalla Germania, arrivava il sostegno opposto. I morti furono numerosissimi, tra i quali molti sacerdoti e molte suore, vittime di una cultura ideologica anticlericale.
Mentre giungevano anche le tristi notizie delle persecuzioni religiose in Messico, dopo alcune udienze private con Papa Pio XI, P. Bonaventura tornò in Spagna, consapevole di quanto fosse rischioso . Ai primi di agosto fu prelevato dal convento di Ocana e condotto a Madrid dove fu ucciso il 12 agosto 1936.
Il figlio del pastore, che era stato guida di tutto l’Ordine dei Predicatori, come il Buon Pastore pronto a dare la vita per le sue pecore, testimoniava una fiduciosa rassegnazione alla volontà di Dio. Il beato Bonaventura è stato beatificato, insieme a numerosi altri compagni, il 28 ottobre 2007.


Autore: Daniele Bolognini

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13/08/2016 06:46
 
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San Benildo Romancon Religioso

13 agosto


Thuret, Alvernia, Francia, 14 giugno 1805 - Sangues, Alta Loira, 13 agosto 1862



Nato a Thuret il 14 giugno 1805 e battezzato col nome di Pietro Romancon, dai lavori campestri il beato passò alle scuole tenute dai Fratelli delle Scuole Cristiane a Riom. Egli avrebbe voluto entrare in quella Congregazione, ma non poté essere ammesso per la sua piccola statura. L'anno seguente, però, rinnovò la domanda, che fu accolta, e poté passare al noviziato, durante il quale la sua vocazione fu posta a dura prova dalle insistenze del padre che lo rivoleva in casa. Il giovane resistette con tenacia, fu ammesso ai voti e prese il nome di Benildo, ponendosi sotto la protezione di s. Benilde. Per venti anni fu addetto a varie scuole (Riom, Moulins, Limoges, Aurillac, Clermont, Billon), facendosi dovunque apprezzare dai confratelli, per la sua dolcezza, e dagli alunni, per la sua sapienza pedagogica. Durante questi anni, Benildo si occupò anche, per breve periodo, della cucina, dell'orto, dimostrando in questi lavori una serena umiltà e una grande cura.
Il 21 settembre1841 Benildo fu inviato a Sangues, a fondare e dirigere una nuova scuola, richiesta da quel comune e finanziata con pubblica sottoscrizione, ed ivi rimase fino alla morte. Le incomprensioni e le sofferenze furono molte, aggravate da un lavoro massacrante (tre soli fratelli per circa trecento alunni), ma Benildo riuscì ad impiantare e a far funzionare egregiamente la scuola fino alla sua morte, avvenuta il 13 agosto 1862.
Particolare impegno mise sempre nell'insegnamento del catechismo: in questa materia non ammetteva che alcun alunno rimanesse ignorante. Prendeva perciò a parte i più tardivi e con essi insisteva, fino a che avessero imparato a dovere le formule e il loro senso. In questo atteggiamento tipico lo rappresenta appunto, sull'altare a lui dedicato nella cappella della casa generalizia di Roma, un bel gruppo marmoreo dello scultore Ciocchetti; mentre una tela del pittore Mariani lo raffigura nell'atto di consacrare gli alunni a s. Giuseppe, per il quale dimostrò sempre una grande devozione.
Benildo ebbe una tale capacità di penetrare nell'animo dei giovanetti come maestro e più ancora come guida spirituale, che molti pensarono a speciali doni celesti, ottenuti con l'assiduità delle preghiere e delle penitenze. Presso la popolazione di Sangues egli godé sempre di una vera reputazione di santità. Un Crocifisso a lui appartenuto viene, ancora oggi, portato presso gli infermi del luogo, che piamente lo baciano invocando l'intercessione del beato, al quale è consacrata una cappella della chiesa parrocchiale.

Martirologio Romano: Nella cittadina di Saugues presso Puy-en-Vélay sempre in Francia, san Benildo (Pietro) Romançon, dell’Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, che passò la vita dedito alla formazione della gioventù.








