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RIFLESSIONI BIBLICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:42
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28/07/2016 06:08
 
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Il regno dei cieli ammette pesci buoni e pesci cattivi. Sarà così finché ci sarà tempo, fino a quando il tempo passerà in eternità. Il realismo evangelico ci impedisce di progettare un paradiso in terra; ci libera così da tutte le utopie, perniciose per la fede come per la convivenza umana. In nome di ideali utopici si sono eliminati milioni di uomini concreti. Dobbiamo rassegnarci a convivere con il male che continuamente rinasce in noi e attorno a noi. La Chiesa, per non parlare del mondo, è fatta di santi e di peccatori; di santi che peccano e di peccatori che cercano di convertirsi. Non ci è lecito scandalizzarci e dimenticare che così come siamo, siamo cittadini del regno. Il peccato ci rattrista, ma non ci deprime.
D’altra parte la prospettiva del giudizio finale, “quando gli angeli separeranno i cattivi dai buoni”, non ci consente di attendere passivi l’ultimo giorno. Non possiamo essere utopici, ma ancor meno indifferenti. La lotta contro il male è d’obbligo anche se la prospettiva è di un combattimento che non finirà mai: “Militia est vita hominum super terram”. Dio e il diavolo combattono ancora nella storia e il campo di battaglia è il cuore dell’uomo (Dostoevskij). Si tratta di una lotta pacifica e violenta nello stesso tempo. “I violenti si impadroniranno del Regno di Dio” (Mt 11,12). La pace cristiana è inseparabile dalla spada (Mt 10,34) portata da Cristo, anche se la competizione obbliga a ferire se stessi prima degli altri.
Alla fine del combattimento sarà Cristo a concedere la vittoria. Presenteremo i nostri pochi meriti, ma conteremo soprattutto su chi ha guadagnato anche per noi. “Non possiamo dirci poveri finché possiamo contare sull’infinita ricchezza dei meriti di Cristo” (San Domenico
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29/07/2016 07:19
 
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Paolo Curtaz
Commento su Lc 10,38-42

Oggi la Chiesa celebra la splendida memoria di Maria, sorella di Lazzaro e Marta, passata alla storia per un cena fra amici...

Quanta retorica ha farcito questa pagina! Quante meditazioni di dotti predicatori che hanno esaltato il ruolo di Maria la contemplativa rispetto all'indaffaratissima Marta! Quante sciocchezze sono state dette, come se solo l'ascolto e il silenzio sono graditi a Dio, finendo con lo stilare una serie di classifica dei discepoli di prima serie (i contemplativi) e poi tutti gli altri. No, credetemi, Gesù è stato ben contento di cenare quella sera. E sono convinto che, dopo il benevolo rimprovero fatto a Marta, si sia alzato insieme a Maria per preparare la tavola. Marta e Maria, come ho avuto modo di scrivere molte volte, sono le due dimensioni essenziali alla vita di fede, i due binari su cui corre la vita del discepolo: la preghiera e l'azione. Non esiste una preghiera che non sfoci nel servizio e la carità rischia di inaridirsi se non attinge forza dal rapporto intimo col Signore nella preghiera e nella meditazione. Ma oggi vogliamo sottolineare le tante persone che, come Marta, davanti ai problemi si rimboccano le maniche, che praticano la propria fede con lo spazzolone e il martello in mano, sempre pronte ad essere disponibili in parrocchia quando si tratta di sudare, magari dietro le quinte!

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30/07/2016 07:54
 
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Erode è un uomo perplesso. Nei confronti di san Giovanni Battista nutre sentimenti opposti. Da una parte egli lo ammira e lo teme, e, più tardi, giungerà anzi ad immaginare che Gesù è la sua reincarnazione; dall’altra non può sopportarlo, perché è venuto a disturbare la pace del suo matrimonio fasullo, di quella relazione, che egli certo non nasconde, con la cognata.
Ma come uccidere un essere che la folla considera santo?
L’occasione è data da un banchetto succulento nel corso del quale, euforico, Erode fa una promessa sconsiderata per ringraziare la ballerina delle sue evoluzioni. Ma la fanciulla, crudele come la madre, gli reclama la testa insanguinata di Giovanni su un vassoio di rame: una richiesta tale da risvegliare dal torpore del vino tutti i convitati! Nonostante la sua perversità, il re esita, probabilmente per una paura superstiziosa: ma come rifiutare e perdere la faccia? Ecco la storia di una decapitazione orribile, bella vendetta per Erodiade che riceve la testa nell’harem del palazzo.
“La sua testa fu il premio di una danza”, ha fatto scrivere il curato di Ars nella cappella del Santo, al fine di scoraggiare ogni tipo di ballo nella sua parrocchia. Ma non è piuttosto il frutto dell’immoderazione dei sensi, dell’orgoglio, della fanfaroneria, di un giuramento folle e, infine, di una semplice mancanza di coraggio? Tragico percorso di un istinto che si scatena, si lascia andare, fino alla crudeltà più atroce. Dio ci protegga da una tale sbandata!
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31/07/2016 07:21
 
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fr. Massimo Rossi
Commento su Luca 12,13-21

Non capita spesso, anzi, è molto raro che le tre letture della Messa ruotino tutte intorno ad uno stesso tema: questa domenica l'oggetto della nostra riflessione è il rapporto tra la vita presente e la vita eterna; rapporto inteso non in senso (solo) teologico, metafisico, ma umano, pratico.
Detto senza mezzi termini, ci pensiamo mai alla vita eterna? ci fermiamo mai a considerare che l'unità di misura del valore delle realtà di quaggiù, non sta quaggiù, ma sta lassù, e si chiama Cristo? In ultima analisi, che senso ha puntare tutto sulle ricchezze che possediamo, sugli affetti che viviamo, come se fossero assoluti, mentre assoluti non sono?
La pagina di Qoèlet, così come il Vangelo, ripetono fino a sfinisci: "Nell'altra vita non porterete niente, non porterete nessuno!".
La grande sfida della fede cristiana è non perdere di vista il fine della nostra esistenza, pur perdendo progressivamente beni, affetti, salute...
La grande sfida della fede è non perdere la speranza teologale, anche quando le speranze terrene, legate cioè a beni e affetti terreni svaniscono, o risultano appese a un filo, oppure ci vengono strappate via.
Ma, allora, se le cose stanno così, se tutto e tutti hanno un termine, se non vale la pena investire energie, desideri, aspettative, sogni su ciò che è e che vive dai tetti in giù... allora è meglio convertirsi alla spiritualità indù per conquistare l'atarassia, la distanza salutare, la libertà da tutto e da tutti: perché niente dura e tutto è vanità.
Il santone indiano si è liberato da ogni ricchezza, da ogni legame, a prezzo di un durissimo tirocinio ascetico, fatto di rinunce e di rinnegamento di sé; ai nostri occhi, (il santone) ha abbandonato il mondo degli uomini, prima ancora di morire; secondo la spiritualità indù, così facendo si raggiunge l'unione con la natura, con l'Assoluto, e con essa l'armonia interiore.
Permettetemi di rilevare che questa risposta alle lusinghe del mondo, alle sirene che da più parti ci attirano e ci schiavizzano, togliendoci la pace, nutrendo in modo insano e smodato orgoglio, brama di potere e di possesso; questa "fuga mundi" (fuga dal mondo) è reazione uguale/contraria, e come tale, è sbagliata.
La fuga dal mondo è sbagliata perché, ripeto, è una reazione e ogni reazione non è mai una scelta libera, ma condizionata dall'azione altrui...
La fuga dal mondo è sbagliata perché è intrinsecamente contraria alla vita umana: abbiamo due mani per lavorare, una mente per progettare, un cuore per amare; un corpo che chiede di respirare, di mangiare, di ?sentire' il mondo e gli uomini con la fiducia di chi sa ricevere e non con la paura di chi si difende fuggendo.
La fuga dal mondo è sbagliata perché va contro la volontà di Dio, il nostro Dio, che si è addirittura incarnato in questo mondo, per insegnarci come si vive la fede e l'abbandono in Lui, attraverso l'uso dei beni della terra, la saggia gestione della ricchezza, e la cura degli affetti: per usare un'espressione cara a Giovanni (15,18ss.) essere nel mondo, ma non del mondo.



