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CREDENTI DA IMITARE (Eb.13,7)

Ultimo Aggiornamento: 18/05/2019 13:12
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14/10/2014 08:00
 
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San Callisto I Papa

14 ottobre - Memoria Facoltativa

m. 222

(Papa dal 217 al 222)
Ebbe molti avversari tra i cristiani dissidenti di Roma, e proprio da uno scritto del capo di questi cristiani separati, un antipapa, abbiamo quasi tutte le notizie sul suo conto, presentate però in modo tendenzioso. Vi si legge che, prima di diventare papa, era stato schiavo e frodatore. Fuggito in Portogallo, venne arrestato e ricondotto a Roma, dove subì una condanna ai lavori forzati nelle miniere della Sardegna. Tornato a Roma in occasione di un'amnistia, venne inviato ad Anzio. Papa Zeffirino, però, lo richiamò a Roma, affidandogli la cura dei cimiteri della Chiesa. Iniziò così lo scavo del grande sepolcreto lungo la via Appia che porta il suo nome. Alla morte di Zeffirino, Callisto venne eletto papa. Ma il suo pontificato attirò le inimicizie di un'ala della comunità cristiana di Roma che lo accusò, falsamente, di eresia. Il riscatto definitivo su questa figura controversa venne dal suo martirio. Callisto, infatti, fu gettato in un pozzo di Trastevere, forse in una sommossa popolare contro i cristiani nel 222. (Avvenire)

Etimologia: Callisto = il più bello, bellissimo, dal greco

Martirologio Romano: San Callisto I, papa, martire: da diacono, dopo un lungo esilio in Sardegna, si prese cura del cimitero sulla via Appia noto sotto il suo nome, dove raccolse le vestigia dei martiri a futura venerazione dei posteri; eletto poi papa promosse la retta dottrina e riconciliò con benevolenza i lapsi, coronando infine il suo operoso episcopato con un luminoso martirio. In questo giorno si commemaora la deposizione del suo corpo nel cimitero di Calepodio a Roma sulla via Aurelia.


A Roma sono famose le Catacombe di San Callisto, lungo la via Appia. Tra i molti cimiteri sotterranei dell'Urbe, quelle di San Callisto sono le Catacombe più note e più frequentate, celebri soprattutto per la cosiddetta " Cripta dei Papi ".
Ma tra i moltissimi Martiri e i Pontefici deposti ivi questo sepolcreto, inutilmente si cercherebbe il corpo del Santo dal quale le Catacombe lungo la via Appia hanno preso il nome, e che è segnato oggi sul Calendario universale della Chiesa, onorato come " Martire ".
La sorte di questo Santo, Pontefice agli inizi del III secolo, è stata veramente strana. Egli ebbe, ai suoi tempi, molti avversari tra i cristiani dissidenti di Roma, e proprio da uno scritto del capo di questi cristiani separati, cioè di un Antipapa, abbiamo quasi tutte le notizie sul conto di San Callisto. Sono, naturalmente, notizie che tendono a farlo apparire riprovevole e quasi odioso.
San Callisto viene detto, per esempio, " uomo industrioso per il male e pieno di risorse per l'errore ". Vi si legge che, prima di diventare Papa, era stato schiavo, frodatore di un padrone troppo ingenuo, finanziere improvvisato e bancarottiere più o meno fraudolento. Fuggito in Portogallo, venne arrestato e ricondotto a Roma, dove subì una condanna ai lavori forzati, nelle miniere della Sardegna. Tornato a Roma in occasione di un'amnistia, venne inviato ad Anzio perché - sempre secondo il racconto tendenzioso del suo avversario - il Papa non volle averlo d'intorno. Ma la lunga permanenza ad Anzio dovette riscattare l'antico schiavo dai suoi difetti, se mai ne ebbe, perché un altro Papa, Zeffirino, lo richiamò a Roma, affidando alla sua intraprendenza la cura dei cimiteri della Chiesa. Fu allora che Callisto iniziò lo scavo dei grande sepolcreto lungo la via Appia che doveva portare il suo nome.
Alla morte di Zeffirino, Callisto passò dalla cura dei morti a quella dei vivi, essendo eletto Papa egli stesso. E fu proprio allora, come Papa, che il reduce dalle miniere della Sardegna e dall'" esilio " di Anzio, si attirò le recriminazioni di certi cristiani troppo ligi alla tradizione, troppo rigidi nella morale, troppo retrivi alle novità.
Fu accusato di eresia, nella formulazione del mistero della Trinità, che invece Callisto sosteneva secondo la tradizione ortodossa, confermata poi dai concili. Venne incolpato, inoltre, di scarso zelo mentre, in tempi di rilassatezza, istituì il digiuno delle Quattro Tempora.
Gli fu rimproverato soprattutto il " lassismo ", cioè la scarsa severità disciplinare. Accoglieva infatti nella Chiesa i peccatori pentiti e . cristiani che debolmente avevano difeso la loro fede in tempo di pericolo.
Ma qualsiasi ombra gravasse sulla vita di San Callisto, venne riscattata alla sua morte, che fu morte di Martire, nel 222. Gettato in un pozzo di Trastevere, forse in una sommossa popolare, il suo corpo venne deposto di là dal fiume, lungo la via Aurelia, lontano dalle Catacombe da lui aperte lungo la via Appia, che di San Callisto conservano il nome ma non le reliquie.

Fonte:
Archivio Parrocchia
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15/10/2014 10:06
 
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> Home > Sezione T > Santa Teresa di Gesù (d'Avila) Condividi su Facebook Twitter




Santa Teresa di Gesù (d'Avila) Vergine e Dottore della Chiesa

15 ottobre


Avila, Spagna, 1515 - Alba de Tormes, Spagna, 15 ottobre 1582



Nata nel 1515, fu donna di eccezionali talenti di mente e di cuore. Fuggendo da casa, entrò a vent'anni nel Carmelo di Avila, in Spagna. Faticò prima di arrivare a quella che lei chiama la sua «conversione», a 39 anni. Ma l'incontro con alcuni direttori spirituali la lanciò a grandi passi verso la perfezione. Nel Carmelo concepì e attuò la riforma che prese il suo nome. Unì alla più alta contemplazione un'intensa attività come riformatrice dell'Ordine carmelitano. Dopo il monastero di San Giuseppe in Avila, con l'autorizzazione del generale dell'Ordine si dedicò ad altre fondazioni e poté estendere la riforma anche al ramo maschile. Fedele alla Chiesa, nello spirito del Concilio di Trento, contribuì al rinnovamento dell'intera comunità ecclesiale. Morì a Alba de Tormes (Salamanca) nel 1582. Beatificata nel 1614, venne canonizzata nel 1622. Paolo VI, nel 1970, la proclamò Dottore della Chiesa. (Avvenire)

Etimologia: Teresa = cacciatrice, dal greco; oppure donna amabile e forte, dal tedesco


Emblema: Giglio


Martirologio Romano: Memoria di santa Teresa di Gesù, vergine e dottore della Chiesa: entrata ad Ávila in Spagna nell’Ordine Carmelitano e divenuta madre e maestra di una assai stretta osservanza, dispose nel suo cuore un percorso di perfezionamento spirituale sotto l’aspetto di una ascesa per gradi dell’anima a Dio; per la riforma del suo Ordine sostenne molte tribolazioni, che superò sempre con invitto animo; scrisse anche libri pervasi di alta dottrina e carichi della sua profonda esperienza.



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Al secolo Teresa de Cepeda y Ahumada, riformatrice del Carmelo, Madre delle Carmelitane Scalze e dei Carmelitani Scalzi; "mater spiritualium" (titolo sotto la sua statua nella basilica vaticana); patrona degli scrittori cattolici (1965) e Dottore della Chiesa (1970): prima donna, insieme a S. Caterina da Siena, ad ottenere tale titolo; nata ad Avila (Vecchia Castiglia, Spagna) il 28 marzo 1515; morta ad Alba de Tormes (Salamanca) il 4 ottobre 1582 (il giorno dopo, per la riforma gregoriana del calendario fu il 15 ottobre); beatificazione nel 1614, canonizzazione nel 1622; festa il 15 ottobre.
La sua vita va interpretata secondo il disegno che il Signore aveva su di lei, con i grandi desideri che Egli le mise nel cuore, con le misteriose malattie di cui fu vittima da giovane (e la malferma salute che l'accompagnò per tutta la vita), con le "resistenze" alla grazia di cui lei si accusa più del dovuto. Entrò nel Carmelo dell'Incarnazione d'Avila il 2 novembre 1535, fuggendo di casa. Un pò per le condizioni oggettive del luogo, un pò per le difficoltà di ordine spirituale, faticò prima di arrivare a quella che lei chiama la sua "conversione", a 39 anni. Ma l'incontro con alcuni direttori spirituali la lanciò a grandi passi verso la perfezione.
Nel 1560 ebbe la prima idea di un nuovo Carmelo ove potesse vivere meglio la sua regola, realizzata due anni dopo col monastero di S. Giuseppe, senza rendite e "secondo la regola primitiva": espressione che va ben compresa, perchè allora e subito dopo fu più nostalgica ed "eroica" che reale. Cinque anni più tardi Teresa ottenne dal Generale dell'Ordine, Giovanni Battista Rossi - in visita in Spagna - l'ordine di moltiplicare i suoi monasteri ed il permesso per due conventi di "Carmelitani contemplativi" (poi detti Scalzi), che fossero parenti spirituali delle monache ed in tal modo potessero aiutarle. Alla morte della Santa i monasteri femminili della riforma erano 17. Ma anche quelli maschili superarono ben presto il numero iniziale; alcuni con il permesso del Generale Rossi, altri - specialmente in Andalusia - contro la sua volontà, ma con quella dei visitatori apostolici, il domenicano Vargas e il giovane Carmelitano Scalzo Girolamo Graziano (questi fu inoltre la fiamma spirituale di Teresa, al quale si legò con voto di far qualsiasi cosa le avesse chiesto, non in contrasto con la legge di Dio). Ne seguirono incresciosi incidenti aggravatisi per interferenze di autorità secolari ed altri estranei, sino all'erezione degli Scalzi in Provincia separata nel 1581. Teresa potè scrivere: "Ora Scalzi e Calzati siamo tutti in pace e niente ci impedisce di servire il Signore". Teresa è tra le massime figure della mistica cattolica di tutti i tempi. Le sue opere - specialmente le 4 più note (Vita, Cammino di perfezione, Mansioni e Fondazioni) - insieme a notizie di ordine storico, contengono una dottrina che abbraccia tutta la vita dell'anima, dai primi passi sino all'intimità con Dio al centro del Castello Interiore. L' Epistolario, poi, ce la mostra alle prese con i problemi più svariati di ogni giorno e di ogni circostanza. La sua dottrina sull'unione dell'anima con Dio (dottrina da lei intimamente vissuta) è sulla linea di quella del Carmelo che l'ha preceduta e che lei stessa ha contribuito in modo notevole ad arricchire, e che ha trasmesso non solo ai confratelli, figli e figlie spirituali, ma a tutta la Chiesa, per il cui servizio non badò a fatiche. Morendo la sua gioia fu poter affermare: "muoio figlia della Chiesa".


Autore: Anthony Cilia



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16/10/2014 06:19
 
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Santa Margherita Maria Alacoque Vergine

16 ottobre e 17 ottobre - Memoria Facoltativa


Verosvres, Autun, Francia, 1647 - Paray-le-Monial, 17 ottobre 1690



Nata in Borgogna nel 1647, Margherita ebbe una giovinezza difficile, soprattutto perché dovette vincere la resistenza dei genitori per entrare, a ventiquattro anni, neII'Ordine della Visitazione, fondato da san Francesco di Sales. Margherita, diventata suor Maria, restò vent'anni tra le Visitandine, e fin dall'inizio si offrì «vittima al Cuore di Gesù». Fu incompresa dalle consorelle, malgiudicata dai superiori. Anche i direttori spirituali dapprima diffidarono di lei, giudicandola una fanatica visionaria. Il beato Claudio La Colombière divenne preziosa guida della mistica suora della Visitazione, ordinandole di narrare, nell'autobiografia, le sue esperienze ascetiche. Per ispirazione della santa, nacque la festa del Sacro Cuore, ed ebbe origine la pratica dei primi Nove Venerdì del mese. Morì il 17 ottobre 1690. (Avvenire)

Etimologia: Margherita = perla, dal greco e latino


Emblema: Giglio


Martirologio Romano: Santa Margherita Maria Alacoque, vergine, che, entrata tra le monache dell’Ordine della Visitazione della beata Maria, corse in modo mirabile lungo la via della perfezione; dotata di mistici doni e particolarmente devota al Sacratissimo Cuore di Gesù, fece molto per promuoverne il culto nella Chiesa. A Paray-le-Monial nei pressi di Autun in Francia, il 17 ottobre, si addormentò nel Signore.
(17 ottobre: A Paray-le-Monial nel territorio di Autun in Francia, transito di santa Margherita Maria Alacoque, vergine, la cui memoria si celebra il giorno precedente a questo).



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La memoria di Santa Margherita Maria Alacoque, francese, è legata alla diffusione della devozione del Sacro Cuore, una devozione tipica dei tempi moderni, e promossa infatti soltanto tre secoli fa, quando soffiò sulla Francia il vento gelido del Giansenismo, foriero della tormenta dell'Illuminismo.
All'origine della devozione al Cuore di Gesù si trovano due grandi Santi: Giovanni Eudes e Margherita Maria Alacoque. Del primo abbiamo già parlato il 19 agosto. dicendo come questo moschettiere dell'amore di Gesù e Maria fosse il primo e più fervido propagatore del nuovo culto.
Santa Margherita Maria Alacoque, da parte sua, fu colei che rivelò in tutta la loro mirabile profondità i doni d'amore dei cuore di Gesù, traendone grazie strepitose per la propria santità, e la promessa che i soprannaturali carismi sarebbero stati estesi a tutti i devoti del Sacro Cuore.
Nata in Borgogna nel 1647, Margherita ebbe una giovinezza difficile, soprattutto perché non le fu facile sottrarsi all'affetto dei genitori, e alle loro ambizioni mondane per la figlia, ed entrare, a ventiquattro anni, neII'Ordine della Visitazione, fondato da San Francesco di Sales. Margherita, diventata suor Maria, restò vent'anni tra le Visitandine, e fin dall'inizio si offrì " vittima al Cuore di Gesù ". In cambio ricevette grazie straordinarie, come fuor dell'ordinario furono le sue continue penitenze e mortificazioni sopportate con dolorosa gioia. Fu incompresa dalle consorelle, malgiudicata dai Superiori. Anche i direttori spirituali dapprima diffidarono di lei, giudicandola una fanatica visionaria. " Ha bisogno di minestra ", dicevano, non per scherno, ma per troppo umana prudenza.
Ci voleva un Santo, per avvertire il rombo della santità. E fu il Beato Claudio La Colombière, che divenne preziosa e autorevole guida della mistica suora della Visitazione, ordinandole di narrare, nella Autobiografia, le sue esperienze ascetiche, rendendo pubbliche le rivelazioni da lei avute.
"Ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini", le venne detto un giorno, nel rapimento di una visione: una frase restata quale luminoso motto della devozione al Sacro Cuore. E poi, le promesse: "Il mio cuore si dilaterà per spandere con abbondanza i frutti del suo amore su quelli che mi onorano". E ancora: "I preziosi tesori che a te discopro, contengono le grazie santificanti per trarre gli uomini dall'abisso di perdizione".
Per ispirazione della Santa, nacque così la festa del Sacro Cuore, ed ebbe origine la pratica pia dei primi Nove Venerdì del mese. Vinta la diffidenza, abbattuta l'ostilità, scossa la indifferenza, si diffuse nel mondo la devozione a quel Cuore che a Santa Margherita Alacoque era apparso "su di un trono di fiamme, raggiante come sole, con la piaga adorabile, circondato di spine e sormontato da una croce". E’ l'immagine che appare ancora in tante case, e che ancora protegge, in tutto il mondo, le famiglie cristiane.

Autore: Piero Bargellini

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17/10/2014 07:47
 
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Sant' Ignazio di Antiochia Vescovo e martire

17 ottobre


m. 107 circa



Fu il terzo vescovo di Antiochia, in Siria, terza metropoli del mondo antico dopo Roma e Alessandria d'Egitto e di cui san Pietro era stato il primo vescovo. Non era cittadino romano, e pare che non fosse nato cristiano, convertendosi in età non più giovanissima. Mentre era vescovo ad Antiochia, l'Imperatore Traiano dette inizio alla sua persecuzione. Arrestato e condannato, Ignazio fu condotto, in catene, da Antiochia a Roma dove si allestivano feste in onore dell'Imperatore e i cristiani dovevano servire da spettacolo, nel circo, sbranati dalle belve. Durante il viaggio da Antiochia a Roma, Ignazio scrisse sette lettere, in cui raccomandava di fuggire il peccato, di guardarsi dagli errori degli Gnostici, di mantenere l'unità della Chiesa. Di un'altra cosa poi si raccomandava, soprattutto ai cristiani di Roma: di non intervenire in suo favore e di non salvarlo dal martirio. Nell'anno 107 fu dunque sbranato dalle belve verso le quali dimostrò grande tenerezza. «Accarezzatele " scriveva " affinché siano la mia tomba e non faccian restare nulla del mio corpo, e i miei funerali non siano a carico di nessuno». (Avvenire)

Etimologia: Ignazio = di fuoco, igneo, dal latino


Emblema: Bastone pastorale, Palma


Martirologio Romano: Memoria di sant’Ignazio, vescovo e martire, che, discepolo di san Giovanni Apostolo, resse per secondo dopo san Pietro la Chiesa di Antiochia. Condannato alle fiere sotto l’imperatore Traiano, fu portato a Roma e qui coronato da un glorioso martirio: durante il viaggio, mentre sperimentava la ferocia delle guardie, simile a quella dei leopardi, scrisse sette lettere a Chiese diverse, nelle quali esortava i fratelli a servire Dio in comunione con i vescovi e a non impedire che egli fosse immolato come vittima per Cristo.



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Dalla data del 1° febbraio, la memoria di Sant'Ignazio Martire è stata riportata ad oggi, data tradizionale del suo martirio, dal nuovo Calendario ecclesiastico, che la prescrive come obbligatoria per tutta la Chiesa.
Sant'Ignazio fu il terzo Vescovo di Antiochia, in Siria, cioè della terza metropoli del mondo antico dopo Roma e Alessandria d'Egitto.
Lo stesso San Pietro era stato primo Vescovo di Antiochia, e Ignazio fu suo degno successore: un pilastro della Chiesa primitiva così come Antiochia era uno dei pilastri del mondo antico.
Non era cittadino romano, e pare che non fosse nato cristiano, e che anzi si convertisse assai tardi. Ciò non toglie che egli sia stato uomo d'ingegno acutissimo e pastore ardente di zelo. I suoi discepoli dicevano di lui che era " di fuoco ", e non soltanto per il nome, dato che ignis in latino vuol dire fuoco.
Mentre era Vescovo ad Antiochia, l'Imperatore Traiano dette inizio alla sua persecuzione, che privò la Chiesa degli uomini più in alto nella scala gerarchica e più chiari nella fama e nella santità.
Arrestato e condannato ad bestias, Ignazio fu condotto, in catene, con un lunghissimo e penoso viaggio, da Antiochia a Roma dove si allestivano feste in onore dell'Imperatore vittorioso nella Dacia e i Martiri cristiani dovevano servire da spettacolo, nel circo, sbranati e divorati dalle belve.
Durante il suo viaggio, da Antiochia a Roma, il Vescovo Ignazio scrisse sette lettere, che sono considerate non inferiori a quelle di San Paolo: ardenti di misticismo come quelle sono sfolgoranti di carità. In queste lettere, il Vescovo avviato alla morte raccomandava ai fedeli di fuggire il peccato; di guardarsi dagli errori degli Gnostici; soprattutto di mantenere l'unità della Chiesa.
D'un'altra cosa poi si raccomandava, scrivendo particolarmente ai cristiani di Roma: di non intervenire in suo favore e di non tentare neppure di salvarlo dal martirio.
"lo guadagnerei un tanto - scriveva - se fossi in faccia alle belve, che mi aspettano. Spero di trovarle ben disposte. Le accarezzerei, anzi, perché mi divorassero d'un tratto, e non facessero come a certuni, che han timore di toccarli: se manifestassero queste intenzioni, io le forzerei ".
E a chi s'illudeva di poterlo liberare, implorava: " Voi non perdete nulla, ed io perdo Iddio, se riesco a salvarmi. Mai più mi capiterà una simile ventura per riunirmi a Lui. Lasciatemi dunque immolare, ora che l'altare è pronto! Uniti tutti nel coro della carità, cantate: Dio s'è degnato di mandare dall'Oriente in Occidente il Vescovo di Siria! ".
Infine prorompeva in una di quelle immagini che sono rimaste famose nella storia dei Martiri: " Lasciatemi essere il nutrimento delle belve, dalle quali mi sarà dato di godere Dio. lo sono frumento di Dio. Bisogna che sia macinato dai denti delle belve, affinché sia trovato puro pane di Cristo ".
E, giunto a Roma, nell'anno 107, il Vescovo di Antiochia fu veramente " macinato " dalle innocenti belve del Circo, per le quali il Martire trovò espressioni di una insolita tenerezza e poesia: " Accarezzatele, scriveva infatti, affinché siano la mia tomba e non faccian restare nulla del mio corpo, e i miei funerali non siano a carico di nessuno ".