Pietro Romançon, questo il suo nome da laico, nacque a Thuret piccolo villaggio dell’Alvernia in Francia il 14 giugno 1805, egli crebbe in questo paese che aveva già conosciuto gli orrori della Rivoluzione Francese sebbene di appena 1800 abitanti, i suoi compaesani furono tutti indomiti fedeli alla Chiesa Cattolica Romana e quindi disertarono la parrocchia diretta da un parroco ‘giurato’, cioè di quegli ecclesiastici che cedettero alle minacce dei governanti di allora, aderirono alla nuova Costituzione Civile del Clero, e giurarono fedeltà allo Stato e non al romano pontefice.
I cittadini di Thuret pieni di viva fede cattolica, assidui alle funzioni, difensori della religione, presero a frequentare di nascosto un altro sacerdote non ‘giurato’, che officiava clandestinamente spostandosi di continuo per non essere catturato.
Questo era il clima di religiosità in cui nacque Pietro Romançon e i suoi genitori Giovanni e Anna Chanty erano degni interpreti di questa religiosità e timore di Dio; quando nacque, la Francia e l’Europa erano sconvolte da guerre che vedevano contrapposte nell’era napoleonica nazioni contro nazioni.
Anche nel villaggio di Thuret, il fanciullo Pietro cresceva con davanti le scene della partenza dei giovani coscritti per le armate di Napoleone Bonaparte, lo strazio delle madri, il terrore di giovani che cercavano di sfuggire a questa dura sorte e scappavano sui monti inseguiti dalle pattuglie di polizia militare.
Gli avvenimenti storici che si susseguivano, fecero comprendere ben presto al ragazzo l’instabilità delle umane istituzioni, egli concepì così un vero orrore per ogni prepotenza e ingiustizia e imparò a riporre in Dio ogni sua fiducia, e ben presto sentì chiaramente l’invito divino a distaccarsi dalle cose terrene, per dedicarsi ad un superiore destino religioso.
Cresciuto con l’amorevole cura della mamma molto devota, un giorno l’accompagnò alla fiera di Clermont e lì fortuitamente dopo una preghiera alla Madonna nel vicino santuario, fra la folla, il piccoloPietro vide un sacerdote con colletto bianco che incurante della confusione del mercato, proseguiva il suo cammino con la corona in mano e pregando; il ragazzo domandò alla madre chi fosse e lei rispose che era un Fratello delle Scuole Cristiane e dietro altra sua richiesta, continuò a dire, che essi facevano scuola per tutta la vita, specialmente ai fanciulli poveri, per amore di Dio.
Pietro tacque e rifletté, poi rispose in tono deciso: “Così mamma voglio essere anch’io”. Il Signore dispone le cose in modo che esse possono attuarsi, se sono secondo la Sua volontà; dopo un certo tempo i Fratelli delle Scuole Cristiane, aprirono un loro Istituto nella vicina Riom e Pietro venne inviato dai genitori, come collegiale dai Fratelli nella nuova sede, affinché potesse continuare negli studi, anche se questo comporterà un allontanamento da casa dell’amato figlio.
Il contatto giornaliero con i membri professori di questa Congregazione, fondata nel 1680 da s. Jean-Baptiste de La Salle (1651-1719) fece maturare ancor più la nascente vocazione di farsi religioso, ma un inflessibile Direttore non lo ammise, perché per i suoi quattordici anni era apparso troppo piccolo di statura.
Dopo quasi due anni l’ammissione fu possibile e così il 10 febbraio del 1820, il giovane Pietro Romançon lasciava per sempre la sua casa di Thuret per entrare nel noviziato dei Fratelli di Clermont accompagnato dal direttore del Collegio di Riom.
Il periodo del noviziato, fu per lui un tempo di dure prove, preso dal desiderio di diventare un religioso, dovette più volte resistere alle insistenze del padre che lo rivoleva a casa, bisognoso del suo aiuto ora che si era fatto vecchio. Per tutta la vita fratel Benildo, questo il nome che gli venne dato alla sua ‘vestizione’, restò inflessibile e fedele alla sua vocazione e il Signore benedirà il suo Noviziato con grazie singolari, che faranno esclamare al suo Direttore Fratel Aggeo: “Non mi stupirei che questo caro figliuolo divenisse un giorno una gloria del nostro Istituto”.
Superate con tenacia le resistenze paterne, fu ammesso ai voti, ponendosi sotto la protezione di s. Benilde, martire spagnola di Cordova, della quale aveva preso il nome. Per venti anni fu addetto a varie scuole nelle città di Riom, Moulins, Limoges, Aurillac, Clermont, Billon; ovunque apprezzato dai confratelli per la sua mitezza e dagli alunni per la sua sapiente pedagogia; durante questo lungo periodo si occupò brevemente anche della cucina e dell’orto con serena umiltà; nel contempo l’11 settembre 1836 fece la sua Professione solenne.
Il 21 settembre 1841 fratel Benildo venne inviato a Saugues a fondare e dirigere una nuova scuola, richiesta e finanziata da quel Comune, con una pubblica sottoscrizione; non si mosse più da lì, dopo tanti trasferimenti, che se pur previsti nella Regola dell’Ordine, apportavano ferite dolorose al suo cuore ed ai suoi sentimenti, verso le centinaia di alunni che incontrava, formava, avviava, istruiva, in ogni posto dove era stato mandato e che egli poi doveva lasciare.
A Saugues il lavoro fu incredibile e massacrante, c’erano solo tre fratelli per circa trecento alunni, ma fratel Benildo, nonostante le numerose incomprensioni e le molte sofferenze, riuscì ad impiantare saldamente la scuola ed assicurarne il funzionamento.
Mise sempre un particolare impegno nell’insegnamento del catechismo, specie con i più tardivi, perché su questa materia non voleva che nessuno rimanesse indietro; e attorniato da ragazzi è raffigurato in un bel gruppo marmoreo, nella cappella a lui dedicata nella Casa Generalizia di Roma e in un quadro del pittore Mariani, nell’atto di consacrare un gruppo di fanciulli a s. Giuseppe, per il quale ebbe sempre una grande devozione.
Fratel Benildo ebbe una tale capacità di penetrare nell’animo degli adolescenti, come maestro, ma ancor più come guida spirituale, che molti presero a pensare che fosse dotato di speciali doni celesti, ottenuti con la preghiera assidua e con le penitenze.
Presso la popolazione di Saugues, dove visse ed operò per 21 anni, egli godé sempre di una reputazione di santità; quando compariva per le strade, i ragazzi scorgendolo, se lo additavano dicendo: “Il santo! Ecco il Santo! Viene il Santo!”; rendendo così omaggio a questa sua unica grandezza, la sua intimità con Dio, dalla quale non nascevano le cose grandi, ma le cose perfette.
Visse in povertà, vestì spesso con vesti rammendate, dimesse; aveva imparato a cucire e rammendare, trovando fra l’altro il tempo di rendere questi umili servigi ai suoi confratelli, anche se non con perfezione.
Più volte presagì l’approssimarsi della fine della sua vita e come per tutti i Santi, la vita divenne una preparazione alla morte, da offrire a Dio come l’ultimo loro atto di fedeltà.
Nel 1862 ultimo suo anno di vita, le sue forze declinarono, i dolori di un probabile cancro al fegato si facevano acuti, ma lui fra la costernazione dei Fratelli e le preghiere della Comunità di Saugues, continuò a compiere i suoi doveri di Direttore della Scuola Cristiana; agli inizi di giugno dovette mettersi a letto, alternando qualche raro giorno di miglioria, che Fratel Benildo utilizzava per giungere fino alle classi degli studenti per salutarli e dispensare i suoi ultimi consigli, come un testamento spirituale. Man mano che il male avanzava, egli veniva a distaccarsi sempre più dalle cose terrene, la sua preghiera si faceva più intensa e continua.
Dopo aver ricevuto cosciente gli ultimi Sacramenti con angelica gioia e mistico raccoglimento, Fratel Benildo morì il 13 agosto 1862 a 57 anni, di cui oltre 40 di vita religiosa, tra il compianto generale.
Il giorno dell’Assunzione di Maria, si svolsero i solenni funerali nella parrocchia di Saugues, cui partecipò tutto il clero e i Fratelli con gli alunni ed ex alunni; da quel giorno la fama di santità, già forte in vita, divenne costante con numerosi pellegrinaggi alla sua tomba.
Numerosi furono e sono i miracoli ottenuti per la sua intercessione; un Crocifisso a lui appartenuto, viene ancora oggi, portato presso gli infermi di Saugues che con devozione lo baciano, invocando l’intercessione di fratel Benildo.
Il decreto di introduzione per la causa di canonizzazione si ebbe nel 1903, fu dichiarato venerabile nel 1928, in questa occasione papa Pio XI pronunciò un memorabile discorso sopra il “terribile quotidiano” e cioè sull’eroicità senza splendore.
Venne beatificato il 4 aprile 1948 da papa Pio XII e infine proclamato santo da papa Paolo VI il 29 ottobre 1967.


