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RIFLESSIONI BIBLICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:42
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02/12/2016 08:42
 
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Due ciechi lo seguivano urlando. È un urlo che viene dal profondo come accade per chi non può vedere la forma delle cose, quindi la loro bellezza e la verità che in esse si cela. Solo un cieco può urlare per riavere la vista. È, la sua, una domanda singolare di pietà, quasi violenta, tanto acuto ha il sentimento della perdita che il non vedere implica.
I due non si peritano neppure di dire cosa vogliono: quell’urlo parla per loro quando si sono accostati a Gesù. Ma avrebbero urlato se non fossero stati assolutamente certi che ciò che chiedevano quell’uomo poteva compierlo?
Si può urlare per ricevere pietà, se si è mossi da un bisogno incontenibile, da un desiderio insaziabile, solo quando ci si imbatte in uno che può compiere il miracolo.
E Gesù esaudisce la domanda di fede. Apre gli occhi ai due. Perché normalmente la nostra fede non ha la forza di questo urlo? Perché si stempera nella dimenticanza annoiata? Perché si affievolisce nella prova come un lucignolo fumigante? Forse perché il nostro cuore si ottunde e non anela più a quella bellezza che commuove e a quella affezione che edifica.
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03/12/2016 07:03
 
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Ripensiamo al ministero apostolico di san Francesco Saverio, per ammirare il dinamismo che lo animò sempre.
San Francesco Saverio fu mandato nelle Indie, come dire, allora nel 1542 all'estremità del mondo, dove si arrivava con viaggi lunghissimi e pieni di pericoli. Subito si diede all'evangelizzazione, ma non in un solo posto, bensì in numerose città e villaggi, viaggiando continuamente, senza temere né intemperie nè pericoli di ogni genere. E non si accontentò delle Indie, che pure erano un campo immenso di apostolato, che sarebbe bastato per parecchie vite d'uomo. Egli era spinto dall'urgenza di estendere il regno di Dio, di preparare dovunque la venuta del Signore e così, dopo appena due anni, giunge a Ceyfon e poi ancora più lontano, alle isole Molucche. Torna in India per confermare i risultati della sua evangelizzazione, per organizzare, per dare nuovo impulso all'opera dei suoi compagni, ma non vi rimane a lungo. Vuoi andare ancora più lontano, in Giappone, perché gli hanno detto che è un regno molto importante, ed egli spera che la conversione del Giappone possa influire su tutto l'Estremo Oriente. E in Giappone riprende i suoi viaggi estenuanti, estate e inverno, sotto la neve, con fatiche estreme. Torna dal Giappone, ma il suo desiderio lo spinge verso la Cina. Ed è proprio mentre tenta di penetrare in questo immenso impero che muore nell'isola di Sanchian nel 1552.
In una decina di anni ha percorso migliaia e migliaia di chilometri, malgrado le difficoltà del tempo, si è rivolto a numerosi popoli, in tutte le lingue, con mezzi di fortuna. Tutto questo rivela un dinamismo straordinario, che egli attingeva nella preghiera e nella unione con il Signore, nella unione al mistero di Dio che vuole comunicarsi.
Anche Gesù, per venire in mezzo a noi, ha superato una distanza infinita: ha lasciato il Padre, come dice il Vangelo giovanneo, per venire nel mondo. E nel suo breve ministero di tre anni ha continuato questo viaggio: si spostava continuamente, non aspettava che la gente andasse da lui, ma percorreva città e villaggi per annunciare la buona novella del regno.
E ora? Ora, se si vuole che Gesù venga, bisogna agire nello stesso modo: non aspettare che gli altri vengano da noi, ma andare noi da loro.
San Francesco Saverio ha dovuto fare viaggi enormi, è continuamente andato verso gli altri, sospinto dall'urgenza di preparare dovunque la venuta del Signore, e in questo modo ha preparato la venuta del Signore in se stesso. Dopo essersi estenuato, dopo aver speso tutte sue forze, la sua intelligenza, il suo cuore, egli riceveva il Signore a tal punto che lo supplicava di limitare un po' le grazie di cui lo inondava.
suo viso era radioso, il suo cuore fremeva, si dilatava: egli aveva seguito in pieno l'ispirazione che il Signore gli aveva dato e per questo il mistero di Cristo si rinnovava nel suo intimo. Andare agli altri, senza aspettare che siano essi a venire: ecco la missione della Chiesa, la missione di ogni cristiano, ognuno nella sua situazione concreta. Se vogliamo che il Signore venga a noi, noi dobbiamo preparare la sua venuta negli altri, dobbiamo andare da loro, corrispondendo al dinamismo della misericordia divina.
È questa la rivelazione del Nuovo Testamento, che completa quella dell'Antico: la rivelazione di una misericordia che si diffonde, sempre più lontano.
Accogliamo la rivelazione di questo dinamismo dell'amore che viene da Dio: se vogliamo ricevere Cristo in noi dobbiamo essere pronti a portarlo agli altri, seguendo questo movimento che ci porta sempre fuori di noi stessi, verso gli altri con grande amore.
E questo l'insegnamento che ci viene dalla vita di san Francesco Saverio, in modo impressionante. Per ricevere l'amore di Dio bisogna trasmetterlo, per riceverlo di più bisogna averlo dato agli altri molto fedelmente, molto generosamente. Domandiamo al Signore la grazia di corrispondere davvero al desiderio del suo cuore.
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04/12/2016 09:53
 
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padre Ermes Ronchi
Il nuovo Battesimo è l'immersione nel mare di Dio

Giovanni il Battista predicava nel deserto della Giudea dicendo: convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino (Mt 3,2).
Gesù cominciò a predicare lo stesso annuncio: convertitevi perché il regno dei cieli è vicino (Mt 4,17). Tutti i profeti hanno gli occhi fissi nel sogno, nel regno dei cieli che è un mondo nuovo intessuto di rapporti buoni e felici. Ne percepiscono il respiro vicino: è possibile, è ormai iniziato. Su quel sogno ci chiedono di osare la vita, ed è la conversione.
Si tratta di tre annunci in uno, e tra tutte la parola più calda di speranza è l'aggettivo «vicino». Dio è vicino, è qui, prima buona notizia: il grande Pellegrino ha camminato, ha consumato distanze, è vicinissimo a te. E se anche tu ti trovassi ai piedi di un muro o sull'orlo del baratro, allora ricorda: o quanti cercate, siate sereni / egli per noi non verrà mai meno / e Lui stesso varcherà l'abisso (David Maria Turoldo).
Dio è accanto, a fianco, si stringe a tutto ciò che vive, rete che raccoglie insieme, in armonia, il lupo e l'agnello, il leone e il bue, il bambino e il serpente (parola di Isaia), uomo e donna, arabo ed ebreo, musulmano e cristiano, bianco e nero, per una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani. Il regno dei cieli e la terra come Dio la sogna. Non si è ancora realizzata? Non importa, il sogno di Dio è più vero della realtà, è il nostro futuro che ci porta, la forza che fa partire.
Gesù è l'incarnazione di un Dio che si fa intimo come un pane nella bocca, una parola detta sul cuore, un respiro: infatti vi battezzerà nello Spirito Santo, vi immergerà dentro il mare di Dio, sarete avvolti, intrisi, impregnati della vita stessa di Dio, in ogni vostra fibra.
Convertitevi, ossia osate la vita, mettetela in cammino, e non per eseguire un comando, ma per una bellezza; non per una imposizione da fuori ma per una seduzione. Ciò che converte il freddo in calore non è un ordine dall'alto, ma la vicinanza del fuoco; ciò che toglie le ombre dal cuore non è un obbligo o un divieto, ma una lampada che si accende, un raggio, una stella, uno sguardo. Convertitevi: giratevi verso la luce, perché la luce è già qui.
Conversione, non comando ma opportunità: cambiate lo sguardo con cui vedete gli uomini e le cose, cambiate strada, sopra i miei sentieri il cielo è più vicino e più azzurro, il sole più caldo, il suolo più fertile, e ci sono cento fratelli, e alberi fecondi, e miele.
Conversione significa anche abbandonare tutto ciò che fa male all'uomo, scegliere sempre l'umano contro il disumano. Come fa Gesù: per lui l'unico peccato è il disamore, non la trasgressione di una o molte regole, ma il trasgredire un sogno, il sogno grande di Dio per noi.
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05/12/2016 07:25
 