Fonte:

Archivio Parrocchia


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18/10/2014 07:27
 
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San Luca Evangelista

18 ottobre

Antiochia di Siria - Roma (?) - Primo secolo dopo Cristo


Figlio di pagani, Luca appartiene alla seconda generazione cristiana. Compagno e collaboratore di san Paolo, che lo chiama «il caro medico», è soprattutto l’autore del terzo Vangelo e degli Atti degli Apostoli. Al suo Vangelo premette due capitoli nei quali racconta la nascita e l’infanzia di Gesù. In essi risalta la figura di Maria, la «serva del Signore, benedetta fra tutte le donne». Il cuore dell’opera, invece, è costituito da una serie di capitoli che riportano la predicazione da Gesù tenuta nel viaggio ideale che lo porta dalla Galilea a Gerusalemme. Anche gli Atti degli Apostoli descrivono un viaggio: la progressione gloriosa del Vangelo da Gerusalemme all’Asia Minore, alla Grecia fino a Roma.
Protagonisti di questa impresa esaltante sono Pietro e Paolo. A un livello superiore il vero protagonista è lo Spirito Santo, che a Pentecoste scende sugli Apostoli e li guida nell’annuncio del Vangelo agli Ebrei e ai pagani. Da osservatore attento, Luca conosce le debolezze della comunità cristiana così come ha preso atto che la venuta del Signore non è imminente. Dischiude dunque l’orizzonte storico della comunità cristiana, destinata a crescere e a moltiplicarsi per la diffusione del Vangelo. Secondo la tradizione, Luca morì martire a Patrasso in Grecia.

Patronato: Artisti, Pittori, Scultori, Medici, Chirurghi

Etimologia: Luca = nativo della Lucania, dal latino

Emblema: Bue
Martirologio Romano: Festa di san Luca, Evangelista, che, secondo la tradizione, nato ad Antiochia da famiglia pagana e medico di professione, si convertì alla fede in Cristo. Divenuto compagno carissimo di san Paolo Apostolo, sistemò con cura nel Vangelo tutte le opere e gli insegnamenti di Gesù, divenendo scriba della mansuetudine di Cristo, e narrò negli Atti degli Apostoli gli inizi della vita della Chiesa fino al primo soggiorno di Paolo a Roma.

Ascolta da RadioVaticana:
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I medici-chirurghi sono cristianamente sotto la protezione dei Santi Cosma e Damiano, i martiri guaritori anargiri vissuti nel III secolo e attivi gratuitamente in Siria. Anche altri santi “minori “ sono invocati, specialmente per alcune branche specialistiche come l’oculistica e l’odontoiatria. Ma il principe patrono della categoria è, senza ombra di dubbio, San Luca evangelista, che una lunga tradizione vuole originario di Antiochia, tanto da essere denominato “il medico antiocheno”.
Come è noto, tale importante città, che corrisponde all’attuale Antakia nella Turchia sudorientale, fu fondata quale capitale del regno di Siria nel 301 a.C.; vi fiorì una numerosa colonia giudaica e fu poi sede di una delle più antiche comunità cristiane. Luca, il cui nome è probabilmente abbreviazione di Lucano, vi nacque come pagano, ma diventò proselita o quanto meno simpatizzante della religione ebraica.
Egli non era discepolo di Gesù di Nazaret; si convertì dopo, pur non figurando nemmeno come uno dei primitivi settantadue discepoli. Diventò membro della comunità cristiana antiochena, probabilmente verso l’anno 40. Fu poi compagno di San Paolo (Tarso, inizio I° secolo/ forse 8 d.C.-Roma, 67 ca.) in alcuni suoi viaggi. Lo si trova con l’apostolo delle genti a Filippi, Gerusalemme e Roma. Sostanzialmente suo discepolo, condivise la visione universale paolina della nuova religione e, allorché decise di scrivere le proprie opere, lo fece soprattutto per le comunità evangelizzate da Paolo, ossia in genere per convertiti dal paganesimo. Si incontrò tuttavia anche con San Giacomo il Minore, capo della Chiesa di Gerusalemme, con San Pietro, più a lungo con San Barnaba e forse con San Marco.
La qualifica di medico attribuita a Luca viene confermata, secondo gli studiosi, dall’esame interno delle sue opere. La sua cultura e la preparazione specifica erano sicuramente note tra le comunità di cui faceva parte; potrebbe addirittura avere curato la Madre del Signore. Certamente la sua cultura generale e la sua esperienza degli uomini erano piuttosto notevoli. Prove ne siano lo stile e l’uso della lingua greca nonché la struttura stessa dei suoi scritti: il terzo Vangelo e gli Atti degli Apostoli. La data di composizione degli Atti viene fatta risalire agli anni 63-64, quella del Vangelo ad un anno o due prima. Luca coltivava anche l’arte e la letteratura. Un’antica tradizione lo vuole addirittura autore di alcune “Madonne” che si venerano ancora ai nostri giorni, come in Santa Maria Maggiore a Roma.
Egli è il solo evangelista a dilungarsi sull’infanzia di Gesù ed a narrare episodi della vita della Madonna che gli altri tre non hanno riferito. Le fonti della sua narrazione furono i racconti dei discepoli e delle donne che vissero al seguito di Gesù; quasi sicuramente i Vangeli di Matteo e di Marco, che lui conosceva. Con la precisione cronologica e spesso geografica con la quale riferì delle vicende del Vangelo, così egli, insieme a tanta passione, raccontò negli Atti i primi passi della comunità cristiana dopo la Pentecoste.
Per alcuni studiosi Luca avrebbe scritto parecchio nella regione della Beozia, regione dell’antica Grecia confinante a sud con il golfo di Corinto e l’Attica. Tale regione fu sede di regni importanti come quello di Tebe. Per i Greci addirittura l’evangelista sarebbe morto in quei luoghi all’età di ottantaquattro anni, senza essersi mai sposato e senza avere avuto figli. Per altri invece egli sarebbe morto in Bitinia, regione nord-occidentale dell’odierna Turchia.
Per la verità nulla di certo si sa della vita di Luca dopo la morte di San Paolo. Addirittura non si conosce sicuramente se egli abbia terminato la propria esistenza terrena con una morte naturale oppure come martire appeso ad un olivo. Ovviamente ignoto è il luogo della prima sepoltura. Vi sono tre città soprattutto che si appellano ad una tradizione di traslazione del corpo dell’evangelista: Costantinopoli, Padova e Venezia. Sono città quindi intorno alle quali e dalle quali si diffuse il suo culto. Recentissimi studi avrebbero dimostrato che sue sono le spoglie mortali, eccezione fatta per il capo, conservate a Padova nella basilica benedettina di Santa Giustina. In tale città veneta sarebbero giunte per sottrarle alla distruzione degli iconoclasti e là già nel XIV secolo fu per loro costruita una cappella ed un’Arca, detta appunto di San Luca.
II simbolo di San Luca evangelista è il vitello, animale sacrificale. II 18 ottobre viene celebrata nella Chiesa universale la sua solennità, la solennità di Colui che Dante ha definito lo “scriba della mansuetudine di Cristo” per il predominio, nel suo Vangelo, di immagini di mitezza, di gioia e di amore.

Autore: Mario Benatti
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19/10/2014 08:12
 
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San Paolo della Croce Sacerdote

19 ottobre e 18 ottobre - Memoria Facoltativa

Ovada (Alessandria), 3 gennaio 1694 - Roma, 18 ottobre 1775

Nacque a Ovada, nell'Alessandrino, il 3 gennaio 1694 da famiglia nobile anche se in difficoltà economiche. Suo padre è un commerciante e lui lo aiuta, essendo il primo di 16 figli; ma il suo desiderio è creare un ordine religioso e combattere i Turchi. Infine si fa eremita e a 26 anni il suo vescovo gli consente di vivere in solitudine nella chiesa di Castellazzo Bormida, sempre nell'Alessandrino. Qui matura l'idea di un nuovo Ordine e nel 1725 Benedetto XIII lo autorizza a raccogliere compagni: il primo è suo fratello Giovanni Battista. Comincia a farsi chiamare «Frate Paolo della Croce», poi fonda l'ordine dei «Chierici scalzi della santa Croce e della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo» (Passionisti). Nel 1727 viene ordinato prete a Roma, poi si ritira sul monte Argentario. Tornato a Roma, nel 1750 predica per il Giubileo. Clemente XIV gli chiede spesso consiglio così come il suo successore Pio VI. Muore il 18 ottobre 1775 a Roma e sarà proclamato santo da Pio IX nel 1867. (Avvenire)

Etimologia: Paolo = piccolo di statura, dal latino

Martirologio Romano: San Paolo della Croce, sacerdote, che fin dalla giovinezza rifulse per spirito di penitenza e zelo e, mosso da singolare carità verso Cristo crocifisso contemplato nel volto dei poveri e dei malati, istituì la Congregazione dei Chierici regolari della Croce e della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Il suo anniversario di morte, avvenuta a Roma, ricorre il giorno precedente a questo.
(18 ottobre: A Roma, anniversario della morte di san Paolo della Croce, sacerdote, la cui memoria si celebra domani).

Ascolta da RadioVaticana:
Ascolta da RadioMaria:


Ecco uno che rema contro corrente per tutta la vita. E’ Paolo Francesco Danei, di famiglia nobile per origine e malconcia quanto a denari. Il padre commercia con poca fortuna tra Piemonte e Liguria e lui lo aiuta, essendo il primo di 16 figli. Ma ha poi certi progetti personali: creare un Ordine religioso, ad esempio; o combattere contro i Turchi... Infine si fa eremita, dapprima per conto proprio; a 26 anni, il suo vescovo gli consente di vivere in solitudine presso una chiesa di Castellazzo Bormida (Al). Qui egli matura l’idea di un nuovo Ordine e nel 1725 papa Benedetto XIII lo autorizza verbalmente a “raccogliere compagni”.
Ne raccoglie uno: suo fratello Giovanni Battista. E intanto definisce meglio il progetto: farà esattamente ciò che all’epoca risulta più impopolare. Questa è una pessima stagione per gli Ordini religiosi, tra l’avversione dei governi, le rivalità tra loro e la debolezza nella Chiesa; a papa Clemente XIV, nel 1773, si imporrà la soppressione della Compagnia di Gesù. E’ anche il tempo della fede sopportata da molti solo quale condimento di pii languori, motivo di ritualità elegante; una fede che non parli di sacrificio e nasconda la Croce. Allora lui comincia col chiamarsi “Frate Paolo della Croce”.
Poi fonda un “inopportuno” nuovo Ordine, detto dei “Chierici Scalzi della Santa Croce e della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo”. Apertamente. Sfacciatamente, sicché tutti capiscano che lui e i suoi predicano Cristo crocifisso come Paolo apostolo, qualunque cosa esiga o imponga lo “spirito dei tempi” e qualunque smorfia facciano gli abati di corte. Nel 1727 è stato ordinato prete dal Papa stesso. Ha assistito i malati di un ospedale romano col fratello. Poi, ritirati sul Monte Argentario, i due hanno visto arrivare altri giovani, affascinati da quella scelta così rudemente “contro”. Sono i primi Passionisti, che il fondatore educa come predicatori agguerriti: invece dei Turchi, attaccheranno l’ignoranza, l’irreligiosità, l’abbandono del Vangelo. Per questo i Passionisti sono chiamati da ogni parte, e l’Ordine riceve via via le successive approvazioni pontificie. Il fondatore lavora alla loro formazione da vicino e da lontano: restano di lui duemila lettere, ma ne ha scritte molte di più, forse diecimila. Nel 1750 ha predicato a Roma per il Giubileo, insieme a san Leonardo da Porto Maurizio. Papa Clemente XIV gli chiede spesso consiglio, e va di persona a trovarlo in casa quando è malato. Così farà il suo successore Pio VI, appena eletto.
Paolo della Croce muore dopo aver visto confermata, senza modifiche, la regola del suo Ordine che, nato “fuor di tempo” nel XVIII secolo, alla fine del XX sarà attivo in Europa, in America, in Africa e in Asia. Il Padre dei Passionisti, noti per l’emblema della croce e del cuore che portano sul saio, verrà proclamato santo da Pio IX nel 1867.


Autore: Domenico Agasso
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20/10/2014 07:09
 
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Santa Maria Bertilla Boscardin Vergine

20 ottobre

Gioia di Brendola (VI), 6 ottobre 1888 - Treviso, 20 ottobre 1922

Nata nel 1888 in provincia di Vicenza, in una famiglia contadina, con l'aiuto del parroco, entrò nel 1905 nelle suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Santissimi Cuori a Vicenza. Divenuta infermiera, lavorò nell'ospedale di Treviso, dove si dedicò a servire i malati nel corpo e nello spirito, infaticabile nell'aiutare le consorelle. Nonostante fosse stata colpita da un tumore a soli 22 anni, continuò con impegno il proprio lavoro, reso più faticoso dalle difficoltà e dalle tensioni della prima guerra mondiale. Mandata a Como, soffrì molto per l'incomprensione di qualche medico e della propria superiore senza mai lamentarsi o protestare. Tornata a Treviso, riprese il suo lavoro in ospedale nonostante l'aggravarsi della malattia. Morì a 34 anni, nel 1922. La sua grandezza spirituale sta nell'aver cercato nella fatica, nell'umiltà, nel silenzio, un'unione con Dio sempre più profonda. Le sue spoglie si trovano ora a Vicenza, nella Casa madre della sua comunità. (Avvenire)

Etimologia: Maria = amata da Dio, dall'egiziano; signora, dall'ebraico

Emblema: Giglio
Martirologio Romano: A Treviso, santa Maria Bertilla (Anna Francesca) Boscardin, vergine della Congregazione delle Suore di Santa Dorotea dei Sacri Cuori, che si adoperò in ospedale per la salute dei malati nel corpo e nello spirito.

Ascolta da RadioVaticana:
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Operata di tumore a 22 anni, lei che è infermiera sperimenta la vita in ospedale anche sul versante della sofferenza. Riesce a rimettersi e torna alle sue fatiche: quelle che ha scelto entrando nel 1905 tra le Suore Maestre di Santa Dorotea, Figlie dei SS. Cuori a Vicenza. Al battesimo è stata chiamata Anna Francesca: figlia di agricoltori non certo ricchi, ha frequentato alcune classi di scuola elementare; poi, presto al lavoro, come tutte le ragazze della sua condizione all’epoca. Lavoro in campagna, in casa sua, in casa d’altri.
Presa la decisione di farsi suora, Anna Francesca lascia che sia il suo parroco a scegliere per lei tra le varie congregazioni femminili. Al momento della professione religiosa prende poi i nomi di Maria Bertilla. I suoi primi compiti in comunità sono i lavori in cucina, al forno e in lavanderia: nessun problema per una che conosce le fatiche della campagna ancora senza macchine, dove tutto si fa a forza di braccia. Poi inizia il tirocinio presso l’ospedale di Treviso e si rimette a studiare, diplomandosi infermiera. Ma questo non le impedisce di dedicarsi anche a compiti più pesanti per aiutare le consorelle.
Ecco poi sopraggiungere il tumore, l’intervento chirurgico, la lenta ripresa. Pochi anni dopo scoppia la prima guerra mondiale, e quando Treviso viene a trovarsi in pericolo suor Maria Bertilla è trasferita in Lombardia con tutto l’ospedale, e sottoposta a una prova severa: incomprensioni e dissensi provocano la sua “retrocessione” da infermiera a donna di fatica in lavanderia.
Suor Maria Bertilla ne soffre moltissimo: ma dentro di sé, soltanto dentro. Non le sfugge una parola di amarezza, di risentimento. Il suo fisico ora resiste meno allo sforzo, ma la volontà non cede. Dopo il rientro a Treviso, la religiosa viene reintegrata nelle funzioni di infermiera. Ma lei è anche qualcosa d’altro, come dirà Giovanni XXIII canonizzandola l’11 maggio del 1961: "La irradiazione di suor Bertilla si allarga: nelle corsie, a contatto con gli epidemici, a consolare, a calmare: pronta e ordinata, esperta e silenziosa, fino a far dire anche ai distratti che Qualcuno – cioè il Signore – fosse sempre con lei a dirigerla".
Finché crolla: si è riprodotto il tumore. "La morte mi può sorprendere ad ogni momento", scrive nei suoi appunti, "ma io devo essere preparata". Nuova operazione, ma questa volta non si rialza più e la sua vita si conclude a 34 anni. L’irradiazione però continua. Presso la sua tomba c’è sempre chi prega, chi ha bisogno della suora infermiera per i mali più diversi: e l’aiuto, per vie misteriose, arriva. Vissuta oscuramente, Maria Bertilla è sempre più conosciuta e amata da morta. Esperta in sofferenza e umiliazione, continua a donare speranza. Le sue spoglie si trovano ora a Vicenza, nella Casa Madre della sua comunità.


Autore: Domenico Agasso
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21/10/2014 10:46
 
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Sant' Orsola e compagne Martiri

21 ottobre






Vissero probabilmente nel IV secolo e non nel V come vuole la leggenda. Una Passio del X secolo, infatti, narra di una giovane bellissima, Orsola, figlia di un re bretone, che accettò di sposare il figlio di un re pagano con la promessa che si sarebbe convertito alla fede cristiana. Partì con 11.000 vergini per raggiungere lo sposo, ma l'incontro con gli Unni di Attila provocò il loro martirio. Orsola fu trafitta da una freccia perché non aveva voluto sposare lo stesso Attila. Questa leggenda, comunque, ha una base storica, come ha dimostrato il ritrovamento di una iscrizione presso una chiesa di Colonia. L'iscrizione parla del martirio di Orsola e di altre dieci vergini (divenute 11.000 per un piccolo segno sul numero romano XI), martirio avvenuto probabilmente sotto Diocleziano.

Patronato: Ragazze, Scolare


Etimologia: Orsola = piccola orsa, forte


Emblema: Donna sotto un mantello, Palma


Martirologio Romano: Presso Colonia in Germania, commemorazione delle sante vergini, che terminarono la loro vita con il martirio per Cristo nel luogo in cui fu poi costruita la basilica della città dedicata in onore della piccola Orsola, vergine innocente, ritenuta di tutte la capofila.



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Le non poche leggende che avvolgono la figura di S. Orsola potrebbero considerarsi racconti esuberanti, che si diramano da realtà importanti: da una iscrizione nel coro della chiesa omonima in Colonia, ritenuta oggi autentica ed assegnata al IV-V secolo, fino alla protezione degli studi alla Sorbona e nelle università di Coimbra e Vienna. La collocazione nella storia della santa può oscillare dai tempi di Diocleziano, il dalmata imperatore romano che perseguitò i cristiani nel 303-304, a quelli di Attila (395-453), il re degli Unni e “flagello di Dio” che pure non scherzò affatto coi cristiani. D’altra parte la leggenda medioevale intorno ai santi non va considerata riduttivamente come propaganda dei preti o come esigenza localistica di prestigio.

Orsola o Ursula, figlia di un re di Britannia, era bellissima, segretamente consacrata a Dio. Un re pagano, di nome Aetherius, si fece ben presto avanti per ottenerla in sposa. Il matrimonio avrebbe scongiurato una guerra, quindi diventava politico; perciò il padre fu quasi obbligato a dare il proprio consenso. Ma la giovane pose alcune condizioni: una dilazione di tre anni, la promessa del pretendente che si sarebbe convertito e la programmazione di un pellegrinaggio insieme a Roma. Scaduti i tre anni,Orsola e undici nobili fanciulle (che diventeranno successivamente undicimila per un errore di trascrizione dell’iscrizione di cui sopra) salparono dai propri lidi e per mare e poi per fiume raggiunsero Colonia.

Dopo avere là brevemente soggiornato,le undici giovani, incoraggiate da un angelo, proseguirono, sempre navigando sul Reno, fino a Basilea. Dalla Svizzera raggiunsero a piedi, oranti pellegrine, Roma, dove Orsola fu ricevuta dal Papa. Davanti al Santo Padre comparve anche il promesso sposo che, nel frattempo, si era convertito al cristianesimo. Nello stesso anno e seguendo il medesimo tragitto, le vergini ritornarono a Colonia. In tale antica e importante città tedesca Orsola e le altre, per la loro manifesta fede cristiana, vennero torturate e messe a morte a colpi di freccia.

Colonia, che pure coltiva dal 1162 un grande culto verso i Magi, la ricorda come propria patrona insieme a S. Cuniberto, vescovo nel VII secolo. Le comunità cattoliche la venerano sempre, anche attualmente, in buona parte del mondo e talora con grandi cerimonie religiose, il 21 ottobre, suo giorno del calendario liturgico. Anche Mantova non ha voluto essere da meno, facendo costruire in suo onore, nel 1608 su progetto dell’architetto di corte Antonio Maria Viani, la chiesa di recente restaurata e che prospetta sul corso Vittorio Emanuele II. Non marginale il fatto che le Orsoline, fondate nel 1535 da Sant’Angela Merici, abbiano operato per più di un secolo nella città di Virgilio, educando tanta gioventù femminile.

