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CREDENTI DA IMITARE (Eb.13,7)

Ultimo Aggiornamento: 18/05/2019 13:12
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22/06/2016 03:31
 
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Sant' Albano d'Inghilterra Martire

22 giugno


Verolamium (Inghilterra orientale), III secolo - m. 305 c.

Etimologia: Albano = Albanus, dal latino, proveniente da una delle città chiamate Alba


Emblema: Palma


Martirologio Romano: In località Verulam, chiamata poi Saint Albans, in Inghilterra, sant’Albano, martire, che, come si narra, non ancora battezzato, si consegnò al posto di un sacerdote di passaggio che aveva accolto in casa sua e dal quale era stato istruito nella fede cristiana scambiando con lui la veste; per questo, dopo aver subito percosse e altre atroci torture, morì infine decapitato.







E' il primo martire cristiano d’Inghilterra, dove ha prestato servizio nell’esercito romano (e romana è forse la sua origine). Abita a Verolamium, la città-fortezza costruita dai governatori imperiali nel sud-est dell’Isola, presso il fiume Ver. Ed è pagano, sicché non ha nulla da temere quando nell’Isola arriva una persecuzione anticristiana, forse quella di Settimio Severo (192-211); piuttosto che quella di Diocleziano (284-305). Albano un giorno si vede arrivare in casa uno dei perseguitati. Lo accoglie e lo nasconde. Poi, parlando con lui arriva dapprima a conoscere meglio la fede dei cristiani, e infine a condividerla: diventa cristiano anche lui proprio nel momento del peggior rischio.
Ma fa anche di più, Albano. Quando gli entrano in casa i soldati per prendere il cristiano nascosto, lui ne indossa gli abiti e si fa arrestare al posto suo: "Quello che cercate sono io". Seguono il processo, la condanna e l’uccisione, sulla riva orientale del Ver. Sembra inoltre che Albano, prima di morire, abbia convertito anche uno dei carnefici. Sul luogo di supplizio, cessate le persecuzioni, viene poi eretto un martyrium, come si chiamavano monumenti e santuari innalzati sulle tombe dei martiri. E lì, intorno all’anno 429, arriva in pellegrinaggio il vescovo Germano di Auxerre (Gallia), che riporta in patria un po’ di terra raccolta sul luogo del martirio.
Ma nello stesso V secolo la Britannia, abbandonata dalle truppe romane, viene invasa da tribù germaniche (Angli, Sassoni, Juti) che cancellano l’ordinamento romano e disperdono la prima organizzazione cristiana. La ri-evangelizzazione dell’Isola comincia al tempo di papa Gregorio Magno (590-604). E così riprende vigore il culto per Albano come santo e martire, testimone della fede in Cristo e dell’amore fraterno. Sul luogo del martirio viene fondata un’abbazia, intorno alla quale col tempo nasce un borgo, costruito con le pietre della diroccata Verolamium. Infine il borgo si trasforma in città, che porta oggi il suo nome: Saint Albans, a nord dell’area metropolitana di Londra, con la splendida cattedrale dedicata a lui. La Chiesa cattolica lo festeggia il 22 giugno e quella anglicana il 17; ma pare che ciò sia dovuto a un errore di scrittura: un antico copista avrebbe scambiato il numero romano XXII per un XVII.


Autore: Domenico Agasso

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23/06/2016 06:35
 
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Sant' Eteldreda di Ely Regina di Northumbria e Badessa

23 giugno


† Ely, Inghilterra, 679

Emblema: Collana, Due daine, Corona


Martirologio Romano: Nel monastero di Ely nell’Inghilterra orientale, santa Edeltrude, badessa: figlia del re e lei stessa regina di Northumbria, rifiutate per due volte le nozze, ricevette dal santo presule Vilfrido il velo monacale nel monastero da lei stessa fondato e che, divenuta madre di moltissime vergini, resse con il suo esempio e con i suoi consigli.








Eteldreda (lat. Ediltrudis; ingl. Audrey), figlia di Anna, re degli Angli orientali, e sorella delle sante Sesburga, Etelburga e Withburga, nacque a Exning nel Suffolk. La sua vita si svolse in gran parte della seconda metà del sec. VII, quando massimo era il fervore degli Angli, recentemente convertiti.
Secondo il desiderio dei genitori, ella andò sposa al principe di Gyrvii, Tonbert, col quale tuttavia visse in perpetua continenza. Tre anni dopo il matrimonio, rimasta vedova, si ritirò nell’isola di Ely, che aveva ricevuto dal marito come dono di nozze, ed ivi per cinque anni condusse vita solitaria, trascorrendo in preghiera la maggior parte del suo tempo. Richiesta in matrimonio da Egfrido, il più giovane dei figli di Oswy, re di Northumbria, cedette a condizione che il giovane marito, appena un ragazzo, si impegnasse a rispettare la sua verginità. Questi accettò, ma in prosieguo di tempo, pentitosi, chiese al santo vescovo Wilfrìd di scioglierlo da quella che poteva essere stata una promessa sconsiderata. Dopo un periodo di contrasti, dietro consiglio di Wilfrid, Eteldreda si ritirò nel monastero di Coldingham, dove ricevette il velo dalla zia di Egfrido, s. Ebba. Terminato il noviziato, si ritirò nuovamente a Ely, fondandovi un doppio monastero, che governò fino alla morte, avvenuta nel 679.
La sua tomba, nella cattedrale di Ely, fu meta di pellegrinaggi fino alla Riforma. La santa era particolarmente invocata per i mali di gola e del collo: le collane acquistate nei pressi del suo santuario, chiamate Tawdry (abbreviazione di St. Audry), erano portate dai sofferenti di tali mali.
La sua festa è celebrata il 23 giugno.


Autore: John Stephan

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24/06/2016 07:32
 
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Sant' Eros e fratelli Martiri di Satala in Armenia

24 giugno


Antiochia - Satala, Armenia sec. IV







Nella precedente edizione del ‘Martyrologium Romanum’ i santi Orenzio, Eros, Farnace, Firmino, Firmo, Ciriaco e Longino tutti fratelli, erano commemorati il 24 giugno, data nella quale li aveva posti nel ‘500 lo storico Cesare Baronio, estensore del primo ‘Martirologio Romano’.
Il Baronio li trovò scritti nei Sinassari bizantini dell’epoca al 24 giugno, in precedenza in Occidente essi erano completamente sconosciuti. La storia raccontata dai sinassari bizantini è leggendaria, essa riporta vari elementi che compaiono in altre ‘Passio’ di martiri dell’epoca, questo sembra il frutto di una politica messa in atto da Bisanzio sulla costa orientale del Mar Nero, divenuta l’ultimo avamposto dell’impero greco.
Per consolidarvi la propria posizione strategica, contro gli arabi che avanzavano, Bisanzio tentò qui come in altre regioni, di mantenere la popolazione locale nell’ambito della Chiesa imperiale; uno dei mezzi di propaganda della sua politica religiosa, era di coltivare o suscitare leggende poetiche e pietose tradizioni locali che si confondessero con le antiche glorie dell’impero romano.
E in tale contesto si può inserire la storia probabilmente vera, ma ingigantita per i motivi suddetti, di Eros, Orenzio e fratelli. La nuovissima edizione del ‘Martyrologium Romanum’ non ne fa più cenno.
Orenzio ed i suoi sei fratelli sopra elencati, tutti cristiani, erano stati arruolati ad Antiochia con altri 1200 coscritti ed avviati verso la Tracia per essere inseriti nella ‘Legione Legeandra’; dopo la morte di Diocleziano (313), l’imperatore associato Massimiano, viene colto di sorpresa da una invasione di Sciti che attraversando il Danubio (Istro) devastano la Tracia ex provincia romana.
Il re degli Sciti, Marmaroth sfida l’imperatore in uno scontro personale, per decidere le sorti della guerra; Massimiano era poco propenso a scontrarsi con il re scito, visto che era un gigante, allora Orenzio volontariamente si fa avanti per combattere al suo posto e come Davide davanti a Golia, uccide il capo degli invasori, portandone la testa a Massimiano, che organizza subito delle cerimonie per ringraziare gli dei, ma Orenzio che era cristiano, con i fratelli rifiuta di parteciparvi.
Nonostante ciò viene in un primo momento ricolmo di onori e regali tra cui il cinturone di Marmaroth. Ma trascorsi pochi giorni, l’imperatore cambia radicalmente atteggiamento nei suoi confronti, Orenzio ed i fratelli vengono obbligati ad abiurare la loro fede e giacché si rifiutano, vengono subito esiliati a Satala odierna Sadagh in Armenia.
Viene data loro l’opportunità di rinnegare il cristianesimo e quindi poter ritornare e ricevere la dovuta ricompensa, se no verranno portati in esilio in Abasgia e in Zicchia, cosa che avvenne alla fine.
Durante questa lunga e disagiata marcia forzata verso il Caucaso, muore per primo Eros giunto a Kené Parembolé, città della costa tra Trebisonda e Rhizos, due giorni dopo il 24 giugno, la carovana giunge a Rhizos e Orenzio viene gettato in mare con una pietra al collo ma l’arcangelo s. Raffaele gli viene in aiuto, deponendolo su uno scoglio, dove muore e sepolto sul luogo.
Farnace muore ad una trentina di km oltre Rhizos, mentre Firmo e Firmino giungono ad Apsaros vicino Petra e spirano insieme il 3 luglio. Ciriaco muore nella città di Ziganeos sempre sulla costa il 24 luglio, infine Longino che viene imbarcato su un battello, muore in mare il 28 luglio prima di arrivare al porto di Pityonte.
I sinassari bizantini, già citati, conservarono la data del 24 giugno, giorno della morte di Orenzio, come celebrazione di tutto il gruppo, mentre il sinassario armeno di Ter Israel, li celebra il 18 marzo. Anche se morti in varie località armene, essi furono conosciuti come ‘Martiri di Satala’, luogo da dove erano partiti prima di subire il martirio.


Autore: Antonio Borrelli

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25/06/2016 09:54
 
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Sant' Eurosia di Jaca Martire

25 giugno


m. 714

Emblema: Palma


Martirologio Romano: A Jaca nella Spagna settentrionale, santa Eurosia, vergine e martire.








Secondo la tradizione Santa Eurosia nacque nell’anno 864 dalla nobile famiglia del duca di Boemia, il suo nome era Dobroslava il cui equivalente greco è Eurosia; rimasta quasi subito orfana di entrambi i genitori, venne accolta dal nuovo duca Boriboy e dalla sua giovane moglie Ludmilla, questi la trattarono come vera figlia e si prodigarono per il diffondersi della religione cristiana in tutta quella regione, così anche Dobroslava venne battezzata ed assunse il nome greco di Eurosia. Furono quelli anni di pace e di fede e la giovane Eurosia si distinse per bontà ed altruismo, ma purtroppo un gruppo di cechi-boemi pagani presero il potere e costrinsero la famiglia ducale all’esilio, esilio che durò ben poco grazie soprattutto all’opera del grande San Metodio, il duca e la sua famiglia poterono rientrare trionfalmente in Boemia. Nell’anno 880 San Metodio si recò a Roma da Papa Giovanni VII, questi era impegnato in un difficile caso, trovare una degna sposa per il figlio del conte spagnolo d’Aragona, Fortun Jimenez, era questi erede al trono di Aragona e Navarra impegnato nella lotta contro gli invasori arabi saraceni; Il Papa chiese aiuto a San Metodio, il quale senza dubbio alcuno indicò la giovane principessa Eurosia, quindi ritornò in Boemia con una ambasciata aragonese e raccolse l’accettazione del duca e di Santa Eurosia, la quale lasciò il proposito di dedicarsi totalmente a Cristo, vedendo nell’intervento del Papa un supremo disegno della volontà di Dio. Iniziò così il viaggio verso la Spagna, era l’anno 880, arrivati però ai Pirenei, era necessario valicarli per incontrare il suo sposo nella cittadina di Jaca, tuttavia tutta questa zona subì improvvisamente una feroce invasione di saraceni capitanati dal rinnegato Aben Lupo, questi ucciso l’ambasciatore che doveva annunziare l’arrivo di Eurosia, e saputo del matrimonio col principe aragonese, si mese in animo di catturarla e trattenerla con sé.