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La sicurezza e la naturalezza con le quali Gesù concede al paralitico il perdono dei suoi peccati porta gli osservatori a chiedersi chi è. Egli appare loro come un impostore che ha l’audacia di pretendere di detenere l’autorità divina.
Gesù non risponde alla loro domanda lanciandosi in spiegazioni teoriche, ma agendo, cioè guarendo il paralitico.
Ecco come Gesù offre al paralitico ed alle persone che lo osservano - come a noi oggi - la possibilità di capire la sua importanza: egli libera dalle sue sofferenze, dalla sua solitudine e dal suo handicap chi crede in lui. Lo fa uscire dall’ombra e dalle tenebre della sua esistenza per condurlo alla luce. Gesù gli fa dono della salute, di un coraggio nuovo e della comunità degli uomini. Grazie a lui, egli diventa un uomo nuovo.
Un tempo, come oggi, chi si rimette a Gesù con fiducia, e lo segue, sente sbocciare in sé delle possibilità insospettate - malgrado le deviazioni e gli abusi di questo mondo - sente che il regno di Dio arriva.
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06/12/2016 09:22
 
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Per mezzo di questa parabola, Gesù rivela alcune situazioni intollerabili nelle comunità: capita che uno dei piccoli si smarrisca e che per gli altri sia perduto.
La sua critica si indirizza alle comunità di un tempo come a quelle di oggi, che dimenticano i gruppi marginali, coloro che sono meno privilegiati, i poveri o gli stranieri, e che non li integrano.
Non vi è dunque nulla di sorprendente se sbagliano cammino e si smarriscono, se perdono il loro orientamento e la loro fede.
Nella sua parabola Gesù dà criteri di relazione più giusti, più rispondenti a questo comportamento: questo piccolo che si è perduto ha una tale importanza che si trascurano tutti gli altri per andare a cercarlo e ritrovarlo, poiché Dio è chiaramente dalla parte di coloro che si respingono ai margini della società e che si dimenticano. Il suo Regno è in contrasto con la nostra società: ha per valori l’indulgenza, il rispetto e il soccorso. Ecco perché la missione delle comunità è di prendere sul serio i problemi delle persone svantaggiate, e di difendere i loro interessi affinché non corrano il rischio di intraprendere strade pericolose.
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07/12/2016 08:45
 
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Riccardo Ripoli
Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò

La rivolta dei forconi

Ogni volta la protesta di piazza prende nomi differenti, ma è pur sempre una manifestazione contro un disagio.
Serve a qualcosa? Forse si, ma purtroppo le cose spesso degenerano e dalla pacifica protesta nella quale si gridano le proprie ragioni si passa alle vie di fatto, alle offese, alla violenza, sopratutto contro chi non ha colpe, contro coloro che sono lì per tutelare i diritti di tutti, sia dei manifestanti, sia delle persone che vogliono passeggiare tranquillamente, sia di quelli che la pensano in modo contrario rispetto alla maggioranza.
Quando abbiamo un problema sentiamo la necessità di parlarne con qualcuno, di sfogarsi, ma il tempo ci insegna che purtroppo non tutti capiscono cosa provi realmente, qualcuno riporta ciò che dici ad altri, qualcun altra ti giudica e cambia il rapporto con te. Si impara a tenersi tutto dentro, a non dormire la notte, a piangere senza farsi sentire, a pulirsi la faccia quando gli occhi sono gonfi di lacrime.
Ed è allora che ti senti solo, perduto, senza una guida, una direzione, un progetto; ti senti come una piuma che il vento sospinge a suo piacimento e vorresti reagire, sconquassare il mondo nella speranza di ritrovare un ordine dopo il disordine, un po' come con i bastoncini dello shangai.
Questo è il momento in cui qualcuno guarda a Dio ed altri si lasciano andare alla disperazione, alla depressione che porta taluni al suicidio o a rifugiarsi nella droga o nell'alcool.
Il Signore dice ad ognuno di noi "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò" ed è proprio vero. Possiamo urlare, gridare, disperarci, ma non troveremo mai conforto. Ogni battaglia vinta procura ferite e non ci sarà mai una vittoria così ampia e totale da renderci felici pienamente. Ogni conquista comporta sempre una qualche rinuncia. Pensate a due persone che si vogliono bene, sarà sempre rose e fiori o ci saranno alterchi ed incomprensioni? Una scelta di vita non comporterà forse una rinuncia a qualcosa di personale? Rinunciare ad avere un figlio non è stata una cosa semplice, ma da quando ho toccato con mano certe realtà di tanti bambini abbandonati ho capito che dovevo e sopratutto volevo dedicarmi anima e cuore a questi ragazzi, pur sapendo che qualcosa mi sarebbe mancato.
Tornassi indietro rifarei questa scelta mille e mille volte, ma ogni tanto un po' di tristezza prende e guardo al Signore, e penso a quanto sia stato fortunato a potermi occupare di così tanti bimbi, averli visti crescere, sbagliare e poi rimediare a loro errori.
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08/12/2016 08:48
 
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Abramo concepì Isacco per la fede nella promessa di Dio “e divenne padre di molti popoli” (cf. Rm 4,18-22). Ugualmente Maria concepì Gesù per mezzo della fede. La concezione verginale di Gesù fu opera dello Spirito Santo, ma per mezzo della fede di Maria. È sempre Dio che opera, ma attraverso la collaborazione dell’uomo. Credere, infatti, è rispondere con fiducia alla parola di Dio, accogliere i suoi piani come se fossero propri e sottomettersi in obbedienza alla sua volontà per collaborarvi. La fede vuole sempre: 1) la fiducia in Dio e 2) la professione di ciò che si crede, poiché “con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza” (Rm 10,10). Una volta riconosciuta vera la parola di Dio, Maria credette alla concezione verginale di Gesù e credette pure alla volontà di Dio di salvare gli uomini peccatori, la volle e aderì a quel piano lasciandosi coinvolgere: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). Dalla sua fede quindi nacque Gesù e pure la Chiesa. Perciò, insieme ad Elisabetta che esclamò: “Beata colei che ha creduto all’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,45), ogni generazione oggi la proclama beata (cf. Lc 1,48). La Chiesa ha il compito di continuare nel mondo la missione materna di Maria, quella di comunicare il Salvatore al mondo. Il cristiano di oggi deve fare proprio il piano di Dio “il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati” (1Tm 2,4), proclamando la propria salvezza e lasciandosi attivamente coinvolgere nel portare la salvezza al prossimo, poiché “in questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli (Gv 15,8).
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09/12/2016 06:43
 
