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RIFLESSIONI BIBLICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:42
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24/11/2015 07:34
 
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Nella regione del Tonchino, Annam e Cocincina – ora Vietnam – ad opera di intrepidi missionari, risuonò per la prima volta nel sec. XVI la parola del Vangelo. Il martirio fecondò la semina apostolica in questo lembo dell’Oriente. Dal 1625 al 1886, salvo rari periodi di quiete, infuriò una violenza persecuzione con la quale gli imperatori e i mandarini misero in atto ogni genere di astuzie e di perfidie per stroncare la tenera piantagione della Chiesa. Il totale delle vittime, nel corso di tre secoli, ammonta a circa 130.000. La crudeltà dei carnefici, non piegò l’invitta costanza dei confessori della fede: decapitati, crocifissi, strangolati, segati, squartati, sottoposti a inenarrabili torture nel carcere e nelle miniere fecero rifulgere la gloria del Signore, «che rivela nei deboli la sua potenza e dona agli inermi la forza del martirio» (M.R., prefazio dei martiri). Giovanni Paolo II, la domenica 19 giugno 1988, accomunò nell’aureola dei santi una schiera di 117 martiri di varia nazionalità, condizione sociale ed ecclesiale: sacerdoti, seminaristi, catechisti, semplici laici fra cui una mamma e diversi padri di famiglia, soldati, contadini, artigiani, pescatori. Un nome viene segnalato: Andrea Dung-Lac, presbitero, martirizzato nel 1839 e beatificato nel 1900 anno giubilare della redenzione da Leone XIII. Il 24 novembre è il giorno del martirio di alcuni di questi santi
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25/11/2015 08:36
 
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Tra la prima lettura della Messa di oggi e il Vangelo, a prima vista non si scorge nessun rapporto. Da una parte, il racconto di un banchetto regale turbato da un episodio misterioso; dall'altra, la predizione fatta da Gesù di persecuzioni contro i suoi discepoli. È possibile tuttavia avvertire tra i due testi un rapporto di contrasto, molto significativo.
Infatti, vediamo, nella prima lettura, il trionfo di un personaggio ricco, potente, giunto al più alto grado del successo umano: il re Baldassar esercita la sua dominazione su un immenso impero e può far organizzare celebrazioni grandiose: l'imbandisce un gran banchetto a mille dei suoi dignitari" (Dn 5, 1).
Nel Vangelo, una sorte diversa viene annunziata da Gesù ai suoi discepoli: "Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni... sarete traditi... sarete odiati da tutti..." (Lc 21, 12.16.17). Invece della felicità esultante di un banchetto, la sorte misera di chi è braccato come i criminali.
Il contrasto violento tra le due situazioni sa di scandaloso, perché non si accorda affatto con le esigenze della giustizia. Il re Baldassar, infatti, abusa della sua potenza per commettere atti sacrileghi: comanda che siano portati al banchetto i vasi sacri del tempio di Gerusalemme e profana questi vasi, usandoli per bere e ubriacarsi (Dn 5,25). Prende quindi la figura dell'empio trionfante e insolente, come appare nel salmo 73 (72),312.
Scandalosa anche è l'infelicità dei discepoli di Gesù, perché non meritano di essere perseguitati, incarcerati, odiati. L'unico motivo che provoca contro di loro l'ostilità è il loro attaccamento alla persona di Gesù, la loro fede in lui. Gesù lo dice: "Vi perseguiteranno... a causa del mio nome" (Lc 19, 12); "sarete odiati da tutti per causa del mio nome" (Lc 19, 17). Com'è strano! Come mai l'essere attaccati alla persona più buona e generosa che esista può provocare persecuzione e odio? E completamente illogico! Però è così. E una manifestazione del "mistero dell'iniquità" (2 Ts 2, 7).
La Sacra Scrittura non ci lascia sotto l'impressione dello scandalo, ci dimostra che, in realtà, la situazione dei discepoli perseguitati è molto preferibile a quella del re trionfante. U trionfo del re è fragile; i suoi godimenti sono superficiali. Al livello più profondo, egli si trova in una insicurezza completa, perché gli manca il solo appoggio veramente importante, cioè la giusta relazione con Dio. L'apparizione di una mano che scrive "sulla parete della sala reale" (Dn 5,5) non provoca l'insicurezza, ma la rivela: da un istante all'altro, il re trionfante si trasforma in un uomo che trema; "i ginocchi gli battevano l'uno contro l'altro" (Dn 5,6).
Invece, i discepoli perseguitati a causa della loro fede in Gesù si trovano paradossalmente in perfetta sicurezza. La loro sensibilità può essere sconvolta; nel profondo del cuore, però, sono tranquilli, nella pace. Trascinati davanti ai tribunali, non debbono nemmeno preoccuparsi di preparare la loro difesa. Gesù promette loro: "Io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere" (Lc 21,15). Effettivamente, gli avversari di santo Stefano "non riuscivano a resistere alla sapienza ispirata con cui egli parlava" (At 6,10). I discepoli di Gesù sanno che, perdendo la loro vita per lui, la salvano (cfr. Mt 16,25; Mc 8,35; Lc 9,24). Niente sarà perso. "Nemmeno un capello del vostro capo perirà" (Lc 21,18). Anche se abbandonato da tutti, come Paolo nel suo ultimo processo (2 Tm 4, 16), il vero discepolo ha il Signore vicino, che gli dà forza (4, 17) e lo libererà da ogni male, salvandolo per il suo regno eterno (4,18).
La sola cosa importante, quindi, è che la nostra relazione personale con Cristo sia autentica. Lo è davvero? Se viviamo veramente per lui, niente ci può nuocere, tutto diventa occasione di progresso e di vittoria. In tutte le prove, "siamo più che vincitori, per virtù di colui che ci ha amati" (Rm 8,37).
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26/11/2015 08:06
 