Questo nostro mondo non è brutto e cattivo! l'amore non è sempre e solo rischio, potere, tradimento, imbroglio, strumentalizzazione dell'altro... Chi crede questo, chi predica di guardare il cielo, perché il mondo è il regno di satana; chi è convinto che non valga la pena impegnarsi per niente e per nessuno, è un cinico e anche un vigliacco! Certamente non crede in Cristo, che per il mondo e per noi ha dato tutto se stesso, è morto ed è risorto.

Ma, allora!
Allora esiste una terza via, che poi non è la terza, ma è l'unica via: l'uomo ricco della parabola aveva perso di vista il suo orizzonte, aveva abbassato lo sguardo, tenendo gli occhi della mente e del cuore fissi sui propri beni; un po' come quando, durante le prime lezioni di scuolaguida fissiamo il volante, i comandi del cruscotto, i pedali, invece di guardare avanti. Si smarrisce la strada e, con molta probabilità, anche il controllo dell'auto, con gli esiti fatali che possiamo intuire. L'abilità dell'autista è quella di tenere sotto controllo i comandi, senza perdere di vista la strada.
Analogamente, il segreto del cristiano è restare sempre concentrato su ciò che è, su ciò che fa, senza tuttavia perdere di vista il proprio orizzonte di fede, il fine ultimo per il quale ogni uomo è e fa. Il fine ultimo non è nel mondo, ma è fuori dal mondo, è oltre il mondo; appunto, è (fine) ultimo.
C'è qualcosa di più dei miei affetti, c'è qualcosa di più dei miei beni; qualcosa di più della mia stessa vita!! Ora, questa verità non è dimostrabile, non è del tutto evidente, pertanto chiede a noi l'ossequio della fede. Credere in questo, credere nel fine ultimo - e il fine ultimo, lo ripeto, è sempre Cristo e la vita eterna! - non significa amare di meno il mondo, ma tutto il contrario! significa vivere meglio i miei affetti, amando il prossimo come lo ama Cristo; vivere meglio il rapporto con i beni, riconoscendone il valore che Cristo riconosce ad essi; vivere meglio con me stesso e per me stesso, amando me stesso come mi ama Cristo.
Non so come concludere...
Mi rendo conto che lo stato di vita di un consacrato, i miei voti mi pongono in una posizione che non è da tutti e non è per tutti: quando il Signore presenta le vocazioni al matrimonio e alla castità per il Regno, conclude il suo insegnamento dicendo: "Chi può capire capisca." (Mt 19,3-12): al tempo stesso, la consegna divina del rispetto e della cura del creato, evitando ogni gestione padronale dei beni e degli affetti, non è solo un dovere grave dei consacrati, ma di tutti gli uomini e donne di buona volontà.
Credo che ciascuno debba fare un serio esame di coscienza, per con-vertirsi, per volgersi nuovamente, a Dio. Solo mantenendo costantemente gli occhi rivolti a Dio, possiamo legarci senza paura al mondo...e saranno legami fecondi, per noi e per il mondo.



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01/08/2016 06:06
 
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Lunedì 1 Agosto 2016

*Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui».*

I discepoli, uomini pratici, suggeriscono: «Congeda la folla perché vadano a comprarsi da mangiare». Se non li congeda Lui, loro non se ne andranno. Ma Gesù non li manda via, non ha mai mandato via nessuno. Anzi dice ai discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare». Mi intenerisce questo Gesù che non vuole allontanare da sé nessuno, che li vuole tutti intorno anche a mangiare. È una immagine femminile di Dio, un Dio che nutre e alimenta ogni vita. Quante volte nel Vangelo lo si vede intento a condividere il pasto con altri, e contento di questo, da Cana all’ultima cena fino a Emmaus. Così tanto amava mangiare con gli altri, tenerli vicini a sé, che ha fatto di questo mangiare insieme il simbolo di tutta la sua vita: «quando me ne andrò e non potrò più riunirvi e darvi il pane, spezzarlo e condividerlo insieme, voi potrete unirvi e mangiare me». Tante volte ti ho chiesto Signore: Perché non fai niente per quelli che muoiono di fame? Perché non fai niente per quelli che sono malati? Perché non fai niente per quelli che non conoscono l’amore? Perché non fai niente per quelli che subiscono le ingiustizie? Perché non fai niente per quelli che sono vittime della guerra? Perché non fai niente per quelli che non ti conoscono? Io non capivo, Signore. Allora tu mi hai risposto: Io ho fatto tanto; Io ho fatto tutto quello che potevo fare: Io ho creato te! Ora capisco, Signore. Io posso sfamare chi ha fame. Io posso visitare i malati. Io posso amare chi non è amato. Io posso combattere le ingiustizie. Io posso creare la pace. Io posso far conoscere te. Ora ti ascolto, Signore. Ogni volta che incontro il dolore tu mi chiedi: Perché non fai niente? Aiutami, Signore, ad essere le tue mani. Amen!
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02/08/2016 07:29
 
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Le Sacre Scritture presentano in modo veritiero Mosè come l’uomo più umile della terra: egli riconobbe la sua totale dipendenza dal Signore Dio nell’adempimento del ministero di salvatore del suo popolo, al quale era stato chiamato.
Tale umiltà è però superata, sotto ogni punto di vista, da quella di Gesù. Mosè fu solo un lontano modello di Gesù, il Messia, il vero Salvatore non solo del suo popolo, ma di tutta l’umanità, passata, presente e futura. Gesù infatti, dopo aver rinnovato il miracolo della manna nella moltiplicazione dei pani, avendoli fatti distribuire alla folla dagli apostoli, lasciò in silenzio quel luogo per evitare le acclamazioni della folla, che avrebbe voluto farne il proprio re, perché li liberasse dalla tirannia dell’Impero Romano, cosa che, certo, sarebbe stata in suo potere.
Ma, nonostante fosse il creatore del mondo e dell’intero universo, egli tenne nascosto il suo infinito potere sotto l’apparenza di un artigiano proveniente da un villaggio sconosciuto, e questo perché aveva scelto di fare a meno di tutti quegli attributi temporali che danno agli uomini prestigio e potere.
Anche se manifestò la sua autorità sulla natura (moltiplicando i pani per dare da mangiare ad una folla di diecimila persone o camminando sulle acque), Gesù considerò del tutto “normali” questi prodigi.
Suo solo scopo era quello di convincere i discepoli che, credendo in lui ed osservando i suoi comandamenti, avrebbero potuto sottomettere il mondo intero all’autorità del Padre affinché venisse il regno di Dio
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03/08/2016 08:14
 
