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RIFLESSIONI BIBLICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:42
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07/08/2017 08:31
 
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Gesù ritornò dalla Giudea in Galilea non appena seppe che il suo precursore, Giovanni Battista, era stato arrestato e imprigionato dal re Erode Antipa, nella sua fortezza di Macheronte, sulla costa orientale del Mar Morto. Giovanni vi rimase per alcuni mesi: la sua sorte era incerta e dipendeva dal capriccio del suo persecutore, ma egli esultava per il successo incontrato da Gesù nel suo ministero.
Alla notizia della sua improvvisa esecuzione, Gesù si ritirò in un luogo isolato al di fuori della giurisdizione di Erode, non solo per piangere la sua morte, ma anche per evitare la minaccia che incombeva su di lui. Le folle, però, richiedevano con tanto entusiasmo la guarigione e l’insegnamento di Gesù, che egli, così come i dodici, non poteva trovare pace alcuna neppure nel luogo di ritiro. Infatti alcuni avevano già intuito dove era diretto e lo aspettavano con ansia. Come sempre, Gesù considerò i bisogni degli uomini più importanti della propria sicurezza e rispose senza esitazione alle loro richieste, concedendo guarigioni ed insegnando alle migliaia di uomini che gli correvano incontro.
Venuta la sera, gli apostoli lo supplicarono di rimandare a casa la folla, perché potessero almeno preparare la cena. Ma Gesù, “principe” nel vero senso della parola, doveva rendere quella giornata indimenticabile, concedendo in dono alle folle un lauto pasto che fece distribuire dagli apostoli.
Anche oggi ci tratta così... se solo avessimo occhi per vedere!
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08/08/2017 06:32
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Davvero tu sei Figlio di Dio!

La Parola di Gesù rivela chi Lui è nell'eternità e nel tempo. Manifesta qual è la missione che il Padre gli ha comandato di compiere. Le opere da Lui realizzate, vissute, fatte, attestano e confermano la Parola. Senza le opere, la Parola rimane senza testimonianza storica. Senza la Parola, le opere non hanno alcun significato. Mai si devono separare le opere dalla Parola e mai la Parola dalle opere.
Questa verità si applica anche alla Chiesa. La Parola deve rivelare il grande mistero della Chiesa: Luce delle genti in Cristo, Verità unica di salvezza e di redenzione, discernimento perfetto sul vero e sul falso, sul giusto e sull'ingiusto, sulla via che conduce alla salvezza e l'altra che porta alla dannazione. La Parola che dice l'essenza della Chiesa deve essere costantemente avvalorata, testimoniata dalle opere.
Questa modalità, che esige l'unità tra la Parola della rivelazione del proprio mistero e vocazione e le opere che devono attestare la verità della Parola proferita, è testimoniata sia dagli Atti degli Apostoli che dalla Lettera agli Ebrei. Unire le due cose è obbligatorio per chiunque è chiamato a dare al mondo la Parola della salvezza, attraverso la sua parola, la sua missione, la sua stessa vita.
Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret - uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene -, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l'avete crocifisso e l'avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. (At 2,22-24). Per questo bisogna che ci dedichiamo con maggiore impegno alle cose che abbiamo ascoltato, per non andare fuori rotta. Se, infatti, la parola trasmessa per mezzo degli angeli si è dimostrata salda, e ogni trasgressione e disobbedienza ha ricevuto giusta punizione, come potremo noi scampare se avremo trascurato una salvezza così grande? Essa cominciò a essere annunciata dal Signore, e fu confermata a noi da coloro che l'avevano ascoltata, mentre Dio ne dava testimonianza con segni e prodigi e miracoli d'ogni genere e doni dello Spirito Santo, distribuiti secondo la sua volontà (Eb 2,1-4).
Gli Apostoli sono i testimoni unici di tutti i segni, prodigi, miracoli compiuti da Gesù Signore, perché domani dovranno essere loro i testimoni della verità della sua Persona e della sua missione. La loro testimonianza dovrà essere infallibilmente vera.
Gesù cammina sulle acque. Questa sua opera lo pone al di sopra di Mosè, Giosuè, Elia, Eliseo, ogni altro profeta. Nessuno prima di Lui ha compiuto una cosa simile. Solo Lui. Lui è sopra tutto l'antico Testamento. Lui è come Dio. Solo Lui può camminare sulle acque e nessun altro. I discepoli vedono e confessano: "Davvero tu sei Figlio di Dio!". Davvero quello che tu dici di te stesso è purissima verità. Ciò che le tue parole attestano, le tue opere lo confermano. Parole ed opere una sola rivelazione.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri in parole e opere.
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10/08/2017 07:41
 
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La parola del Signore di oggi, rivelata a ciascuno di noi, nella sua Chiesa, come membri della sua Chiesa.
La parola del Signore, oggi e sempre, è vera, vivificatrice, salvatrice, liberatrice. Ci guarisce da ogni malattia; ci risuscita dalla morte. Ci santifica.
Infallibilmente. È l’amore onnipresente che parla.
In una società che si scristianizza, cerchiamo delle soluzioni, i mezzi di una nuova evangelizzazione. Talvolta pensiamo di trovarli nei nostri progetti, nelle nostre vie. Oppure perdiamo la speranza di trovarli...
Il Signore ci comunica un atteggiamento infallibilmente fruttuoso: morire al nostro egoismo. Morire ogni giorno, come san Paolo. Che i nostri dinamismi egoistici vengano uccisi, immobilizzati. È così che guadagneremo la Vita, che è Cristo stesso, per la nostra personalità individuale, per la Chiesa, per il mondo.
Noi moriamo con lui e risusciteremo con lui. Come amici che lo servono e sono là dove lui è: sulla croce, nella gloria. Ascoltiamo la sua parola nel Vangelo. Contempliamo la parola di san Lorenzo, che ha ascoltato la sua voce e non ha indurito il suo cuore.
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11/08/2017 06:57
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Salvare o perdere la vita?

La «sequela» è un elemento essenziale in tutte le religioni. Implica non solo il seguire materialmente un maestro, un «gurù», un sapiente, ma soprattutto comporta l'imitazione e poi la testimonianza. I veri maestri infatti sono portatori di una dottrina e loro compito è quello di farla conoscere e poi tramandarla nei secoli futuri. Gesù oggi in modo molto breve, ma con espressioni dense di profondi significati detta le regole, le condizioni per essere suoi veri discepoli. Li sintetizza così: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Il rinnegamento di sé significa l'interiore predisposizione a rinunciare alle proprie convinzioni per abbracciare incondizionatamente quelle del maestro. È la prima condizione. Si tratta poi di prendere la croce: per noi credenti è il peso del ritorno a Dio dopo la disavventura del peccato, diventare capaci di non tanto di soffrire le inevitabili contrarietà della vita, ma ancor più di offrirle come motivo e prezzo di espiazione e di partecipazione alle sofferenze redentive del nostro divino maestro. Ci dice poi il Signore Gesù che dalla sequela come Egli ce la propone dipende la nostra salvezza eterna. Mettere la nostra esistenza al servizio di Dio significa garantirsi la salvezza. Al contrario pretendere di salvarci di nostra iniziativa significa incorrere in un tragico fallimento. Gesù lo afferma così: «Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà». E così motiva la sua verità: «Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima?». Questa è una convinzione che non ci dovrebbe abbandonare mai.
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12/08/2017 10:18
 
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All'inizio della prima lettura di oggi riconosciamo il passo del Deuteronomio che Gesù citò per rispondere allo scriba che gli chiedeva quale fosse il primo di tutti i comandamenti. "Gesù rispose: U primo è: Ascolta Israele, (traduco poi letteralmente) Signore (senza l'articolo, preso cioè come nome proprio per tradurre il nome sacro JHWH che pronunciamo Iavé), Signore nostro Dio è Signore unico e amerai Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta k tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza" (Mc 12, 293 O). Gesù poi aggiunse il secondo comandamento, quello dell'amore per il prossimo, inseparabile dal primo.
L'importanza fondamentale della frase del Deuteronomio è stata riconosciuta dalla tradizione ebraica, che ne ha fatto l'inizio di una preghiera quotidiana per gli Ebrei.
Effettivamente, troviamo li una rivelazione straordinaria. I primi libri della Bibbia non parlavano di amare Dio, ma solo di temerlo e di servirlo. Quando Giacobbe, coricato in un certo luogo, ebbe un sogno in cui il Signore gli stava davanti, provò svegliandosi una grande paura e disse: "Quanto è terribile questo luogo!" (Gn 28,1117). Quando Mosè, nell'episodio del roveto ardente, sentì la voce di Dio, "si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio" (Es 3, 6). Similmente, quando Dio si manifestò sul Sinai per dare la sua legge, "il popolo vide, fu preso da tremore e si tenne lontano. Allora dissero a Mosè: Parla tu a noi e noi ti ascolteremo, ma non ci parli Dio, altrimenti moriremo" (Es 20, 1819). Il Deuteronomio ricorda questa scena poco prima di comunicarci la rivelazione nuova che, invece di inculcare il timore, mette sulla via dell'amore. La grandezza di Dio, la sua onnipotenza, la sua santità sembravano escludere la possibilità dell'amore. e pure Dio ha chiesto di essere amato dal suo popolo non soltanto temuto, o rispettato, o ammirato. Non è forse impressionante questa richiesta di Dio, la quale cambia completamente il genere della relazione con lui? Evidentemente Dio ha lentamente preparato questa sua imprevedibile richiesta. Per poter essere amato, Dio si è fatto conoscere; ha stabilito un rapporto personale con Abramo, dimostrandogli una meravigliosa benevolenza, per lui stesso e per la sua discendenza; gli ha fatto promesse straordinarie e non ha più cessato in seguito di interessarsi dei figli di Abramo, per guidarli, per proteggerli, difenderli, liberarli, colmarli di benefici. In una parola, Dio si è mostrato pieno di amore, un amore generoso, tenero e forte.
Perciò Dio può chiedere di essere amato. Lo chiede non per profitto suo, ma per puro amore, cioè per poter dare ancora di più, per poter dare se stesso a noi e introdurci nella sua vita d'amore. Se una persona riceve i doni di un'altra senza corrispondere con amore all'amore che i doni manifestano, la relazione rimane insoddisfacente. Chi vuoi donare non può comunicare i beni più preziosi, che non sono materiali, bensì personali e spirituali. Il massimo bene, il più prezioso è proprio la piena comunione interpersonale. Il resto è econdario.
"Amerai Iavé tuo Dio". Egli si è fatto veramente tuo e vuoI diventarlo sempre più, per farti vivere pienamente, nella fiducia, nella gioia, nella comunione con lui e con tutti.
Lo amerai "con tutto il tuo cuore". Solo Dio può essere amato veramente con tutto il cuore, senza la minima riserva; perché solo lui è tutto bontà, bontà infinita. Nel nostro mondo terreno tutte le creature hanno i loro limiti e anche i loro difetti, che rendono impossibile amarle senza nessuna riserva. Dio invece è degno di un amore illimitato. Lo posso amare con tutto il mio essere, perché è proprio lui ad avermi dato tutto il mio essere, per puro amore. Di nessun'altra persona si può dire altrettanto. Certe persone mi hanno dato doni preziosissimi con molto affetto, ma nessuna mi ha dato tutto il mio essere. E continuamente Dio mi dà tutto: l'aria che respiro, la luce che rallegra i miei occhi, il mondo e le sue meraviglie, le persone che mi circondano. Dappertutto l'amore di Dio mi viene incontro e desidera comunicarsi a me. Propriamente parlando, amare Dio non è un comandamento, è piuttosto una vocazione, che corrisponde all'aspirazione più profonda del nostro essere. Dall'altra parte, amare Dio con tutto il cuore è un'opera di lunga lena, perché presuppone l’eliminazione completa del nostro egoismo, il che non si può fare in un batter d'occhio. Ma ogni progresso in questa direzione è una vittoria che riempie il cuore di vera gioia.
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13/08/2017 07:42
 
