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RIFLESSIONI BIBLICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:42
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27/08/2015 06:40
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà

Il brano che oggi la liturgia pone alla nostra meditazione possiamo classificarlo inutile. Riflettere su di esso è vera perdita tempo. Nessuno si scandalizzi. Nessuno si stracci le vesti. Nessuno si cosparga il capo di cenere in segno di lutto per aver dichiarato inutile una pagina di Vangelo, o meglio una Parola di Gesù Signore. Noi lo sappiamo. Tutte le sue parole sono verità, giustizia, santità. Tutto il Vangelo è vita eterna per noi. In ogni sua frase è tracciato il cammino della nostra obbedienza.
Allora perché lo si può classificare come inutile, vano? Perché oggi serpeggia nella Chiesa la più triste delle eresie, la più nera, la più diabolica, la più infernale. Oggi da buona parte del mondo dell'intelligenza teologica si insegna e si predica che tutti siamo salvi, indipendentemente dalla conversione, dal nostro ritorno a Dio, dalla vita moralmente sana, conforme alla verità rivelata che si vive. Uno può vivere da disonesto, ladro, adultero, avaro, empio, idolatra e alla fine avrà ugualmente in eredità la vita eterna. Per queste menti elevate e meno elevate nella scienza teologica, il paradiso è un dono del Signore. Esso non è più ritenuto un dono e un frutto.
Non essendo più neanche un frutto della risposta di fede alla Parola del Signore, non solo questa pagina viene a perdere il suo valore di rivelazione e di verità, ma tutto il Vangelo è privato dell'obbedienza ad esso dovuta. A volte un solo principio errato che si introduce nella nostra fede, turba, guasta, manda in malora tutta la rivelazione. La nostra fede è un apparato di altissima logica soprannaturale. È un sistema divino in cui ogni verità diviene forza e principio di ogni altra verità. Se una sola verità viene eliminata, tutto il sistema crolla, viene vanificato, si fa illogico, incomprensibile. Una sola Parola di Cristo Gesù è luce per tutte le altre parole della Scrittura, del Vangelo. Abrogata questa Parola, le altre divengono insignificanti. Non hanno alcun senso.
Perché dobbiamo vigilare, stare attenti, prestare ogni cura alla nostra elevazione morale e spirituale? Perché dobbiamo osservare tutta la Parola, tutto il Vangelo? Perché dobbiamo mettere ogni impegno a camminare nella verità che Cristo Gesù ci ha rivelato? Perché al momento stesso della nostra morte viene il giudizio. Compariremo dinanzi al cospetto di Dio per essere valutati in base alle nostre opere di bene e di male. Se saremo stati trovati fedeli, andremo con Lui in Paradiso. Se invece il Signore ci troverà mancanti, per noi il posto sarà nell'inferno, tra i tormenti. Se però come insegnano molte menti illuminate oggi, non vi è alcuna condanna eterna, allora a che serve vigilare, essere attenti, camminare nella verità? A nulla.
Lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti. È questa parola che oggi da molti è stata abolita. Senza questa parola, tutto diviene inutile. Anche la stessa vita cristiana diviene senza senso. Tutto il Vangelo evapora nel non significato. Bene e male non producono un frutto eterno. Alla fine vi sarà solo il bene che trionferà e la misericordia del Signore abbraccerà tutti. Urge convertirsi alla verità rivelata. È necessario che il Vangelo venga confessato e creduto come la sola ed unica parola di rivelazione sul nostro futuro eterno. Esiste il Paradiso ed esiste l'inferno ed essi sono eterni. Sono però anche il frutto delle nostre opere di bene e di male.
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28/08/2015 08:04
 
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Riccardo Ripoli
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora

Ci sono persone che amano la bella vita, viaggiare, vivere alla ventura, spendere subito tutto quello che guadagnano. Tra questi ce ne sono molti che non si fanno tanti problemi se devono imbrogliare qualcuno, ed alcuni di loro arrivano anche a rubare, ricattare, minacciare e persino uccidere pur di fare la bella vita, pur di avere ciò che desiderano.
Altri invece fanno progetti, si ingegnano per riuscire al meglio nello studio e poi nel lavoro, accantonano i risparmi per i tempi più duri, si concedono qualche vacanza o qualche sfizio ma senza esagerare, provvedono alle necessità della famiglia che nel frattempo hanno costruito non senza fatica.
Viene da pensare che i primi forse hanno capito tutto della vita visto che sono pieni di soldi, hanno ville, ogni sera partecipano a feste e banchetti, sono rispettati e ossequiati da tutti e sembra che abbiano la strada spianata.
I secondi invece sono visti come i "secchioni", gli stacanovisti, i tristi ed infelici e spesso presi in giro da chi vede il bel vivere come l'unico obiettivo da raggiungere.
La storia ci insegna però che tutti i nodi vengono al pettine e chi sale prima o poi sarà costretto a scendere. Proprio stamani la notizia dell'arresto di due latitanti, due persone che hanno fatto della loro vita, un politico ed un mafioso, un parco giochi ove divertirsi. Una volta scoperti sono fuggiti per continuare in altro luogo, ma alla fine sono stati fermati.
Lo stolto, colui che dilapida i propri beni, colui che si arricchisce in modo improprio, colui che calpesta qualunque principio che non sia finalizzato al bene di se stesso, prima o poi dovrà pagare il conto.
Quando andiamo a pescare e gettiamo l'amo capita che il pesce mangi l'esca e non venga catturato. Una volta, due volte, tre volte ed il pesce sempre più famelico porta via il boccone dalla lenza, ma arriva un momento in cui la sua voracità gli giocherà un brutto scherzo ed aprirà la bocca per mangiare un succulento boccone una volta di troppo.
Ai miei ragazzi ripeto sempre di camminare adagio nelle vita, di guardarsi intorno, non avere fretta, apprendere bene come funziona il mondo, imparare un mestiere, agire in modo corretto con le persone. E' fatica, è vero, ma quando sarà il momento in cui servirà essere forti, affrontare il futuro con le sue difficoltà sapranno come fare e riusciranno a dosare gioia e fatica per poter vivere una vita dignitosa. Chi invece sin da ragazzo penserà soltanto a divertirsi, non avrà voglia di studiare, cercherà la via più facile per ottenere ciò che desidera avrà ben presto delle grosse amarezze.
Purtroppo alcuni ragazzi se ne sono andati da casa nostra proprio per non voler affrontare la fatica dello studio o del lavoro, attirati dalla bella vita e dall'idealizzazione del mondo e di sé stessi che si sono fatti. Hanno goduto della loro libertà, ma per poco tempo, fin tanto che non si sono dovuti confrontare con la realtà: la famiglia che li sosteneva ha cominciato a tirare i remi in barca, il ragazzo con il quale erano fuggiti ha preso un'altra strada, il mondo roseo della moda che li aveva attirati li ha scaraventati in un abisso fatto di droga. Eppure hanno avuto tutti le stesse opportunità, la medesima educazione ai valori, ma qualcuno ha scelto la scorciatoia e la rapidità per trovarsi oggi a vivere di stenti, avanti e indietro con la prigione, messo al bando dai locali, scansato da tutti.
Fate la scelta giusta ragazzi, oggi che potete, studiate e lavorate costruendo un futuro e non fatevi ammaliare dal luccichio di quel mostro mascherato da dolce fanciulla.
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29/08/2015 09:26
 
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Paolo Curtaz
Commento su Marco 6,17-29

Il più grande uomo vissuto. Un complimento così ci fa riflettere, ovviamente. Ancora di più se a farlo è Gesù in persona. Giovanni Battista, di cui oggi celebriamo il cruento assassinio, è un modello di umanità compiuta, un gigante della coerenza, un asceta integerrimo. Di lui sappiamo poco: vive nel deserto di Giuda in attesa del Messia, accoglie i penitenti che dalla ricca Gerusalemme scendono da lui per un bagno di conversione nel Giordano. La sua è una vita dura, essenziale, improntata al servizio totale nei confronti dell'annuncio del Regno. Non ha paura di nessuno, non appartiene a nessuna scuola di pensiero, tiene testa ai dottori del tempio e ai devoti. Ha una parola sferzante per tutti, uno schiaffo morale che spinge le persone a pentirsi, a cambiare atteggiamento, a interrogarsi. Pochi sanno che, al tempo di Gesù, la fama del Battista era maggiore di quella del Nazareno e per un certo periodo i discepoli di Gesù dovettero confrontarsi con quelli di Giovanni. Anche la sua morte è vissuta all'insegna della coerenza e della testimonianza. Chiediamo a Giovanni di essere capaci di donare tutto alla causa del Regno, senza tirarci indietro davanti a nulla.
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30/08/2015 07:22
 
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padre Ermes Ronchi
Quel rischio di una fede dal «cuore lontano» piegata all'esteriorità

Gesù viveva le situazioni di frontiera della vita, incontrava le persone là dov'erano e attraversava con loro i territori della malattia e della sofferenza: dove giungeva, in villaggi o città o campagne, gli portavano i malati e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello. E quanti lo toccavano venivano salvati (Mc 6,56). Da qui veniva Gesù, portando negli occhi il dolore dei corpi e delle anime, e insieme l'esultanza incontenibile dei guariti. Ora farisei e scribi lo provocano su delle piccolezze: mani lavate o no, questioni di stoviglie e di oggetti! Si capisce come la replica di Gesù sia decisa e insieme piena di sofferenza: Ipocriti! Voi avete il cuore lontano! Lontano da Dio e dall'uomo.
Il grande pericolo, per i credenti di ogni tempo, è di vivere una religione dal «cuore lontano», fatta di pratiche esteriori, di formule recitate solo con le labbra; di compiacersi dell'incenso, della musica, della bellezza delle liturgie, ma non soccorrere gli orfani e le vedove (Giacomo 1,27, II lettura).
Il pericolo del cuore di pietra, indurito, del «cuore lontano» da Dio e dai poveri è quello che Gesù più teme. «Il vero peccato per Gesù è innanzitutto il rifiuto di partecipare al dolore dell'altro» (J. B. Metz), e l'ipocrisia di un rapporto solo esteriore con Dio.
Lui propone il ritorno al cuore, per una religione dell'interiorità. Non c'è nulla fuori dall'uomo che entrando in lui possa renderlo impuro, sono invece le cose che escono dal cuore dell'uomo...
Gesù scardina ogni pregiudizio circa il puro e l'impuro, quei pregiudizi così duri a morire. Ogni cosa è pura: il cielo, la terra, ogni cibo, il corpo dell'uomo e della donna. Come è scritto: «Dio vide e tutto era cosa buona».
Gesù benedice di nuovo le cose, compresa la sessualità umana, che noi associamo subito al concetto di purezza e impurità, e attribuisce al cuore, e solo al cuore, la possibilità di rendere pure o impure le cose, di sporcarle o di illuminarle.
Il messaggio festoso di Gesù, così attuale, è che il mondo è buono, che le cose tutte sono buone, che sei libero da tutto ciò che è apparenza. Che devi custodire invece con ogni cura il tuo cuore perché è la fonte della vita.
Via le sovrastrutture, i formalismi vuoti, tutto ciò che è cascame culturale, che lui chiama «tradizione di uomini». Libero e nuovo ritorni il Vangelo, liberante e rinnovatore.
Che respiro di libertà con Gesù! Apri il Vangelo ed è come una boccata d'aria fresca dentro l'afa pesante dei soliti, ovvii discorsi. Scorri il Vangelo e ti sfiora il tocco di una perenne freschezza, un vento creatore che ti rigenera, perché sei arrivato, sei ritornato al cuore felice della vita.
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31/08/2015 06:42
 