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Nel Vangelo di oggi vediamo Gesù costretto dai suoi nemici a lasciare la Galilea, la terra della sua infanzia, e a trovare rifugio nelle regioni pagane attorno a Tiro e Sidone, dove regnavano il materialismo e il vizio. Una donna cananea, pagana, discendente da un popolo odiato dagli Ebrei, avendo sentito parlare di Gesù e dei suoi poteri miracolosi, voleva convincerlo a guarire sua figlia, posseduta da uno spirito maligno. Raggiunse dunque Gesù e i discepoli sulla strada, gridando e implorando, in modo inopportuno, la clemenza di Gesù. Ma Gesù non le prestò la minima attenzione. La donna non volle lasciar perdere: lo seguì, si prostrò davanti a lui supplicandolo con ostinazione. Gesù allora le disse con dolcezza, ma con fermezza: “Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini”, ricordandole la sua non appartenenza al popolo eletto. Egli le parlò in questo modo per spingerla ad un atto di fede più grande. La risposta della donna fu infatti coraggiosa e spirituale: “È vero, Signore, ...ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. Con queste parole, la donna fece cadere ogni resistenza, perché Gesù poté allora vedere in lei una figlia di Israele, che aveva fede nel suo potere e nella sua autorità. Ne guarì subito la figlia dicendo: “Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri”.
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04/08/2016 07:07
 
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Riccardo Ripoli
Voi chi dite che io sia?

Due sere fa ho chiesto ai ragazzi chi fosse per loro Gesù. Le prime risposte sono state "Creatore", "Maestro", "Padre", ma poi si è fatta larga fra tutte la parola "Amico" e si è aperta la discussione serale. In questo periodo abbiamo tanti bambini piccoli e preadolescenti e non sempre è facile creare interesse, ma alla parola "Amico" i loro occhi si sono illuminati. Non un Dio severo e serio, ma una "Persona" con la quale possiamo anche ridere e scherzare, condividere momenti di gioia, lasciarsi consolare e perdonare, arrabbiarsi per poi fare pace, camminare insieme. Una domenica siamo stati ad una messa di una parrocchia vicina alla nostra, da un sacerdote africano che avevamo conosciuto qualche mese fa. I ragazzi sono tornati allibiti ed entusiasti perché hanno visto una celebrazione strana, fatta di canti con i tamburelli suonati dalle donnine anziane, di coinvolgimento durante l'omelia con battute e domande, interessamento e spiegazioni per chi non avesse capito, una celebrazione lontana dagli stereotipi tradizionali, gli stessi che allontanano tanti giovani. Papa Giovanni Paolo II ci ha fatto capire che se vogliamo che i ragazzi si avvicinino a Dio si deve parlare il loro linguaggio fatto di suoni, colori, allegria. Dio è un amico e con un amico si ride e si scherza, così come si parla di cose serie. Oggi purtroppo in molte parrocchie si fa fatica ad allontanarci dal carattere serioso, ma credo che si debba tutti quanti camminare in altra direzione se vogliamo far conoscere Dio ai giovani.
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05/08/2016 07:49
 
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Pietro e gli altri undici avevano appena raggiunto la vetta spirituale che consiste nel riconoscere la filiazione divina, quando Gesù cominciò a darsi pena di ricordare loro che l’essere un vero discepolo implicava un reale sacrificio personale per il raggiungimento della beatitudine promessa.
Seguire Gesù, in vista della gloria futura, significa innanzi tutto seguirlo nella sua umiliazione, perché “un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone”. A causa del peccato di Adamo e di Eva, che ha portato nel mondo la morte e l’infelicità, non è possibile a noi, loro discendenti, seguire la verità e la giustizia nella nostra vita, senza dover affrontare e vincere nella nostra persona le forze del male dirette contro di noi. Ognuno dovrà inevitabilmente soffrire, sia pure in misura ridotta, ciò che Gesù stesso ha sofferto. È proprio questo che voleva far capire dicendo: “Chi perderà la propria vita, per causa mia, la troverà”.
Non possiamo evitare né rimandare questa lotta dolorosa, perché chi farà così finirà per perdere la vita, volendo salvarla.
La mia stessa vita, la mia persona: ecco cosa devo offrire al Signore! E certo perderò la mia vita e il mio Dio, candidandomi all’inferno, se mi lascerò spingere a preferire la ricchezza effimera di questo mondo in cambio della mia anima.
Salvami, Signore, da un tale destino!
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06/08/2016 08:21
 
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La Trasfigurazione non era destinata agli occhi di chiunque. Solo Pietro, Giacomo e Giovanni, cioè i tre discepoli a cui Gesù aveva permesso, in precedenza, di rimanere con lui mentre ridava la vita ad una fanciulla, poterono contemplare lo splendore glorioso di Cristo. Proprio loro stavano per sapere, così, che il Figlio di Dio sarebbe risorto dai morti, proprio loro sarebbero stati scelti, più tardi, da Gesù per essere con lui al Getsemani. Per questi discepoli la luce si infiammò perché fossero tollerabili le tenebre della sofferenza e della morte. Breve fu la loro visione della gloria e appena compresa: non poteva certo essere celebrata e prolungata perché fossero installate le tende! Sono apparsi anche Elia e Mosè, che avevano incontrato Dio su una montagna, a significare il legame dei profeti e della Legge con Gesù.
La gloria e lo splendore di Gesù, visti dai discepoli, provengono dal suo essere ed esprimono chi egli è e quale sarà il suo destino. Non si trattava solo di un manto esterno di splendore! La gloria di Dio aspettava di essere giustificata e pienamente rivelata nell’uomo sofferente che era il Figlio unigenito di Dio.
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07/08/2016 07:24
 
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don Alberto Brignoli
Il tesoro che conta di più