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padre Ermes Ronchi
La mano tesa di Dio quando crediamo di affondare

Gesù dapprima assente, poi come un fantasma nella notte, poi voce sul vento e infine mano forte che ti afferra. Un crescendo, dentro una liturgia di onde, di tempesta, di buio.
È commovente questo Gesù che passa di incontro in incontro: saluta i cinquemila appena sfamati, uno a uno, con le donne e i bambini; profumato di abbracci e di gioia, ora desidera l'abbraccio del Padre e sale sul monte a pregare. Poi, verso l'alba, sente il desiderio di tornare dai suoi. Di abbraccio in abbraccio: così si muoveva Gesù.
A questo punto il Vangelo racconta una storia di burrasca, di paure e di miracoli che falliscono. Pietro, con la sua tipica irruenza, chiede: se sei figlio di Dio, comandami di venire a te camminando sulle acque.
Venire a te, bellissima richiesta. Camminando sulle acque, richiesta infantile di un prodigio fine a se stesso, esibizione di forza che non ha di mira il bene di nessuno. E infatti il miracolo non va a buon fine.
Pietro scende dalla barca, comincia a camminare sulle acque, ma in quel preciso momento, proprio mentre vede, sente, tocca il miracolo, comincia a dubitare e ad affondare. Uomo di poca fede perché hai dubitato? Pietro è uomo di poca fede non perché dubita del miracolo, ma proprio in quanto lo cerca. I miracoli non servono alla fede. Infatti Dio non si impone mai, si propone. I miracoli invece si impongono e non convertono. Lo mostra Pietro stesso: fa passi di miracolo sull'acqua eppure proprio nel momento in cui sperimenta la vertigine del prodigio sotto i suoi piedi, in quel preciso momento la sua fede va in crisi: Signore affondo!
Quando Pietro guarda al Signore e alla sua parola: Vieni!, può camminare sul mare. Quando guarda a se stesso, alle difficoltà, alle onde, alle crisi, si blocca nel dubbio. Così accade sempre. Se noi guardiamo al Signore e alla sua Parola, se abbiamo occhi che puntano in alto, se mettiamo in primo piano progetti buoni, noi avanziamo. Mentre la paura dà ordini che mortificano la vita, i progetti danno ordini al futuro.
Se guardiamo alle difficoltà, se teniamo gli occhi bassi, fissi sulle macerie, se guardiamo ai nostri complessi, ai fallimenti di ieri, ai peccati che ricorrono, iniziamo la discesa nel buio.
Ringrazio Pietro per questo suo intrecciare fede e dubbio; per questo suo oscillare fra miracoli e abissi. Pietro, dentro il miracolo, dubita: Signore affondo; dentro il dubitare, crede: Signore, salvami!
Dubbio e fede. Indivisibili. A contendersi in vicenda perenne il cuore umano. Ora so che qualsiasi mio affondamento può essere redento da una invocazione gridata nella notte, gridata nella tempesta come Pietro, dalla croce come il ladro morente.
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14/08/2017 07:29
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
La croce e il pesce

Mentre gli Apostoli pensano in cuor loro che ormai prossimo è il momento in cui Cristo instaurerà il Regno, scacciando e annientando gli oppressori, il Maestro annuncia invece la propria distruzione nella morte. Tremendo contrasto tra i disegni di Dio e quelli degli uomini! Tremenda delusione per gli apostoli che vedono così svanire i propri sogni e addirittura devono immergersi nel mistero della croce. Scandalo e delusione per tutti coloro che vivono la propria religiosità come una garanzia di immunità e di grandezza... Per tutti coloro che rifiutano la croce e non ne sanno scorgere l'immenso valore che lo stesso Iddio gli ha conferito. Per tutti coloro che leggono la storia solo con la logica umana e non sanno varcarne i limiti alla luce della fede. Motivo solo di tristezza e di sgomento per chi vede nella morte soltanto la fine della vita e il chiuso tetro di una tomba. Quel «il terzo giorno risorgerà» deve imprimersi come sigillo e garanzia di immortalità in ogni mente umana, deve diventare il motivo della vita e il conforto della morte attesa come gioioso passaggio verso il premio e l'eternità. In questa prospettiva assumono ben altro valore le leggi umane come il pagare le tasse per il tempio, anche se il Signore, che giustamente si professa «Figlio del Re», a scanso di false interpretazioni e facili accuse, assolve alla sua maniera al presunto debito. La moneta estratta dal ventre del pesce ci fa pensare alla incessante provvidenza divina che sgorga dal cuore stesso di Dio per i suoi figli. Ci fa pensare ancora a Gesù che non disdegna la sua condizione di uomo, che si assoggetta umilmente alle esigenze umane.



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15/08/2017 15:05
 
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don Alberto Brignoli
Sapore di cielo

Siamo giunti a quella che tradizionalmente riteniamo essere la metà dell'estate. Una metà un po' anomala, a dire la verità, perché in realtà ci avviamo già inesorabilmente verso la sua conclusione, eppure siamo contenti di avere a disposizione ancora qualche ora di sole in più, nonostante le giornate si stiano facendo decisamente più corte. Ci pensano le rondini che hanno nidificato sotto i tetti delle nostre case a renderle ancora un po' lunghe, dandoci la sveglia di buon mattino; anche la musica delle molte feste che si susseguono contribuisce a rendere le notti più corte...ma si sa, è estate, e anche se a volte si dorme di meno, si trova sempre il modo per riposare e rilassarsi di più.
Queste notti di mezza estate non mi aiutano forse a sognare, come fu per poeti di venerata memoria, ma mi hanno spinto a pensare un po' ad un primo bilancio di questa stagione dell'anno che tutti considerano essere la più bella. Il protagonista assoluto di questa estate è stato certamente il caldo, almeno per quanto riguarda il nostro emisfero, ma non solo. Non avevamo più aggettivi per definirlo; anche il lessico dell'inferno dantesco ha ormai esaurito le proprie risorse, per cui i giornali e le televisioni non sanno più a quale diabolico nome associare le ondate di calore che si sono susseguite. Un caldo da molti amato ed atteso, da altri particolarmente odiato. Da qualcun altro sfruttato per guadagnare, in molti casi giustamente e onestamente (pensiamo all'industria del freddo, o a quella del turismo e dell'accoglienza); in altri casi, purtroppo, con meschina disonestà sulle spalle dei disperati, che vedono nella bella stagione la possibilità di mettersi in viaggio, o meglio in fuga da realtà di morte verso prospettive di vita, e a causa di mercanti senza scrupoli di carne umana trovano - spesso in quel mare in cui molti trovano refrigerio, riposo e vita - l'esatto contrario di ciò che cercano, ovvero la morte.
Situazioni talmente drammatiche che non possono lasciarci indifferenti, e che non possono non farci pensare e parlare: e purtroppo, riguardo al parlare, c'e da dire che il caldo dà una bella mano a chi parla troppo e a sproposito, al di là di quale sia il proprio pensiero e la propria posizione, riguardo alla quale ognuno di noi ha una coscienza per riflettere e per esprimersi. E forse, prima di farlo, dovremmo pensare un po' di più a chi, invece di rilasciare interviste sull'argomento da una amena località di villeggiatura o dallo stand di una sagra di paese, oppure da un comodo ufficio con l'aria condizionata, si trova a immergere le proprie mani nell'acqua salata del mare più e più volte al giorno per tirare fuori i disperati che vi si trovano, oppure è costretto a mettere a prova la propria pazienza e il proprio buon cuore per dare un minimo di accoglienza e di ristoro a tutti, se non, purtroppo, a dover raccogliere cadaveri o a stringere tra le proprie braccia bambini salvati dai loro genitori in un ultimo, estremo sacrificio. Nessuno di noi, o forse pochi, ha la possibilità di fare qualcosa di concreto, ma tutti abbiamo la possibilità di parlare un po' di meno e di pensare di più.
E per pensare, non è necessario mettersi la testa fra le mani o rinchiudersi nel silenzio isolandoci dal resto del mondo: soprattutto, non è sufficiente. C'è anche un altro modo per pensare a ciò che avviene nel mondo, e a ciò che noi possiamo fare perché questo mondo sia un po' meno brutto, giorno dopo giorno: basterebbe, ogni tanto, alzare gli occhi al cielo, e capire che molte cose si possono risolvere respirando un'aria diversa, pensando a cose più elevate, assaporando qualcosa di più prezioso, puntando a qualcosa che sta un po' più su. Forse, la festa dell'Assunzione di Maria in questo ci può dare una mano. Perché questa festa non è solo un momento per dare gloria alla Madre di Dio assunta in cielo con l'anima e con il corpo, o per ricordarci che quello che lei vive insieme a suo Figlio è lo stesso destino di gloria a cui anche noi siamo chiamati al termine della nostra esistenza; l'Assunzione di Maria, così come l'Ascensione al cielo del suo Figlio, diviene uno stimolo perché nella nostra vita di ogni giorno, prima ancora che nella prospettiva della nostra morte, osiamo con decisione rivolgere il nostro sguardo verso l'alto, per puntare veramente in alto, per non accontentarci di banali e sistematiche risposte agli interrogativi della vita, grandi o piccoli che essi siano, per ricordare a noi stessi che c'è un altro modo per affrontare le sfide di ogni giorno. Non abbiamo solamente la possibilità di guardare in basso e risolvere i problemi mettendoci le mani nei capelli per poi gridare slogan senza senso, frasi fatte, discorsi da bar, convinti che la nostra capacità di riflettere e di pensare si esaurisca lì.
La festa dell'Assunzione, con il nostro sguardo rivolto a Maria che regna in cielo con il suo Figlio Gesù, è lì a ricordarci che dobbiamo puntare in alto, se vogliamo ottenere qualcosa di più; che per pescare di più, dobbiamo gettare le reti "duc in Altum", che siamo cavalli da corsa, e che dobbiamo mangiare biada alta per poter vincere, che non possiamo abbassare lo sguardo e accontentarci dell'erbetta da quattro soldi per tirare a campare, ma che è necessario vivere andando alla ricerca di qualcosa di più alto, smettendola di essere banali e scontati. Non siamo fatti solo di terra, siamo fatti anche di cielo, ed è guardando a quel cielo che dobbiamo avere il coraggio di dare e di fare di più.
Quando una persona fa le cose di ogni giorno mettendoci dentro la passione, il coraggio di osare, il desiderio di sapere di più, la voglia di intraprendere cammini nuovi, anche andando controcorrente, immediatamente avvertiamo in lei un meraviglioso profumo di cose del cielo; mentre continuiamo a puzzare terribilmente di terra, anzi di spazzatura, ogni volta che ci accontentiamo di risolvere i problemi della vita di ogni giorno con formulette preconfezionate, con scontate affermazioni, con slogan dal sapore di campagna elettorale, con decisioni banali e sclerotizzate che non lasciano aperti interrogativi e nuovi cammini, che non ci fanno crescere come uomini e come cristiani. O ancor peggio, quando utilizziamo le cose del cielo per giustificare i nostri interessi e rafforzare la nostra visibilità e il nostro protagonismo qui sulla terra.
Maria Assunta in cielo ci dice che volere di più, osare di più, pensare di più e fare di più è davvero possibile a tutti. E chi ha il coraggio di provarci, non ha di che dubitare: le sue azioni sanno già di Paradiso.



