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CREDENTI DA IMITARE (Eb.13,7)

Ultimo Aggiornamento: 18/05/2019 13:12
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14/04/2015 08:02
 
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Sant' Alfonso da Siviglia Religioso mercedario

14 aprile


† Lérida, Spagna, 1495

Nato in Andalusia (Spagna), da una famiglia molto devota, Sant’Alfonso da Siviglia, ebbe un’educazione cristiana che lo portò in seguito ad entrare nel convento mercedario di Siviglia. Religioso umilissimo, fu alla guida di alcuni tra i più modesti conventi dell’Ordine come Uncastillo e Sanguesa. Re Giovanni II°, mediante una cedola del 5 febbraio 1472, nel concedergli pieno potere sul paese di Sanguesa, lo definì “onesto e religioso, fedele e bene amato”. Dopo una vita tutta dedita al Signore, un giorno, mentre stava recandosi a Barcellona, morì santamente lungo la strada nelle vicinanze di Lérida, pregando davanti ad una grande croce. Era l’anno 1495, il suo corpo fu sepolto nella vecchia cattedrale di Lérida.
L’Ordine lo festeggia il 14 aprile.

Etimologia: Alfonso = valoroso e nobile, dal gotico

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15/04/2015 08:10
 
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Sante Anastasia e Basilissa Martiri

15 aprile


m. Roma, 68 circa

Etimologia: Anastasio = risorto, dal greco; Basilissa = regina, dal greco


Emblema: Palma








Le sante Anastasia e Basilissa, nobili matrone romane, furono discepole dei Santi apostoli Pietro e Paolo, dei quali ebbero il singolare incarico e privilegio di seppellirne i corpi martoriati.
Persistettero costanti nella professione della loro fede e, dopo esser stata loro tagliata la lingua ed essere state percosse con la spada, conseguirono anch’esse la corona del martirio sotto l’imperatore Nerone, attorno all’anno 68.
I resti delle due gloriose martiri, secondo il Diario Romano del 1926, sarebbero ancora oggi custoditi in Santa Maria della Pace.
Il Martyrologium Romanum nelle passate edizioni ricordava le sante Anastasia e Basilissa al 15 aprile, ma le ultime riforme in materia hanno accomunato tutti i primi martiri cristiani di Roma in un’unica commemorazione posta al 30 giugno.


Autore: Fabio Arduino

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16/04/2015 10:01
 
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Beato Arcangelo Canetoli Sacerdote

16 aprile


Bologna, 1460 - Gubbio, 16 aprile 1513

Arcangelo Canetoli, nato a Bologna nel 1460, subì le amare vicissitudini della rivalità fra i Canetoli e i Bentivoglio. Ancora fanciullo sopravvisse provvidenzialmente allo sterminio dell’intera famiglia. Da giovane entrò fra i Canonici Regolari di Santa Maria di Reno, detti “renani”. Per l’estrema umiltà e l’amore alla solitudine ricusò a lungo ogni dignità ecclesiastica e solo per obbedienza accettò l’ordinazione presbiterale. Dal 1498 dimorò nel convento di sant'Ambrogio di Gubbio, amato e venerato dagli umili e dai potenti, fra cui gli Acquisti di Arezzo e i Medici di Firenze. Rifiutò con costanza la nomina ad arcivescovo della Città Medicea propostagli da papa Leone X. Morì il 16 aprile 1513 e il corpo incorrotto è tuttora venerato nel suo monastero di Gubbio.








Arcangelo nacque poco verso il 1460 da una delle più nobili famiglie di Bologna: i Canetoli. Essi erano ritenuti i responsabili della morte di Annibale Bentivoglio ed in questo clima di lotte fratricide si colloca l’episodio del loro sterminio. Scomparvero così il padre e tutti i fratelli di Arcangelo e solo quest’ultimo, ancora fanciullo, riuscì a salvarsi grazie a circostanze fortuite.
Il 29 settembre 1484 vestì l’abitò della congregazione dei Canonici Regolari di Santa Maria di Reno, detti “renani”, nel convento del Santissimo Salvatore di Venezia. Qui gli fu affidato l’incarico dell’accoglienza dei pellegrini ed in alcuni di essi gli capitò talvolta di riconoscere gli assassini dei suoi familiari. Seppe sempre, però, dominare eroicamente il suo desiderio di vendetta.
Estremamente umile ed amante della solitudine, rifiutò a lungo qualsiasi dignità ecclesiastica ed infine accettò l’ordinazione presbiterale solo per senso di obbedienza.
Trascorse diversi anni girovagando tra vari monasteri veneti appartenenti alla sua congregazione: Sant’Antonio, dove un Catalogo dei Canonici Regolari del 1485 lo qualificò “Archangelum Christophori” in contrasto con la Vita che lo vuole figlio di Faccio, Santisimo Salvatore e nuovamente Sant’Antonio. Nel 1498 chiese ed ottenne il trasferimento nel monastero di Sant’Ambrogio di Gubbio, desideroso di dedicarsi ad una fervida vita contemplativa. Tuttavia, per qualche tempo dovette fare ritorno al Santissimo Salvatore verso il 1505. In seguito ricevette la nomina a vicario di San Daniele in Monte presso Padova, ove rimase sino al 1509, quando decise di tornare alla vita eremitica a Gubbio. Qui si diffuse sempre più la sua fama di santità e fu amato e venerato sia dagli umili che dai potenti, fra cui gli Acquisti di Arezzo, i duchi di Urbino ed i Medici di Firenze. Ai duchi di Urbino il Canetoli predisse alcuni avvenimenti futuri, ma anche a Giuliano de’ Medici esule ad Urbino ebbe modo di preannunziare il ritorno nella sua città con tutti gli onori. Il principe toscano non dimenticò questa profezia e, non appena poté rientrare a Firenze e suo fratello Giovanni fu eletto papa col nome Leone X, si attivò per ricompensare l’umile eremita di Gubbio offrendogli la cattedra episcopale fiorentina. Ma Arcangelo rifiutò categoricamente e si limitò a chiedere che al monastero di Sant’Ambrogio fossero concesse particolari indulgenze. Durante il viaggio di ritorno da Firenze il beato fu colto da una febbre tanto alta da non permettergli di proseguire il suo viaggio oltre Castiglione Aretino. Dovette così fermarsi presso la famiglia Acquisti che, in seguito alla morte di un familiare di Gubbio, fece ritorno nella città. Malgrado le premurose cure che gli furono riservate, Arcangelo CAnetoli morì santamente il 16 aprile 1513. Il 3 dicembre dello stesso anno, il suo corpo fu traslato nella chiesa del Monastero di Sant’Ambrogio in Gubbio, ove ancora oggi è conservato incorrotto.
Il cardinale Prospero Lambertini, testimone oculare della diffusione del suo culto, divenuto papa col nome di Benedetto XIV, il 2 ottobre 1748 decretò l’ufficialità del titolo di “beato” attribuitogli e concesse la Messa e l’Ufficio propri sia per la sua congregazione che per l’arcidiocesi nativa.
La principale fonte di notizie circa l’esistenza terrena del Beato Arcangelo Canetoli consiste in una sua biografia redatta da un suo confratello una ventina di anni dopo la sua morte, specificando accuratamente la provenienza di quasi tutte le singole informazioni. Nel gennaio 1772 fu aggiunta anche un’appendice contenente i resoconti delle grazie attribuite alla sua potente intercessione.
Per comprendere pienamente la santità e la personalità del Beato Arcangelo Canetoli occorre conoscere il periodo in cui visse tale uomo. In tal caso si potrà allora affermare, come riporta una sua Vita pubblicata nel 1913, che “la santità è come una luce che risplende sempre e dovunque, ma che è tanto più bella quanto più profonde sono le tenebre in cui apparisce”.


Autore: Fabio Arduino

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17/04/2015 08:44
 
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Sant’ Acacio di Militene Vescovo

17 aprile


† 435 circa

Etimologia: Acacio = Acazio, Achazia "il Signore tiene", dall'ebraico


Martirologio Romano: A Melitene nell’antica Armenia, sant’Acacio, vescovo, che, per aver difeso la retta fede nel Concilio di Efeso contro Nestorio, fu ingiustamente deposto dalla sua sede.







L’anacoreta Sant’Eutimio narra che Acacio era lettore presso la chiesa di Melitene in Armenia. Nato da una ricca famiglia ed educato da insigni maestri e letterati, il vescovo Otrea lo nominò precettore dello stesso Eutimio, poi autore della “passio” del santo. Prima del Concilio di Efeso (431), al quale prese parte militando fra gli antinestoriani, Acacio fu elevato all’episcopato. Il santo vescovo era legato da amicizia a Nestorio, ma era però evidente come le posizioni di Cirillo d’Alessandria fossero dettate da piena aderenza all’ortodossia piuttosto che dall’antica rivalità fra la sede di Alessandria e quelle di Costantinopoli ed Antiochia. Acacio ebbe comunque anche da ridire circa le ambigue posizioni tenute da Giovanni di Antiochia.
Acacio fu prescelto insieme ad altri sette per essere legato presso l’imperatore Teodosio II e riferirgli circa le mene degli antiocheni, che a loro volta non esitarono a respingere e rivolgere le medesime accuse allo stesso Acacio. In realtà questi mantenne sempre una chiara opposizione alle teorie nestoriane e, per aver partecipato alla consacrazione del successore di Nestorio alla sede costantinopolitana, Giovanni di Antiochia lo fece deporre da Melitene. Quest’ultimo si riconciliò infine con Cirillo d’Alessandria, ma Acacio mantenette una posizione di aperta intransigenza.
Verso il 435, l’ex-vescovo di Melitene continuava a lamentare la velenosa sopravvivenza dell’eresia nestoriana, ufficialmente tramontata e decise di combattere Teodoro di Mopsuestia, appoggiato da Rabbula di Edessa, inviando lettere ai vescovi d’Armenia circa la condotta da tenere. Pare che comunque il santo non partecipò alle controversie monofisite. Secondo Filartete, vescovo di Cernicov, Acacio sarebbe morto nel 435, ma probabilmente anche più tardi, ma in ogni caso prima del 449, quando salì sulla cattedra episcopale di Melitene il suo successore Costantino. Nel 449 al concilio di Melitene Sant’Acacio fu commemorato quale “nostro padre e nostro dottore”.


Autore: Fabio Arduino

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18/04/2015 07:15
 
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Beato Andrea da Montereale

18 aprile


Mascioni (L'Aquila), 1402/04 - Montereale, 18 aprile 1479

Nato a Mascioni (L'Aquila) da una modesta famiglia intorno al 1403, a quattordici anni entrò nel vicino monastero degli agostiniani di Montereale. Nel 1431 fu studente di teologia a Rimini, e negli anni successivi a Padova e Ferrara, ottenendo prima i gradi scolastici di lettore e baccelliere e poi quello di maestro in sacra teologia. Nel 1453 e nel 1471 fu eletto provinciale dell'Umbria. In più occasioni il generale dell'Ordine lo nominò suo vicario per ristabilire l'osservanza nei conventi di Norcia, di Amatrice e di Cerreto di Spoleto. Superate alcune incomprensioni e ingiuste accuse che lo spinsero a lasciare gli incarichi il beato Andrea nel 1471 fu eletto di nuovo provinciale. Trascorse gli ultimi anni della sua vita nel convento di Montereale, dove morì nell'aprile del 1479 e dove, nella chiesa che fu dell'Ordine, si venerano le sue spoglie mortali. Il suo culto fu approvato da Clemente XIII l'11 maggio 1764. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Montereale in Abruzzo, beato Andrea, sacerdote dell’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino, che si dedicò alla predicazione in Italia e in Francia.