La comitiva con Eurosia, avvertita dell’accaduto, fu costretta a nascondersi sui monti, ma il feroce bandito saraceno riuscì a trovarli, questi cercò con buoni modi di ottenere i favori della giovane Eurosia, voleva che essa rinnegasse Gesù Cristo, rinunciasse al principe aragonese per divenire sua sposa; Eurosia però si oppose decisamente a tali diabolici progetti, provocando in tal modo l’ira del bandito che diede l’ordine di uccidere tutti. Grazie all’eroismo di alcuni ambasciatori spagnoli appartenenti alla comitiva, Eurosia riuscì a fuggire ma inseguita e raggiunta subì un tragico martirio, le vennero amputate le mani e recisi i piedi, tuttavia Santa Eurosia in ginocchio col volto fisso al cielo pregava con fierezza, nel contempo nebbie e nuvole minacciose salivano dalle valli e un lampo improvviso scese vicino ad Eurosia, senza provocarle danni, tutti i saraceni ebbero gran paura ma il capo bandito preso da rabbia mista a terrore diede l’ordine di decapitarla, Eurosia alzando i sanguinanti moncherini al cielo chinò il capo pregando è così venne uccisa decapitata, aveva solo sedici anni. Contemporaneamente si scatenò un grandinare furibondo, uno scrosciare spaventoso di acque, folgori e tuoni assordanti, venti fortissimi, i saraceni fuggirono terrorizzati mentre da cielo una voce più potente della tempesta diceva: “Sia dato a Lei il dono di sedare le tempeste, ovunque sia invocato il suo nome!”.

Trovati miracolosamente le sue spoglie due anni dopo venne canonizzata a Jaca il 25 giugno, la sua festa ricorre ancora oggi il 25 giugno,è invocata contro le tempeste, i fulmini, le grandinate e anche per i frutti della terra. Il suo culto si diffuse in tutta la Spagna e grazie ai soldati spagnoli anche nel Nord Italia, soprattutto nelle zone collinari vinicole, da qui la spiegazione del culto di questa santa nel nostro paese.


Autore: Don Luca Roveda

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26/06/2016 06:26
 
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Sant' Antelmo di Chignin Monaco e vescovo di Belley

26 giugno


Chignin (Francia), 1107 - Belley (Francia), 26 giugno 1178

Nacque nel 1107 nel Castello di Chignin, in Savoia. Segretario prima della chiesa di Ginevra, poi del vescovo di Belley, da questo fu ordinato sacerdote. Affascinato dalla vita certosina nel 1136 prese l'abito di San Bruno nel monastero di Portes. Alla Grande Chartreuse, terminato il noviziato, fu nominato procuratore ed amministratore dei beni. Nel 1139 ne divenne il settimo priore. Nel 1142 nel capitolo generale gli otto priori della Certosa stabilirono che il priore della «Grande Certosa» fosse anche il Generale dell'Ordine. Antelmo divenne il primo generale dei Certosini. Nel 1152 Bernardo di Varey, fondatore di Portes, ottenne che Antelmo fosse designato a succedergli. Nel 1163 divenne vescovo di Belley. Nel 1175 il Barbarossa gli conferì la sovranità su Belley e dintorni, creandolo principe del Sacro Romano Impero. Morì il 26 giugno 1178. (Avvenire)

Emblema: Bastone pastorale, Libro, Flagello


Martirologio Romano: A Belley in Savoia, sant’Antelmo, vescovo, che, da monaco, ricostruì l’edificio della Grande Certosa distrutto da una abbondante nevicata; divenuto poi priore, convocò il Capitolo generale e, elevato alla sede episcopale, rifulse nell’opera di correzione dei costumi di chierici e nobili svolta con instancabile impegno e intrepida fermezza.







Sant’Antelmo di Chignin, Vescovo di Belley, rappresenta una delle più importanti figure del movimento certosino.
Nacque nel 1107, da nobile famiglia, nel Castello di Chignin, in Savoia, a dodici chilometri da Chambéry.
Sin da giovane preferì la solitudine della preghiera alla vita mondana e dissipatrice dei grandi signori.
Segretario prima della chiesa di Ginevra, poi del vescovo di Belley, da quest’ultimo fu ordinato sacerdote.
Si recava molto spesso a Portes, dove un suo parente era certosino. La conoscenza della vita monastica cambiò radicalmente l’esistenza di Antelmo, che nel 1136 prese l’abito di San Bruno nel monastero di Portes.
La sua fama di valente amministratore lo portò alla Grande Chartreuse, dove, terminato il noviziato, fu nominato procuratore ed amministratore dei beni. La Grande Chartreuse, che nel 1132 era stata gravemente danneggiata da una valanga, attraversava allora un periodo molto difficile. Antelmo si occupò con tutte le sue energie della ricostruzione materiale e morale della comunità, di cui nel 1139, alle dimissioni di Ugo I, divenne il settimo priore. Dopo aver riedificata la “Grande Certosa” e fatto costruire un acquedotto, A. si adoperò a ricondurre in suoi monaci al rispetto della primitiva semplicità della Regola e, nello stesso tempo, tentò di rendere più stretti i legami tra le varie case dell’Ordine. Nel 1142, infatti, nel capitolo generale gli otto priori della Certosa, allora esistenti, stabilirono che il priore della “Grande Certosa” fosse anche il Generale dell’Ordine, cui tutti dovessero obbedienza: fin da allora infatti i vari priori erano sottoposti solo al vescovo della loro diocesi. La fama di Antelio, divenuto primo generale dei Certosini, crebbe enormemente ed attirò alla Grande Chartreuse molti nobili che desideravano seguirne l’esempio.
Nel 1149, quando un monaco di Portes fu eletto vescovo di Grenoble, sorsero degli aspri conflitti ed alcuni certosini uscirono dal monastero per sostenere le loro ragioni di fronte ai tribunali. Antelmo, fortemente amareggiato da questa grave infrazione, dopo che papa Eugenio III compose la vertenza, impose ai certosini una penitenza: ma il Papa reintegrò i monaci nell’Ordine senza alcuna formalità. Per questo Antelmo, pur non opponendosi alle decisioni del Papa, diede le dimissioni, che tuttavia ritirò momentaneamente a seguito di un intervento di San Bernardo, per farle poi accettare di nuovo nel 1151 e ritirarsi a vita contemplativa.
Nel 1152, però, Bernardo di Varey, fondatore di Portes, ottenne che Antelmo fosse designato a succedergli e questi, pur mantenendo la sua carica solo per breve tempo, con la sua grande carità si guadagnò l’appellativo di “padre dei poveri”. Per questo Antelio nelle immagini che ci sono pervenute, viene effigiato nell’atto di accogliere gente di ogni età, aiutandola moralmente e materialmente nei suoi bisogni, con sullo sfondo la sua Certosa, di cui ebbe sempre nostalgia e che andava spesso a visitare.
Quando nel 1159 la cristianità fu divisa in due parti che sostenevano, l’una Alessandro III, papa legittimamente eletto, e l’altra l’antipapa Vittore IV, designato da Federico Barbarossa, Antelmo si schierò dalla parte di Alessandro e gli portò il sostegno della Francia, della Spagna e dell’Inghilterra.
Molto probabilmente, in ringraziamento di questa azione, il Papa obbligò Antelmo ad accettare la carica di vescovo di Belley, alla quale era stato eletto all’unanimità il 7 settembre 1163. La consacrazione avvenne nella cattedrale di Bourges.
Anche nell’esercizio del suo ministero Antelmo conservò intatti quei caratteri di grande umiltà e carità, che lo avevano reso famoso e si guadagnò tanto l’affetto del popolo che la città di Belley, dopo la sua morte, fu chiamata per un certo tempo Antelmopoli.
Nello stesso tempo, per la sua sagacia fu scelto dal papa per una delicata missione in Inghilterra: il tentativo di riconciliazione tra Enrico II e San Tommaso Becket.
Tuttavia il Barbarossa impedì la partenza di Antelmo, forse per vendicarsi della posizione ostile da questi avuta nei confronti di Vittore IV.
In seguito però l’imperatore mutò condotta nei riguardi di Antelmo e nel 1175 gli conferì la sovranità su Belley e dintorni, creandolo inoltre principe del Sacro Romano Impero.
Il titolo di principe di Belley procurò ad Antelmo non poche difficoltà, che amareggiarono gli ultimi anni della sua vita.
Umberto III, conte di Maurienne, non si rassegnò a perdere i diritti su Belley ed iniziò una politica di provocazione nei confronti di Antelmo, facendo dapprima arrestare, in violazione del diritto di giurisdizione della Chiesa sul clero, e poi uccidere un sacerdote.
Antelmo scomunicò il conte, ma questi ottenne dal papa Alessandro III, cui era ricorso, l’annullamento della scomunica.
Allora Antelmo, indignato, si ritirò nella Grande Charteuse ma il popolo ed il clero ricorsero al papa, che gli ordinò formalmente di riprendere il suo posto e, nel contempo, ingiunse ad Umberto di fare penitenza.
Antelmo tornò quindi a Belley, continuando tuttavia ad essere osteggiato da Umberto, che continuò a tramare contro di lui giungendo perfino a progettare di assassinarlo.
Il 26 giugno 1178, colpito da grave malattia, Antelmo morì, dopo aver ricevuto l’omaggio del Conte di Mourienne, che al suo capezzale fece sincera ammenda dei suoi torti.
I funerali di Antelmo furono veramente trionfali ed il suo culto si diffuse immediatamente.
Nel 1630 le sue spoglie furono esumate e traslate in una cappella a lui dedicata.
Durante al Rivoluzione Francese questa fu profanata, ma le reliquie di Antalmo non andarono disperse e il 30 giugno 1829 il vescovo di Belley le depose in un bellissimo reliquiario, che alla fine del secolo fu sostituito da un altro in bronzo offerto dalla Grande Charteuse.
Nell’iconografia Antelmo è rappresentato con una lampada accesa sopra il capo, mentre una mano dal cielo tende un dito verso la fiamma. Ai suoi piedi è raffigurato il Conte Umberto e Antelmo tiene in mano un libro perché, secondo la leggenda, egli ricevette da San Pietro l’ordine di recitare l’Ufficio della Vergine.
Gli Acta Sanctorum pubblicano una Vita di Antelmo, scritta da un autore coevo, ed il Martirologio Romano celebra la sua festa il 26 giugno.