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16/08/2017 09:39
 
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Nella prima lettura di oggi troviamo il racconto della morte di Mosè. Mosè muore prima dell'entrata nella Terra promessa. Il Signore gli dice: "Questo è il paese che ho promesso ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe...
Te l'ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai!". Mosè non ha potuto portare a termine la grande impresa divina incominciata con l'esodo dall'Egitto; malgrado tutte le sue doti, tutte le grazie ricevute, egli non ha adempiuto l'impresa: ne ha fatto la parte principale, lasciando a Giosuè le gesta finali. E un fatto che osserviamo regolarmente nell'Antico Testamento e che dimostra che niente nell'Antico Testamento è perfetto adempimento del progetto di Dio. Troviamo, nell'AT, molte prefigurazioni di Cristo, però nessuna di esse è perfetta. Mosè per l'inizio, Giosuè per la fine, prefigurano ciascuno un aspetto dell'opera di Cristo. Il mistero di Cristo è tanto ricco che non poteva essere prefigurato in una sola vita umana.
Vediamo, all'inizio della Genesi, che già Abele prefigura il mistero di Cristo; Abele muore, ma in un certo senso si manifesta vivo dopo la morte: la voce del suo sangue si fa sentire, secondo il racconto biblico. Però in realtà Abele rimane morto, non risorge. Prefigura in modo imperfetto la risurrezione di Cristo. Similmente per il sacrificio di Abramo: Isacco ne esce vivo, però lui non è morto; prefigura parzialmente la risurrezione di Cristo, che esce vivo dal proprio sacrificio, ma per aver vinto la morte, passando attraverso la morte. Nella storia di Giuseppe vediamo che i suoi fratelli lo odiano al punto che lo vogliono uccidere, e questa è una prefigurazione della passione di Gesù, però non lo uccidono:
anche qui la prefigurazione è imperfetta. Giuseppe si ritrova vivo in Egitto, senza aver subito la morte.
Così avviene per tutte le prefigurazioni: vi vediamo un aspetto del mistero di Cristo, ma non il mistero totale. il regno di Davide prefigura il regno di Cristo; ma Davide non è stato in grado di edificare la casa di Dio. Salomone costruisce il tempio, però si tratta solo di un edificio materiale, non della vera "casa" di Dio. U vero tempio è Cristo risorto, come vediamo nel Vangelo di Giovanni.
Solo Cristo è la pienezza. Cristo adempie tutte le prefigurazioni; realizza nel suo mistero pasquale una sintesi straordinaria, stupenda, di tutti gli aspetti del piano di Dio. Possiamo provare una grande ammirazione per questo mistero di Cristo, che illumina tutto l'Antico Testamento e ne viene anche parzialmente illuminato. Cristo ha adempiuto tutte le figure; Cristo è la pienezza della grazia. Approfondiamo la nostra fede in lui, quando riflettiamo sulle figure antiche e vediamo come egli le ha adempiute e superate.
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17/08/2017 08:42
 
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Nel bel racconto del passaggio del Giordano da parte degli Israeliti, possiamo notare l'insistenza sull'arca dell'alleanza. il personaggio principale, si può dire, non è Giosuè, non è il popolo: è l'arca, l'arca dell'alleanza, che viene chiamata anche "arca di Dio", "arca dell'alleanza del Signore di tutta la terra".
Grazie all'arca dell'alleanza un ostacolo insormontabile, cioè il Giordano, che era in piena durante tutto il tempo della mietitura, come avviene ancora oggi, viene superato con facilità.
Questo ci dimostra che l'elemento decisivo nella nostra vita, per superare le difficoltà, per vincere gli ostacoli, non sono le nostre forze, non sono le nostre capacità, ma è la presenza di Dio, l'unione con Dio. L'arca si chiama "arca dell'alleanza"; l'arca simboleggiava proprio la presenza di Dio in mezzo al suo popolo; l'arca conteneva due realtà, esprimenti la presenza di Dio: da un lato un dono di Dio, la manna e, dall'altro lato, una esigenza di Dio, le tavole dell'alleanza, cioè il Decalogo.
Se vogliamo essere uniti a Dio dobbiamo accogliere allo stesso modo questi due aspetti della presenza di Dio nella nostra vita.
il dono di Dio. Questo aspetto è sempre il primo, il più importante; tutto comincia con l'amore di Dio per noi. "Non siamo stati noi ad amare Dio dice san Giovanni ma è lui che ci ha amati". La manna simboleggia questo amore di Dio, premuroso, generoso, che ci mantiene in vita, che ci fa progredire. La manna lo sappiamo è anche la prefigurazione del dono di Dio in Cristo, nell'Eucaristia. il pane dal cielo non lo diede Mosè dice Gesù nel Vangelo di Giovanni ma è il mio Padre che vi dà il vero pane dal cielo. Il pane dal cielo è la carne del Figlio di Dio, data per la vita del mondo.
La nostra vita deve essere orientata da questo dono di Dio. Ricevere il dono di Dio nell'Eucaristia è fondamentale, se vogliamo avere il giusto orientamento e superare le difficoltà della vita in modo positivo; invece di esserne abbattuti saperle trasformare in occasioni di progresso.
Per questo è anche necessario accogliere l'altro aspetto della presenza divina, cioè l'esigenza divina. Le tavole dell'alleanza esprimevano la volontà di Dio per il suo popolo; una volontà di amore, una volontà di liberazione; una volontà molto positiva, però che talvolta può anche sembrare un'esigenza severa, sgradevole, che non ci permette di seguire i nostri capricci, di cercare le nostre soddisfazioni.
Nel Nuovo Testamento l'esigenza di Dio è diventata ancora più profonda e più positiva allo stesso tempo, perché è stata riassunta da Gesù nel duplice comandamento dell'amore: "Amerai il Signore tuo Dio... Amerai il tuo prossimo". Anzi l'esigenza è diventata:
"Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato": una esigenza meravigliosa, in fondo: soltanto amare. Siamo fatti per amare, lo sentiamo. Quindi è una esigenza che accogliamo con entusiasmo, quando la capiamo bene. Però d'altra parte è una esigenza reale, perché l'amore è esigente, l'amore non si vive senza accettare sacrifici, senza accettare rinunce. L'amore è duro come l'inferno, dice il Cantico dei Cantici. In certe circostanze sentiamo che non è facile amare sul serio. È quindi una vera esigenza. Però una esigenza che è contemporaneamente un dono di Dio. Gesù viene in noi per amare; possiamo amare grazie al suo cuore, che ci è dato. Sant'Agostino diceva: "Dammi ciò che comandi, comanda ciò che vuoi". La vita cristiana è proprio questo accogliere il dono di Dio, il dono dell'amore di Dio, non soltanto un modo passivo, essendo amati da lui, ma in modo anche attivo: amando con lui. E così tutte le difficoltà diventano occasione di crescita e di cammino.
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18/08/2017 06:43
 
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Giosuè radunò tutte le tribù di Israele in Sichem e convocò gli anziani, i capi, i giudici e gli scribi". E un'adunanza solenne, dinanzi alla quale vengono ricordate le grandi imprese che Dio ha compiuto in favore del suo popolo, dalla chiamata di Abramo fino al possesso della Terra promessa. Tutto è segno chiarissimo dell'azione di Dio, della sua fedeltà, del suo amore:
"Ciò non avvenne né per la vostra spada né per il vostro arco. Vi diede una terra che voi non avete lavorata, e abitate in città che voi non avete costruito, e mangiate i frutti delle vigne e degli oliveti che non avete piantato".
Quando noi celebriamo i santi, celebriamo, come Giosuè, le opere mirabili che Dio ha compiuto in loro.
La risposta di Giosuè e di tutto il popolo fu una proclamazione di riconoscenza, di fiducia, di fedeltà. Così è anche la risposta dei santi, uomini e donne come noi, che hanno risposto all'amore generoso di Dio con tutto se stessi. Così è stata soprattutto la risposta della Madonna, e possiamo pensare che anche in cielo ella ripeta il suo canto di riconoscenza e che tutti i santi si uniscano a lei: "L'anima mia magnifica il Signore'.".
Chiediamo a loro che ci ottengano dal Signore tanta riconoscenza, fedeltà e fiducia che anche in noi i suoi doni portino frutti di santità.
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19/08/2017 07:15
 
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Nel dialogo tra Giosuè e il popolo riguardo al servizio del Signore Dio, alcune cose fanno meraviglia. La prima è che, dopo aver comandato agli Israeliti di servire il Signore, Giosuè lascia loro la scelta: "Se vi dispiace di servire il Signore, scegliete oggi chi volete servire", cioè qualche dio dei pagani. Poi, quando il popolo dichiara di voler servire Jahvè, il Signore d'Israele che l'ha liberato dalla schiavitù, Giosuè, invece di approvare questa giusta decisione, prende a impugnarla, tiene un discorso dissuasivo: "Voi non potrete servire il Signore", sarà troppo difficile, anzi sarà pericoloso, perché il Signore, in caso di infedeltà, "si volterà contro di voi, vi farà del male e vi consumerà".
Perché questo atteggiamento? Perché Giosuè vuol evitare il rischio di un impegno superficiale da parte degli Israeliti, un impegno che non reggerebbe alla prima difficoltà.
Accettare di entrare in un rapporto di alleanza con Dio non è una cosa da poco, non si tratta di una cerimonia esterna, senza conseguenze per la vita, che si dimentica appena è finita. Si tratta invece di un impegno radicale, che deve coinvolgere tutta la persona, in tutte le sue attività, in tutti i suoi pensieri, in tutte le sue aspirazioni. Nessuno è costretto a prendere questo impegno; Dio rispetta la libertà, lui che ha creato l'uomo libero e lo vuole libero
Sa Dio che una costrizione non è degna dell'uomo, e non è degna di Dio.
Ciascuno è quindi libero di scegliere, anche una via di perdizione. Però chi si impegna ad entrare in alleanza con Dio deve farlo sul serio. La dignità della persona umana sta precisamente nella capacità di prendere impegni seri e di mantenerli. Così fu rinnovata a Sichem l'alleanza del Sinai.
Noi cristiani siamo invitati a rinnovare ogni anno, nella veglia pasquale del Sabato Santo, i nostri impegni battesimali: rinunciare risolutamente a tutte le attrattive torbide e ambigue, a tutte le idolatrie del denaro, del sesso, del potere, a tutto ciò che in fondo è indegno della nostra umanità. Siamo invitati ad accogliere in pieno la luce di Dio nella nostra vita, il desiderio di Dio sulla nostra esistenza, l'amore di Dio. Siamo invitati a fondare tutto sulla relazione con Dio, che dà la vera libertà interiore, rende accoglienti, semplici, permette i rapporti più sinceri, più cordiali con gli altri.
Chi riceve l'amore che viene da Dio è sempre spinto a diffondere questo amore generosamente e umilmente.
Nel Vangelo di oggi vediamo che Gesù, essendo completamente disponibile all'amore proveniente dal cuore del Padre, era accogliente verso tutti e in particolare con i bambini, i quali non hanno le complicazioni degli adulti cresciuti male.
Torniamo quindi ai nostri impegni battesimali, per vivere una vita nuova, luminosa, quali figli di Dio carissimi, camminando nella carità come Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi.
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20/08/2017 07:49
 
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don Alberto Brignoli
Ma Dio salva davvero tutti?