Oramai, queste cose noi comuni mortali le vediamo solamente in televisione, attraverso qualche fiction, magari ambientata in altri paesi del mondo in epoche non più vicine alla nostra: mi riferisco a quei casati di ricchi e potenti signori al cui servizio avevano una servitù che viveva permanentemente a palazzo, che era strutturata attraverso precise gerarchie, e che doveva essere sempre a disposizione del signorotto e della sua famiglia. Una servitù che, nella migliore delle ipotesi, poteva sentirsi trattata almeno con rispetto, ma che nella stragrande maggioranza dei casi era solamente uno strumento a totale servizio - è proprio il caso di dirlo - del potente casato. Ai nostri giorni, da noi, come dicevo, queste strutture ormai non esistono più, o sono talmente rare che non riusciamo nemmeno ad immaginare come possa essere la vita al loro interno: ma nel Vangelo di oggi, il Signore ne fa motivo di comparazione (e nel Vangelo questo viene chiamato, lo sappiamo, "parabola") con il Regno di Dio. Quel Regno che Gesù è venuto ad annunciare e a indicare come luogo della salvezza, del riscatto, della liberazione dell'uomo deve, in realtà, essere simile a un luogo di servizio, quasi di schiavitù, come nelle servitù dei grandi signori. Perché questa contraddizione? Perché un Regno, per essere luogo di libertà, deve essere un luogo di servizio?
Che spesso il Maestro abbia invitato i suoi discepoli a mettersi al servizio degli altri, non è per nulla un mistero: ma che il servizio diventi la dimensione fondamentale, la più importante delle caratteristiche del Regno di Dio, questa è certamente la novità più dirompente di tutto il Vangelo. E lo è soprattutto per la gerarchia con la quale è strutturata la servitù del Regno di Dio, la quale non ha alla base i servi più umili (solitamente gli ultimi arrivati) e in cima a tutto, come responsabile, il maggiordomo o l'amministratore. La scala gerarchica della servitù del Regno di Dio vede, in cima, i servi più umili, e alla base di tutto neppure l'amministratore o il maggiordomo, ma il padrone, il signore stesso. Del resto, è Gesù stesso ad affermarlo alla fine del Vangelo di Luca, nel discorso dell'ultima cena, quando dirà ai discepoli che egli sta in mezzo a loro non come il padrone a tavola, ma come colui che serve.
Le immagini che Luca mette in bocca a Gesù nel Vangelo di oggi sono efficacissime. Innanzitutto, descrive l'atteggiamento del servo addirittura attraverso l'abbigliamento che il servo deve avere. A quel tempo, in Palestina, gli uomini vestivano lunghe tuniche che arrivavano fino ai piedi; e più erano lunghe, più stavano a significare l'autorità della persona che le indossava. Al punto che Gesù spesso si scaglia contro le autorità religiose del suo tempo, che "amavano camminare in lunghe vesti" per essere onorati e salutati dalla gente, guardando più alla forma del loro apparire che alla sostanza del loro essere. Il vero onore, per Gesù, non viene dalla veste lunga che copre i piedi e t'impedisce di fare qualsiasi cosa, persino di camminare comodamente. L'onore del cristiano viene dal mettersi al servizio degli altri; e allora, occorre fare come i servi, che per sbrigare le faccende domestiche e per camminare più rapidamente erano costretti a sollevare la veste e a legarla ai fianchi, ben stretta, perché non cadesse e potessero lavorare con comodità.
La veste legata ai fianchi, come il grembiule che ai fianchi Gesù si cingerà per lavare i piedi ai suoi discepoli, diviene così un look, un marchio, una sorta di distintivo del cristiano, il quale non vive la dimensione del servizio a ore, a cottimo, come un operaio pagato per ciò che fa, ma come un servo vero e proprio, come uno della servitù, uno di quelli che vive in casa e che rimane a disposizione del padrone, dei suoi signori, ventiquattr'ore su ventiquattro. I padroni viaggiano, i signori la sera sono spesso fuori di casa per affari, o per partecipare a ricevimenti, e quando rientrano, a qualsiasi ora ciò avvenga, devono poter contare su una servitù sempre disponibile, anche qualora volessero essere serviti a tavola, come nelle migliore delle fiction. Che sorpresa, per la servitù del Regno di Dio, vedere che il loro signore rientra in casa tutt'altro che in abito da cerimonia, ma con la veste legata ai fianchi, come un servo, come uno di loro, e si mette lui a loro servizio, chissà, forse per riconoscenza o forse anche solo per dare loro l'esempio.
Il signore di questo reame così particolare che è il Regno di Dio è fatto così: non ama regnare stando seduto su un trono, e nemmeno dando ordini da dietro una scrivania. Sembra piuttosto a un imprenditore lavoratore che, pur avendo alle proprie dipendenze molti operai, e pur avendo la possibilità di stare a guardare gli altri che lavorano per godersi le proprie ricchezze facendosi servire e riverire, si rimbocca le maniche (come allora le lunghe vesti) e si dà da fare con le proprie mani, soprattutto per dare l'esempio ai suoi servi, perché un giorno, se saranno padroni, non si dimentichino mai di essere stati umili operai.
Finché siamo qui, su questa terra, a lavorare per il Regno di Dio, lo dobbiamo fare senza risparmiarci, di giorno e di notte, con la lampada ben accesa, pronti ad affrontare ogni emergenza, aspettando come unica ricompensa la gioia di aver servito gli altri senza risparmiarci. Questo è il tesoro che conta: non un cumulo di ricchezze guadagnate non si sa bene come, ma la capacità di mettersi al servizio degli altri come ha fatto Gesù, dando loro l'esempio.
È lì, a quel tesoro, che dobbiamo indirizzare il nostro cuore.
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08/08/2016 12:29
 
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Paolo Curtaz
Commento su Matteo 17,22-27

Gesù vuole pagare la tassa del tempio, certo. Si scaglia contro il tempio, contro la gestione che ne fa la rinata classe sacerdotale, non è d'accordo col clima di esteriorità e superstizione che sta riducendo il tempio ad una gigantesca fabbrica di soldi. Ogni israelita è tenuto a pagare una tassa, un contributo annuale, come se non bastassero le imposte di Roma! Ma non importa: Gesù non è un anarchico, non vuole radere al suolo ma ricostruire, ridare speranza, trovare il significato profondo dei gesti e delle pratiche religiose. La Chiesa, comunità dei discepoli, nella storia ha assunto una configurazione, ha inventato lungo i secoli delle strutture che permettessero di annunciare il vangelo con libertà e di assolvere alla propria missione. Oggi, spesso, queste strutture hanno perso di significato e rischiano di essere solo un peso che grava sulle spalle dei pochi cristiani rimasti. Ma prendiamo a cuore anche l'aspetto concreto della vita parrocchiale: il tetto che perde, le spese del riscaldamento, le pulizie delle aule... Gesù non ha fatto lo snob, si è sporcato le mani, ha dato del suo, per sé e per Pietro, noi ci sentiamo migliori?
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09/08/2016 08:38
 
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Riccardo Ripoli
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora

Quando andiamo a cena la sera in campagna non è mai prima delle 22.00 e presto rinfresca. I bimbi arrivano sempre in pantaloncini corte e magliettina, ma durante il pasto si lamentano che hanno freddo. Quante volte diciamo loro prima di cena di prendere una felpa o una maglietta a maniche lunghe, ma loro sentono caldo e non riescono ad immaginare che potrebbero avere freddo entro poco. Nemmeno l'esperienza del giorno prima li porta ad essere previdenti.
Sono bambini, ma così facciamo anche noi. Sappiamo che il denaro non fa la felicità, che sono ben altri i valori, da accumulare per avere un Tesoro nel cuore delle persone e, per chi ha Fede, in Paradiso nel cuore di Dio, ma pensiamo che questa volta sia diverso, che quei soldi mi possano servire per essere più felice, ed ogni volta ci sbattiamo la testa. Quante liti per questioni di denaro, anche tra parenti ed amici, davanti ai soldi non esiste altro per tantissime persone.
Perché continuiamo a sbagliare come fanno i bambini? Perché non essere previdenti e portare a cena una felpettina nel caso poi facesse freddo? Perché non dare risalto a valori come la solidarietà, l'altruismo, la pace, l'accoglienza, il rispetto, l'amore, la tolleranza, il perdono? Perché siamo stolti, perché pensiamo di essere superiori, di poter gestire la nostra vita.
Ogni nostra azione avrà un risvolto e se ci comportiamo da egoisti troveremo tante porte chiuse un giorno, se saremo intolleranti o razzisti qualcuno ci metterà da parte, se non daremo amore ed abuseremo del prossimo troveremo chi prenderà in giro noi. Lo sappiamo, ma facciamo finta di nulla.
Ai miei ragazzi ogni sera ripeto "prendete la felpina", così Dio ogni giorno ci ripete "comportatevi bene che il la vita potrebbe cambiare da un momento all'altro o anche finire in un attimo. Non stanchiamoci di ripetere ai nostri figli di essere previdenti, di studiare, di non fare stupidaggini troppo grosse di cui si pentiranno per tutta la vita, e cerchiamo noi per primi di ascoltare la voce di Dio e camminare sulla strada dell'amore verso il prossimo
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10/08/2016 07:03
 