Innumerevoli sono, come in parte già accennato, i patronati di Sant’Orsola; tra loro riveste particolare significato quello sul matrimonio felice. Considerata la condiscendenza del promesso sposo, la santa può venire invocata infatti dai nubendi per avere un buon matrimonio.


Autore: Mario Benatti

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22/10/2014 09:51
 
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San Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla) Papa

22 ottobre - Memoria Facoltativa


Wadowice, Cracovia, 18 maggio 1920 - Vaticano, 2 aprile 2005



(Papa dal 22/10/1978 al 02/04/2005 ).
Nato a Wadovice, in Polonia, è il primo papa slavo e il primo Papa non italiano dai tempi di Adriano VI. Nel suo discorso di apertura del pontificato ha ribadito di voler portare avanti l'eredità del Concilio Vaticano II. Il 13 maggio 1981, in Piazza San Pietro, anniversario della prima apparizione della Madonna di Fatima, fu ferito gravemente con un colpo di pistola dal turco Alì Agca. Al centro del suo annuncio il Vangelo, senza sconti. Molto importanti sono le sue encicliche, tra le quali sono da ricordare la "Redemptor hominis", la "Dives in misericordia", la "Laborem exercens", la "Veritatis splendor" e l'"Evangelium vitae". Dialogo interreligioso ed ecumenico, difesa della pace, e della dignità dell'uomo sono impegni quotidiani del suo ministero apostolico e pastorale. Dai suoi numerosi viaggi nei cinque continenti emerge la sua passione per il Vangelo e per la libertà dei popoli. Ovunque messaggi, liturgie imponenti, gesti indimenticabili: dall'incontro di Assisi con i leader religiosi di tutto il mondo alla preghiere al Muro del pianto di Gerusalemme. Così Karol Wojtyla traghetta l'umanità nel terzo millennio. La sua beatificazione ha luogo a Roma il 1° maggio 2011.








Karol Józef Wojtyła, eletto Papa il 16 ottobre 1978, nacque a Wadowice, città a 50 km da Cracovia, il 18 maggio 1920.

Era il secondo dei due figli di Karol Wojtyła e di Emilia Kaczorowska, che morì nel 1929. Suo fratello maggiore Edmund, medico, morì nel 1932 e suo padre, sottufficiale dell’esercito, nel 1941.

A nove anni ricevette la Prima Comunione e a diciotto anni il sacramento della Cresima. Terminati gli studi nella scuola superiore Marcin Wadowita di Wadowice, nel 1938 si iscrisse all’Università Jagellónica di Cracovia.

Quando le forze di occupazione naziste chiusero l’Università nel 1939, il giovane Karol lavorò (1940-1944) in una cava ed, in seguito, nella fabbrica chimica Solvay per potersi guadagnare da vivere ed evitare la deportazione in Germania.

A partire dal 1942, sentendosi chiamato al sacerdozio, frequentò i corsi di formazione del seminario maggiore clandestino di Cracovia, diretto dall’Arcivescovo di Cracovia, il Cardinale Adam Stefan Sapieha. Nel contempo, fu uno dei promotori del "Teatro Rapsodico", anch’esso clandestino.

Dopo la guerra, continuò i suoi studi nel seminario maggiore di Cracovia, nuovamente aperto, e nella Facoltà di Teologia dell’Università Jagellónica, fino alla sua ordinazione sacerdotale a Cracovia il 1 novembre 1946. Successivamente, fu inviato dal Cardinale Sapieha a Roma, dove conseguì il dottorato in teologia (1948), con una tesi sul tema della fede nelle opere di San Giovanni della Croce. In quel periodo, durante le sue vacanze, esercitò il ministero pastorale tra gli emigranti polacchi in Francia, Belgio e Olanda.

Nel 1948 ritornò in Polonia e fu coadiutore dapprima nella parrocchia di Niegowić, vicino a Cracovia, e poi in quella di San Floriano, in città. Fu cappellano degli universitari fino al 1951, quando riprese i suoi studi filosofici e teologici. Nel 1953 presentò all’Università cattolica di Lublino una tesi sulla possibilità di fondare un’etica cristiana a partire dal sistema etico di Max Scheler. Più tardi, divenne professore di Teologia Morale ed Etica nel seminario maggiore di Cracovia e nella Facoltà di Teologia di Lublino.

Il 4 luglio 1958, il Papa Pio XII lo nominò Vescovo titolare di Ombi e Ausiliare di Cracovia. Ricevette l’ordinazione episcopale il 28 settembre 1958 nella cattedrale del Wawel (Cracovia), dalle mani dell’Arcivescovo Eugeniusz Baziak.

Il 13 gennaio 1964 fu nominato Arcivescovo di Cracovia da Paolo VI che lo creò Cardinale il 26 giugno 1967.

Partecipò al Concilio Vaticano II (1962-65) con un contributo importante nell’elaborazione della costituzione Gaudium et spes. Il Cardinale Wojtyła prese parte anche alle 5 assemblee del Sinodo dei Vescovi anteriori al suo Pontificato.

Viene eletto Papa il 16 ottobre 1978 e il 22 ottobre segue l'inizio solenne del Suo ministero di Pastore Universaledella Chiesa.

Dall’inizio del suo Pontificato, Papa Giovanni Paolo II ha compiuto 146 visite pastorali in Italia e, come Vescovo di Roma, ha visitato 317 delle attuali 332 parrocchie romane. I viaggi apostolici nel mondo - espressione della costante sollecitudine pastorale del Successore di Pietro per tutte le Chiese - sono stati 104.

Tra i suoi documenti principali si annoverano 14 Encicliche, 15 Esorta-zioni apostoliche, 11 Costituzioni apostoliche e 45 Lettere apostoliche. A Papa Giovanni Paolo II si ascrivono anche 5 libri: "Varcare la soglia della speranza" (ottobre 1994); "Dono e mistero: nel cinquantesimo anniversario del mio sacerdozio" (novembre 1996); "Trittico romano", meditazioni in forma di poesia (marzo 2003); "Alzatevi, andiamo!" (maggio 2004) e "Memoria e Identità" (febbraio 2005).

Papa Giovanni Paolo II ha celebrato 147 cerimonie di beatificazione - nelle quali ha proclamato 1338 beati - e 51 canonizzazioni, per un totale di 482 santi. Ha tenuto 9 concistori, in cui ha creato 231 (+ 1 in pectore) Cardinali. Ha presieduto anche 6 riunioni plenarie del Collegio Cardinalizio.

Dal 1978 ha convocato 15 assemblee del Sinodo dei Vescovi: 6 generali ordinarie (1980, 1983, 1987, 1990; 1994 e 2001), 1 assemblea generale straordinaria (1985) e 8 assemblee speciali (1980, 1991, 1994, 1995, 1997, 1998 [2] e 1999).

Nessun Papa ha incontrato tante persone come Giovanni Paolo II: alle Udienze Generali del mercoledì (oltre 1160) hanno partecipato più di 17 milioni e 600mila pellegrini, senza contare tutte le altre udienze speciali e le cerimonie religiose (più di 8 milioni di pellegrini solo nel corso del Grande Giubileo dell’anno 2000), nonché i milioni di fedeli incontrati nel corso delle visite pastorali in Italia e nel mondo; numerose anche le personalità governative ricevute in udienza: basti ricordare le 38 visite ufficiali e le altre 738 udienze o incontri con Capi di Stato, come pure le 246 udienze e incontri con Primi Ministri.

Muore a Roma, nel suo alloggio nella Città del Vaticano, alle ore 21.37 di sabato 2 aprile 2005. I solenni funerali in Piazza San Pietro e la sepoltura nelle Grotte Vaticane seguono l'8 aprile.

La festa liturgica è iscritta nel Calendario Romano generale al 22 ottobre, con il grado di memoria facoltativa.





Fonte:

www.karol-wojtyla.org



Note: Per approfondire: Cristina Siccardi - Giovanni Paolo II. L’uomo e il Papa - Paoline Editoriale Libri, 2011

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23/10/2014 08:27
 
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San Giovanni da Capestrano Sacerdote

23 ottobre - Memoria Facoltativa

Capestrano, L'Aquila, 1386 - Ilok, Croazia, 23 ottobre 1456


Era nato a Capestrano, vicino all'Aquila, nel 1386, da un barone tedesco, ma da madre abruzzese. Studente a Perugia, si laureò e divenne ottimo giurista, tanto che Ladislao di Durazzo lo fece governatore di quella città. Ma caduto prigioniero, decise di farsi francescano, diventando amico di san Bernardino e difendendolo quando, a causa della devozione del Nome di Gesù, venne accusato d'eresia. Anch'egli così prese come emblema il monogramma bernardiniano di Cristo Re. Il Papa lo inviò suo legato in Austria, in Baviera, in Polonia, dove si allargava sempre di più la piaga degli Ussiti. In Terra Santa promosse l'unione degli Armeni con Roma. Aveva settant'anni, nel 1456, quando si trovò alla battaglia di Belgrado investita dai Turchi. Per undici giorni e undici notti non abbandonò mai il campo. Ma tre mesi dopo, il 23 ottobre, Giovanni moriva a Ilok, in Slavonia, oggi in Croazia orientale.

Patronato: Giuristi

Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico

Martirologio Romano: San Giovanni da Capestrano, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che difese l’osservanza della regola e svolse il suo ministero per quasi tutta l’Europa a sostegno della fede e della morale cattolica. Con il fervore delle sue esortazioni e delle sue preghiere incoraggiò il popolo dei fedeli e si impegnò nella difesa della libertà dei cristiani. Morì presso Ujlak sulla riva del Danubio nel regno di Ungheria.

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Dalla data tradizionale del 28 marzo, il nuovo Calendario della Chiesa ha riportato al 23 ottobre, data effettiva della sua morte, la memoria facoltativa di San Giovanni da Capestrano, uno dei due Santi che, nelle opere d'arte del '400, vengono rappresentati con lo stemma di Cristo Re.
Il primo è San Bernardino da Siena, che mostra lo stemma raggiante sulla tipica tavoletta di legno, da lui alzata su tutte le piazze come simbolo di libertà e pegno di pace. Il secondo è San Giovanni da Capestrano, che sventola invece quel luminoso stemma sopra una bandiera spiegata, garrente nell'aria di una ideale battaglia.
Era nato a Capestrano, vicino all'Aquila, nel 1386, da un barone tedesco, ma da madre abruzzese, e il biondo incrocio tra il cavaliere tedesco e la fanciulla abruzzese veniva chiamato "Giantudesco". "I miei capelli, i quali sembravano fili d'oro - ricorderà da vecchio -io li portavo lunghi, secondo la moda dei mio paese, sicché mi facevano una bella danza". Studente a Perugia, si laureò e divenne ottimo giurista, tanto che Ladislao di Durazzo lo fece governatore di quella città. Ma da Perugia si vedeva, sul fianco del Subasio, la rosea nuvola di Assisi, e Giantudesco, caduto prigioniero, meditò in carcere sulla vanità del mondo, come aveva già fatto il giovane San Francesco.
Non volle perciò tornare alla vita mondana e uscito di carcere si fece legare dalla corda francescana, entrando nell'Ordine, dove San Bernardino propugnava, nel nome di Gesù, la riforma della cosiddetta " osservanza ".
Giantudesco entrò in intimità col Santo riformatore. Lo difese apertamente e valorosamente quando, a causa della devozione del Nome di Gesù, il Santo senese venne accusato d'eresia. Anch'egli così prese come emblema il monogramma bernardiniano di Cristo Re e lo portò nelle sue dure battaglie contro gli eretici e contro gl'infedeli. Il Papa lo nominò Inquisitore dei Fraticelli; lo inviò suo legato in Austria, in Baviera, in Polonia, dove si allargava sempre di più la piaga degli Ussiti. In Terra Santa promosse l'unione degli Armeni con Roma.
Ovunque c'era da incitare, da guidare e da combattere, Giantudesco alzava la sua bandiera fregiata dal raggiante stemma di Gesù o addirittura una pesante croce di legno, che ancora si conserva all'Aquila, e si gettava nella mischia, con teutonica fermezza e con italico ardore.
Aveva settant'anni, nel 1456, quando si trovò alla battaglia di Belgrado investita dai Turchi. Entrò nelle schiere dei combattenti, dove era più incerta la sorte delle armi, incitando i cristiani ad avere fede nel nome di Gesù. " Sia avanzando che retrocedendo - gridava, ~ sia colpendo che colpiti, invocate il Nome di Gesù. In Lui solo è salute! ".
Per undici giorni e undici notti non abbandonò mai il campo. Ma questa doveva essere la sua ultima fatica di combattente. Tre mesi dopo, il 23 ottobre, Giantudesco moriva a Villaco, nella Schiavonia, consegnando ai suoi fedeli la Croce, emblema di Cristo Re, che egli aveva servito, fino allo stremo delle sue forze.
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24/10/2014 06:36
 
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Sant' Antonio Maria Claret Vescovo

24 ottobre - Memoria Facoltativa

Sallent (Catalogna, Spagna), 23 dicembre 1807 - Fontfroide (Francia), 24 ottobre 1870

Una figura del secolo XIX al cui nome è tuttora legata una congregazione religiosa diffusa in tutti i continenti, quella dei Missionari del Cuore Immacolato di Maria, detti appunto Clarettiani. Di origine catalana, appena ordinato sacerdote Claret si reca a Roma, a Propaganda Fide, per essere inviato missionario. Ma la salute precaria lo costringe a tornare in patria. Così per sette anni si dedica alla predicazione delle missioni popolari tra la Catalogna e le Isole Canarie. È tra i giovani raggiunti in questa attività apostolica che nasce l’idea della congregazione. Nel 1849 viene nominato arcivescovo di Santiago di Cuba. Morirà il 24 ottobre 1870. (Avvenire)

Etimologia: Antonio = nato prima, o che fa fronte ai suoi avversari, dal greco

Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Sant’Antonio Maria Claret, vescovo: ordinato sacerdote, per molti anni percorse la regione della Catalogna in Spagna predicando al popolo; istituì la Società dei Missionari Figli del Cuore Immacolato della Beata Maria Vergine e, divenuto vescovo di Santiago nell’isola di Cuba, si adoperò con grande merito per la salvezza delle anime. Tornato in Spagna, sostenne ancora molte fatiche per la Chiesa, morendo infine esule tra i monaci cistercensi di Fontfroide vicino a Narbonne nella Francia meridionale.

Ascolta da RadioVaticana:
Ascolta da RadioRai:


Nato in una famiglia profondamente cristiana di tessitori catalani con dieci figli. Viene ordinato nel 1835, a 28 anni. Va a Roma nel 1839 e si rivolge a Propaganda Fide per essere inviato come missionario in qualsiasi parte del mondo. Non potendo raggiungere questo obiettivo, entra come novizio tra i Gesuiti, ma dopo pochi mesi deve tornare in patria perché malato. Per sette anni predica numerosissime missioni popolari in tutta la Catalogna e le isole Canarie conquistando un'immensa popolarità, anche come taumaturgo. Sa mettere insieme la gente dando vita ad associazioni e gruppi. Nel 1849 fonda una Congregazione apostolica: i Figli dell’Immacolato Cuore di Maria Oggi anche conosciuti come Missionari Clarettiani. All'inizio del terzo millennio, essi lavorano in 65 paesi dei cinque continenti. Nel 1936/ 39, durante la guerra civile spagnola, 271vengono uccisi per causa della fede. Tra questi spiccano i 51 Martiri di Barbastro, beatificati da Giovanni Paolo II il 1992. (Vedi in questa web: Martiri Spagnoli Clarettiani di Barbastro).
Nominato nel 1849 arcivescovo di Santiago di Cuba (all'epoca appartenente alla corona di Spagna), arriva in diocesi nel febbraio di 1851. Nel suo strenuo lavoro apostolico affronta i gravi problemi morali, religiosi e sociali dell'Isola: concubinato, povertà, schiavitù, ignoranza, ecc., ai quali si aggiungono due calamità che colpiscono la popolazione: epidemie e terremoti.
Ripercorre la sua vasta diocesi per ben quattro volte missionando instancabilmente con un gruppo di santi missionari. Le sue preoccupazioni pastorali si riversano anche in gran parte nel potenziamento del seminario e nella riformazione del clero. Nell'ambito sociale, promuove l'agricoltura, anche con diverse pubblicazioni e creando una fattoria-modello a Camagüey. Oltre a questo crea in ogni parrocchia una cassa di risparmio, opera pioniera in America Latina. Promuove l'educazione cercando Istituti religiosi e creando egli stesso insieme alla Venerabile Maria Antonia Paris la congregazione delle Religiose di Maria Immacolata (Missionarie Clarettiane). La sua strenua fortezza nel difendere i diritti della Chiesa e i diritti umani li crea numerosi nemici tra i politici e i corrotti. E così subisce minacce e attentati, tra i quali uno ad Holguin, dove viene gravemente ferito al volto. Nel 1857 la regina lo richiama a Madrid come suo confessore. In questa tappa continua ad annunziare il Vangelo nella capitale e in tutta la penisola.
Esiliato in Francia nel 1868 arriva con la regina a Parigi e, anche qui, prosegue le sue predicazioni.
Poi partecipa in Roma al concilio Vaticano I dove difende con ardore l'infallibilità del Romano Pontefice.
Perseguitato ancora dalla rivoluzione, si rifugia nel monastero di Fontfroide presso Narbona, dove spira santamente il 24 ottobre del 1870.
Sulla tomba vengono scolpite le parole di papa Gregorio VII: "Ho amato la giustizia e odiato l’iniquità, per questo muoio in esilio". Il suo corpo si venera nella Casa Madre dei Clarettiani a Vic (Barcellona).
E l’8 maggio 1950, Pio XII lo proclama santo, e dice del Claret: "spirito grande, sorto come per appianare i contrasti: poté essere umile di nascita e glorioso agli occhi del mondo; piccolo nella persona però di anima gigante; modesto nell'apparenza, ma capacissimo d'imporre rispetto anche ai grandi della terra; forte di carattere però con la soave dolcezza di chi sa dell'austerità e della penitenza; sempre alla presenza di Dio, anche in mezzo ad una prodigiosa attività esteriore; calunniato e ammirato, festeggiato e perseguitato. E tra tante meraviglie, quale luce soave che tutto illumina, la sua devozione alla Madre di Dio".


Autore: P. Jesús Bermejo, CMF
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25/10/2014 08:15
 
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Santi Crispino e Crispiniano di Soissons Martiri

25 ottobre

m. circa 285

Due calzolai intenti al loro lavoro: così sono raffigurati i santi Crispino e Crispiniano, perché la storia del martirio attribuisce loro questo mestiere. Da secoli, per questo, i calzolai li venerano come loro patroni in tante parti d’Europa; e con essi i sellai, i guantai e i conciatori. La Chiesa li ricorda come martiri: uccisi per la fede nella Gallia romana, ad Augusta Suessionum, l’attuale Soissons.

Patronato: Calzolai, Lavoratori del cuoio

Etimologia: Crispino = dai capelli ricci, dal latino

Emblema: Palma, Scarpe
Martirologio Romano: A Soissons nella Gallia belgica, ora in Francia, santi Crispino e Crispiniano, martiri.

Ascolta da RadioRai:


Nella redazione di Auxerre del Martirologio Geronimiano sono ricordati al 25 ottobre Crispino e Crispiniano come martiri di Soissons; ivi, infatti, nel secolo VI esisteva una basilica a loro dedicata di cui parla a più riprese Gregorio di Tours. L'itinerario inserito nei Gesta Regum Anglorum di Guglielmo di Malmesbury ricorda gli stessi martiri come sepolti nella basilica dei SS. Giovanni e Paolo sul Celio a Roma; questa notizia, però, dipènde probabilmente dalla passio di questi due ultimi santi, in cui, peraltro, I'episodio è considerato un'aggiunta posteriore, sebbene si sia preteso difenderne l'autenticità storica attraverso il presunto ritrovamento dei sepolcri. Di Crispino e Crispiniano esiste una passio scritta verso la fine del sec. VIII, infarcita dei soliti luoghi comuni. I due santi, di origine romana, si sarebbero recati in Gallia insieme con altri al tempo di Diocleziano, e stabiliti a Soissons dove avrebbero esercitato il mestiere di calzolai a favore dei poveri, non trascurando di propagandare la fede cristiana. Saputo ciò, I'imperatore Massimiano li fece arrestare per mezzo di Riziovaro che con lusinghe, minacce e tormenti, cercò di farli apostatare; a nulla valsero i tentativi, anzi fu Riziovaro che, in un accesso d'ira dispettosa, si gettò nel fuoco incontrandovi la morte. Per vendicare il suo ministro, Massimiano condannò i due santi alla pena capitale. I loro corpi, dopo essere stati nascosti per un certo tempo da due vecchi, finita la persecuzione, furono posti in due sepolcri sui quali venne edificata una basilica.
Nonostante le contraddizioni e la poca attendibilità delle fonti si può ritenere che Crispino e Crispiniano siano due martiri romani periti durante la persecuzione militare della fine del secolo III a Soissons, dove furono creduti santi locali e donde alcune loro reliquie furono portate a Roma.
Per l'allusione della passio al mestiere da loro esercitato, i due martiri sono invocati come patroni dei calzolai.