Mi sono spesso chiesto se Dio salvi tutti, o meglio, se debba davvero proprio salvare tutti. Dentro di me dico di sì, dico che la sua misericordia è grande: penso a me stesso, e se sono fiducioso che salvi me, quanto più lo sono verso le persone che credono in lui meglio e più di me. Ma quando si tratta di gente che non crede? Quando in gioco è la fede di gente che si professa atea, oppure di gente che dice di credere, ma ha preferito allontanarsi dalla chiesa e dalla pratica religiosa? E quando si tratta di gente che appartiene ad altri ?credo?, ad altre religioni o ideologie, al di là del fatto che possiamo provare maggiore o minore simpatia verso le altre religioni, vista la rabbia - a volte motivata dai fatti - che si sta diffondendo nei confronti di alcune religioni ideologizzate e contrarie all'idea di un ?Occidente Cristiano?? La rabbia - motivata ma ingiustificata - ti fa dire che Dio non può salvare tutti; la misericordia - che non è il buonismo - ti fa dire l'esatto contrario.
E Dio, che cosa dice? O meglio, che cosa fa? A me di che cosa dica o di che cosa faccia il Dio professato o venerato da altri, sinceramente mi importa poca: rispetto le visioni teologiche, le professioni di fede, e le tendenze spirituali di ogni uomo e di ogni donna sul pianeta, ma mi interrogo e mi concentro sul mio Dio, sul Dio Gesù Cristo, su quel Dio che ha fatto della misericordia il suo distintivo, che ha fatto dell'umano la propria essenza e che ha fatto della fede l'unica risposta possibile agli interrogativi dell'esistenza umana, tra cui, appunto, quello della salvezza universale. La quale resta un fatto di fede, ovvero frutto di una risposta personale, di un cammino profondo e sincero a cui ogni uomo è chiamato fino a comprendere il vero volto di Dio.
Come la donna cananea del Vangelo di oggi, pagana, senza Dio, fuori dalla salvezza - a detta del popolo eletto - che da quel ?Figlio di Davide, abbi pietà di me? con cui si rivolge a Gesù per chiedere la guarigione della figlia, giunge a una fede definita da Gesù ?grande?, a tal punto da far fare a Dio come ella desidera. Eppure, dicevo, il cammino di questa donna nel suo approdo alla salvezza - e ancor più, a un modello di fede per tutti noi - non è un cammino facile. La sua richiesta di salvezza, il suo grido iniziale a Dio non ha certo le fattezze di un grido di fede, di una professione di fiducia in lui: si rivolge a Gesù come ?Figlio di Davide?, come ?messia terreno?, come un ?capo?, un ?condottiero?, un ?comandante?, dal quale ottenere ?pietà?, ovvero una grazia rispetto a una condanna già segnata sul suo capo. E la condanna è duplice, secondo la mentalità di Israele: è straniera, quindi fuori dalla salvezza, ed è stata colpita (forse dallo stesso Dio?) con una presenza demoniaca nella sua famiglia.
Niente da fare, a persone come queste Gesù non rivolge neppure una parola. Ci verrebbe da dire - come spesso facciamo - che Dio è cattivo perché non ci ascolta; se abbiamo anche solo un pizzico di fede perché ci riteniamo suoi discepoli, diremmo - come i Dodici - che in fondo a Dio non costerebbe nulla farle una grazia, anche solo per evitare che continui a molestare e impedisca loro di proseguire nel cammino (come quando in comunità facciamo le cose che ci vengono richieste più per evitare seccature che per convinzione). Ma Gesù tira dritto, perché in fondo le dà ragione: si comporta così come lei lo chiama, da ?Figlio di Davide?, da ?messia?, da ?capo del popolo d'Israele?, che quindi non è chiamato - se vuoi nemmeno legalmente - a concedere una grazia a uno che non è suo suddito perché straniero, perché ?non appartenente alle pecore perdute della casa d'Israele?. Allora, la donna prosegue nel suo cammino di fede e cambia registro: Gesù non è più il Messia israelitico, dal quale non otterrebbe nulla, ma diviene il ?Signore?, il Dio della storia, il Dio fatto uomo presente nella vita degli uomini, al quale chiedere anche solo un aiuto.
Niente da fare: con i ?cani? (così erano chiamati i pagani dagli ebrei) non si tratta. La risposta di Gesù è dura, perché sembrerebbe non scendere a compromessi: a Dio non ci si rivolge solo per ottenere un aiuto, ci vuole un cammino di fede. In realtà Gesù sapeva già quale fosse la fede di questa donna, e assume questo atteggiamento perché non sia lei a comprendere, ma i suoi discepoli, ovvero noi, che dobbiamo comprendere che la salvezza non è un fatto di appartenenza a un popolo o a una religione, e non è neppure questione di opportunità (salviamo tutti, pur di non essere intralciati in ciò che facciamo o purché non ci creino problemi), ma è questione di un cammino di fede, che parte dalla capacità di Dio di essere per noi grazia, e dal desiderio nostro di metterci in cammino con lui sempre, comunque, senza mai lasciarci andare, convinti che Dio non ci tratta mai come dei ?cani?, ma ci tratta come dei figli, e non ci dà le briciole della salvezza, ma ci chiama a condividere il suo pane come appunto fa un padre con i suoi figli, alla sua mensa.
Questa donna si accontenterebbe anche solo delle briciole della grazia: e Gesù capisce da questo che il suo cammino parte da una fede profonda, da quella fede che sa che tutti quanti siamo seduti alla mensa di Dio, perché suoi figli, e ognuno può sfamarsi di ciò che può, nella misura della propria fede. La fede di questa donna non era né opportunismo né tanto meno frutto di equivoci: è una fede definita da Gesù ?grande? (nel vangelo di Matteo, Gesù dice ?grande? solo alla fede di due ?atei?, di due ?pagani?, lei e il centurione romano), ed è grande non perché ?battezzata? in un gruppo religioso o perché occasionale e contingente, ma perché consapevole che Dio è padre, e alla fine nessuno può essere considerato da lui se non un figlio, al di là dei nostri meriti.
Fa impressione vedere un Gesù che si ?converte? dalle sue scelte a causa di una donna che è capace di fargli fare ciò che lei vuole (è come se Gesù pronunciasse a lei le parole del Padre Nostro, ?sia fatta la tua volontà?), ma fa ancor più impressione vedere che la fede veramente è capace di smuovere le montagne, come proverbialmente diciamo. Se la fede di questa donna straniera ha ottenuto da Gesù una grazia che non meritava, figuriamoci se a ogni uomo non è data la possibilità di ottenere la salvezza, al di là del proprio credo. È davvero una questione di fede.
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21/08/2017 15:40
 
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Riccardo Ripoli
Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?

Ci domandiamo spesso quale ricetta dobbiamo adottare per mangiare bene, quale per avere successo, quale per avere un bel fisico, ma poco ci preoccupiamo di cosa dovremmo fare essere brave persone. Ci accontentiamo di quello che siamo e ci culliamo sul fatto che esista qualcuno peggiore di noi, che i nostri errori sono piccola cosa rispetto a quelli degli altri e spesso ci ergiamo come giudici supremi. Puntiamo il dito su coloro che sbagliano, ma non ci preoccupiamo di cambiare noi. Sarebbe opportuno se riempissimo la nostra vita di specchi e guardessimo gli altri attraverso di essi sovrapponendo la nostra immagine alla loro. Ci accorgeremmo che se diciamo ad uno "stupido" la nostra parte di scemenza sarebbe maggiore, così se diciamo "brutto" oppure "grasso" o "casinista". Se anche fosse che uno abbia alcune doti meno di noi, state certi che nel complesso vedremmo che non ci sarebbe differenza, se non addirittura che l'ago della bilancia penda a nostro sfavore. Ci riteniamo migliori, ci auto aduliamo, parliamo dei successi e nascondiamo i fiaschi, ci facciamo grandi con le nostre poche doti e nascondiamo i nostri tanti difetti. Che mondo migliore sarebbe se ognuno di noi imparasse l'autocritica, confidando negli altri, specie in coloro che abbiamo vicino e che ci vogliono bene, e cominciasse a cambiare anche e specialmente nei punti dove non reputa di essere in torto, quegli stessi punti che però altri ci indicano come sbagliati.
Non possiamo dire io sono onesto, non uccido nessuno, non tradisco il coniuge, sono un bravo genitore o un bravo figlio e quindi sono "bravo" anche se poi non amo il prossimo come me stesso, se vado in cerca della ricchezza, del lusso, del mangiare bene e abbondante. Se una persona ha fatto mille sacrifici, dove è scritto che sia "arrivata", che non debba fare più sforzi per migliorarsi?
Siamo tutti in cammino e tutti dobbiamo innanzitutto fermarsi un attimo a riflettere, prendere le persone di cui abbiamo fiducia e chiedere loro "cosa c'è che non va in me?" ed accettare il loro aiuto, il loro stimolo a cambiare.
Non sarà facile, ma è necessario per essere più belli dentro, per dare di più agli altri, per essere maggiormente apprezzati, stimati, amati e sopratutto per dare il buon esempio a coloro che guardano a noi come una luce da seguire, come i nostri figli.
Per essere bravi genitori dobbiamo continuamente migliorarci, e se pur non arriveremo alla perfezione faremo vedere lo sforzo concreto e continuo che mettiamo nel cambiare, i sacrifici che dobbiamo affrontare. Che senso ha dire ad un ragazzo "dimagrisci" se siamo i primi a ingrassare? Oppure ad un altro sii fedele alla tua ragazza se siamo i primi a flirtare con ogni donna che conosciamo?
Molte persone si sono allontanate dalla religione cristiana proprio per questo, perché noi cattolici, io per primo, diciamo tante belle cose, predichiamo valori e principi meravigliosi, ma raramente facciamo ciò che diciamo.
Ghandi diceva "se voi cristiani metteste in pratica il Vangelo, saremmo tutti cristiani"



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21/08/2017 17:37
 
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Riccardo Ripoli
Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?

Ci domandiamo spesso quale ricetta dobbiamo adottare per mangiare bene, quale per avere successo, quale per avere un bel fisico, ma poco ci preoccupiamo di cosa dovremmo fare essere brave persone. Ci accontentiamo di quello che siamo e ci culliamo sul fatto che esista qualcuno peggiore di noi, che i nostri errori sono piccola cosa rispetto a quelli degli altri e spesso ci ergiamo come giudici supremi. Puntiamo il dito su coloro che sbagliano, ma non ci preoccupiamo di cambiare noi. Sarebbe opportuno se riempissimo la nostra vita di specchi e guardessimo gli altri attraverso di essi sovrapponendo la nostra immagine alla loro. Ci accorgeremmo che se diciamo ad uno "stupido" la nostra parte di scemenza sarebbe maggiore, così se diciamo "brutto" oppure "grasso" o "casinista". Se anche fosse che uno abbia alcune doti meno di noi, state certi che nel complesso vedremmo che non ci sarebbe differenza, se non addirittura che l'ago della bilancia penda a nostro sfavore. Ci riteniamo migliori, ci auto aduliamo, parliamo dei successi e nascondiamo i fiaschi, ci facciamo grandi con le nostre poche doti e nascondiamo i nostri tanti difetti. Che mondo migliore sarebbe se ognuno di noi imparasse l'autocritica, confidando negli altri, specie in coloro che abbiamo vicino e che ci vogliono bene, e cominciasse a cambiare anche e specialmente nei punti dove non reputa di essere in torto, quegli stessi punti che però altri ci indicano come sbagliati.
Non possiamo dire io sono onesto, non uccido nessuno, non tradisco il coniuge, sono un bravo genitore o un bravo figlio e quindi sono "bravo" anche se poi non amo il prossimo come me stesso, se vado in cerca della ricchezza, del lusso, del mangiare bene e abbondante. Se una persona ha fatto mille sacrifici, dove è scritto che sia "arrivata", che non debba fare più sforzi per migliorarsi?
Siamo tutti in cammino e tutti dobbiamo innanzitutto fermarsi un attimo a riflettere, prendere le persone di cui abbiamo fiducia e chiedere loro "cosa c'è che non va in me?" ed accettare il loro aiuto, il loro stimolo a cambiare.
Non sarà facile, ma è necessario per essere più belli dentro, per dare di più agli altri, per essere maggiormente apprezzati, stimati, amati e sopratutto per dare il buon esempio a coloro che guardano a noi come una luce da seguire, come i nostri figli.
Per essere bravi genitori dobbiamo continuamente migliorarci, e se pur non arriveremo alla perfezione faremo vedere lo sforzo concreto e continuo che mettiamo nel cambiare, i sacrifici che dobbiamo affrontare. Che senso ha dire ad un ragazzo "dimagrisci" se siamo i primi a ingrassare? Oppure ad un altro sii fedele alla tua ragazza se siamo i primi a flirtare con ogni donna che conosciamo?
Molte persone si sono allontanate dalla religione cristiana proprio per questo, perché noi cattolici, io per primo, diciamo tante belle cose, predichiamo valori e principi meravigliosi, ma raramente facciamo ciò che diciamo.
Ghandi diceva "se voi cristiani metteste in pratica il Vangelo, saremmo tutti cristiani"