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La parola del Signore di oggi, rivelata a ciascuno di noi, nella sua Chiesa, come membri della sua Chiesa.
La parola del Signore, oggi e sempre, è vera, vivificatrice, salvatrice, liberatrice. Ci guarisce da ogni malattia; ci risuscita dalla morte. Ci santifica.
Infallibilmente. È l’amore onnipresente che parla.
In una società che si scristianizza, cerchiamo delle soluzioni, i mezzi di una nuova evangelizzazione. Talvolta pensiamo di trovarli nei nostri progetti, nelle nostre vie. Oppure perdiamo la speranza di trovarli...
Il Signore ci comunica un atteggiamento infallibilmente fruttuoso: morire al nostro egoismo. Morire ogni giorno, come san Paolo. Che i nostri dinamismi egoistici vengano uccisi, immobilizzati. È così che guadagneremo la Vita, che è Cristo stesso, per la nostra personalità individuale, per la Chiesa, per il mondo.
Noi moriamo con lui e risusciteremo con lui. Come amici che lo servono e sono là dove lui è: sulla croce, nella gloria. Ascoltiamo la sua parola nel Vangelo. Contempliamo la parola di san Lorenzo, che ha ascoltato la sua voce e non ha indurito il suo cuore.
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11/08/2016 08:24
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Un perdono senza limiti

«Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette». La proposta che Pietro fa a Gesù sembrerebbe già ottima; «quel sette volte» vuole significare tante e tante volte, fino agli estremi limiti della sopportazione, ma non sempre. Gesù deve correggere Pietro e tutti noi. Egli afferma che il perdono non può e non deve essere mai negato ad alcuno. La parabola che segue è illuminante per noi. Suscita sdegno e riprovazione il comportamento di quel servo. Gli viene condonato un debito enorme e poi egli infierisce contro un suo conservo che gli deve soltanto pochi spiccioli. Che ingrato! Ci viene da dire con rabbia. Solo ad una attenta riflessione possiamo giungere alla conclusione che noi stessi assumiamo lo stesso comportamento quando otteniamo gratuitamente e con infinita misericordia il perdono dei nostri grandi debiti contratti con il buon Dio e poi osiamo negare il perdono al nostro prossimo per offese vere o presunte, ma sicuramente sempre di gran lunga inferiori a quelle nostre. Quando si nega l'amore si crea l'inferno già in questo mondo. Senza la legge del perdono allontaniamo Dio dal nostro mondo e facciamo spazio al principe del male, che vuole instaurare il suo regno di odio, di divisioni e di violenze. Diventiamo indegni dell'altare e sacrileghi con Cristo se prima di accedere al sacrificio non premettiamo la piena riconciliazione. Dobbiamo giungere con la forza dell'esperienza e della grazia a gustare la gioia del perdono, a vivere le nostre feste come riconciliazione con Dio e con i fratelli per stabilire tra noi stabilmente la civiltà dell'amore. Il Signore ce lo conceda...
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12/08/2016 15:26
 
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Quanto è necessario ascoltare le parole del Signore per apprezzare la dignità del matrimonio cristiano con le sue esigenze di fedeltà e di unità!
Se ci soffermiamo sui veri valori stabiliti da Cristo quando ha elevato il matrimonio alla dignità di sacramento della Nuova Legge, vediamo che l’unione intima del matrimonio, inteso come dono reciproco di due persone, esige, di conseguenza, una fedeltà totale da parte degli sposi ed un’unità indistruttibile fra loro.
Vi sono alcune verità che devono essere ripetute costantemente perché i discepoli di Cristo non si lascino sedurre dal falso amore offerto dai costumi corrotti oggi imperanti e perché i loro cuori non siano induriti da un’eccessiva ricerca dei piaceri della carne e delle ricchezze terrene.
Preghiamo ed auguriamoci che i genitori incoraggino i loro figli anche a seguire la chiamata di Dio nella vita, compresa la chiamata “più elevata”, cioè quella al sacerdozio o al celibato apostolico, se questa è la sua volontà.
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13/08/2016 06:43
 
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Prendersi cura dei bambini e preoccuparsi di loro perché di essi è il regno dei cieli. L’amore di Gesù per i bambini ci deve far riflettere, soprattutto in un’epoca in cui, spesso, li si trascura o li si rifiuta in molti modi.
Si richiede una grande generosità soprattutto ai genitori, ma anche a tutti noi nel nome di Cristo, perché non si tema di avere bambini, di dedicare più tempo e di pensare di più alla loro educazione. Potrebbe essere questo un modo di compiere ciò che piacque tanto al nostro Signore, quando le madri gli portarono i loro bambini perché imponesse loro le mani. Ciò implica il fatto che i bambini possano ricevere il sacramento del battesimo molto presto e che vengano ben preparati perché approfittino presto nella loro vita della confessione e, soprattutto, della santa Eucaristia, mentre assimilano a poco a poco la dottrina cristiana che viene loro insegnata perché siano in grado di rispondere alla vocazione ricevuta da Dio.
Ciò non riguarda soltanto le madri, ma deve essere compreso, grazie all’aiuto di Cristo, da tutti i fedeli, sacerdoti e laici, così come non ci si deve curare solo dei bambini piccoli, ma del processo di formazione nel suo insieme: in ciò consiste il divenire simili ai bambini, cioè il divenire più simili a Cristo.
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14/08/2016 08:25
 
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Sabato 13 Agosto 2016

*In quel tempo, furono portati a Gesù dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li rimproverarono. Gesù però disse: _«Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli»._ E, dopo avere imposto loro le mani, andò via di là.*

Che tenerezza fa questo Gesù che abbraccia e coccola i bambini che gli stanno intorno! Eppure ci voleva Dio per spiegarci questa cosa. Ai tempi di Gesù tutte le culture, quella giudaica, quella romana, quella greca, erano in difficoltà nel giudicare l’infanzia. *Cos’era un bambino?* Un non ancora uomo, un non compiuto. C’era una certa insofferenza verso i bambini, da parte dei maschi, ma anche sfruttamento e lavoro, il più delle volte, come accade ancora in molte culture povere nel mondo. I bambini erano proprietà dei genitori che li usavano a propria utilità. *Gesù, invece, ribalta la situazione,* i bambini sono presi a modello del discepolo. Non si tratta di essere infantili, no, ma di avere, come i bambini, uno sguardo semplice e immediato sulla realtà, uno slancio di fiducia come solo il bambino sa fare. Se una cosa il nostro ingrato mondo deve riconoscere ai cristiani e al cristianesimo, è proprio il rispetto e l’affetto verso i bambini. Amiamo i nostri bambini, allora, lasciamoli diventare adulti, assumiamoci l’onere e la gioia dell’educazione. Le nostre comunità cristiane mettano i bambini al centro del proprio annuncio, li accolgano nel loro gioioso brusio e nella loro sconcertante spontaneità, i sacerdoti cerchino di non allontanare dalle celebrazioni i bimbi che danno fastidio, come a volte ahimè accade, perché Gesù non ne è per nulla infastidito! *Sia lodato Gesù Cristo.*
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15/08/2016 08:19
 