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Nel Vangelo di Luca l'episodio della predica di Gesù nella sinagoga di Nazaret ha valore programmatico, perciò è tanto più importante capire con esattezza il suo significato. Spesso viene interpretato in modo erroneo, perché si cerca di imporre al testo di Luca la prospettiva del passo parallelo di Marco e Matteo, mentre l'orientamento di Luca è diverso.
Luca lo vediamo distingue chiaramente due tempi contrastanti in questa visita alla sinagoga di Nazaret. In un primo tempo Gesù legge una profezia di Isaia e la dichiara adempiuta, perché lui stesso sta predicando l'anno di grazia annunziato dall'oracolo profetico. La reazione della gente di Nazaret è quanto mai favorevole: "Tutti gli rendevano testimonianza scrive l'evangelista ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca". In un secondo tempo, però, Gesù riprende a parlare citando l'esempio del profeta Elia e del profeta Eliseo, entrambi autori di miracoli a profitto non di connazionali, bensì di stranieri: la vedova di Sarepta e il siro Naaman il lebbroso. Allora la reazione dei nazaretani si capovolge: "Tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno", al punto di voler perfino uccidere Gesù, precipitandolo in un precipizio.
Come si spiega questo completo voltafaccia? Per spiegarlo correttamente occorre capire i sentimenti dei compaesani di Gesù. Quando dicono, dopo il suo primo intervento: "Non è il figlio di Giuseppe?" non ~ dicono con un senso di disprezzo, come negli altri sinottici, ma per sottolineare che Gesù, questo nuovo, ammirevole profeta, è un loro compaesano, quindi appartiene a loro. Il loro atteggiamento esprime una tendenza possessiva. Se Gesù ci appartiene, pensano, deve riservare a noi il primo posto nel suo ministero, deve fare per noi i miracoli! Gesù avverte questi loro pensieri e non li accetta, anzi li denuncia: "Di certo voi mi direte: Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui nella tua patria!". Ma Gesù ribatte: "Nessun profeta è "accoglibile" nella sua patria" ("accoglibile" è la traduzione precisa del termine usato qui da Luca). E Gesù lo spiega con gli esempi di Elia e di Eliseo. Gesù, cioè, si è opposto risolutamente alla tendenza possessiva dei suoi concittadini e ha richiesto loro una grande apertura di cuore, li ha invitati ad accettare che egli si dedicasse al servizio di altra gente, che andasse altrove a compiere i suoi miracoli. Contrastato, l'affetto possessivo si muta in odio violento (tanti drammi passionali si spiegano così; tanto più era forte l'affetto possessivo, tanto più violenta è la reazione contraria).
Lo stesso atteggiamento si ritrova poi negli Atti degli Apostoli da parte dei Giudei che contrastano l'apostolato di Paolo. Lo contrastano perché vedono che ha successo presso i pagani; sono presi da gelosia, e invece di ascoltare il messaggio evangelico perseguitano l'Apostolo.
Se vogliamo essere con Gesù, dobbiamo aprirci alla lezione molto seria di questo Vangelo: per essere con lui è necessario aprire il proprio cuore, non amare neppure Gesù in maniera possessiva, chiedendo per noi stessi le sue grazie, i suoi favori, chiedendo privilegi...
Se vogliamo essere veramente con lui, lo dobbiamo accompagnare quando va verso altra gente e quindi accogliere le grandi intenzioni missionarie della Chiesa. Soltanto così siamo veramente uniti al cuore di Gesù, altrimenti il nostro è un certo egoismo spirituale, che, per quanto spirituale, rimane egoismo, contrario alla carità di Cristo.
[Modificato da Coordin. 31/08/2015 06:44]
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01/09/2015 06:52
 
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Quando Gesù parlava, la gente era colpita dall'autorevolezza della sua parola. Egli non si riferiva alla tradizione degli scribi, ma "parlava con autorità": lo dicono e lo dimostrano tutti gli evangelisti.
Era la grande novità. In Israele il modo normale di insegnare era di riferirsi sempre all'insegnamento dei predecessori, alla tradizione. Lo vediamo ancora oggi in tutti i documenti della tradizione giudaica: si riferisce quello che diceva rabbi Gamaliel, rabbi Achiba, o tanti altri... Gesù invece parlava senza cercare appoggio sull'autorità di nessuno: aveva la sua autorità personale e questo bastava.
il Vangelo di oggi ci mostra che questa autorità era poi confermata dalla efficacia della sua parola. Sono infatti due cose diverse, parlare con autorità e avere un discorso efficace. L'efficacia della parola di Gesù viene dimostrata dal suo intervento per scacciare un demonio. Egli intima al demonio di tacere e di uscire dalla persona di cui si è impadronito; e il demonio non può fare altro che obbedire: "I' demonio uscì da lui senza fargli alcun male". "Tutti furono presi da paura", la paura che prende un uomo quando vede una manifestazione divina, "e si dicevano l'un l'altro: "Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti immondi?"". La parola di Gesù non è soltanto autorevole, ma è efficace. Lo sappiamo, lo crediamo e questo è il fondamento della nostra sicurezza.
San Paolo nella prima lettura dice: "Voi, fratelli, non siete nelle tenebre... Voi siete figli della luce, figli del giorno". Siamo figli della luce grazie alla parola di Gesù, figli del giorno grazie all'efficacia di questa parola. Nei sacramenti della Chiesa la parola di Cristo ci raggiunge; non raggiunge soltanto le nostre orecchie, ma il nostro cuore, la nostra coscienza; ci purifica fino in fondo; fa di noi i figli della luce, e così siamo nella sicurezza, non ci troviamo nel pericolo di essere sorpresi. Qualsiasi tribolazione venga, siamo attrezzati per trasformare k difficokà in occasione di progresso, di vittoria.
Quelli che sono attaccati ai beni terreni si trovano sempre nell'insicurezza; chi invece segue Cristo e accoglie la sua parola ha in se stesso la forza tranquilla che permette di superare ogni ostacolo.
"Dio dice Paolo non ci ha destinati alla sua collera, ma all'acquisto della salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo". Cristo è morto per noi; la sua parola ne ha acquistato tanta più potenza, tanta più efficacia: ormai possiamo essere sempre con lui, vivere con lui e per lui, e trovarci così nella più profonda pace
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02/09/2015 05:25
 
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All'inizio di questa ventiduesima settimana abbiamo visto come Gesù a Nazaret abbia resistito alla tendenza possessiva dei suoi compaesani, costringendoli ad accettare di non essere i destinatari privilegiati del suo ministero e dei suoi miracoli. Chi vuol impossessarsi di Gesù egoisticamente, per proprio profitto e godimento non lo riceve affatto, perché l'unione con lui non è possibile se non nell'amore generoso, nell'apertura di cuore. Nel Vangelo di oggi lo stesso orientamento viene confermato, la stessa lezione ci viene data, questa volta a Cafarnao, città dove Gesù si era recato dopo la sua visita a Nazaret. Lì, dopo aver insegnato con autorità nella sinagoga, andò nella casa di Simon Pietro. "La suocera di Simon Pietro era in preda ad una grande febbre. Lo pregarono quindi per lei", con grande fiducia nell'efficacia della sua parola. Effettivamente Gesù, "chinatosi sull'ammalata, intimò alla febbre e la febbre la lasciò". Ne risultò che a questa notizia "tutti quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li condussero a lui". Con una bontà straordinaria Gesù ebbe cura di ciascuno di loro:
"Imponendo su ciascuno le mani, li curava". Come è significativa questa attenzione personale di Gesù per ciascuno! Egli dirà più tardi: "Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me"; il buon pastore "chiama le sue pecore per nome", le conosce una per una.
Occuparsi personalmente di ogni singola persona è certamente una grande fatica. Gesù l'affrontava generosamente. Si capisce quindi facilmente che quando, il giorno seguente, egli andò altrove, "le folle lo cercarono e, raggiuntolo, lo volevano trattenere perché non se ne andasse via da loro". Gesù aveva suscitato la gratitudine, la stima, l'ammirazione. ~ suo ministero aveva ottenuto pieno successo. La reazione naturale sarebbe di approfittarne, cedendo al desiderio della gente. Gesù invece non cede, non accetta di fermarsi a Cafarnao.
Dichiara: "Bisogna che io annunzi il regno di Dio anche nelle altre città". Con questa risposta corre il rischio di deludere la gente; però egli è consapevole di avere una missione più ampia. Non è venuto per cercare il proprio successo, bensì per fare la volontà del Padre, che l'ha mandato in cerca delle pecore smarrite, dovunque si trovino.
Con questo atteggiamento dinamico Gesù rivela al mondo la stupenda generosità di Dio. L'amore divino è sconfinato, non accetta limiti, cerca di salvare tutti, va incontro anche ai propri nemici, per proporre la riconciliazione e l'unione.
A questo proposito possiamo osservare una grande differenza tra il ministero di Gesù e quello di Giovanni Battista. La vocazione del Battista, infatti, non fu di andare in cerca della gente. Egli si mise a predicare non in una città, ma in un luogo disabitato. Non andava verso la gente; era la gente a venire da lui. Gesù invece prese ad annunziare il regno di Dio dove stava la gente; si muoveva, "andava predicando nelle sinagoghe della Giudea". Anche san Matteo dice: "Percorreva tutte le città e i villaggi, predicando il Vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità" (Mt 9,35). Così Gesù mise in moto "la missione": è stato il primo missionario. Risorto, estese questa missione al mondo intero. Agli undici Apostoli disse: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28, 19); "Andate intutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16, 15). Apparve poi a Paolo sulla strada di Damasco per fare di lui l'"Apostolo delle nazioni" (Rm 11,13; cfr.At9, 15;22, 15;26, 1718). Nellaprimalettura di oggi vediamo che Paolo si rallegra della diffusione del Vangelo che "in tutto il mondo fruttifica e si sviluppa" (Col 1, 6).
~ dinamismo straordinario della missione cristiana parte, lo dobbiamo capire, da una esigenza dell'amore. Gesù ci ha rivelato, a parole e ancor più con i fatti, che il vero amore è universale. Se vogliamo essere uniti a lui nell'amore, dobbiamo aprire sempre più il nostro cuore
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03/09/2015 09:19
 
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Paolo Curtaz
Commento su Lc 5,1-11

Ci raggiunge sempre alla fine delle nostre notti, il Signore. Ci raggiunge alla fine delle nostre notti e dei nostri incubi, ci raggiunge quando siamo stanchi e depressi. Ci chiede un gesto di fiducia, all'apparenza inutile, ci chiede di gettare le reti dalla parte debole della nostra vita, di non contare sulle nostre forze, sulle nostre capacità, ma di avere fiducia in lui. Pietro lo fa e accade l'inaudito. Le reti si riempiono, il pesce abbonda, la barca quasi affonda. Il miracolo è sempre un evento ambiguo, interpretabile in modi molto diversi, talora contrastanti. Il miracolo consiste nel fatto che Pietro vede in quella pesca un segno straordinario. Il miracolo è sempre nel nostro sguardo, Dio continua a riempire di miracoli la nostra vita. E noi non li vediamo. È turbato, ora, il pescatore. Che sta succedendo? Si butta in ginocchio, prima di arrendersi: «Non sono capace, non sono degno». È la scusa principale tirata fuori da tutti quelli che, per un istante, sfiorano Dio: non sono all'altezza, sono un peccatore. Siamo sempre lì, inchiodati al nostro becero e rancido moralismo: lasciamo fare a Dio! Pensiamo che Dio voglia farci superare un esame, che ponga delle condizioni. No, sbagliato: siamo noi a porre delle condizioni, non Dio.