Nato a Mascioni (L'Aquila) da una modesta famiglia intorno al 1402/04, a quattordici anni entrò nel vicino monastero degli agostiniani di Montereale. Nel 1431 fu studente di teologia a Rimini, e negli anni successivi a Padova e Ferrara, ottenendo i gradi scolastici di lettore e baccelliere. Nel 1438 fu inviato in studio et universitate Senensi per spiegare i libri delle Senteme, e in seguito gli fu concesso il titolo di maestro in sacra teologia.
Nel 1453 e nel 1471 fu eletto provinciale dell'Umbria. Unitamente ai suoi impegni di governo e d'insegnamento dovette svolgere altri delicati compiti, giacché per la sua comprovata rettitudine in più occasioni il Padre Generale dell’Ordine lo nominò suo vicario per ristabilire l’osservanza nei conventi di Norcia, di Amatrice e di Cerreto di Spoleto. L'esercizio di questo incarico di riformatore gli cagionò non poche sofferenze e incomprensioni.
Essendo priore e reggente dello studio di Siena, rinunziò ai due uffici probabilmente a causa delle accuse che alcuni religiosi inviarono a Roma contro di lui. Ignoriamo il risultato della verifica che seguì, ma ci è pervenuto il giudizio del Padre Generale Massari da Cori, Preside nel 1463 dello Studio di Perugia, il quale scrisse che Andrea sopportando le ingiustizie e mostrando sempre pazienza “maximum ostendit exemplum sanctitatis”. I fatti posteriori confermano questo elogio giacché, nel 1471 fu eletto di nuovo Provinciale e mantenne la stima e la fiducia dei superiori maggiori dell'Ordine, che continuarono a servirsi di lui per promuovere la regolare osservanza.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita nel convento di Montereale, dove morì nell’aprile del 1479 e dove, nella chiesa che fu dell'Ordine, si venerano le sue spoglie mortali. Tra le festività locali legate alla sua memoria spicca tuttora quella celebrata il 13 di settembre, giorno in cui nel 1691 elevò la destra dalla tomba a protezione del paese dal terremoto.
Il suo culto fu approvato da Clemente XIII l’ 11 maggio 1764.
La sua memoria liturgica ricorre il 18 aprile.


Autore: P. Bruno Silvestrini O.S.A.

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19/04/2015 08:57
 
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Beato Bernardo di Sithiu Penitente

19 aprile


† 19 aprile 1182

Martirologio Romano: Presso il monastero di Saint-Bertin nel territorio di Thérouanne in Francia, transito del beato Bernardo, penitente, che, desideroso di espiare i peccati della sua giovinezza con un’austera penitenza, scelse spontaneamente l’esilio e, scalzo, con indosso vesti di lana e contento solo di un parco vitto, fu instancabile pellegrino presso i luoghi sacri.







Le poche notizie pervenuteci circa la vita del Beato Bernardo di Sithiu sono quelle tramandate negli scritti di Giovanni di Sithiu, abate nel 1187, fonte di interesse e valore straordinari per approfondire la conoscenza del personaggio. I Bollandisti menzionano inoltre una lettera dell’ottobre 1170 con la quale l’arcivescovo di Narbona condannò Bernardo all’espiazione. Ci è stato inoltre tramandato l’Ufficio composto in suo onore ed in un inventario del 1465 i suoi resti sono citati quli “reliquie di s. Bernardo penitente”.
Tutti questi documenti e testimonianze fanno dedurre che Bernardo di Maguellone, in seguito ad un omicidio, fu condannato a compiere un pellegrinaggio di espiazione. Dopo aver vagato in lungo e in largo per molto tempo, si stabilì infine nei pressi dell’abbazia di Sithiu, ove per quattro anni visse nella miseria e nelle privazioni, morendo infine il 19 aprile 1182. La fama di santità che si guadagnò in vita fu poi confermata dopo la morte da numerosi miracoli verificatisi sulla sua tomba.


Autore: Fabio Arduino

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20/04/2015 08:15
 
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Beato Alfonso da Oria Francescano

20 aprile


m. 1479

Etimologia: Alfonso = valoroso e nobile, dal gotico








Francescano, morto ottuagenario, nel 1479, "non sine snctitatis opinione", nel convento di Santa Maria di Mosteiro, nella diocesi di Tuy in Spagna, dove fu sepolto.
La sua festa si celebra il 20 aprile.


Autore: Germano Cerafogli

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21/04/2015 08:01
 
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Sant' Anastasio il Sinaita

21 aprile


m. 700 circa

Martirologio Romano: Sul monte Sinai, sant’Anastasio, egúmeno, che difese instancabilmente la retta fede contro i monofisiti e scrisse molti sermoni utili alla salvezza delle anime.








Nel Menologio dell'imperatore Basilio, al 20 aprile, è menzionato Anastasio che, vinto dall'amore di Cristo, lasciò il mondo e, recatosi prima a Gerusalemme, si ritirò poi sul Monte Sinai, dove visse umilmente fino alla morte, dopo aver guidato molti anacoreti sulla via della virtù: quest'elogio è passato nel Sinassario Costantinopolitano al 21 aprile. Nei Menei Anastasio è ricordato con questo distico, indice della sua fama e della sua sapienza: («Anastasio novello Mosé sul Sinai, si meritò di veder Dio prima ancora di essere morto»).
La vita di Anastasio, sacerdote ed egumeno, polemista ed esegeta, ci è quasi del tutto sconosciuta, anche perché qualsiasi notizia deve essere accettata con molta cautela per le frequenti confusioni con i numerosi omonimi, alcuni dei quali anche sinaiti, vissuti come lui tra il sec. VII e l'VIII. Di certo si sa che Anastasio fu ad Alessandria prima del 640, e poi tra il 678 e il 689, sotto il patriarca Giovanni III, monofisita, e sappiamo ancora che vent'anni dopo il III Concilio Costantinopolitano (680-681) egli viveva ancora. Nella sua strenua lotta contro tutte le eresie del tempo, nestorianismo, monofisismo. monotelismo, Anastasio scrisse numerose opere di polemica e di esegesi, di cui la più importante è La guida o Viae dux adversus acephalos in 24 capitoli, a difesa dell'ortodossia contro il monofisismo. Quest'opera scritta in pieno deserto ca. nel 685, è ricca di citazioni patristiche che però, essendo affidate solo alla memoria, sono spesso false. Nella guida Anastasio cita altri suoi lavori, di cui noi però conosciamo solo il titolo: Syntagma contro Nestorio, Tomo apologetico rivolto al popolo, Tomo dommatico e Syntagma contro i giudei. Il cardinal Mai attribuì ad Anastasio la disputatio adversus Judaeos , ma essa, essendo stata scritta circa 800 anni dopo la distruzione di Gerusalemme, non è da ascriversi al Sinaita. J. B. Pitra ha pubblicato (Iuris ecclesiastici Graecorum historia et monumenta, Roma 1868, pp. 257-74) due opuscoli autentici di Anastasio in cui si parla già del monotelismo. Come esegeta Anastasio scrisse un Commentario dell'Esamerone in 12 libri, di cui solo l'ultimo è pubblicato nel testo originale, teso a interpretare allegoricamente tutto il Genesi in funzione di Cristo e della Chiesa. A questa opera, e precisamente al libro VI che tratta della somiglianza dell'uomo con Dio, sono da ricondursi alcuni frammenti, in cui una storia del monotelismo dalle origini al 700. Riguardo alle Domande e risposte, 154 quesiti a cui si dà risposta fondandosi sulla Sacra Scrittura e sulla Patristica, è da dire che il nucleo principale appartiene ad Anastasio, anche se la raccolta, nella forma in cui ci è pervenuta non è da ascriversi a lui.
Dei sermoni che Anastasio scrisse, cinque ne sono stati pubblicati, e cioè: Sul Salmo VI, di cui abbiamo anche la versione siriaca e araba; Intorno alla Messa e alla Comunione; Sui defunti; Sulla bestemmia, di cui ci resta solo un frammento edito da Papadopoulos Kerameus ; Per il Venerdì Santo, di cui si ha anche una traduzione araba e che è stato pubblicato nella traduzione tedesca da Scheicho. Ancora non è stato pubblicato il sermone Sulla discesa dell'anima di Cristo all'Inferno di cui esiste una traduzione siriaca
La festa di Anastasio si celebra il 21 Aprile.


Autore: Mario Salsano

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22/04/2015 07:21
 
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Beato Adalberto Conte di Ostrevant

22 aprile


† 22 aprile 790 ca.

Etimologia: Adalberto = di illustre nobiltà, dal tedesco








Visse nel sec. VIII, ma poche sono le notizie certe intorno alla sua vita. Nato da illustre casato, fu un ricchissimo signore della corte carolingia e sposò s. Regina, nipote di Pipino il Breve, dalla quale pare che abbia avuto dieci figlie. La primo­genita, Ragenfreda o Reinfreda, è venerata come santa. Adalberto fu di una inesauribile carità e fondò per le figlie un monastero a Denain (Nord), nel quale alla sua morte, avvenuta il 22 apr. 790 ca., fu sepolto. Il Proprio (a. 1625) dell'abbazia di Denain contiene tre lezioni nell'officiatura a lui dedicata il 22 apr. col titolo di beato; però qualche martirologio che lo commemora gli attribuisce il titolo di santo.


Autore: Roger Desreumaux

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23/04/2015 07:36
 
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Sant' Adalberto di Praga Vescovo e martire

23 aprile - Memoria Facoltativa


Libice, attuale Repubblica Ceca, ca. 956 - Tenkitten, Prussia, 23 aprile 997

Boemo di origine, aveva un nome slavo: Voytèch. Poi, studente a Magdeburgo, è stato cresimato dall'arcivescovo locale Adalberto, sicché ha deciso di chiamarsi come lui. A 27 anni è già arcivescovo di Praga. È il secondo pastore della città. Ma in questa terra ancora pagana Adalberto vede fallire il suo sforzo di evangelizzazione, e nel 988 abbandona Praga per Roma, dove si fa benedettino. Ma papa Giovanni XV lo rimanda a Praga. Ma è ancora un fallimento. Nel 994 torna al suo monastero sull'Aventino. Qui viene a trovarlo Ottone III. Ma per Adalberto giunge anche una notizia terribile: in Boemia c'è stato un massacro di suoi congiunti. In più papa Gregorio V lo rimanda a Praga, dove però per volere del duca di Boemia non può entrare in città. Si dirige così al nord, missionario tra i prussiani. Il re di Polonia, Boleslao il Valoroso, lo aiuta con una scorta a penetrare in Prussia, fino a Danzica. Di là egli prosegue inerme con pochi monaci, ma il suo lavoro missionario dura appena pochi giorni: nella primavera del 997 Adalberto e i suoi compagni vengono trucidati presso la costa baltica. (Avvenire)

Etimologia: Adalberto = di illustre nobiltà, dal tedesco


Martirologio Romano: Sant’Adalberto (Vojtech), vescovo di Praga e martire, che affrontò molte difficoltà nella sua Chiesa e intaprese numerosi viaggi in nome di Cristo, adoperandosi con tutte le forze per estirpare i costumi pagani; accortosi però di trarre poco profitto, recatosi a Roma si fece monaco; giunto da ultimo in Polonia per portare alla fede i vicini Prussiani, nel villaggio di Tenkitten alle foci della Vistola fu trafitto con le lance da alcuni pagani.