Autore: Agostino Amore
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26/10/2014 07:09
 
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San Folco Scotti di Piacenza e Pavia Vescovo

26 ottobre

1165 circa - 16 dicembre 1229


I resti di questo santo di origine irlandese sono custoditi nella cattedrale di Pavia, città della quale fu vescovo nel XIII secolo. Folco (o Fulco) nasce intorno al 1165 a Piacenza da una celebre famiglia, quella degli Scotti, originari dell'Irlanda, che viene identificata secondo la denominazione dell'epoca come patria degli «Scoti», scozzesi. Folco a 20 anni entra tra i canonici regolari di Sant'Eufemia. Viene inviato a Parigi a compiere gli studi di teologia a Parigi e al rientro viene eletto priore di Sant'Eufemia, poi canonico, poi arciprete della cattedrale. Infine viene consacrato vescovo di Piacenza. Sei anni più tardi, rimasta vacante la sede pavese, viene designato vescovo anche di questa città. Piacentino e vescovo di Pavia, Folco fu il grande paciere delle due città, allora divise da un'aspra rivalità. Dopo aver lavorato per la pacificazione interna delle città e delle contese tra i due centri muore nel 1229. (Avvenire)

Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Pavia, san Folco Scotti, vescovo, uomo di pace, colmo di zelo e di carità.


Passa alla storia come uno straordinario pacificatore. Il suo cognome di famiglia, Scotti, è irlandese: probabilmente nell’XI secolo i suoi antenati sono arrivati nella penisola italiana dopo l’invasione danese delle Isole britanniche, guidata dal re Knut. Ma gli Scotti non sono propriamente fuggiti: Knut non era uomo di saccheggi come alcuni suoi predecessori, ambiva anzi alla prosperità delle sue conquiste, in particolare attraverso i commerci. Ed ecco che, durante un viaggio a Roma, ha domandato ai Sovrani d’Europa «regolamenti più equi e maggior sicurezza lungo la strada per andare a Roma, ­senza tante barriere e ingiuste gabelle».
Così, agli evangelizzatori e monaci che già da tempo percorrevano quella via, si sono aggiunti anche i commercianti: alcuni saranno di passaggio, altri invece si fermeranno e stabilizzeranno in varie città. Tra questi probabilmente c’era la casata degli Scotti (che prima in realtà era un soprannome).
Nato intorno al 1165 a Piacenza, a 20 anni Folco viene accolto in una comunità di sacerdoti, i Canonici regolari di S. Eufemia, che vivono come i monaci. Lo mandano a studiare a Piacenza e poi a Parigi, da dove ritorna maestro in Teologia.
E per Folco, con questo titolo, le strade e le porte si spalancano verso ruoli di responsabilità: diventa priore dei Canonici, arciprete della cattedrale e infine Vescovo di Piacenza.
Perché sarà considerato un eccezionale pacificatore?
Ecco il motivo.
Viene nominato anche Vescovo di Pavia: un Vescovo solo per «quelle» due città-diocesi: Piacenza e Pavia sono acerrime rivali, divise a avversarie su tutto, con antiche e nuove ragioni di conflitto, scontri commerciali, famiglie antagoniste. Una situazione del genere spaventerebbe o scoraggerebbe chiunque, tanto più che Folco i suoi incarichi di responsabilità li ha già, eccome. Dunque, verrebbe da dire: «Chi glielo fa fare?». E invece, accetta. Rischiando di venire giudicato solo un «disertore» dai «suoi» piacentini e un intruso dai pavesi.
Anzi, Folco non solo accetta, è pure ambizioso: il suo obiettivo è mettere fine alla storica e apparentemente irrisolvibile ostilità. Vuole essere il Vescovo di tutti, piacentini e pavesi insieme.
La vincerà, questa sfida. Tant’è che i suoi resti sono tuttora conservati nella Cattedrale di Pavia: Folco, lo ricordiamo, era di Piacenza.


Autore: Domenico Agasso Jr.
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27/10/2014 07:18
 
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Sant' Evaristo Papa e martire

27 ottobre

Betlemme, primo secolo dopo Cristo - Roma, anno 105

(Papa dal 97 al 105).
Mentre del suo predecessore Clemente conosciamo la celebre lettera ai cristiani di Corinto, di Evaristo nulla è giunto. Tutto ciò che si sa è nel Liber Pontificalis e negli scritti di Ireneo ed Eusebio: sembra sia stato un greco di Antiochia nato a Betlemme e divenuto il quarto o forse il quinto successore di Pietro intorno all’anno 100. Governò per 9 anni. Leggendarie sono considerate la notizie che sia morto martire, che sia sepolto presso San Pietro e che abbia suddiviso Roma in 25 parrocchie e istituito 7 diaconi per assisterlo nella liturgia, come testimoni della sua ortodossia e come «stenografi» delle sue prediche. I resoconti, in ogni caso, non ci sono giunti. (Avvenire)

Etimologia: Evaristo = colui che è gradito

Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Roma, sant’Evaristo, papa, che resse la Chiesa di Roma per quarto dopo il beato Pietro, sotto l’imperatore Traiano.

Ascolta da RadioVaticana:
Ascolta da RadioRai:


E’ nato a Betlemme. Come capo della Chiesa di Roma, ha ordinato sette diaconi, incaricandoli tra l’altro di ascoltare e trascrivere le sue prediche al popolo: erano i suoi “stenografi”. Ma di quelle prediche non conosciamo neppure una parola.
Le scarse informazioni giunte a noi su papa Evaristo sono contenute nel Liber pontificalis, che è una raccolta cronologica di biografie di papi del VI secolo. Di Evaristo dice soltanto che ha ordinato quei diaconi e consacrato diciassette preti e quindici vescovi.
Siamo dunque di fronte a un “papa senza voce”. Non conosciamo di lui neppure una parola, mentre del suo predecessore Clemente I ci è giunto un documento importantissimo: la lettera famosa agli agitati cristiani di Corinto, con l’affermazione solenne dell’autorità che al vescovo di Roma compete. Ma questa autorità di Clemente comincia a risultare fastidiosa per i vertici dell’impero. E nell’anno 97, sotto l’imperatore Nerva, egli viene arrestato e condotto poi in esilio nel Chersoneso Taurico (Crimea). Ha quindi dovuto lasciare ad altri il governo della Chiesa, e la sua scelta è caduta su Evaristo. Il quale dev’essere perciò una figura di punta nella comunità cristiana di Roma; un uomo nel quale papa Clemente deve avere la massima fiducia.
Questo è ben più che probabile, secondo logica: però, come si è già detto, nessun documento ci parla di Evaristo e ci dice chi era e che cosa faceva prima della chiamata a quella responsabilità. E poi, oltre a quelle nomine di vescovi, preti e diaconi, della sua opera come papa non si sa nulla. Una tradizione assai antica afferma che Evaristo sarebbe morto martire sotto l’imperatore Traiano, e che poi avrebbero seppellito il suo corpo vicino alla tomba dell’apostolo Pietro. Ma di questo non esistono conferme attendibili.
Ci si è pure domandati se Evaristo debba essere considerato vero papa (ossia non “vice”, “luogotenente”) dall’anno 97, quando Clemente va in esilio; oppure solo dal 101, anno in cui Clemente muore martire in Crimea, secondo Eusebio di Cesarea (IV secolo) nella sua Storia Ecclesiastica. Per Eusebio è chiaro: Clemente, dopo nove anni di pontificato (88-97) "trasmise il sacro ministero a Evaristo". Nessuna delega, insomma. Investitura piena. E anche ai tempi nostri l’Annuario pontificio indica Evaristo come papa a pieno titolo già nel 97.


Autore: Domenico Agasso
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28/10/2014 07:16
 
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Santi Simone e Giuda Apostoli

28 ottobre

I secolo dopo Cristo


Il primo era soprannominato Cananeo o Zelota, e l’altro, chiamato anche Taddeo, figlio di Giacomo.
Nei vangeli i loro nomi figurano agli ultimi posti degli elenchi degli apostoli e le notizie che ci vengono date su di loro sono molto scarse. Di Simone sappiamo che era nato a Cana ed era soprannominato lo zelota, forse perché aveva militato nel gruppo antiromano degli zeloti. Secondo la tradizione, subì un martirio particolarmente cruento. Il suo corpo fu fatto a pezzi con una sega. Per questo è raffigurato con questo attrezzo ed è patrono dei boscaioli e taglialegna.
L’evangelista Luca presenta l’altro apostolo come Giuda di Giacomo. I biblisti sono oggi divisi sul significato di questa precisazione. Alcuni traducono con fratello, altri con figlio di Giacomo.
Matteo e Marco lo chiamano invece Taddeo, che non designa un personaggio diverso. È, invece, un soprannome che in aramaico significa magnanimo. Secondo san Giovanni, nell’ultima cena proprio Giuda Taddeo chiede a Gesù: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». Gesù non gli risponde direttamente, ma va al cuore della chiamata e della sequela apostolica: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». L’unica via per la quale Dio giunge all’uomo, anzi prende dimora presso di lui è l’amore. Non è una caso che la domanda venga da Giuda. Il suo cuore magnanimo aveva, probabilmente, intuito la risposta del Maestro. Come Simone, egli è venerato come martire, ma non conosciamo le circostanze della sua morte. Secondo gli Atti degli Apostoli, però, sappiamo che gli apostoli furono testimoni della resurrezione, e questa è la gloria maggiore dell’apostolo e di ogni discepolo di Gesù.

Martirologio Romano: Festa dei santi Simone e Giuda, Apostoli: il primo era soprannominato Cananeo o “Zelota”, e l’altro, chiamato anche Taddeo, figlio di Giacomo, nell’ultima Cena interrogò il Signore sulla sua manifestazione ed egli gli rispose: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui».

Ascolta da RadioVaticana:
Ascolta da RadioRai:


Il 28 di ottobre la Chiesa commemora la festa liturgica degli Apostoli:

San SIMONE
Simone, da Luca soprannominato Zelota (Lc 6, 15; At 1, 13), forse perché aveva militato nel gruppo antiromano degli Zeloti, da Matteo e Marco è chiamato Cananeo (Mt 10, 4; Mc 3, 18).

San GIUDA TADDEO
Giuda è detto Taddeo (Mt 10, 3; Mc 3, 18) o Giuda di Giacomo (Lc 16, 16; At 1, 13). Nell’ultima cena rivolse a Gesù la domanda: «Signore come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». Gesù gli rispose che l’autentica manifestazione di Dio è riservata a chi lo ama e osserva la sua parola (Gv 14, 22-24). Una lettera del Nuovo Testamento porta il suo nome.

La loro festa il 28 ottobre è ricordata dal calendario geronimiano (sec. VI). In questo stesso giorno si celebra a Roma fin dal sec. IX.
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29/10/2014 06:48
 
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Sant' Onorato di Vercelli Vescovo

29 ottobre

IV sec.

Il vescovo Onorato di Vercelli ha legato il suo nome a quello del contemporaneo Ambrogio. In molti dipinti è infatti raffigurato mentre dà la Comunione al grande vescovo di Milano morente. Segno di un legame forte nell’episcopato, vissuto in anni difficili come quelli tra la fine del III e l’inizio del IV secolo. Anni di confronti serrati, in comunità scosse da scismi e movimenti ereticali. A Vercelli capitò alla morte del vescovo Limenio: la designazione di Onorato come successore trovò fortissime resistenze. Ambrogio dovette spendere tutta la sua autorità, recandosi personalmente a consacrarlo. I fatti dimostrarono che la sua fiducia era ben fondata: come ricorda una lapide nella cattedrale di Vercelli (dove risposano tuttora le sue spoglie) il vescovo Onorato fu un degno discepolo di Eusebio (il grande padre e maestro di questa Chiesa piemontese) e un predicatore infaticabile della dottrina cattolica contro gli influssi ariani. Il suo episcopato durò circa un ventennio. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Vercelli, sant’Onorato, vescovo: discepolo di sant’Eusebio in monastero e suo compagno nel carcere, tenne per secondo dopo il suo maestro questa sede episcopale che istruì nella retta dottrina ed ebbe il privilegio di offrire il viatico a sant’Ambrogio in punto di morte.

Ascolta da RadioRai:


Un particolare legame unisce, nella figura del vescovo Onorato, la chiesa vercellese a quella milanese, fu, infatti, lui a somministrare i sacramenti a Sant’Ambrogio in punto di morte, così come il grande vescovo milanese aveva appoggiato la proposta di Onorato, sulla cattedra episcopale di Vercelli, come successore del vescovo Limenio
Alla morte di quest’ultimo, infatti, la chiesa eusebiana era scossa da contrasti non indifferenti in merito alla scelta del vescovo e queste divisioni erano ancor più acuite dalla predicazione di due sacerdoti milanesi, che contestavano la riforma voluta dal defunto vescovo in merito alla disciplina ascetica e al celibato dei sacerdoti, idee già presenti nella regola di vita del clero voluta dal grande Sant’Eusebio. La questione venne risolta anche grazie all’intervento di Ambrogio, prima con una lettera, che fu il suo ultimo scritto, poi personalmente, consacrando Onorato, già stimato membro del cenobio eusebiano, quale vescovo, nel 396.
Dell’azione pastorale del santo è testimonianza un carme, inciso sulla lastra sepolcrale della sua tomba, posta nella cattedrale cittadina accanto a quelle di Eusebio e Limenio. Nel testo Onorato è descritto come degno discepolo del maestro Eusebio, del quale aveva condiviso le pene dell’esilio e del carcere e come predicatore della ortodossa dottrina cattolica contro gli influssi ariani ancora presenti. Il suo episcopato durò circa un ventennio e si concluse un 29 di ottobre, giorno in cui ancora è ricordato nel calendario liturgico delle diocesi di Vercelli e di Milano.
Le sue reliquie riposano sotto la mensa di un altare laterale della cattedrale di Vercelli. L’iconografia del santo, nelle tipiche sembianze di un anziano santo vescovo, ha un tratto specifico nel presentarlo mentre comunica Ambrogio morente.


Autore: Damiano Pomi
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30/10/2014 05:34
 
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San Marciano di Siracusa Vescovo e martire

30 ottobre

Antiochia - † Siracusa, I secolo

Le fonti che parlano del vescovo e martire Marciano sono del VII secolo, mentre lui è vissuto nel primo: difettano, dunque, di certezza storica. Secondo esse Marciano fu discepolo di san Pietro ad Antiochia e fu da lui inviato in Sicilia a predicare il Vangelo. Operò molte conversioni e per questa sua attività fu ucciso. È ritenuto il primo vescovo di Siracusa. La sua più antica raffigurazione si trova nelle catacombe di Santa Lucia. Alcune sue reliquie sono giunte nel Lazio, nella cattedrale di Gaeta, di cui è compatrono. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Siracusa, san Marciano, ritenuto primo vescovo di questa città.


La data della sua celebrazione è variamente fissata, secondo le varie fonti che parlano di lui; in Occidente fu inserito per la prima volta nel ‘Martirologio Romano’ al 14 giugno, dal celebre Cesare Baronio, nel XVII secolo.
Ma in Oriente la sua memoria era già conosciuta e veniva ricordato in alcuni libri il 30 ottobre e in altri il 31; il Calendario marmoreo di Napoli lo riporta al 30 e in questa ultima data è inserito nell’ultimissima edizione del ‘Martyrologium Romanum’.
Le più antiche fonti che parlano di s. Marciano risalgono comunque al VII secolo e quindi risentono della mancanza di certezze storiche, perché si rifanno a tradizioni locali.
Marciano fattosi discepolo di s. Pietro apostolo, in Antiochia, quindi è del I secolo, fu da lui inviato in Sicilia a predicare il Vangelo; qui si fermò a Siracusa dove operò molte conversioni, accompagnate da miracoli, finché non venne ucciso “da coloro che in quel tempo avevano indegnamente lo scettro del comando”.
È ritenuto il primo vescovo di Siracusa, le successive narrazioni, non aggiungono niente di nuovo a quanto detto, anzi si contraddicono perché pongono la sua morte nel III secolo, se non più tardi, presentandolo arbitrariamente anche come un ottimo religioso e superiore di un monastero.
Anche qualche opera archeologica, come la cosiddetta ‘cripta di s. Marciano’ presso il cimitero di San Giovanni, non aiuta ad inquadrare meglio il periodo della sua esistenza e morte; essa fu creduta, a partire dal secolo XVII, che fosse stata costruita sul sepolcro del santo e nel contempo sul luogo della sua abitazione e predicazione, datandola quindi al I secolo, invece non è altro che un ipogeo funerario del IV secolo, trasformato in santuario cristiano nel periodo normanno.
La sua più antica raffigurazione è del secolo VIII-IX quindi del periodo bizantino e si trova nelle catacombe di S. Lucia.
E' da aggiungere, che chi sa per quale via sono giunte a Gaeta, certamente per mare, alcune reliquie di s. Marciano di Siracusa, che sono nella cripta o Soccorpo della cattedrale, insieme a quelle di altri sei santi; esso è venerato come compatrono di Gaeta insieme a s. Erasmo e celebrati in questa città e diocesi il 2 giugno.


Autore: Antonio Borrelli
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31/10/2014 06:19
 
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San Volfango di Ratisbona Vescovo

31 ottobre

Svevia, Germania, ca. 924 - Pupping, Austria, 994

Nato nel 924 in Svevia, diventò monaco a Ginsiedeln. Inviato missionario in Ungheria nel 971, l'anno successivo fu eletto vescovo di Ratisbona. Riorganizzazò la diocesi e operò per la sua prosperità fino alla morte che giunse nel 994.

Patronato: Taglialegna

Etimologia: Volfango = che cammina come il lupo

Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Ratisbona nella Baviera, in Germania, san Volfango, vescovo, che, dopo aver svolto l’ufficio di maestro di scuola e aver fatto professione di vita monastica, elevato alla sede episcopale, ristabilì la disciplina del clero e morì umilmente mentre era in visita nel territorio di Pupping.


E’ riuscito addirittura a farsi aiutare dal diavolo a costruire una chiesa. Questa è una delle molte leggende sorte intorno alla popolarissima figura del vescovo Volfango, uomo di Chiesa e organizzatore della vita civile; costruttore di edifici sacri, e anche di case e di villaggi nelle campagne germaniche. E questo nel X secolo, in prossimità dell’anno Mille. Cioè nell’epoca in cui, secondo invenzioni messe in giro vari secoli dopo, l’Europa sarebbe vissuta nel terrore apatico della “fine del mondo”.
Al contrario, questi sono anni di grandi speranze fondate su realtà evidenti: fine delle aggressioni ungare in Germania e in Italia; cacciata degli arabi dalle teste di ponte sulle coste italiane e francesi. Nell’imminenza dell’anno Mille, si fondano addirittura nuovi Stati (Polonia e Ungheria). E anche la piccola Boemia conia la sua prima moneta d’argento: il “denaro”. Tra i costruttori dell’Europa nuova c’è appunto Volfango, tedesco di Svevia. Educato nel monastero benedettino di Reichenau, sul lago di Costanza, dal 956, pur non essendo prete, ha diretto la scuola arcivescovile di Treviri, in Renania.
Nel 965 lascia l’incarico e si ritira nell’abbazia di Einsiedeln (attuale Svizzera), e tre anni dopo viene ordinato sacerdote. Vorrebbe lavorare alla cristianizzazione degli Ungari che, smesse le razzie, stanno diventando agricoltori. Ma i suoi sforzi hanno poca fortuna. Nel 972 viene nominato vescovo di Ratisbona, la città bavarese che le valli dei fiumi Regen e Naab collegano con le terre boeme; e queste, dal punto di vista ecclesiastico, dipendono da lui, dalla diocesi di Ratisbona.
Ma questo non piace a Volfango, che vede il futuro d’Europa meglio di molti altri, e fa perciò una cosa che sbalordisce: vuole rimpicciolire la sua diocesi, per dare ai cristiani boemi una diocesi boema, con sede a Praga e con un loro vescovo. Intorno a lui si protesta: ma come, se quasi tutti i vescovi cercano di ingrandire le loro diocesi, perché questo qui vuole mutilare la sua? Volfango sa che per incarnare il cristianesimo in un popolo bisogna riconoscerne e valorizzarne la personalità, anche con sede e gerarchia ecclesiastica locale. Un problema che occuperà anche il XX secolo, e che Volfango aveva già compreso. Infatti lascia che a Ratisbona si mormori e si protesti, ma la diocesi di Praga si fa. E nel 976 ha il suo primo vescovo, Tiethmaro, predecessore del grande sant’Adalberto.
Nel 974 la lotta del duca Enrico II di Baviera e l’imperatore Ottone II lo costringe a rifugiarsi nel monastero di Mondsee (regione di Salisburgo). E lì vicino egli innalza una chiesa dedicata a san Giovanni (quella appunto di cui parla la leggenda). Ingrandita e abbellita, essa verrà più tardi dedicata al suo nome. Volfango muore sul lavoro, durante una campagna di predicazione, in Austria. Nel 1052 il papa Leone IX lo proclamerà santo.