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04/09/2015 07:09
 
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La gloria di Cristo si è rivelata pienamente nel suo mistero pasquale, mediante la sua passione e risurrezione. Nella sua passione infatti Gesù si è manifestato Figlio di Dio perché ha adempiuto con perfetto amore filiale tutto il disegno salvifico del Padre; ha glorificato il Padre ed è stato glorificato dal Padre come aveva chiesto nella sua preghiera sacerdotale (Gv 17, 1). La gloria divina è la gloria di amare; Gesù, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine, cioè sino all'estrema possibilità, infatti non c'è amore più grande di quello che consiste nel dare la propria vita per le persone amate (cfr. Gv 15, 13).
Questa gloria divina si è poi manifestata con la risurrezione di Cristo, vittoria completa del Figlio prediletto sulla morte e sul male.
Così gli Apostoli ricevettero la pienezza della rivelazione. Non furono però subito capaci di esprimerne tutte le ricchezze. Quando un'esperienza di vita è completamente nuova, inedita, non è possibile esprimerla subito in modo soddisfacente; mancano le parole, solo a poco a poco si riesce ad adattare il linguaggio alla realtà vissuta.
Per quanto concerne la gloria filiale di Cristo, il Nuovo Testamento ci mostra questo genere di progresso e gli sforzi fatti per esprimerla sempre meglio. All'inizio la catechesi apostolica disponeva soltanto di alcune formule brevi: "Gesù è Signore", "Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente"... Poi il contenuto densissimo di queste formule venne esplicitato, ad esempio nell'esordio della lettera agli Ebrei, oppure nel prologo del quarto Vangelo, o ancora nel passo splendido della lettera ai Colossesi che leggiamo nella liturgia di oggi. San Paolo vi esprime la gloria divina di Cristo sotto un duplice aspetto. Afferma prima la sua preesistenza e la sua superiorità su tutta la creazione, comprese le creature la cui grandezza affascinava allora le menti, cioè gli esseri celesti, chiamati con nomi impressionanti: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Poi, nella seconda parte, proclama il primato di Cristo nell'ordine della redenzione e della riconciliazione: Cristo, il primo risuscitato, Cristo capo del corpo, cioè della Chiesa. Le espressioni sono molto forti, nella prima come nella seconda parte: "Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui". Cristo sta all'inizio e sta alla fine di tutto. "Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui", non hanno consistenza al di fuori di lui. E qui Paolo precisa che anche i Troni, le Dominazioni, i Principati, le Potestà sono stati creati per mezzo di lui, quindi gli sono sottomessi. il fascino che esercitava il pensiero di questi esseri non doveva indurre i cristiani a errori: Cristo è il solo Signore.
Nella seconda parte Paolo afferma proprio che per mezzo della sua passione Cristo ha ottenuto in maniera diversa e ancora più profonda il primato su tutte le cose: "Perché piacque a Dio di far abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose". Il sangue della croce di Gesù è stato il mezzo che ha messo la pace dappertutto, e che deve mettere la pace dappertutto. Non ci devono più essere contrasti, divisioni, opposizioni, perché Gesù, con il suo amore espresso con il sangue versato, ha rappacificato tutto, "'e cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli".
Questo testo magnifico ci aiuta a contemplare con esultanza la gloria di Cristo Signore nostro, capo nostro e anche fratello nostro; ci aiuta a lodare Dio per la gloria del suo Figlio; ci aiuta a confermare la nostra fede e la nostra speranza.
Meditiamolo dunque con grande gioia nel cuore
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05/09/2015 04:48
 
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Cristo, che era sin dall'inizio Signore di tutto il creato, si mostra consapevole, nel Vangelo di oggi, di essere Signore del sabato, il che significa la sua uguaglianza con Dio, perché è Dio ad aver stabilito la legge del sabato, come riferisce il racconto della Genesi.
Questa uguaglianza viene affermata più esplicitamente nel quarto Vangelo, quando Gesù, criticato da certi Giudei perché aveva guarito un paralitico in giorno di sabato, rispose loro: "11 Padre mio opera sempre e anch'io opero". L'evangelista fa allora questo commento: "Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo", perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.
Orbene, Gesù, Signore di tutto, ha accettato la sorte degli schiavi, anzi il supplizio riservato agli schiavi ribelli, il supplizio della croce. L'ha accettato per portare a termine l'opera d'amore affidatagli dal Padre, liberandoci completamente dal male.
Nella prima lettura di oggi Paolo esprime questo mistero di amore e ne fa l'applicazione ai Colossesi, dicendo: "Anche voi un tempo eravate stranieri e nemici, con la mente intenta alle opere cattive che facevate, ma ora Dio vi ha riconciliati per mezzo della morte del corpo di carne di Cristo, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili al suo cospetto". Tutti eravamo nemici, perché tutti soggetti al peccato e Dio, per mezzo di Cristo, ha operato la riconciliazione.
Osserviamo che è uno strano modo di concepire la riconciliazione, nel senso che, di solito, a cercare la riconciliazione deve essere la persona che ha recato offesa, non chi è stato offeso. Invece, nel caso della salvezza, è Dio ad aver cercato la riconciliazione e ad averla attuata. Si tratta di una generosità stupenda. Nella lettera ai Romani Paolo esprime il suo stupore e la sua ammirazione davanti a questo modo di agire di Dio:
"Mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito... Dio dimostra il suo amore verso di noi perché mentre eravamo ancora peccatori Cristo è morto per noi". E continua: "Quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo". E si meraviglia, riflettendo: "A stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene, ma Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché mentre eravamo ancora peccatori Cristo è morto per noi".
L'ambizione di Dio per noi è molto alta: ci vuole "santi, immacolati, irreprensibili". Questa ambizione è l'espressione del suo amore paterno, ed egli l'ha resa ormai realizzabile. Non è un sogno irraggiungibile diventare santi, immacolati, irreprensibili al cospetto di Dio, ma una possibilità che ci è sempre offerta, perché la morte di Gesù, il suo amore ci ottiene tutte le grazie necessarie per vivere anche noi in questa generosità che viene dal Padre, che passa attraverso il cuore di Gesù e ci raggiunge nei sacramenti.
La condizione viene espressa da san Paolo: occorre restare "fondati e fermi nella fede", cioè aderire a Cristo mediante la fede, essere in questo modo collegati alla corrente di amore che viene da Dio e passa attraverso Cristo. Chi è saldo nella fede riceve la grazia e diventa santo.
San Paolo diceva: "Questa vita che vivo nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me". Ciascuno di noi dovrebbe poter proclamare questa stessa frase. Credere in Cristo vuol dire credere nel suo amore, credere nel Figlio di Dio che mi ha amato al punto da dare la propria vita per me. Cristo è veramente degno di fede, perché ci ha tanto amati. Contemplandolo sulla croce rinnoviamo la nostra fede nel suo amore e cosi cammineremo sulla via della santità
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06/09/2015 07:36
 
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don Luciano Cantini
Spalàncati

Passando per Sidòne

Il Racconto di Marco ci tramanda alcune notizie sul percorso di Gesù, tortuoso e abbastanza improbabile, che si mantiene comunque al di fuori della Palestina, in terra pagana. Questo ci aiuta a dare una lettura simbolica al racconto che ai primi lettori di Marco doveva sembrare piuttosto evidente. La guarigione raccontata sembra così toccare ogni uomo che vive fuori dall'Israele che, in quanto pagano, non ascolta la Parola di Dio ed è come un sordo, neppure è capace di parlare con Dio, non perché muto, ma impedito nel linguaggio (mogilalon, malparlante, balbuziente).

Siamo messi di fronte al simbolo della condizione propria di ogni uomo e donna della terra che non è malato né posseduto da un demonio, come altri personaggi del vangelo; la sua condizione è talmente considerata naturale che non è chiesta una guarigione da una malattia riconosciuta come tale, piuttosto si chiede di imporgli la mano, un gesto di benedizione (cfr. Mc 10,16) capace far sentire la vicinanza, un contatto fisico che rivela sollecitudine, perché anche la sua povera vita sia avvolta dalla misericordia divina.

Gli portarono un sordomuto

Il sordomuto non è impedito a muoversi eppure il vangelo ci dice che lo portarono. Il problema più grave sembra essere il mancato riconoscimento della propria situazione... chi è otturato tanto da non ascoltare non percepisce neppure la necessità dell'ascolto e la bellezza della Parola. Non è difficile il paragone anche con tanti battezzati che sono lontani dall'ascolto della Parola di Dio.

Probabilmente non si è neppure accorto della presenza di Gesù che gli è passato vicino da sentire la necessità di incontrarlo, sono altri che si prendono la briga di portarlo. È un compito prezioso quello di portare fratelli e sorelle dal Signore che non si limita a accompagnare ma diventa intercessione, infatti lo pregarono (il verbo paràkaleô suggerisce l'idea di supplica fatta con insistenza).

Mentre si descrive la condizione di ogni uomo, sordo e muto alla Parola, si delinea anche il compito degli uomini di buona volontà che fanno quanto è possibile per accompagnare le persone al Signore e pregare per loro, con affetto e delicatezza. È una azione sinergica suggerita dal plurale del verbo, portarono, capace di accogliere e accompagnare, di fare la stessa strada (sinodo) tanto da inventare nuove vie di comunicazione capaci di convincere e sostenere nel cammino.