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22/08/2017 07:45
 
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Quando un popolo è oppresso, o quando un paese è invaso da un altro, esso è per così dire nelle tenebre. L’angoscia di un individuo è una specie di oscurità. Ogni volta che un popolo o un individuo è nel buio, cerca la luce della liberazione spera ardentemente che un giorno verrà la luce.
Quando un popolo cammina nelle tenebre, è portato di solito a dedurre che Dio lo ha abbandonato. È una conclusione sbagliata, perché è stato, invece, il popolo ad abbandonare Dio. Quando il popolo si pente, comincia a ritrovare la retta via: può camminare nella luce e avere speranza.
Qualche volta, questa speranza di luce si localizza su un bambino la cui nascita può dare corpo e vita alla speranza. Per gli abitanti della Palestina settentrionale, l’invasione degli Assiri era stata oscurità e tristezza, ma la profezia di Isaia sulla nascita di un bambino era capace di infondere speranza.
L’annuncio della nascita di questo fanciullo si riferiva ad un futuro re, dotato di una notevole saggezza e prudenza, un guerriero che sarebbe stato ritenuto un eroe dal suo popolo. Con la sua potenza avrebbe riportato la pace e così l’oscurità si sarebbe cambiata in luce.
La cristianità primitiva ha visto in questo bambino portatore di speranza Gesù di Nazaret. Avendo Maria dato alla luce la speranza fatta carne, è onorata come Regina del cielo.
Gesù non fu un guerriero né un eroe. Però, insegnò la sapienza. Si dedicò al popolo. Proclamò una pace che il mondo non può dare. Non fu il tipo di re che il popolo si era immaginato, ma trasformò le tenebre in luce.
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23/08/2017 09:13
 
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La Bibbia non manca di realismo. Ci aiuta a non sopravvalutare le istituzioni umane, spesso le ridimensiona, offrendoci in proposito vedute contrastanti, che ci preservano da entusiasmi troppo facili.
Nella prima lettura di oggi l'apologo di Iotam presenta l'istituzione della monarchia in modo dispregiativo, anzi sarcastico. Gli alberi racconta Iotam vogliono crearsi un re. Evidentemente hanno della monarchia un concetto alto: per farlo re cercano un albero di grandi qualità, di grandi capacità, perché occorre che il re sia il migliore di tutti. Si rivolgono quindi all'ulivo, che produce l'olio, derrata tanto preziosa, l'olio che nutre, l'olio che serve per preparare rimedi, per preparare profumi, l'olio che può anche dare una fiamma che illumina. Ma l'ulivo rifiuta di diventare re. Si rivolgono al fico, il cui frutto è così squisito; il fico rifiuta. Si rivolgono alla vite: "Vieni, regna su di noi!", ma anche la vite rifiuta. Perché? Perché tutti questi alben hanno un concetto bassissimo del compito di un re: dicono che il re "si agita al di sopra degli alberi".
L'ulivo risponde: "Rinunzierò forse al mio olio, grazie al quale si onorano dei e uomini e andrò ad agitarmi sugli alberi?". Così viene descritta la funzione del re, la posizione del re: agitarsi al di sopra degli altri. E il fico: "Rinunzierò alla mia dolcezza e al mio frutto squ~sito e andrò ad agitarmi sugli alberi?".
E una grande lezione di umiltà per gli ambiziosi che aspirano al potere per essere al di sopra degli altri. Devono prendere coscienza della relativa sterilità della loro posizione. Comandare di per sé non è un'attività produttiva; se non ci fossero altre persone che lavorano, che producono, chi comanda non servirebbe a niente.
D'altra parte però è indispensabile che vi siano amministratori, dirigenti, capi politici, per far sì che gli sforzi produttivi degli altri contribuiscano a un'opera comune e non si perdano in diverse direzioni, non siano contrastanti tra di loro. L'autorità però deve essere un servizio, un servizio effettivo, non un vano agitarsi al di sopra degli altri, non uno sfruttamento egoistico delle capacità altrui, non un dominio ispirato alla superbia. L'autorità deve essere un servizio. "Chi è il più grande tra voi ha detto Gesù diventi come il più piccolo, e chi governa come colui che serve" (Lc 22, 26). La vera grandezza consiste nel servire umilmente, per amore. È la grandezza di Cristo, che non ritenne come un privilegio da conservare la sua uguaglianza con Dio, ma umiliò se stesso, fattosi obbediente fino alla morte di croce (cfr. Fil 2, 8ss.). Umiliò se stesso, per mettersi al servizio di tutti, per dare la vita in riscatto di tutti, per diventare il Servo di Jahvè, diventare il nostro Signore e fratello grazie a questo servizio.





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24/08/2017 00:03
 
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Filippo e Natanaele sono due nuovi discepoli di Gesù. Il primo riceve direttamente la chiamata; il secondo la riceve tramite un suo amico. I due si ritrovano in Gesù. Questo incontro ha rappresentato per loro un’esperienza di fede, un cambiamento nel loro comportamento, una nuova dimensione nel modo di vedere le cose, che li apre ad altre possibilità.
Esso ha rappresentato per loro una rottura con il passato, il penetrare in un nuovo mondo, in un nuovo tragitto di vita, poiché cercare Gesù vuol dire cercare la verità - cercare la luce, cercare Dio -.
“Vieni e vedi”... Entrare nell’intimità di Gesù significa scoprire il suo modo di vivere, vivendo con lui... cioè con gli uomini nostri fratelli. È soltanto nell’esperienza comunitaria, nell’interesse per il modo di vivere degli altri, nel fatto di rimanere e di solidarizzare con gli altri, che noi acquistiamo a poco a poco l’esperienza della nostra fede. “Vedrete il cielo aperto”... Dio si presenta e prende contatto con gli uomini, attraverso Cristo; egli vuole sentirsi vicino agli uomini, ed è tra di loro che ha fissato la sua tenda, nella comunità. Il cielo, in questa prospettiva del Vangelo, viene a noi tramite Cristo. Attraverso la nostra partecipazione, nella misura in cui lo possiamo, alla vita di Dio. Quante cose potremmo vedere e provare se noi seguissimo Gesù.
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25/08/2017 09:49
 
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Quanto illuminante è la risposta di Gesù al dottore della legge che l'interrogava su quale fosse il più grande comandamento! Quanto è entusiasmante questa risposta! U più grande comandamento infatti è quello dell'amore: "Amerai il Signore Dio tuo; amerai il prossimo tuo". In proposito possiamo notare alcune cose sorprendenti.
La prima è che Gesù non ha scelto un comandamento del Decalogo, uno dei dieci comandamenti. Eppure sarebbe sembrato più normale: secondo la Bibbia i dieci comandamenti sono stati rivelati da Dio stesso, anzi incisi da lui sulle due tavole di pietra; non sono forse i più importanti? Eppure Gesù non ha citato nessuno di essi, ma ha scelto un brano del Deuteronomio e un altro del Levitico. Perché?
Lo possiamo indovinare se riflettiamo sulla natura dei dieci comandamenti. Sono per lo più una serie di divieti: Non rubare; non uccidere; non testimoniare il falso; non avere cupidigia...; o anche precetti, ma ristretti: Osserva il sabato; onora i genitori... Esprimono le condizioni necessarie per non uscire dalla relazione con Dio.
Invece Gesù ha scelto precetti positivi, dinamici, che ci lanciano avanti: "Amerai con tutto il cuore". Chi avrà mai finito di progredire in questa direzione, chi raggiungerà questa meta? "Amerai con tutto il cuore, con tutte le forze, con tutta la mente". Amare il prossimo senza limiti... La parabola del buon Samaritano ci mostra in che modo Gesù intendeva il prossimo: ciascuno deve farsi prossimo a tutti i bisognosi che incontra.
Un'altra cosa sorprendente è che la domanda concerneva un solo comandamento: "il più grande" e nella sua risposta invece Gesù ne ha aggiunto un secondo:
"Amerai il tuo prossimo". E, cosa più sorprendente ancora, Gesù dichiara che "il secondo è simile al primo". Chi avrebbe mai pensato questo? Noi li vediamo molto diversi, questi due comandamenti. "Amerai il Signore Dio tuo": Dio, la perfezione stessa, Dio pieno di amore, Dio che non ha nessun difetto si deve amare, è chiaro. Invece: "Amerai il prossimo tuo": uomini difettosi, miserabili, talvolta tanto sgradevoli e ostili... Come dire che il secondo comandamento è simile al primo? Eppure Gesù ha dichiarato questo. E tutto il Vangelo, tutto il Nuovo Testamento va in questo senso: l'amore del prossimo è inseparabile dall'amore che diamo a Dio; amando il prossimo, amiamo veramente Dio; non amando il prossimo, non possiamo pretendere di amare Dio. La corrente di amore che viene da Dio la dobbiamo accogliere in noi non passivamente, fermandola a noi stessi. Se facciamo così non riceviamo veramente l'amore di Dio. La dobbiamo invece ricevere in modo attivo, cioè non possiamo amare veramente Dio, se non accettiamo di amare con Dio, e quindi di amare tutti gli esseri, tutte le persone che Dio ama. Soltanto così siamo nell'amore di Dio, e l'amore di Dio in noi diventa perfetto, come dice san Giovanni.
Questa rivelazione evangelica definisce lo scopo di tutta la nostra vita. Non abbiamo altro programma, se siamo veramente cristiani: progredire nell'amore. Ciascuno deve trovare la forma di amore che corrisponde alla propria vocazione, non ci sono due forme identiche di progresso nell'amore; però siamo tutti uniti in questo stesso orientamento: amare. Non c'è altro comandamento. "Amerai il Signore... Amerai il tuo prossimo.. .". Essere uniti nell'amore è l'ideale cristiano.
La prima lettura preparava la lezione evangelica, perché dimostra come una straniera, che non faceva parte del popolo di Dio, anzi apparteneva a un popolo disprezzato dagli Israeliti (Rut era una moabita), mossa da un affetto fedele e generoso per la suocera vedova e desolata, si è trovata per il fatto stesso in relazione privilegiata con Dio, diventando una antenata di Davide e quindi di Cristo. Amore del prossimo e amore di Dio si sono trovati strettamente collegati. La fedeltà generosa agli affetti umani mette in rapporto profondo con la fedeltà di Dio.