Autore: Domenico Agasso
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03/11/2014 06:51
 
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San Martino de Porres Domenicano

3 novembre - Memoria Facoltativa

Lima, Perù, 9 dicembre 1579 - 3 novembre 1639

Nasce a Lima nel 1579. Suo padre è l'aristocratico spagnolo Juan de Porres, che all'inizio non vuole riconoscerlo, perché la madre è un'ex schiava nera d'origine africana. Nominato governatore del Panama, il padre lascia la bimba a un parente e Martino alla madre, con i mezzi per farlo studiare. Martino diventa allievo di un barbiere-chirurgo. Lui però vorrebbe entrare fra i Domenicani, che hanno fondato a Lima il loro primo convento peruviano. Ma come mulatto viene accolto solo come terziario e gli vengono assegnati solo compiti umili. Quando i Domenicani avvertono la sua energia interiore lo tolgono dalla condizione subalterna, accogliendolo nell'Ordine come fratello cooperatore. Martino de Porres, figlio di un "conquistatore", offre così in Perù un esempio di vita esemplare. Vengono da lui per consiglio il viceré del Perù e l'arcivescovo di Lima, trovandolo perlopiù circondato da poveri e da malati. Quando a Lima arriva la peste, cura da solo i 60 confratelli. Per tutti è l'uomo dei miracoli: fonda a Lima un collegio per istruire i bambini poveri: il primo del Nuovo Mondo. Guarisce l'arcivescovo del Messico, che vorrebbe condurlo con sé. Ma Martino muore a Lima. È il 1639. (Avvenire)

Patronato: Poveri, Parrucchieri

Etimologia: Martino = dedicato a Marte

Martirologio Romano: San Martino de Porres, religioso dell’Ordine dei Predicatori: figlio di uno spagnolo e di una donna nera, fin dalla fanciullezza, sia pure tra le difficoltà derivanti dalla sua condizione di figlio illegittimo e di meticcio, apprese la professione di medico, che in seguito, diventato religioso, esercitò con abnegazione a Lima in Perù tra i poveri e, dedito a digiuni, alla penitenza e alla preghiera, condusse un’esistenza di semplicità e umiltà, irradiata dall’amore.

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"Figlio di padre ignoto": così lo registrano fra i battezzati nella chiesa di San Sebastiano a Lima. Suo padre è l’aristocratico spagnolo Juan de Porres, che non lo riconosce perché la madre è un’ex schiava nera d’origine africana. Il piccolo mulatto vive con lei e la sorellina, finché il padre si decide al riconoscimento, tenendo con sé in Ecuador i due piccoli, per qualche tempo. Nominato poi governatore del Panama, lascia la bimba a un parente e Martino alla madre, con i mezzi per farlo studiare un po’.
E Martino diventa allievo di un barbiere-chirurgo (le due attività sono spesso abbinate, all’epoca) apprendendo anche nozioni mediche in una farmacia. Avvenire garantito, dunque, per il ragazzo appena quindicenne.
Lui però vorrebbe entrare fra i Domenicani, che hanno fondato a Lima il loro primo convento peruviano. Ma è mulatto: e viene accolto sì, ma solo come terziario; non come religioso con i voti. E i suoi compiti sono perlopiù di inserviente e spazzino. Suo padre se ne indigna: ma lui no, per nulla. Anzi, mentre suo padre va in giro con la spada, lui ama mostrarsi brandendo una scopa (con la quale verrà poi spesso raffigurato). Lo irridono perché mulatto? E lui, vedendo malconce le finanze del convento, propone seriamente ai superiori: "Vendete me come schiavo". I Domenicani ormai avvertono la sua energia interiore, e lo tolgono dalla condizione subalterna, accogliendolo nell’Ordine come fratello cooperatore.
Nel Perù che ha ancora freschissimo il ricordo dei predatori Pizarro e Almagro, crudeli con la gente del luogo e poi impegnati in atroci faide interne, Martino de Porres, figlio di un “conquistatore”, offre un esempio di vita radicalmente contrapposto. Vengono da lui per consiglio il viceré del Perù e l’arcivescovo di Lima, trovandolo perlopiù circondato da poveri e da malati, guaritore e consolatore.
Quando a Lima arriva la peste, frate Martino cura da solo i 60 confratelli e li salva tutti. E sempre più si parla di suoi prodigi, come trovarsi al tempo stesso in luoghi lontani fra loro, sollevarsi da terra, chiarire complessi argomenti di teologia senza averla mai studiata. Gli si attribuisce poi un potere speciale sui topi, che raduna e sfama in un angolo dell’orto, liberando le case dalla loro presenza devastatrice. Per tutti è l’uomo dei miracoli: fonda a Lima un collegio per istruire i bambini poveri, ed è fior di miracolo anch’esso, il primo collegio del Nuovo Mondo.
Guarisce l’arcivescovo del Messico, che vorrebbe condurlo con sé. Martino però non potrà partire: colpito da violente febbri, muore a Lima sessantenne. Per il popolo peruviano e per i confratelli è subito santo. Invece l’iter canonico, iniziato nel 1660, avrà poi una lunghissima sosta. E sarà Giovanni XXIII a farlo santo, il 6 maggio 1962. Nel 1966, Paolo VI lo proclamerà patrono dei barbieri e parrucchieri.


Autore: Domenico Agasso
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04/11/2014 08:07
 
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San Carlo Borromeo Vescovo

4 novembre


Arona, Novara, 1538 - Milano, 3 novembre 1584



Nato nel 1538 nella Rocca dei Borromeo, sul Lago Maggiore, era il secondo figlio del Conte Giberto e quindi, secondo l'uso delle famiglie nobiliari, fu tonsurato a 12 anni. Studente brillante a Pavia, venne poi chiamato a Roma, dove venne creato cardinale a 22 anni. Fondò a Roma un'Accademia secondo l'uso del tempo, detta delle «Notti Vaticane». Inviato al Concilio di Trento, nel 1563 fu consacrato vescovo e inviato sulla Cattedra di sant'Ambrogio di Milano, una diocesi vastissima che si estendeva su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere. Un territorio che il giovane vescovo visitò in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e delle condizioni dei fedeli. Fondò seminari, edificò ospedali e ospizi. Utilizzò le ricchezze di famiglia in favore dei poveri. Impose ordine all'interno delle strutture ecclesiastiche, difendendole dalle ingerenze dei potenti locali. Un'opera per la quale fu obiettivo di un fallito attentanto. Durante la peste del 1576 assistette personalmente i malati. Appoggiò la nascita di istituti e fondazioni e si dedicò con tutte le forze al ministero episcopale guidato dal suo motto: «Humilitas». Morì a 46 anni, consumato dalla malattia il 3 novembre 1584. (Avvenire)

Patronato: Catechisti, Vescovi


Etimologia: Carlo = forte, virile, oppure uomo libero, dal tedesco arcaico


Emblema: Bastone pastorale


Martirologio Romano: Memoria di san Carlo Borromeo, vescovo, che, fatto cardinale da suo zio il papa Pio IV ed eletto vescovo di Milano, fu in questa sede vero pastore attento alle necessità della Chiesa del suo tempo: indisse sinodi e istituì seminari per provvedere alla formazione del clero, visitò più volte tutto il suo gregge per incoraggiare la crescita della vita cristiana ed emanò molti decreti in ordine alla salvezza delle anime. Passò alla patria celeste il giorno precedente a questo.
(3 novembre: A Milano, anniversario della morte di san Carlo Borromeo, vescovo, la cui memoria si celebra domani).



Ascolta da RadioVaticana:
Ascolta da RadioRai:
Ascolta da RadioMaria:





Quella che oggi ci giunge dalla pagina del Calendario, è la voce di uno dei più grandi Vescovi nella storia della Chiesa: grande nella carità, grande nella dottrina, grande nell'apostolato, ma grande soprattutto nella pietà e nella devozione.
"Le anime - dice questa voce, la voce di San Carlo Borromeo - si conquistano con le ginocchia ". Si conquistano cioè con la preghiera, e preghiera umile. San Carlo Borromeo fu uno dei maggiori conquistatori di anime di tutti i tempi.
Era nato nel 1538 nella Rocca dei Borromeo, padroni e signori del Lago Maggiore e delle terre rivierasche. Era il secondo figlio del Conte Giberto e quindi, secondo l'uso delle famiglie nobiliari, fu tonsurato a 12 anni. Il giovane prese la cosa sul serio: studente a Pavia, dette subito prova delle sue doti intellettuali. Chiamato a Roma, venne creato Cardinale a soli 22 anni. Gli onori e le prebende piovvero abbondanti sul suo cappello cardinalizio, poiché il Papa Pio IV era suo zio. Amante dello studio, fondò a Roma un'Accademia secondo l'uso del tempo, detta delle " Notti Vaticane ". Inviato al Concilio di Trento vi fu, secondo la relazione di un ambasciatore, " più esecutore di ordini che consigliere ". Ma si rivelò anche un lavoratore formidabile, un vero forzato della penna e della carta.
Nel 1562, morto il fratello maggiore, avrebbe potuto chiedere la secolarizzazione, per mettersi a capo della famiglia. Restò invece nello stato ecclesiastico, e fu consacrato Vescovo nel 1563, a 25 anni.
Entrò trionfalmente a Milano, destinata ad essere il campo della sua attività apostolica. La sua arcidiocesi era vasta come un regno, stendendosi su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere. Il giovane Vescovo la visitò in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e delle condizioni dei fedeli. Fondò seminari, edificò ospedali e ospizi. Profuse, inoltre, a piene mani, le ricchezze di famiglia in favore dei poveri.
Nello stesso tempo, difese i diritti della Chiesa contro i signorotti e i potenti. Riportò l'ordine e la disciplina nei conventi, con un tal rigore da buscarsi un colpo d'archibugio, sparato da un frate indegno, mentre pregava nella sua cappella. La palla non lo colpì, e il foro sulla cappamagna cardinalizia fu la più bella decorazione dell'Arcivescovo di Milano.
Durante la terribile peste del 1576 quella stessa cappa divenne coperta dei miti, assistiti personalmente dal Cardinale Arcivescovo. La sua attività apparve prodigiosa, come organizzatore e ispiratore di confraternite religiose, di opere pie, di istituti benefici.
Milano, durante il suo episcopato, rifulse su tutte le altre città italiane. Da Roma, i Santi della riforma cattolica guardavano ammirati e consolati al Borromeo, modello di tutti i Vescovi.
Ma per quanto robusta, la sua fibra era sottoposta a una fatica troppo grave. Bruciato dalla febbre, continuò le sue visite pastorali, senza mangiare, senza dormire, pregando e insegnando.
Fino all'ultimo, continuò a seguire personalmente tutte le sue fondazioni, contrassegnate dal suo motto, formato da una sola parola: Humilitas.
Il 3 novembre dei 1584, il titanico Vescovo di Milano crollò sotto il peso della sua insostenibile fatica. Aveva soltanto 46 anni, e lasciava ai Milanesi il ricordo di una santità seconda soltanto a quella di un altro grande Vescovo milanese, Sant'Ambrogio.





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05/11/2014 06:37
 
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San Guido Maria Conforti Fondatore dei Miss. Saveriani

5 novembre

Parma, 30 marzo 1865 - 5 novembre 1931


I malanni fisici che lo afflissero sin da ragazzo (era nato a Parma nel 1865) impedirono a Guido Maria Conforti di seguire la strada che il padre voleva per lui (dirigente agricolo), ma anche la via della missione «ad gentes». Non per questo il fondatore dei Saveriani si perse d'animo. Acquistò una casa per formare giovani missionari. Nacque così la «Pia società saveriana». I primi Saveriani andarono in Cina nel 1899. La missione fu stroncata nel sangue dalla rivolta dei Boxers. Ma non si fermarono. Conforti era intanto divenuto, nel 1902, arcivescovo di Ravenna. Dovette, però, lasciare due anni dopo per gravi motivi di salute. In seguitò migliorò, tanto che il Papa lo mandò vescovo a Parma, diocesi di cui era stato già vicario generale. La resse per 25 anni, compiendo ben 5 visite pastorali nelle 300 parrocchie. Andò a trovare anche i missionari nel Celeste Impero. Morì nel 1931.
E' beato dal 1996 e santo dal 2011.

Etimologia: Guido = istruito, dall'antico tedesco

Martirologio Romano: A Parma, beato Guido Maria Conforti, vescovo, che, da buon pastore, sempre vegliò in difesa della Chiesa e della fede del suo popolo e, spinto dalla sollecitudine per l’evangelizzazione dei popoli, fondò la Pia Società di San Francesco Saverio.


Volontà molta, salute poca. Supera qualche difficoltà familiare entrando in seminario, ma a 17 anni comincia a soffrire di epilessia e sonnambulismo. Gli fa coraggio il rettore don Andrea Ferrari (futuro arcivescovo di Milano) e a 23 anni viene ordinato sacerdote. A 28 è già vicario generale della diocesi parmense. Ma sogna la missione. In Oriente, sull’esempio del pioniere Francesco Saverio.
Ma la salute è fragile: nessun istituto missionario lo accetta. E lui, nel 1895, ne fonda uno per conto suo, la “Congregazione di san Francesco Saverio per le Missioni estere”. Lo fonda, lo guida, con pochi alunni al principio, e con l’aiuto di un solo prete. Spenderà poi l’eredità paterna per consolidarlo. E nel 1896 ecco già in partenza per la Cina i primi due Saveriani.
Guido Maria Conforti in questo momento si trova a essere una figura insolita nella Chiesa italiana: impegnato come vicario nel governo di una diocesi “domestica”, e proiettato al tempo stesso verso la missione lontana. E polemico con quanti in Italia ignorano la missione o sembrano temerla ("Ruba sacerdoti alle diocesi!"). Nominato arcivescovo di Ravenna a 37 anni, lascerà l’incarico un anno dopo, ancora per malattia. Muore in Cina uno dei suoi missionari; lui richiama l’altro e si concentra tutto sull’Istituto. Ma nel 1907 eccolo poi “richiamato” in diocesi, come coadiutore del vescovo di Parma e poi come successore. Reggerà la diocesi per 25 anni, attivissimo: due sinodi, cinque visite pastorali a 300 parrocchie. E intanto i suoi Saveriani ritornano in Cina.
Nel 1912 uno di essi, padre Luigi Calza, è nominato vescovo di Cheng-chow, e riceve la consacrazione da lui nella cattedrale di Parma. Sempre nel 1912, si associa vigorosamente all’iniziativa di un appello al Papa, perché richiami energicamente la Chiesa italiana al dovere di sostenere l’evangelizzazione nel mondo. L’idea è partita da don Giuseppe Allamano, fondatore a Torino dei Missionari della Consolata. La Giornata missionaria mondiale, istituita poi nel 1926 da papa Pio XI, realizzerà una proposta contenuta già in quell’appello del 1912.
Infine arriva il momento più bello per Guido Maria: nel 1928 eccolo in Cina per visitare i suoi Saveriani. Ecco avverato il sogno di una vita: conoscere i nuovi cristiani, la giovane Chiesa cresciuta tra dure difficoltà, sentirsi realizzatore, con i suoi, del sogno di Francesco Saverio... E, insieme, quest’uomo proiettato verso continenti lontani, è pienamente e vigorosamente pastore della sua diocesi nativa, partendo dal lavoro di rievangelizzazione attraverso il movimento catechistico e dalla fraternità praticata in tutte le direzioni, soprattutto con l’opera di assistenza alle famiglie durante la prima guerra mondiale, riconosciuta anche dal governo italiano, con un’alta onorificenza civile.
Il suo fisico sempre sofferente, e tanto spesso trascinato dalla volontà, cede irrimediabilmente nel 1931. Nel 1995 Giovanni Paolo II lo proclama beato ed è stato canonizzato a Roma da Papa Benedetto XVI il 23 ottobre 2011. La salma riposa nella sede dei Missionari Saveriani a Parma.


Autore: Domenico Agasso
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06/11/2014 06:21
 
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San Leonardo di Limoges Eremita

6 novembre

Gallia, inizio VI sec. – Limoges, 6 novembre 545 ca.


Leonardo nacque in Gallia al tempo dell’imperatore Anastasio da nobili franchi, amici del re Clodoveo che volle fargli da padrino al battesimo. In gioventù rifiutò di arruolarsi nell’esercito e si mise al seguito di S. Remigio, arcivescovo di Reims. Avendo questi ottenuto dal re di poter chiedere la liberazione dei prigionieri che avesse incontrato, anche Leonardo, acceso di carità, chiese e ottenne lo stesso favore e liberò, di fatto, un gran numero di questi infelici. Diffondendosi la fama della sua santità, egli rifiutata la dignità vescovile offertagli da Clodoveo si diresse a Limoges; attraversando la foresta di Pavum soccorse la Regina sorpresa dalle doglie del parto. La preghiera del santo le concesse di superare i dolori e di dare alla luce un bel bambino. Clodoveo riconoscente gli concesse una parte del bosco per edificarvi un monastero. Il Santo costruì un oratorio in onore della Madonna e dedicò in altare in onore di S. Remigio; scavò poi un pozzo che si riempì miracolosamente d’acqua e al luogo diede il nome di nobiliacum in ricordo della donazione di Clodoveo. Il Santo sarebbe morto il 6 novembre di un anno imprecisato, nella metà del VI secolo.

Patronato: Prigionieri, Puerpere, Campobasso, Conegliano (TV)

Etimologia: Leonardo = forte come leone, dal latino e dal tedesco

Martirologio Romano: Nella cittadina vicino a Limoges in Francia in seguito insignita del suo nome, san Leonardo, eremita.

Ascolta da RadioVaticana:
Ascolta da RadioRai:
Ascolta da RadioMaria:


La prima cosa certa che riguarda s. Leonardo di Noblac o di Noblat o di Nobilicum o di Limoges, è che le prime notizie sulla sua esistenza risalgono al secolo XI, nelle “Historiae” di Ademaro di Chabannes scritte verso il 1028; dove si racconta che nel 1017, venne scoperto un supposto capo di s. Giovanni Battista a Saint-Jean-d’Angély e i fedeli dei dintorni accorsero portando le reliquie dei loro santi fra le quali quelle di s. Leonardo confessore nel Limusino.
Qualche anno dopo il 1030, fu messa in circolazione un’anonima “Vita sancti Leonardi” con l’aggiunta della descrizione di nove miracoli a lui attribuiti.
Secondo gli studiosi agiografi successivi, questa “Vita” è molto favolosa, ma rimane comunque il più antico racconto e ad esso ci rifacciamo.
Leonardo nacque in Gallia al tempo dell’imperatore Anastasio I (491-518), i suoi genitori erano nobili franchi amici di re Clodoveo (481-511), il quale volle fargli da padrino nel battesimo.
Da giovane rifiutò di arruolarsi nell’esercito, come era uso per i nobili franchi e si pose come discepolo di s. Remigio, arcivescovo di Reims (438-530), il grande evangelizzatore dei Franchi che aveva convertito e battezzato lo stesso re Clodoveo.
Il santo vescovo aveva ottenuto dal re convertito, di poter chiedere la liberazione dei prigionieri che avesse incontrato e anche Leonardo, preso da grande fervore di carità, chiese ed ottenne lo stesso favore, liberando così un gran numero di infelici prigionieri, vittime delle guerre barbare di quei tempi.
La sua santità andava molto diffondendosi e Clodoveo I gli offerse la dignità vescovile, che Leonardo rifiutò, ritirandosi come eremita prima presso S. Massimino a Micy, poi si diresse a Limoges. Si racconta che attraversando la foresta di Pavum nei pressi di Limoges, dove si era stabilito, si trovò a soccorrere la regina Clotilde, che era al seguito del re Clodoveo per la caccia e che era stata sorpresa dalle doglie del parto; Leonardo con le sue preghiere, le concesse di superare i dolori e quindi di dare alla luce un bel bambino.
Clodoveo per riconoscenza, gli concesse parte del bosco per edificarvi un monastero, che lo stesso Leonardo delimitò montato su un asino.
Il santo eremita edificò un oratorio in onore della Madonna, dedicando anche un altare al suo maestro, s. Remigio, da tempo defunto in fama di santità.
Un pozzo da lui scavato si riempì miracolosamente di acqua e chiamò quel luogo “Nobiliacum” in ricordo della donazione di Clodoveo, re nobilissimo.
Le regioni già cristiane di Germania, Aquitania, Inghilterra, furono pervase dalla fama che circondava il santo eremita; sia a Micy presso Orléans, che a Nobilac accorrevano malati di ogni genere, che solo a vederlo, ritornavano guariti; ma soprattutto il santo liberava i carcerati, che erano essenzialmente prigionieri di guerra (si ricorda che la pena in quei secoli era corporale o pecuniaria per le punizioni, la detenzione serviva per riscuotere i riscatti).
I prigionieri dovunque lo invocassero, vedevano le catene spezzarsi, i lucchetti si aprivano, i carcerieri si distraevano, le porte si spalancavano; questi infelici riacquistata la libertà, accorrevano da Leonardo per ringraziarlo e molti rimanevano con lui.
Parecchi familiari del santo eremita si stabilirono nei dintorni del monastero con le loro famiglie, dando così origine ad un villaggio, che poi prenderà il suo nome. S. Leonardo morì il 6 novembre di un anno verso la metà del VI secolo, certamente dopo il 530, anno in cui era morto il suo maestro, a cui aveva dedicato un altare.
Dall’XI secolo, il suo culto prese ad espandersi in tutta l’Europa Centrale, ed altre ‘Vite’ successive, con racconti di strepitosi miracoli a lui attribuiti, ne aumentarono la conoscenza e la devozione; furono erette in suo onore varie centinaia di chiese e di cappelle, il suo nome fu inserito nei toponomastici e nel folklore popolare.
Fu particolarmente venerato all’epoca della crociata e tra i suoi devoti si annovera il principe Boemondo d’Antiochia (Boemondo d’Altavilla, 1050-1111, figlio di Roberto il Guiscardo) che preso prigioniero dagli infedeli nel 1100 durante la I crociata, venne liberato nel 1103, attribuendo la sua liberazione al santo che aveva invocato; quando tornò in Europa donò come voto al santuario di Saint-Léonard-de-Noblat, delle catene d’argento, simili a quelle che lo tenevano legato.
Il ‘Martirologio Romano’ lo celebra il 6 novembre; s. Leonardo è molto raffigurato nell’arte, quasi sempre con le catene, simbolo della sua particolare protezione per i carcerati ingiustamente; per questo è patrono anche dei fabbricanti di catene, di fermagli, fibbie, ecc., inoltre viene invocato per i parti difficili, mali di testa e malattie dei bambini; contro la grandine ed i banditi; a lui si rivolgono anche gli obesi.
In Belgio è patrono dei minatori del bacino minerario di Liegi; introdotto dai Normanni, il suo culto si diffuse anche in Sicilia, testimoniato dalle tante opere d’arte che lo raffigurano, come del resto in tutta Europa.