Lo prese in disparte

Gesù lo porta lontano dalla folla, per sottolineare il significato della relazione personale. La folla confonde e spesso impedisce, nella folla le voci si sovrappongono e perdono chiarezza, la necessità di urlare rende ancora più evidente la difficoltà di parola; la persona perde la propria capacità di valutare, segue le correnti, la mediazione degli altri riducono la coscienza. Gesù propone una azione di decontaminazione, di purificazione della coscienza, di una libertà ritrovata. Un compito importante ha oggi la Chiesa in un tempo in cui la globalizzazione si trasforma in massificazione, il pensiero unico annebbia la libertà di coscienza. Essere in disparte non significa non guardare, non ascoltare e non dire, quanto non lasciarsi avvolgere e uniformare dal mondo: sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, soffocano la Parola e questa rimane senza frutto (Mc 4.19)

«Effatà»

La minuziosa descrizione dei gesti raccontata da Marco non ha pari in altre situazioni in cui il miracolo compiuto sembra essere più complesso: Gesù non sfiora le orecchie e le labbra del sordomuto, anzi vi mette il dito quasi a perforare fisicamente l'orecchio chiuso, mette la sua saliva sulla lingua, guarda al cielo sospirando e rivolgendosi alla persona nella sua globalità gli comanda «spalàncati». I segni molteplici e laboriosi, esprimono bene la volontà del Signore di reintegrare l'uomo nella sua pienezza, la loro spettacolarizzazione ci raccontano quanto sia complessa l'apertura alla comunicazione, alla relazione con gli altri e con Dio. Ma il rito, ogni rito, non è fine a se stesso come a volte paiono certe nostre celebrazioni, il fine ultimo è quello di spalancarsi alla realtà che ci circonda, entrare in relazione, prendere il coraggio della parola che nasce dall'ascolto, liberarsi dalla indifferenza, dall'opportunismo e dal tacere vigliacco o dal mal parlare egoistico, gretto e ingeneroso. Occorre spalancare il cuore per osservare la realtà che ci circonda, i segni della vita e della comunione, sconfinare nell'immensità dell'amore di Dio.
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07/09/2015 07:19
 
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Nella prima frase della prima lettura di oggi le traduzioni sono di solito inesatte. L'ha fatto osservare a ragione l'ultimo commento pubblicato sulla lettera ai Colossesi, quello di padre Aletti, professore all'Istituto Biblico. Per migliorare lo stile della frase di Paolo, i traduttori infatti modificano un po' l'ordine delle parole. Sembra poca cosa; in realtà cambia il senso. Traducono: "Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo". Con questa traduzione fanno dire a Paolo che la passione di Cristo è stata manchevole; manca qualche cosa ai patimenti di Cristo, e Paolo ha l'ambizione di completare ciò che manca. Questa idea non poteva certamente venire in mente a san Paolo. Egli in realtà non parla dei patimenti di Cristo in questa frase. Dice "tribolazioni", il che già indica una sfumatura; ma soprattutto l'espressione "nella mia carne" non si trova prima, ma dopo le parole "che manca alle tribolazioni di Cristo". La frase si deve tradurre: "Completo quello che manca nella mia carne alle tribolazioni di Cristo", oppure: "quello che manca alle tribolazioni di Cristo nella mia carne".
Alla passione di Cristo non manca niente, è sufficiente per salvare il mondo intero; però la passione di Cristo deve essere applicata alla vita di ciascun credente e questo comporta una certa dose di tribolazioni: "Dobbiamo soffrire con lui dice altrove san Paolo per poter essere glorificati con lui". Ogni vocazione cristiana comprende quindi una parte di tribolazioni, che deve essere attuata. In questo senso Paolo dice che completa ciò che manca all'applicazione della passione di Cristo nella sua esistenza. E una vocazione alta, questa applicazione alla nostra vita della passione di Cristo. Paolo la vede in modo molto positivo, al punto di dire:
"Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi". Egli è convinto della fecondità di questa partecipazione alla passione di Cristo; vede la passione nella luce della risurrezione; sa che la partecipazione alla passione è condizione per partecipare alla risurrezione. Parla quindi di letizia, di gioia anche nelle sofferenze.
E non è il solo ad avere questa prospettiva. San Pietro nella sua prima lettera invita tutti i cristiani a rallegrarsi quando hanno parte alle sofferenze di Cristo:
"Quando avete parte alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, affinché anche quando si manifesterà la sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare".
La nostra vocazione cristiana ci porta a riconoscere la grazia nascosta nelle sofferenze e nelle prove della vita, grazia preziosa di unione a Cristo nella sua passione, grazia dell'amore autentico, che accetta di pagare di persona. Se il valore supremo è quello dell'amore autentico, occorre accogliere i mezzi necessari per progredire nell'amore non soltanto con rassegnazione, ma con gioia.
Chiediamo allora al Signore di aiutarci a riconoscere la grazia nascosta nei momenti difficili. Se l'apprezziamo al suo giusto valore, potremo dire con san Paolo:
"Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo quello che manca alle tribolazioni di Cristo nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa".
È chiaro che la partecipazione alla passione di Cristo si fa sempre in un orientamento d'amore. Paolo scrive: "Le sofferenze che sopporto per voi... Completo quello che manca a favore del coTpo di Cristo che è la Chiesa". Soltanto se accogliamo la sofferenza in questa prospettiva di offerta generosa di amore potremo provare in noi la gioia stessa del Signore
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08/09/2015 09:25
 
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La liturgia ci fa chiedere a Dio che la festa della natività della Madonna ci faccia crescere nella pace. Ed è effettivamente una festa che deve aumentare la pace in noi, perché ci parla dell'amore di Dio verso di noi.
La nascita di Maria è il segno che Dio ha preparato per noi la salvezza: per questo ha preparato il corpo e l'anima della madre di Gesù, che è anche madre nostra.
San Paolo nella lettera ai Romani scrive: "Quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo" (8,29). Questo è particolarmente vero per la Vergine santa, predestinata ad essere conforme all'immagine del Figlio di Dio e figlio suo. E Dio ha predisposto tutte le cose secondo questa intenzione: "Sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio", troviamo poco prima nella stessa lettera.
Dio ha preparato tutte le generazioni umane in vista della nascita di Maria, in vista della nascita di Gesù, e insieme ha agito con mezzi soprannaturali.
E nel Vangelo di oggi si può dire che appaiono sia la parte naturale che quella soprannaturale, l'una e l'altra necessarie per la nascita di Maria.
Questa lunga serie di generazioni, così monotone alla lettura, è in realtà come la sintesi di una storia vivente, spesso anche di peccatori, che è stata condotta da Dio verso la nascita di Maria e di Gesù.
Alla fine però il disegno di Dio si è realizzato con mezzi straordinari, sconcertanti: Giuseppe non capisce ciò che succede, perché avviene per opera dello Spirito Santo. Non bastano dunque le generazioni
umane che si succedono nel tempo per il compimento del progetto di Dio: è necessario l'intervento dello Spirito Santo.
Tutto dunque ci parla dell'amore di Dio: amore di Dio creatore, amore di Dio salvatore.
Oggi dobbiamo, più di sempre, dire a Dio la nostra riconoscenza, la nostra gioia perché egli ha amato Maria e ci ha amati
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09/09/2015 06:38
 
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Nella prima lettura di ieri san Paolo ci ha detto: "Siete stati sepolti insieme a Cristo per mezzo del Battesimo, in lui siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti".
Per questo dono divino l'Apostolo ci invitava ad "abbondare nel rendimento di grazie". Oggi dagli stessi fatti Paolo trae un'altra conclusione: poiché siete morti con Cristo, non pensate più alle cose della Terra; poiché siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù.
Che cosa significa questa esortazione di Paolo? Dobbiamo forse sognare continuamente la felicità celeste, trascurando gli impegni di quaggiù?
Sarebbe un'interpretazione molto sbagliata. Certo, èbene pensare alla felicità che Dio ci promette in cielo, questa speranza ci deve animare, però non ne segue che dobbiamo trascurare i nostri impegni terreni, perché "le cose di lassù" non sono soltanto la felicità futura in paradiso, ma sono anche e anzitutto le cose spirituali di adesso, ciò che Paolo nella lettera ai Galati chiama "il frutto dello Spirito": amore, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé, gioia, pace.
La vita eterna per il cristiano non è una speranza soltanto futura: la vita eterna è gia Iniziata. La vita con Cristo risorto per ogni cristiano incomincia quaggiù, con il battesimo. Non dobbiamo aspettare di essere morti per incominciare a vivere una vita nuova in Cristo: è una vita che abbiamo in noi e la dobbiamo sviluppare. Questo è il senso dell'esortazione di Paolo: "Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù", cercate nella vita concreta i valori veri. Non cercate il denaro, non cercate il potere... Cercate il progresso della comunione fra tutti, cercate il progresso dell'amore, cercate la pace, la mitezza che vince la violenza.
San Paolo ci dice che dobbiamo continuamente morire e risorgere: il mistero pasquale si deve attuare nella nostra vita ogni giorno. Dobbiamo morire. Una parte del nostro essere va mantenuta nella morte e una parte deve crescere. "Mortificate scrive Paolo quella parte di voi che appartiene alla terra" e spiega: si tratta prima dell'immoralità sessuale, poi della ricerca del denaro, contro la quale Paolo è severissimo: "Quella avarizia insaziabile che è idolatria. . .", poi tutte le cose che vanno contro la comunione fraterna: la collera, la malizia, le maldicenze. "Non mentitevi gli uni gli altri", ammonisce, perché siete membra del corpo di Cristo. "Vi siete spogliati dell'uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova ad immagine del suo Creatore". La vocazione cristiana non è di evasione dal mondo, bensì di trasformazione positiva nel mondo. ll cristiano è chiamato ad immettere nel mondo i valori veri, lo può fare grazie all'energia straordinaria che si è sprigionata nella risurrezione di Cristo, luce e forza e soprattutto amore. San Paolo non ha espressioni abbastanza forti per dire questa forza, potenza, energia divina della quale disponiamo. Dobbiamo essere convinti che Cristo mette a nostra disposizione la sua potenza di Risorto, affinché possiamo anche noi vincere il male e la morte, affinché possiamo anche noi, in lui, rinnovare il mondo nell'amore. Non saremo mai abbastanza aperti ad accogliere questa energia trasformatrice, ricreatrice
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10/09/2015 04:19
 
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Nelle letture di oggi troviamo magnifiche espressioni di generosità. E una generosità veramente divina, che non cerca il proprio interesse, che ha la forza di vincere ogni ostacolo, ogni malevolenza, ogni odio. San Paolo e Gesù stesso ci dicono la fonte di questa impensabile generosità: il cuore di Dio.
"Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro", ci invita Gesù; san Paolo da parte sua scrive ai Colossesi: "Rivestitevi, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia". ~ fondamento della nostra carità dovrebbe essere proprio la coscienza di essere stati scelti da Dio, di essere amati da Dio; allora la nostra carità sarà vera, perseverante, veramente a immagine della generosità divina. U pensiero di essere stati scelti da Dio, amati da Dio dovrebbe sempre riempirci di stupore: "Io, così indegno, così miserabile, sono amato da Dio!". Pensiamoci sovente, riflettiamo bene a questa stupenda verità: "Io sono amato, realmente amato". Quando uno si sente amato non può che amare a sua volta generosamente, senza cercare il proprio interesse, per la riconoscenza che gli riempie il cuore. San Paolo qui lo ripete tre volte in pochi versetti: "La pace di Cristo regni nei vostri cuori... E siate riconoscenti!" (v. 15); "Ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine" (v. 16); "E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre" (v. 17).
La riconoscenza è fondamento del vero amore. Dio ci ha amato per primo. Lo riconosciamo con commozione e stupore e allora ci incamminiamo a nostra volta sulla via della generosità
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10/09/2015 04:19
 