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In questa parabola Gesù presenta uno specchio ai suoi contemporanei. Essi non possono che riconoscersi come dei bambini testardi: bisogna che gli altri danzino come vogliono loro. Tutto deve andare come vogliono loro.
E guai a chi non risponde alle loro concezioni, o a chi non rientra nelle loro categorie già stabilite, come Gesù! Essi gli mettono l’etichetta di malato o di buono a nulla, e l’escludono dalla loro società.
Ma, in definitiva, è a loro stessi che nuocciono nella loro ostinazione. Questi bambini sono incapaci di giocare, si rovinano il gioco da soli.
Invece Gesù mostra che nel regno di Dio si giudica secondo tutt’altre categorie e tutt’altri criteri: azioni giuste, impegno verso chi vive ai margini della società, solidarietà con i peccatori e i pubblicani, ecco cosa distingue Gesù e i suoi fedeli.
E Gesù incita i suoi contemporanei, e anche noi a distoglierci dai preconcetti, a rivedere il nostro modo di pensare, a orientarci e ad agire secondo il principio dell’amore di Gesù.
Affinché i bambini cocciuti si liberino e conoscano la gioia.
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10/12/2016 08:17
 
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Con la loro domanda, i discepoli esprimono le riserve dei dottori della legge verso Gesù.
Se Gesù fosse il Messia atteso, il profeta Elia avrebbe dovuto essere tornato da molto tempo per preparare la sua venuta. E se Elia fosse effettivamente stato là, avrebbe già cominciato molte cose: non ci sarebbero più oppressioni politiche, il dominio dell’uomo sull’uomo sarebbe giunto alla fine, non vi sarebbero più opposizioni sociali tra poveri e ricchi, una nuova era di pace sarebbe già iniziata.
Gesù spiega ai suoi discepoli che la nuova era di pace comincia adesso, per coloro che colgono la loro opportunità, che rispondono all’appello alla conversione e instaurano la pace nel proprio cuore.
Ma le attese degli uomini sono altre: essi contano su un potente che possa aiutarli automaticamente a stabilire la pace. Ecco perché le parole di Giovanni Battista si sono perse nel vuoto. E perché la violenza minaccia quelli che portano la pace: Giovanni Battista muore di morte violenta, e Gesù presagisce che anch’egli sarà colpito da un destino simile.
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11/12/2016 09:34
 
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don Giacomo Falco Brini
La gioia e lo scandalo

Giovanni il Battista ha annunciato "colui che viene" come il più forte, come colui che realizza il giudizio di Dio con la scure posta alla radice di ogni albero cattivo, pronto a bruciare ogni sorta di male (Mt 3,10-11). Ma, similmente a quel giorno in cui rimase allibito vedendo il Signore venirgli incontro in fila con i peccatori per farsi battezzare, ora, gettato in carcere, l'ultimo dei profeti è smarrito: sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro? (Mt 11,3) - manda a dire a Gesù, così diverso nel suo agire e parlare con gli uomini dal veniente predicato. Allora delle due l'una: o è sbagliata la sua attesa, o è sbagliato pensare che Gesù è l'atteso. Ecco il senso della domanda inviata.
La realtà ti parla del vangelo e il vangelo ti parla della realtà. Basterebbe questo primo passo del vangelo (e scusate se mi ripeto in tema), per leggere dentro quel che accade oggi nella chiesa di Dio, sotto il pontificato di Francesco. Non finiscono mai di moltiplicarsi gli sdegni, i turbamenti, i dubbi dottrinali, se non addirittura le sentenze e le puerili dietro-ideologie, difronte al modo di agire e di parlare di Francesco. Ma la radice comune è quella: la fatica di credere che "colui che viene" sia così come il vangelo ce lo racconta, e non come supporrebbe o vorrebbe il bisogno della nostra testa che pretende sempre puntuali accertamenti normativi su ogni problema umano che la fede affronta.
La grandezza vera di Giovanni (decantata anche dal Signore nella seconda parte del vangelo) sta esattamente nel mettere in crisi se stesso piuttosto che l'Atteso: davanti al suo essere così diverso dalla propria attesa, la sua incomprensione non diventa paura aggressiva, la sua certezza non diventa minaccia per chi non si allinea con essa. Giovanni non si irrigidisce. Piuttosto, il suo sbigottimento si fa stupore, la sua austera, rocciosa integrità, si fa domanda smarrita che attende una risposta. Come il salmista che, più o meno alla fine del percorso del suo cammino, recita con sapienza: giunga il mio grido fino a te Signore, fammi comprendere secondo la tua parola...come pecora smarrita vado errando, cerca ancora il tuo servo, perché non ho dimenticato i tuoi comandamenti (Sal 119). Giovanni è davvero il più grande, ma perché? Perché come ogni vero uomo di Dio, soprattutto quando si sente sicuro di conoscerlo, resta aperto al suo Mistero con una domanda che può compromettere le proprie certezze. Non crede forse a Colui che dice: i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le mie vie non sono le vostre vie?(Is 55,8). Giovanni è davvero il più grande perché si fa piccolo davanti alla assoluta novità di Gesù! Nuova a tal punto che, in continuità con la storia di Israele, fa esprimere così il Signore mentre tesse l'elogio del Battista: ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui (Mt 11,11). Vediamo morire Giovanni martire dopo questa domanda; dopo aver ricevuto risposta da Gesù che, piuttosto che offrirgli una risposta "dottrinale", lo rimanda alle opere che i suoi discepoli possono da se stessi vedere ed udire (Mt 11,4-5). L'uomo di Dio diventa piccolo davanti all'inafferrabilità del suo Mistero, egli sa fermarsi alla sua soglia per lasciare il testimone ad un altro. Sa accontentarsi del responso divino che lo invita ad ammirarlo nelle sue opere.
Tornando alla realtà, dove possiamo trovare un Giovanni Battista dei tempi odierni? Nel monastero "Mater Ecclesiae", presso i giardini vaticani, dove abita dal 2 maggio 2013. Prega ogni giorno per la chiesa di Dio sparsa per il mondo, in particolare per papa Francesco. Perché? Perché lui sa cosa vuol dire essere alla testa della chiesa, perché ha conosciuto il peso dell'incarico. Ma proprio lui, Benedetto XVI, il grande e finissimo teologo, ha dato a tutti lezione di amore al Signore e alla sua chiesa compiendo il passo che tutti sappiamo. Straordinaria quanto inattesa testimonianza dell'uomo di Dio che ascolta incessantemente nel suo cuore le ispirazioni divine, senza volerle piegare alle proprie sicurezze. Nel disegno di Dio non c'è Gesù senza Giovanni il precursore. Analogamente, nella storia della salvezza che continua nella chiesa, non c'è Francesco senza Benedetto. Ma gli uomini (soprattutto di chiesa!), nella propria delirante pseudo-realtà, fanno mettere contro i due; mentre la ben altra realtà della loro fraternità li chiama a conversione!
Cosa dice a tutti il vangelo in questa 3a domenica di Avvento? Che Gesù sarà sempre la gioia di chi lo accoglie così come Lui si rivela (Mt 11,6). E sarà invece sempre pietra di scandalo per chi ha la pretesa di dirigere il pensiero del Signore. Nel cammino della vita spirituale infatti, alla fine, ci è chiesto di abbandonarci a Lui, come fece il Battista in carcere. Dobbiamo guardarci da una tentazione: quella di voler dare consigli allo Spirito Santo, anziché riceverli. Infatti, "chi ha diretto lo Spirito del Signore e come suo consigliere gli ha dato suggerimenti?" (Is 40,13). Lo Spirito Santo dirige tutti, e non è diretto da nessuno; guida, ma non è guidato. C'è un modo sottile di suggerire allo Spirito Santo quello che dovrebbe fare con noi e come dovrebbe guidarci. (P.Raniero Cantalamessa, 2a predicazione d'Avvento alla Casa Pontificia, 9.12.2016).
Chiediamo in dono a Dio un anticipo della gioia del Natale. Chiediamogli di donarci quello che diceva a se stesso Papa Giovanni XXIII: "Devo mettermi in testa che siccome Dio mi vuole bene, è inutile che gli dia consigli sul mio avvenire, devo solo abbandonarmi alla Sua volontà". Abbandonarsi a Dio, lasciare a Lui le risposte che il nostro cuore non riesci a darsi, è fonte di pace e di gioia.
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12/12/2016 07:58
 