Autore: Antonio Borrelli

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14/08/2016 08:29
 
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San Massimiliano Maria Kolbe Sacerdote e martire

14 agosto


Zdunska-Wola, Polonia, 8 gennaio 1894 - Auschwitz, 14 agosto 1941



Massimiliano Maria Kolbe nasce nel 1894 a Zdunska-Wola, in Polonia. Entra nell'ordine dei francescani e, mentre l'Europa si avvia a un secondo conflitto mondiale, svolge un intenso apostolato missionario in Europa e in Asia. Ammalato di tubercolosi, Kolbe dà vita al «Cavaliere dell'Immacolata», periodico che raggiunge in una decina d'anni una tiratura di milioni di copie. Nel 1941 è deportato ad Auschwitz. Qui è destinato ai lavori più umilianti, come il trasporto dei cadaveri al crematorio. Nel campo di sterminio Kolbe offre la sua vita di sacerdote in cambio di quella di un padre di famiglia, suo compagno di prigionia. Muore pronunciando «Ave Maria». Sono le sue ultime parole, è il 14 agosto 1941. Giovanni Paolo II lo ha chiamato «patrono del nostro difficile secolo». La sua figura si pone al crocevia dei problemi emergenti del nostro tempo: la fame, la pace tra i popoli, la riconciliazione, il bisogno di dare senso alla vita e alla morte. (Avvenire)

Etimologia: Massimiliano = composto di Massimo e Emiliano (dal latino)


Emblema: Palma


Martirologio Romano: Memoria di san Massimiliano Maria (Raimondo) Kolbe, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali e martire, che, fondatore della Milizia di Maria Immacolata, fu deportato in diversi luoghi di prigionia e, giunto infine nel campo di sterminio di Auschwitz vicino a Cracovia in Polonia, si consegnò ai carnefici al posto di un compagno di prigionia, offrendo il suo ministero come olocausto di carità e modello di fedeltà a Dio e agli uomini.



Ascolta da RadioVaticana:
Ascolta da RadioRai:
Ascolta da RadioMaria:





Se non è il primo è senz’altro fra i primi ad essere stato beatificato e poi canonizzato fra le vittime dei campi di concentramento tedeschi. Il papa Giovanni Paolo II ha detto di lui, che con il suo martirio egli ha riportato “la vittoria mediante l’amore e la fede, in un luogo costruito per la negazione della fede in Dio e nell’uomo”.
Massimiliano Kolbe nacque il 7 gennaio 1894 a Zdunska-Wola in Polonia, da genitori ferventi cristiani; il suo nome al battesimo fu quello di Raimondo. Papà Giulio, operaio tessile era un patriota che non sopportava
la divisione della Polonia di allora in tre parti, dominate da Russia, Germania ed Austria; dei cinque figli avuti, rimasero in vita ai Kolbe solo tre, Francesco, Raimondo e Giuseppe.
A causa delle scarse risorse finanziarie solo il primogenito poté frequentare la scuola, mentre Raimondo cercò di imparare qualcosa tramite un prete e poi con il farmacista del paese; nella zona austriaca, a Leopoli, si stabilirono i francescani, i quali conosciuti i Kolbe, proposero ai genitori di accogliere nel loro collegio i primi due fratelli più grandi; essi consci che nella zona russa dove risiedevano non avrebbero potuto dare un indirizzo e una formazione intellettuale e cristiana ai propri figli, a causa del regime imperante, accondiscesero; anzi liberi ormai della cura dei figli, il 9 luglio 1908, decisero di entrare loro stessi in convento, Giulio nei Terziari francescani di Cracovia, ma morì ucciso non si sa bene se dai tedeschi o dai russi, per il suo patriottismo, mentre la madre Maria divenne francescana a Leopoli.
Anche il terzo figlio Giuseppe dopo un periodo in un pensionamento benedettino, entrò fra i francescani. I due fratelli Francesco e Raimondo dal collegio passarono entrambi nel noviziato francescano, ma il primo, in seguito ne uscì dedicandosi alla carriera militare, prendendo parte alla Prima Guerra Mondiale e scomparendo in un campo di concentramento.
Raimondo divenuto Massimiliano, dopo il noviziato fu inviato a Roma, dove restò sei anni, laureandosi in filosofia all’Università Gregoriana e in teologia al Collegio Serafico, venendo ordinato sacerdote il 28 aprile 1918. Nel suo soggiorno romano avvennero due fatti particolari, uno riguardo la sua salute, un giorno mentre giocava a palla in aperta campagna, cominciò a perdere sangue dalla bocca, fu l’inizio di una malattia che con alti e bassi l’accompagnò per tutta la vita.
Poi in quei tempi influenzati dal Modernismo e forieri di totalitarismi sia di destra che di sinistra, che avanzavano a grandi passi, mentre l’Europa si avviava ad un secondo conflitto mondiale, Massimiliano Kolbe non ancora sacerdote, fondava con il permesso dei superiori la “Milizia dell’Immacolata”, associazione religiosa per la conversione di tutti gli uomini per mezzo di Maria.
Ritornato in Polonia a Cracovia, pur essendo laureato a pieni voti, a causa della malferma salute, era praticamente inutilizzabile nell’insegnamento o nella predicazione, non potendo parlare a lungo; per cui con i permessi dei superiori e del vescovo, si dedicò a quella sua invenzione di devozione mariana, la “Milizia dell’Immacolata”, raccogliendo numerose adesioni fra i religiosi del suo Ordine, professori e studenti dell’Università, professionisti e contadini.
Alternando periodi di riposo a causa della tubercolosi che avanzava, padre Kolbe fondò a Cracovia verso il Natale del 1921, un giornale di poche pagine “Il Cavaliere dell’Immacolata” per alimentare lo spirito e la diffusione della “Milizia”.
A Grodno a 600 km da Cracovia, dove era stato trasferito, impiantò l’officina per la stampa del giornale, con vecchi macchinari, ma che con stupore attirava molti giovani, desiderosi di condividere quella vita francescana e nel contempo la tiratura della stampa aumentava sempre più. A Varsavia con la donazione di un terreno da parte del conte Lubecki, fondò “Niepokalanow”, la ‘Città di Maria’; quello che avvenne negli anni successivi, ha del miracoloso, dalle prime capanne si passò ad edifici in mattoni, dalla vecchia stampatrice, si passò alle moderne tecniche di stampa e composizione, dai pochi operai ai 762 religiosi di dieci anni dopo, il “Cavaliere dell’Immacolata” raggiunse la tiratura di milioni di copie, a cui si aggiunsero altri sette periodici.
Con il suo ardente desiderio di espandere il suo Movimento mariano oltre i confini polacchi, sempre con il permesso dei superiori si recò in Giappone, dove dopo le prime incertezze, poté fondare la “Città di Maria” a Nagasaki; il 24 maggio 1930 aveva già una tipografia e si spedivano le prime diecimila copie de “Il Cavaliere” in lingua giapponese.
In questa città si rifugeranno gli orfani di Nagasaki, dopo l’esplosione della prima bomba atomica; collaborando con ebrei, protestanti, buddisti, era alla ricerca del fondo di verità esistente in ogni religione; aprì una Casa anche ad Ernakulam in India sulla costa occidentale. Per poterlo curare della malattia, fu richiamato in Polonia a Niepokalanow, che era diventata nel frattempo una vera cittadina operosa intorno alla stampa dei vari periodici, tutti di elevata tiratura, con i 762 religiosi, vi erano anche 127 seminaristi.
Ma ormai la Seconda Guerra Mondiale era alle porte e padre Kolbe, presagiva la sua fine e quella della sua Opera, preparando per questo i suoi confratelli; infatti dopo l’invasione del 1° settembre 1939, i nazisti ordinarono lo scioglimento di Niepokalanow; a tutti i religiosi che partivano spargendosi per il mondo, egli raccomandava “Non dimenticate l’amore”, rimasero circa 40 frati, che trasformarono la ‘Città’ in un luogo di accoglienza per feriti, ammalati e profughi.
Il 19 settembre 1939, i tedeschi prelevarono padre Kolbe e gli altri frati, portandoli in un campo di concentramento, da dove furono inaspettatamente liberati l’8 dicembre; ritornati a Niepokalanow, ripresero la loro attività di assistenza per circa 3500 rifugiati di cui 1500 erano ebrei, ma durò solo qualche mese, poi i rifugiati furono dispersi o catturati e lo stesso Kolbe, dopo un rifiuto di prendere la cittadinanza tedesca per salvarsi, visto l’origine del suo cognome, il 17 febbraio 1941 insieme a quattro frati, venne imprigionato.
Dopo aver subito maltrattamenti dalle guardie del carcere, indossò un abito civile, perché il saio francescano li adirava moltissimo. Il 28 maggio fu trasferito ad Auschwitz, tristemente famoso come campo di sterminio, i suoi quattro confratelli l’avevano preceduto un mese prima; fu messo insieme agli ebrei perché sacerdote, con il numero 16670 e addetto ai lavori più umilianti come il trasporto dei cadaveri al crematorio.
La sua dignità di sacerdote e uomo retto primeggiava fra i prigionieri, un testimone disse: “Kolbe era un principe in mezzo a noi”. Alla fine di luglio fu trasferito al Blocco 14, dove i prigionieri erano addetti alla mietitura nei campi; uno di loro riuscì a fuggire e secondo l’inesorabile legge del campo, dieci prigionieri vennero destinati al bunker della morte. Padre Kolbe si offrì in cambio di uno dei prescelti, un padre di famiglia, suo compagno di prigionia.
La disperazione che s’impadronì di quei poveri disgraziati, venne attenuata e trasformata in preghiera comune, guidata da padre Kolbe e un po’ alla volta essi si rassegnarono alla loro sorte; morirono man mano e le loro voci oranti si ridussero ad un sussurro; dopo 14 giorni non tutti erano morti, rimanevano solo quattro ancora in vita, fra cui padre Massimiliano, allora le SS decisero, che giacché la cosa andava troppo per le lunghe, di abbreviare la loro fine con una iniezione di acido fenico; il francescano martire volontario, tese il braccio dicendo “Ave Maria”, furono le sue ultime parole, era il 14 agosto 1941.
Le sue ceneri si mescolarono insieme a quelle di tanti altri condannati, nel forno crematorio; così finiva la vita terrena di una delle più belle figure del francescanesimo della Chiesa polacca. Il suo fulgido martirio gli ha aperto la strada della beatificazione, avvenuta il 17 ottobre 1971 con papa Paolo VI e poi è stato canonizzato il 10 ottobre 1982 da