Autore: Antonio Borrelli
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07/11/2014 08:33
 
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San Prosdocimo di Padova Protovescovo

7 novembre

Sec. II


Viene onorato, dalla tradizione, come il primo vescovo di Padova, patrono della città euganea, e anche, secondo la opinione di vari studiosi, probabile evangelizzatore di tutta la Venezia occidentale. Anche la più bella immagine di San Prosdocimo venne dipinta da un padovano, il grande quattrocentista Andrea Mantegna. Fa parte di un polittico intitolato a Santa Giustina, altra celebre martire di Padova, che si trova attualmente nella Pinacoteca di Brera, a Milano. In questo, san Prosdocimo appare con il tipico attributo della brocca, simbolo della sua infaticabile attività di battezzatore. Inviato dallo stesso san Pietro, Prosdocimo a Padova avrebbe compiuto prodigi e miracoli. Dopo la sua morte si trova citata, fuori dalle mura di Padova, una «Ecclesia Sancti Prosdocimi», nota più tardi come basilica di Santa Giustina. Il vescovo, infatti, avrebbe convertito proprio Giustina, e la donna cristiana seppe mantenere intatta la sua fede, affrontando il martirio nella persecuzione di Nerone. (Avvenire)

Etimologia: Prosdocimo = l'atteso, l'aspettato, dal greco

Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Padova, san Prosdocimo, che si ritiene sia stato il primo vescovo di questa città.


Ci sono nomi che suonano familiari e addirittura tipici in certe città d'Italia, mentre altrove sono considerati insoliti, strani, addirittura inauditi. Sono nomi legati al culto di un Santo locale, in molti casi un antico Vescovo, in altri un Martire.
Non molto tempo fa abbiamo parlato di Lecce, e del suo tipico Sant'Oronzo. Potremmo aggiungere Brescia, con San Giovita; Cagliari, con San Lucifero; Carrara, con San Ceccardo. E finalmente Padova, con San Prosdocimo.
Il nome di Prosdocimo per quanto oggi poco frequente, denunzia immediatamente una provenienza veneta, e in particolare patavina. E questo perché il Santo viene onorato, dalla tradizione, come il primo Vescovo di Padova, Patrono della città euganea, e anche, secondo la opinione di vari studiosi, probabile evangelizzatore di tutta la Venezia occidentale.
Anche la più bella immagine di San Prosdocimo venne dipinta da un padovano, il grande quattrocentista Andrea Mantegna. Fa parte di un polittico intitolato a Santa Giustina, altra celebre Martire di Padova, che si trova attualmente nella Pinacoteca di Brera, a Milano. In questo, San Prosdocimo appare con il tipico attributo della brocca, simbolo della sua infaticabile attività di battezzatore.
Il significato etimologico del nome di Prosdocimo è molto bello, perché in greco significa " atteso ". Si può dire che San Prosdocimo, primo Vescovo di Padova, fu veramente l'atteso di quella città ancora pagana, nella quale sarebbe stato inviato dallo stesso San Pietro, dopo la consacrazione episcopale.
Nella dolce plaga euganea, San Prosdocimo avrebbe compiuto prodigi e miracoli, che una tardiva Leggenda descrisse con evidente libertà d'immaginazione. Chi si occupa di agiografia è abituato a certe letture che, nella pia intenzione degli autori, dovrebbero essere edificanti, ma che, per eccesso di zelo, finiscono con l'essere ingenue.
Fortunatamente, una certa ingenuità conferisce spesso una nota di poesia anche ai testi più stanchi a causa delle ripetizioni e dei ricalchi. A volte, però, gli scarni documenti sono più eloquenti delle ridondanti leggende. E' il caso di San Prosdocimo, per il quale, dopo la morte, si trova citata, fuor delle mura di Padova, una Ecclesia Sancti Prosdocimi, nota più tardi come basilica di Santa Giustina, una delle più belle della città.
La gloria di San Prosdocimo sarebbe stata infatti Santa Giustina, festeggiata il 7 ottobre. San Prosdocimo l'avrebbe convertita, e la donna cristiana seppe mantenere intatta la sua fede, affrontando il martirio nella persecuzione di Nerone.
Il Vescovo di Padova, invece, fu risparmiato, non si sa bene né come né perché. Giunse al termine naturale della sua vita, carico di meriti e di anni, amato come padre, venerato come Santo: San Prosdocimo, che in greco vuol dire " l'atteso ".

da Archivio Parrocchia
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08/11/2014 08:12
 
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Beato Giovanni Duns Scoto

8 novembre

1265 - 1308


Nacque tra il 23 dicembre 1265 e il 17 marzo 1266, in Scozia da cui il soprannome «Scoto». La città natale, Duns portava lo stesso nome della sua famiglia. Sin da bambino entrò in contatto con i francescani, di cui tredicenne iniziò a frequentare gli studi conventuali di Haddington, nella contea di Berwich. Terminati gli studi in teologia si dedicò all'insegnamento prima a Oxford, poi a Parigi e Colonia. Qui, su incarico del generale della sua Congregazione doveva fronteggiare le dottrine eretiche, ma riuscì a dedicarsi per breve tempo all'impresa. Morì infatti pochi mesi dopo il suo arrivo, l'8 novembre 1308. Giovanni Duns è considerato uno dei più grandi maestri della teologia cristiana, nonché precursore della dottrina dell'Immacolata Concezione. Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato il 20 marzo 1993 definendolo «cantore del Verbo incarnato e difensore dell'Immacolato concepimento di Maria». Le sue spoglie mortali sono custodite nella chiesa dei frati minori di Colonia.

Martirologio Romano: A Colonia in Lotaringia, ora in Germania, beato Giovanni Duns Scoto, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che, di origine scozzese, maestro insigne per sottigliezza di ingegno e mirabile pietà, insegnò filosofia e teologia nelle scuole di Canterbury, Oxford, Parigi e Colonia.

Ascolta da RadioRai:


La Scozia è la patria del francescano Giovanni Duns, soprannominato Scoto (dalla nazione Scozia come l’Università di Parigi suddivideva gli studenti per nazioni). Paese affascinante che armonizza nella sua natura tutti i contrasti più selvaggi e i suoi paesaggi più ameni. In uno di questi luoghi, Duns, tra la fine del 1265 e l'inizio del 1266, nasceva un bimbo nella casa di Niniano Duns - omonomia tra luogo e cognome - a cui venne dato il nome di Giovanni.
A ricordo di questo evento, un ceppo marmoreo ne ricorda il posto dal 17 marzo 1966, mentre un busto di bronzo nei giardini pubblici ne conserva il ricordo ai posteri.
Dopo le iniviali occupazioni di sorvegliante del gregge minuto, che lo videro sempre più immerso nella bellezza variopinta della natura, Giovanni riceve la necessaria formazione scolastica all’ombra delle due vicine abbazie circestensi di Melrose e di Dryburg, che gli accesero l’amore per la Madonna e per la liturgia.
A 13 anni, Giovanni frequenta gli studi conventuali della vicino Haddington, principale centro della conte di Berwich, in cui da poco si erano insediati i Francescani, che nella famiglia dei Duns trovarono dei grandi benefattori. E proprio in quell’anno, 1278, viene eletto Vicario della Scozia francescana, un uomo pio dotto e stimato da tutti, padre Elia Duns, zio paterno di Giovanni. Quando padre Elia ritornò nel suo convento di Dumfriers; condusse con sé anche il nipote per ammetterlo all’Ordine, facendo da garante per la sua costituzione sia fisica che spirituale, dal momento che Giovanni aveva appena 15 anni e che per diritto canonico occorrevano almeno 18 anni per entrare nel noviziato.
Il silenzio della storia, in quest'anno di prova religiosa, è sovrano e solenne. Tutto sembra presagire che il giovane novizio si sia lasciato inebriare e affogare dall'amore di Dio, rivelato in Cristo Gesù, mediante la Vergine Madre. È un anno di grazia speciale e di esperienza mistica, secondo lo spirito giovanile ed entusiastico dell’ideale francescano, che proneveva - bonaventurianamente - anche l’amore per lo studio come preghiera e lavoro. È nella notte del Natale 1281, quando Giovanni si preparava alla professione religiosa, che bisogna collocare l'episodio della dolce apparizione del Bambino Gesù tra le sue braccia, come segno del profondo suo amore verso la Vergine Madre.
Profetico auspicio o logica deduzione?
Tutti e due insieme. Poesia e teologia, mistica e metafisica si baciano in questo presagio di ineffabile grazia. La sua dottrina sul primato di Cristo e sull'immacolata Concezione ne fa fede.
Terminati gli studi istituzionali che consentono di accedere al sacerdozio, il 17 marzo 1291, nella chiesa di S. Andrea a Northampton, Giovanni Duns Scoto riceve dal vescovo di Lincoln, Oliverio Sutton, l'ordine sacro. Aveva 25 anni compiti, secondo le conclusioni tratte dal Registrum Episcopale del vescovo.
Per le sue ottime qualità intellettive e spirituali viene designato dai Superiori a frequentare il corso dottorale nella celebre Università di Parigi, ritenuta da tutti la "culla" e la "metropoli" della filosofia e della teologia in Occidente. Avrebbe dovuto conseguire il titolo accademico di Magister regens, nel 1303, ma la triste controversia tra il re di Francia, Filippo il Bello, e il papa Bonifacio VIII, ne ritarda il conseguimento nella primavera del 1305, quando le acque si erano momentaneamente calmate.
La politica egemonica di Filippo il Bello aveva orientato verso di sé la quasi totalità dell'opinione pubblica francese. Ne è segno tangibile la spaccatura che si registra nello Studium generale francescano di Parigi: gli "appellanti" (68 firmatari) erano favorevoli al Re; mentre i "non-appellanti" (87 firmatari), al Papa. Nella lista dei "non-appellanti", il nome di Johannes Scotus figura al 19° posto.
La posta in gioco era molta alta. Ai "non-appellanti" veniva aperta la via dell'esilio con la confisca dei beni e la cessazione di ogni attività accademica. E Giovanni Duns Scoto, fedele alla Regola di Francesco d'Assisi, che raccomanda amore rispetto e riverenza al "Signor Papa", il 25 giugno del 1303 prende la via dell'esilio, dimostrando profonda fede e grande coraggio.
Nel novembre 1304, quando le acque si calmarono per la morte di Bonifacio VIII, il Ministro Generale dei Frati Minori, fr. Gonsalvo di Spagna, raccomanda, al superiore dello Studium di Parigi, Giovanni Duns Scoto per il Dottorato, con queste parole:
«Affido alla vostra benevolenza il diletto padre Giovanni Scoto, della cui lodevole vita, della sua scienza eccellente e del suo ingegno sottilissimo, come delle altre virtù, sono pienamente informato sia per la lunga esperienza sia per la fama che dappertutto egli gode». E’ il primo e solenne “panegirico”
Così il 26 marzo del 1305, Giovanni Duns Scoto riceve l'ambìto titolo di magister regens che gli permetteva di insegnare ubique e rilasciare titoli accademici. Ha goduto del titolo solo tre anni: due a Parigi e uno a Colonia.
Dell'insegnamento parigino merita segnalare la storica disputa sostenuta nell'Aula Magna dell'Università (di Parigi), nei primi mesi del 1307, sulla Immacolata Concezione.
I pochi mesi trascorsi a Colonia, invece, sono molto intensi e ricchi di attività: riorganizza lo Studium generale e combatte l'eresia dei Beguardi e delle Beghine (che negavano ogni autorità alla Chiesa, ogni valore ai Sacramenti, alla preghiera e alle opere di penitenza) e si ricorda anche l’estasi pubblica avvenuta durante una sua predica nella chiesa.
L'intensa attività di lavoro, insieme alle conseguenze del viaggio da Parigi, mina la robusta costituzione e l'8 novembre 1308, Giovanni Duns Scoto entra nella pace del Signore, all'età di 43 anni.
Attualmente l'urna delle ossa del Beato Giovanni Duns Scoto è situata al centro della navata sinistra (guardando dall'ingresso) della chiesa francescana di Colonia nell'elegante e semplice sarcofago, costruito con pietra calcare di conchiglia di colore grigio, opera dello scultore Josef Hontgesberg. Tra i tanti motivi decorativi, è riprodotta l'antica iscrizione:
Scotia me genuit
Anglia me suscèpit
Gallia me docuit
Colonia me tenet
La primitiva iscrizione tombale così recitava:
«È chiuso questo ruscello, considerato fonte viva della Chiesa;
Maestro di giustizia, fiore degli studi e arca della sapienza.
Di ingegno sottile, della Scrittura i misteri svela,
In giovane età fu [rapito al cielo], ricordati dunque, di Giovanni.
Lui, o Dio, ornato [di virtù] fa che sia beato in cielo.
Per un [così gran] Padre involato inneggiamo con cuore grato al Signore.
Fu [Duns Scoto] del clero guida, del chiostro luce e della verità [apostolo] intrepido».

La sua tomba a Colonia è mèta di continui pellegrinaggi. Anche Papa Giovanni Paolo II vi sostò in preghiera il 15 ottobre 1980, chiamandolo "torre spirituale della fede".
Dopo la pubblicazione del Decreto di Canonizzazione nel 6 luglio 1991, il Santo Padre ne confermò solennemente il culto il 20 marzo 1993.
La memoria liturgica è l’8 novembre.


Autore: Lauriola Giovanni ofm
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10/11/2014 07:06
 
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San Leone I, detto Magno Papa e dottore della Chiesa

10 novembre

Papa

(Papa dal 29/09/440 al 10/11/461)
Arcidiacono (430), consigliere di Celestino I e di Sisto III, inviato da Valentino a pacificare le Gallie, venne eletto papa nel 440 circa. Fu un papa energico, avversò le sopravvivenze del paganesimo; combatté manichei e priscillanisti. Intervenne d’autorità nella polemica cristologica che infiammava l’Oriente, convocando il concilio ecumenico di Calcedonia, nel quale si proclamava l’esistenza in Cristo di due nature, nell’unica persona del Verbo. Nel 452 fu designato dal debole imperatore Valentiniano III a guidare l’ambasceria romana inviata ad Attila. I particolari della missione furono oscuri: è solo che il re degli Unni, dopo l’incontro con la delegazione abbandonò l’Italia. Quando Genserico nel 455 entrò in Roma, Leone ottenne dai Vandali il rispetto della vita degli abitanti, ma non poté impedire l’atroce saccheggio dell’Urbe. Dotato di un alto concetto del pontificato romano, fece rispettare ovunque la primazia del vescovo di Roma. Compose anche preghiere contenute nel “Sacramentario Veronese”. Benedetto XIV, nel 1754 lo proclamò dottore della Chiesa, E’ il primo papa che ebbe il titolo di Magno (Grande).

Etimologia: Leone = leone, dal latino

Martirologio Romano: Memoria di san Leone I, papa e dottore della Chiesa: nato in Toscana, fu dapprima a Roma solerte diacono e poi, elevato alla cattedra di Pietro, meritò a buon diritto l’appellativo di Magno sia per aver nutrito il gregge a lui affidato con la sua parola raffinata e saggia, sia per aver sostenuto strenuamente attraverso i suoi legati nel Concilio Ecumenico di Calcedonia la retta dottrina sull’incarnazione di Dio. Riposò nel Signore a Roma, dove in questo giorno fu deposto presso san Pietro.

Ascolta da RadioVaticana:
Ascolta da RadioRai:
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Nel 440 c’è in Gallia quasi una guerra civile tra le due più alte autorità romane: il generale Ezio e il prefetto del pretorio Albino. Il potere imperiale è così debole, che per pacificarli si manda un uomo di Chiesa: il diacono romano Leone. Questi va e riconcilia i due. Poi apprende che papa Sisto III è morto e che è stato già eletto lui, Leone. Nei suoi 21 anni di pontificato passano 4 imperatori: uno cacciato subito (Avito) e gli altri ammazzati: Valentiniano III, Petronio Massimo e Maggioriano. L’Impero è in agonia e la giovane Chiesa è travagliata da scontri dottrinali e discordie.
Con l’energia e la persuasione, Leone rafforza in Occidente l’autorità della Sede di Pietro, e affronta duri contrasti in dottrina. L’abate orientale Eutiche, influente a Costantinopoli, sostiene che in Cristo esiste una sola natura (monofisismo), contro la dottrina della Chiesa sulle due nature, distinte ma non separate, nella stessa persona. E ottiene che l’imperatore Teodosio convochi nel 449 un concilio a Efeso (Asia Minore). Ma qui parlano solo gli “eutichiani”, senza ascoltare i legati di Leone, e acquistando nuovi proseliti. Negando validità a questo concilio, il Papa persuade il nuovo imperatore Marciano a indirne un altro nel 451. E questo è il grande concilio di Calcedonia (presso Bisanzio), quarto ecumenico, che approva solennemente la dottrina delle due nature. Non tutti però ne accettano le decisioni, e ci sono gravi disordini, soprattutto in Palestina.
Intanto l’Occidente vive tempi di terrore. L’Impero non ha più un vero esercito; e gli Unni di Attila, già battuti da Ezio nel 451, si riorganizzano in fretta, piombano sull’Alta Italia nel 452. Lo Stato impotente chiede a papa Leone di andare da Attila con una delegazione del Senato. S’incontrano presso Mantova, e Leone convince il capo unno a lasciare l’Italia, anche col pagamento di un tributo (la leggenda parlerà poi di una visione celeste che terrorizza Attila). Tre anni dopo, i Vandali d’Africa sono davanti a Roma col re Genserico. A difendere gli inermi c’è solo Leone, che non può impedire il saccheggio; ma ottiene l’incolumità dei cittadini ed evita l’incendio dell’Urbe. E' un romano antico (forse anche di nascita) che ha incontrato Cristo, e che sente fortemente la responsabilità di successore di Pietro. Arricchisce la Chiesa col suo insegnamento (specie sull’Incarnazione); chiede obbedienza ai vescovi, ma li sostiene col consiglio personale, li orienta in dottrina, nello splendido latino dei suoi scritti, per "tenere con costanza la giustizia" e "offrire amorosamente la clemenza", poiché "senza Cristo non possiamo nulla, ma con Lui possiamo tutto". Non si hanno notizie sugli ultimi tempi della sua vita. Il Liber pontificalis dice che governò 21 anni, un mese e 13 giorni. I suoi romani lo chiamano “Leone Magno”, il Grande.


Autore: Domenico Agasso
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11/11/2014 08:26
 
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San Martino di Tours Vescovo

11 novembre


Sabaria (ora Szombathely, Ungheria), 316-317 - Candes (Indre-et-Loire, Francia), 8 novembre 397



Nasce in Pannonia (oggi in Ungheria) a Sabaria da pagani. Viene istruito sulla dottrina cristiana ma non viene battezzato. Figlio di un ufficiale dell'esercito romano, si arruola a sua volta, giovanissimo, nella cavalleria imperiale, prestando poi servizio in Gallia. È in quest'epoca che si colloca l'episodio famosissimo di Martino a cavallo, che con la spada taglia in due il suo mantello militare, per difendere un mendicante dal freddo. Lasciato l'esercito nel 356, già battezzato forse ad Amiens, raggiunge a Poitiers il vescovo Ilario che lo ordina esorcista (un passo verso il sacerdozio). Dopo alcuni viaggi Martino torna in Gallia, dove viene ordinato prete da Ilario. Nel 361 fonda a Ligugé una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa. Nel 371 viene eletto vescovo di Tours. Per qualche tempo, tuttavia, risiede nell'altro monastero da lui fondato a quattro chilometri dalla città, e chiamato Marmoutier. Si impegna a fondo per la cristianizzazione delle campagne. Muore a Candes nel 397. (Avvenire)

Patronato: Mendicanti


Etimologia: Martino = dedicato a Marte


Emblema: Bastone pastorale, Globo di fuoco, Mantello


Martirologio Romano: Memoria di san Martino, vescovo, nel giorno della sua deposizione: nato da genitori pagani in Pannonia, nel territorio dell’odierna Ungheria, e chiamato al servizio militare in Francia, quando era ancora catecumeno coprì con il suo mantello Cristo stesso celato nelle sembianze di un povero. Ricevuto il battesimo, lasciò le armi e condusse presso Ligugé vita monastica in un cenobio da lui stesso fondato, sotto la guida di sant’Ilario di Poitiers. Ordinato infine sacerdote ed eletto vescovo di Tours, manifestò in sé il modello del buon pastore, fondando altri monasteri e parrocchie nei villaggi, istruendo e riconciliando il clero ed evangelizzando i contadini, finché a Candes fece ritorno al Signore.