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padre Gian Franco Scarpitta
La magnificenza di Dio è munificenza

In Gesù suo Figlio Dio ci ha dimostrato in queste settimane di essere il Re di gloria il cui splendore si manifesta nelle vesti bianche che sfavillavano sul monte Tabor davanti agli occhi entusiasti di Pietro, Giacomo e Giovanni (Mc 9, 2 - 10), ma di proporsi a noi uomini come alimento di vita e "pane vivo disceso dal cielo", mangiando del quale si vivrà per sempre. In Cristo il Dio dell'ineffabile gloria, Maestoso e di grandezza indiscussa, la cui regalità è universalmente riconosciuta, si mostra ben lungi dal trattare severamente gli uomini affermando inesorabilmente la sua potenza, ma preferisce mostrare la propria gloria nell'eroismo della morte di croce, nell'autoconsegna alle malvagità umane e soprattutto nel proporsi nostro cibo di vita spirituale invitandoci a mangiare la sua "carne" e a bere il suo "sangue"(Gv 6). Dio mostra la sua magnificenza nella munificenza. La liturgia odierna, seppure non si livella con i testi delle Domeniche precedenti, suggerisce che con essi abbia una certa ragione di continuità, visto che vede Maria resa partecipe adesso della gloria del Tabor ed elevata alla dignità di incorruttibilità assoluta immediatamente dopo a quella del suo Figlio. L'Assunzione di Maria al Cielo in anima e corpo comporta infatti che Maria abbia raggiunto, nella forma speciale e unica, un appropriato traguardo di gloria che richiama il monte della trasfigurazione. Inoltre, la Solennità odierna ci ragguaglia ancora una volta della grande gratuità dell'amore divino: se è vero infatti che Dio in Cristo offre se stesso all'uomo in modo assolutamente gratuito e disinvolto, come non potrebbe essere Dio prodigo nei confronti dell'uomo in conseguenza dei suoi meriti di fedeltà? Nell'Assunzione della Vergine Dio ci dimostra che amore e munificenza sono correlati all'intensità dei meriti dell'uomo.
Per meglio essere espliciti, nell'assumere Maria al Cielo in anima e corpo, Dio dimostra di premiare in modo adeguato e proporzionato l'assoluta fedeltà e la disponibilità di questa semplice fanciulla che con la sua condiscendenza alle parole dell'angelo Gabriele si è resa interamente partecipe del programma divino di salvezza. Concedendo il proprio grembo allo straordinario parto del Figlio di Dio che diventava in lei Figlio dell'Uomo, Maria aveva donato tutta se stessa per la causa del Regno, aveva consacrato la sua giovinezza alla Divina Infanzia recando con se il Dio fatto Bambino e con fede aveva seguito le terribili tappe della fuga in Egitto per poi farsi garante, assieme allo sposo Giuseppe, della crescita umana del suo Figlio. Per di più Maria aveva sempre seguito con partecipazione le opere di redenzione di Cristo, si era sempre a lui associata nella lotta contro il male e nell'attività di redenzione e di salvezza dell'umanità. Doveva essere necessario che Dio, assolutamente munifico e misericordioso, le desse un'elargizione proporzionata ai suoi meriti e che la elevasse pertanto al cielo preservando il suo corpo dalla corruzione terrena.
Certo Maria è sempre una creatura umana, che non va esaltata alla pari di Dio e del suo Figlio. Di lei non possiamo quindi affermare che sia "ascesa" al Cielo (questo solo di Cristo!), ma che Dio abbia potuto "assumere" questa Donna modello di fede e di speranza alla stessa gloria del Figlio, ciò è veramente possibile, se si considera che l'onnipotenza di Dio è munificenza. San Francesco di Paola amava ripetere che "a chi ama Dio nulla è impossibile" e appunto per questo non è impossibile ottenere da Dio le ricompense anche per noi inimmaginabili. E neppure è impossibile che lo stesso Signore possa donare ad una Donna che lo ha tanto amato e servito il premio dell'Assunzione al Cielo.
Per quanto riguarda noi, la Solennità dell'Assunzione ci rammenta l'esortazione di Paolo: " Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dov'è assiso Cristo alla destra di Dio"(Col 3,1) considerando che la nostra meta ultima è appunto quella della vita futura, sa meritare tutt'oggi nel presente. Poche volte si considera in effetti che siamo destinati alla "patria celeste", alla dimensione di gloria che ci attende alla fine dei nostri giorni terreni e che la nostra speranza è il Paradiso. Al termine della permanenza terrena, Dio ci ha riservato la dimensione di salvezza definitiva e di gloria assoluta nella vita eterna, una condizione di somma beatitudine che sarà per noi godimento indefinito, per la quale vale la pena perseverare al momento presente. Il riscatto conseguitoci dal sangue di Cristo sulla croce, i meriti dei Santi e dei Martiri e della stessa Vergine Maria associati alla nostra vita presente in Cristo ci assicurano che (sempre che il nostro libero arbitrio non decida diversamente) il Signore ci attende tutti alla pienezza della vita nell'incontro definitivo con lui. Appunto in Paradiso. Certamente non saremo in grado ( né avremo mai le giuste condizioni di merito) di raggiungere siffatto obiettivo di gloria futura nelle prerogative di Assunzione anima e corpo proprie della Vergine, ma la stessa Madre di Dio ci invita a coltivare la fiducia che ad Esso noi possiamo certamente arrivare. E che appunto per questo la nostra corsa fra le vicende odierne non sarà inutile e infruttuosa.



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16/08/2016 06:54
 
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Questo insegnamento supplementare sul come essere discepoli fa da commento al precedente episodio del giovane ricco.
Un proverbio ebraico dice che nemmeno in sogno si può vedere un elefante passare attraverso la cruna di un ago. Gesù si diverte a riformulare il proverbio. I discepoli reagiscono come ci si poteva aspettare, e Gesù dice loro che le sue esigenze sono davvero al di là degli sforzi umani, ma non impossibili grazie all’aiuto di Dio, che ha mandato suo Figlio “per annunziare ai poveri un lieto messaggio” (Lc 4,18).
Pietro, almeno secondo il brano del Vangelo di Matteo, dice: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo?”. Gesù allora parla di un mondo rinnovato descritto secondo la visione di Daniele riguardo la venuta del Figlio dell’uomo (Dn 7,9). Agli apostoli sarà concessa parte dell’autorità che Gesù possedeva con il Padre, l’Antico dei giorni secondo la visione di Daniele. Ma mentre, secondo i rabbini, Israele avrebbe dovuto sempre precedere gli altri popoli, Matteo insiste qui sulla gratuità della scelta di Dio, di cui noi siamo indegni beneficiari.
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17/08/2016 06:59
 