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Ancora una volta i dottori della legge trascinano Gesù su un terreno scivoloso domandandogli da dove viene il suo potere.
Ma egli tiene loro testa con abilità e, come risposta, li riduce al silenzio con un’altra domanda.
Poiché, qualunque fosse il loro modo di rispondere, essi si metterebbero in una situazione delicata.
Riconoscere che è il cielo che ha mandato Giovanni Battista sarebbe riconoscere che essi hanno commesso un grave peccato non credendo in lui. Ma scegliere l’altra alternativa è attirarsi la collera del popolo, del quale essi hanno ancora bisogno nella loro campagna contro il Nazareno. Essi se ne escono dunque: “Non lo sappiamo”. Ciò fa sì che Gesù stesso non debba rispondere.
Gli uomini che si sono rifiutati di capire l’importanza della missione e del messaggio di Giovanni Battista, come di trarne le conseguenze, non avrebbero affatto potuto cogliere quella di Gesù Nazareno.
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13/12/2016 08:42
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
La salvezza è per tutti i popoli

Una delle verità della nostra fede, sostenuta dalla rivelazione, è che il nostro Dio è un Dio che salva, è un Dio che ama tutti i suoi figli e a tutti offre la salvezza. Sarebbe gravemente riduttivo pensare che il Natale possa essere un evento riservato ai fedeli di fede cattolica cristiana. Egli viene per i peccatori e per "I cuori spezzati". Questo è il progetto di Dio, questa la missione che Gesù viene a realizzare. Egli dirà: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati... poiché io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori". Sono la verità e l'azione divina che hanno consentito a noi provenienti dal paganesimo di essere stati fatti partecipi dei benefici della redenzione con la chiamata alla fede. "Il Signore è vicino a chi lo cerca" preghiamo al salmo responsoriale. Prima che tu lo chiami il Signore è già in cammino verso di te! Alle sollecitazioni divine, ai doni di grazia dobbiamo però rispondere con la nostra fedeltà operativa. Non bastano le promesse verbali e le buone intenzioni: "Non chiunque mi dice: "Signore, Signore", entrerà nel regno dei cieli; ma chi fa la volontà del Padre". Fare la volontà di Dio, anche con sacrificio, significa dargli la propria umile e totale adesione, metterlo al primo posto, testimoniarlo con coerenza. È una importante responsabilità ascoltare la voce del Signore, anche quella proferita dai suoi ministri, e non credere. È quanto Gesù rimprovera ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo. Dice loro che i pubblicani e le prostitute alla predicazione di Giovanni, si sono convertiti, loro nella loro boria non hanno creduto. È sempre vero che i doni di Dio vanno accolti sempre con grande umiltà e infinita gratitudine.
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14/12/2016 12:33
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
L'attesa fiduciosa

"Stillate, cieli dall'alto", "La verità germoglierà dalla terra", così il profeta, così il salmo responsoriale: un auspicio e una promessa, ma noi restiamo ancora in trepida attesa. C'è da superare quel "già e non ancora" che ci affascina e ci affligge. La fede e la speranza, se ben alimentate, ci aiutano a guardare lontano, oltre la soglia del tempo; così, sorretti dalla divina sapienza, squarciamo i cieli e vediamo il fiorire dei germogli fecondi della terra. L'incanto dell'opera divina per noi e con noi! La sua onnipotenza scritta in noi e nel creato, ci rende certi del suo amore, ci rende consapevoli della dignità di cui ci ha adornato, ci illumina sulla gravità del peccato e sulla preziosità della redenzione che si attua nel Cristo che sta per venire tra noi. L'invocazione "Vieni, Signore Gesù", "Maranathà", diventa incalzante, urgente. I primi bagliori del Natale già ci illuminano a sufficienza per convincerci che il nostro mondo è ancora pieno di cechi, di zoppi, di lebbrosi, di sordi e di morti ambulanti. Imploriamo per questo la venuta del Signore e già lo invitiamo a percorrere le nostre strade, a ripetere i miracoli compiuti lungo i percorsi della Palestina: "I ciechi ricuperano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risuscitano, l'Evangelo è annunziato ai poveri". Questi e non altri sono i motivi della nostra attesa. Il Natale è nascita e risurrezione. È la Vita che germoglia e pervade la nostra vita. Deo gratias!
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15/12/2016 07:41
 
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Chi è, chi era Giovanni Battista per Gesù, e per i suoi contemporanei? Che cosa, chi sono andati a cercare nel deserto?
Gesù cerca di delineare il personaggio di Giovanni Battista, cioè di mettere la gente in grado di rispondere a questa domanda. Egli li interroga in tre riprese: Che cosa si aspettavano andandolo a vedere? Una canna agitata dal vento?... No, questo non avrebbe interessato nessuno. Ciò che si aspettavano da Giovanni non era un uomo che li adulasse, ma che, al contrario, li chiamasse alla conversione, nel suo modo radicale e insistente. Essi non potevano neppure aspettare un uomo avvolto in morbide vesti - se no, avrebbero dovuto cercare altrove. Quindi essi erano alla ricerca di un uomo di Dio, di un profeta. E Gesù lo conferma loro: è proprio un profeta che hanno trovato. Non importa quale, ma semplicemente il profeta: l’ultimo, incaricato di preparargli il cammino. Quanto Gesù insiste sulla grandezza umana di Giovanni, tanto insiste nel sottolineare la differenza tra lui e Giovanni.
Giovanni è qui per Gesù, e non il contrario. Ma ciò che importa - e deve importare - è l’annuncio del regno di Dio.
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16/12/2016 10:32
 