Autore: Mauro Tordone

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27/06/2016 06:51
 
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Beato Benvenuto da Gubbio

27 giugno


m. a Corneto nella Puglia (Capitanata) verso il 1232

Etimologia: Benvenuto = significato evidente (italiano)


Martirologio Romano: A Corneto vicino a Bovino in Puglia, beato Benvenuto da Gubbio, religioso dell’Ordine dei Minori, che nell’umile servizio ai malati si conformò alla vita di Cristo povero.







Nobile cavaliere eugubino, Benvenuto, ricevuto nell'Ordine da s. Francesco nel 1222 in qualità di fratello laico, fu destinato al servizio dei lebbrosi negli ospedali, giungendo in questo umile e laborioso ministero alle vette della santità. Si distinse, inoltre, per la contemplazione, per l'amore alla Eucaristia e per la pazienza nelle lunghe e gravi malattie. Morì a Corneto nella Puglia (Capitanata) verso il 1232.
Tanto si divulgò la fama dei suoi strepitosi prodigi, registrati dagli antichi annalisti dell'Ordine, che Gregorio IX, nel 1236, diede ai vescovi di Melfi, Molfetta e Venosa l'incarico di raccogliere le informazioni per la canonizzazione. Il processo non ebbe seguito nella Curia Romana, ma Benvenuto fu oggetto di culto in quelle diocesi e nella cittadina di Deliceto (diocesi di Bovino), dove le sue reliquie furono trasferite dopo la distruzione di Corneto, avvenuta intorno al 1243. Nel 1697 Innocenzo XII confermò il culto ed estese all'intero Ordine francescano la festa liturgica, che viene celebrata il 27 giugno.


Autore: Isidoro da Villapadierna

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28/06/2016 06:22
 
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Beato Eimerado Sacerdote eremita

28 giugno




Eimerado (in tedesco Heimerad, Heimrad oppure Heimo) fa parte di quella schiera di santi noti come «folli di Dio». Nato a Meßkirch, nel Baden, verso la metà del X secolo, divenne sacerdote e si fece pellegrino a Roma e in Terra Santa. Stabilitosi nel monastero di Hersfeld, ne fu cacciato dall'abate perché si rifiutava di vestire l'abito monacale. La stessa sorte gli toccò in altri due villaggi, dove si era rifugiato nel suo girovagare, ingiustamente accusato di un furto e per la sua "stranezza". Visse, infine in pace come eremita ad Hasungen, nei pressi di Kassel, fino alla morte, avvenuta nel 1019. (Avvenire)

Martirologio Romano: Ad Burghasungen nell’Assia, in Germania, sant’Eimerado, sacerdote ed eremita, che, scacciato dal chiostro ed esposto allo scherno e al ludibrio di molti, peregrinò in lungo e in largo per Cristo.

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30/06/2016 21:53
 
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Santi Andronico e Giunia di Roma Sposi, discepoli di San Paolo

30 giugno


I secolo

Salutati dall'apostolo Paolo nella lettera ai Romani. Li chiama "miei parenti e compagni di prigionia; sono degli apostoli insigni che erano in Cristo già prima di me" (Rm 16,7). Sarebbero due coniugi giudeo-cristiani che per il loro zelo meritarono di essere chiamati con il titolo di "apostoli".







Andronico e Giunia vivevano a Roma verso l’anno 58 d.C., quando l’apostolo Paolo li salutò calorosamente nella Lettera ai Romani (Rom 16,7) sogiungendo: “Sono miei parenti e compagni di prigionia, illustri tra gli apostoli, e fattisi cristiani prima di me”. Il legame di parentela potrebbe essere effettivo oppure in senso più esteso come spesso accadeva in Oriente. Come Paolo anch’essi erano di origine giudea e forse appartenenti alla stessa tribù di Beniamino, mentre la comune prigionia alluderebbe ad una delle molteplici occasioni in cui l’apostole delle genti soffrì ceppi e catene. Definirli “illustri tra gli apostoli” costituisce una lode al loro zelo, esplicato in modo particolare tra i loro connazionali giudei presenti a Roma. Andronico e Giunia erano cristiani della prima ora, convertitisi probabilmente già a Gerusalemme e poi trasferitisi a Roma.
Come si è visto sono assai scarse le informazioni sul loro conto contenute negli scritti paolini, ma la tradizione cristiana ha sopperito a tale carenza tramandando non poche leggende su questi misteriosi santi. Lo stesso nome di Giunia non è chiaro se sia il nome di un uomo, contrazione di Giuniano, o di una donna, in questo caso sorella o piuttosto moglie di Andronico, come infatti ipotizzarono il Crisostomo e molti altri studiosi più recenti. Andronico e Giunia sarebbero allora una coppia di coniugi giudeo-cristiani, proprio come Aquila e Priscilla citati poco prima da San Paolo, che per il loro zelo meritarono l’appellativo di “apostoli”. Secondo Ippolito di Roma, Andronico sarebbe stato uno dei settanta discepoli inviati da Gesù, poi vescovo in Pannonia, mentre il “Catalogus virorum apostolicorum” lo vuole vescovo in Spagna.
Andronico e Giunia, mai inseriti nel Martyrologium Romanum, sono festeggiati dalla Chiesa greca al 30 giugno insieme a tutti i santi del Nuovo Testamento.


Autore: Fabio Arduino

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01/07/2016 22:27
 
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Beata Assunta Marchetti Fondatrice

1 luglio


Camaiore, Lucca, 15 agosto 1871 - San Paolo, Brasile, 1 luglio 1948








Assunta Marchetti nacque a Lombrici di Camaiore il giorno dell’Assunzione del 1871. Sin da giovane si sentì attratta dalla vita religiosa, ma le non facili condizioni familiari (in particolare la malattia della madre e la morte prematura del padre) le impedirono di realizzare quanto desiderava. Il fratello Don Giuseppe era uno dei principali collaboratori del beato Scalabrini e conoscendo la vocazione di Assunta la invitò a seguirlo in Brasile, per occuparsi degli orfani degli emigranti italiani. Insieme ad un piccolo gruppo di compagne dello stesso paese, il 25 ottobre 1895 presero il velo a Piacenza nella cappella dell’Episcopio. Anche Giuseppe quel giorno fece la sua professione religiosa. Le "Serve degli Orfani e Abbandonati", future Suore Missionarie di S. Carlo (Scalabriniane), partirono quasi subito per San Paolo del Brasile dove però Don Marchetti, colpito da tifo mentre assisteva degli ammalati, morì l’anno successivo.
Per lunghi anni Madre Assunta fu per le suore modello e guida. Il ferimento ad una gamba, durante la visita ad un ammalato, le causò lunghi anni di sofferenza. Morì nell'Orfanotrofio di San Paolo del Brasile il 1° luglio 1948. Di entrambi i fratelli Marchetti è in corso la causa di beatificazione. Assunta è stata beatificata il 25 ottobre 2014.

PREGHIERA
O Gesù che hai detto: «Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò», io Vi rendo grazie per aver fatto della Serva di Dio Madre Assunta Marchetti, il conforto dei migranti, la madre degli orfani e il sollievo dei bisognosi.
Per i tuoi meriti infiniti e per l’intercessione di Maria, nostra Madre Santissima, glorifica sulla terra l’umile serva Madre Assunta, e fa che mi ottenga da Te la grazia di cui ho tanto bisogno. Amen.




Autore: Daniele Bolognini

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02/07/2016 09:25
 
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Beata Colomba Kang Wan-suk Catechista e martire

2 luglio


>>> Visualizza la Scheda del Gruppo cui appartiene

Naepo, Corea del Sud, 1761 – Seul, Corea del Sud, 2 luglio 1801



Fra i fedeli martirizzati nel XIX secolo in Corea spicca la figura di una donna, Colomba Kang Wan-suk, che ha affrontato i rischi della persecuzione pur di aiutare la diffusione del Vangelo. Inserita nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung, è stata beatificata da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.








Colomba Kang Wan-suk nasce, da un’unione illegittima, nel 1761. Fa parte di una delle famiglie nobili di Naepo, nell’antico distretto di Chungcheong-do. Sin dall’infanzia viene notata per la sua saggezza e onestà: evita di compiere azioni malvagie o di dire bugie. Filippo Hong Pil-ju, che verrà martirizzato per la fede nel 1801, è uno dei suoi figliastri.
A causa delle sue origini “non ufficiali”, viene data come seconda moglie a Hong Ji-yeong, un nobile della regione Deoksan. Subito dopo il matrimonio, conosce la religione cattolica e inizia a interessarsene. Ottiene alcuni libri cattolici, li medita e arriva a realizzare la grandezza del messaggio cristiano. Ancora prima di cominciare il catecumenato, inizia a credere in “Dio, padrone del cielo e della terra, e nella sua religione. Questa dà messaggi giusti, quindi anche la sua dottrina deve essere corretta”.
Nel corso della sua conversione, crede con passione e pratica l’astinenza. Il suo stile di vita le fa ottenere il rispetto e l’ammirazione di molte persone. A suo grave rischio, si prende cura dei cattolici che sono stati imprigionati durante la persecuzione Sinhae del 1791. E proprio a causa di questa opera viene arrestata a sua volta. Dopo la liberazione insegna il catechismo a sua suocera e al suo figliastro, Filippo Hong, e li fa avvicinare alla Chiesa. Nonostante diversi sforzi, non riesce a convertire il marito che anzi la maltratta proprio a causa della sua fede. Dopo un breve periodo viene abbandonata, e il marito inizia a vivere con una concubina.
Un giorno Colomba Kang scopre che i cattolici di Seoul hanno una migliore preparazione. Dopo essersi consultata con la suocera e il figliastro, decide di trasferirsi nella capitale: qui entra in contatto con i fedeli locali e si unisce a loro. Quando questi iniziano a invitare sacerdoti stranieri - a causa della persecuzione i cattolici non hanno libero accesso al Paese - è lei a fornire il sostegno finanziario per pagare le spese.
Quando in Corea riesce ad arrivare dalla Cina p. Giacomo Zhou Wen-mo, Colomba viene battezzata: siamo nel 1794, e la donna decide di dedicare la propria vita ad aiutare il sacerdote nel suo apostolato. Dopo aver capito la sincerità e il vero impegno di Colomba Kang, p. Zhou la nomina catechista e le dà il compito di prendersi cura dei fedeli.
L’anno successivo scoppia la persecuzione Eulmyo, e la nuova catechista offre la propria casa al sacerdote cinese per potersi rifugiare. La scelta è intelligente e abbastanza sicura, dato che secondo i canoni della società coreana del tempo è proibito indagare nelle abitazioni di donne nobili. Grazie a questo, la casa di Colomba diventa un porto sicuro sia per p. Zhou che per le comunità cattoliche del luogo: è qui che Agata Yun Jeom-hye inaugura la sua comunità di vergini dedite alla Chiesa.
Nel suo operato, Colomba Kang riesce a contattare molte persone e a far conoscere loro la Chiesa. Oltre alla sua fede è saggia e pragmatica: fra i suoi convertiti vi sono nobili, vedove, servi e cameriere. È grazie a lei che Maria Song e sua nuora Maria Sin - parenti della famiglia reale - divengono cattoliche e ricevono il battesimo da p. Zhou. L’ammirazione della comunità nei suoi confronti è enorme, tanto che si arriva a dire che “si muove come un gong. Quando viene colpito, fa risuonare tutto”.
Nel 1801 in Corea si scatena la persecuzione Shinyu, e Colomba Kang viene denunciata alle autorità governative per le sue attività religiose. Il 6 aprile viene arrestata mentre è in casa con altri fedeli: vengono portati tutti al Quartier generale della polizia di Seoul. Ma anche in questa situazione, il primo pensiero della catechista è rivolto alla sicurezza del sacerdote cinese.
Per trovarlo, gli agenti la torturano sei volte ma senza successo. La sua fede è talmente ferma che persino i suoi aguzzini ne vengono colpiti. Uno di loro esclama: “Questa donna non è umana, è una dea!”. Nei tre mesi che passano fra l’arresto e il martirio, Colomba Kang continua nella sua opera religiosa: si prepara al martirio e incoraggia i suoi compagni di cella a essere fedeli e credere in Dio. Viene condannata a morte il 2 luglio del 1801, e la sentenza - per decapitazione - viene eseguita il giorno stesso fuori dalla Porta occidentale di Seoul. Ha compiuto da poco 40 anni.