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Questa parabola, raccontata solo da Matteo, sviluppa il tema dell’ultimo che sarà il primo, sullo sfondo familiare della vigna che è Israele, il “diletto” di Dio (Is 5,1).
Il padrone desidera tanto trovare operai per la sua vigna, che non manda un suo dipendente, ma va lui stesso in piazza a cercarne e anzi vi ritorna, nel corso della giornata, per assumerne altri.
Sia che si vedano nei “primi” e negli “ultimi” operai gli ebrei da una parte e i pagani dall’altra, sia che si vedano i popoli dell’oriente e dell’occidente (Mt 8,11), l’importante è capire che nessuno è escluso dalla misericordia di Dio. L’amore misericordioso di Dio, con la sua urgenza, raggiunge anche il più misero, per accogliere tutti, anche all’undicesima ora: non c’è ragione di lamentarsi della generosità di Dio.
Giona dovette imparare proprio questa lezione (Gn 4,11) riguardo gli abitanti di Ninive. Come dice il papa Giovanni Paolo II: “Rendere presente il Padre come amore e misericordia è, nella coscienza di Cristo stesso, la fondamentale verifica della sua missione di Messia” (Dives in misericordia , 3).
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18/08/2016 07:44
 
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La parabola del banchetto di nozze comprende anche un invito.
L’accento posto su quest’avvenimento regale e, in seguito, la reazione del re non appaiono in Luca, che pure si sofferma sulle scuse espresse dagli invitati. Se mettiamo a confronto i commenti ebraici, sembra che ci siano due parabole distinte. I rabbini fanno notare che nessuno andava a un banchetto prima che l’invito fosse stato fatto e poi confermato; ciò è in contrasto con il rifiuto iniziale degli invitati, anche se è motivato da scuse “legali”.
Noi, che abbiamo bevuto il vino nuovo del regno, abbiamo ancora meno scuse per rifiutare l’invito della grazia di Dio.
Come nella parabola della rete gettata in mare che raccoglie pesci “buoni” e “cattivi” (Mt 13,47), non ci si deve impietosire dell’uomo senza l’abito nuziale e nemmeno ci si deve impietosire delle vergini stolte (Mt 26,1-13).
È interessante soffermarsi sul termine “amico”, che Matteo mette in bocca al padrone della vigna (nel Vangelo letto ieri) e che sarà poi rivolto a Giuda nel giardino del Getsemani (Mt 26,50); tale termine genera, ogni volta, nell’interlocutore un silenzio colpevole.
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19/08/2016 05:43
 
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Ecco il quarto dei cosiddetti dibattiti-controversie che Luca colloca prima della parabola del Buon Samaritano (Lc 10,25-28) e che Matteo inserisce, invece, nel contesto della disputa fra sadducei e farisei.
Nella sua risposta, Gesù cita il Deuteronomio (Dt 6,5) e il Levitico (Lv 19,18). Nessuno poteva ridire qualcosa sull’ortodossia della sua risposta, ma l’uguale importanza data da Gesù ai due comandamenti (amare Dio e amare il prossimo) provocò tanto stupore presso il suo uditorio da farci riconoscere proprio in essi il nucleo rivoluzionario del cristianesimo. Gesù stava per darne un’illustrazione prendendo come esempio del prossimo non un giudeo, ma un samaritano. Ciò doveva avere conseguenze anche sul culto, poiché il cristiano deve riconciliarsi con il fratello prima di portare la propria offerta (Mt 5,24).
La costituzione del Concilio Vaticano II Lumen gentium è molto chiara su questo punto: “Il vero discepolo di Cristo si caratterizza dalla carità sia verso Dio che verso il prossimo” (LG 42).
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20/08/2016 04:34
 
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Paolo Curtaz


Il rischio c'è, siamo onesti. È un rischio che corre ogni esperienza religiosa: quello di inaridirsi, di irrigidirsi, di scordare l'essenziale ed appiattirsi sul superfluo. Così, Gesù giudica duramente l'atteggiamento dei farisei, dei dottori della Legge, degli scribi di cui, pure, riconosce l'autorevolezza, invitando a seguirne gli insegnamenti, ma non le opere. Quanto è vero, amici! La ragione per cui molte persone non credono nel Signore non è proprio la nostra incoerenza? E noi cristiani, a volte, non smentiamo con la nostra vita le parole che professiamo? Tutti noi abbiamo incontrato dei cristiani ferventi che, nella realtà delle situazioni, si rivelano delle pessime persone! Predicano misericordia e giudicano impietosamente. Parlano di servizio e si fanno gli affari propri. Dedicano tempo a Dio e sono scortesi e avari con gli uomini. Che grande responsabilità che è data, amici! E Gesù ci illustra come vivere in coerenza: non ostentando la fede, non prendendoci per maestri e dottori, capaci di calare nel quotidiano la Parola che ci scruta e ci giudica, vivendo in un atteggiamento di servizio reciproco. Viviamo la nostra giornata all'insegna della verità del vangelo!
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21/08/2016 08:18
 
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Gesù si rifiuta di rispondere alla domanda riguardo al numero di coloro che si salveranno: la questione della salvezza non si pone infatti in termini generali, non si pone innanzitutto per gli altri, ma si pone “per me”.
Dipende dalla mia accettazione o dal mio rifiuto della salvezza che Gesù mi offre.
Il cammino verso la salvezza consiste nel seguire Gesù: egli è la via. Lo sforzo di entrare per “la porta stretta” è lo sforzo di seguire il cammino intrapreso da Gesù, cioè il cammino verso Gerusalemme, il cammino verso il Calvario. Il Calvario fu solo una tappa nel cammino verso la destinazione finale, una tappa di grande sofferenza, di tenebre e di solitudine, ma che sboccò direttamente su un mondo di luce e di gioia, illuminato dal sole nascente di Pasqua, vivente della gioia della risurrezione.
L’ingresso al sepolcro di Gesù, nella basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, è basso e stretto, all’interno l’ambiente è angusto e buio: eppure, proprio da qui la risurrezione, in tutta la sua potenza irresistibile, levò il masso e aprì le tombe riempiendo il mondo di luce e di vita.
Il punto in cui si incontrano i due bracci della croce è stretto e basso, ma i bracci indicano i quattro punti cardinali, i quattro venti del mondo. Là Gesù “stese le braccia fra il cielo e la terra, in segno di perenne alleanza” ed estese la sua offerta dell’amore e della salvezza di Dio a tutti gli uomini, ad oriente e ad occidente, a settentrione e a mezzogiorno, invitando ogni uomo e ogni donna, di ogni età e di ogni razza, di ogni colore e di ogni lingua, a partecipare al banchetto del regno di Dio.
La porta stretta è il mezzo per uscire dalle angustie di un mondo senza amore; essa è l’apertura verso l’amore senza confini, verso il perdono e la misericordia.
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22/08/2016 05:52
 