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Nel vangelo di oggi incontriamo ancora una volta il personaggio Giovanni Battista, e la distinzione che Gesù stabilisce tra loro due.
Anche qui, è incontestabile che Gesù esprime la grandezza e il carattere unico di quest’uomo e della sua testimonianza - certo “solamente” quella di un uomo, ma per amore di Dio e soprattutto degli uomini. Poiché questa testimonianza dovrebbe aiutarli a riconoscere il “vero” (Salvatore), o la verità che appare in Gesù e nelle sue opere.
Ecco perché si propone qui il paragone tra Giovanni e una lampada.
Poiché Giovanni è incaricato di illuminare i suoi contemporanei - ma egli è “come” una lampada, cioè lui non è la luce del mondo. Egli affascina innanzi tutto gli uomini, arriva ad attirare il loro sguardo su di sé... ma l’entusiasmo che suscita non dura a lungo. Egli si consuma come un breve fuoco di paglia.
La sua vera e duratura importanza - quella che Gesù gli accorda a dispetto di tutte le distinzioni che fa tra sé e lui - non è riconosciuta dagli uomini.
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17/12/2016 07:51
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Le genealogia di Gesù

E' un desiderio innato nell'uomo ricercare le proprie origini. Diventa un tormento quando questa ricerca diventa vana per chi ha perso il susseguirsi degli eventi della propria vita. Anche per il Signore è stata necessaria stendere una genealogia, anzitutto per provare che la sua origine risale a Davide, alla cui discendenza era promesso un regno eterno, non tanto materiale, come disse Gesù a Pilato: Il mio regno non è di questo mondo. Però sono re: per questo sono venuto. In questa genealogia compaiono anche quattro donne e diversi personaggi non così integri nei costumi come la grandezza del loro discendente secondo la carne avrebbe richiesto. Possiamo vedere in questo fatto annunziata l'universalità della salvezza dal momento che esse, le donne, non sono ebree, ma anche l'insegnamento che Colui che veniva per redimere l'uomo dal peccato non rifiuta di discendere da uomini e donne peccatori. E inoltre ci ammonisce di non vergognarsi dei nostri progenitori anche se non stati stinchi di santi. Mèritano il nostro grazie e rispetto anche solo per averci dato la vita. D'altra parte Gesù, figlio di Dio che come Uomo è discendete di Davide merita una genealogia che risale fino ad Abramo, il patriarca delle promesse. E' costume degli Ebrei, come troviamo in molti luoghi dell'Antico Testamento, premettere al nome di qualche personaggio importante per la loro storia, una genealogia fino alla quarta e quinta generazione. Nel Nuovo Testamento siamo in possesso della genealogia di Gesù, la sola importante.
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18/12/2016 07:51
 
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padre Ermes Ronchi
Giuseppe, il giusto con gli stessi sogni di Dio

Tra i testimoni d'Avvento, tra coloro che rendono, «testimonianza alla luce» (Gv 1,7.8) e ci accompagnano al Natale, entra Giuseppe, uomo giusto che sogna e ama, non parla e agisce.
Prima che andassero a vivere insieme Maria si trovò incinta. Sorpresa assoluta della creatura che arriva a concepire l'inconcepibile, il proprio Creatore. Qualcosa che però strazia il cuore di Giuseppe, che si sente tradito. Ed entra in crisi: non volendo accusarla pubblicamente pensò di ripudiarla in segreto. Vive il conflitto tra la legge di Dio che ribadisce più volte: toglierai di mezzo a te il peccatore (cfr Deut 22,22) e l'amore per quella giovane donna.
Giuseppe è innamorato di Maria, non si dà pace, continua a pensare a lei, a sognarla di notte. Ma basta che la corazza della legge venga appena incrinata, scalfita dall'amore, che lo Spirito irrompe e agisce.
Mentre stava considerando queste cose, ecco che in sogno un angelo... Giuseppe, mani indurite dal lavoro e cuore intenerito e ferito, non parla ma sa ascoltare i sogni che lo abitano: l'uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio. Giuseppe fece come gli aveva detto l'angelo, sceglie l'amore per Maria, perché «mettere la legge prima della persona è l'essenza della bestemmia» (Simone Weil). E in questo modo è profeta che anticipa e prepara le scelte che farà Gesù, quando infrangerà la legge del sabato per guarire il dolore dell'uomo. Eccoli i giusti: «la nostra unica regola è l'amore; lasciare la regola ogni volta che essa è in contrasto con l'amore» (sorella Maria di Campello) Maria lascia la casa del sì detto a Dio e va nella casa del sì detto a un uomo, ci va da donna innamorata, con il suo cuore di carne, in tenerezza e libertà.
Maria e Giuseppe, poveri di tutto ma non d'amore, sono aperti al mistero proprio perché se c'è qualcosa sulla terra che apre la via all'assoluto, questa cosa è l'amore, luogo privilegiato dove arrivano angeli. Il cuore è la porta di Dio.
Giuseppe prende con sé Maria e il bambino, quel figlio che non ha generato, di cui però sarà vero padre perché lo amerà, lo farà crescere, lo farà felice, gli insegnerà il mestiere di uomo, e a sognare, e a credere nell'amore. Giuseppe non ha sogni di immagini, ma sogni di parole. Un sogno di parole è offerto anche a tutti noi: è il Vangelo. E sono offerti angeli: in ognuna delle nostre case Dio manda i suoi messaggeri, come in quella di Maria; invia sogni e progetti, come in quella di Giuseppe. I nostri angeli non hanno ali, sono le persone che condividono con noi pane e amore; vivono nella nostra casa ma sono messaggeri dell'invisibile e annunciatori dell'infinito: angeli che nella loro voce portano il seme della Parola di Dio.
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19/12/2016 07:33
 
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Paolo Curtaz
Commento su Lc 1,5-25

Luca, con grande abilità, inserisce la nascita di Gesù nel contesto dell'attesa messianica del Salvatore. Il tempio è in via di ricostruzione e sono ripresi di gran lena gli olocausti e tutta l'attività cultuale del tempio. Zaccaria ed Elisabetta, secondo i più classici schemi dell'intervento divino in una coppia sterile, rappresentano il modello della fede di Israele, ormai ridotta alla sola pratica del culto, arida, sterile. In effetti l'annuncio avviene nel tempio, durante la solenne liturgia, all'uomo di casa, in maniera totalmente diversa da come avverrà per Maria a Nazareth. È la fine di un'epoca, la fine di un modo di intendere la fede e la religione. Il frutto di questa frattura sarà il Battista: proveniente dalla classe sacerdotale ma profeta nel deserto, lontano dalla pompa del tempio. Il popolo di Israele ha bisogno di fare silenzio e di meditare, proprio come fa il povero Zaccaria, per potersi accorgere di ciò che sta accadendo. Solo così sarà in grado di cambiare e di accogliere l'invito del più grande fra i profeti. Solo nel silenzio anche noi, oggi, possiamo riaccogliere la notizia della nascita di Dio nei nostri cuori.