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15/08/2016 11:20
 
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Sant' Alfredo (o Altfrido)

15 agosto


Colonia, inizi sec. IX - 15 agosto 874

Etimologia: Alfredo = guidato dagli elfi, dall'anglosassone


Martirologio Romano: A Hildesheim nella Sassonia in Germania, sant’Altfrido, vescovo, che costruì la cattedrale e favorì la costruzione di monasteri.







Agli inizi del secolo nono, a Colonia, città della Germania occidentale, nacque da illustre e ricca famiglia, un fanciullo che nel battesimo conferitogli appena venuto al mondo, ricevette il nome di Alfredo.
Questo nome può avere un duplice significato: secondo alcuni significa "consigliato dagli Elfi" (spiriti benefici della mitologia germanica) e quindi "buon consigliere"; secondo altri significa "'tutto pace" e quindi "l'oltremodo pacifico": l'uno e l'altro di questi significati illustrano la sua missione futura.
Educato da "Ovo" padre buono, prudente e saggio e da "Riket" madre intelligente e pia, Alfredo, dai più teneri anni apprese a conoscere, amare e seguire Gesù nella pratica delle più belle virtù cristiane.

Giovanissimo sentì la chiamata allo stato ecclesiastico e liberamente e gioiosamente vi rispose facendosi monaco benedettino.
Attese alla sua formazione sacerdotale nell'abbazia di Fulda; diventato sacerdote esercitò il suo ministero a Corvey, presso Minden in Vestfalia, edificando con la predicazione e con l'esempio di una vita santamente vissuta, attaccando fortemente i vizi di cui era inquinata la società dei suoi tempi.

Fatto Vescovo, nell'anno 850 fu mandato a reggere la Diocesi di Hildesheim nella Sassonia.
Fu cura del nuovo vescovo creare chiese e conventi per dare alle anime opportunità di incontri con Dio in sedi degne della sua grandezza. La prima chiesa e il primo convento li fece costruire già nel secondo anno del suo episcopato, ad Essen, con mezzi propri in un campo di sua proprietà: è una bella basilica con annesso convento di Benedettine. Ad Hildesheim fece erigere il maestoso Duomo a tre navate, dedicandolo all'Assunta. Accanto al Duomo fece costruire un Convento che ospitava i sacerdoti addetti al servizio religioso del Duomo; questi vivevano in comune secondo la stretta regola di S. Benedetto.
All'attività di costruttore di chiese e conventi accoppiò zelantemente quella di forgiatore di anime sacerdotali apostoliche e di Direttore spirituale del suo popolo

La storia civile aggiunge alle benemerenze di Alfredo un'altra testimonianza: lo ricorda come paciere, uomo di fiducia di Ludovico il Germanico che gli affidò delicati incarichi politici ed Alfredo, vero operaio evangelico, non conobbe riposo: nella lotta tra i membri della dinastia dei Carolingi con costante premura interpose i suoi buoni uffici perché si mantenesse la pace e ci riuscì, pur essendo l'impresa assai ardua.
Morì ricco di meriti il 15 agosto dell'874 il giorno dell'Assunta di cui era tanto devoto.
Al suo corpo fu data degna sepoltura ad Essen nella chiesa che egli stesso aveva fatto costruire. La venerazione dei fedeli è andata crescendo sempre più. Il Signore lo ha glorificato nel suo Cielo e lo ha glorificato in terra facendolo conoscere come potente intercessore capace di strappare dal cuore del Padre celeste le grazie che più ci bisognano.