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Quando un popolo è oppresso, o quando un paese è invaso da un altro, esso è per così dire nelle tenebre. L’angoscia di un individuo è una specie di oscurità. Ogni volta che un popolo o un individuo è nel buio, cerca la luce della liberazione spera ardentemente che un giorno verrà la luce.
Quando un popolo cammina nelle tenebre, è portato di solito a dedurre che Dio lo ha abbandonato. È una conclusione sbagliata, perché è stato, invece, il popolo ad abbandonare Dio. Quando il popolo si pente, comincia a ritrovare la retta via: può camminare nella luce e avere speranza.
Qualche volta, questa speranza di luce si localizza su un bambino la cui nascita può dare corpo e vita alla speranza. Per gli abitanti della Palestina settentrionale, l’invasione degli Assiri era stata oscurità e tristezza, ma la profezia di Isaia sulla nascita di un bambino era capace di infondere speranza.
L’annuncio della nascita di questo fanciullo si riferiva ad un futuro re, dotato di una notevole saggezza e prudenza, un guerriero che sarebbe stato ritenuto un eroe dal suo popolo. Con la sua potenza avrebbe riportato la pace e così l’oscurità si sarebbe cambiata in luce.
La cristianità primitiva ha visto in questo bambino portatore di speranza Gesù di Nazaret. Avendo Maria dato alla luce la speranza fatta carne, è onorata come Regina del cielo.
Gesù non fu un guerriero né un eroe. Però, insegnò la sapienza. Si dedicò al popolo. Proclamò una pace che il mondo non può dare. Non fu il tipo di re che il popolo si era immaginato, ma trasformò le tenebre in luce.
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23/08/2016 07:44
 
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Noi ci rallegriamo interiormente quando sentiamo Cristo dileggiare con forza l’eccessivo formalismo rituale dei farisei, e, soprattutto, il loro pretendersi “a posto” di fronte a Dio, per via di gesti puramente esteriori.
Ma non dimentichiamo la frase-chiave di questo passo: “Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle”. La polemica è cattiva consigliera e l’eccesso di formalismo rituale non deve farci dimenticare la necessità del rito. L’ipocrisia è cosa molto brutta, ma ancora più brutto è non fare sforzo alcuno, né di gesto, né di cuore, per avvicinarsi alla legge di Dio.
Non si rischia forse, condannandone l’eccesso, di dimenticarsi della pratica del rito?
Noi abbiamo bisogno sia di una disposizione interiore alla pietà, alla docilità e all’obbedienza, sia di una sua espressione esteriore per mezzo del gesto e del rito. E molto spesso non potremo verificare la disposizione del nostro cuore in altro modo, se non acconsentendo ad un gesto compiuto di fronte a noi, agli altri e a Dio. Dio ci vuole completamente, corpo e anima. Gesù ci chiede di non dimenticarci mai dell’uno, sia pure a profitto dell’altra.
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25/08/2016 09:00
 
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Domani...”; “Più tardi...”, dice il cristiano. “Più tardi ti pregherò meglio”; “Domani mi sforzerò, ma prima bisognerebbe che...”. Ma il Signore ci chiede: “Oggi...”; “Subito”. Per fortuna non conosciamo la data del suo ritorno! Altrimenti, che calcoli non faremmo pur di scendere a compromessi con le sue esigenze!
Impariamo invece a fare solo quanto sia conforme alla volontà di Dio! Non lanciamoci in una brutta azione col pretesto che essa sarà fonte di un’azione migliore in seguito. E se egli ritornasse, prima che questa buona azione venga compiuta? Noi non potremmo certo presentargli le percosse date ai compagni o le nostre bevute... Vegliare non significa solo privarsi del sonno, ma anche fare ciò che Cristo si aspetta da noi: lavoro, vita di famiglia, sana distrazione o preghiera.
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27/08/2016 10:06
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Sei stato fedele: prendi parte alla gioia


La parabola dei talenti ci impegna seriamente nella nostra vita cristiana. Siamo, infatti, tenuti a riconoscere i doni che Egli compie nella nostra vita. Quanto vittimismo sentiamo! Quante lamentale! Può essere, ed è vero, che nella nostra vita sembra che manchi qualcosa, sia materiale che spirituale. Una domanda, però, possiamo farla a noi stessi. Non è che cerchiamo sempre la strada più facile, la strada più semplice e comoda e che richiede poco impegno? Non nascondiamo, prima di tutto a noi stessi, i talenti che Dio ci dona. Un esempio concreto può chiarire questo aspetto. Davanti al male, anche quello che la società non considera tale (vogliamo dire la bestemmia?), siamo capaci di dare una vera testimonianza cristiana? O preferiamo nasconderci dietro un semplicistico "non so parlare, non so che dire", per evitare di esporci? Affidiamoci a Dio e scopriremo di poter anche testimoniare in modo inaspettato le verità della fede. L'importante è riconoscere che tutto il bene non proviene da noi ma da Dio ed affidarci a Lui. I talenti non sono nostri ma doni di Dio da far fruttificare. L'invito allora è nella fede e nella fiducia che i talenti, i doni, le grazie di Dio sono sufficienti per la nostra vita. Chiediamo al Signore di fare in modo che la sua grazia possa essere feconda anche per noi e i nostri cuori, chiamati alla vera conversione.

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28/08/2016 08:01
 
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padre Ermes Ronchi
Il posto di Dio è sempre fra gli ultimi della fila

Gesù spiazzava i benpensanti: era un rabbi che amava i banchetti, gli piaceva stare a tavola al punto di essere chiamato «mangione e beone, amico dei peccatori» (Luca 7,34); ha fatto del pane e del vino i simboli eterni di un Dio che fa vivere, del mangiare insieme un'immagine felice e vitale del mondo nuovo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti. I farisei: così devoti, così ascetici all'apparenza, e dentro divorati dall'ambizione. Gesù li contesta, citando un passo famoso, tratto dalla antica saggezza di Israele: «Non darti arie davanti al re e non metterti al posto dei grandi, perché è meglio sentirsi dire "Sali quassù", piuttosto che essere umiliato davanti a uno più importante» (Proverbi 25,7).
Diceva: Quando sei invitato, va a metterti all'ultimo posto, ma non per umiltà o per modestia, bensì per amore: mi metto dopo di te perché voglio che tu sia servito prima e meglio. L'ultimo posto non è un'umiliazione, è il posto di Dio, che «comincia sempre dagli ultimi della fila» (don Orione); il posto di quelli che vogliono assomigliare a Gesù, venuto per servire e non per essere servito.
Gesù reagisce alla eterna corsa ai primi posti opponendo «a questi segni del potere il potere dei segni». Una espressione di don Tonino Bello che illustra la strategia del Maestro: Vai all'ultimo posto, non per un senso di indegnità o di svalutazione di te, ma per segno d'amore e di creatività. Perché gesti così generano un capovolgimento, un'inversione di rotta nella nostra storia, aprono il sentiero per un tutt'altro modo di abitare la terra.
Disse poi a colui che l'aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini». Perché poi loro ti inviteranno a loro volta, e questi sono i legami che tengono insieme un mondo immobile e conservatore, che si illude di mantenere se stesso, in un illusorio equilibrio del dare e dell'avere.
Tu invece fa come il Signore, che ama per primo, ama in perdita, ama senza contraccambio, ama senza contare e senza condizioni: Quando offri una cena invita poveri, storpi, zoppi, ciechi. Accogli quelli che nessuno accoglie, dona a quelli che non ti possono restituire niente. E sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Che strano: sembrano quattro categorie di persone infelici, eppure nascondono il segreto della felicità. Sarai beato, troverai la gioia. La troverai, l'hai trovata ogni volta che hai fatto le cose non per interesse, ma per generosità.
L'uomo per star bene deve dare. È la legge della vita. Perciò anche legge di Dio
Sarai beato, è il segreto delle beatitudini: Dio regala gioia a chi produce amore.
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