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20/12/2016 23:14
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
"Eccomi"!

Lo sguardo misericordioso di Dio Padre, dopo aver visto lo stato miserevole in cui la nostra umanità si era ridotto, si posa sull'uomo fuori del paradiso terrestre, nudo, spaurito e sfregiato gravemente dal peccato e preannuncia la redenzione e la vittoria della Vergine sull'antico avversario. Dio, sempre fedele alle sue promesse, ci invita meditare l'annuncio dell'Angelo a Maria, la piccola vergine di Nazareth. Viene definita "piena di grazia", già ricolma di ogni dono, perché immacolata, concepita senza peccato, già pronta ad accogliere come in uno luminoso tabernacolo vivente il Verbo che si fa carne, per venire tra noi. La futura Madre, piccola e povera come si autodefinisce, non riesce immediatamente a comprendere come possa diventare mamma senza conoscere uomo, ma appena illuminata dall'Arcangelo Gabriele che ciò avverrà per opera dello Spirito Santo e che tutto rientra nel meraviglioso progetto divino dell'umana redenzione, Maria dichiara la sua completa disponibilità: «Eccomi, sono la serva del Signore; avvenga di me quello che hai detto». Significa concretamente l'adesione libera e totale alla volontà di Dio per sempre, senza riserva, sino alla fine, sino al Calvario. Significa anche la partecipazione attiva alla missione terrena del Figlio suo legata al tempo e a quella che come un memoriale, permane nei secoli. L'evangelista Giovanni direbbe dopo l'assenso di Maria: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità". Sta per ripetersi il miracolo dell'Incarnazione, il Natale è alle porte: siamo ancora invitati a ripetere il nostro "eccomi" al Signore e a contemplare la gloria del Figlio che nasce Bambino, ma che è pieno di grazia e di verità. Doni questi che urgono per ognuno di noi e che la Madre sempre vergine è pronta a donarci.
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21/12/2016 07:52
 
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Paolo Curtaz
Commento su Lc 1,39-45

Danzano nella polvere del cortile le due donne. Diverse per età eppure coinvolte dalla stessa follia dilagante di Dio: una sarà la madre del Battista, l'altra del Messia. Danzano e ridono, cantano come ubriacate dallo Spirito. Danzano perché tutto ciò che è accaduto è la realizzazione di ogni attesa, di ogni speranza, di ogni promessa. Danzano perché ora sanno che accade, che davvero Dio è in mezzo a noi. Anche noi siamo chiamati a danzare in questo Natale. Non so come stiate vivendo questo Natale 2013, forse con fatica ed apprensione. Esattamente come la piccola Maria che si trova davanti un futuro di esilio e di fatica. Poco importa: Maria ed Elisabetta ci insegnano a non guardare solo alla nostra piccola vita, alle nostre piccole vicende personali. Se la nostra vita è irta di problemi, se la nostra vita è travolta dal dolore possiamo comunque danzare. Danzare perché Dio salva il mondo anche attraverso di noi, danzare perché nonostante tutto il Signore realizza il suo progetto di salvezza. Possiamo far parte di questa storia, leggerla nella nostra vita, realizzarla, imparare a conoscerla. Danziamo, fratelli, Dio ancora sceglie di nascere.
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22/12/2016 04:36
 
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Re di tutti i popoli, oggetto della loro speranza, pietra angolare che da due popoli ne fai uno solo, vieni a salvare l’uomo che tu hai plasmato dalla terra!
La vita di Maria è esplosa nel canto del Magnificat.
Lasciamoci guidare da Maria verso Gesù: l’irruzione dell’Eterno nel nostro mondo. Maria ci comunica il segreto della sua gioia. Maria ha approfondito nel silenzio e nella preghiera tutte le profezie e il canto di Anna. Se noi stiamo in ascolto, Maria ci affiderà, in una segreta comunicazione di cuori, il frutto della sua meditazione. La nostra gioia allora esulterà.
I due Magnificat che la Chiesa ci fa ascoltare oggi sono un invito rivolto a ciascuno di noi perché ne pronunciamo un terzo: il nostro. Un cantico personalizzato nella meditazione della Scrittura e nell’esperienza quotidiana facendo tesoro dell’insegnamento di Maria.
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23/12/2016 07:42
 
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Emmanuele, nostro re e legislatore, speranza e salvatore dei popoli, vieni a salvarci, Signore nostro Dio!
In questi ultimi giorni che precedono la Natività, bisognerebbe farsi “ascolto”, tapparsi le orecchie per non essere contaminati dai preparativi pagani del Natale e ritagliarsi del tempo per rendersi disponibili alla Parola di Dio: prima di apparire, essa ci parla perché possiamo prepararci alla sua venuta.
Colui che noi aspettiamo non è più un messaggero e nemmeno un precursore: sarà Dio stesso, il Dio dell’Alleanza. Egli sta per giungere e noi, allora, lo vedremo, lo toccheremo, lo ascolteremo e ce ne nutriremo.
Bisogna accogliere il Messia come il dono dell’amore infinito di Dio. Il “Giorno del Signore”, annunciato da Malachia, è sempre grande e noi abbiamo bisogno di essere purificati. Giorno annunciato un tempo come da temere, deve essere invece desiderato, se noi sappiamo essere uomini e donne di desiderio.
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25/12/2016 08:08
 
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padre Ermes Ronchi
La vertigine di Betlemme, l'Onnipotente in un neonato