Anno 999: papa Silvestro II canonizza il vescovo Adalberto in Roma, dove il giovane imperatore Ottone III di Sassonia fa restaurare gli edifici del colle Palatino. Altro che “terrori dell’anno Mille”, come si favoleggerà più tardi: ora, dopo secoli di aggressioni esterne, comincia per l’Europa un tempo di ripresa vivacissima. Nascono anche degli Stati, come la Polonia e l’Ungheria, destinati a una vita ultramillenaria.
Boemo di origine, aveva un nome slavo: Voytèch. Poi, studente a Magdeburgo, è stato cresimato dall’arcivescovo locale Adalberto, sicché ha deciso di chiamarsi come lui. A 27 anni lo troviamo già arcivescovo di Praga. E’ il secondo pastore della città, dopo il tedesco Tiethmaro, e il primo di origine slava. Purtroppo qui il cristianesimo è ancora una novità mal compresa e combattuta da molti come straniera e avversa agli antichi usi locali, che vanno dalla poligamia alla vendetta di sangue, alla durezza con gli schiavi. Adalberto vede fallire il suo sforzo, e nel 988 abbandona Praga per Roma, dove si fa benedettino. Ma per i vescovi di Germania questa è una diserzione: protestano duramente a Roma, e papa Giovanni XV rimanda Adalberto a Praga. Lui obbedisce, torna, ritenta, ed è ancora un fallimento. Non bastano la sua cultura, la sua ricca spiritualità e mitezza. Solo, poco aiutato, rinuncia un’altra volta, e nel 994 torna al suo monastero sull’Aventino. Qui viene a trovarlo Ottone III, che lo venera come un maestro e come un padre. Ma ecco dapprima una notizia orribile per Adalberto: in Boemia c’è stato un massacro di suoi congiunti. E poco dopo un’altra, allucinante: sempre per la spinta dei soliti vescovi tedeschi, papa Gregorio V gli comanda ancora una volta di tornare a Praga. Nuova obbedienza, ma ora il duca di Boemia gli proibisce di mettere piede in città, e Adalberto si trova espulso ma libero.
Non torna a Roma. Sarà missionario al Nord, tra i prussiani, che ignorano ancora del tutto il Vangelo. Il re di Polonia, Boleslao il Valoroso, lo aiuta con una scorta a penetrare in Prussia, fino a Danzica. Di là egli prosegue inerme con pochi monaci, ma il suo lavoro missionario dura appena pochi giorni: nella primavera del 997 Adalberto e i suoi compagni vengono trucidati presso la costa baltica. Il duca di Polonia riscatta la salma e la farà poi collocare a Gniezno (prima sede episcopale polacca) nel duomo costruito nell’anno 1000. Intanto nel 999 Papa Silvestro II l’ha già proclamato santo, e nello stesso anno è giunto a Gniezno in pellegrinaggio l’imperatore Ottone III. Nel 1039, poi, è Praga che accoglie per sempre nella cattedrale i resti di Adalberto, il suo primo vescovo slavo. Davanti a quei resti, dopo quasi mille anni, verrà a pregare Giovanni Paolo II, Wojtyla, il primo pontefice slavo della storia cristiana.


Autore: Domenico Agasso

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24/04/2015 08:09
 
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Santi 3 Martiri Mercedari di Parigi

24 aprile


† Parigi, XVI secolo

A Parigi, tre Santi mercedari che difendevano la fede cattolica con la predicazione e la santità della loro vita, vennero crudelmente uccisi dagli eretici Ugonotti e vittoriosi raggiunsero la grande schiera dei martiri nel regno celeste.
L’Ordine li festeggia il 24 aprile.

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25/04/2015 07:47
 
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Sant’ Aniano Vescovo d’Alessandria d’Egitto

25 aprile


† Alessandria d’Egitto, 85

Secondo la testimonianza del celebre storico cristiano Eusebio di Cesarea, nell’ottavo anno dell’imperatore Nerone Sant’Aniano fu il primo successore dell’evangelista San Marco sulla cattedra episcopale della città di Alessandria d’Egitto ed ivi rimase per ben venticinque anni, uomo ammirevole e ben accetto a Dio.

Martirologio Romano: Commemorazione di sant’Aniano, vescovo di Alessandria d’Egitto, che, come attesta sant’Eusebio, nell’ottavo anno dell’impero di Nerone, fu il primo vescovo di questa città dopo san Marco e, uomo accetto a Dio e mirabile sotto ogni aspetto, la resse per ventidue anni.







Il grande storico ecclesiastico Eusebio di Cesarea considera Aniano discepolo dell’evangelista San Marco e suo successore sulla cattedra episcopale di Alessandria d’Egitto. Entrambi sono festeggiati al 25 aprile. Gli apocrifi Atti di Marco narrano che Aniano era un calzolaio pagano di Alessandria, al quale l’evangelista commissionò la riparazione di un calzare non appena giunto in città. Aniano si ferì un dito ed incominciò ad imprecare contro il suo cliente. Questi però lo guarì tracciandogli un segno di croce sulla ferita ed invitandolo a credere in Cristo. Aniano allora si convertì al cristianesimo e si fece battezzare da Marco. Nell’ottavo ottavo anno dell’imperio di Nerone, il santo protovescovo scelse proprio il suo primo discepolo per coadiuvarlo nel governo della Chiesa alessandrina durante i suoi frequenti viaggi. Quando Marco fu ucciso, Aniano continuò ad esercitare il suo ministero e morì infine nell’85, dopo ventidue anni di episcopato. La tradizione orientale vuole invece che il suo episcopato sia durato solamente diciotto anni e 216 giorni dopo la morte di Marco, morendo quindi nell’86. Pietro de Natalibus afferma che il corpo di Aniano, così come quello di Marco, fu trafugato e trasferito a Venezia, ove riposa nella chiesa di San Clemente. Egli fissa inoltre la morte del santo al 4 ottobre, mentre la Chiesa copta lo festeggia il 20 hatur (28 novembre). I sinassari bizantini non riportano invece il suo nome. Il Card. Baronio ricorda una chiesa dedicata a Sant’Aniano presso Alessandria d’Egitto, però poco probabilmente consacrata dal vescovo stesso.


Autore: Fabio Arduino

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26/04/2015 10:07
 
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Santi 38 Martiri Mercedari di Auterive

26 aprile


† Auterive, Francia, 1570

Nel convento di Sant’Eulalia di Auterive in Francia, 38 Santi mercedari furono uccisi con crudeli torture dagli Ugonotti e confessarono con il loro sangue la verità della fede cattolica unendosi alla corona dei martiri di Cristo nell’anno 1570.
L’Ordine li festeggia il 26 aprile

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27/04/2015 07:05
 
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Beato Adelelmo (Adelermo, Adelino) di Le Mans

27 aprile




Etimologia: Adelelmo = alterato di Adelmo - nobile protettore, dall'antico tedesco








Visse nel sec. XII. Discepolo e amico diletto dell'eremita Alberto nella regione di Le Mans, lo lasciò per seguire s. Bernardo di Tiron nell'isola di Chausey. Tornato, per i disagi del clima, presso Alberto che l'abbandono dell'amico aveva ridotto alla disperazione, ne confortò la vecchiezza. Alla morte di lui, con lo aiuto del conte di Beaumont, fondò nel bosco di Charnie un monastero per uomini, di breve durata, e nel 1109 il monastero per donne di Etival-enCharnie, che fu arricchito da una donazione nel 1120 e prosperò sotto la guida di Godehild (sorella o figlia del conte di Beaumont). Non sembra che abbia preso i voti, come Roberto d'Arbrissel e Giraldo di Sales. Morì il 27 aprile 1152. Il suo culto restò puramente locale. Nella diocesi di Le Mans ebbe un Ufficio proprio fino a epoca recente; gli furono erette statue, una delle quali tuttora esistente a Etival.


Autore: Alfonso M. Zimmermann

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28/04/2015 07:31
 
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San Pietro Chanel Sacerdote e martire

28 aprile - Memoria Facoltativa


Cuet, Francia, 12 luglio 1803 - Isole Figi, 28 aprile 1841



È il primo martire dell’Oceania. Fu infatti ucciso il 28 aprile 1841 sull’isola di Futuna, una delle Fiji. Francese, era nato a Cuet il 12 luglio 1803 in una famiglia di contadini, a 21 anni entrò in Seminario a Bourg, venendo ordinato sacerdote il 15 luglio 1827. Fu vicario ad Amberieu e a Gex e per quattro anni parroco a Crozet. Sin dal Seminario tuttavia sentì il richiamo della missione, alimentato dalla frequentazione di una comunità di padri Maristi. Fu così che ebbe il compito di guidare il primo gruppo di missionari in Oceania. Il 12 novembre 1837 la spedizione giunse a Futuna, isola divisa in due da una montagna e da due tribù in guerra tra loro. Ben presto il Vangelo fece presa soprattutto tra i giovani incontrando l’ostilità degli anziani. Il Battesimo del figlio del capotribù che aveva accolto il missionario segnò la condanna a morte di Pietro che fu ucciso per incarico del capotribù Niuliki. Pietro Chanel, beatificato il 17 novembre 1889, fu iscritto nell’albo dei santi il 12 giugno 1954 e dichiarato patrono dell’Oceania. (Avvenire)

Patronato: Patrono dell'Oceania


Etimologia: Pietro = pietra, sasso squadrato, dal latino


Emblema: Palma


Martirologio Romano: San Pietro Chanel, sacerdote della Società di Maria e martire, che nel suo ministero si adoperò nella cura della gente di campagna e nell’istruzione dei bambini; mandato poi insieme ad alcuni compagni ad annunciare il Vangelo nell’Oceania occidentale, approdò all’isola di Futúna, dove la comunità cristiana era ancora del tutto assente. Pur ostacolato da molte difficoltà, mantenendo un contegno di singolare mansuetudine riuscì a convertire alcuni alla fede, tra i quali il figlio del re, che furibondo ne ordinò l’uccisione, facendo di lui il primo martire dell’Oceania.



Ascolta da RadioVaticana:
Ascolta da RadioRai:
Ascolta da RadioMaria:





Futuna è una piccola "espressione geografica", una minuscola isola indicata negli atlanti con un puntino tra l'equatore e il tropico del Capricorno nell'immenso Oceano Pacifico, un frammento delle Isole Figi. Oggi nel possedimento francese, meta di turisti amanti dell'esotico, la popolazione interamente cattolica vive una vita pacifica. Ma centoquarant'anni fa, e precisamente il 12 novembre 1837, quando vi sbarcò fortunosamente il missionario marista Pietro Chanel, in compagnia di un confratello laico, l'isoletta divisa in due da una montagna centrale e da due tribù perennemente in guerra non era affatto un approdo turistico.
Solo il coraggio e la carità di un uomo di Dio potevano scegliere quella meta con tutti i rischi che comportava. Qui infatti Pietro Chanel avrebbe concluso la sua avventura di evangelizzatore, abbattuto a colpi di randello e di ascia il 28 aprile 1841 dal genero del capo tribù, Musumusu, irato perché tra i convertiti al cristianesimo figuravano già alcuni componenti della sua stessa famiglia.
Pietro Chanel era nato in Francia a Cuet il 12 luglio 1803. A dodici anni, seguendo l'invito di uno zelante parroco, Trompier, iniziò gli studi seminaristici, che gli consentirono di entrare nel 1824 nel seminario maggiore di Bourg, dove ricevette tre anni dopo l'ordinazione sacerdotale. Avrebbe voluto recarsi subito in terra di missione, ma il suo vescovo aveva estremo bisogno di sacerdoti. Fu vicario ad Amberieu e a Gex, legandosi a un gruppo di sacerdoti diocesani, i maristi, che traducevano nello stesso ambito parrocchiale l'ideale missionario, sotto la guida di P. Colin.
La Società di Maria, approvata dal papa nel 1836, ebbe tra i primi membri P.Chanel, che nello stesso anno si imbarcò da Le Havre alla volta di Valparaiso, con destinazione Oceania.
Quando la nave toccò Futuna, Pietro Chanel ebbe l'invito di scendere a terra e restarci, in compagnia del fratello laico Nicezio, ventenne.
Fu una lenta e paziente penetrazione nel piccolo mondo di quella gente così diversa per abitudini di vita e mentalità. L'annuncio del Vangelo cominciò tuttavia a far presa nelle giovani generazioni. Ma questo successo segnò al tempo stesso il riacutizzarsi dell'ostilità delle vecchie generazioni. Il tributo di sangue di S. Pietro Chanel fu il prezzo per aprire finalmente le porte all'evangelizzazione dell'intera isola. Il nuovo martire cristiano, beatificato il 17 novembre 1889, fu iscritto nell'albo dei santi il 12 giugno 1954 e dichiarato patrono dell'Oceania.
Nella diocesi di Milano la sua memoria si celebra il 26 aprile. Il 27 aprile in quella di Pavia.