Autore: Mons. Alfredo Vozzi

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16/08/2016 06:57
 
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Sant' Armagilo Abate in Bretagna

16 agosto


Gran Bretagna VI secolo - Ploërmel (Bretagna), 570

Martirologio Romano: In Bretagna, sant’Armagílo, eremita.







Armagilo, il cui nome è una forma latinizzata di Arthmaël, nacque in Gran Bretagna nel VI secolo e studiò con la guida dell’abate Carentmaël. Colpito dalle parole di Cristo, narrate nel Vangelo e che aveva udite in una chiesa, decise di impegnarsi nella diffusione del Cristianesimo e si imbarcò per andare in Francia.
Una volta giunto sulla costa occidentale del Golfo di Léon (Finistère) in Bretagna, insieme al suo maestro ed altri compagni, vi fondò il monastero di Plonarzel; ma dopo un certo tempo la tranquillità della Comunità, fu messa in pericolo dall’usurpatore Conmaro, che aveva ucciso Jona il capo delle tribù del luogo.
Armagilo si rifugiò a Parigi, sotto la protezione di Childeberto I re merovingio e nel 555, dopo che Conmaro venne ucciso dal figlio del defunto Jona, ritornò in Bretagna, ottenendo la concessione di una terra nei dintorni di Rennes, dove ripristinò la sua comunità, dando origine all’abbazia ed al centro di Saint-Armel-des Bochaux.
Morì probabilmente verso il 570 nel monastero di Ploërmel (nel golfo del Morbihan) che aveva fondato nella foresta dell’attuale Paimpont.
Il culto per s. Armagilo si diffuse largamente in Bretagna, superandone i confini verso le altre regioni francesi; numerosi paesi bretoni presero il suo nome.
Durante il regno di Enrico VII d’Inghilterra (1457-1509) il culto cominciò a diffondersi in Gran Bretagna e nel 1498 il suo nome fu introdotto nel Messale di Salisbury; a Londra è ricordato con il nome di Ermyn.
Il racconto della sua ‘Vita’ è stato scritto nel XII secolo e venne inserito nel Breviario di Saint-Pol-de Léon, stampato nel 1516.
La celebrazione liturgica è al 16 agosto.

Autore: Antonio Borrelli





Le prime testimonianze dell’esistenza di Sant’Armagilo risalgono al XII secolo, anche se con ogni probabilità gli eventi narrati sono da considerarsi leggendari. Pare che il santo fosse originario del Galles e si sarebbe formato sotto la guida dell’abate Carentmael. Armagilo meditò di dedicare la sua vita interamente a Dio e, assunti i voti monastici, si trasferì ad Armonica con il suo maestro ed altri compagni.
Insieme con Plouarzel condussero una vita improntata al Vangelo, ma vennero ostacolati nei loro buoni propositi da Conmaro, un usurpatore che aveva ucciso il capo delle tribù locali, Jona. Partirono allora per Parigi, ad invocare l’aiuto del re Childeberto. Dopo che nel 555 il figlio di Jona vendicò l’assassinio del padre, Armagilo ricevette in dono un terreno vicino a Rennes, presso l’odierna Saint-Armel-des-Bochaux, ove potè ristabilire la sua comunità. Fondò anche un altro nuovo monastero a Ploermel nel Morbihan, dove la morte lo colse in pace.
Numerose leggende sorsero sulla sua vita: una narra che addirittura sconfisse un drago portandolo sul Monte Saint-Armel ed intimandogli di gettarsi nel fiume sottostante.
Viene infatti solitamente ritratto con l’armatura e la pianeta mentre affronta tale drago. Vi è inoltre una serie di immagini risalente al XVI secolo oggetto delle vetrate della chiesa di Ploermel. Una statua del santo si trova nella cappella personale di Enrico VII persso l’abbazia di Westminster, mentre sulla tomba del cardinale Morton nella cattedrale di Canterbury è riprodotta una sua effige. Infine altre immagini del santo si possono riscontrare sul dossale dell’abbazia di Romsey e nella chiesa londinese di Santa Maria aBrookfield.
Il nome di questo santo, italianizzato come Armagilo, è indicato a seconda delle fonti in parecchie accezioni: Armel, Ermal, Erme, Arzel, Arkel, Atrhmael ed Ermyn. Il suo culto si diffuse abbondantemente, nonostante la scarsità di notizie sul suo conto, è la sua festa, già citata dal calendario di Sarum del 1498, è riportata oggi anche dal Martyrologium Romanum in data 16 agosto. Tale documento ufficiale della Chiesa lo indica quale eremita, anche se è abitualmente considerato abate.
Da sempre è invocato contro malattie e disgrazie, in particolare contro coliche, gotta, paralisi e reumatismi. Il re Enrico VII d’Inghilterra era addirittura convinto che l’intercessione del santo lo avesse salvato da un naufragio sulla costa bretone.

Autore: Fabio Arduino

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17/08/2016 07:01
 
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Santa Beatrice de Silva Meneses Fondatrice

17 agosto


Campo Mayor, Portogallo, ca. 1424 - Toledo, Spagna, 16 agosto 1491



Beatrice de Silva Meneses, santa portoghese, è nata a Ceuta (Nord Africa) nel 1424 in una famiglia nobile. Sorella del beato Amedeo de Silva, Beatrice era imparentata con la famiglia reale portoghese. La sua bellezza e la sua virtù, attira i nobili castigliani; ciò suscita la gelosia della regina Isabella che la rinchiude per tre giorni in una cassapanca, mettendola a rischio di perdere la vita. Liberata, fa voto di castità e parte a Toledo. Si racconta che ad accompagnarla nel viaggio sono le apparizioni di san Francesco d'Assisi e di sant'Antonio di Padova; arrivata a Toledo entra nel convento cistercense di San Domenico, dove vive per circa trent'anni.Grazie all'appoggio di Isabella la Cattolica, futura regina di Spagna, che dona a Beatrice il palazzo di Galiana in Toledo, con l'annessa chiesa di Santa Fè, la religiosa fonda l'ordine dell'Immacolata Concezione. Muore a Toledo il 1° settembre 1490. È proclamata santa nel 1976 da Paolo VI. (Avvenire)

Emblema: Pastorale, giglio, stella sulla fronte, cartiglio


Martirologio Romano: A Toledo nella Castiglia in Spagna, santa Beatrice da Silva Meneses, vergine, che fu dapprima nobildonna della corte regia al seguito della regina Isabella; successivamente, desiderosa di una vita di maggior perfezione, si ritirò per molti anni tra le monache dell’Ordine di San Domenico, fondando infine un nuovo Ordine che intitolò alla Concezione della Beata Maria Vergine.