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Nelle letture di oggi troviamo magnifiche espressioni di generosità. E una generosità veramente divina, che non cerca il proprio interesse, che ha la forza di vincere ogni ostacolo, ogni malevolenza, ogni odio. San Paolo e Gesù stesso ci dicono la fonte di questa impensabile generosità: il cuore di Dio.
"Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro", ci invita Gesù; san Paolo da parte sua scrive ai Colossesi: "Rivestitevi, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia". ~ fondamento della nostra carità dovrebbe essere proprio la coscienza di essere stati scelti da Dio, di essere amati da Dio; allora la nostra carità sarà vera, perseverante, veramente a immagine della generosità divina. U pensiero di essere stati scelti da Dio, amati da Dio dovrebbe sempre riempirci di stupore: "Io, così indegno, così miserabile, sono amato da Dio!". Pensiamoci sovente, riflettiamo bene a questa stupenda verità: "Io sono amato, realmente amato". Quando uno si sente amato non può che amare a sua volta generosamente, senza cercare il proprio interesse, per la riconoscenza che gli riempie il cuore. San Paolo qui lo ripete tre volte in pochi versetti: "La pace di Cristo regni nei vostri cuori... E siate riconoscenti!" (v. 15); "Ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine" (v. 16); "E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre" (v. 17).
La riconoscenza è fondamento del vero amore. Dio ci ha amato per primo. Lo riconosciamo con commozione e stupore e allora ci incamminiamo a nostra volta sulla via della generosità
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11/09/2015 07:21
 
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Si parla molto di fraternità e il Signore Gesù ci aiuta davvero a vivere fraternamente, ci aiuta con molto realismo, dicendoci con chiarezza che non basta vivere Insieme per vivere fraternamente. Possiamo vivere insieme In due, in tre, anche in dieci, ma non per questo troveremo la strada giusta; se in ognuno non c'è rettitudine di intenzione, se ciascuno non cerca la volontà del Signore con purezza di cuore, siamo come tanti ciechi insieme. E un cieco non può farsi guidare da un altro cieco: cadranno tutti e due in una buca. La nostra guida deve essere il Signore, dobbiamo cercare luce non nelle nostre opinioni umane, ma in lui, nella sua parola, nella Rivelazione divina, dobbiamo essere riuniti nel suo nome, come dice egli stesso: allora egli sarà in mezzo a noi.
In caso contrario ogni vita di fraternità è vuota, anzi non è neppure fraternità.
Gesù ci mette in guardia contro un altro pericolo molto comune, cioè contro la tendenza a criticare gli altri senza accorgerci dei nostri difetti: "Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo?". E abbiamo davvero la tendenza a criticare gli altri, a vedere le cose che non vanno bene negli altri, a vedere tutto il male che c'è nel mondo, sempre negli altri. E molto raro che consideriamo i nostri difetti, pensando che con essi siamo di peso agli altri, rendiamo più difficile il loro cammino e che la prima cosa da fare è di guardare noi stessi, con umile discernimento.
Soltanto così potremo dare un aiuto agli altri, perché capiranno che in noi c'è un cuore veramente fraterno, pieno di autentico amore e non di orgoglio e di risentimento.
Chiediamo al Signore che renda finalmente il nostro cuore simile al suo, mite e umile, mosso dall'amore
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12/09/2015 07:23
 
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Sembra quasi che ci sia un certo contrasto tra la lettera di san Paolo a Timoteo e il brano evangelico che la liturgia ci presenta oggi. Paolo si dichiara peccatore e afferma che Gesù è venuto a salvare i peccatori: "Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io". Nel Vangelo il Signore esìge che siamo buoni, che siamo alberi buoni che facciano buoni frutti, che mettiamo in pratica le sue parole compiendo azioni buone.
Però, riflettendo, ci rendiamo conto che non esiste alcuna opposizione. In verità il Signore ci salva, salva noi peccatori, al punto che ci rende capaci di compiere il bene. il segreto non è la nostra forza, la nostra bontà, ma la fede. E san Paolo lo dice: "Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua longanimità, ad esempio di quanti avrebbero creduto in lui". La condizione imprescindibile è credere in lui. Le nostre opere buone non hanno altro fondamento; noi possiamo essere buoni soltanto appoggiandoci 5ul Signore con una fede sempre più profonda. Ascoltiamo le sue parole! E così che la nostra vita sarà buona: "Chi viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica... e simile a un uomo che ha posto le fondamenta sopra la roccia". La nostra forza, la nostra luce si trovano nelle parole del Signore. Noi siamo peccatori e il Signore ci rinnova interiormente con la sua parola: ci attira al bene, all'amore vero continuamente, continuamente.
Tutta la nostra vita deve essere un grido di fede verso il Signore: "Signore, tu sai che io non sono buono. Ma tu sei buono e le mie azioni non sarebbero buone senza di te. Le mie opere buone vengono da te, sono tue, i miei sentimenti buoni sono tuoi. Per questo ti rendo grazie, Signore, perché tutto quello che in me c'è di buono lo ricevo da te".
Vivere così è la vera felicità; così le nostre opere buone non diventano motivo di orgoglio, non alimentano il nostro amor proprio, ma approfondiscono la nostra riconoscenza e il nostro amore.
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13/09/2015 07:09
 
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padre Ermes Ronchi
La domanda che ci interroga nel profondo: voi chi dite che io sia?

Gesù interroga i suoi, quasi in un sondaggio d'opinione: La gente chi dice che io sia? E l'opinione della gente è bella e incompleta: Dicono che sei un profeta, uno dei più grandi!
Ma Gesù non è semplicemente un profeta del passato che ritorna, fosse pure il più grande di tutti. Bisogna cercare ancora: Ma voi, chi dite che io sia?
Non chiede una definizione astratta, ma il coinvolgimento personale di ciascuno: "ma voi...". Come dicesse: non voglio cose per sentito dire, ma una esperienza di vita: che cosa ti è successo, quando mi hai incontrato?
E qui ognuno è chiamato a dare la sua risposta. Ognuno dovrebbe chiudere tutti i libri e i catechismi, e aprire la vita.
Gesù insegnava con le domande, con esse educava alla fede, fin dalle sue prime parole: che cosa cercate? (Gv 1,38). Le domande, parole così umane, che aprono sentieri e non chiudono in recinti, parole di bambini, forse le nostre prime parole, sono la bocca assetata e affamata attraverso cui le nostre vite esprimono desideri, respirano, mangiano, baciano.
Ma voi chi dite che io sia? Gesù stimolava la mente delle persone per spingerle a camminare dentro di sé e a trasformare la loro vita. Era un maestro dell'esistenza, e voleva che i suoi fossero pensatori e poeti della vita.
Pietro risponde: Tu sei il Cristo. E qui c'è il punto di svolta del racconto: ordinò loro di non parlare di lui ad alcuno. Perché ancora non hanno visto la cosa decisiva. Infatti: cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Volete sapere davvero qualcosa di me e di voi? Vi do un appuntamento: un uomo in croce. Prima ancora, l'appuntamento di Cristo sarà un altro: uno che si china a lavare i piedi ai suoi.
Chi è il Cristo? Il mio "lavapiedi". In ginocchio davanti a me. Le sue mani sui miei piedi. Davvero, come a Pietro, ci viene da dire: ma un messia non può fare così.
E Lui: sono come lo schiavo che ti aspetta, e al tuo ritorno ti lava i piedi. Ha ragione Paolo: il cristianesimo è scandalo e follia.
Adesso capiamo chi è Gesù: è bacio a chi lo tradisce; non spezza nessuno, spezza se stesso; non versa il sangue di nessuno, versa il proprio sangue.
E poi l'appuntamento di Pasqua. Quando ci cattura tutti dentro il suo risorgere, trascinandoci in alto.
Tu, cosa dici di me? Faccio anch'io la mia professione di fede, con le parole più belle che ho: tu sei stato l'affare migliore della mia vita. Sei per me quello che la primavera è per i fiori, quello che il vento è per l'aquilone. Sei venuto e hai fatto risplendere la vita.
Impossibile amarti e non tentare di assomigliarti, in te mutato / come seme in fiore. (G. Centore).
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14/09/2015 07:10
 
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Monastero Domenicano Matris Domini
Commento su Gv 3,13-17

Collocazione del brano

Questo brano si trova all'interno del dialogo tra Gesù e Nicodemo. Nicodemo era un maestro in Israele e membro del sinedrio. Invece di attribuire al potere di Beelzebul i prodigi che Gesù ha compiuto sotto gli occhi di tutti, va da Gesù di notte e spera da lui in una illuminazione. In seguito lo vedremo prendere posizione contro il giudizio severo dei farisei (Gv 7,50) e darsi da fare perché Gesù abbia una degna sepoltura (Gv 19,39). L'incontro tra i due avviene di notte. C'è chi ha pensato che Nicodemo temesse il giudizio degli altri, oppure l'espulsione dalla sinagoga. In senso più simbolico possiamo pensare all'usanza giudaica che raccomanda lo studio notturno della Torah, o meglio ancora il fatto che i temi affrontati sono molto importanti (la rinascita nello Spirito, la morte di Cristo). Nicodemo dalle tenebre della notte si incammina verso Gesù, verso la pienezza della luce e della verità.
Lectio

In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo: «13Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo.

Gesù in questi pochi versetti sta per rivelare qualcosa di importante: si tratta delle promesse che Dio fa all'uomo. Solo Gesù è in grado di rivelarle poiché è disceso dal cielo. L'allusione al "salire al cielo" non riguarda tanto la sua ascensione, bensì è la negazione del fatto che qualcuno sia mai potuto salire al cielo e conoscere il mistero di Dio. Si riferisce ai visionari apocalittici, molto in voga ai suoi tempi, che pretendevano di aver avuto delle visioni, di essere saliti al cielo e di averne carpito i segreti. Anche nella Bibbia troviamo spesso questa idea di "salire al cielo" per conoscere il volere di Dio (Dt 30,12; Pr 30,4; Bar
3,29; Sap 9,16-18).
14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto,

Vi è qui il riferimento al serpente di bronzo di cui si parla in Nm 21 (prima lettura). Nel deserto gli ebrei, stremati dalla fame e dalla sete, avevano recriminato contro Dio e contro Mosè; per questo erano stati puniti col morso mortale dei serpenti di fuoco. Ma per ordine di JHWH Mosè aveva innalzato un serpente di bronzo su un'asta. Quanti erano stati morsi dai serpenti avrebbero avuto salvezza guardando a questo serpente. Diversamente dagli altri miracoli compiuti per mezzo di Mosè nel deserto, in questo caso chi voleva salvarsi doveva fissare lo sguardo sull'emblema che sarebbe stato per loro sorgente di vita.