Autore: Joseph Yun Li-sun

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03/07/2016 08:03
 
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Beata Barbara Jeong Sun-mae Vergine e martire

3 luglio


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Yeoju, Corea del Sud, 1777 – 3 o 4 luglio 1801



Barbara Jeong Sun-mae si avvicinò al cattolicesimo, da poco introdotto in Corea, grazie a suo fratello e a sua cognata. Decise di restare vergine e, trasferitasi a Seul, entrò in una comunità composta da donne con le quali condivideva la stessa scelta. Arrestata nel corso della persecuzione Shinyu del 1801, venne decapitata il 3 o il 4 luglio 1801, di fronte alla gente del suo villaggio natio. Inserita con il fratello e la cognata nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung, è stata beatificata da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.








Barbara Jeong Sun-mae nacque a Yeoju, nella provincia del Gyeonggi (attuale Corea del Sud). Apprese il catechismo nel 1795, da suo fratello Barnaba Jeong Gwang-su e da sua cognata Lucia Yun Un-hye. Visse con così grande zelo la sua nuova fede da decidere di restare vergine, per dedicarsi a Dio con cuore indiviso. Forse per non destare sospetti, diceva alla gente: «Ero sposata col signor Heo, ma sono diventata vedova».
Alcuni anni dopo, Barbara si trasferì a Seul: aiutò la cognata e il fratello a diffondere libri e oggetti religiosi tra gli altri credenti ed entrò a far parte della comunità di vergini presieduta da Agata Yun Jeom-hye. Ogni qualvolta che la sua casa veniva usata come chiesa, preparava tutto l’occorrente con la massima cura. Nel 1800 ricevette il Battesimo dal primo sacerdote missionario in Corea, il cinese padre Giacomo Zhou Wen-mo: da allora, il suo fervore aumentò ancora di più.
Arrestata durante la persecuzione Shinyu del 1801, dimostrò un grande coraggio nell’affrontare gli interrogatori e le torture. Non rivelò i nomi degli altri credenti, ma professò apertamente la sua fede: «Non posso rinunciare alla mia religione anche se dovessi morire». A quel punto, il capo degli ufficiali di polizia ordinò d’intensificare le punizioni verso di lei, ma senza risultato.
Barbara venne quindi condannata a morte con altri credenti. Prima di ascoltare la condanna, dichiarò: «Essere punita al quartier generale della polizia ed essere interrogata pesantemente al Ministero della Giustizia è molto doloroso. Tuttavia, non posso cambiare idea, perché amo tantissimo la religione cattolica».
Il giudice ordinò che la sentenza venisse eseguita presso il suo villaggio natale, così da rivolgere gli abitanti di Yeoju contro la religione cattolica. Così, venne decapitata il 3 o il 4 luglio 1801 (23 o 24 maggio del calendario lunare); aveva ventiquattro anni.
Inserita nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung (del quale fanno parte anche i già menzionati Barnaba Jeong Gwang-su, Lucia Yun Un-hye, padre Giacomo Zhou Wen-mo e Agata Yun Jeom-hye), è stata beatificata da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.




Autore: Emilia Flocchini

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04/07/2016 07:46
 
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Sant' Antonio Daniel Sacerdote e martire

4 luglio


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Dieppe, Francia, 27 maggio 1601 – Teanaostaye, Canada, 4 luglio 1648

Martirologio Romano: Presso gli Uroni in territorio canadese, sant’Antonio Daniel, sacerdote della Compagnia di Gesù e martire, che, terminata la celebrazione della Messa, fermo sulla porta della chiesa a tutela dei neofiti dall’assalto di pagani ostili, fu trafitto dalle loro frecce e infine dato al rogo. La sua memoria si celebra insieme a quella dei suoi compagni il 19 ottobre.







Antoine Daniel nacque a Dieppe, nella regione della Normandia in Francia, il 27 maggio 1601. Studente di diritto, entrò nella Società di Gesù il 1° ottobre 1621 e divenne sacerdote. Insegnante a Rouen, ricevette in seguito la vocazione a farsi missionario. Erano in quel tempo fiorenti le missioni dei Gesuiti in Canada e Padre Daniel giunse dunque a Cap-Breton, in Quebec, nel 1632.
Viaggiò per un anno nella Nouvelle-France e studiò la lingua degli uroni, la popolazione indigena. Nel 1634 si recò a Wendake con i padri Brébeuf e Daoust. Trascorse poi gran parte del suo tempo nei villaggi di Teanaostaye e Cahiaguie sul lago Couchiching. Diresse per sette anni una scuola per giovani Uroni, insegnando loro il Padre Nostro, del quale aveva fatto un adattamento misucale, ed il Credo nella loro lingua.
Al suo ritorno a Teanaostaye ai primi di luglio del 1648, il villaggio fu attaccato dagli Irochesi. Come il buon pastore che dà la sua vita per salvare le pecore, egli rifiutò fermamente di lasciare la missione per poter portare soccorso ai moribondi.Il 4 luglio assalirono la residenza di Santa Maria, quando Padre Antoine aveva appena terminato la celebrazione eucaristica. Egli invitò allora i fedeli, in particolare i neofiti ed i feriti, a mettersi in salvo e marciò verso gli Irochesi con una croce in mano. Questi, stupefatti, lo crivellarono con frecce e pallottole e buttarono il suo corpo nella cappella ormai in fiamme. I testimoni dell’accaduto ne fecero relazione a Padre Ragueneau.
Furoni in tutto otto i martiri gesuiti che effusero con il loro sangue la terra nordamericana, beatificati nel 1925 e canonizzati nel 1930 da Papa Pio XI. Mentre la commemorazione del singolo Sant’Antonio Daniel ricorre in data odierna nell’anniversario del suo martirio, la festa collettiva di questo gruppo di martiri è fissata dal calendario liturgico al 19 ottobre. Una parrocchia gli è dedicata presso Thetford-Mines.


Autore: Fabio Arduino

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05/07/2016 03:50
 
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Sant' Asteio di Durazzo Vescovo

5 luglio


m. 100 circa







Il Sinassario Costantinopolitano il 5 luglio celebra la memoria di Asteio (o Astio, o Aberisto), vescovo di Durazzo, che, durante l'impero di Traiano, essendo preside dell'Illirico Agricolao, subì il martirio per essersi rifiutato di onorare i simulacri di Dioniso. Dopo esser stato flagellato, Asteio fu legato ad una croce, cosparso di miele, e lasciato al caldo e agli insetti fino a quando venne a morte. Questo accadde intorno all'anno 100.
Il nome di Asteio ricorre anche nella passio dei martiri Pellegrino, Luciano, Esichio, Papio, Saturnino e Germano che, rifugiatisi a Durazzo, si imbatterono nel corpo di Asteio ancora appeso alla croce e, confortati nella loro fede, si proclamarono cristiani e furono uccisi. Il Menologio di Basilio celebra A. il 6 luglio e così l'Annus ecclesiasticus graeco-slavicus. Nel Martirologio Romano e nel Sinassario Costantinopolitano, il nome di Asteio ricorre anche il 7 luglio nella celebrazione di Pellegrino e dei suoi compagni.


Autore: Antonio Koren

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06/07/2016 06:33
 
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Santa Darerca (Monenna) di Killeavy Badessa

6 luglio




Martirologio Romano: Nel territorio di Armagh in Irlanda, santa Monenna, badessa del monastero di Killeevy da lei stessa fondato.








Sembra che il nome di Battesimo di questa vergine, commemorata nei martirologi irlandesi al 6 luglio, sia stato Darerca, e che Moninna sia invece un vezzeggiativo di origine oscura. A noi sono pervenuti i suoi Acta, ma essi presentano notevoli difficoltà dal momento che la santa è stata confusa con l'inglese santa Modwenna, venerata a Burton-on-Trent. Darerca fu la fondatrice e la prima badessa di uno dei più antichi e importanti monasteri femminili di Irlanda, sorto a Killeavy (contea di Armagh), ove sono ancora visibili le rovine di una chiesa a lei dedicata. Morì nel 517. Killeavy rimase un importante centro di vita religiosa, finché fu distrutto dai predoni scandinavi nel 923; Darerca continuò ad essere largamente venerata specialmente nella regione settentrionale dell'Irlanda.



Autore: Patrick Corish

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07/07/2016 05:27
 
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Sant' Edda di Winchester Vescovo

7 luglio




Martirologio Romano: A Winchester in Inghilterra, sant’Edda, vescovo della Sassonia occidentale, uomo di insigne sapienza, che da Dorchester traslò in questa città il corpo di san Birino e vi stabilì la sede episcopale.

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08/07/2016 06:28
 
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Sant' Ampelio di Milano Vescovo

8 luglio


VII secolo








L’8 luglio la Chiesa ambrosiana ricorda Ampelio, dal 665 al 672 fu il trentanovesimo vescovo di Milano, che riposa in San Simpliciano, dove fu deposto l’8 febbraio 676, come fa supporre il «Codice di Beroldo», che per primo lo chiama «santo», attribuendogli innumerevoli miracoli. Essi, pare, accompagnarono la sua tenace opera di evangelizzazione. A Milano, infatti, erano ancora presenti sostenitori della teologia cosiddetta ariana, la tendenza, che forse sarà sempre presente, a cercare di «umanizzare» tanto il Figlio di Dio da indebolire la «singolarità divina» di Gesù. In quest’impegno per la verità gli fu d’aiuto Teodota, la moglie del re longobardo Grimoaldo: per fortuna che ci sono le donne! La predicazione d’Ampelio fu persuasiva anche per lo stile, che sembrava esprimesse il suo stesso nome. Si diceva, infatti, che come le parole di Ambrogio erano come l’ambrosia, il cibo degli dei, così il parlare di Ampelio richiamava l’ebbrezza del vino, e la sua gioia: «uva», in greco, si dice «ampelius». Ampelio, dunque, cercò di convincere non con le minacce, ma con la benevolenza, convinto - come diceva già Ambrogio - che «gli uomini possano essere obbligati e stimolati a fare il bene, più con la benevolenza che con la paura e, per farli emendare, l’amore è più efficace del timore».