E' una santa del Portogallo, vissuta in quel periodo di grande movimento politico, storico, culturale e religioso che precedette e fu contemporaneo dell’impresa di Cristoforo Colombo e della scoperta dell’America, avvenuta nel 1492.
Beatrice nacque a Campo Mayor nel 1424 in una famiglia nobile, sorella del beato Amedeo de Silva e imparentata con la famiglia reale portoghese. Accompagnò l’Infante Isabella del Portogallo come dama di onore, quando questa nel 1447 sposò Giovanni II di Castiglia; la sua bellezza e la sua virtù, attirò i nobili castigliani, che si contesero la sua amicizia e il suo amore; ciò suscitò la gelosia della regina Isabella che la maltrattò, fino a chiuderla per tre giorni in una cassapanca, mettendola a rischio di perdere la vita.
Una volta liberata, fece voto di castità e di nascosto, partì diretta a Toledo; la tradizione dice che l’accompagnarono nel viaggio le apparizioni di s. Francesco d’Assisi e di s. Antonio di Padova; giunta a Toledo entrò nel monastero domenicano di S. Domenico "El Real", dove visse per circa 30 anni.
Ma in lei già da tempo vi era il desiderio di fondare un nuovo Ordine religioso in onore dell’Immacolata Concezione, per questo scopo ottenne l’appoggio di Isabella la Cattolica (1451-1504), figlia di Giovanni II e dal 1474 regina di Castiglia e poi regina di Spagna nel 1479, dopo l’unione dei due regni di Castiglia e d’Aragona; la regina le donò il suo palazzo di Galiana in Toledo, con l’annessa chiesa di Santa Fè.
Beatrice nel 1484 si trasferì nella nuova residenza con dodici compagne, dando così inizio ad una nuova Famiglia monastica, l'Ordine della Immacolata Concezione, la cui Regola venne scritta da lei stessa. L'Ordine fu approvato da papa Innocenzo VIII il 30 aprile 1489.
Dopo aver ricevuto l’abito ed emesso i voti religiosi, morì a Toledo il 1° settembre 1490, alla vigilia della professione religiosa del primo gruppo del nuovo Ordine; precursore del culto e della teologia del dogma dell’Immacolata Concezione, che sarà proclamato circa 400 anni dopo da Pio IX.
Il suo culto instauratosi spontaneamente nel mondo francescano e iberico, fu confermato con il titolo di beata il 28 luglio 1926; papa Paolo VI l’ha canonizzata il 3 ottobre 1976.
Proclamandola santa nel 1976, PaoloVI ricordava ancora: «Nessuna paroladi questa santa è pervenuta a noi nellesue sillabe testuali, nessuna eco dellasua voce»; ma la sua opera è viva nella«nuova e tuttora fiorentissima famigliareligiosa da lei fondata».


Autore: Antonio Borrelli

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18/08/2016 07:46
 
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Beati Domenico de Molinar e Gaspare di Salamanca Mercedari

18 agosto


XV secolo

I Beati Domenico de Molinar e Gaspere di Salamanca, mercedari spagnoli, predicarono la fede cristiana nel regno di Granada e liberarono 293 schiavi dalla prigionia dei mori nell'anno 1419. Dopo una vita colma di sante opere, con tanti meriti raggiunsero la felicità eterna del Signore.
L'Ordine li festeggia il 18 agosto.

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19/08/2016 05:46
 
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Sant' Andrea il Tribuno e Compagni Soldati martiri

19 agosto


m. Cilicia, 285/304

Il Martyrologium Romanum commemora oggi i santi Andrea, tribuno, ed i soldati suoi compagni, che, come si narra, vinta miracolosamente una battaglia contro i persiani in Cilicia, si convertirono a Cristo: incriminati per questo motivo, furono massacrati dall'esercito del governatore Seleuco sulle montagne del Tauro, regnante l’imperatore Massimiano.

Martirologio Romano: In Cilicia, nell’odierna Turchia, sant’Andrea tribuno e compagni soldati, che, come si tramanda, ottenuta per aiuto divino la vittoria sui Persiani, si convertirono alla fede di Cristo e, accusati per questo crimine, furono trucidati sotto l’imperatore Massimiano nelle gole del monte Tauro dall’esercito del governatore Seleuco.

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20/08/2016 04:35
 
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San Bernardo Tolomei Fondatore degli Olivetani

20 agosto


Siena, 1272 - 20 agosto 1348



Giovanni (questo il nome di battesimo) si unisce ai Disciplinanti di Santa Maria, sodalizio di laici dediti alla preghiera e alla carità. Sui 40 anni la svolta: lascia tutto e si ritira fuori città, ad Accona, campagna deserta e incolta tra collinette di creta. Qui lui e alcuni amici si scavano grotte per vivere da eremiti.
Dopo qualche anno, gli eremiti decidono di unirsi, vivendo in comunità sull’altura di Monte Oliveto, presso Buonconvento, a sudest di Siena. Qui nasce nel 1319 il monastero di Santa Maria, con la Regola benedettina. Bernardo fa eleggere come primo abate il suo amico Patrizio Patrizi, ma poi dovrà obbedire ai monaci, che vogliono lui per capo fino alla morte. Intanto è chiamato a fondare una decina di altri monasteri. E così si ritrova inaspettatamente fondatore e capo di un Ordine religioso, coi suoi “monaci bianchi”, presenti sempre a Monte Oliveto anche all’inizio del Terzo Millennio, fedeli alla Regola benedettina del pregare e lavorare, coltivando una spiritualità mariana che orienterà anche altre famiglie religiose, e impegnati in un’attività culturale di vasta influenza in Italia e in Europa.

Martirologio Romano: A Siena, transito del beato Bernardo Tolomei, abate, che, fondatore della Congregazione Olivetana sotto la regola di san Benedetto, si applicò con premura all’osservanza della disciplina monastica e, durante una epidemia di peste diffusasi in tutta l’Italia, morì presso i monaci di Siena che ne erano stati colpiti.