Nel corso dei secoli questo serpente di bronzo era divenuto oggetto di un culto idolatrico, come i pali sacri dei cananei; perciò il re Ezechia lo fece distruggere (2Re 18,4), mentre l'autore del libro della Sapienza intende far sapere che gli ebrei avevano in esso solo un simbolo che rimandava all'autore della salvezza, a Dio (Sap 16,7).

La lettura cristiana doveva fare solo un passo per vedere in Gesù il significato del serpente innalzato che libera dalla morte.
così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo,

Il Figlio è disceso dal cielo e ora bisogna che sia innalzato (quel "bisogna" è lo stesso termine che viene utilizzato nei Sinottici negli annunci della Passione). Essere innalzato significa per la comunità di Giovanni essere "glorificato" così come il servo sofferente di Isaia "sarà innalzato e pienamente glorificato" (Is 52,13). La sua glorificazione presuppone la tappa previa dell'umiliazione. Ma per Giovanni l'innalzamento è il momento stesso dell'umiliazione. La teologia della croce in Giovanni è al tempo stesso mistero di umiliazione e di glorificazione. Lo si vedrà bene durante il racconto della Passione di Cristo.

Ancora il mistero della croce rivela in sé anche la rivelazione di Cristo che per i Sinottici e Paolo avrebbe dovuto avvenire alla fine dei tempi, al momento della parusia. L'elevazione del Figlio dell'uomo sulla croce simboleggia (in senso forte) la sua elevazione nella gloria.
15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

La glorificazione di Gesù, innalzato come il serpente, diventa così possibilità e fonte di salvezza. E' necessario però rivolgersi a Lui con fede, la fede che in Lui solo si può trovare questa salvezza.
16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

Si rivela con questi due ultimi versetti la motivazione e la finalità del dono, cioè dell'invio del Figlio unico da parte del Padre. La prospettiva è universale: Dio amò il mondo, chiunque crede avrà la vita eterna. Al cuore della missione del Figlio, del suo innalzamento vi è l'amore del Padre.

In che senso intendere la parola "mondo"? Essa indica spesso in Gv coloro che non hanno accettato Dio.

Però può essere intesa anche come "genere umano", nella sua dimensione di incompletezza, di bisogno di salvezza.

La prima finalità del dono di Dio è la vita eterna dei credenti. Una seconda finalità del dono di Dio è la salvezza definitiva del mondo. I termini positivi di "vita eterna" e di "salvezza" vengono contrapposti ai termini negativi di "perdersi" e di "giudicare". Sono delle negazioni che servono a valorizzare, per contrasto il carattere assoluto del versante positivo. Il Figlio è stato donato per la vita eterna degli uomini e per la salvezza del mondo. La cosa necessaria per aderire a questa salvezza e a questa vita eterna è la fede.
Meditiamo

- Mi capita mai di cercare qualcuno che "sia salito al cielo", che sappia qualcosa del mistero della vita, del futuro, che mi suggerisca quali scelte io debba fare?

- Mi capita mai di "giudicare" il mondo?

- Cosa sono per me la vita eterna e la salvezza?
Preghiamo

(Colletta della festa dell'Esaltazione della santa Croce)

O Padre, che hai voluto salvare gli uomini con la Croce del Cristo tuo Figlio, concedi a noi che abbiamo conosciuto in terra il suo mistero di amore, di godere in cielo i frutti della sua redenzione. Per il nostro Signore...
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15/09/2015 08:04
 
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Il mondo ha tanto bisogno di compassione e la festa di oggi ci dà una lezione di compassione vera e profonda. Maria soffre per Gesù, ma soffre anche con lui e la passione di Cristo è partecipazione a tutto il dolore dell'uomo.
La liturgia ci fa leggere nella lettera agli Ebrei i sentimenti del Signore nella sua passione: "Egli nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte". La passione di Gesù si è impressa nel cuore della madre, queste forti grida e lacrime l'hanno fatta soffrire, il desiderio che egli fosse salvato da morte doveva essere in lei ancora più forte che non in Gesù, perché una madre desidera più del figlio che egli sia salvo. Ma nello stesso tempo Maria si è unita alla pietà di Gesù, è stata come lui sottomessa alla volontà del Padre.
Per questo la compassione di Maria è vera: perché ha veramente preso su di sé il dolore del Figlio ed ha accettato con lui la volontà del Padre, in una obbedienza che dà la vera vittoria sulla sofferenza.
La nostra compassione molto spesso è superficiale, non è piena di fede come quella di Maria. Noi facilmente vediamo, nella sofferenza altrui, la volontà di Dio, ed è giusto, ma non soffriamo davvero con quelli che soffrono.
Chiediamo alla Madonna che unisca in noi questi due sentimenti che formano la compassione vera: il desiderio che coloro che soffrono riportino vittoria sulla loro sofferenza e ne siano liberati e insieme una sottomissione profonda alla volontà di Dio, che è sempre volontà di amore
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16/09/2015 02:56
 
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Movimento Apostolico - rito romano
A chi dunque posso paragonare la gente di questa generazione?

Il peccato dell'uomo è un potente filtro che impedisce alla verità di entrare nel suo cuore, di invadere la sua mente, di orientare la sua volontà, di determinare la sua storia. Più si pecca e più il filtro diviene agguerrito, tanto agguerrito da non lasciar penetrare nel cuore neanche il più piccolo barlume di verità. Il suo posto è fuori dell'uomo, non dentro. Un uomo senza verità è condannato alla falsità eterna.
Che il cuore sia nel peccato lo attestano le parole che escono dalla sua bocca. Peccato è il cuore, peccato sono le parole. Stolto è lo spirito, stolte sono anche le frasi che da esso vengono fatte venire fuori. Sempre la parola rivela il cuore. Ci svela se in esso regna la verità oppure le tenebre. Se vi è Cristo con la sua Parola, oppure il vizio e la trasgressione con la sua falsità e tenebra. Questa verità Gesù la proclama ai farisei con divina chiarezza. Il cattivo non può dire cose buone. Il buono non può dire cose cattive. La parola è sempre il frutto del cuore. Cuore e parola sono una cosa sola.
Prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono. Prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l'albero. Razza di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? La bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda. L'uomo buono dal suo buon tesoro trae fuori cose buone, mentre l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori cose cattive. Ma io vi dico: di ogni parola vana che gli uomini diranno, dovranno rendere conto nel giorno del giudizio; infatti in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato» (Mt 12,33-37).
Il peccato crea nell'uomo vera insensibilità spirituale alla verità, all'amore, alla giustizia, alla misericordia, alla compassione. È inutile gridare che è cosa giusta che si facciano opere di misericordia, che ci si consacri alla verità, che ci si consegni al vero amore. L'uomo è nel peccato. Se vogliamo che diventi sensibile alla carità, alla verità, ad ogni altra virtù, è necessario che prima venga liberato dal peccato. Ora dal peccato uno solo ci può liberare: Cristo Gesù. Lui però non ci libera attraverso un suo intervento diretto, bensì attraverso l'opera della Chiesa una, santa, cattolica, apostolica.
Giovanni il Battista è uomo severo con se stesso, austero. Pratica il digiuno, la penitenza corporale. Si nutre di miele selvatico e di locuste. Cosa dice l'uomo di peccato? Che è un indemoniato. Un uomo così austero non può appartenere al Signore. Per l'uomo di peccato il suo Dio è largo, remissivo, assolve sempre. Non c'è bisogno di alcuna penitenza né spirituale né corporale. Ogni licenza verrà assolta. Ogni trasgressione perdonata. Il peccato è parte essenziale della vita.
Viene Gesù, partecipa in tutto alla vita quotidiana così come essa si svolge. Frequenta le case degli uomini. Condivide con essi il cibo e le bevande. Sempre però da persona virtuosa. Sempre temperante in tutto. Cosa dice l'uomo di peccato? Che è un mangione e un beone. Costui non può essere uomo di Dio. Gli manca l'austerità, la temperanza, ogni altra virtù nell'uso delle cose di questo mondo. Quando si giudica dal peccato, tutto viene rivestito di grande male. Il male che è nel proprio cuore viene gettato sulla persona che è dinanzi a noi.
La nostra società oggi è gravissimamente ammalata di peccato. È divenuta insensibile a Gesù Signore, al suo Vangelo, alla sua verità e carità, al suo amore ricco di misericordia e di pietà. Alla Chiesa, sacramento di Cristo, segno di Lui, sua voce e suo cuore per togliere il peccato del mondo, la grave responsabilità della salvezza, oggi.
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17/09/2015 07:52
 
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Paolo scrive a Timoteo: "Non trascurare il dono spirituale che è in te e che ti è stato conferito con l'imposizione delle mani da parte del collegio dei presbiteri". Preghiamo oggi particolarmente per i preti e per tutti i cristiani, perché tutti siano più coscienti del carisma dell'ordinazione sacerdotale e lo stimino sempre più.
Il Vangelo è molto ricco, ma vorrei sottolineare soltanto un punto che di solito non viene messo in risalto perché non si capisce bene la parola del Signore, ed è che l'amore di Dio viene sempre prima di ogni cosa che l'uomo possa fare.
il fariseo è pieno di sé, non riconosce i doni del Signore, anzi è convinto di essere lui a dargli qualcosa: egli non ama Dio. Invece la peccatrice sa di aver ricevuto molto perché il suo debito era grande: perdonata dal Signore ha potuto amare molto. Questo è il senso della parabola raccontata da Gesù. Chi ama di più? Colui al quale il Signore ha perdonato di più. Questo non vuol dire, come si sente spesso spiegare, che la peccatrice ottiene il perdono dei suoi molti peccati per aver molto amato, ma al contrario: il suo amore è segno che ella ha ricevuto il grande dono di Dio: il "perdono". I' problema del fariseo era:
"Dovrebbe sapere, se fosse profeta, che questa donna è una peccatrice!". Ora Gesù non ha riconosciuto in lei semplicemente "una peccatrice": ha riconosciuto "una peccatrice perdonata", proprio constatando il suo grande amore. Prima c'è sempre il perdono di Dio, che ci fa capire il suo infinito amore e suscita in risposta il nostro.
"Quello a cui si perdona poco, ama poco". Questa seconda affermazione conferma la prima. Non siamo noi ad amare per primi, ma è Dio. il nostro primo dovere è riconoscere il suo amore in tutti i doni che egli ci fa, in tutti i perdoni che ci elargisce. Questa è la condizione per il nostro amore. Altrimenti siamo come il fariseo che crede di essere lui a dare a Dio, non vede il suo amore e, alla fin fine, non lo ama.
Chiediamo al Signore la grande grazia di saper riconoscere che il suo amore per noi è il primo, la sua generosità è la prima. Nell'Offertorio della Messa la Chiesa lo riconosce sempre: "Benedetto sei tu, Signore, Dio dell'universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, abbiamo ricevuto questo vino...", per questo ora te li possiamo offrire. Ci inganniamo se pensiamo orgogliosamente di poter dare qualcosa a Dio senza averlo prima ricevuto da lui; il vero amore cristiano verso Dio è sempre un amore riconoscente
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18/09/2015 07:57
 