Autore: Piero Bargellini

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29/04/2015 07:20
 
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Sant' Acardo Abate

29 aprile


m. 1172

Martirologio Romano: Nell’abbazia di La Lucerne-d’Outremer nella Normandia, in Francia, sant’Acardo, vescovo di Avranches, che, un tempo abate di San Vittore a Parigi, scrisse molti trattati di vita spirituale al fine di condurre l’anima cristiana alle vette della perfezione e alla sua morte fu sepolto in questa abbazia premostratense da lui spesso frequentata.








Abate di S Vittore, poi vescovo d'Avranches. Discendente da nobile famiglia normanna, stabilitasi in Inghilterra al seguito di Guglielmo il Conquistatore nella spedizione del 1066, n. nella prima metà del sec. XII, secondo alcuni nell’isola inglese, secondo altri in Normandia presso Domfront (Orne). M. il 29 marzo 1171.
Ricevuta la prima educazione tra i canonici regolari di Bridlington (diocesi di York), passò, per perfezionarsi negli studi, a Parigi. Quivi abbracciò la vita religiosa nella novella abbazia di S. Vittore, dove l’esempio del celebre Ugo gli fu di sprone nello studio e nella virtù. Morto l’abate Gilduino (1155), gli successe quale secondo abate di S. Vittore. Nel 1157 fu eletto vescovo di Séez, ma Enrico II d’Inghilterra si oppose alla sua consacrazione perché, a quanto riferisce s. Tommaso di Canterbury, il papa Adriano IV ne aveva favorito la scelta. Nel 1161, fu nominato vescovo di Avranches. Pio e benefico, per la sua amicizia col monarca inglese ottenne molti favori per la sua diocesi e per l’intera regione di Normandia. Fu sepolto nella chiesa dell’abbazia premostratense di La Lucerne, di cui era stato il principale benefattore e di cui aveva benedetto (1164) la prima pietra.
Nelle fonti ha il titolo di maestro (magister Achardus) e il suo epitaffio lo dice famosus doctor Achardus (PL 196, 1779). Ma i suoi scritti, non ancora del tutto individuati, sono rimasti inediti.
L'abbazia di Maredsous si è assunta l'impresa dell'editio princeps, e fin dal 1899 ha raccolto i materiali necessari. In base a questi il Morin rileva il « suo genio sottile e insieme lucido, la sua ardita analisi dei misteri dell'essere umano, unita al misticismo vittorino, in un stile vivace, talora eloquente, molto più efficace dello stile scolastico dell'età posterine », e gli riconosce la paternità del trattato De discretione animae, spiritus et mentis, già falsamente attribuito ad Adamo di S. Vittore. Nel 1935 lo ha pubblicato, secondo il cod Paris. Mazar, 1002 (942), del sec. XIII, proveniente da S. Vittore. Importante è il suo trattato o sermone De abnegatione sui ipsius, detto anche, meno esattamente, De tentatione Domini in deserto, perché ha per assunto Matt. 4, I. Fine dell’autore è di condurre l'anima alla perfezione attraverso i sette gradi dell'abnegazione evangelica, che la fanno entrare come in sette deserti. Spogliandosi così di se stessa e di tutte le cose, l'anima si unisce intimamente a Dio. L'opuscolo si dirige a tutti, ma specialmente ai religiosi.
Nel Migne si hanno di A. solo due brevi Epistolae (PL 196, 1381-82). Alcune sue opere sono perdute, come il De Trinitate, di cui qualche tratto è riportato nell’Eulogium ad Alexandrum III di Giovanni di Cornovaglia (PL 199, 1054 sg.), e le Quaestiones de peccato, citate nelle Allegoriae in Novum Testamentum attribuite ad Ugo di S. Vittore (ma posteriori).
Profondo teologo, campione della dottrina tradizionale, propugna il realisrno dell'unione delle due nature in Cristo contro i nominalisti di tutte le tinte.
Erroneamente dal Vossio gli è stata attribuita la Vita B Gezzelini o Schetzelonis edita (Douai 1626) dal Raisse (cf. Acta SS. Augusti, I, Venezia 1741, pp 172-73, l75-80) probabilmente è opera del suo omonimo e contemporaneo Acardo di Clairvaux.


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30/04/2015 07:43
 
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Sant' Adiutore di Vernon Monaco

30 aprile


XII secolo

Crociato normanno, poi eremita benedettino a Vernon-sur-Seine.

Etimologia: Adiutore = colui che aiuta, dal latino


Martirologio Romano: A Vernon-sur-Seine in Francia, sant’Adiutore, che, fatto prigioniero in guerra, fu torturato per la sua fede e, tornato in patria, si ritirò in una cella conducendo una vita di penitenza.








Nato a Vernon (Eure) nell'ultimo quarto del sec. XI e andato tra i cavalieri normanni alla prima crociata, fu fatto prigioniero dai Saraceni, dai quali solo dopo diciassette anni fu rimesso in libertà. Fu successivamente monaco dell'abbazia di Tiron (Eure). Fattosi poi eremita, costruì una cappella dedicata a santa Maria Maddalena, attualmente nella parrocchia di Pressagny l'Orgueilleux, vicino a Vernon. Morì il 30 aprile 1131, giorno in cui si celebra la sua festa.
La Vita di Adiutore fu redatta da Ugo III di Amiens, arcivescovo di Rouen. Il suo culto è diffuso nelle diocesi di Rouen, Èvreux e Chartre, come confessore e patrono della nobiltà di Normandia, e anche della città natale.


Autore: Charles Lefebvre

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01/05/2015 09:14
 
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Sant' Agostino Schoeffler Sacerdote e martire

1 maggio


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Mittelbonn, Francia, 22 novembre 1822 - Sơn-Tâi, Vietnam, 1 maggio 1851

Etimologia: Agostino = piccolo venerabile, dal latino


Martirologio Romano: Presso la rocca di Sơn-Tâi nel Tonchino, ora Viet Nam, sant’Agostino Schoeffler, sacerdote della Società per le Missioni Estere di Parigi e martire, che, gettato in carcere dopo aver esercitato per tre anni il suo ministero, su ordine dell’imperatore Tự Đức, nel campo di Năm Mẫu ottenne con la decapitazione la grazia del martirio, che ogni giorno aveva chiesto a Dio.







Di tutti i cristiani e missionari martirizzati nel Tonchino e nella Cocincina (Vietnam), Leone XIII ne beatificò 77 il 7-5-1900; S. Pio X 8 il 15-4-1906 e 34 l'11-4-1909; Pio XII 25 il 29-4-1951. Di costoro 117 furono canonizzati da Giovanni Paolo II nel 1988. Non sappiamo con certezza quando il cristianesimo fu introdotto in quei paesi la cui evangelizzazione regolare e sistematica fu iniziata nel 1627 dal P. Alessandro de Rodhes SJ. Con l'aiuto di un confratello in 3 anni egli riuscì a battezzare circa 3.000 infedeli. Per istigazione di un bonzo fu esiliato dal re, ma nel 1631 altri gesuiti riuscirono a entrare occultamente nel regno e, con l'aiuto di alcuni missionari di altri Ordini religiosi, in meno di trent'anni a convertire alla fede 200.000 pagani.
Primo Vicario Apostolico del Tonchino (Vietnam) fu Mons. Francesco Pallu, e primo vicario Apostolico della Cocincina Mons. Pietro de La Motte Lambert. Per provvedere di missionari quelle terre pagane essi si adoperarono per fondare a Parigi il seminario delle Missioni estere. Sono molti i martiri che vi furono formati e che i papi canonizzarono. Tra loro figura anche il P. Agostino Schoefner. Egli nacque il 22-11-1822 a Mittelbonn in Lorena (Francia), e compì gli studi ecclesiastici nel seminario diocesano di Nancy durante i quali volle iscriversi al Terz'Ordine Domenicano. Non senza opposizione dei parenti, nel 1846 passò in quello delle Missioni estere di Parigi per assecondare la sua vocazione missionaria.
Per quanto fosse disposto a recarsi in qualsiasi terra di missione, non nascose la sua preferenza per il Tonchino (Vietnam) in cui infuriava la persecuzione scatenata dal re Minh-Manh (1820-1840) e continuata da suo figlio, il re Thiéu-Tri (1840-1847). Nelle lettere che di lui ancora si conservano appare manifesto con quanto ardore bramasse di dare la vita per la fede. In una di esse si legge: "II buon Dio mi accorderà la grazia del martirio; gliela domando ogni giorno". E in un'altra: "Soffro molto, ma ai piedi della croce... Che cosa può esserci di più dolce?".
Il 1-8-1847 il santo lasciò Parigi per Anversa. Raggiunse Hong-Kong dopo cinque mesi di navigazione. Il suo campo di lavoro fu la cristianità di La-Fou che raggiunse dopo essere riuscito a superare la frontiera settentrionale del Tonchino tra pericoli di ogni genere. Trascorse i primi mesi in quel paese studiando la lingua e cercando di adattarsi agli usi e costumi degli indigeni. Poté in seguito darsi con tutto l'ardore giovanile al sacro ministero. Nel 1849 fu di grande aiuto a Mons. Retord, ordinario del luogo, nella visita pastorale che fece a Ke-Bang. In seguito fu trasferito al distretto di Xu-Doai dove, disseminati per montagne e foreste, 16.000 cristiani attendevano ansiosi l'opera di un missionario.
Nonostante la malferma salute raccolse tra loro abbondanti frutti di vita spirituale, tanto che il suo nome presso quei cristiani restò in benedizione.
Il desiderio del martirio cresceva nel santo di mano in mano che, prendendosi cura delle anime, capiva che non c'è amore più grande di colui che da la vita per i fratelli. La pubblicazione dell'editto di persecuzione contro i cristiani del re Tu-Dùc (1847-1883), secondogenito di Thiéu-Tri, ravvivò le sue speranze. I mandarini erano incitati a far catturare i missionari europei perché erano ritenuti "come falsari, seduttori, barbari, tonti, sciocchi, vili..." e, per conseguire più facilmente lo scopo, venivano offerte trecento once d'argento a chi ne avesse denunciato uno. Lo stesso re il 13-2-1851 fece spedire a tutti i mandarini una circolare segreta in cui prescriveva che i missionari europei fossero annegati con una pietra al collo, e i sacerdoti annamiti segati vivi.
In quel tempo la cristianità di Bau-Nò, nel Tonchino occidentale, era infestata da bande di briganti e di ribelli. Per opporsi alle loro scorrerie, i mandarini del distretto avevano costituito una milizia di volontari i quali, facendo finta di dare la caccia ai briganti, taglieggiavano i poveri cittadini. Il 1-3-1851 la strada tortuosa che dalle colline scendeva verso il villaggio era infestata da guardie. Pareva che attendessero al varco qualche squadra di briganti, invece, ad un segnale convenuto, essi sbucarono fuori dai cespugli per arrestare prima un sacerdote indigeno che camminava discorrendo con due giovani, quindi P. Agostino, che lo seguiva a poca distanza con allievi e catechisti. Nel mettere le mani addosso al bianco che li guardava maestoso e tranquillo, le guardie furono prese da timore e riverenza. Allora il comandante gridò loro: "Che fate? Date mano alle verghe e battete". Il missionario, che era stato tradito da una delle guide, lo interruppe, dicendo: "E perché? Io non ho mosso un passo per resistere alla vostra violenza". Dopo che fu legato, mentre le guardie si disponevano alla partenza, il loro capo si rivolse ai prigionieri e disse: "Potrei consegnarvi ai mandarini; datemi una verga d'oro, cento verghe d'argento e vi lascerò tutti liberi".
Alla mente di P. Agostino balenò immediatamente un generoso disegno. Difatti gli rispose: "Ebbene, se volete una così grande somma per il nostro riscatto, lasciate che questi miei discepoli vadano a cercarla; io resterò in ostaggio".
Il pagano, accecato dalla cupidigia dell'oro, rilasciò il sacerdote indigeno con gli allievi e i catechisti, ma il denaro pattuito non riuscì ad averlo perché non fu potuto trovare. Il missionario, lieto di aver salvato gli altri con il suo sacrificio, si lasciò condurre a Son-Tay non senza aver prima assicurato i fedeli che nessuno da parte sua sarebbe stato denunciato o compromesso. A Son-Tay, dopo le solite domande, il mandarino chiese al prigioniero: "Quando eravate ancora in Europa, sapevate che la vostra religione era proibita nel regno?". "Si che lo sapevo, ma volli venirvi appunto per questo", "Ditemi i luoghi in cui siete stato affinchè possa fare il mio rapporto e rimandarvi in Europa". "Mi trovo nel regno da quattro anni; sono stato in molti luoghi di cui non ricordo il nome e vado in tutti i villaggi in cui sono desiderato dagli abitanti". I mandarini, presi da insolito rispetto per il giovane sacerdote, non insistettero. Il giorno dopo provarono a indurlo all'apostasia, ma il martire fu così risoluto nel rifiuto che i giudici, considerando inutile ogni ulteriore insistenza, chiusero gli atti e ne inviarono il rapporto alla capitale.
Tra l'altro la sentenza diceva: "Il signor Agostino è un europeo che ha avuto l'audacia di venire, malgrado il divieto che ne fanno le leggi, a percorrere le contrade di questo regno per predicarvi la religione, sedurre e ingannare il popolo: della qual cosa fu pienamente convinto nell'esame della sua causa. Secondo il decreto del re, ad Agostino si deve tagliare la testa e gettarla nelle acque del mare o dei fiumi a esempio e ritegno del popolo".
Il capitano delle guardie riuscì ad ottenere dal mandarino che, il missionario, fosse tolto dal carcere duro e detenuto nella casa del direttore delle prigioni. Il santo poté riavere anche il denaro che gli era stato sequestrato al momento dell'arresto, e con esso provvide al suo sostentamento. Così il martire trascorreva nella meditazione e nella preghiera giorni tranquilli. Pur essendo strettamente vigilato, qualche catechista poté introdursi fino a lui e consegnargli le lettere che gli scrivevano altri missionari e gli amici d'Europa. Il sacerdote Phuong riuscì ad avvicinarlo, travestito da mercante di occhiali, confessarlo e dargli la comunione. Il santo era tanto acceso di zelo che neppure in carcere tralasciò di esercitare l'apostolato, parlando della bellezza della fede ai soldati di guardia ed esortandoli ad abbracciarla. Diceva loro: "Io mi ricorderò di voi dopo la mia morte, ma se desiderate essere felici, cercate un villaggio abitato da cristiani e convertitevi".
Il 1-5-1851 fu condotto al luogo del supplizio scortato da un buon nerbo di soldati. Giulivo in volto, camminava con passo sicuro, salmeggiando. Appena vi giunse s'inginocchio per terra, baciò il crocifisso, si sbottonò la veste e presentò il collo al carnefice dicendo: "Sbrigatevi a fare il vostro dovere". La testa del martire fu gettata nel fiume dove non fu più possibile ripescarla. Il corpo, che era stato seppellito nel luogo stesso dell'esecuzione capitale, il giorno dopo fu trasportato di nascosto nella vicina città di Bach-Loc dove un fervente cristiano gli diede onorata sepoltura presso la propria casa. Leone XIII beatificò il martire il 7-5-1900 e Giovanni Paolo II lo canonizzò nel 1988 con altri 116 testimoni della fede nel Vietnam.