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26/08/2017 10:37
 
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Gesù, tanto misericordioso per i peccatori, si è mostrato severo per una sola specie di colpa: la superbia di chi si crede giusto. Perché? Perché gli altri peccati di per sé non chiudono l'anima all'amore misericordioso di Dio, anzi possono essere occasione di una più sincera apertura alla misericordia divina. I peccatori sanno di meritare i castighi di Dio e di aver bisogno di perdono; invece la superbia farisaica chiude l'anima e non consente alla grazia di penetrare. L'amore misericordioso di Dio si trova impotente di fronte all'uomo orgoglioso, che ritiene di non aver bisogno di perdono né di compassione e pretende di meritare solo ammirazione e onore.
Perciò Gesù critica quelli che fanno tutto "per essere ammirati dagli uomini", che amano posti d'onore, primi seggi, saluti... "Dio resiste ai superbi" dice il Libro dei Proverbi. E Dio deve resistere ai superbi, perché quando i doni di Dio vengono pervertiti dalla superbia, nel senso che invece di servire alla vita di carità servono soltanto a nutrire la vana compiacenza della persona in se stessa, non c'è altro rimedio se non la resistenza di Dio, per costringere la persona a rinunciare alla superbia. Per questa ragione Gesù insisteva tanto sull'umiltà, dicendo e ribadendo: "Chi si innalzerà sarà abbassato e chi abbasserà sarà innalzato". Lui stesso ha preso risolutamente la via dell'umiliazione, per insegnarci quale sia la strada per raggiungere autenticamente l'amore di Dio. Lui, che era di condizione divina, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce.
La storia di Rut nella prima lettura ci propone lo stesso orientamento, in modo più familiare. Rut si trova m una situazione umiliante di povertà, che in più èla situazione di una immigrata. Per procurare cibo a se stessa e alla suocera propone di andare a spigolare. Dice a Noemi: "Lasciami andare per la campagna a spigolare dietro a qualcuno". E umiliante dover spigolare, non avere niente, essere nella situazione di chi dipende completamente dalla compassione altrui. Rut, quando Booz si interessa di lei, non si mostra orgogliosa, anzi si prostra con la faccia a terra e dice: "Per quale motivo ho trovato grazia ai tuoi occhi, così che tu ti interessi di me che sono una straniera?". Riconosce di non avere nessun diritto, di non meritare niente, e proprio per questo atteggiamento umile si trova sulla via della vera gloria divina. Essendosi abbassata, sarà innalzata, avrà l'onore di essere madre e di avere come discendente Davide e infine Cristo stesso.
Così l'Antico Testamento ci mette sulla via giusta, la via dell'umiltà, che permette di ricevere tutti i doni di Dio con purezza di cuore e di camminare per questo verso la pienezza della vita.
Chiediamo per intercessione di Maria, umile serva del Signore, la grazia dell'umiltà. E, per essere coerenti, dobbiamo anche cercare di rallegrarci quando ci arriva qualche umiliazione, che ci consente di essere più conformi a Cristo mite e umile di cuore.
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27/08/2017 07:52
 
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padre Ermes Ronchi
«Chi sono io per te?». Se Gesù ci interroga nel profondo

Oggi il Vangelo propone due delle centinaia di domande che intessono il testo biblico: Cosa dice la gente? E voi che cosa dite? Gesù, riferiscono gli evangelisti, «non parlava alla gente se non con parabole» (Mt 13,34) e con domande. Gesù ha scelto queste due forme particolari di linguaggio perché esse compongono un metodo di comunicazione generativo e coinvolgente, che non lascia spettatori passivi. Lui era un maestro dell'esistenza, e voleva i suoi pensatori e poeti della vita: «Le risposte ci appagano e ci fanno stare fermi, le domande invece, ci obbligano a guardare avanti e ci fanno camminare» (Pier Luigi Ricci).
Gesù interroga i suoi, quasi per un sondaggio d'opinione: La gente, chi dice che io sia?. La risposta della gente è univoca, bella e sbagliata insieme: Dicono che sei un profeta! Una creatura di fuoco e di luce, come Elia o il Battista; sei bocca di Dio e bocca dei poveri. Ma Gesù non è un uomo del passato, fosse pure il più grande di tutti, che ritorna.
A questo punto la domanda, arriva esplicita, diretta: Ma voi, chi dite che io sia? Prima di tutto c'è un ma, una avversativa, quasi in opposizione a ciò che dice la gente. Come se dicesse: non si crede per sentito dire. Ma voi, voi con le barche abbandonate, voi che siete con me da anni, voi amici che ho scelto a uno a uno, che cosa sono io per voi?
In questa domanda è il cuore pulsante della fede: chi sono io per te? Gesù non cerca formule o parole, cerca relazioni (io per te). Non vuole definizioni ma coinvolgimenti: che cosa ti è successo, quando mi hai incontrato? La sua domanda assomiglia a quelle degli innamorati: quanto conto per te? Che importanza ho nella tua vita? Gesù non ha bisogno della risposta di Pietro per avere informazioni o conferme, per sapere se è più bravo degli altri maestri, ma per sapere se Pietro è innamorato, se gli ha aperto il cuore. Cristo è vivo, solo se è vivo dentro di noi. Il nostro cuore può essere la culla o la tomba di Dio. Cristo non è le mie parole, ma ciò che di Lui arde in me.
La risposta di Pietro è a due livelli: Tu sei il Messia, Dio che agisce nella storia; e poi, bellissimo: sei il figlio del Dio vivente.
Figlio nella Bibbia è un termine tecnico: è colui che fa ciò che il padre fa, che gli assomiglia in tutto, che ne prolunga la vita. Tu sei Figlio del Dio vivente, equivale a: Tu sei il Vivente. Sei grembo gravido di vita, fontana da cui la vita sgorga potente, inesauribile e illimitata, sorgente della vita. Se cerchiamo oltre le parole, se scendiamo al loro momento sorgivo, possiamo ancora ascoltare la dichiarazione d'amore di Pietro: tu sei la mia vita! Trovando te ho trovato la vita.
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28/08/2017 07:26
 
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Riccardo Ripoli
Guai a voi

Quante volte ci arrabbiamo con i nostri figli per ciò che fanno di sbagliato e diciamo "guai a voi". E' un avvertimento, se non studi vedrai come sarà difficile la tua vita, se non mangi avrai problemi di salute, se rubi finirai in prigione. Queste ammonizioni non significano aver perso la speranza, ma sono fatti con amore, seppur con dispiacere di vedere il proprio figlio che non mangia, non studia oppure ruba, quel grande amore di un genitore che mantiene sempre acceso il lumino della speranza, anche davanti a episodi bruttissimi, ad avvenimenti che sconvolgono. Si sente parlare ogni giorno di omicidi, stupri, guerre, eppure Dio non si è ancora stancato dell'uomo e non perde occasione per riprenderci, per redarguirci, ma con l'amore di un padre che potrebbe scagliarci addosso fulmini e saette, ma continua ad irrigare la terra con pioggia fatta di lacrime, le stesse che ogni genitore versa ogni volta che vede un figlio prendere una brutta strada



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29/08/2017 07:30
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Il prezzo della verità

La figura di Giovanni Battista è intimamente legata a quella di Cristo. Già prima ancora della nascita sussulta di gioia nel grembo di Elisabetta al saluto di Maria. Sarà poi lui ad additare al mondo l'Agnello di Dio. Sarà lui il testimone della Voce dall'alto che lo proclama figlio di Dio mentre lo battezza nelle acque del Giordano. Con grande umiltà accetta e scandisce il suo ruolo che è quello di preparare la via al Cristo che viene. Giovanni sa che egli deve diminuire e scomparire per fare spazio al Messia. Riceverà, a sua volta un grandissimo elogio da parte del Signore: «In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista». La sua grandezza brillerà di luce piena quando la sua testimonianza alla verità assume le caratteristiche dell'eroismo. Con la stessa franchezza con cui ha annunciato Cristo al mondo denuncia l'immoralità di un potente ben sapendo i rischi a cui si esponeva. L'odio dei potenti, spesso condito con la più sfacciata immoralità, quasi sempre sfocia nella vendetta verso chi osa denunciare i loro misfatti. È ormai perenne purtroppo la convinzione che certe voci scomode debbono tacere. È accaduto al Cristo e dopo di lui ad una schiera innumerevoli di testimoni intrepidi e coraggiosi. Il rimprovero anche il più meritato, o induce alla conversione o alimenta l'odio. Se poi si ha la triste vicenda di incappare in affari di donne e di sesso c'è da attendersi di tutto anche l'assurdo di turpi promesse che possono costare la vita degli altri. È significativo infatti che la testa di Giovanni Battista entri in un intrigo di orge, in un banchetto che è esattamente il contrario di un convivio di amore. La cecità e l'ottusità offuscano la ragione e obnùbilano le coscienze è in quello stato l'assurdo diventa ragione e diritto anche a costo della vita di un innocente. Il vero vittorioso comunque è lui, Giovanni, che precede Cristo nel martirio e conduce così la sua intrepida testimonianza fino al martirio, fino al Calvario.



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30/08/2017 07:08
 
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Le letture bibliche di questa settimana ci offrono un contrasto continuo tra la descrizione dello spirito farisaico, nel Vangelo, e quella del ministero apostolico nella prima lettera ai Tessalonicesi.
Gesù denunzia con vigore estremo le tendenze farisaiche; Paolo ricorda ai Tessalonicesi il suo comportamento di Apostolo di Cristo.
Poiché Gesù si rivolgeva agli scribi e ai farisei, ebrei, spontaneamente non prendiamo per noi quanto egli dice in proposito, invece dovremmo essere attenti a considerare rivolti anche a noi questi ammonimenti severi, perché, se si trovano nel Vangelo, vuoi dire che sono scritti per la nostra edificazione. Non possiamo pretendere di non avere in noi le tendenze farisaiche; siamo sempre tentati di cercare la nostra soddisfazione, di cercare di essere stimati, onorati; siamo sempre tentati di rimanere superficiali in ciò che facciamo per il Signore, di accontentarci di cose esterne, e non andiamo volentieri dentro di noi, perché ciò richiede uno sforzo penoso.
Quando Gesù rimprovera agli scribi e ai farisei di preoccuparsi soltanto dell'esterno, senza cercare la santità interiore, dobbiamo prenderlo per noi, altrimenti cadiamo esattamente nel difetto farisaico, dicendo: "Queste cose valgono per gli altri, non per noi!".
L'Apostolo Paolo ci mostra come deve essere profondo l'impegno cristiano. E una vita condotta davanti a Dio nella giustizia, nella santità. "Dio stesso è testimone", dice Paolo, "come è stato santo, giusto, irreprensibile il nostro comportamento verso di voi credenti". Paolo sta davanti a Dio così, in questo sforzo di corrispondere pienamente, profondamente, alla esigenza di Dio, che è nello stesso tempo un dono divino.
E nel brano di oggi parla del suo amore paterno per i fedeli. E interessante vedere come, nella stessa lettera, egli esprime prima un amore materno, oblativo, pronto a sacrificare la propria vita per il bene dei figli e poi un amore paterno, che trova la sua caratteristica nell'ambizione paterna. L'amore materno è oblativo; l'amore paterno è ambizioso, cioè vuole che i figli diventino persone veramente mature, con grandi qualità e con grandi attuazioni. Paolo, come fa un padre per i figli, dice: "Abbiamo esortato ciascuno di voi". Non si è accontentato di una predica generica, di discorsi fatti davanti a tutta la comunità; ha esortato ciascuno dei Tessalonicesi, si è preoccupato del caso singolo, ha incoraggiato ciascuno e, quando era utile, ha anche "scongiurato".
Ciò che Paolo desidera è che i suoi cristiani si comportino in maniera degna "di quel Dio che vi chiama al suo regno e alla sua gloria", dice. E possiamo osservare che Paolo è preoccupato del rapporto di ciascuno con Dio. Spesso i genitori hanno come ideale di ottenere che i figli si comportino in maniera conforme a un certo codice di vita sociale, le cosiddette "buone maniere". Paolo non si preoccupa di un codice di condotta, ma di una condotta che sia degna di Dio, che permetta un relazione profonda di ciascuno con Dio, un Dio generoso: "Dio vi chiama al suo regno e alla sua gloria", un Dio ambizioso, che ha per noi progetti molto alti: "Il suo regno, la sua gloria", non è roba da poco. E l'Apostolo, consapevole di questa vocazione cristiana, non risparmia nessuno sforzo per condurre i suoi fedeli in questa via: comportarsi in maniera degna di Dio. È un'ambizione paterna profonda e altissima, che manifesta tutta la forza della carità divina.
San Paolo sapeva di avere a disposizione la forza della parola di Dio per ottenere questa trasformazione, e lo dice. I Tessalonicesi hanno accolto la parola di Dio, "che opera in voi che credete". Paolo non pretende che siano i suoi sforzi a ottenere la trasformazione dei cristiani, ma sa che trasmettendo la parola di Dio mette in loro una potenza che opera queste meraviglie
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31/08/2017 08:16
 