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Nella sua vita pubblica Gesù ha suscitato la dedizione di molte donne, che lo seguivano assistendo generosamente con i propri beni lui e i Dodici. Certamente esse non "consideravano la pietà come fonte di guadagno", come san Paolo scrive a Timoteo. Erano donne che erano state guarite e liberate dal Signore e per questo gli erano devote, avendo ricevuto da lui il vero senso della loro vita. Tutti gli evangelisti parlano di queste donne, ma gli altri solamente alla fine del Vangelo, nel racconto della passione, perché esse furono fedeli fino alla fine, mentre gli Apostoli si erano dispersi. E le troviamo al mattino della risurrezione, perché furono le prime a giungere al sepolcro.
Gesù capisce profondamente il cuore delle donne, ne conosce la generosità, la profondità dei sentimenti e vuole che le donne siano con lui, perché gli sono utili nel suo ministero. Egli ha chiamato i Dodici perché stessero con lui, e ha chiamato, perché stessero con lui, anche queste donne.
Luca, dicevo, è l'evangelista che ne parla di più, perché il suo è il Vangelo dei rapporti personali, intimi con il Signore, della dedizione a lui. San Matteo ha una prospettiva più ampia: parla a tutta la Chiesa; san Marco è specialmente preso dal mistero della persona di Gesù; Luca invece è proprio l'evangelista della donazione personale al Signore e per questo è più interessato ai rapporti interpersonali, più sensibile al ruolo delle donne nella vita di Gesù e dei suoi apostoli. San Matteo, per esempio, parla dell'infanzia di Gesù dal punto di vista di Giuseppe, mentre Luca si pone nella prospettiva di Maria e riporta nel suo Vangelo molti episodi in cui compaiono le donne, che gli altri evangelisti non hanno conservato: per esempio la risurrezione del figlio della vedova di Nain. Ed è ancora solo Luca che, al momento della passione, parla del pianto delle donne di Gerusalemme.
Le letture di oggi ci suggeriscono intenzioni molto complete di preghiera. Preghiamo dunque perché gli Apostoli e i cristiani del nostro tempo sappiano evitare tutte le contese, le questioni oziose, che non sono la vera, la sana dottrina secondo la pietà. Preghiamo perché sappiano evitare la grande tentazione della ricerca del denaro. Preghiamo per coloro che vogliono arricchirsi ad ogni costo, perché capiscano che il desiderio smodato del denaro è la radice di tutti i mali. Preghiamo perché gli Apostoli e tutti i cristiani tendano ai veri beni: la fede, la carità, la pazienza, la mitezza. E chiediamo che tutti siano guariti "da spiriti cattivi e da infermità", come le donne di cui parla il Vangelo. Preghiamo perché tutti possano raggiungere la vita eterna alla quale sono chiamati
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19/09/2015 07:16
 
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L'abuso che oggi si fa della parola umana ci rende molto dubbiosi della sua efficacia. Pubblicità, propaganda... le nostre menti sono come pietre levigate, che non lasciano più penetrare nulla. E tuttavia la parola umana è una cosa meravigliosa, che porta la vita. Una mamma dà la vita fisica al figlio e in seguito si può dire che gli dà un'altra vita con la parola. Se il bambino non ricevesse mai una parola dalla sua mamma, non potrebbe ricevere una vita veramente umana, sarebbe come un animale. E la mamma che desta l'intelligenza del bambino, che fa nascere a poco a poco i suoi pensieri, i suoi affetti. É davvero meraviglioso e raramente ci pensiamo, abituati come siamo ad ascoltare parole che non significano niente, che non donano niente. Questo a proposito della parola umana.
Ora la parola di Dio è incommensurabilmente più ricca, perché porta in noi la vita divina. Dobbiamo averne grande stima, dobbiamo avere fame della parola di Dio, che è fonte non solo di luce, ma fonte di vita, come san Giacomo dice nella sua lettera: "Accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime", vale a dire la vostra vita. Gesù dice la stessa cosa. La sua parola ha purificato gli apostoli, li ha fatti diventare suoi amici: "Non vi chiamo più servi, ma amici, perché vi ho fatto conoscere tutto ciò che ho udito dal Padre mio". Gesù ha udito la parola del Padre, l'ha trasmessa, e questa parola ha dato una vita nuova, una vita nell'amicizia di Dio, nel suo amore.
Ma, come scrive san Luca, non basta accoglierla con gioia; è necessario permetterle di portar frutto con la pazienza, con la perseveranza. Non soltanto ascoltarla, ma custodirla, anche se ci sono degli ostacoli, anche se il nemico vuol soffocarla in noi, allontanarla dalla nostra intelligenza perché essa non possa trasformare la nostra vita.
Non c'è esempio migliore di quello della Madonna sul modo di accogliere e di conservare la parola di Dio: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto". "E il Verbo (la parola) si fece carne". L'accoglienza perfetta di Maria ha, in un certo senso, permesso che la parola si incarnasse per la salvezza del mondo
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20/09/2015 08:39
 
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padre Ermes Ronchi
L'insegnamento di Gesù: chi vuol essere primo sia servo di tutti

Il Vangelo ci sorprende con parole inusuali, ci consegna tre nomi di Gesù che vanno controcorrente: ultimo, servitore, bambino, così lontani dall'idea di un Dio Onnipotente e Onnisciente quale l'abbiamo ereditata.
Il contesto. Gesù sta parlando di cose assolute, di vita e di morte, sta raccontando ai suoi migliori amici che tra poco sarà ucciso, è insieme con il gruppo dei più fidati, ed ecco che loro non lo ascoltano neppure, si disinteressano della tragedia che incombe sul loro maestro e amico, tutti presi soltanto dalla loro competizione, piccoli uomini in carriera: chi è il più grande tra noi?
Penso alla ferita che deve essersi aperta il lui, alla delusione di Gesù. C'è di che scoraggiarsi. Tra noi, tra amici, un'indifferenza così sarebbe un'offesa imperdonabile.
Invece il Maestro del cuore, ed è qualcosa che ci conforta nelle nostre fragilità, non rimprovera gli apostoli, non li ripudia, non li allontana, e tanto meno si deprime.
Li mette invece sotto il giudizio di quel limpidissimo e stravolgente pensiero: chi vuol essere il primo sia l'ultimo e il servo di tutti. Il primato, l'autorità secondo il Vangelo discende solo dal servizio.
Prese un bambino, lo pose in mezzo, lo abbracciò e disse: chi accoglie uno di questi bambini accoglie me. È il modo magistrale di Gesù di gestire le relazioni: non si perde in critiche o giudizi, ma cerca un primo passo possibile, cerca gesti e parole che sappiano educare ancora. E inventa qualcosa di inedito: un abbraccio e un bambino.
Tutto il vangelo in un abbraccio, un gesto che profuma d'amore e che apre un'intera rivelazione: Dio è così.
Al centro della fede un abbraccio. Tenero, caloroso. Al punto da far dire ad un grande uomo spirituale: Dio è un bacio (Benedetto Calati).
E papa Francesco, a più riprese: «Gesù è il racconto della tenerezza di Dio», un Dio che mette al centro della scena non se stesso e i suoi diritti, ma la carne dei piccoli, quelli che non ce la possono fare da soli.
Poi Gesù va oltre, si identifica con loro: chi accoglie un bambino accoglie me. Accogliere, verbo che genera il mondo come Dio lo sogna.
Il nostro mondo avrà un futuro buono quando l'accoglienza, tema bruciante oggi su tutti i confini d'Europa, sarà il nome nuovo della civiltà; quando accogliere o respingere i disperati, che sia alle frontiere o alla porta di casa mia, sarà considerato accogliere o respingere Dio stesso.
Quando il servizio sarà il nome nuovo della civiltà (il primo si faccia servo di tutti).
Quando diremo a uno, a uno almeno dei piccoli e dei disperati: ti abbraccio, ti prendo dentro la mia vita. Allora, stringendolo a te, sentirai che stai stringendo fra le tue braccia il tuo Signore.
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21/09/2015 07:14
 
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Nel Vangelo odierno Matteo stesso racconta la propria chiamata da parte di Gesù. San Gerolamo osservava che soltanto lui, nel suo Vangelo, indica se stesso con il proprio nome: Matteo; gli altri evangelisti, raccontando lo stesso episodio, lo chiamano Levi, il suo secondo nome, probabilmente meno conosciuto, quasi per velare il suo nome di pubblicano. Matteo invece insiste in senso contrario: si riconosce come un pubblicano chiamato da Gesù, uno di quei pubblicani poco onesti e disprezzati come collaboratori dei Romani occupanti. I pubblicani, i peccatori chiamati da Gesù fanno scandalo.
Matteo presenta se stesso come un pubblicano perdonato e chiamato, e così ci fa capire in che cosa consiste la vocazione di Apostolo. E prima di tutto riconoscimento della misericordia del Signore.
Negli scritti dei Padri della Chiesa si parla sovente degli Apostoli come dei "principi"; Matteo non si presenta come un principe, ma come un peccatore perdonato. Ed è qui ripeto il fondamento dell'apostolato: aver ricevuto la misericordia del Signore, aver capito la propria povertà e pochezza, averla accettata come il "luogo" in cui si effonde l'immensa misericordia di Dio: "Misericordia io voglio; non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori".
Una persona che abbia un profondo sentimento della misericordia divina, non in astratto, ma per se stessa, è preparata per un autentico apostolato. Chi non lo possiede, anche se è chiamato, difficilmente può toccare le anime in profondità, perché non comunica l'amore di Dio, l'amore misericordioso di Dio. ~ vero Apostolo, come dice san Paolo, è pieno di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, avendo esperimentato per se stesso la pazienza, la mansuetudine e l'umiltà divina, se si può dire così: l'umiltà divina che si china sui peccatori, li chiama, li rialza pazientemente.
Domandiamo al Signore di avere questo profondo sentimento della nostra pochezza e della sua grande misericordia; siamo peccatori perdonati. Anche se non abbiamo mai commesso peccati gravi, dobbiamo dire come sant'Agostino che Dio ci ha perdonato in anticipo i peccati che per sua grazia non abbiamo commesso. Agostino lodava la misericordia di Dio che gli aveva perdonato i peccati che per sua colpa aveva commesso e quelli che per pura grazia del Signore aveva evitato. Tutti dunque possiamo ringraziare il Signore per la sua infinita misericordia e riconoscere la nostra povertà di peccatori perdonati, esultando di gioia per la bontà divina
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22/09/2015 07:06
 