Autore: Guido Pettinati

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02/05/2015 12:02
 
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Sant' Antonino Pierozzi (di Firenze) Vescovo

2 maggio


Firenze, 1389 - 2 maggio 1459



Fu domenicano a quindici anni e, divenuto sacerdote, fu priore a Cortona, a Fiesole, a Roma, a Napoli, ricoprendo nel frattempo la carica di Vicario generale dei Frati Riformati. Fondò la Societrà dei Buonomini di San Martino per i poveri bisognosi. Divenne arcivescovo di Firenze prodigandosi durante la peste. All’attività apostolica e agli incarichi di cui era gravato, unì un intenso studio e la realizzazione di opere che ebbero carattere giuridico-morale. Egli fu il primo a tentare una sintesi tra il diritto e la teologia, raccogliendo quanto riteneva utile al ministero della predicazione, della confessione e della direzione, per offrire una soluzione cristiana ai molti problemi del suo tempo.

Etimologia: Antonino (come Antonio) = nato prima, o che fa fronte ai suoi avversari, dal gre


Emblema: Bastone pastorale, Portamonete


Martirologio Romano: A Firenze, sant’Antonino, vescovo, che, dopo essersi adoperato per la riforma dell’Ordine dei Predicatori, si impegnò in una vigile cura pastorale, rifulgendo per santità, rigore e bontà di dottrina.



Ascolta da RadioMaria:





Antonino Pierozzi fu uno dei più bei fiori e il più valido sostenitore della riforma dell’Ordine promossa dal Beato Raimondo da Capua. Fu ricevuto nell’Ordine dal Beato Giovanni Dominici nel convento di Santa Maria Novella, proseguendo la sua preparazione a Cortona, dove ebbe come Maestro il Beato Lorenzo da Ripafratta, del quale fu degno discepolo. Antonino a quattordici anni, a causa del suo aspetto gracile, aveva destato qualche apprensione nel santo Priore, ma in quel fragile corpo c’era un’anima gigante. La sua vita fu intessuta di penitenza e di preghiera. Nello studio fu quello che si dice un “lavoratore”, e ne fanno fede le numerose opere di sommo valore che scrisse. Da Cortona passo al Convento di San Domenico a Fiesole, alle porte di Firenze. Venne ordinato sacerdote nel 1413, divenendo Vicario a Foligno. Dette vita al glorioso Convento di S. Marco e fu Priore a Fiesole, Siena, Cortona, Roma, S. Maria sopra Minerva a Roma, Napoli, portando ovunque quella fiamma di zelo che in lui, fu dolce e forte a un tempo. Papa Eugenio IV, nel 1446, lo nomino Arcivescovo di Firenze e per indurlo ad accettare gli dovette minacciare gravissime censure. Come era stato modello di religioso e di superiore, così fu specchio di Pastore. Indisse guerra inesorabile a tutti i vizi e a tutte le ingiustizie. Fu il Padre dei poveri e degli sventurati. Anche da Arcivescovo osservò le austere regole dell’Ordine, fino alla fine dei suoi giorni. Sul letto dell’agonia poté esclamare: “Servire Dio è regnare!”, e spirò fragrante di verginità e ricco di opere sante. Per la sua consumata prudenza fu chiamato Antonino dei Consigli. Morì il 2 maggio 1459. E’ stato proclamato Santo da Papa Adriano VI il 31 maggio 1523. E’ il Santo Titolare, assieme al Vescovo San Zanobi, dell’Arcidiocesi di Firenze. Dal 1589 il suo corpo, incorrotto, si venera nella Basilica Domenicana di San Marco a Firenze. Il Servo di Dio e Arcivescovo Domenicano, Mons. Pio Alberto Del Corona, durante l’ultima ricognizione del corpo, ha scambiato il suo pastorale con quello misero di legno, che il Santo aveva con se nell’urna. Tale Pastorale dal febbraio 2001 si trova esposto permanentemente nella cripta del monastero delle Suore Domenicane dello Spirito Santo a Firenze, in Via Bolognese, dove si trova, dal 1925 il corpo del Servo di Dio, di cui dal 1942 è aperto il processo di canonizzazione.
L'Ordine Domenicano lo ricorda il 10 maggio.


Autore: Franco Mariani

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03/05/2015 07:56
 
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Beato Adamo di Cantalupo in Sabina

3 maggio




Etimologia: Adamo = nato dalla terra, dall'ebraico








Sant’Adamo, così è chiamato dagli abitanti di Cantalupo.
In realtà Adamo è un Beato (in forza del decreto di Urbano VIII del 1634).
Sulla sponda destra del torrente Galantina sorgeva un vicus, già noto in epoca romana (e sicuramente anche al tempo degli antichi sabini) ed abitato fino all’alto medioevo. Dal vicus in questione e dal vicino oppidum sarebbero emigrati i fondatori del castrum Cantalupi.
Successivamente al diruto villaggio sarebbe pervenuto uno di quei tanti monaci che, secondo un genere di vita che andava fiorendo nel secolo XI, oltre a condurre un’ esistenza solitaria dedita alla preghiera ed al lavoro, attendevano anche al recupero degli edifici di culto distrutti o abbandonati a seguito della occupazione saracena. Dalla disponibilità del suo cuore verso il prossimo, all’eremita Adamo derivò fama di Santo; reputazione che non cesserà con il passare dei secoli anche per un eclatante miracolo che avrebbe compiuto.
È infatti tradizione popolare che un giorno Adamo, vedendo un carrettiere in difficoltà lungo l’erta che conduce a Cantalupo, si sarebbe premurato di aiutarlo.
Ma mentre spingeva il pesante carro il mulo lo avrebbe colpito alla fronte con un calcio. Immediata la reazione del mulattiere che, armatosi di un ferro da taglio, avrebbe reciso con un fendente la zampa scellerata.
Fu allora che Adamo, recuperato lo zoccolo, lo avrebbe miracolosamente riattaccato al moncone. Oltre a questo prodigio la tradizione attribuisce ad Adamo di aver tramutato, per ristorare alcuni mietitori, l’acqua in vino.
La popolazione di Cantalupo in Sabina (RI) è legata a questo Beato da una devozione e da un affetto particolare.
In questo centro della bassa Sabina esiste fuori paese una chiesa a Lui dedicata (l’eremo di San Adamo).
In origine era una cappella costruita sulla tomba dell’eremita. Nota sin dal 1000, nel XV secolo la cappella fu ampliata fino ad assumere le fattezze dell’attuale chiesa. La chiesa è jus patronato della famiglia Cati.
All’interno della chiesa c’era una statua che così raffigurava il Beato Adamo: un uomo abbastanza anziano, calvo, con una folta barba bianca vestito da frate. Nella statua il Santo aveva (oltre all’aureola) sulla mano destra una specie di martello, mentre in quella sinistra un attrezzo agricolo. La statua del Santo aveva anche 2 fila di cuori , legati ad uno ad uno che partivano dalle 2 braccia ed arrivavano fino ai piedi. Un cuore in metallo (più grande degli altri) si trovava anche sul petto di Sant’Adamo.
In pratica questi cuori testimoniano delle grazie ricevute.
La festività ricorre il 3 di maggio (Bollandus Acta Sanctorum -Die tertia maij-).

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04/05/2015 08:11
 
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Sant' Afra di Brescia Matrona, martire

4 maggio


Brescia, 120 ca

Etimologia: Afra = originaria dell'Africa, dal latino








Una santa martire di cui si sa poco, a volte secondo alcuni studiosi, viene identificata con s. Afra di Augusta, nonostante ciò è stata molte volte raffigurata nelle opere di pittura, da artisti che operarono nell’ambiente bresciano; sempre in abiti sontuosi e con i simboli del suo martirio: la palma e la lama seghettata.
La ‘passio’ di autore ignoto, inserita negli atti dei santi Faustino e Giovita, non fornisce alcuna notizia precisa circa l’identità della santa; in qualche codice è riportata come moglie di Italico il nobile bresciano, che secondo la ‘passio’ avrebbe recato il simulacro di Saturno nell’anfiteatro, perché ai suoi piedi, i cristiani fossero sbranati dalle belve feroci.
La ‘passio’ dipende da un racconto molto conosciuto nell’VIII e IX secolo; Afra presente nell’anfiteatro di Brescia alle torture e supplizi dei martiri Faustino e Giovita, tracciando un segno di croce, avrebbe fermato la furia di cinque tori, che docilmente si accosciarono ai piedi dei santi.
Alla vista del prodigio, circa tremila degli spettatori presenti, si convertirono al cristianesimo; Afra venne denunciata all’imperatore Adriano (117-138) come cristiana, subendo il martirio insieme alla schiava Samaritana, dopo la decapitazione di Faustino e Giovita.
La chiesa, che alla fine del III secolo era dedicata ai santi Faustino e Giovita, costruita sul luogo del martirio, nell’806 fu dedicata a s. Afra, dopo che i corpi dei due martiri, vennero traslati in un’altra chiesa, cui in seguito si aggiunsero vari edifici ecclesiastici.
Tutti e tre sono patroni della città di Brescia, a volte s. Afra è raffigurata con il modello della città.