Autore: Ennio Apeciti

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09/07/2016 06:30
 
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Beato Domenico Serrano Cardinale

9 luglio


† Montpellier, Francia, 9 luglio 1348

Illustre professore dell’Università di Parigi, il Beato Domenico Serrano, ricevette l’abito mercedario nel convento di sant’Eulalia in Montpellier. Le sue qualità esteriori, la sua dolcezza, la sua amabilità, il suo zelo e le sue virtù eroiche unite alla sua umiltà, gli guadagnarono la stima universale e fu designato Maestro Generale dell’Ordine il 17 aprile 1345. Si dedicò a visitare i conventi per promuovere l’osservanza, la redenzione degli schiavi e la cultura. Papa Clemente VI° lo nominò cardinale prete di Santa Romana Chiesa del titolo dei Santi Quattro Coronati. Famoso per la santità e sapienza terminò la sua vita in Montpellier a causa della peste nera, il 9 luglio 1348. L’Ordine lo festeggia il 9 luglio.

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10/07/2016 13:45
 
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Santi Antonio Nguyen Hûu (Nam) Quynh e Pietro Nguyen Khac Tu Martiri

10 luglio




Martirologio Romano: Nella città di Đồng Hới in Annamia, ora Viet Nam, santi Antonio Nguyễn (Nam) Quỳnh e Pietro Nguyễn Khắc Tự, martiri, che, catechisti, furono strangolati per la fede in Cristo sotto l’imperatore Minh Mạng.

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11/07/2016 06:29
 
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Sante Anna An Xinzhi, Maria An Guozhi, Anna An Jiaozhi e Maria An Lihua Vergini e martiri

11 luglio


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+ Liugongyin, Cina, 11 luglio 1900

Martirologio Romano: Nel villaggio di Liugongyin vicino ad Anping nella provincia dello Hebei in Cina, sante Anna An Xinzhi, Maia An Guozhi, Anna An Jiaozhi e Maria An Lihua, vergini e martiri, che, durante la persecuzione dei Boxer, non riuscendosi in alcun modo a far loro rinnegare la fede, furono decapitate.

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12/07/2016 05:41
 
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Sant' Arduino di Fontenelle

12 luglio




Etimologia: Arduino = amico dell'audacia, dal sassone








Scarne informazioni ci sono state tramandate circa la figura e la vita di Sant’Arduino di Fontanelle. Nacque nel 749 ad Alvimare, villaggio dell’attuale dipartimento della Seine-Maritime, ed abbracciò poi la vita monastica nella celebre abbazia benedettina di Fontenelle, nei pressi di Rouen. Nella cronaca dell’abbazia, quando si cita l’abate Astrulfo si fa riferimento alle memorie lasciate da Arduino, che proprio al tempo di tale abate “clericatus suscepit habitum”. Ricevuta anche l’ordinazione presbiterale, ottenne dall’abate di condurre vita solitaria e venne rinchiuso in una cella, detta di San Saturnino, fondata da San Wandragisilo nelle vicinanze del monastero.
Sotto il governo dell’abate Gervaldo, quando ormai quasi tutti i monaci si trovavano in uno stato di grande ignoranza, venne istituita nel monastero una scuola e ad Arduino fu affidato l’insegnamento della matematica e della calligrafia. Espertissimo infatti nell’arte scrittoria, il santo lasciò alla biblioteca del monastero molti volumi scritti di suo pugno. Il Mabillon nel suo studio “Disquisitio de cursu gallicano”, pubblicato in appendice alla “Praefatio Actis Sanctorum Ordinis Sancti Benedicti”, accennò ad un esemplare di mano d’Arduino dell’antifonario romano, inviato in Francia dal Papa Paolo I.
Durante il pontificato di Adriano I, Arduino lasciò la cella per recarsi pellegrino a Roma e, una volta ritornato, trascorse il resto dei suoi giorni nell’abbazia di Fontenelle. Morì in età assai avanzata, considerato in forte fama di santità, il 12 luglio 811. Trovò degna sepoltura nella chiesa abbaziale di San Paolo.
Oltre i volumi ricordati, il santo lasciò all’abbazia il calice d’argento, la patena ed il turibolo che conservava nella sua cella. Il titolo di santo attribuitogli, non sembra però attestato prima del XVII secolo, e neppure costantemente, dato che anche il Mabillon si limitò a menzionarlo quale monaco “eximiae virtutis” e “piae memoriae”. La sua memoria, oltre che nell’anniversario della morte, veniva celebrata anche il 20 aprile.


Autore: Fabio Arduino

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13/07/2016 06:48
 
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Santa Clelia Barbieri

13 luglio


S. Giovanni in Persiceto, Bologna, 13 febbraio 1847 - 13 luglio 1870

Clelia Barbieri nasce il 13 febbraio 1847 a San Giovanni in Persiceto, in provincia di Bologna. I sacramenti dell'iniziazione rappresentano i punti nodali della sua crescita. L'Eucaristia è il centro della sua esperienza mistica e del carisma di fondazione da lei promosso. La prima Comunione, il 24 giugno 1858, le dà un'impronta indelebile: diventa nel senso più autentico «anima da comunione». Nel 1862 entra nel nucleo degli «operai della dottrina cristiana» e si fa sempre più attenta e sensibile alla situazione della Chiesa. Ormai ventenne, sotto la guida lungimirante del parroco don Gaetano Guidi, elabora con un gruppo di amiche (Teodora, Orsola, Violante) un progetto di vita consacrata e di diaconia, in cui si può ravvisare un vero risorgimento al femminile. La presenza instancabile accanto ai piccoli, ai poveri, ai malati, agli emarginati, le merita da parte della gente l'appellativo di Madre. Nel 1878 il cardinale Lucido M. Parocchi, arcivescovo di Bologna, chiamerà «Minime dell'Addolorata» le eredi spirituali di Madre Clelia, morta nel 1870. (Avvenire)

Patronato: Patrona dei catechisti dell’Emilia-Romagna


Etimologia: Clelia = figlia del cliente, dal latino; gloria, dal greco


Martirologio Romano: A Budrie in Romagna, santa Clelia Barbieri, vergine, che si adoperò per il bene spirituale della gioventù femminile e fondò la Congregazione delle Minime della Vergine Addolorata per la formazione umana e cristiana specialmente delle ragazze povere e bisognose.







Clelia Barbieri nacque il 13 febbraio 1847 nella contrada volgarmente chiamata le "Budrie", appartenente civilmente al comune di S. Giovanni in Persiceto (BO), ecclesiasticamente alla Archidiocesi di Bologna, da Giuseppe Barbieri e Giacinta Nannetti.
I genitori erano di censo diverso: Giuseppe Barbieri proveniva dalla famiglia quasi più povera delle " Budrie ", mentre Giacinta dalla famiglia più in vista; lui garzone dello zio di Giacinta, medico condotto del luogo, lei la figlia di Pietro Nannetti benestante.
Per il matrimonio contro corrente, Giacinta benestante sposò la povertà di un bracciante e da una casa agiata passò ad abitare nella umilissima casetta di Sante Barbieri, papà di Giuseppe; tuttavia si costituì una famiglia cementata sulla roccia della fede e della pratica cristiana.
Al battesimo amministratole lo stesso giorno della nascita, per espresso volere della mamma, la neonata ricevette i nomi di Clelia, Rachele, Maria.
La mamma insegnò precocemente alla piccola Clelia ad amare Dio fino a farle desiderare di essere santa. Un giorno Clelia le domandò: " Mamma, come posso essere santa "? Per tempo la Clelia imparò pure l'arte del cucire, di filare e tessere la canapa, il prodotto caratteristico della campagna persicetese.
All'età di 8 anni, durante l'epidemia colerica del 1855 Clelia perdette il babbo. Con la morte del babbo, per generosità dello zio medico, la mamma, Clelia e la piccola sorellina Ernestina passarono ad abitare in una casa più accogliente vicino alla chiesa parrocchiale.
Per Clelia le giornate divennero più santificate. Chiunque avesse voluto incontrarla poteva trovarla immancabilmente o a casa, a filare o cucire, o in chiesa a pregare.
Sebbene era nell'uso del tempo accostarsi per la prima volta alla Comunione quasi adulti, Clelia per la sua precoce preparazione catechistica e spirituale vi fu ammessa il 17 giugno 1858, a soli undici anni.
Fu un giorno decisivo per il suo futuro, perché visse la sua prima esperienza mistica: contrizione eccezionale dei peccati propri e altrui.
Premette su di lei l'angoscia del peccato che crocifigge Gesù e addolora la Madonna.
Dal giorno della prima Comunione, il Crocifisso e la Madonna Addolorata ispireranno la sua spiritualità.
In pari tempo ebbe una intuizione interiore del suo futuro nella duplice linea contemplativa e attiva.
In adorazione dinanzi al Tabernacolo appariva come una statua immobile, assorta in preghiera; a casa era la compagna maggiore delle ragazze costrette al lavoro. Con maturità precoce all'età trovava nel lavoro il suo primo modo di rapporto con le ragazze, poiché alle " Budrie " il lavorare, specialmente la canapa, era l'unica fonte per tirare avanti la vita.
Ma Clelia vi aggiungeva qualcosa che nell'ambiente era particolarmente suo: lavorare con gioia, con amore, pregando, pensando a Dio e addirittura parlando di Dio.
Clelia non è Marta che si affaccenda tutta presa dal servizio per le cose del mondo, tuttavia si prodiga compiutamente, appassionatamente al servizio delle creature più amate da Gesù, i poveri, tanto che le sue tenere mani portano i segni della più dura fatica.
Clelia non è Maria che tutto lascia, esclude e abbandona per immobilizzarsi estatica nel gesto di devozione e di amore. Eppure non ha altro pensiero, non ha altri affetti e si muove e cammina immersa in Lui, come una sonnambula.
Cammina nell'amore, si dà tutta all'Amore, senza risparmio. Dimentica il suo corpo, anzi lo ignora. È felice di appartenere al Signore e la sua felicità sta appunto nel non avere altro pensiero che Lui. Qualcosa però la spinge ad andare verso gli uomini, quelli più miseri e bisognosi, che aspettano una testimonianza di carità.
Una fede ardente la consuma e sente che " deve andare " dividere e distribuire se stessa alle creature del suo Signore. Adora la solitudine che le consente di concentrarsi alla ricerca del pieno possesso di Dio, ma esce dalla sua casa, si lancia nel mondo, forzata dalla carità.
Nella Chiesa bolognese, per combattere la noncuranza religiosa, specialmente degli uomini, vi erano gli " Operai della dottrina cristiana". Alle " Budrie " il gruppo era animato da un maestro molto anziano.
Clelia volle essere e fu Operaia della dottrina cristiana. Alle " Budrie " la catechesi si rinnovò col suo inserimento che trascinò pure altre compagne di uguali sentimenti.
Al principio Clelia fu ammessa come sottomaestra e era l'ultima ruota del carro, ma ben presto rivelò insospettate capacità tanto che gli stessi anziani si facevano suoi discepoli.
Respinte non poche lusinghiere proposte di matrimonio, la comitiva di ragazze che facevano capo a Clelia concepì la prima idea di un nucleo di giovinette votate alla vita contemplativa e apostolica; un servizio che doveva scaturire dall'Eucarestia, doveva consumarsi nella Comunione quotidiana e sublimarsi nella istruzione dei contadini e dei braccianti del luogo.
L'idea non poté realizzarsi subito per le vicende politiche dopo l'unità d'Italia del 1866-67.
Si poté attuare il 1° maggio 1868 allorché, sopite le questioni ambientali e burocratiche, Clelia con le sue amiche poterono ritirarsi nella casa cosiddetta del maestro, ove cioè fino allora si erano radunati gli Operai della dottrina cristiana.
Fu l'inizio umile della famiglia religiosa di Clelia Barbieri che i superiori in seguito chiameranno " Suore Minime dell'Addolorata ".
Minime per la grande devozione che la Beata Clelia ebbe al santo Minimo Romito di Paola, S. Francesco, patrono e provvido protettore della nascente comunità; dell'Addolorata, perché la Madonna Addolorata era veneratissima alle " Budrie " e perché era il titolo della Madonna preferito dalla Beata.
Dopo il ritiro delle ragazze nella " Casa del maestro " cominciarono fatti straordinari, come altrettanti attestati della Provvidenza a favore della piccola comunità che altrimenti non avrebbe potuto perseverare. Essi venivano propiziati dalle sofferenze fisiche e morali di Clelia nella notte oscura dello spirito e nelle umiliazioni più incomprensibili da parte di persone che avrebbero dovuto invece comprenderla.
La sua fede però era sempre proverbiale come pure il suo raccoglimento nella preghiera.
Nel ritiro delle " Budrie " si respirava un clima di fede, una vera fame e sete di Dio, un istinto missionario pieno di creatività e di fantasia, affatto poggiato sopra i mezzi organizzativi che mancavano. Clelia ne era l'anima.
Il gruppo iniziale lievitò e attorno a esso anche il numero dei poveri, dei malati, dei ragazzi e ragazze da catechizzare e istruire.
A poco a poco la gente vide Clelia in un ruolo di guida, di maestra nella fede. Cominciarono così, nonostante i suoi 22 anni, a chiamarla " Madre ".
La chiameranno così fino alla morte che avverrà prestissimo.
La tisi che l'accompagnava subdolamente, esplose violenta appena due anni dopo la fondazione.
Clelia morì profetizzando a colei che la sostituirà: " Io me ne vado ma non vi abbandonerò mai ... Vedi, quando là in quel campo d'erba medica accanto alla chiesa, sorgerà la nuova casa, io non ci sarò più... Crescerete di numero e vi espanderete per il piano e per il monte a lavorare la vigna del Signore. Verrà giorno che qui alle " Budrie " accorrerà tanta gente, con carrozze e cavalli... ".
E aggiunse: " Me ne vado in paradiso e tutte le sorelle che moriranno nella nostra famiglia avranno la vita eterna ... ". La morte la colse nella soddisfazione di andare incontro allo Sposo verginale, il 13 luglio 1870.
La profezia di Clelia in morte si è avverata.
La Congregazione delle Suore Minime dell'Addolorata si è sviluppata e si sviluppa. E' diffusa in Italia, in India, in Tanzania. Oggi le suore nell'imitazione della Beata Clelia, in umiltà nel proficuo loro lavoro assistenziale sono intorno alle trecento, divise in 35 case.
Con i suoi 23 anni, al giorno della morte, Clelia Barbieri può dirsi la fondatrice più giovane della Chiesa.