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Come è bello vedere l'esultanza di Paolo quando riceve buone notizie dei suoi cari Tessalonicesi! Dopo poche settimane di catechesi la persecuzione aveva costretto Paolo ad abbandonare i suoi neofiti e a partire per Atene e Corinto; era preoccupato lo scrive lui stesso ' temeva che la loro fede non reggesse di fronte alle opposizioni. Perciò aveva mandato Timoteo a prendere notizie e a confermarli nella fede. Timoteo era tornato con il lieto annuncio della loro perseveranza coraggiosa e Paolo esulta, e subito si mette a scrivere. "Ora che è tornato Timoteo e ci ha portato il lieto annuncio della vostra fede, della vostra carità e del ricordo sempre vivo che conservate di noi, desiderosi di vederci come noi lo siamo di vedere voi, ci sentiamo consolati di tutta l'angoscia e la tribolazione... Ora sì, ci sentiamo rivivere, se rimanete saldi nel Signore".
Il cuore dell'Apostolo si rivela magnificamente in questa effusione. Paolo, è chiaro, si sente pienamente padre dei suoi fedeli, ai quali ha comunicato una nuova vita per mezzo della parola divina del Vangelo, la vita della fede, la vita della carità, quindi si interessa appassionatamente di questa nuova vita ancora fragile, ed esulta nel sapere che resiste, che rimane salda. Paolo si dimostra legato anche umanamente ai suoi Tessalonicesi; non parla soltanto della fede, ma anche del contatto umano, desidera tanto rivederli, ne parla più volte. Le buone notizie non gli bastano. Ringrazia Dio per esse: "Quale ringraziamento possiamo render a Dio, riguardo a voi, per tutta la gioia che proviamo a causa vostra davanti al nostro Dio", scrive; però aggiunge subito una preghiera: "Noi con viva insistenza, notte e giorno, chiediamo di poter vedere il vostro volto". Paolo ha questo desiderio intenso di contatto umano; la vita spirituale in lui non ha per niente diminuito l'affettività, anzi l'ha sviluppata. Vediamo come insiste: "Notte e giorno chiediamo di poter vedere il vostro volto".
Per i Tessalonicesi Paolo chiede che il Signore li faccia "crescere e abbondare nell'amore". Questo è il suo desiderio per loro, l'aumento continuo di vita di carità, di amore, un amore dice "vicendevole e verso tutti", cioè una carità fraterna, all'interno della comunità, e una carità universale, aperta a tutti. Carità e santità sono le due cose con le quali Paolo invita i Tessalonicesi a prepararsi al ritorno del Signore: "Che il Signore vi renda saldi e irreprensibili nella santità, per il momento della venuta del Signore con tutti i suoi santi".
L'esempio di Paolo ci stimola quindi a un duplice progresso nelle nostre relazioni con le altre persone, progresso nella fede e progresso nell'amore, progresso spirituale e progresso umano. Dovremmo saper esprimere la nostra comunione di fede con gli altri cristiani, non rimanere sempre a un livello superficiale di conversazione banale, ma comunicare vicendevolmente la ricchezza della fede. E, d'altra parte, saper unire alla fede una grande cordialità umana: crescere e abbondare nell'amore vicendevole e nell'amore universale. Questo ideale cristiano merita di essere perseguito con sforzi quotidiani, perseveranti e con un segreto entusiasmo.
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01/09/2017 08:03
 
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Abbiamo visto ieri come san Paolo augurava ai Tessalomcesi il dono divino del progresso nell'amore e nella santità: "Il Signore vi faccia crescere e abbondare nell'amore". Questo dono divino va accolto attivamente e perciò è la lettura di oggi l'Apostolo invita i suoi cristiani a vivere in conformità con la grazia che ricevono continuamente.
Possiamo notare che la sua esortazione è permeata di meravigliosa delicatezza, una delicatezza che purtroppo la traduzione del lezionario non consente di apprezzare adeguatamente. Infatti il lezionario dice:
"Fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù", il che suggerisce da parte dell'Apostolo una viva preoccupazione di fronte a una situazione di grave necessità: non si supplica se non c'è un bisogno urgente. Invece Paolo non ha scritto "vi supplichiamo", ma semplicemente: "vi chiediamo e preghiamo", parole che lasciano intravedere un animo tranquillo. il seguito della lettera conferma pienamente la tranquillità dell'apostolo, perché dice: "Avete appreso da noi come comportarvi in modo da piacere a Dio, e così già vi comportate" (la parola usata da Paolo letteralmente è"camminare", una parola dinamica): "Avete appreso da noi come camminare in modo da piacere a Dio e così già camminate": siete in cammino, andate avanti. Quindi san Paolo riconosce che i Tessalonicesi sono sulla buona via e che progrediscono.
Il comportamento cristiano non è regolato da leggi astratte, ma viene dettato dal desiderio di piacere a una persona, cioè a Dio stesso. Questo dà un orientamento molto diverso: non conformarsi a una legge, ma cercare di piacere a una persona. È molto diverso.
Che cosa chiede allora Paolo? "Vi chiediamo e preghiamo dice letteralmente di "abbondare" di più". Già in precedenza aveva scritto: "Il Signore vi faccia crescere e abbondare nell'amore": è una grazia desiderata. A questa grazia bisogna corrispondere con un comportamento adeguato; si tratta allora di "abbondare di più". Questi termini sono molto caratteristici della mente e dell'animo di Paolo, che ha un temperamento dinamico e vuole quindi comunicare questo dinamismo ai suoi cristiani.
Effettivamente l'ideale cristiano non è evitare il peccato per sfuggire al castigo; è invece quello di progredire continuamente in una vita di fede e di amore. Chi cerca soltanto di evitare il peccato, si trova in un'atmosfera piuttosto deprimente, negativa e rischia molto di cadere, perché fissare l'attenzione soltanto sui peccati da evitare aumenta piuttosto la tentazione. Chi invece si preoccupa di andare avanti, di progredire, in modo positivo, evita senza pensarci il peccato, ne è preservato grazie al dinamismo della sua vita spirituale.
San Paolo poi insiste sulla santificazione. Abbiamo già visto che non separa mai carità e santità: l'amore cristiano è un amore santo, la santità cristiana è santità di amore. E in questo passo mette l'accento su un aspetto importante della santificazione cristiana, cioè la castità: "Questa è la volontà di Dio scrive la vostra santificazione: che vi asteniate dall'immoralità sessuale, che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto".
San Paolo è realista nel suo apostolato; sa che l'immoralità sessuale è una tentazione forte, perché l'istinto sessuale ha una potenza tremenda. Per chi vive nella ricerca della propria felicità, la tentazione è quasi insuperabile; invece chi cerca di progredire nell'amore generoso normalmente supera questo genere di tentazione, che in fondo è una tentazione di egoismo particolare. E san Paolo insiste che l'immoralità sessuale non è compatibile con la relazione autentica con il Signore:
"La volontà di Dio è la vostra santificazione: che vi asteniate dall'immoralità sessuale". I cristiani non possono vivere da pagani, che non conoscono Dio; debbono avere rispetto per il proprio corpo e mantenerlo nella santità. E un atteggiamento molto positivo: non si tratta di una paura del sesso, ma di un rispetto del corpo e quindi di un uso del sesso che sia compatibile con la vocazione cristiana, con l'amore generoso, e non con la ricerca sfrenata del piacere.
"Dio dice Paolo non ci ha chiamati all'impurità, ma alla santificazione". Se Dio ci ha chiamati, ci dà la grazia, quindi possiamo vincere, dobbiamo vincere le tentazioni, possiamo avere la mentalità dei vincitori, una mentalità allegra, gioiosa, per niente triste o preoccupata.
Dio ci ha chiamati alla santificazione, perché abbiamo una relazione personale con lui: Dio è santo e ci vuole santi per la pienezza della nostra gioia. il messaggio di Paolo è esigente, però è un messaggio che ci guida alla pienezza della gioia.
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02/09/2017 08:17
 
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Per i suoi cristiani di Tessalonica Paolo dimostra grande stima. Non si atteggia infatti a maestro, si dimostra convinto che hanno un Maestro ben più valido di lui, Dio stesso : "Voi siete dice "insegnati" da Dio". Leggiamo: "Riguardo all'amore fraterno, non avete bisogno che ve ne scriva; voi stessi infatti "siete insegnati" da Dio ad amarvi gli uni gli altri, e questo voi fate".
Qui troviamo l'adempimento della promessa della nuova alleanza. Geremia, in un tempo di catastrofe tremenda, aveva annunciato che Dio voleva stabilire un'alleanza nuova, non come l'alleanza del Sinai, nella quale le leggi erano scritte sulla pietra e non cambiavano niente nel cuore dell'uomo, ma un'alleanza in cui Dio avrebbe scritto le sue leggi nel "cuore", all'interno dell'uomo, per trasformare il suo cuore.
La nuova alleanza è stata stabilita in effetti da Gesù quando, presentando il calice del vino nell'Ultima cena disse: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue". I Tessalonicesi sono entrati nella nuova alleanza e perciò sono "insegnati" da Dio ad amare, ad amarsi gli uni gli altri. L'insegnamento divino qui non riguarda una serie di verità da credere; riguarda invece un impegno di vita, riguarda la cosa più importante: l'amore. Siamo creati per amare, e la cosa più importante per ciascuno di noi è trovare la sua forma di amore generoso, che gli viene insegnato da Dio. Un insegnamento che non è soltanto teorico, ma che è efficace. Quando Dio insegna nel cuore, l'azione segue: "Questo voi fate scrive san Paolo verso tutti i fratelli dell'intera Macedonia". I Tessalonicesi sono animati dalla carità divina e non hanno quindi bisogno di una esortazione speciale. Al tempo di Geremia, il profeta era mandato ad esortare, a scongiurare, e questo non serviva a niente, perché il popolo aveva il cuore indurito, le orecchie chiuse. Adesso la situazione è completamente cambiata: non è più necessario esortare.
Tuttavia Paolo esorta, ma a che cosa? Esorta ad "abbondare di più". Ritroviamo qui questa espressione che abbiamo già incontrato più volte in questa lettera: "Vi esortiamo, fratelli, ad "abbondare di più"", letteralmente, ad amare, quindi, con più intensità. Le grazie non sono un tesoro inerte, che basterebbe conservare in luogo sicuro per non perderle; sono germi di vita, sono sementi che vogliono produrre belle piante e frutto rigoglioso. Nel Vangelo di oggi Gesù ci parla del servo che è andato a nascondere sottoterra il talento ricevuto; non viene presentato come un modello da seguire, anzi! Viene severamente rimproverato, chiamato "servo malvagio e infingardo"...
Nella lettera ai Galati e in. quella ai Romani san Paolo ha impugnato la pretesa umana di giustificarsi per mezzo delle opere della legge, ha ribadito che la base della vita cristiana non sta nelle nostre opere, bensì nel dono gratuito di Dio che accogliamo per mezzo della fede. E possibile capire male questo insegnamento di Paolo, come se le opere non fossero necessarie nella vita cristiana, ma san Paolo stesso ha poi precisato che la fede produce le sue opere. Non sono più le opere della legge, che l'uomo pretende di compiere con le proprie forze; sono "opere della fede", cioè che l'uomo realizza nella docilità alla grazia di Dio e con la forza che da essa viene, non con la propria forza umana. Ciò che conta dice san Paolo è la fede che opera nell'amore. Per questo l'apostolo esorta i Tessalonicesi ad "abbondare di più" nella carità fraterna.
Il nostro sforzo deve essere rivolto ad accogliere attivamente il dinamismo della vita di fede, per collaborare con il Signore alla trasformazione del mondo.
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03/09/2017 08:14
 
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fr. Massimo Rossi


Eccoci nuovamente alle prese con la relazione tra il destino di morte cui il Figlio dell'uomo va incontro guardandolo dritto in faccia, e la volontà del Padre suo. L'episodio raccontato da Matteo lo conosciamo tutti; il detto: ?Vade retro, Satana!? è tratto da qui; la traduzione italiana è stata corretta in occasione della pubblicazione dell'ultima versione della Bibbia di Gerusalemme - meglio tardi che mai! -: ?Va' dietro a me, Satana!?; Gesù ricorda a Pietro e a chiunque scelga di portate il nome di cristiano, che la strada la traccia Gesù, il cammino lo apre Lui.