Autore: Antonio Borrelli

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05/05/2015 07:29
 
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Sant' Angelo da Gerusalemme (di Sicilia) Martire, carmelitano

5 maggio


Gerusalemme, 1185 – Licata (Agrigento), 5 maggio 1225

Angelo è annoverato tra i primi Carmelitani che dal monte Carmelo tornarono in Sicilia, dove, secondo le fonti tradizionali degne di fede, morì a Licata per mano di uomini empi, nella prima metà del secolo XIII. Venerato come martire, ben presto fu edificata una chiesa sul luogo del suo martirio, e ivi venne deposto il suo corpo. Nel 1662 le reliquie furono traslate nella nuova chiesa, edificata nello stesso luogo in seguito alla liberazione della città dalla peste (1625) per intercessione del Santo. Il culto di sant'Angelo si diffuse in tutto l'Ordine e anche tra il popolo.



Emblema: Palma, tre corone, spada


Martirologio Romano: A Licata in Sicilia, sant’Angelo, sacerdote dell’Ordine dei Carmelitani e martire.








Angelo nacque a Gerusalemme nel 1185, i suoi genitori erano dei giudei convertiti, alla loro morte lui e il fratello gemello Giovanni, decisero di entrare fra i Carmelitani, emettendo poi la professione religiosa nelle mani del Superiore generale s. Brocardo, nel convento sul Monte Carmelo.
Il Monte Carmelo in Palestina (alto m. 659) segna il confine tra la Galilea e la Samaria e termina con il promontorio omonimo che forma il golfo di Haifa, fu la culla dell’antico Ordine monastico contemplativo d’origine orientale, che prese il nome proprio dal monte, i Carmelitani.
L’Ordine si trasformò da contemplativo in Ordine mendicante nel XIII secolo, quando fu introdotto in Occidente, secondo la Regola di s. Alberto di Gerusalemme (1214 ca.); era il secolo di s. Francesco d’Assisi e di s. Domenico Guzman e del sorgere ed espandersi degli Ordini mendicanti, che tanta rivoluzione spirituale, portarono nella Chiesa di Cristo.
E in quel periodo Angelo entrò nel Carmelo; a 25 anni fu ordinato sacerdote e un po’ più tardi nel 1218, gli diedero la missione di recarsi a Roma per illustrare ed ottenere dal papa Onorio III la conferma della nuova e definitiva Regola del Carmelo; il papa, lo stesso che approvò l’Ordine Francescano, la concesse nel 1226.
Dopo aver predicato fruttuosamente in s. Giovanni in Laterano, Angelo fu inviato in Sicilia per predicare contro i ‘catari’ che infestavano l’isola. L’eresia catara si propagò dopo il 1000, dall’Oriente all’Occidente; essa portava a concepire un’antitesi primordiale tra il Bene e il Male (dal quale procede il mondo) e alla condanna radicale di tutto ciò che è carnale e terreno: condanna del matrimonio, negazione della resurrezione della carne, vegetarianismo, divieto dell’esercizio della giustizia e delle armi, condanna della proprietà privata.
Fra gli adepti vi erano i semplici ‘credenti’ ed i ‘perfetti’, che si distinguevano per il loro ascetismo, per cui si lasciavano morire anche di fame.
Il movimento eretico assunse secondo la Nazione in cui si estendeva, varie denominazioni: Albigesi, Bulgari, Patarini, Pubblicani e nel periodo in cui visse s. Angelo era particolarmente in fase di espansione in tutto l’Occidente cristiano.
A Licata (Agrigento) s’imbatté in un signorotto locale, certo Berengario, che oltre ad essere un cataro ostinato, viveva nell’incesto; Angelo convinse la compagna di quest’uomo a lasciarlo, Berengario infuriato lo assalì, mentre predicava nella chiesa dei ss. Filippo e Giacomo, ferendolo mortalmente con cinque colpi di spada. Fu trasportato in una casa vicina dai fedeli, dove quattro giorni dopo morì per le ferite riportate, era il 5 maggio 1225, chiedendo agli abitanti e fedeli di Licata di perdonare l’uccisore.
Fu sepolto nella stessa chiesa del martirio e il suo sepolcro divenne subito meta di pellegrinaggi, il suo culto si diffuse rapidamente.
L’Ordine Carmelitano lo venera come santo almeno dal 1456 e papa Pio II (1405-1464) ne approvò il culto. Nel 1662 le sue reliquie furono traslate nella nuova chiesa, edificata nello stesso luogo in seguito alla liberazione della città dalla peste (1625) per intercessione del Santo. Nell’arte è raffigurato con la palma del martirio in mano, tre corone (verginità, predicazione, martirio) e con una spada che gli trapassa il petto.
Il culto di s. Angelo da Gerusalemme concorse fortemente all’espansione dell’Ordine Carmelitano in Sicilia e in Italia. La sua festa si celebra il 5 maggio.


Autore: Antonio Borrelli

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06/05/2015 08:29
 
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Beata Anna Rosa Gattorno

6 maggio


Genova, 14 ottobre 1831 - Roma, 6 maggio 1900



Nata a Genova nel 1831 da famiglia agiata, a 21 anni si sposò e si trasferì a Marsiglia. Una serie di tracolli economici e disgrazie, culminate con la morte del marito, la segnarono profondamente. Così si fece strada una nuova vocazione. Sotto la guida del confessore, don Giuseppe Firpo, emise i voti come terziaria francescana. Si dedicò ai poveri e ai figli delle operaie, mantenendo con sé anche i propri. A Piacenza iniziò una nuova famiglia religiosa, la Figlie di Sant'Anna, che subito (1878) andarono anche in missione. Collaborò con il vescovo Scalabrini nell'assistenza alle sordomute. Morì a Roma nel 1900. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Roma, beata Anna Rosa Gattorno, religiosa, che, madre di famiglia, rimasta vedova, si consacrò interamente al Signore e al prossimo e istituì le Figlie di Sant’Anna Madre di Maria Immacolata, adoperandosi in tutti i modi per i malati, gli infermi e l’infanzia abbandonata, nel volto dei quali contemplava Cristo povero.








Nacque a Genova, il 14 ottobre 1831, da una famiglia di agiate condizioni economiche, di buon nome sociale e di profonda formazione cristiana. Fu battezzata lo stesso giorno, nella parrocchia di S. Donato, con i nomi di Rosa Maria Benedetta.
Nel padre Francesco e nella madre Adelaide Campanella, come gli altri loro cinque figli, trovò i primi essenziali formatori della sua vita morale e cristiana. A dodici anni ricevette la Cresima in S.Maria delle Vigne, dall'arcivescovo card. Placido Tadini.
Giovinetta, le fu impartita l'istruzione in casa, come era d'uso nelle famiglie fortunate del tempo. Di carattere sereno, amabile, aperto alla pietà e alla carità, e tuttavia fermo, seppe reagire altresì alla conflittualità del clima politico e anticlericale dell'epoca, che non risparmiò nemmeno alcuni componenti della famiglia Gattorno.
A 21 anni (5 novembre 1852), sposò il cugino Gerolamo Custo, e si trasferì a Marsiglia. Un imprevisto dissesto finanziario turbò ben presto la felicità della novella famiglia, costretta a far ritorno a Genova nel segno della povertà. Disgrazie ancor più gravi incombevano: la primogenita Carlotta, colpita da un improvviso malore, rimase sordomuta per sempre; il tentativo di Gerolamo di far fortuna all'estero si concluse con un ritorno, aggravato da ferale malattia; la gioia degli altri due figli fu profondamente turbata dalla scomparsa del marito, che la lasciò vedova a meno di sei anni dalle nozze (9 marzo 1858) e, dopo qualche mese, dalla perdita dell'ultimo figlioletto.
L'incalzare di tante tristi vicende segnò, nella sua vita, un cambiamento radicale che lei chiamerà la sua "conversione" all'offerta totale di sé al Signore, al suo amore e all'amore del prossimo. Purificata dalle prove, e resa forte nello spirito, comprese il vero senso del dolore, e si radicò nella certezza della sua nuova vocazione.
Sotto la guida del confessore don Giuseppe Firpo, emise i voti privati perpetui di castità e di obbedienza nella festa dell'Immacolata 1858; in seguito anche di povertà (1861), nello spirito del Poverello di Assisi, quale terziaria francescana.
Nel 1862 ricevette il dono delle stimmate occulte, percepito più intensamente nei giorni di venerdì.
Già sposa fedele e madre esemplare, senza nulla sottrarre ai suoi figli – sempre teneramente amati e seguiti – in una maggiore disponibilità imparò a condividire le sofferenze degli altri, prodigandosi in apostolica carità: "mi dedicai con più fervore alle opere pie e a frequentare gli ospedali e i poveri infermi a domicilio, soccorrendoli con sovvenirli quanto potevo e servirli in tutto".
Le Associazioni cattoliche in Genova se la contesero, così che pur amando il silenzio e il nascondimento, fu notato da tutti il carattere genuinamente evangelico del suo tenore di vita.
Nel timore d'essere costretta ad abbandonare i figli, prega, fa penitenza, chiede consiglio. S. Francesco da Camporosso, cappuccino laico, pur mostrandosi trepidante per le gravi tribolazioni che le si profilano, la sostiene, incoraggiandola; similmente il Confessore e l'Arcivescovo di Genova.
Avvertendo però sempre più insistenti i suoi doveri di madre, volle l'autorevole conferma dalla parola stessa di Pio IX, nella segreta speranza di essere sollevata. Il Pontefice, nell'udienza del 3 gennaio 1866, le ingiunse invece di iniziare subito la fondazione. Accettò dunque di compiere la volontà del Signore.
Superate inoltre le resistenze dei parenti e abbandonate le opere di Genova, non senza dispiacere del suo Vescovo, diede inizio a Piacenza, alla nuova famiglia religiosa, che denominò definitivamente "Figlie di S.Anna, madre di Maria Immacolata" (8 dicembre 1866). Vestì l'abito religioso il 26 luglio 1867, e l'8 aprile 1870 emise la professione religiosa insieme a 12 Consorelle.
Nello sviluppo dell'Istituto fu collaborata dal P. Giovanni Battista Tornatore, dei Preti della Missione, il quale, espressamente richiestone, scrisse le Regole e fu poi ritenuto Cofondatore dell'Istituto.
Affidata totalmente alla Provvidenza divina, e animata fin dal principio da un coraggioso slancio di carità, Rosa Gattorno diede inizio alla costruzione dell'Opera di Dio, come l'aveva chiamata il Papa, e come la chiamerà sempre anche lei eletta a cooperarvi, in spirito di dedizione materna, attenta e sollecita verso ogni forma di sofferenza e miseria morale o materiale, con l'unico intento di servire Gesù nelle sue membra doloranti e ferite, e di "evangelizzare innanzitutto con la vita".
Nacquero varie opere di servizio ai poveri e agli infermi di qualsiasi malattia, alle persone sole, anziane, abbandonate, ai piccoli e agli indifesi, alle adolescenti e alle giovani "a rischio", cui provvedeva a far impartire un'istruzione adeguata, e al successivo inserimento nel mondo del lavoro. A queste forme si aggiunse ben presto l'apertura di scuole popolari per l'istruzione ai figli dei poveri, e altre opere di promozione umano-evangelica, secondo i bisogni più urgenti del tempo, con una fattiva presenza nella realtà ecclesiale e civile: "Serve dei poveri e ministre di misericordia" chiamava le sue figlie; e le esortava ad accogliere come segno di predilezione del Signore il servizio ai fratelli, compiendolo con amore e umiltà: "Siate umili …, pensate che siete le ultime e le più miserabili di tutte le creature che prestano alla Chiesa il loro servizio …, e hanno la grazia di farne parte".
A meno di 10 anni dalla fondazione, l'Istituto ottenne il Decreto di Lode (1876) e l'approvazione definitiva, nel 1879. Per le Regole, si dovette attendere fino al 26 luglio 1892.
Molto stimata e apprezzata da tutti, collaborò a Piacenza anche con il vescovo, mons. Scalabrini, ora beato, soprattutto nell'Opera a favore delle Sordomute, da lui fondata.
Nel 1878, inviava già le prime Figlie di S.Anna in Bolivia, poi in Brasile, Cile, Perù, Eritrea, Francia, Spagna. A Roma, dove aveva iniziato l'opera sua dal 1873, organizzò scuole maschili e femminili per i poveri, asili nido, assistenza ai neonati figli delle operaie della Manifattura dei tabacchi, case per ex prostitute, donne di servizio, infermiere a domicilio ecc. Ivi sorse la Casa generalizia, con l'annessa chiesa.
In tutto, alla sua morte, 368 Case nelle quali svolgevano la loro missione 3500 Suore.
Così visse fino al febbraio del 1900, quando colpita da una grave influenza, si peggiorò rapidamente: il suo fisico, messo a dura prova da penitenze, frequenti estenuanti viaggi, fitta corrispondenza epistolare, preoccupazioni e grandi dispiaceri, non resse più. Il 4 maggio ricevette il Sacramento degli infermi, e due giorni dopo, il 6 maggio, alle ore 9, compiuto il suo pellegrinaggio terreno, si spense santamente nella Casa generalizia.
La fama di santità che già l'aveva circondata in vita, esplose in occasione della sua morte e crebbe, ininterrottamente, in tutte le parti del mondo.
Espressione di un singolare disegno di Dio, nella sua triplice esperienza di sposa e madre, vedova, e poi religiosa-Fondatrice, Rosa Gattorno ha ben onorato la dignità e il "genio della donna" nella sua missione al servizio della umanità e della diffusione del Regno. Pur sempre fedele alla chiamata di Dio, e autentica maestra di vita cristiana ed ecclesiale, rimase soprattutto essenzialmente madre: dei suoi figli, che costantemente seguì; delle Suore, che profondamente amò; e dei bisognosi, dei sofferenti e degli infelici, nel cui volto contemplò quello stesso di Cristo, povero, piagato, crocifisso.
Il suo carisma si è diffuso nella Chiesa col sorgere di altre forme di vita evangelica: Suore di vita contemplativa; Associazione religiosa Sacerdotale; Istituto secolare e Movimento ecclesiale di laici, attivamente operante nella Chiesa in quasi tutte le parti del mondo.