Ha aspettato 661 anni per vedersi proclamare santo: vicende storiche e l’incessante scorrere dei secoli hanno pesato sulla sua causa di canonizzazione, al punto che solo domenica 26 aprile il Papa ha potuto dichiarare santo Giovanni Bernardo Tolomei, il fondatore degli Olivetani. Nasce il 10 maggio 1272 a Siena e viene battezzato con il nome di Giovanni; la sua è una delle famiglie più nobili e potenti della città, e questo potrebbe fare la differenza tra noi e lui; ma la crisi politica, economica e morale che caratterizza il periodo in cui vive lo rende straordinariamente nostro contemporaneo, a dimostrazione che nulla di nuovo avviene sotto il sole e, soprattutto, che in qualsiasi momento si può fare della nostra vita un capolavoro d’amore. Un brillante percorso scolastico e una memoria prodigiosa fanno di lui, ancora giovanissimo, uno dei docenti di Giurisprudenza nella prestigiosa università senese. Sono stati invece i domenicani della città a trasfondergli una fede autentica, una carità operosa e un grande amore per la preghiera: virtù che non lo abbandonano, anche quando si lascia avvolgere dai fasti di una vita spensierata e gaudente. In età matura attraversa una crisi religiosa, dalla quale emerge con fatica. Tutto inizia con una misteriosa malattia agli occhi, che peggiora al punto da portarlo alla completa cecità; unico barlume di speranza, in questo periodo buio dentro e fuori di lui, resta quello che ha imparato dai Domenicani e che lo porta a promettere di donarsi interamente a Dio se solo potrà recuperare la vista. Che prodigiosamente ritorna, almeno in quantità tale da permettergli una vita autonoma e da consentirgli, alla soglia dei 40 anni, di adempiere il suo voto. Ma non dai Domenicani (ai quali pure deve tanta riconoscenza) e neppure in una delle congregazioni già esistenti: le tante crisi che agitano il Trecento e forse anche il ricordo dei suoi recenti anni troppo gaudenti, gli impongono di cercare Dio nella solitudine, nella preghiera e nella contemplazione. È così che, insieme ad un paio di amici, nobili e ricchi come lui, e come lui desiderosi di incontrare Dio, si rifugia in una proprietà della sua famiglia, ricca di rovi e di vecchi ulivi, da dissodare e disboscare. Quei giovanotti, con le mani ben curate e senza calli, faticano ad adattarsi a quei lavori manuali, ma compiono progressi straordinari sulla strada che porta a Dio. E sono contagiosi, perché attirano, con il loro esempio e con la loro vita austera, tanti altri. La comunità cresce, arricchita da “nobili e ignobili”, come dicono le cronache del tempo: cioè dai figli delle famiglie nobili come da quelli delle famiglie proletarie: vivono in fraternità, secondo lo spirito delle prime comunità cristiane, mettendo tutto in comune e lavorando per vivere; come cella non hanno altro che le grotte di cui la zona è ricca. La gelosia finisce anche per lambire questa straordinaria comunità penitente e orante, facendo circolare voci malevoli. Arrivano i legati di papa Giovanni XXII, mandati a controllare cosa ci sia di vero, e devono ammettere che tutto funziona; solo si raccomandano che la nuova comunità, viste le proporzioni che sta assumendo, si dia una regola, scegliendola tra quelle esistenti e già approvate dalla Chiesa. Nasce così la congregazione e il monastero di Santa Maria del Monte Oliveto: la Regola cui si rifanno è quella di San Benedetto, il loro abito è di colore bianco in onore della Madonna e Giovanni Tolomei sceglie il nome di Bernardo, in onore dell’abate di Chiaravalle, anch’ egli innamorato di Maria. Non accetterà mai di essere ordinato prete giudicandosene indegno e accontentandosi di essere semplice diacono; come non accetterà per lungo tempo di essere abate del monastero che ha fondato: ufficialmente, dice, per i suoi problemi di vista e per le sue incapacità; in realtà, per l’umiltà che gli impone di essere l’ultimo di tutti e al servizio di tutti. Quando capisce che l’essere abate è il modo vero per mettersi a completo servizio dei confratelli, accetta anche questa nomina, diventando il modello dei monaci. Che crescono di numero, come i monasteri che bisogna aprire ovunque, e che in quella carica lo riconfermano, ogni anno, per 26 anni, praticamente fino alla morte. La peste nera del 1348 mette alla prova la coerenza e la carità di Fra Bernardo e dei suoi monaci: non solo li manda a curare gli appestati, ma lui stesso scende a Siena per incoraggiarli e sostenerli. Muoiono a decine (almeno 80) e anche Fra Bernardo ne è contagiato. Muore di peste il 20 agosto, vittima dell’amore che non solo ha insegnato, ma concretamente esercitato. Fino al dono completo di sé.

Autore: Gianpiero Pettiti

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21/08/2016 08:21
 
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Beata Beatrice de Roelas Vergine mercedaria

21 agosto


† Siviglia, Spagna, 1580

Fondatrice con altre consorelle del monastero dell'Assunzione in Siviglia (Spagna), la Beata Beatrice de Roelas, fu famosissima per la preghiera e lo spirito della penitenza. Terminò la sua vita terrena nell'anno 1580 nello stesso monastero ed ora meritevolmente esulta nel Signore.
L'Ordine la festeggia il 21 agosto

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22/08/2016 05:58
 
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Santi Fabriciano (Fabrizio) e Filiberto Martiri

22 agosto




Emblema: Palma









Sono venerati nella diocesi di Toledo (Spagna), seguendo la tradizione accolta nel Messale mozarabico e nell'appendice al Breviario dello stesso rito, fatti stampare dal card. Francesco Jiménez di Cisneros negli anni 1500 e 1506. La loro festa si celebra nell'ottava dell'Ascensione; i loro nomi non figurano tra quelli raccolti da Usuardo nell'858 durante il suo viaggio in Spagna.
Dal Martirologio Romano, nell'editio princeps, sono registrati come martiri, senza altre indicazioni, al 22 agosto Il Baronio afferma che nella Chiesa di Toledo esistevano manoscritti antichi e documenti che li riguardavano, ma oggi, all'infuori della semplice notizia del loro culto pubblico, non sappiamo niente su questi martiri. Il s. Filiberto, primo abate di Jumièges, è forse lo stesso personaggio venerato a Toledo.


Autore: Ramòn Robres

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23/08/2016 07:42
 
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Santi Claudio, Asterio e Neone Martiri

23 agosto




Martirologio Romano: Ad Egea in Cilicia, nel territorio dell’odierna Turchia, santi fratelli martiri Claudio, Asterio e Neone, che, accusati dalla matrigna per la loro fede cristiana, si dice siano stati decapitati sotto l’imperatore Diocleziano e il governatore Lisia.








Santi CLAUDIO, ASTERIO, NEONE, DOMNINA e TEONILLA, martiri a EGEA.