Non siamo noi a decidere che cosa è meglio fare, o non fare, per essere discepoli del Regno dei Cieli. Non abbiamo alternative: dobbiamo seguire Lui, che ci piaccia o no.

E a Pietro non piace proprio! Sapere che il suo Signore sta per soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti, degli scribi, e venire ucciso... non è una prospettiva incoraggiante, né per Gesù, tantomeno per Simon Pietro e per gli altri Undici. Non c'è da stupirsi se colui che aveva appena ricevuto il titolo di principe degli apostoli, il potere delle chiavi etc. etc., reagiva alla notizia opponendosi con decisione.

Ma ecco che Gesù spiazza nuovamente l'apostolo e, con lui anche gli altri: evitare la passione significa pensare secondo gli uomini e non secondo Dio.

Opporsi al destino tragico che attendeva il Figlio dell'uomo, significava opporsi niente meno che alla volontà Dio; per converso, arrendersi alla violenza dei malvagi, senza reagire né difendersi, significava arrendersi alla volontà di Dio.

È l'ennesimo paradosso della fede, anzi, il peggior paradosso che si possa immaginare, cioè non immaginare.

Poi, a pensarci bene, all'inizio della Sua vita pubblica, commentando le Beatitudini, Gesù aveva affermato: ?Non opponetevi al malvagio; se uno vi percuote la guancia destra, porgete anche l'altra. (...) Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del vostro Padre celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Se date il vostro saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? (...) Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.? (cfr. Mt 5, 38ss.).

Per Gesù era venuto il momento di mostrare con i fatti quello che aveva insegnato sulla montagna. Ma non si è mai pronti a diventar perfetti come il Padre celeste.

E poi, perché dovremmo fare qualcosa di straordinario? In fondo siamo persone normali, senza infamia e senza lode. Viviamo tempi duri, ove dominano i prepotenti. Cara grazia che non ci mettiamo anche noi tra quelli che alzano la voce, alzano le mani, e altro ancora.

Al giorno d'oggi è già straordinario astenersi dal sottoscrivere la mentalità della violenza, imitando l'esempio dei prepotenti.

Per contro, anche l'inerzia, il silenzio di chi non si oppone è una forma di accondiscendenza, un consenso implicito alle strategie del terrore!

Attenzione! Quest'ultima affermazione puzza di Tentatore lontano un miglio!

Ricordate come reagì il Signore durante il processo intentato dal sinedrio contro di Lui? che cosa rispose alle false accuse che i sommi sacerdoti muovevano a suo carico dinanzi a Pilato?

I moderni giuristi risponderebbero che Gesù si avvalse della facoltà di non rispondere, o, come dicono gli Americani, invocò il quinto emendamento della Costituzione.

Davanti ai suoi accusatori, Gesù non reagì, rimase in silenzio.

Il governatore romano ne rimase assai meravigliato; in effetti, la rinuncia a difendersi costituiva ai tempi di Gesù un fatto del tutto straordinario; e, naturalmente, era interpretato come tacita ammissione di colpevolezza.

Venendo a noi: in una società come la nostra, dove sembra che l'unico comportamento logico, ragionevole, sensato, sia rispondere a tono, sempre, alle provocazioni; difendersi dagli attacchi usando tutti i mezzi a disposizione, anzi, attaccare per primi - parlano di attacco preventivo -. Ebbene, in una società come la nostra, dove, fin da bambini, ci insegnano ad essere diffidenti per principio, la scelta di non rispondere alle provocazioni, di non reagire alla violenza con altrettanta violenza, financo rinunciando alla legittima difesa; questo sì che è straordinario, questo sì che è trasgressivo, perché va contro il modo comune di pensare e di agire.

Anche se si rischia di essere presi per fessi, per vigliacchi, gente che non sa farsi i propri interessi, gente debole, gente meschina, gente di poco valore; ma che dico, ?di poco valore?, di ?nessun valore?! L'atteggiamento non violento assunto come principio di vita, in opposizione al principio di morte che sembra animare uomini e donne - specie uomini! - di ogni età, colore, classe sociale, fede religiosa, questo è il nuovo decalogo che Gesù promulga a compimento di quello di Mosè (cfr. Mt capp. 5 e 6).

Anche se, più che un compimento della legge antica, il decalogo delle Beatitudini si pone in alternativa ad alcuni paradigmi della morale ebraica, come: ?occhio per occhio, dente per dente?, ?amerai il tuo fratello e odierai il tuo nemico?...

Del resto, lo stesso Signore venne ritenuto come un debole, un incapace, e non solo dai suoi oppositori, ai piedi della croce. Se ricordate, i discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24) esprimono tutto il loro disincanto, la loro delusione nei confronti di Gesù, che avevano creduto il Messia, colui che avrebbe finalmente liberato Israele. E invece, anche Lui si era dimostrato un folle, peggio, un impostore. Promesse tante. Ma poi, una pietra aveva sigillato il sepolcro di Gesù e, con Lui, anche i loro sogni di gloria.

?La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?? La gente pensi un po' quello che vuole.

Non ci interessa...

?Ma voi, chi dite che sia il Cristo?? Questo sì che ci interessa! Questo sì che ci impegna!

Ci impegna a rispondere, non solo a parole.

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04/09/2017 07:24
 
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Nel Vangelo di Luca l'episodio della predica di Gesù nella sinagoga di Nazaret ha valore programmatico, perciò è tanto più importante capire con esattezza il suo significato. Spesso viene interpretato in modo erroneo, perché si cerca di imporre al testo di Luca la prospettiva del passo parallelo di Marco e Matteo, mentre l'orientamento di Luca è diverso.
Luca lo vediamo distingue chiaramente due tempi contrastanti in questa visita alla sinagoga di Nazaret. In un primo tempo Gesù legge una profezia di Isaia e la dichiara adempiuta, perché lui stesso sta predicando l'anno di grazia annunziato dall'oracolo profetico. La reazione della gente di Nazaret è quanto mai favorevole: "Tutti gli rendevano testimonianza scrive l'evangelista ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca". In un secondo tempo, però, Gesù riprende a parlare citando l'esempio del profeta Elia e del profeta Eliseo, entrambi autori di miracoli a profitto non di connazionali, bensì di stranieri: la vedova di Sarepta e il siro Naaman il lebbroso. Allora la reazione dei nazaretani si capovolge: "Tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno", al punto di voler perfino uccidere Gesù, precipitandolo in un precipizio.
Come si spiega questo completo voltafaccia? Per spiegarlo correttamente occorre capire i sentimenti dei compaesani di Gesù. Quando dicono, dopo il suo primo intervento: "Non è il figlio di Giuseppe?" non ~ dicono con un senso di disprezzo, come negli altri sinottici, ma per sottolineare che Gesù, questo nuovo, ammirevole profeta, è un loro compaesano, quindi appartiene a loro. Il loro atteggiamento esprime una tendenza possessiva. Se Gesù ci appartiene, pensano, deve riservare a noi il primo posto nel suo ministero, deve fare per noi i miracoli! Gesù avverte questi loro pensieri e non li accetta, anzi li denuncia: "Di certo voi mi direte: Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui nella tua patria!". Ma Gesù ribatte: "Nessun profeta è "accoglibile" nella sua patria" ("accoglibile" è la traduzione precisa del termine usato qui da Luca). E Gesù lo spiega con gli esempi di Elia e di Eliseo. Gesù, cioè, si è opposto risolutamente alla tendenza possessiva dei suoi concittadini e ha richiesto loro una grande apertura di cuore, li ha invitati ad accettare che egli si dedicasse al servizio di altra gente, che andasse altrove a compiere i suoi miracoli. Contrastato, l'affetto possessivo si muta in odio violento (tanti drammi passionali si spiegano così; tanto più era forte l'affetto possessivo, tanto più violenta è la reazione contraria).
Lo stesso atteggiamento si ritrova poi negli Atti degli Apostoli da parte dei Giudei che contrastano l'apostolato di Paolo. Lo contrastano perché vedono che ha successo presso i pagani; sono presi da gelosia, e invece di ascoltare il messaggio evangelico perseguitano l'Apostolo.
Se vogliamo essere con Gesù, dobbiamo aprirci alla lezione molto seria di questo Vangelo: per essere con lui è necessario aprire il proprio cuore, non amare neppure Gesù in maniera possessiva, chiedendo per noi stessi le sue grazie, i suoi favori, chiedendo privilegi...
Se vogliamo essere veramente con lui, lo dobbiamo accompagnare quando va verso altra gente e quindi accogliere le grandi intenzioni missionarie della Chiesa. Soltanto così siamo veramente uniti al cuore di Gesù, altrimenti il nostro è un certo egoismo spirituale, che, per quanto spirituale, rimane egoismo, contrario alla carità di Cristo.
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05/09/2017 09:08
 
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DO222 ;
Quando Gesù parlava, la gente era colpita dall'autorevolezza della sua parola. Egli non si riferiva alla tradizione degli scribi, ma "parlava con autorità": lo dicono e lo dimostrano tutti gli evangelisti.
Era la grande novità. In Israele il modo normale di insegnare era di riferirsi sempre all'insegnamento dei predecessori, alla tradizione. Lo vediamo ancora oggi in tutti i documenti della tradizione giudaica: si riferisce quello che diceva rabbi Gamaliel, rabbi Achiba, o tanti altri... Gesù invece parlava senza cercare appoggio sull'autorità di nessuno: aveva la sua autorità personale e questo bastava.
il Vangelo di oggi ci mostra che questa autorità era poi confermata dalla efficacia della sua parola. Sono infatti due cose diverse, parlare con autorità e avere un discorso efficace. L'efficacia della parola di Gesù viene dimostrata dal suo intervento per scacciare un demonio. Egli intima al demonio di tacere e di uscire dalla persona di cui si è impadronito; e il demonio non può fare altro che obbedire: "I' demonio uscì da lui senza fargli alcun male". "Tutti furono presi da paura", la paura che prende un uomo quando vede una manifestazione divina, "e si dicevano l'un l'altro: "Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti immondi?"". La parola di Gesù non è soltanto autorevole, ma è efficace. Lo sappiamo, lo crediamo e questo è il fondamento della nostra sicurezza.
San Paolo nella prima lettura dice: "Voi, fratelli, non siete nelle tenebre... Voi siete figli della luce, figli del giorno". Siamo figli della luce grazie alla parola di Gesù, figli del giorno grazie all'efficacia di questa parola. Nei sacramenti della Chiesa la parola di Cristo ci raggiunge; non raggiunge soltanto le nostre orecchie, ma il nostro cuore, la nostra coscienza; ci purifica fino in fondo; fa di noi i figli della luce, e così siamo nella sicurezza, non ci troviamo nel pericolo di essere sorpresi. Qualsiasi tribolazione venga, siamo attrezzati per trasformare k difficokà in occasione di progresso, di vittoria.
Quelli che sono attaccati ai beni terreni si trovano sempre nell'insicurezza; chi invece segue Cristo e accoglie la sua parola ha in se stesso la forza tranquilla che permette di superare ogni ostacolo.
"Dio dice Paolo non ci ha destinati alla sua collera, ma all'acquisto della salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo". Cristo è morto per noi; la sua parola ne ha acquistato tanta più potenza, tanta più efficacia: ormai possiamo essere sempre con lui, vivere con lui e per lui, e trovarci così nella più profonda pace.
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