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07/05/2015 06:20
 
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Sant' Agostino di Nicomedia Martire

7 maggio




Etimologia: Agostino = piccolo venerabile, dal latino


Emblema: Palma








FLAVIO, AUGUSTO e AGOSTINO, martiri di NICOMEDIA, santi.

Il Martirologio Romano al 7 maggio ricorda il martirio a Nicomedia dei tre fratelli Flavio, Augusto e Agostino. Questa commemorazione proviene dal Martirologio di Floro che, a sua volta, l'aveva presa dal Geronimiano. Qui però solo il nome di Flavio vescovo deve essere con sicurezza associato a Nicomedia. Augusto e Agostino non sembrano essere altro che la doppia forma di uno stesso martire non identificabile. In esso il Delehaye vorrebbe vedere il martire di Capua venerato il 16 novembre: in tal caso però resterebbe da spiegare la sua traslazione al 7 maggio e a Nicomedia.
Quanto alla dicitura del Geronimiano "tre fratelli" è meglio, sembra, leggerla, dopo Flavio, nella forma "e tre fratelli", lettura che tra l'altro si avvicina molto più al Martirologio Siriaco del sec. IV che al 7 ayyàr (maggio) ricorda a Nicomedia Flavio con altri quattro martiri. Ma è finora impossibile identificare sia i "tre fratelli" sia i "quattro martiri".


Autore: Joseph-Marie Sauget

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08/05/2015 08:12
 
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Sant' Amato Ronconi Terziario francescano

8 maggio


Saludecio (Rimini), sec. XIII - † 1300 ca.



Amato Ronconi nacque a Saludecio da una ricca famiglia verso il 1225. Rimasto presto orfano, trascorse la sua giovinezza con la famiglia del fratello Giacomo. Deciso a vivere secondo il Vangelo si dedicò in un primo tempo all'accoglienza dei poveri e dei pellegrini costruendo per loro un ospizio sul Monte Orciale. Donate poi tutte le sue sostanze ai poveri si ritirò ad una vita di rigorosissima penitenza. Compì ben quattro pellegrinaggi alla tomba dell'apostolo Giacomo a Compostella. Morì nel 1292 all'età di sessantasei anni. Papa Pio VI ne confermò il culto nel 1776. Il 9 ottobre 2013 Papa Francesco ha riconosciuto le virtù eroiche del Beato Amato e lo ha infine canonizzato il 23 novembre 2014.

Martirologio Romano: A Saludecio, oggi in Romagna, beato Amato Ronconi, insigne per lo spirito di ospitalità e l’assistenza ai pellegrini.



Ascolta da RadioVaticana:





Nel secolo che vide sorgere ed affermare, il nuovo astro della spiritualità cristiana, s. Francesco d’Assisi e tutto il vasto movimento di rinnovamento nella povertà, che da lui prese il nome di Francescanesimo; nell’Italia Centrale prima e man mano nelle altre regioni, sorsero altre figure esemplari di carità, che nella sua scia, donarono la loro giovinezza ed i loro beni per il nuovo ideale, che scosse dalle radici la Chiesa del XIII secolo.
E una di queste figure fu il beato Amato Ronconi, il quale nacque da una ricca famiglia di Saludecio (nel Medioevo S. Lauditius) nella diocesi di Rimini e oggi nella nuova omonima provincia; si ignora la data della nascita, come del resto quello della morte.
Rimasto orfano di entrambi i genitori, fu allevato dal fratello maggiore Girolamo, ma arrivato alla gioventù, subentrò per lui l’odio della cognata, perché aveva rifiutato un matrimonio che la parente gli aveva predisposto.
Allora decise di abbandonare la famiglia e giunto presso il Monte Orciale, si mise a costruire un ospizio, dedicato alla Natività di Maria Vergine, per dare un letto ai poveri ed ai pellegrini; per sostenere questa lodevole opera e le necessità economiche annesse, Amato donò di nascosto il ricavato delle sue terre e perfino il guadagno, che riceveva con il suo lavoro di garzone presso altri agricoltori.
La sua fu una vita di penitente, ogni giorno si flagellava e si nutriva di pochi legumi; ben presto venne considerato un pazzo dai suoi concittadini, ma particolarmente dalla cognata, più che mai infuriata, perché vedeva sciupare la proprietà, che poteva essere sua e del marito; quindi non esitò ad accusarlo di incesto alle Autorità.
Secondo la ‘Vita’ scritta nel 1518, dall’umanista Sebastiano Serico, il quale in mancanza di documentazioni, poté riportare soltanto le tradizioni orali, tramandate nella sua famiglia, il Signore dimostrò l’innocenza e la santità di Amato Ronconi, con vari miracoli.
Altri particolari sulla sua vita si apprendono dal suo testamento, pubblicato nel volume “Rimini nel secolo XIII”, edito nel 1862, dove si legge che: “l’onesto e religioso uomo, fratello Amato del Terz’Ordine del beato Francesco, proprietario e fondatore dell’Ospedale di S. Maria di Monte Orciale, presso il castello di Saludecio, fa solenne cessione di quell’ospedale e di tutte le sue proprietà ai Benedettini di S. Giuliano e di S. Gregorio in Conca di Rimini, chiedendo nel contempo, di venire sepolto nella cappella dello stesso ospedale”.
Il testamento porta la data del 10 gennaio 1292 ed è l’unico documento che attesta in quale secolo sia vissuto Amato Ronconi. Qualche anno dopo (1300 ca.), era già morto quindi negli ultimi anni del secolo XIII, ed era già venerato con il titolo di beato, perché in un documento datato 26 maggio 1304, il legato pontificio cardinale Francesco di S. Eusebio, confermava quella donazione, scrivendo al monaco Salvo “priore dell’ospedale del beato Amato” e concedeva un’indulgenza a chi visitasse il sepolcro del beato.
La cappella dell’ospedale, dove secondo il suo desiderio, riposava il suo corpo, fu danneggiata da un incendio scoppiato nel maggio 1330; allora le reliquie vennero traslate nella Pieve di S. Biagio, i cui massari del Castello, vennero autorizzati dall’abate Pietro, a custodirle nella loro Pieve a titolo di deposito.
Il suo culto fu confermato da papa Pio VI con il titolo di beato, il 17 aprile 1776; a Saludecio vi è un santuario dedicato alla sua memoria; la sua festa religiosa è riportata nella recente edizione del ‘Martyrologium Romanum’ all’8 maggio.


Autore: Antonio Borrelli

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09/05/2015 08:05
 
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San Banban Sapiens

9 maggio










Tutti i martirologi, tranne il Félire Oengusso Céli Dé, menzionano a questa data la festa di Banbán sapiens (o ecnaid). Alcuni Annali (cf. Annala Uladh, ed. W. M. Hennessy e 13. Mac Carthy, Dublino 1887-1901, s.a. 685; Dubaltach mac Firbisigh, Three fragments, ed. j. 0' Donovan, Dublino 1860, p. 88; The annals of Tigernach, ed. W. Stokes, in Revue Celtique, XVI-XVIII [189597], p. 209) ricordano la morte di Banbán sapiens al 686 e i Three fragments e gli Annali di Tigernach aggiungono che egli era un fer-légi . nd di Cell Dara (= Kildare). Si potrebbe esser tentati ad identificare Banban con il personaggio menzionato nel Conimentario alle Epistole Cattoliche, scritto circa il 655, ma ci sono alcune difficoltà di cronologia (cf. A. Holder, Altirische Nanien im Reichenauer Codex CCXXXIII, in Archiv fúr Celtische Lexikographie, 111, 4 [1907], p. 266).

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10/05/2015 08:44
 
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Sant' Amalario Fortunato di Treviri Vescovo

10 maggio


Metz, 775 – 850/853

Fu insigne teologo e fondatore della scienza liturgica medioevale. Nato a Metz nel 775, pur se non si fece mai monaco dopo l’800 fu eletto abate commendatario di Hornbach. Nell’813 fu legato di Carlo Magno a Costantinopoli; al ritorno si ritirò a Nonantola e in seguito partecipò ai concili di Aquisgrana e di Parigi. Morì in fama di santità e di miracoli a Metz, fra l’850 e l’853. Dopo lunghe e sofferte confutazioni storiche, Amalario fu identificato con Fortunato arcivescovo di Treviri, dal che deriva la doppia denominazione.
L’Ordine Benedettino lo festeggia il 10 maggio.