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Nel tempo dell’Arianesimo visse un uomo di Dio che tutti ricordano per il suo gesto: alle porte di Amiens incontrò un povero pieno di freddo e con la spada divise il suo mantello per offrirgliene metà. Tuttavia la vita del Vescovo e monaco Martino di Tours è ben più di questo gesto e, oltre ad essere costellata di scelte evangeliche e di azioni taumaturgiche, venne anche perseguitato dalla Chiesa divenuta perlopiù ariana.
Nacque nel 316 0 317 a Sabaria, nella provincia romana di Pannonia (oggi Ungheria), dove il padre serviva l’Impero, dapprima come soldato, poi come tribuno militare. Trascorse l’infanzia nell’Italia del Nord, a Pavia, nuova guarnigione paterna. Benché i suoi genitori fossero pagani, a dieci anni volle diventare cristiano e a 12 desiderò di vivere nel deserto, imitando gli asceti orientali.
Ma fu costretto ad abbracciare la carriera militare, in virtù della legge che assoggettava allora in via ereditaria i cittadini dell’Impero alla loro condizione di nascita. Tuttavia, pur vivendo in quel contesto, Martino continuò a seguire i precetti evangelici. All’età di 18 anni, quando donò metà del suo mantello al povero di Amiens, la notte seguente, Cristo gli apparve rivestito di quello stesso mantello: fu allora che decise di farsi battezzare. Terminato il periodo obbligatorio di servizio militare, a 25 anni lasciò l’esercito e si recò a Poitiers dal Vescovo Ilario.
Una scelta fatta non a caso: Martino scelse di andare da un Vescovo antiariano, organizzatore straordinario dell’opposizione all’eresia che entrò e rimase nella Chiesa dal IV (iniziò in Egitto) al VII secolo (gli ultimi residui rimasero fra i germani cristiani). Il Vescovo di Poitiers, colpito da una condanna all’esilio per aver osato opporsi alla politica arianista dell’imperatore Costanzo II, dovette stabilirsi in Asia, mentre Martino raggiunse le regioni centrali dell’Illirico per convertire la madre al cristianesimo, ma fu esposto ai duri maltrattamenti che i vescovi della regione, acquistati all’Arianesimo, gli inflissero.
Ritornò in Italia e organizzò un eremo a Milano, dove fu presto allontanato dal Vescovo Aussenzio, anch’egli eretico. Non appena apprese il ritorno di Ilario dall’esilio, nel 360 si diresse nuovamente a Poitiers, dove il Vescovo gli diede l’approvazione per realizzare la sua vocazione e ritirarsi in un eremo a 8 chilometri dalla città, a Ligugé. Alcuni seguaci lo raggiunsero, formando così, sotto la sua direzione, la prima comunità monastica attestata in Francia. Qui trascorse 15 anni, approfondendo la Sacra Scrittura, facendo apostolato nelle campagne e seminando miracoli al suo passare. «Colui che tutti già reputavano santo fu così anche reputato uomo potente e veramente degno degli Apostoli», scrisse Sulpicio Severo (360 ca.- 420 ca.) nella biografia a lui dedicata.
Contro la sua volontà gli elettori riuniti a Tours, clero e fedeli, lo eleggono Vescovo nel 371. Martino assolve le funzioni episcopali con autorità e prestigio, senza però abbandonare le scelte monacali. Va a vivere in un eremo solitario, a tre chilometri dalla città. In questo ritiro, dove è ben presto raggiunto da numerosi seguaci, crea un monastero, Marmoutier, di cui è Abate e in cui impone a se stesso e ai fratelli una regola di povertà, di mortificazione e di preghiera. Qui fiorisce la sua eccezionale vita spirituale, nell’umile capanna in mezzo al bosco, che funge da cella e dove, respingendo le apparizioni diaboliche, conversa familiarmente con i santi e con gli angeli.
Se da un lato rifiuta il lusso e l’apparato di un dignitario della Chiesa, dall’altra Martino non trascura le funzioni episcopali. A Tours, dove si reca per celebrare l’officio divino nella cattedrale, respinge le visite di carattere mondano. Intanto si occupa dei prigionieri, dei condannati a morte; dei malati e dei morti, che guarisce e resuscita. Al suo intervento anche i fenomeni naturali gli obbediscono. Per san Martino, amico stretto dei poveri, la povertà non è un’ideologia, ma una realtà da vivere nel soccorso e nel voto. Marmoutier, al termine del suo episcopato, conta 80 monaci, quasi tutti provenienti dall’aristocrazia senatoria, che si erano piegati all’umiltà e alla mortificazione.
San Martino morì l’8 novembre 397 a Candes-Saint-Martin, dove si era recato per mettere pace fra il clero locale. Ai suoi funerali assistettero migliaia di monaci e monache. I nobili san Paolino (355-431) e Sulpicio Severo, suoi discepoli, vendettero i loro beni per i poveri: il primo si ritirò a Nola, dove divenne Vescovo, il secondo si consacrò alla preghiera.
Martino è uno fra i primi santi non martiri proclamati dalla Chiesa e divenne il santo francese per eccellenza, modello per i cristiani amanti della perfezione. Il suo culto si estese in tutta Europa e l’11 novembre (sua festa liturgica) ricorda il giorno della sua sepoltura. L’«apostolo delle Gallie», patrono dei sovrani di Francia, fu enormemente venerato dal popolo: in lui si associavano la generosità del cavaliere, la rinunzia ascetica e l’attività missionaria. Quasi 500 paesi (Saint-Martin, Martigny…) e quasi 4000 parrocchie in territorio francese portano il suo nome.
I re merovingi e poi carolingi custodivano nel loro oratorio privato il mantello di san Martino, chiamato cappella. Tale reliquia accompagnava i combattenti in guerra e in tempo di pace, sulla «cappa» di san Martino, si prestavano i giuramenti più solenni. Il termine cappella, usato dapprima per designare l’oratorio reale, sarà poi applicato a tutti gli oratori del mondo

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12/11/2014 08:15
 
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San Giosafat Kuncewycz Vescovo e martire

12 novembre

Wolodymyr in Volynia, Ucraina, 1580 - Vitesbk, Bielorussia, 12 novembre 1623


Nasce a Wolodymyr in Volynia (Ucraina) nel 1580 e viene ricordato come il simbolo di una Russia ferita dalle lotte tra ortodossi e uniati. La diocesi di Polock si trovava in Rutenia, regione che dalla Russia era passata in parte sotto il dominio del Re di Polonia, Sigismondo III. La fede dei Polacchi era quella cattolica romana; in Rutenia invece, come nel resto della Russia, i fedeli aderivano alla Chiesa greco-ortodossa. Si tentò allora un'unione della Chiesa greca con quella latina. Si mantennero cioè i riti e i sacerdoti ortodossi, ma si ristabilì la comunione con Roma. Questa Chiesa, detta «uniate», incontrò l'approvazione del Re di Polonia e del Papa Clemente VIII. Gli ortodossi, però, accusavano di tradimento gli uniati, che non erano ben accetti nemmeno dai cattolici di rito latino. Giovanni Kuncevitz, che prese il nome di Giosafat, fu il grande difensore della Chiesa uniate. A vent'anni era entrato tra i monaci basiliani. Monaco, priore, abate e finalmente arcivescovo di Polock, intraprese una riforma dei costumi monastici della regione rutena, migliorando così la Chiesa uniate. Ma a causa del suo operato nel 1623 un gruppo di ortodossi lo assalì e lo uccise a colpi di spada e di moschetto. (Avvenire)

Patronato: Ecumenisti

Emblema: Bastone pastorale, Palma
Martirologio Romano: Memoria della passione di san Giosafat (Giovanni) Kuncewicz, vescovo di Polotzk e martire, che spinse con costante zelo il suo gregge all’unità cattolica, coltivò con amorevole devozione il rito bizantino-slavo e, a Vitebsk in Bielorussia, a quel tempo sotto la giurisdizione polacca, crudelmente assalito in un tumulto dalla folla a lui avversa, morì per l’unità della Chiesa e per la verità cattolica.

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OMELIA SU SAN GIOSAFAT

Sabato scorso con tristezza, con vero lutto spirituale nel cuore, ricordammo il trionfo della rivoluzione bolscevìca nella santa Russia, che è ora diventata, secondo l’Apocalissi, la sede della bestia. Oggi celebriamo un martire, patrono di una regione vicina alla Russia, l’Ucraìna.
San Giosafat dette tutta la sua vita, fino alla morte, spargendo il suo sangue, per questa unica intenzione: ricondurre all’ovile di Cristo tutte le anime, riconciliare con la Sede Romana del Vicario di Cristo, principio dell’unità della Chiesa, le chiese scismatiche.
San Giòsafat Kuncewicz, inviato giovanissimo a Vilna per impratichirsi nel commercio, assisté alle lotte fra Ruteni uniti e dissidenti, orientandosi ben presto verso la Chiesa unita, allora poco numerosa e perseguitata. Ritiratosi nell’antico monastero basiliano della SS. Trinità, mutò il nome da Giovanni in quello di Giosafat e visse per alcuni anni da eremita. Scrisse anche alcune opere per dimostrare l’origine cattolica della Chiesa rutena e la sua dipendenza primitiva dalla Santa Sede e per propugnare la riforma dei monasteri di rito bizantino e il celibato del clero. Il suo esempio ripopolò di monaci "uniati" il monastero e Giosafat dovette fondarne altri a Byten e a Zyrowice (1613). Creato vescovo titolare di Vitebsk e poi di Polock, ristabilì l’ordine nella diocesi, restaurò chiese, riformò il clero. Ma ben presto sorsero violente opposizioni da parte dei dissidenti: nell’autunno del 1623, mentre usciva dalla chiesa dove aveva celebrato le sacre funzioni, Giosafat fu ucciso e buttato nella Dvina. Vent’anni dopo la sua morte fu beatificato (1643). Fu canonizzato nel 1867.
Meditando sul martirio del santo, alla luce degli eventi ultimi possiamo ben dire quanta ragione avesse san Giosafat ad agire così, ragione non già umana, ma divina. Cari fratelli, certamente non ignorate la situazione attuale in Russia, là dove la chiesa ortodossa, divisa in sé stessa, non ha il capo voluto da Cristo, quel capo al quale furono date le chiavi del regno dei cieli. Mancando di tale capo, i patriarchi, i metropoliti ecc. (non tutti, per fortuna, ma molti di loro) sono divenuti strumenti della propaganda atea più sfacciata. Leggete le opere di quel cristiano ortodosso sincero e buono, scismatico purtroppo anche lui, che è Solgenicyn; leggete soprattutto la lettera che scrisse una decina di anni fa al patriarca Pimen, in cui lo scongiurò, lui laico, di non farsi strumento della propaganda atea.
Il sacerdozio, strumento di Dio per la salvezza, per la santificazione delle anime, per la diffusione del regno di Cristo nel mondo, può diventare strumento di Satana quando si fa propagatore di ateismo. È proprio quello che accade nella Russia di oggi. Quando leggo certe interviste al patriarca Pimen (in Jesus e altrove), mi sbalordiscono sempre l’ingenuità, la superficialità e l’ignoranza della cristianità occidentale davanti agli eventi russi. Le nostre intenzioni sono buone, non v’è dubbio; tutti noi sentiamo compassione per i fratelli russi che soffrono (bisogna essere davvero maligni per non sentire e provare gli stessi dolori di loro). Però, cari fratelli, le intenzioni buone non bastano. Bisogna anche avere la ragione pronta, la ragione prudente, la ragione dotata di sapienza e d’intelligenza come vuole il Signore, per sapere quale sia il bene, onde potere realizzarlo anche a costo di sacrifici! Quindi non basta solo un generico amore. L’amore vero è sempre fondato sulla verità e sulla conoscenza del bene.
San Giòsafat Kuncewicz, pur essendo nato in una famiglia ortodossa scismatica, fu incrollabilmente fedele alla sede di Pietro grazie all’esempio di tutti i Padri della Chiesa, anche quelli della Chiesa orientale, che non ruppero l’unità della Chiesa cattolica (= "universale"). Giosafat intuì che la Chiesa non può che essere universale. La Chiesa cattolica ha questa bellezza spirituale e ciò che è spirituale è sempre universale. L’universalità della Chiesa cattolica è segno della sua spiritualità e la spiritualità è a sua volta fonte di universalità. Per capire questo concetto, occorre rifarsi all’istituzione del sacerdozio. Nella Lettera agli Ebrei Cristo è proclamato sommo sacerdote, alla maniera di Melchìsedek (Eb 5, 10), non più secondo l’ordine di Aronne. Certo anche Aronne fu chiamato al sacerdozio dal Signore. Però quello di Aronne era un sacerdozio imperfetto. Perché imperfetto? Perché si trattava di un sacerdozio carnale, materiale, legato alla tribù di Levi, tribù certamente benemerita, perché nella contesa fra il Signore e il suo popolo, essa s’era schierata attorno al Signore (per questa fedeltà la tribù di Levi aveva meritato il sacerdozio). Qui si scontrano due principî: il principio del farisaismo e il principio della spiritualità cristiana, dunque cattolica. Ve lo dico francamente, cari fratelli: non c’è cristianesimo se non cattolico. La mia opinione vi apparirà poco ecumenica, ma non posso dire diversamente. Non c’è cristianesimo se non quello cattolico, universale ovvero spirituale. Ogni altra affermazione è una ricaduta nell’antico farisaismo. Che tragedia, cari fratelli, vedere Gesù scontrarsi con le anime ottuse e orgogliose dei farisei, anime piene di carnalità e di materialismo. I quali farisei proclamano: " Noi siamo il popolo eletto e guai a chi ci toglie questa elezione! Noi siamo figli di Abramo! ". Non conta essere figli di Abramo secondo la carne, bisogna esserlo secondo la fede! Ecco perché l’unica vera Chiesa è la Chiesa cristiana ovvero cattolica. C’è un’identità assoluta tra cristianesimo e cattolicesimo.
Scusate, cari fratelli, se vi dico queste cose ovvie, ma viviamo in tempi talmente confusi e pericolosi, che persino queste verità basilari potrebbero crollare. Che cosa dobbiamo fare allora? Facciamo quello che fece san Giosafat, il quale si rese conto che la Chiesa non può essere che cattolica, non tribale. Non si deve dire: qui è stanziata la tribù dei ruteni, lì la tribù dei russi, là quella degli armeni, ognuna con un suo capo. No, la chiesa è universale: un solo ovile, un solo pastore, un solo vicario di Cristo, un solo detentore delle chiavi del regno dei cieli, un solo detentore del potere supremo spirituale e temporale. Ecco qual è l’insegnamento cattolico sulla Chiesa!
Stringiamoci perciò attorno al papa, mostriamo fedeltà incrollabile verso la Santa Sede. Ex inde oritur unitas sacerdotii, da lì scaturisce l’unità del sacerdozio. Dalla sede apostolica, dalla sede di Pietro nasce l’unità della Chiesa. L’unità si fa attorno al papa o non si fa.
Certo siamo tutti angosciati dalla divisione della Chiesa, ma al Vangelo non si può derogare. La parola del Signore non è suscettibile di alterazioni e rimane in eterno. È meglio essere pochi ma fedeli, piuttosto che esseri molti ma talvolta infedeli. La vera unità è non già sociologica o orizzontale, bensì verticale, con Dio. Se ci fosse solo un cristiano su questa terra (sarebbe il pontefice, perché lui solo non può venire meno), se il papa fosse il solo fedele a Cristo, sarebbe lui la Chiesa. Quando il Verbo s’incarnò nel grembo della Vergine purissima per l’onnipotente azione dello Spirito Santo, la Chiesa non aveva bisogno di consensi sociologici. In Maria, ostensorio vivente del Dio di Israele e foederis arca in cui s’era incarnato il Cristo, c’era la Chiesa, perché in Maria c’era il Cristo. Cari fratelli, dobbiamo pensare soprannaturalmente, non in base a statistiche umane o a categorie sociologiche.
Attorno al papa ahimè (anche questo è un segno dei pessimi tempi in cui viviamo) gli animi si scindono. Molti sono già virtualmente scismatici ed è peggio esserlo virtualmente che attualmente. Come ebbe già a dire san Pio X, le eresie e gli scismi dei tempi moderni hanno questo di pericoloso, che non sono lacerazioni evidenti, ma nascoste. Il Santo Padre, quando andò negli Stati Uniti, propose la dottrina morale che da secoli è sempre quella. Se egli la rinnegasse, rinnegherebbe sé stesso, rinnegherebbe le chiavi di Pietro, che deve amministrare secondo la volontà non sua, ma del Signore. Il papa propone parole non sue, ma di Cristo, cioè di colui di cui egli è il vicario. Che cosa è successo? C’è stata una grande levata di scudi. Si è discusso a lungo su ciò che il papa aveva detto o non detto, si sono avanzate le interpretazioni più disparate, si sono proposte scappatoie per sfuggire a questa o a quella norma morale o addirittura si è criticato apertamente il pontefice. Basta leggere le varie interviste fatte a pseudoteologi che ne hanno dette di tutti i colori, spinti da astio antiromano. Tale astio è un segno dell’anticristo, perché Roma, nonostante tutte le sue difficoltà e deficienze umane, è la sola sede del vicario di Cristo.
Ci sono anche cristiani, che hanno un attaccamento al papa un po’ strano, per così dire "sentimentale", e ne apprezzano soprattutto la persona. Anche a me il santo padre come persona umana è simpaticissimo, ma la mia fedeltà a Roma non si basa su questa simpatia. Nel pontefice si deve cogliere, più che l’uomo, il vicario di Cristo. Tutti i pontefici della storia lo sapevano bene; lo sapevano anche gli orientali. Pensate: quando il papa san Leone Magno (440-461) inviò i suoi legati al concilio di Calcedonia (451), i padri conciliari si alzarono in piedi e, dopo che i legati ebbero letto la dottrina del vicario di Cristo (la cosiddetta Lettera dogmatica), proclamarono: " Per Leonem Petrus locutus est ", tramite Leone, Pietro ha parlato.
Questa è la fedeltà alla Santa Sede, fedeltà spesso sofferta. Quello che rimproveriamo a Lutero è di non essere stato fedele al papa. Egli si scandalizzò dell’uomo, si scandalizzò di Giovanni de’ Medici (Leone X) e delle sue debolezze. Non seppe vedere in lui il successore di Pietro, che, al di là di ogni debolezza, è l’incrollabile fondamento della Chiesa, perché, anche se le porte degl’inferi si scateneranno contro di lei, essa rimarrà per sempre, basandosi sulla parola di Gesù che salva.
Gilbert Keith Chesterton (1874-1936), con il suo solito acume, fa notare che il Signore non scelse come suo vicario né il mistico Giovanni, né il dotto Paolo, bensì Pietro, che era rozzo e debole (tradì il Cristo!). Pietro, l’uomo più incostante del collegio apostolico, incapace di tenere sotto controllo le sue passioni, una volta rinnegò Gesù, un’altra volta oscillò tra entusiasmo e scetticismo, tanto da camminare sulle acque per andare incontro al Cristo e da sprofondare di lì a poco. Gesù, tendendogli la mano, lo rimproverò: " Perché hai dubitato, uomo di poca fede? ". Ecco la logica di Dio: egli fonda il sacerdozio e la Chiesa non sull’apostolo più dotto o più spirituale o più forte o più coraggioso, ma sul più fragile. Perciò non dobbiamo scandalizzarci dell’uomo.
Questo genere di problemi va trattato con prudenza. In politica è difficile veder chiaro. Oggi con grande sicumera tutti parlano di politica, come se avessero la responsabilità del governo della cosa pubblica. Vi dico sinceramente, l’attuale politica della Chiesa romana verso l’est mi amareggia molto e amareggia anche i nostri fratelli ucraini, il cui patrono era appunto san Giosafat. Vi invito a pregare per questi nostri fratelli, affinché non si scandalizzino e rimangano fedeli a Roma, nonostante un apparente disinteresse della Santa Sede per la loro causa.
La cosiddetta Ucraina Subcarpatica, che prima faceva parte della Cecoslovacchia, fu annessa dall’Unione Sovietica dopo la seconda guerra mondiale. La Chiesa fedele a Roma fu perseguitata; così la Chiesa uniate dovette sottomettersi al patriarcato di Mosca. La cosa peggiore è che questi nostri fratelli cattolici di rito orientale, questi figli spirituali di san Giosafat (nato proprio da quelle parti), non ebbero nemmeno una parola di solidarietà da parte nostra, né la magra consolazione di sentirci dire: " Stiamo dalla vostra parte ".
Cosa successe? In un incontro ecumenico di Chiese il patriarca di Mosca baldanzosamente dichiarò che aveva finalmente accolto nel grande patriarcato quei figli prodighi, i quali se ne erano andati e finalmente erano ritornati all’ovile. Il legato cattolico romano non oppose neanche una parola. Cari fratelli, questi silenzi fanno soffrire crudelmente. Finché si soffre a causa dei nemici di Dio, pazienza; ma se si soffre a causa della Chiesa, è terrificante. Ebbene i nostri fratelli ucraini sanno soffrire non solo per la Chiesa, ma spesse volte anche dalla Chiesa, senza scandalizzarsi.
Preghiamo per loro, perché san Giosafat Kuncewicz li aiuti con il suo esempio, la sua parola, il suo insegnamento, la sua celeste intercessione, affinché rimangano sempre fedeli a Roma e non si scandalizzino mai di nulla.
Un’ultima riflessione su un altro fatto che mi commuove nella vita di san Giosafat: pur avendo intuito che la Chiesa non può essere cristiana se non è cattolica e quindi legata a Roma, egli capì anche che bisognava salvaguardare le tradizioni dei padri. Da un lato l’unità, dall’altro il rispetto delle proprie tradizioni. Oggi, se uno pronuncia una parola in latino, è considerato eretico o scismatico! Questo è uccidere la nostra anima, cari fratelli! Gli ortodossi, che hanno un grande senso della ritualità e della lingua sacra, allibiti assistono all’iconoclastia della nostra chiesa romana occidentale.
Il sano e vero pluralismo (non quello vantato dai democratici a oltranza, che poi di fatto sono dei violenti) si fonda sul principio aristotelico Quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur, tutto ciò che si percepisce, viene percepito secondo il modo di colui che percepisce. Quindi la realtà percepita deve essere una sola, la fede cattolica; il modo di percepirla deve essere plurimo, con rispetto della tradizione dei padri. San Giosafat non passò alla liturgia latina, che pure stimava, ma mantenne la liturgia paleoslava, che si serviva di una venerabile lingua antica (quella slava) e di solenni riti. Egli capì che la grazia del Signore non toglie nulla di ciò che c’è di buono a livello naturale e cioè alla tradizione dei nostri padri. Guai a noi, cari fratelli, se pensiamo di poter servire il Padre che è nei cieli rinnegando i padri che egli ci ha dato su questa terra! Ecco i due insegnamenti di san Giosafat: la fedeltà alla sede di Pietro e al papa, vicario di Cristo, deve essere vera (e qualche volta anche sofferta), non superficiale e sentimentale; bisogna inoltre non lasciarsi uccidere l’anima, ma stimare la tradizione dei nostri padri su questa terra. Così sia.