Negli Atti latini di san Claudiano (BHL, I, p. 275, nn. 1829-30) si legge che Claudio, Asterio, Neone, Domnina, e Teonilla furono denunziati a Lisia, preside della Licia, nella città di Egea e che, dopo atroci tormenti, furono uccisi il 23 agosto. In diversi sinassari, Claudio, Asterio, Neone e Teonilla (o Neonilla) sono celebrati il 30 ottobre e si dice che patirono sotto Diocleziano e Lisia; l'elogio è ripetuto al 27 gennaio. Il nome di Teonilla non compare nel Geronimiano, mentre quello di Domnina non si legge nei sinassari; nella memoria del Martirologio Romano, fatta al 23 agosto, il nome di Domnina è erroneamente mutato in Donvina. In alcuni calendari mozarabici i primi tre santi sono celebrati con Domnica, Teomile e suo figlio.
Secondo la passio, essi furono martirizzati nel primo anno del governo di Diocleziano (285); Asterio e i suoi due fratelli furono crocifissi e le donne morirono durante il supplizio.
Il gruppo è occasionalmente ricordato anche nella passio di Zenobio e Zenobia (cf. BHG, II, p. 320, n. 1884). Le due recensioni latine della passio differiscono dagli elogi greci.


Autore: Augusto Moreschini

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25/08/2016 09:06
 
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Sant' Aredio di Limoges Abate

25 agosto


Limoges (Francia), VI secolo – Attane (Limoges), 25 agosto 591

Martirologio Romano: Ad Attane nel territorio di Limoges in Francia, sant’Aredio, abate, che scrisse per il cenobio da lui fondato una saggia regola attinta dai precetti di vari istituti di vita monastica.







Quello che più meraviglia è che s. Aredio è conosciuto con uno stuolo di nomi: Aredio, Aridio, Arigio; in francese è Yrièr, Yrieix, Héray, Ieairie, Séries.
Il santo abate nacque a Limoges (Francia centrale) in un anno del primo quarto del VI secolo, dai nobili genitori Giocondo e Pelagia e fu educato dall’abate di Vigeois, Sebastiano.
Della sua vita da giovane, si sa che fu inviato presso la corte del re di Austrasia, Teodeberto I († 547), a Treviri in Germania, dove fu cancelliere; qui fu notato dal vescovo Nicezio del quale divenne discepolo e quindi decise di darsi alla vita ecclesiastica, ricevendo la tonsura.
Alla morte del padre, rientrò a Limoges, dove devolse la sua eredità e rendite, alla fondazione di chiese e per la ricerca di reliquie di martiri e santi. Poi Aredio raggruppò alcuni discepoli nel monastero di Attone (Haute-Vienne) da lui fondato presso Limoges e che diede poi origine alla città di Saint-Yrieix, professando una Regola ispirata a quella di s. Basilio e di s. Cassiano.
Affidò l’amministrazione del monastero alla madre Pelagia, e poté così dedicarsi alla predicazione e all’apostolato nella provincia; fondò nuovi monasteri e andò in pellegrinaggio, sempre a piedi, alle tombe dei santi, specie a quella di s. Martino di Tours.
Il vescovo storico Gregorio di Tours ha lasciato scritti molto particolari riguardo queste visite, che divennero celebri per i vari interventi miracolosi, che si verificarono contemporaneamente.
Per il fatto di non essere sempre relegato fra le mura del monastero e di avere molte relazioni esterne, ebbe contatti con s. Radegonda fondatrice del monastero di S. Croce a Poitiers; fu stretto amico del poeta Fortunato († 576); partecipò ad una missione diplomatica presso il re d’Austrasia, Gontrano Bosòne († 587).
Morì nel suo monastero di Attane il 25 agosto 591.
Le notizie sulla sua opera ci sono pervenute dallo storico Gregorio di Tours (538-594) tramite la sua “Historia Francorum”. Il ‘Martyrologium Romanum’ riporta la sua festa liturgica al 25 agosto.


Autore: Antonio Borrelli

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28/08/2016 08:04
 
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Sant' Alessandro I di Costantinopoli Vescovo

28 agosto




Etimologia: Alessandro = protettore di uomini, dal greco


Emblema: Bastone pastorale


Martirologio Romano: A Costantinopoli, sant’Alessandro, vescovo, la cui preghiera apostolica, come scrive san Gregorio di Nazianzo, schiacciò il capo dell’empietà ariana.








Succeduto a Metrofane poco dopo il concilio di Nicea, Alessandro occupò la sede bizantina per circa undici anni, dal momento che Paolo fu eletto nel 336, e durante il suo episcopato lottò strenuamente per la difesa dell'ortodossia nicena contro gli intrighi degli ariani . Il nome di Alessandro è particolarmente legato al tentativo che Ario, favorito dal partito ariano della corte e forte dell'autorità di Costantino, fece per essere ammesso alla comunione nella Chiesa di Costantinopoli. S. Atanasio, da cui dipendono altri autori, quali Socrate e Sozomeno, nella lettera a Serapione del 358 parla diffusamente di questo tentativo, menzionato anche nei sinassari e negli altri scritti biografici.
Secondo il racconto di s. Atanasio, che si vale della testimonianza oculare del prete Macario, Ario, dopo una subdola professione di ortodossia, fu riabilitato da Costantino e pretese quindi di essere ammesso alla comunione dal vescovo A. Questi naturalmente si oppose, ma, prevedendo di non poter resistere alla prepotenza del partito ariano, che faceva capo a Eusebio vescovo di Nicomedia, si rivolse a Dio invocando da Lui la morte piuttosto che vedere un eretico entrare nel tempio. L'improvvisa morte di Ario tra atroci dolori mentre si avviava alla sua pubblica riabilitazione, fu il segno del giudizio di Dio "che si era assiso qual giudice tra le minacce dei partigiani di Eusebio e la preghiera di Alessandro".
Alessandro morì probabilmente nel 336 o nel 340. Nel Martirologio Romano e nel Geronimiano è ricordato il 28 agosto, mentre presso i Greei la memoria è al 30 e 31 agosto. Il Sinassario Costantinopolitano, celebrando Alessandro il 2 giugno, commette l'errore storieocronologico di collocare la morte di Ario sotto l'imperatore Costanzo.


Autore: Francesco Saverio Pericoli Ridolfini



Fonte:

Bibliotheca Sanctorum


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POTRESTE AVERE DIECIMILA MAESTRI IN CRISTO, MA NON CERTO MOLTI PADRI, PERCHE' SONO IO CHE VI HO GENERATO IN CRISTO GESU', MEDIANTE IL VANGELO. (1Cor. 4,15 .
 
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