Fondatore della scienza liturgica medievale e teologo. Nato nei din­torni di Metz nel 775, fu scolaro di Alcuino ad Aquisgrana o a Tours. Non fu mai monaco, ma dopo l'800 fu eletto abate commendatario di Hornbach; nell'809-13 fu corepiscopo di Treviri, con giurisdizione anche fuori della città (nell'811, in­fatti, consacrò la prima chiesa di Amburgo). Nell'813 fu legato di Carlo Magno a Costantinopoli; al ritorno, si ritirò a Nonantola, ma partecipò ai concilii di Aquisgrana (816) e di Parigi (825). Res­se la diocesi di Lione nell'835-38, in assenza dello arcivescovo Agobardo, e tentò d'introdurvi la sua riforma liturgica, per cui fu osteggiato aspramente dal diacono Floro e fu condannato dal concilio di Kiersy (sett. 838), sulla base d'una sua espressione « Triforme est corpus Christi », a cui fu data una interpretazione tendenziosa. Si ha notizia di suoi viaggi a Roma, sotto Leone III e Gregorio IV. Morì in fama di santità e di miracoli, a Metz, fra I'850 e l'853, il 29 apr., e fu sepolto in S. Ar­nolfo accanto al suo protettore Ludovico il Pio.
Amalario è da identificare con Fortunato arciv. di Treviri, di cui si credé di possedere ivi, in S. Pao­lino, le ossa. Il nome Fortunatus non è, probabil­mente, che l'equivalente del pseudonimo letterario Symphosius, che Amalario aggiunse al suo nome. Lunga e spinosa è stata la controversia relativa all'esisten­za di due Amalario, l'uno arcivescovo di Treviri e l'altro corepiscopo di Metz, ma entrambi liturgisti. La questione, sollevata da Sirmond, fu sostanzialmente risolta, nel senso dell'identificazione dei due Amalario, da Morin, e le obiezioni superstiti sono state definiti­vamente confutate dalle ricerche di Hanssens.
Gli scritti teologici di Amalario sono perduti. Il suo nome è legato soprattutto alle opere di liturgia che gli costarono laboriose ricerche (a Roma, a Corbie e altrove) ed esercitarono un influsso incontrastato sull'interpretazione allegorica e simbolica dei testi e dei riti liturgici per tutto il Medioevo. Si cono­scono: il Liber ojjicialis, ovvero De officiis ecclesiasticis, preziosa enciclopedia in 4 ll., dedicati a Ludovico il Pio, scritti e pubblicati a diverse ri­prese fra l'820 e l'832; e il De ordine antiphonarii, posteriore all'844, e scritto a giustificazione dei cri­teri seguiti in un grande Antifonario perduto (ba­sato sulla collazione di tradizioni diverse, la ro­mana, la metense, ecc.). Il complesso valore mistico e misterico della Messa fu chiarito da Amalario in varie Expositiones. Abbiamo, infine, di Amalario una decina di lettere e un poemetto esametrico sulla sua am­basceria in Oriente (Versus marini). Non è sua, invece, la nota Regula Canonicorum et Sanctimonialium.
Per quanto riguarda il culto di Amalario, si ha notizia d'una venerazione prestata a Metz alle sue reliquie, le quali furono traslate nel 1552 nella nuova basi­lica e collocate presso l'altare maggiore, ma non vi sono tracce di culto ufficiale.
Appare nel Martyrologium Hieronymianum il 29 apr. (« obiit Amalarius episcopus »); nei calen­dari di Treviri è ricordato (ma come Fortunato) il 10 giug.; i martirologi benedettini recano notizie confuse (vi figura talora come monaco di Luxeuil e cardinale); la memoria cade il 10 maggio.
Una effigie di Amalario si può trovare in Ranbeck, Kalendarium Annate Benedictinum, Augusta 1677 (al 10 magg.); varie raffigurazioni barocche deri­vano da Wion, Lignum Vitae, V, 682 (« B. Hamularius Fortunatus, primus Offìcii mortuorum com­positor »).


Autore: Alfonso M. Zimmermann

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11/05/2015 07:45
 
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Santi 14 Martiri Mercedari di Carcassona

11 maggio


† Carcassona, Francia, XVI secolo

A Carcassona in Francia, 14 Santi mercedari, furono messi a morte in diversi modi, per la difesa della fede cattolica dagli eretici Ugonotti. Gloriosi salirono in cielo lodando il Signore.
L’Ordine li festeggia l’11 maggio.

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12/05/2015 06:12
 
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Sant' Achilleo Martire

12 maggio - Memoria Facoltativa


sec. III

Nereo e Achilleo, secondo la tradizione riferita da Papa Damaso, erano due militari conquistati alla fede dalla fortezza dei martiri cristiani. Decapitati a Roma sotto Diocleziano (304), furono sepolti nel cimitero di Domitilla sull'Ardeatina e onorati anche in una basilica presso le terme di Caracalla. (Mess. Rom.)

Etimologia: Achille = bruno, scuro, dal greco


Emblema: Palma


Martirologio Romano: Santi Néreo e Achílleo, martiri, che, come riferisce il papa san Damaso, si erano arruolati come soldati e, spinti da timore, erano pronti ad obbedire agli empi comandi del magistrato, ma, convertitisi al vero Dio, gettati via scudi, armature e lance, lasciarono l’accampamento e, confessando la fede in Cristo, godettero del suo trionfo. In questo giorno a Roma i loro corpi furono deposti nel cimitero di Domitilla sulla via Ardeatina.



Ascolta da RadioVaticana:
Ascolta da RadioRai:
Ascolta da RadioMaria:




Santi NEREO ed ACHILLEO, martiri

Tutte le strade portano a Roma, dice un proverbio, e da Roma partono alcune delle più celebri vie del mondo. Su due di esse, verso sud-est e ovest, l’Ardeatina e l’Aurelia, ricevettero degna sepoltura i santi martiri Nereo ed Achilleo, nonché Pancrazio. Nonostante siano ricordati tutti e tre al 12 maggio, il loro culto è sempre stato separato e le loro memorie liturgiche vengono celebrate separatamente con formulari propri secondo l’antica tradizione romana.
Il documento più antico sui santi Nereo ed Achilleo, martiri romani, è l’epigrafe scritta in loro onore da papa San Damaso nel IV secolo. La testimonianza di numerosi pellegrini ne ha tramandato il contenuto prima che essa venisse distrutta. L’archeologo Giovanni Battista De Rossi nel XIX secolo ne ha rimesso insieme i frammenti: “I martiri Nereo e Achilleo si erano arruolati nell’esercito ed eseguivano gli ordini di un tiranno, ed erano sempre pronti, sotto la pressione della paura, ad obbedire alla sua volontà. O miracolo di fede! Improvvisamente cessò la loro furia, si convertirono, fuggirono dal campo del tiranno malvagio, gettarono via gli scudi, l’armatura e i giavellotti lordi di sangue. Confessando la fede di Cristo gioirono nell’unire la loro testimonianza al suo trionfo. Impariamo dalle parole di Damaso quali cose grandi opera la gloria di Cristo”.
Pare dunue certo che fossero pretoriani e che, più o meno improvvisamente, abbiano deciso di convertirsi al cristianesimo, pagando con il loro sangue la loro fede. Nel 1874 il De Rossi scoprì le loro tombe vuote ed una scultura contemporanea in una chiesa sotterranea fatta edificare da papa Silicio nel 390. Il loro sepolcro consisteva in una tomba di famiglia, situata nel cosiddetto cimitero di Domitilla, come sarà denominato più tardi. Intorno al Seicento San Gregorio Magno pronunciò una solenne omelia a loro dedicata: “Questi santi, davanti ai quali siamo radunati, odiarono il mondo e lo calpestarono sotto i propri piedi quando la pace, le ricchezze e la salute esercitavano il loro fascino”.
La chiesa venne ricostruita nel IX secolo da papa Leone III, ma era nuovamente in rovina quando il Cardinal Baronio, famoso studioso oratoriano del XVI secolo, la fece restaurare per traslarvi le reliquie dei due santi, che erano state trasferite in Sant’Adriano.
I loro “Acta” leggendari hanno ben poca credibilità e paiono essere stati scritti onde giustificare la presenza delle loro reliquie nel cimitero di Domitilla: a tal fine si cercò infatti di legare la vicenda del loro martirio a quella della santa nipote dell’imperatore Domiziano. Secondo tali resoconti furono esiliati insieme sull’isola di Terracina: Nereo ed Achilleo venero poi decapitati, mentre Domitilla fu arsa viva, essendosi rifiutata di sacrificare agli idoli.


Autore: Fabio Arduino

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13/05/2015 08:17
 
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Sant' Andrea Uberto Fournet

13 maggio


Maille, Francia, 6 dicembre 1752 - 13 maggio 1834

Nacque a Poitiers, nel villaggio di Saint-Pierre de Maillé nel 1752. Ordinato sacerdote, fu nominato prima vicario del villaggio di Haims, dove era parroco uno dei suoi zii paterni, poi a Saint-Phele de Maillé. Poco tempo dopo successe a un altro zio nella parrocchia di San Pietro di Maillé. Colpito e turbato dalla voce di un povero visse una conversione interiore. Durante la rivoluzione francese, avendo rifiutato il giuramento scismatico, fu parecchie volte sul punto di essere messo a morte. Privato del beneficio parrocchiale, e cacciato dal suolo francese, rifugiò in Spagna. Mentre la persecuzione infieriva ancora nella sua patria egli ritornò segretamente e si tenne nascosto celebrando i sacramenti per i fedeli. Ridata la pace alla Chiesa ritornò nella sua parrocchia in cui era tutto da rifare e là con gli esempi mirabili della sua santità acquistò il titolo di «Buon Padre». Durante questo tempo, per provvedere all'educazione cristiana delle fanciulle, specialmente delle più povere, fondò la congregazione delle Figlie della Croce, con Elisabetta Bichier. Nel 1820 il santo si dimise da parroco e si trasferì nella borgata di La Puye, dove era stabilita la Casa principale della nuova Congregazione. Morì nel 1834. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Puy-en-Vélay nella regione di Poitiers in Francia, sant’Andrea Uberto Fournet, sacerdote, che, parroco al tempo della rivoluzione francese, benché diffidato, confortò i fedeli nella fede; in seguito, restituita la pace alla Chiesa, fondò insieme a santa Elisabetta Bichier des Âges l’Istituto delle Figlie della Croce.







Santità, giustizia, pietà. Queste tre virtù risplendono mirabilmente in S. Andrea Fournet. Egli nacque a Poitiers, nel villaggio di Saint-Pierre de Maillé l’anno 1752 da pii e agiati genitori. Giunto all’adolescenza, benché propenso per inclinazione naturale ai divertimenti, non mancò mai troppo al suo dovere. Toccato dalla grazia, risolse di consacrarsi a Dio.
Ordinato sacerdote, fu nominato prima vicario del villaggio di Haims, dove era parroco uno dei suoi zii paterni, poi a Saint-Phele de Maillé. Poco tempo dopo successe a un altro zio nella parrocchia di S. Pietro di Maillé.
Conduceva una vita virtuosa, ma comoda, con la madre e la sorella. All’improvviso fu fortemente turbato dalla voce di un povero: elevando da quel momento la sua anima a cose più eccelse, entrò generosamente nella via d’una vita più perfetta, adempiendo più santamente i suoi doveri di parroco, portando ogni cura agli interessi di Dio e delle anime.
Durante la rivoluzione francese, avendo rifiutato coraggiosamente il giuramento scismatico, fu parecchie volte sul punto di essere messo a morte. Privato del beneficio parrocchiale, e cacciato dal suolo francese, rifugiò in Spagna.
Mentre la persecuzione infieriva ancora nella sua patria egli ritornò segretamente e si tenne nascosto celebrando i Ss. Misteri, e sempre in segreto amministrando i Sacramenti ai fedeli. Ridata la pace alla Chiesa ritornò nella sua parrocchia in cui era tutto da rifare e là con gli esempi mirabili della sua santità si acquistò il titolo di “Buon Padre”. Durante questo tempo, per provvedere all’educazione cristiana delle fanciulle, specialmente delle più povere, si occupò della fondazione della congregazione delle Figlie della Croce, con il concorso di Santa Elisabetta Bichier des Âges (canonizzata il 6 luglio 1947).
Per meglio occuparsi ancora di tale opera, nel 1820 il Santo si dimise da parroco e si trasferì nella borgata di La Puye, dove era stabilita la Casa principale della nuova Congregazione.
La fortificò mediante sagge regole, molto atte a favorire ogni virtù nelle sue figlie spirituali, lasciando in retaggio al suo istituto, così benemerito per l’educazione cristiana delle giovani, lo spirito del suo zelo apostolico. Compiuta in tutto la volontà di Dio, si spense serenamente nell’anno 1834.


Autore: Antonio Galuzzi

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POTRESTE AVERE DIECIMILA MAESTRI IN CRISTO, MA NON CERTO MOLTI PADRI, PERCHE' SONO IO CHE VI HO GENERATO IN CRISTO GESU', MEDIANTE IL VANGELO. (1Cor. 4,15 .
 
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