Questo per voi il segno: troverete un bambino: «Tutti vogliono crescere nel mondo, ogni bambino vuole essere uomo. Ogni uomo vuole essere re. Ogni re vuole essere "dio". Solo Dio vuole essere bambino» (Leonardo Boff).
Dio nella piccolezza: è questa la forza dirompente del Natale. L'uomo vuole salire, comandare, prendere. Dio invece vuole scendere, servire, dare. È il nuovo ordinamento delle cose e del cuore.
C'erano là alcuni pastori. Una nuvola di ali, di canto e di parole felici li avvolge: Non temete! Dio non deve fare paura, mai. Se fa paura non è Dio colui che bussa alla tua vita. Dio si disarma in un neonato. Natale è il corteggiamento di Dio che ci seduce con un bambino. Chi è Dio? «Dio è un bacio», caduto sulla terra a Natale (Benedetto Calati).
Vi annuncio una grande gioia: la felicità non è un miraggio, è possibile e vicina. E sarà per tutto il popolo: una gioia possibile a tutti, ma proprio tutti, anche per la persona più ferita e piena di difetti, non solo per i più bravi o i più seri. Ed ecco la chiave e la sorgente delle felicità: Oggi vi è nato un salvatore. Dio venuto a portare non tanto il perdono, ma molto di più; venuto a portare se stesso, luce nel buio, fiamma nel freddo, amore dentro il disamore. Venuto a portare il cromosoma divino nel respiro di ogni uomo e di ogni donna. La vita stessa di Dio in me. Sintesi ultima del Natale. Vertigine.
E sulla terra pace agli uomini: ci può essere pace, anzi ci sarà di sicuro. I violenti la distruggono, ma la pace tornerà, come una primavera che non si lascia sgomentare dagli inverni della storia. Agli uomini che egli ama: tutti, così come siamo, per quello che siamo, buoni e meno buoni, amati per sempre; a uno a uno, teneramente, senza rimpianti amati (Marina Marcolini).
È così bello che Luca prenda nota di questa unica visita, un gruppo di pastori, odorosi di lana e di latte. È bello per tutti i poveri, gli ultimi, gli anonimi, i dimenticati. Dio ricomincia da loro.
Natale è anche una festa drammatica: per loro non c'era posto nell'alloggio. Dio entra nel mondo dal punto più basso, in fila con tutti gli esclusi. Come scrive padre Turoldo, Dio si è fatto uomo per imparare a piangere. Per navigare con noi in questo fiume di lacrime, fino a che la sua e nostra vita siano un fiume solo. Gesù è il pianto di Dio fatto carne. Allora prego:
Mio Dio, mio Dio bambino, povero come l'amore, piccolo come un piccolo d'uomo, umile come la paglia dove sei nato, mio piccolo Dio che impari a vivere questa nostra stessa vita. Mio Dio incapace di aggredire e di fare del male, che vivi soltanto se sei amato, insegnami che non c'è altro senso per noi, non c'è altro destino che diventare come Te.
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26/12/2016 09:51
 
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Riccardo Ripoli
Chi persevererà sino alla fine sarà salvato

Immagino il mondo come una grande ragnatela, fatta di mille fili, ognuno dei quali collegato all'altro. Diceva Karen Blixen "la vita e la morte sono due scrigni serrati, ognuno dei quali contiene la chiave dell'altro". Una persona, un ragazzo che mi sta molto a cuore porta dentro sé il dolore della perdita della sua mamma, come me, ma a differenza mia che ho avuto la fortuna di conoscerla, di apprezzarla, di essere amato, cresciuto, di conservare mille ricordi di lei e dei suoi insegnamenti, non ha mai visto la sua mamma, non ha potuto abbracciarla una sola volta, non è riuscito ad avere un'intesa con lei, né la complicità, né essere difeso, amato, vestito, lavato, rimproverato perché la sua mamma è morta nel darlo alla luce. In questi giorni di Natale ho pensato molto a lui, a questa sua sofferenza che è innegabile, ma non vedo atto più bello da parte di una mamma che dare la propria vita per mettere al mondo la propria creatura. Questo ragazzo deve essere fiero della sua mamma, del suo coraggio, di aver partorito comunque anche se forse già sapeva che la sua vita poteva essere in pericolo, ma non ha badato a spese, non ha chiesto sconti, non ha cercato la via più facile per vivere. Ha scelto lui. Ha scelto di dare vita, fiato al suo bimbo ed in questo modo lo ha amato una sola volta, ma lo ha amato con tale e tanta intensità che questo amore investe tutti noi, ci dona un esempio da seguire.
Mi fanno rabbia le donne che abortiscono, che rinunciano a dare alla luce un bambino, così come coloro che abortiscono un bambino in affidamento rinunciando ad accogliere un bimbo nella propria casa, d fatto condannandolo a morte. C'è un filo che lega il dolore alla gioia, ma a volte non vogliamo vederlo, a volte lo recidiamo per paura. Così il dolore per la perdita di un bambino che torna alla sua famiglia naturale ci frena nel prendere un ragazzo in affido, oppure la paura di una vita con un figlio ci impedisce di farlo nascere. Dal dolore nasce sempre la gioia, così come nel giorno del primo martire, c'è un filo che lega la morte violenta di Stefano ad opera di un giovane fariseo, Saulo. Quella morte darà nuova vita a San Paolo, è come se Stefano avesse passato il testimone a Saulo che reggeva i mantelli. Si può uccidere la persona buona, ma non si può uccidere la bontà, il suo messaggio di amore, anzi, un atto di cattiveria tanto cruento altro non è che un solo atto, mentre il seme dell'amore che viene sparso ricadrà sul terreno e nei cuori di molti e produrrà frutto.
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27/12/2016 07:54
 
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Si celebra oggi l’amore di Cristo in uno dei suoi discepoli a lui più vicini. Gesù, che era diventato l’amico più caro di Giovanni e che aveva condiviso con lui le gioie più intense e i dolori più profondi, era quel Dio che, come diceva l’Antico Testamento, non si poteva guardare senza morire. Eppure, giorno dopo giorno, Giovanni aveva guardato Gesù e aveva visto in lui un Dio il cui sguardo e il cui contatto danno la vita. Aveva spesso sentito la sua voce, ascoltato i suoi insegnamenti e ricevuto, per suo tramite, parole provenienti dal cuore del Padre. Aveva mangiato e bevuto con lui, camminato al suo fianco per molti chilometri, spinto da un irresistibile amore, che l’avrebbe portato inevitabilmente non al successo, ma alla morte: eppure, in ogni istante, aveva saputo che era quello il vero cammino di vita.
Nella lettura del Vangelo di oggi, vediamo il discepolo “che Gesù amava” correre con tutte le forze, spinto proprio da quest’amore, verso il luogo in cui il Signore aveva riposato dopo aver lottato con la morte. Vede le bende e il sudario - oggetti della morte - abbandonati dal Signore della vita: le potenze delle tenebre erano state vinte nella tomba vuota, e nel cuore di Giovanni, che nella risurrezione riconosceva il trionfo dell’amore, spuntava l’alba della fede.
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28/12/2016 16:28
 
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Da Betlemme si scorge, su una collina, una fortezza in rovina: si tratta della tomba del re Erode. Il luogo di nascita di Cristo, invece, era un’umile grotta. Questi due diversi luoghi ben caratterizzano i due diversi re; dobbiamo scegliere tra loro: l’uno era superbo e crudele, l’altro mite e umile. Erode cercava di eliminare ogni rivale, tanto che nemmeno la sua stessa famiglia era al riparo. Di conseguenza, il suo cuore, indurito da lunghi anni trascorsi nel peccato, non provò pietà alcuna per la sofferenza di bambini innocenti, che oggi commemoriamo.
La loro morte ci pone di fronte a un paradosso: essi sono morti al posto di Cristo, venuto a morire per loro!
Cristo, Principe della Pace, era venuto a riconciliare il mondo con Dio, a portare il perdono ai peccatori e a farci partecipare alla sua vita divina. Possiamo dunque essere sicuri che, nonostante non avessero bisogno di perdono, i santi Innocenti, che hanno perso la loro giovane vita per Cristo e per il suo vangelo, sono stati fra i primi a entrare nella gioia della vita eterna.
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29/12/2016 09:23
 