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14/07/2016 07:35
 
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San Ciro di Cartagine Vescovo e martire

14 luglio




Etimologia: Ciro = che ha forza, signore, dal greco


Emblema: Bastone pastorale, Palma








Nel Martirologio Romano, al 14 luglio, si legge questo elogio: "Carthagine sancti Cyri episcopi, in cuius festivitate sanctus Augustinus deeo sermonem ad populum habuit". Prima del Baronio non si trova il nome di questo santo in nessun documento liturgico greco o latino e, anche ora, non sappiamo nulla del tempo in cui visse, delle sue vicende e del genere di morte. Unica fonte è Possidio, il quale nel suo Indiculus ricorda effettivamente un discorso di s. Agostino con queste parole che figurano anche nell'ed. critica del Wilmart: "De depositione Cyri episcopi Carthaginiensis". Di tale discorso, però, oggi non è rimasto nulla. I Bollandisti avanzano cautamente l'ipotesi di un erroneo scioglimento di un'abbreviazione dell'antico testo di Possidio e che, perciò, possa trattarsi di un Quirino, Quiro o, più, possa trattarsi di un Quirino, Quiro o, più probabilmente, di Cipriano.


Autore: Giovanni Siongelli

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15/07/2016 10:05
 
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Beata Anna Maria Javouhey Fondatrice

15 luglio


Jallongers (Francia), 10 novembre 1779 - Parigi, 15 luglio 1851



Fondò a Parigi la Congregazione Cluniacense delle Suore di San Giuseppe, dedicate alla cura degli infermi e alla formazione cristiana della gioventù femminile.

Martirologio Romano: A Parigi in Francia, beata Anna Maria Javouhey, vergine, che fondò la Congregazione Cluniacense delle Suore di San Giuseppe per la cura dei malati e la formazione cristiana della gioventù femminile, diffondendola nelle terre di missione.








Quinta di dieci figli, Anna Maria Javouhey nacque il 10 novembre 1779 a Jallongers vicino Seurre in Francia. A sette anni “Nanette” seguì la famiglia trasferitasi a Chamblanc; nel 1789 fece la Prima Comunione e poté vedere gli sconvolgimenti sociali e la crisi religiosa scaturita in quegli anni, dalla Rivoluzione Francese e con l’imposizione della Costituzione civile del clero, con alcuni ecclesiastici che aderirono e altri no.
Ed è proprio uno di questi, l’abate Ballanche, che col suo apostolato semiclandestino, diventa il suo consigliere e guida; Anna a partire dall’11 novembre 1798, prende ad interessarsi dell’educazione dei fanciulli e con molta premura degli ammalati poveri.
Desiderosa di consacrarsi completamente a Dio, ricerca un Ordine religioso che possa soddisfare la sua vocazione; entra per primo nel noviziato delle Sorelle della Carità, fondate da s. Giovanna Antida Thouret, nel settembre-novembre 1800 a Besançon; poi nel 1803 va in Svizzera ed entra nella Trappa diretta da Agostino de Lastrange.
Ma nel giugno 1804 ritorna a Chamblanc per unirsi a tre sorelle anch’esse desiderose di consacrarsi a Dio; il 14 aprile 1805 giorno di Pasqua, le quattro sorelle fanno benedire ed approvare i loro progetti dal papa Pio VII che era di passaggio a Chalon-sur-Saône, di ritorno da Parigi, dove il 2 dicembre 1804 aveva consacrato Napoleone imperatore.
Così preso coraggio, aprono a Chalon nel 1806, una scuola denominata “Associazione S. Giuseppe”, intanto il 12 dicembre 1806 Napoleone firma l’autorizzazione della piccola Comunità, così nel maggio 1807, le quattro sorelle Javouhey e altre cinque suore, pronunciano i voti nella chiesa di S. Pietro, eleggendo Anna come superiora, la quale aggiunse al suo nome quello di Maria e adotta come abito quello blu delle vignaiole di Borgogna.
Dopo essere stata alloggiata per cinque anni nel vecchio monastero di Autun, l’Associazione S. Giuseppe, si sposta nel giugno 1812 a Cluny nell’ex convento dei Recolletti, vicino alla celebre abbazia di S. Pietro. Da questo luogo la Fondazione, prenderà il nome di Congregazione delle “Suore di S. Giuseppe di Cluny”.
Da lì madre Javouhey intraprenderà altre iniziative di diffusione della Comunità, così il 10 gennaio 1817 le prime quattro suore sbarcano nell’isola Bourbon; re Luigi XVIII intanto conferma l’esistenza della sua Congregazione e le abilita all’insegnamento e all’assistenza ospedaliera.
Dopo aver fondato vari istituti in Francia, madre Anna Maria s’imbarca a Rochefort il 1° febbraio 1823 per raggiungere il Senegal dove fonderà quattro comunità; ritornata in Francia nel 1824, l’operosa superiora si dedica alla redazione degli Statuti dell’Associazione, che saranno approvati nelle varie sedi negli anni 1825, 1827 e 1829.
A lei si rivolse il ministro della Marina Chabrol, per offrirle di ricostituire nella Guyana Francese, l’antica fondazione della “Nouvelle-Angoulême” e madre Javouhey accetta, così il 28 giugno 1828 lascia Brest e sbarca a Cayenna il 10 agosto. Trascorse in quel clima tropicale, cinque anni di sacrifici per ricostituire il centro ed il villaggio di La Massa a 200 km da Cayenna.
Nel 1883 ritorna a Cluny per risolvere delle controversie sorte con il vescovo di Autun sulla giurisdizione della Fondazione; il 26 dicembre 1835 torna in Guyana e là con circa 500 schiavi demaniali liberati, si occupa nuovamente di La Massa, che è divenuto un centro di educazione dei negri, per farli usufruire al meglio della loro libertà e del loro lavoro.
Nel 1843 lascia i suoi amati negri per ritornare in Francia, per trattare i numerosi problemi spirituali, suscitati dalla sua opera; aprì un secondo noviziato a Parigi, che diverrà l’attuale Casa Madre.
Il suo lavoro continuò fino all’esaurimento delle sue forze, finché madre Anna Maria morì a Parigi il 15 luglio 1851e seppellita a Senlis, nella grande cappella della Congregazione. Fu una donna eccezionale, basti pensare che per una donna era una cosa fuor del comune in quei tempi, percorrere 45.000 km attraverso i mari e con i velieri di allora; in anticipo sui tempi, la madre Javouhey lavorò con tutte le sue forze alla promozione umana e cristiana della razza nera, subito capì la necessità di un clero locale, così fece preparare al sacerdozio i primi tre preti senegalesi, ordinati a Parigi nel 1840 e una giovane ex schiava delle Antille, divenne suora della Congregazione e visse e morì nell’isola di S. Lucia nei Carabi.
Ebbe l’intuizione profetica delle Chiese locali, segni visibili dell’universalità della Chiesa; fin dal 1817 mandò le sue figlie in ogni parte del mondo, nonostante le vicende spesso non favorevoli della Storia.
Papa Pio XI le conferì il titolo di “prima donna missionaria” per il suo impegno nell’evangelizzazione delle terre lontane.
Donna dall’intelligenza sorprendentemente pratica, dalla volontà di ferro, dalla forte personalità, è bene descritta da una frase del re di Francia, Luigi Filippo (1835): “La signora Javouhey, ma è un grand’uomo”.
Come ogni fondatore, madre Javouhey ha lasciato alle Suore di S. Giuseppe di Cluny, uno “spirito” ossia il modo di amare Dio e un “progetto particolare” ossia il modo di servire la Chiesa e il mondo; questi due elementi costituiscono il patrimonio di famiglia.
La causa per la sua beatificazione fu introdotta a Roma il 13 febbraio 1908; è stata beatificata il 15 ottobre 1950 in San Pietro da papa Pio XII.


Autore: Antonio Borrelli

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16/07/2016 06:09
 
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Sant’ Antioco Martire

16 luglio




Martirologio Romano: Ad Anastasiopoli in Galazia, nell’odierna Turchia, sant’Antioco, martire, fratello di san Platone.