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La prima lettura parla della "casa di Dio", il Vangelo della famiglia di Gesù, ed è facile vedere il rapporto, poiché nella Sacra Scrittura la parola "casa" può significare sia un edificio sia una famiglia. Per esempio, quando la Bibbia parla della "casa di Davide" può essere la sua abitazione, ma più spesso si tratta della famiglia, della stirpe di Davide.
Secondo le parole di Gesù, se noi ascoltiamo la parola di Dio e la mettiamo in pratica, diventiamo suoi fratelli, anzi sua madre, formiamo cioè la sua famiglia: siamo la "casa di Dio", cioè nello stesso tempo la sua famiglia e il suo tempio. Si realizza così il progetto di Dio di abitare con gli uomini, non soltanto in mezzo a loro, ma in loro e di unirli tutti in un'alleanza che fa di essi un unico edificio, un'unica famiglia e addirittura un unico corpo, il corpo di Cristo.
Sentiamo risuonare le parole della Sacra Scrittura: "Mia delizia è stare coi figli degli uomini"; "Ecco verranno giorni nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò un'alleanza nuova. Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò nel loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo" (Ger 31,31.32); "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare m mezzo a noi" (Gv 1, 14). E ancora: "Stringendovi a lui, pietra viva,... anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale" (1 Pt 2,45); "Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio... Voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio" (Ef 2, 19.22); "Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte" (1 Cor 12,27). Dalla profezia alla realizzazione: attraverso i secoli Dio ha fatto intravedere il suo meraviglioso disegno fino alla sua realizzazione nella pienezza dei tempi.
Tutte le nostre azioni devono tendere a questo scopo: formare il tempio di Dio, la famiglia di Dio, il corpo di Cristo. Per giungere a questa meta il mezzo essenziale è ascoltare la parola di Dio, accogliere la parola di Dio che ci trasforma, facendo di noi pietre vive che possono entrare nella costruzione della casa di Dio. La parola di Dio è potenza di Dio ed è capace di assimilarci al suo progetto perché davvero possiamo "santificare il suo nome" essendo famiglia del Signore, corpo di Cristo
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23/09/2015 08:01
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Luca 9,1-6

1) Preghiera

O Dio, che nell'amore verso di te e verso il prossimo
hai posto il fondamento di tutta la legge,
fa' che osservando i tuoi comandamenti
meritiamo di entrare nella vita eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca 9,1-6
In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e diede loro potere e autorità su tutti i demoni e di curare le malattie. E li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi.
Disse loro: "Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno. In qualunque casa entriate, là rimanete e di là poi riprendete il cammino. Quanto a coloro che non vi accolgono, nell'uscire dalla loro città, scuotete la polvere dai vostri piedi, a testimonianza contro di essi".
Allora essi partirono e passavano di villaggio in villaggio, annunziando dovunque la buona novella e operando guarigioni.


3) Riflessione

- Il vangelo di oggi descrive la missione che i Dodici ricevettero da Gesù. Più avanti, Luca parla della missione dei settantadue discepoli (Lc 10,1-12). I due vangeli si completano e rivelano la missione della Chiesa.
- Luca 9,1-2: L'invio dei dodici in missione. "Gesù chiamò a sé i Dodici, e diede loro potere ed autorità su tutti i demoni e di curare le malattie. E li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi". Nel chiamare i Dodici, Gesù intensifica l'annuncio della Buona Notizia. L'obiettivo della missione è semplice e chiaro: ricevettero il potere e l'autorità di scacciare i demoni, di curare le malattie e di annunciare il Regno di Dio. Così come la gente rimaneva ammirata vedendo l'autorità di Gesù sugli spiriti impuri, e vedendo il suo modo di annunciare la Buona Notizia (Lc 4,32.36), così dovrà accadere con la predicazione dei dodici apostoli.
- Luca 9,3-5: Le istruzioni per la Missione. Gesù li manda con le seguenti raccomandazioni: non portare nulla "né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno". Non andare di casa in casa, ma "in qualunque casa entriate, là rimanete e di là poi riprendete il cammino" In caso di non essere ricevuti, "scuotete la polvere dai vostri piedi, a testimonianza contro di essi". Come vedremo, queste raccomandazioni strane per noi, hanno un significato molto importante.
- Luca 9,6: L'esecuzione della missione. Essi partirono. E' l'inizio di una nuova tappa. Ora non solo Gesù, ma tutto il gruppo va ad annunciare la Buona Notizia alla gente. Se la predicazione di Gesù causava conflitto, tanto più ora, con la predicazione di tutto il gruppo.
- I quattro punti fondamentali della missione. Al tempo di Gesù, c'erano diversi movimenti di rinnovamento: esseni, farisei, zeloti. Anche loro cercavano un nuovo modo di convivere in comunità ed avevano i loro missionari (cf. Mt 23,15). Ma costoro, quando andavano in missione, erano prevenuti. Portavano bastone e bisaccia per mettervi il proprio cibo. Non si fidavano del cibo che non sempre era "puro". Al contrario degli altri missionari, i discepoli di Gesù riceveranno raccomandazioni diverse che ci aiutano a capire i punti fondamentali della missione di annunciare la Buona Notizia:
a) Devono andare senza niente (Lc 9,3; 10,4). Ciò significa che Gesù li obbliga a confidare nell'ospitalità. Perché chi va senza niente, va perché confida nella gente e pensa che sarà ricevuto. Con questo atteggiamento loro criticano le leggi di esclusione, insegnate dalla religione ufficiale e mostrano, mediante una nuova pratica, che avevano altri criteri di comunità.
b) Dovevano rimanere nella prima casa, fino a ritirarsi dal luogo (Lc 9,4; 10,7). Cioè, dovevano convivere in modo stabile e non andare di casa in casa. Dovevano lavorare con tutti e vivere di ciò che ricevevano a cambio "perché l'operaio ha diritto al suo salario" (Lc 10,7). Con altre parole, loro devono partecipare alla vita ed al lavoro della gente, e la gente li accoglierà nella sua comunità e condividerà con loro casa e cibo. Ciò significa che devono aver fiducia nella condivisione. Ciò spiega anche la severità della critica contro coloro che rifiutano il messaggio: scuotere la polvere dei piedi, come protesta contro di loro (Lc 10,10-12), perché non rifiutano qualcosa di nuovo, bensì il loro passato.
c) Devono curare i malati e scacciare i demoni (Lc 9,1; 10,9; Mt 10,8). Cioè devono svolgere la funzione del "difensore" (goêl) ed accogliere nel clan, nella comunità, gli esclusi. Con questo atteggiamento criticano la situazione di disintegrazione della vita comunitaria del clan ed indicano sbocchi concreti. L'espulsione di demoni è segno della venuta del Regno di Dio (Lc 11,20).
d) Devono mangiare ciò che la gente da loro (Lc 10,8). Non potevano vivere separati con il loro cibo, ma dovevano accettare la comunione con gli altri, mangiare con gli altri. Ciò significa che nel contatto con la gente, non devono aver paura di perdere la purezza così come era stato loro insegnato. Con questo atteggiamento criticano le leggi di purezza in vigore ed indicano, per mezzo della nuova pratica, che possiedono un altro accesso alla purezza, cioè, l'intimità con Dio.
Questi erano i quattro punti fondamentali della vita comunitaria che dovevano marcare l'atteggiamento dei missionari e delle missionarie che annunciavano la Buona Notizia di Dio in nome di Gesù: ospitalità, condivisione, comunione ed accoglienza degli esclusi (difensore, goêl). Se si risponde a queste quattro esigenze, allora è possibile gridare ai quattro venti: "Il Regno è venuto!" (cf. Lc 10,1-12; 9,1-6; Mc 6,7-13; Mt 10,6-16). Ed il Regno di Dio che Gesù ci ha rivelato non è una dottrina, né un catechismo, né una legge. Il Regno di Dio avviene e si rende presente quando le persone, motivate dalla loro fede in Gesù, decidono di convivere in comunità per rendere testimonianza e rivelare, in questo modo, a tutti, che Dio è Padre e Madre e che noi gli esseri umani siamo fratelli e sorelle. Gesù voleva che la comunità locale fosse di nuovo un'espressione dell'Alleanza del Regno, dell'amore di Dio Padre, che ci rende tutti fratelli e sorelle.


4) Per un confronto personale

- La partecipazione nella comunità ti ha aiutato ad accogliere e ad aver fiducia nelle persone, soprattutto le più semplici e povere?
- Qual è il punto della missione degli apostoli che per noi oggi ha più importanza? Perché?


5) Preghiera finale

Signore, tieni lontana da me la via della menzogna,
fammi dono della tua legge.
La legge della tua bocca mi è preziosa
più di mille pezzi d'oro e d'argento. (Sal
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24/09/2015 07:31
 
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All'inizio della settimana abbiamo ascoltato il racconto del ritorno dall'esilio nel libro di Esdra, al tempo di Ciro. Con il profeta Aggeo siamo al tempo di Dario, successore di Ciro, molti anni dopo. Ritornati in patria, gli Israeliti avevano subito innalzato un altare, ma non ricostruito il tempio. Passarono gli anni, ed essi si costruirono le proprie comode case, ma non trovarono mai né il tempo nè i mezzi per ricostruire la casa di Dio. E il Signore, per bocca del profeta Aggeo, se ne lamenta: "Vi sembra questo il tempo di abitare tranquilli nelle vostre case ben coperte, mentre la mia casa è ancora in rovina?".
Questo è occasione di un esame di coscienza, perché spesso abbiamo noi pure la tentazione di interessarci prima della nostra "casa" e di lasciare in abbandono la casa del Signore. Quando si tratta dei nostri interessi siamo impazienti, le cose non ci sembrano mai fatte in tempo; gli interessi di Dio invece possono sempre aspettare. Per la televisione, ad esempio, il tempo c'è sempre, ma ce n'è altrettanto per cercare di approfondire un po' le nostre conoscenze in fatto di religione? Diciamo che abbiamo anche bisogno di distrarci un po', di riposarci, ed è vero. Ma se guardiamo dentro noi stessi con sincerità, davanti al Signore, dobbiamo ammettere che sovente non è il bisogno di riposo a guidarci nelle scelte, ma l'amor proprio, l'egoismo, l'indolenza.
Dopo il rimprovero, il Signore fa una constatazione: "Avete seminato molto, ma avete raccolto poco; avete mangiato, ma non da togliervi la fame... Riflettete bene sul vostro comportamento!". La vita non dà vere soddisfazioni. Gli Israeliti che antepongono i loro interessi a quelli di Dio non gustano nè successo né gioia, perché manca loro la cosa più importante, che sarebbe cercare veramente il servizio e la gloria del Signore. Perfino nelle privazioni allora c'è gioia piena, perché c'è quello che più conta. Chi invece cerca solo il proprio interesse giunge a una specie di disgusto, di insoddisfazione profonda di tutto, perché vien meno alla vera vocazione dell'uomo, che è la generosità, la fedeltà al Signore.
Chiediamo a lui di darci la premura di servirlo, di non cercare i nostri ma i suoi interessi prima di tutto, di aumentare la nostra vigilanza perché facciamo davvero le cose importanti, per avere la consolazione di sentirci dire: "Ecco, ricostruite la mia casa. In essa mi compiacerò e manifesterò la mia gloria".
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