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Nel vangelo di oggi incontriamo Simeone, “uomo giusto e timorato di Dio”. Si riconosce comunque che il suo nome deriva, in ebraico, dal verbo “sentire”: un dettaglio rivelatore poiché egli “sentiva” spesso la voce di Dio. Ma lo Spirito Santo non si accontentava di parlare a Simeone: “era su di lui” e ne faceva una persona retta e, insieme, ardente, che serviva Dio e il prossimo con venerazione e devozione. Era, a quanto pare, un uomo di età matura, che si definiva servo del Signore. Aveva passato la sua vita ad aspettare il “conforto d’Israele”, cioè il Consolatore, il Messia. Non appena vide entrare nel tempio il Bambino Gesù, seppe immediatamente che la sua attesa era terminata. La sua visione interiore si chiarì e la pace del suo animo fu scossa.
Gesù doveva essere per Israele e per la Chiesa un segno del desiderio che Dio aveva di salvare l’umanità; eppure da alcuni fu respinto.
Le nostre azioni rivelano i nostri pensieri. Simeone prese tra le braccia Gesù, mostrando così che era pronto a condividere e a compiere la volontà divina.
Facciamo anche noi così e compiamo nella nostra vita con fede la volontà di Dio.
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30/12/2016 09:33
 
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Contempliamo la Santa Famiglia e, nelle parole del vangelo di questa festività, consideriamo Gesù, Maria e Giuseppe.
Subito dopo l’adorazione dei Magi, Matteo narra nel suo Vangelo la fuga in Egitto, la strage degli innocenti e il ritorno dall’Egitto: tre episodi collegati alla storia della Santa Famiglia e presentati nel Vangelo come altrettanti compimenti di profezie dell’Antico Testamento.
L’angelo del Signore è apparso in sogno a Giuseppe e gli ha detto: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”.
Dio, colui che è il Salvatore, agisce in diversi modi.
Un tempo aveva salvato un altro Giuseppe, sempre in Egitto, facendo sì che sfuggisse ai suoi fratelli, uscisse dalla prigione e avesse, infine, autorità e potere per aiutare i suoi fratelli e l’intera famiglia di Giacobbe, suo padre. Davvero Dio salva in diversi modi. Questa volta salva la Santa Famiglia grazie all’aiuto di un altro “giusto”: san Giuseppe, spinto ad obbedire alle parole dell’angelo proprio dalla sua fiducia nel disegno divino e nel compimento della volontà celeste.
“Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto”, proprio mentre Betlemme e i dintorni stavano per risuonare di pianti e lamenti, provocati dalla strage degli innocenti. Dopo la morte di Erode, sempre obbedendo alle parole dell’angelo, Giuseppe ritorna dall’Egitto, portando con sé Gesù e Maria, per stabilirsi a Nazaret.
La fede in Dio e l’obbedienza alla sua parola possono cambiare il cammino della nostra vita. Così, è per la nostra salvezza che Dio ha salvato la Santa Famiglia.
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01/01/2017 10:32
 
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padre Ermes Ronchi
Scoprire un Dio dalle grandi braccia e dal cuore di luce

Otto giorni dopo Natale, lo stesso racconto di quella notte: Natale non è facile da capire, è una lenta conquista. Ci disorienta: per la nascita, quella nascita, che divenne nella notte un passare di voci che raccontavano una storia incredibile. Da stropicciarsi gli occhi. È venuto il Messia ed è nel giro di poche fasce, nella ruvida paglia di una mangiatoia. Chi va a cercarlo nei sacri palazzi non lo trova.
"Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette dai pastori". Riscoprire lo stupore della fede. Lasciarci incantare almeno da una parola del Signore, stupirci ancora della mangiatoia e della Croce, di questo mistero di un Dio che sa di stelle e di latte, di infinito e di casa.
Dimentichiamo tutta la liturgia senz'anima che presiede a questi giorni: regali, botti, auguri, sms clonati, luci, per conservare ciò che vale davvero: la capacità di sorprenderci per la speranza indomita di Dio nell'uomo e in questa nostra storia barbara e magnifica, per il suo ricominciare dagli ultimi della fila.
E impariamo da Maria, che "custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore", Da lei, che salvaguarda come in uno scrigno emozioni e domande, angeli e stalla, un bambino "caduto da una stella fra le sue braccia e che cerca l'infinito perduto e lo trova nel suo petto" (M. Marcolini); da lei che medita nel cuore fatti e parole, fino a che non si dipani il filo d'oro che tutto legherà insieme, da lei impariamo a prenderci del tempo per aver cura dei nostri sogni. "Con il cuore", con la forma più alta di intelligenza, quella che mette insieme pensiero e amore.
E impariamo il Natale anche dai pastori, che non ce la fanno a trattenere per sé la gioia e lo stupore, come non si può trattenere il respiro, ma ritornano cantando, e contagiano di sorrisi chi li incontra, dicendo a tutti: è nato l'Amore!
In questo giorno di auguri, le prime parole che la Bibbia ci rivolge sono: Il Signore parlò a Mosè, ad Aronne, ai suoi figli e disse: Voi benedirete i vostri fratelli. Per prima cosa, che lo meritino o no, voi benedirete.
Dio ci chiede di imparare a benedire: uomini e storie, il blu del cielo e il giro degli anni, il cuore dell'uomo e il volto di Dio. Se non impara a benedire, l'uomo non potrà mai essere felice.
Benedire è invocare dal cielo una forza che faccia crescere la vita, e ripartire e risorgere; significa cercare, trovare, proclamare il bene che c'è in ogni fratello. E continua: Il Signore faccia brillare per te il suo volto. Scopri che Dio è luminoso, ritrova nell'anno che viene un Dio solare, ricco non di troni, di leggi, di dichiarazioni, ma il cui più vero tabernacolo è un volto luminoso. Scopri un Dio dalle grandi braccia e dal cuore di luce.
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02/01/2017 13:30
 
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Paolo Curtaz


Tutta la nostra vita è una presa di coscienza, una progressiva auto-consapevolezza di chi siamo e di cosa ci stiamo a fare su questo pianeta terra. I cristiani non fuggono (o non dovrebbero!) fuggire da questa logica: il percorso di fede è, per l'appunto, un percorso, una progressiva comprensione del mistero di Dio a partire dall'evento dell'incarnazione di Gesù. Spesso, però, troppo, spesso, ci immaginiamo la fede come un blocco di pietra inamovibile da prendere o lasciare. E molti cristiani si pensano devoti perché ottusi, confondendo la fede con l'ostinazione delle proprie convinzioni. Fa tenerezza, all'inizio dell'anno nuovo, incontrare un consumato Giovanni Battista, il più grande fra tutti gli uomini, parlare di se stesso. E vengono i brividi. Giovanni è seguitissimo, amato, duro asceta consumato dal sole del deserto, potrebbe prendersi per il Messia e la folla si getterebbe ai suoi piedi. E invece no, il contatto con Dio lo ha reso autentico, vero, profondo. No, non si prende per Dio e di sé ha capito di essere "voce". Pochino, vero? È una voce prestata a Dio e il non tacere lo porterà alla morte. San Paolo, alla fine della sua vita, scriverà a Timoteo (lui!) di essere felice per avere conservato la fede. E noi, cosa abbiamo scoperto di essere?
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