Santi CIRIACO ed ANTIOCO, martiri in Galazia

La loro passio racconta che il medico Antioco, originario della città di Sebaste e fratello del celebre martire s. Platone, mentre andava curando infermi per le città della Galazia e della Cappadocia, venne arrestato come cristiano dal prefetto Adriano. Sostenne vari tor­menti : posto in una caldaia d'acqua bollente, get­tato in pasto alle fiere, uscì sempre indenne da queste prove e alle sue preghiere caddero infranti gli idoli. Infine, gli venne troncato il capo : dal suo collo uscirono sangue e latte. Alla vista di que­sto miracolo lo speculator Ciriaco si professò cristiano e fu anch'egli immediatamente decapitato.
Questo medesimo racconto troviamo riassunto in altre fonti (nel Sinassario Costantinopolitano al 15, 16 e 17 lugl. e nel Martirologio Romano al 15 lugl.) senza ulteriori particolari, mentre fonti parallele ci permettono, invece, di precisare alcuni dettagli ri­masti incerti. La passio di s. Platone, fratello di An­tioco ci testi­monia che il suo martirio avvenne sotto Massi­miano; Ciriaco e Antioco, quindi, furono probabilmente vitti­me della persecuzione dioclezianea. Per quanto ri­guarda la città di origine, tutti i testi ci danno Antioco come di Sebaste e, tra le sette città di questo nome che conosciamo, gli Ada Sanctorum scelgono quella di Armenia. Senonché le medesime fonti indicano il santo come appartenente alla Galazia : ora è perfet­tamente documentato che anche s. Platone era di Ancira (cf. Martyr. Hieron., p. 390), città della Frigia che però, dopo l'invasione dei Galli, venne a trovarsi in quella parte della Galazia abitata dai Tectosagi e che nell'epoca imperiale ebbe anche il nome di Sebaste dei Tectosagi (cf. Pauly-Wissowa, I, 2, col. 2222). Possiamo quindi ritenere i due martiri Antioco e Ciriaco originari di Ancira, come s. Pla­tone, e possiamo ragionevolmente supporre che in questa città sia avvenuto il loro martirio.
Infine, per quanto riguarda il loro culto abbiamo una testimonianza preziosa nell'antica Vita di s. Teodoro Siceota, del sec. VI, dove si racconta un miracolo avvenuto il 16 lugl. mentre Teodoro celebrava la solenne litur­gia in onore di A. nella chiesa a lui dedicata. Que­sta indicazione ci permette di rettificare le varie da­te dedicate ai due santi nel Martirologio Romano e nei sinassa-ri bizantini e di stabilire che, tra esse, è quella del 16 lugl. la più antica; insieme ci testimo­nia l'esistenza di una chiesa dedicata a s. Antioco nella città di s. Teodoro, cioè in Dara, città della Mesopotamia, che dal 507 era stata chiamata Anastasiopoli.


Autore: Giovanni Lucchesi

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17/07/2016 08:40
 
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San Chenelmo Martire in Inghilterra

17 luglio


m. Gloucester, 812/821

Emblema: Corona, Scettro, Spada, Globo, Palma, Stelo fluorescente, Colomba


Martirologio Romano: Nel monastero di Winchelcumbe nella Mercia in Inghilterra, san Chenelmo, che, principe di Mercia, è ritenuto martire.








Assai difficile è far emergere dall’oblio della storia la figura di questo santo martire. Secondo una leggenda medioevale, quando Kenelm aveva 7 anni suo padre Kenulf (Coenwulf) morì ed il giovane principe si trovò così ad ereditare i troni di Mersia, di Sussex, di Wessex e di East Anglia. Sua sorella Quendreda (Cynefrith o Quoenthryth) pagò il suo tutore, Asceberto, affinchè lo uccidesse nella foresta di Clent ed ella potesse rivendicare il trono. Asceberto eseguì l’incarico, ma quando fu scoperto il corpo senza vita del giovane e fu sepolto a Winchcombe in Glastonbury, numerosi prodigi iniziarono a verificarsi sulla sua tomba.
In realtà le 3 figure sono solamente fittizie, poiché Kenelm non morì a 7 anni. E’ accertato che egli visse almeno sino all’adolescenza e venne poi ucciso durante una battaglia tra l’812 ed l’821. Morendo dunque prima di suo padre non ne avrebbe conseguentemente ereditato il trono.
Nel Medioevo Kenelm fu molto venerato in Inghilterra come santo e martire ed ancora oggi le sue reliquie sono oggetto di venerazione a Gloucester e Winchcombe ove riposano.L’iconografia lo rappresenta come un giovane principe e con in mano uno stelo fluorescente. In alcune immagini è anche presente una colomba con una lettera nella bocca.Il nuovo Martyrologium Romanum lo ricorda così nella tradizionale data del 17 luglio: “A Winchcombe in Mercia, in Inghilterra, ricordo di San Chenelmo, che, principe della Mercia, fu ritenuto martire”.


Autore: Fabio Arduino

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18/07/2016 07:35
 
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San Domenico Nicolao Dinh Dat Martire

18 luglio




Martirologio Romano: Nella città di Nam Định nel Tonchino, ora Viet Nam, san Domenico Nicola Đinh Đạt, martire, che, soldato, costretto a rinnegare la fede cristiana, dopo atroci supplizi calpestò la croce; ma pentitosi subito, per espiare la colpa dell’apostasia, scrisse all’imperatore Minh Mạng di volere essere di nuovo processato come cristiano, morendo infine strangolato.

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20/07/2016 07:49
 
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Sant' Ansegiso di Fontenelle Abate

20 luglio


770 circa - 833







Nacque verso il 770 nel Lionese da famiglia franca di antica nobiltà e nel 788 entrò nel monastero di Fontenelle (S. Vandrille, diocesi di Rouen), dove era abate un suo parente, s. Gervoldo, clic in seguito lo presentò a Carlomagno. Nel Chronicon Fontenellense, da cui traiamo queste notizie, Carlo è chiamato re e non imperatore: l'incontro avvenne, dunque, prima dell'800 e in quell'epoca Ansegiso ricevette da Carlo l'incarico di amministrare il monastero di S. Sisto, presso Reims, e quello di S. Memmio, a Châlons. Nell'807 Ansegiso fu eletto abate di S. Germer-de-Fly e nello stesso tempo Eginardo lo nominò exactor operum regalium, cioè direttore delle fabbriche reali e amministratore del fisco, affidandogli numerose missioni diplomatiche.
Nell'817 Ludovico il Pio nominò Ansegiso abate di Luxeuil e nell'823 abate di Fontenelle in sostituzione di Eginardo. Pur accumulando su di sé queste importanti cariche, Ansegiso si adoperò instancabilmente per ottenere il ritorno all'osservanza nei monasteri franchi e soprattutto restaurò moralmente e materialmente Fontenelle, arricchendone la biblioteca e promuovendo l'attività dello scriptorium. Nel quadro di quest'opera di organizzazione si inserisce la più antica raccolta dei capitolari carolingi, i Libri IV Capitularium, raccolti e pubblicati da Ansegiso a Foutenelle nel gennaio dell'827 e che abbracciano gli anni 787-826. La collezione comprende quattro libri e i capitolari importanti sono ordinati secondo il contenuto e secondo la data di pubblicazione, mentre quelli imperfetti o ripetuti trovano posto in tre appendici. L'opera è così divisa: il primo libro comprende i capitolari ecclesiastici di Carlomagno; il secondo quelli di Ludovico il Pio sullo stesso argomento; il terzo quelli di Carlo Magno in materia civile; il quarto quelli di Ludovico il Pio pure in materia civile.
J. Du Tillet nel 1548, a Parigi, pubblicò per la prima volta i libri, ma in edizione incompleta e in seguito l'opera di Ansegiso comparve nei Monumenta Germaniae Historica e nella Patrologia Latina PL.
Ansegiso, colpito da paralisi, morì nell'833 dopo aver nominato suo esecutore testamentario il vescovo di Beauvais, Ildermano.
La sua festa si celebra il 20 luglio.


Autore: Charles Lefebvre

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21/07/2016 05:43
 
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San Daniele Profeta

21 luglio




Daniele, l'ultimo dei quattro profeti detti maggiori, giudeo, nato probabilmente a Gerusalemme da famiglia nobile, forse imparentata coi re di Giuda, fu deportato a Babilonia tra il 606-605 a.C. Qui fu scelto con altri tre giovani nobili giudei (Anania, Azaria e Misaele) per essere ammesso alla corte del re, per assolvere incarichi ufficiali onorifici. Daniele colpì il re grazie alla sua intelligenza e rettitudine, tanto che fu nominato principe di Babilonia e prefetto su tutti i sapienti del regno. Alla corte babilonese Daniele si distinse come oracolo potente e giudice giusto, durante la sua vita ebbe numerose e sconvolgenti visioni e operò segni grandiosi nel nome del Dio dei giudei, che grazie a lui venne riconosciuto con regio decreto come l'unico Dio vero, capace di salvare coloro che credono in lui. Daniele, sopravvissuto al crollo dell'impero neo-babilonese (539-38), da lui stesso profetizzato dopo una visione, vide ancora i primi anni del nuovo impero persiano prima della morte in vecchiaia. (Avvenire)

Etimologia: Daniele = Dio è il mio giudice, dall'ebraico




Ascolta da RadioVaticana:




Non esiste ragione fondata per dubitare dell'esistenza storica di Daniele e dei fatti e delle visioni a lui attribuite, sia che si ammetta essere Daniele stesso all'origine delle tradizioni orali o scritte, raccolte dal redattore del sec. II, sia che si preferisca un'origine alquanto posteriore, ma sempre vicina alle tradizioni e ai tempi di Daniele (sec. VI). Lasciando come dubbia, o almeno non dimostrata, l'identità del profeta col Daniele di Ez. (14,14,20; 28,3), nominato tra Noè e Giobbe e lodato per la sua giustizia e sapienza, limitiamoci alle notizie del libro.
Daniele, l'ultimo dei quattro profeti detti maggiori, giudeo, nato probabilmente a Gerusalemme da famiglia nobile, forse imparentata coi re di Giuda, fu deportato a Babilonia da Nabucodonosor, insieme con altri giovani dello stesso rango sociale, nell'anno terzo o quarto di Ioakin, re di Giuda, cioè il 606-605 a.C.
A Babilonia fu scelto con altri tre giovani nobili giudei (Anania, Azaria e Misaele) per essere ammesso, dopo una conveniente preparazione di tre anni nella lingua e negli usi dei Caldei, alla corte del re, per assolvere incarichi ufficiali onorifici. Secondo l'uso, fu loro cambiato il nome: a Daniele, che poteva avere allora dai quindici ai venti anni, si diede quello di Baltassar. Con i suoi compagni fu presentato al re al quale fece ottima impressione, non solo per la sua prestanza fisica (conservata malgrado l'astinenza dal vino, dalla carne, e da altri cibi prelibati che gli venivano offerti dalla mensa del re e che egli, per amore della Legge, gentilmente rifiutava), ma soprattutto per le doti di spirito che in lui il re poté ammirare quando, avendolo esaminato, trovò scienza e intelligenza dieci volte superiori a quelle di tutti i suoi magi e indovini (Dan. 1, 20). Ammesso pertanto alla corte, dopo che ebbe dato saggi non equivocabili, anzi, sbalorditivi, della sua rettitudine, fu fatto principe di Babilonia e prefetto su tutti i sapienti del regno; dietro sua richiesta, anche i compagni (Anania, Azaria e Misaele) ebbero posti onorevoli e cariche di responsabilità nella provincia, mentre egli rimaneva a palazzo presso il re (Dan. 2, 46-49).
Il primo saggio della sua probità e saggezza sembra sia stato dato da Daniele nella causa di Susanna: ella fu sottratta alla morte a cui era stata ingiustamente condannata, e la sentenza si ritorse contro i due giudici disonesti dopo che essi erano stati convinti pubblicamente da Daniele della loro falsa testimonianza contro l'innocente. Daniele è presentato in questo episodio in giovane età (Dan. 13, 45), circostanza che rende tanto più ammirevole la sua maturità di giudizio, in contrasto con la fatuità e corruzione dei due giudici anziani. Come questo suo intervento nel caso di Susanna gli acquistò fama presso il suo popolo, cioè gli esuli giudei, il cui numero era nel frattempo aumentato con la seconda deportazione del 598, così l'interpretazione del sogno di Nabucodonosor sulla grande statua plurimetallica, abbattuta dalla piccola pietra staccatasi dal monte, lo rese celebre tra i babilonesi e onorato della piena fiducia del re tra i principi della corte. Il Dio d'Israele è glorificato come Dio sommo, che solo ha la sapienza delle cose occulte e la comunica ai suoi servi fedeli, come Daniele (Dan. 2, 47).
Era l'anno dodicesimo di Nabucodonosor (=593), quando Daniele, allora tra i ventisette e i trent'anni, si affermò quale oracolo di Dio, favorito dalla scienza dei segreti, superiore di gran lunga a quella di tutti i magi, indovini, saggi e caldei di Babilonia. Egli non fu coinvolto nell'accusa dei babilonesi mossa contro i suoi tre compagni, Anania, Misaele e Azaria, per non aver voluto adorare la statua del re, ma la pena della fornace ardente, loro inflitta, dovette affliggerlo grandemente, vedendo che quello stesso ufficio onorifico di prefetto della provincia di Babilonia, concesso loro dal re per sua mediazione (Dan. 2, 49), era stato occasione di disgrazia: tuttavia l'esito felice di quella prova mutò la tristezza in gaudio e poiché i suoi compagni, scampati al fuoco, riebbero le loro cariche (Dan. 3, 97), il Dio di Israele fu riconosciuto con regio decreto come l'unico Dio vero, capace di salvare coloro che credono in lui (Dan. 3, 96).
Pochi anni dopo Daniele interpretò un altro sogno di Nabucodonosor, quello del grande albero rigoglioso, abbattuto e reciso, che risorse dalle radici con la magnificenza di prima. Daniele, chiamato dal re, gli spiegò il senso di quel sogno, invano cercato dai sapienti: l'albero è simbolo dello stesso re, che per la sua superbia sarà privato della gloria regia e ridotto allo stato umiliante di una bestia fino a che non riconoscerà che l'Altissimo detiene il dominio sul regno degli uomini e lo dà a chi vuole (Dan. 4, 21 sg.). Per mitigare alquanto questo annunzio così severo e terrificante Daniele, da buon amico, consiglia al re di procacciarsi la divina clemenza con opere buone e con la pietà verso i poveri (Dan. 4, 24).
Nuova prova dello spirito di sapienza ricevuto da Dio la diede Daniele nello svelare il senso delle enigmatiche parole Mane' Thecel, Phares nella cena di Baltassar, il quale nella lunga assenza di suo padre Nabonide, ne teneva le veci a Babilonia: questa cena di gala con tutti i principi e dignitari di corte, con le mogli e concubine, era un affronto alla religione dei giudei, in quanto in essa si faceva uso dei vasi sacri del Tempio di Gerusalemme. L'orgia si arrestò, però, alla vista della mano misteriosa che scriveva sul muro segni ignoti. I sapienti, magi e indovini, chiamati dal re, non furono capaci di decifrare la scrittura. Allora, su consiglio della regina, fu introdotto Daniele, che dopo aver rifiutato i sommi onori e i regali che il re gli prometteva, lesse e interpretò le fatidiche parole, che contenevano la sentenza di Dio sulla fine di Baltassar e del suo impero, sentenza che si compì quella stessa notte, subentrando l'impero persiano a quello babilonese (538).
Le visioni profetiche, sia quelle coi tratti apocalittici di bestie simboliche, raffiguranti i diversi regni della terra fino all'avvento del Regno di Dio (capp. 7-8), il cui tempo è approssimativamente indicato (cap. 9), sia quelle che, senza simboli, parlano direttamente degli stessi regni e dei loro re, senza però nominarli (capp. 10-11), e quella ultima che annunzia la fine dei tempi (cap 12), sono tutte messe in bocca a Daniele che parla in prima persona e riceve da un angelo (Gabriele) la spiegazione delle visioni avute.
Per muovere Dio a clemenza, Daniele affligge se stesso col digiuno. indossa gli abiti di penitenza e confessa i peccáti suoi e quelli del popolo, riconoscendo la giustizia di Dio in tutto quel che si patisce. Implora misericordia, pregando Dio di affrettare il suo aiuto, per amore del suo santuario, che da tanto tempo è desolato, e per riguardo a se stesso, fedele alle sue promesse. In risposta alla sua accorata preghiera, Dio gli manda l'angelo Gabriele con un messaggio di consolazione.
Daniele, sopravvissuto al crollo dell'impero neo-babilonese (539-38), vide ancora i primi anni del nuovo impero persiano: la sua ultima visione è datata dall'anno terzo di Cliro (536), quando egli, nato verso il 620, era già più che ottantenne. I Greci, presso i quali la festa è al 17 dicembre, lo ricordano insieme con altri santi dell'Antico Testamento la domenica precedente al Natale.


Autore: Teofilo Garcia de Orbiso

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22/07/2016 07:30
 
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San Filippo Evans Martire

22 luglio


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Nato a Monmouth (Galles) nel 1645, gesuita dall'8 settembre 1665. Dopo aver studiato nel collegio di Saint Omer, fu ordinato sacerdote nel 1675 e subito inviato come missionario nel Galles meridionale. Conosciuto per la sua fede, le autorità gallesi chiusero gli occhi sul suo fervido apostolato, ma quando la pseudo-congiura di Titus Oates scatenò una nuova ondata di persecuzione, la situazione di Evans si fece pericolosa e sulla sua testa fu posta una taglia. Consigliato a cambiare distretto, non volle abbandonare il suo gregge; per tradimento fu arrestato il 2 dicembre 1678 e chiuso nella prigione del castello di Cardiff. Avrebbe potuto uscirne libero, se avesse prestato il giuramento di fedeltà e di supremazia del re anche in materia religiosa, ma non accettò, protestando la sua fedeltà al Papa come capo unico della religione cattolica. Tornato in carcere, baciò le catene che lo stringevano, sorrise agli esecutori degli ordini ingiusti e si proclamò felice di portare le insegne del suo Maestro divino. Il 22 luglio 1679 fu impiccato e squartato a Cardiff. Fu proclamato beato il 15 dicembre 1929 da Papa Pio XI. (Avvenire)

Etimologia: Filippo = che ama i cavalli, dal greco


Emblema: Palma


Martirologio Romano: A Cardiff in Galles, santi Filippo Evans, della Compagnia di Gesù, e Giovanni Lloyd, sacerdoti e martiri, che sotto il re Carlo II furono impiccati nello stesso giorno per aver esercitato il loro sacerdozio in patria.







Nato a Monmouth (Galles) nel 1645, gesuita l'8 settembre 1665. Dopo aver studiato nel collegio di Saint Omer, fu ordinato sacerdote nel 1675, e tosto inviato come missionario nel Galles meridionale. Quantunque conosciuto per quello che era, le autorità chiusero gli occhi sul suo fervido apostolato, ma quando la pseudo-congiura di Titus Oates scatenò una nuova ondata di persecuzione, la situazione dell'Evans si fece pericolosa e sulla sua testa fu posta una taglia. Consigliato a mutare distretto, non volle abbandonare il suo gregge; per tradimento di chi gli si diceva amico, fu arrestato il 2 dicembre 1678 e chiuso nella prigione del castello di Cardiff. Avrebbe potuto uscirne libero, se avesse prestato il giuramento di fedeltà e di supremazia del re anche in materia religiosa, ma non accettò, protestando la sua fedeltà al papa come capo unico della religione cattolica: il processo, quindi, tenuto il 3 maggio del 1679, fu breve, non avendo egli negato di essere sacerdote e di avere esercitate le funzioni del suo ministero.
Tornato in carcere, baciò le catene che lo stringevano, sorrise agli esecutori degli ordini ingiusti e si proclamò felice di portare le insegne del suo Maestro divino. Poiché l'ordine di esecuzione della sentenza capitale tardava a giungere, gli fu concesso qualche svago nel cortile della prigione, l'uso di un'arpa con cui accompagnare i suoi canti di ringraziamento a Dio per la sua sorte felice e la licenza di ricevere e confortare i cattolici che accorrevano numerosi a visitarlo. Finalmente, il 21 luglio giunse la notizia che l'esecuzione era fissata per il giorno seguente e il martire l'accolse continuando il gioco cui era intento. L'impiccagione o lo squartamento ebbero luogo a Cardiff il 22 luglio 1679. Fu beatificato il 15 dicembre 1929.


Autore: Celestino Testore

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23/07/2016 07:21
 
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Beato Cristino Adalberto (Krystyn Wojciech) Gondek Sacerdote e martire

23 luglio


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Slona, Polonia, 6 aprile 1909 – Dachau, Germania, 23 luglio 1942

Il beato Krystyn Wojciech Gondek, sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori, nacque a Slona, Polonia, il 6 aprile 1909. Dal paese natio, occupato dai nemici della dignità umana e della religione, fu deportato e rinchiuso nel campo di prigionia di Dachau per la sua fede in Cristo. Qui conseguì tra molte sofferenze la corona gloriosa del martirio il 23 luglio 1942. Fu beatificato da Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999.

Etimologia: Adalberto = di illustre nobiltà, dal tedesco


Martirologio Romano: A Dachau vicino a Monaco di Baviera in Germania, beato Cristino Gondek, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori e martire, che, durante l’occupazione dalla Polonia sotto un regime contrario alla dignità umana e alla religione, fu deportato per la fede in Cristo nel campo di prigionia e, sottoposto a tortura, conseguì la gloriosa corona del martirio.







Wojciech Gondek nacque a Slona, diocesi di Tarnow, il 6 aprile 1909. Entrò tra i Frati Minori nella Provincia di Santa Maria degli Angeli nel 1928. Emise poi la professione temporanea il 26 agosto 1929 a quella solenne il 18 aprile 1933, assumendo il nome di Krystyn. Ordinato presbitero il 21 giugno 1936, a Wloclaweck ricoprì gli uffici di confessore e predicatore sino al 1938. Fu dunque anche eletto vicario della Fraternità. Dal 1939 fino al momento dell’arresto assunse inoltre la cura pastorale dell’intera città, essendo stati imprigionati tutti i sacerdoti, compreso il parroco della cattedrale.
Fu poi anch’egli arrestato il 26 agosto 1940 per essere deportato nel campo di concentramento di Sachsenhausen, nei pressi di Berlino. Il 12 dicembre successivo fu però trasferito a Dachau, dove morì, a seguito degli stenti patiti, il 23 luglio 1942. Il suo corpo fu bruciato nel crematorio del campo e le sue ceneri vennero disperse.
Giovanni Paolo II lo beatificò a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi, tra i quali figurano quattro altri suoi confratelli. In data odierna è commemorato dal nuovo Martyrologium Romanum nell’anniversario del suo glorioso martirio.


Autore: Fabio Arduino

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POTRESTE AVERE DIECIMILA MAESTRI IN CRISTO, MA NON CERTO MOLTI PADRI, PERCHE' SONO IO CHE VI HO GENERATO IN CRISTO GESU', MEDIANTE IL VANGELO. (1Cor. 4,15 .
 
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