Nota

Poiché in questa omelia si parla di Ucraìna e di Rutenia, è doveroso fornire alcune notizie in proposito. L’Ucraìna Subcarpatica (o Transcarpàzia o Rutènia) confina a nord con la Polonia, a ovest con l’Ungheria e a sud con la Romania. Prima della seconda guerra mondiale costituiva una regione autonoma della Cecoslovacchia e non confinava con l’Unione Sovietica, ma con Polonia, Romania e Ungheria. Era abitata da Ucraìni (o Ruteni [la parola "ruteno" è la forma latinizzata di "russo"]), con minoranze di Ungheresi, Tedeschi, Ebrei, Slovacchi e Romeni. La regione manifestò sempre forti tendenze autonomistiche, che parvero concretarsi nell’ottobre del 1938, sotto la pressione tedesca, con la creazione a U” gorod di un governo ruteno. Ma già il 2 novembre 1938 la parte pianeggiante del Paese, in séguito all’arbitrato italo-tedesco di Vienna, fu ceduta all’Ungheria, che nel marzo del 1939 si annetté l’intero territorio. Occupata dalle truppe sovietiche nell’ottobre del 1944, l’Ucraina Subcarpatica il 26 giugno 1945 fu ceduta all’Unione Sovietica mediante un accordo firmato a Mosca tra il cecoslovacco Fierlinger e Molotov. Fisicamente la regione è costituita dal versante sudoccidentale dei Carpazi e da una fascia della pianura ungherese. I maggiori centri abitati si trovano ai piedi delle montagne. Il capoluogo è U” gorod. Altro centro importante è Muka‚ evo. A nord della Rutenia, una volta valicati i Carpazi Boscosi, si stende la Galizia, una regione che per metà fa parte della Polonia e per l’altra metà fa parte dell’Ucraina. Dopo un primo atto di sottomissione al papa (dicembre 1595) le Chiese rutene di Galizia e Transcarpazia proclamarono quasi unanimi l’unione con Roma nel sinodo di Brest-Litovsk del 6-10 ottobre 1596. Ci fu una fase di espansione esterna e di consolidamento interno. Tali Chiese affermarono la propria identità contro i tentativi di assorbimento messi in atto da parte sia latina (senza l’approvazione del papa) sia ortodossa. Con le spartizioni della Polonia (1772, 1793, 1795), la Chiesa rutena cattolica passata sotto il dominio russo scomparve; quella invece rimasta sotto l’Austria ebbe un periodo di ulteriore sviluppo. Con il sinodo di Leopoli (1891), infine, essa adottò quasi tutte le decisioni tridentine. Rimase irrisolta però la questione del celibato del clero. Nel 1895 il metropolita Sembratovi‚ fu creato cardinale. Dopo la prima guerra mondiale la Chiesa rutena cattolica compresa nello stato polacco continuò a svilupparsi, tant’è che la metropolìa galiziana contò più di tre milioni e mezzo di fedeli con più di 2000 parrocchie e altrettanti sacerdoti. Con la fine della seconda guerra mondiale però, sotto la pressione del governo sovietico, essa — come già s’è detto — si unì alla Chiesa patriarcale di Mosca, mentre tutti i resistenti furono deportati o dispersi. La stessa fine ebbe anche la Chiesa rutena transcarpatica. Oggi solo i ruteni emigrati in tutto il mondo possono liberamente continuare le loro antiche tradizioni canoniche, liturgiche e spirituali, pur rimanendo in comunione con la Sede Apostolica. Questa è la prova palpabile che la Chiesa cattolica è universale non solo de iure, ma anche de facto. Le antiche sedi vescovili di Galizia e di Rutenia sono usurpate da vescovi dissidenti, mentre i vescovi, i sacerdoti e i laici, fedeli all’unione con Roma, sono perseguitati, esiliati e incarcerati. Il rito ruteno è una variante, accanto al rito russo, romeno e serbo, del comune rito bizantino. Rispetto alla variante moscovita del rito bizantino, quella rutena, adottata oggi solo dai cattolici, rappresenta una lezione più antica dei testi liturgici, mentre riguardo alle cerimonie ha seguìto l’evoluzione dei Greci e alcune pratiche latine, conservando le particolarità locali. In generale, tutte le Chiese orientali cristiane con rito proprio, che, dopo la separazione conseguente allo scisma d’Oriente (1054), ristabilirono la comunione con Roma, sono dette "uniati". Questo aggettivo deriva dal russo unijat, derivato da unija "unione (delle Chiese)". I fedeli appartenenti a queste Chiese sono detti "uniati".


Autore: Padre Tomas Tyn
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13/11/2014 08:43
 
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Sant' Omobono di Cremona Laico

13 novembre


Cremona, prima metà secolo XII - 13 novembre 1197

Oltre a essere patrono di Cremona, Omobono Tucenghi è protettore di mercanti, lavoratori tessili e sarti. Egli stesso, infatti, fu commerciante di stoffe stimatissimo in città. Era abile negli affari e ricco. Oltretutto viveva solo con la moglie, senza figli. Ma il denaro - nella sua concezione della ricchezza, vista non fine a se stessa - era per i poveri. La sua azione lo portò ad essere un testimone autorevole in tempi di conflitto tra Comuni e Impero (Cremona era con l'imperatore). Quando morì d'improvviso, il 13 novembre del 1197, durante la Messa, subito si diffuse la fama di santità. Innocenzo III lo elevò agli altari già due anni dopo. Riposa nel duomo di Cremona. (Avvenire)

Patronato: Cremona, Mercanti, Lavoratori tessili, Sarti


Martirologio Romano: A Cremona, sant’Omobono, che, negoziante, mosso da carità per i poveri, rifulse nel raccogliere ed educare i ragazzi abbandonati e nel riportare la pace nelle famiglie.



Ascolta da RadioRai:




All’alba di un giorno d’autunno, in una chiesa cremonese accade un fatto impressionante. Un cittadino molto popolare e amato, Omobono Tucenghi, è come sempre al suo posto per partecipare alla Messa. Ma a un tratto lo si vede impallidire, afflosciarsi, e chi per primo cerca di soccorrerlo s’accorge che è già morto. D’improvviso, senza un lamento, senza soffrire. La morte serena che ognuno si augura. "E che mastro Omobono si meritava", devono aver aggiunto molti intorno a lui, nella chiesa intitolata a sant’Egidio (qui sotto, la scena rappresentata in un Codice). Omobono Tucenghi, infatti, è un uomo che, senza privilegi di nascita o prestigio di funzioni, ha saputo diventare nella sua città una “forza” solo per le doti personali e l’esempio della sua vita. E’ un mercante di panni e negli affari è abilissimo. Ormai lo circonda un rispetto universale, anche con qualche cenno di compatimento: lui e sua moglie, infatti, non hanno avuto figli. Sono soli. Con tutti quei soldi che il commercio ha portato loro, in quest’epoca di vitalità straordinaria e turbolenta in tante città italiane ormai passate all’autogoverno.
Ma nel pensiero di questi coniugi, e soprattutto nel loro comportamento, c’è come un profumo di Chiesa primitiva: possiamo dire che anch’essi continuamente "depongono ai piedi degli apostoli" denaro guadagnato col commercio, come avveniva nella piccola comunità di Gerusalemme. Non negli scritti e nemmeno in discorsi che nessuno ci ha tramandato, ma con questi gesti precisi e continui Omobono rivela la sua chiara concezione circa il denaro che guadagna: su di esso hanno precisi diritti i poveri. Le monete sono mezzi d’intervento per il soccorso alla miseria.
In tempi di rissa continua nelle città e fra le città (Cremona, nel conflitto tra Comuni e Impero, è schierata dalla parte imperiale) si ricorre alla sua autorità per arginare la violenza. E Omobono è pronto al servizio fraterno anche così: con la parola contribuisce a rendere più vivibile la città, con la parola inerme ma autorevole, perché è lo specchio di una vita grande.
Ecco perché la sua morte, avvenuta nel momento in cui dall’altare s’intonava il Gloria, ha scosso tutta la città. Non solo. Si sparge una voce insistente: mastro Omobono fa miracoli! Cominciano i pellegrinaggi alla sua tomba, il vescovo Sicardo e una rappresentanza cittadina si rivolgono a papa Innocenzo III. E questi canonizza Omobono già il 13 gennaio 1199, a meno di due anni dalla morte. Un santo laico, un santo imprenditore, un commerciante del ramo tessile posto sugli altari già ottocento anni fa. Proclamato patrono cittadino dal Consiglio generale di Cremona nel 1643, sant’Omobono è venerato anche come protettore dei mercanti e dei sarti. Il suo corpo si conserva in una cripta della cattedrale di Cremona.


Autore: Domenico Agasso

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14/11/2014 08:12
 
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San Lorenzo O'Toole Arcivescovo di Dublino

14 novembre

Castledermot, Kildare, 1128 - 14 novembre 1180


Nato a Castledermot, contea di Kildare nel 1128, Lorenzo (Lorcan Ua Tuathail) era figlio di Murtagh, capo del clan Murray. Nel 1140 entrò nella scuola monastica di Glendalough, dove fu abate dal 1154 al 1162. Contribuí anche alla fondazione dell'abbazia di Baltinglass per i Cistercensi e di una casa per i Canonici Agostiniani a Ferns. Eletto arcivescovo di Dublino nel 1162, egli mise mano alla riforma di quella Chiesa. Ebbe un ruolo da mediatore con gli invasori normanni che nel 1170 presero la città. Quando Enrico II giunse nell'isola e convocò un sinodo a Cashel, Lorenzo accettò la Bolla papale «Laudabiliter» con cui il papa inglese Adriano II autorizzava Enrico II ad operare in Irlanda. Con l'arcivescovo di Tuam ed i vescovi di Limerick, Kildare, Waterford e Lismore, partecipò al III concilio Lateranense in Roma nel 1173. Nel 1179, Lorenzo tornò in Irlanda e convocò un sinodo a Clonfert per le regioni settentrionali dell'isola. Nel 1180, Lorenzo si recò in Inghilterra per incontrare Enrico II, che però era assai incollerito con il vescovo per i privilegi papali ricevuti e costrinse Lorenzo a vivere in esilio. Tornando dalla Normandia, dove aveva seguito il re, si ammalò e morí il 14 novembre 1180. (Avvenire)

Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Eu nella Normandia, in Francia, transito di san Lorenzo O’Toole (Lorcan Ua Tuathail), vescovo di Dublino, che, nonostante le difficoltà del suo tempo, promosse strenuamente l’osservanza della disciplina della Chiesa e, impegnato a riportare la concordia tra i príncipi, passò alla gioia della pace eterna mentre si recava da Enrico re d’Inghilterra.


Nato a Castledermot, contea di Kildare nel 1128, Lorenzo (Lorcan Ua Tuathail) era figlio di Murtagh, capo del clan Murray. Nel 1140 entrò nella scuola monastica di Glendalough e nel 1154 fu eletto abate di quel monastero all'età di venticinque o ventisei anni.
Il suo abbaziato (1154-1162) fu notevole per la devozione alla riforma; egli contribuí anche alla fondazione dell'abbazia di Baltinglass per i Cistercensi e di una casa per i Canonici Agostiniani a Ferns.
Eletto arcivescovo di Dublino nel 1162, egli mise mano alla riforma di quella Chiesa imponendo la regola c'i Arrouaise ai canonici della sua cattedrale. La sua santità personale era ravvivata ogni anno da un ritiro di quaranta giorni nella grotta di s. Kevin a Glendalough.
Quando nel 1169 i Normanni invasero l'Irlanda, Lorenzo venne a trovarsi in una posizione difficile; era stato, infatti, suo cognato, Dermot Mac Murrough, re del Leinster, a chiamare i Normanni dall'Inghilterra e sua nipote, Eva, figlia di Dermot, fu data in sposa a Strongbow, capo degli invasori. Durante il secondo assedio di Dublino nel 1170, Lorenzo fu incaricato di negoziare con i Normanni, ma la città fu presa mentre ancora procedevano le trattative. Sembra tuttavia che egli abbia fatto fronte all'occupazione anglo-normanna dell'Irlanda senza eccessivi sforzi.
Quando Enrico II giunse nell'isola e convocò un sinodo a Cashel, Lorenzo accettò la Bolla papale Laudabiliter con cui il papa inglese Adriano II autorizzava Enrico II ad operare in Irlanda. Quindi agí da intermediario tra Enrico e i vari re irlandesi e negoziò un trattato tra Ruaidhri O'Connor "High-King", ed Enrico.
Con l'arcivescovo di Tuam ed i vescovi di Limerick, Kildare, Waterford e Lismore, partecipò al III concilio Lateranense in Roma nel 1173. Nell'aprile o maggio di quello stesso anno fu nominato da Alessandro III legato papale in Irlanda ed ottenne dallo stesso papa due importantissimi privilegi, uno per Dublino ed uno per Glendalough. Alla fine del settembre 1179, Lorenzo era di ritorno in Irlanda ed immediatamente convocò un sinodo a Clonfert per le regioni settentrionali dell'isola (arcidiocesi di Tuam e Armagh); scopo particolare del sinodo - durante il quale furono deposti sette vescovi "ereditari" - era quello di arginare oli abusi dei laici nella Chiesa.
Agli inizi del 1180, Lorenzo si recò in Inghilterra per incontrare Enrico II, portando con sé il figlio del re del Connacht come ostaggio per suo padre. Probabilmente a causa dei privilegi papali che egli aveva ottenuto a Roma Lorenzo incontrò ad Oxford o ad Abingdon, nel marzo 1180, un Enrico assai incollerito, il quale, infatti, "costrinse il beato Lorenzo a vivere in esilio". Dopo aver seguito il re fino in Normandia, finalmente ebbe il permesso di tornare in Irlanda. Sulla via del ritorno, tuttavia, si ammalò e morí il 14 novembre 1180 nella casa dei Canonici di S. Vittore ad Eu, in Normandia, dove il suo corpo riposa ancora.
Lorenzo fu canonizzato da papa Onorio III nel 1225 e poco dopo un canonico di Eu ne compilò una Vita, pubblicata da C. Plummer.
In Irlanda la festa di Lorenzo si è sempre celebrata il 14 novembre; ad Eu, invece, vi è anche una festa della traslazione il 10 maggio.


Autore: Leonard Boyle
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15/11/2014 08:51
 
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Sant' Alberto Magno Vescovo e dottore della Chiesa

15 novembre - Memoria Facoltativa

Lauingen (Baviera), 1206 circa - Colonia, 15 novembre 1280


Nacque in Germania verso il 1200. Molto giovane venne in Italia per studiare le arti a Padova e forse anche a Bologna e Venezia. Durante il soggiorno nella penisola conobbe i domenicani, dai quali fu inviato a Colonia per la formazione religiosa e per lo studio della teologia. Approdò infine a Parigi dove tenne la cattedra di teologia per tre anni, durante i quali ebbe un allievo d’eccezione:Tommaso d’Aquino. Rimandato dai superiori a Colonia per fondarvi lo studio teologico, portò con sé Tommaso con il quale avviò un progetto molto ambizioso: il commento dell’opera di Dionigi l’Areopagita e degli scritti filosofico­naturali di Aristotele. Alberto vedeva il punto d’incontro di questi due autori nella dottrina dell’anima. Posta da Dio nell’oscurità dell’essere umano (Dionigi), secondo Aristotele l’anima si esprime nella conoscenza e negli aspetti pratici dell’esistenza umana.a.In questo agire complesso e meraviglioso, essa svela la sua origine divina. Alberto dava così avvio all’orientamento mistico nel suo ordine che sarà sviluppato da maestro Eckhart, mentre la ricerca filosofico-teologica verrà proseguita da san Tommaso. Grande studioso delle scienze naturali, Alberto non rifuggì dagli incarichi pastorali. Fu provinciale dell’ordine domenicano per il nord della Germania, per breve tempo vescovo di Ratisbona, partecipò al concilio di Lione. Il «dottore universale» morì nel 1280.

Patronato: Scienziati

Etimologia: Alberto = di illustre nobiltà, dal tedesco

Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Sant’Alberto, detto Magno, vescovo e dottore della Chiesa, che, entrato nell’Ordine dei Predicatori, insegnò a Parigi con la parola e con gli scritti filosofia e teologia. Maestro di san Tommaso d’Aquino, riuscì ad unire in mirabile sintesi la sapienza dei santi con il sapere umano e la scienza della natura. Ricevette suo malgrado la sede di Ratisbona, dove si adoperò assiduamente per rafforzare la pace tra i popoli, ma dopo un anno preferì la povertà dell’Ordine a ogni onore e a Colonia in Germania si addormentò piamente nel Signore.

Ascolta da RadioVaticana:
Ascolta da RadioRai:
Ascolta da RadioMaria:


Alberto, della nobile famiglia Bollstadt, prese ancora giovanissimo l’Abito dei Predicatori dalle mani del Beato Giordano di Sassonia, immediato successore del Santo Patriarca Domenico. Dopo aver trionfato nel mondo, al giovane studente sembrò ostacolo insormontabile le difficoltà che incontrava nello studio della Teologia, e fu tentato di fuggire dalla casa del Signore. La Madonna, però, di cui era devotissimo, lo animò a perseverare, rassenerandolo nei suoi timori, dicendogli: “Attendi allo studio della sapienza e affinché non ti avvenga di vacillare nella fede, sul declinare della vita ogni arte di sillogizzare ti sarà tolta”. Sotto la tutela della Celeste Madre, Alberto divenne sapiente in ogni ramo della cultura, sì da essere acclamato Dottore universale e meritare il titolo di Grande, ancor quando era in vita. Insegnò con sommo onore a Parigi e nei vari Studi Domenicani di Germania, soprattutto in quello di Colonia, da lui fondato, dove ebbe tra i suoi discepoli San Tommaso d’Aquino, di cui profetizzò la grandezza. Fu Provinciale di Germania e, nel 1260, Vescovo di Ratisbona, alla cui sede rinunziò per darsi di nuovo all’insegnamento e alla predicazione. Fu arbitro e messaggero di pace in mezzo ai popoli, e al Concilio di Lione portò il contributo della sua sapienza per l’unione della Chiesa Greca con quella Latina. Avanzato negli anni saliva ancora vigoroso la cattedra, ma un giorno, come Maria aveva predetto, la sua memoria si spense. Anelò allora solo al cielo, al quale volò dopo quattro anni, il 15 novembre 1280, consumato dalla divina carità. La sua salma riposa nella chiesa parrocchiale di Sant’Andrea a Colonia. Papa Gregorio XV nel 1622 lo ha beatificato. Papa Pio XI nel 1931 lo ha proclamato Santo e Dottore della Chiesa. Il 16 dicembre 1941 Papa Pio XII lo ha dichiarato Patrono dei cultori delle scienze naturali.


Autore: Franco Mariani
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POTRESTE AVERE DIECIMILA MAESTRI IN CRISTO, MA NON CERTO MOLTI PADRI, PERCHE' SONO IO CHE VI HO GENERATO IN CRISTO GESU', MEDIANTE IL VANGELO. (1Cor. 4,15 .
 
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