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C'è un fortissimo contrasto fra la descrizione che Gesù fa degli avvenimenti ultimi, di sconvolgimento del cielo e della terra, e la sua esortazione finale: "Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina". Invece di spaventarsi, i credenti devono essere nella gioia, nell'attesa della vicina liberazione.
Questo passo del Vangelo mi fa pensare a un fatto personale.
Durante la guerra lavoravo in una polveriera per i nazisti, e il nostro campo vi era vicinissimo.
Una notte fummo svegliati dal rombo degli aerei e da enormi luci nel cielo e fuggimmo a piedi verso la campagna.
Mentre correvo sentivo i miei compagni che gridavano spaventati; io invece provavo una grande esultanza: quegli aerei erano contro i nostri nemici e preparavano la liberazione.
E pensavo proprio a questo Vangelo: "Quando cominceranno ad accadere queste cose, levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina", e l'ho capito meglio.
Così ogni tribolazione è foriera di vittoria, se in essa siamo docili alla potenza dello Spirito che tutto rinnova; così la sofferenza della morte è liberazione verso Cristo, nella vita per sempre. Pensiamo alle parole di san Paolo: "Desidero essere sciolto dal corpo, per essere con Cristo...".
Facciamo nostra questa visione cristiana, che legge gli avvenimenti alla luce della fede e della speranza.
Esternamente non cambierà nulla, ma noi saremo sempre nella pace, quella portataci da Gesù risorto.
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27/11/2015 07:49
 
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La prima lettura di oggi ci fa capire un paradosso: il potere umano è "inumano"; l'unico regno "umano" è il regno di Dio.
Daniele vede quattro bestie: un leone mostruoso, che si rizza come un uomo e ha cuore di uomo; un orso, al quale viene detto: "Su, divora molta carne"; un leopardo a cui viene dato il dominio e infine "una bestia spaventosa, terribile" che divorava, stritolava, calpestava.
Ecco il potere umano non sottomesso a Dio, crudele, inumano, che sembra non dover mai finire ed è miserabile, inconsistente.
Ad esso Daniele contrappone il potere di Dio nella visione di "uno, simile a un figlio d'uomo", che riceve potere, gloria e regno da Dio stesso. E il re che ha preferito soffrire anziché far soffrire, che si è fatto uomo per capire meglio gli uomini e guidarli in modo umano, con mitezza e umiltà.
La profezia di Daniele anticipa la grande rivelazione del Nuovo Testamento, dove è ricordata in momenti decisivi. Il Figlio dell'uomo al quale Dio dà gloria, potenza e regno è evocato da Cristo nella risposta al Sommo Sacerdote: "Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?". "Si, e vedrete il Figlio dell'uomo venire sulle nubi del cielo...". E i cristiani hanno esultato nel rileggere la profezia, e contemplano Cristo alla destra di Dio. Nell'ultimo incontro di Gesù con i suoi, egli proclama che questa profezia è attuata: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra".
Questa visione deve dunque essere per noi motivo di fiducia incrollabile e di esultanza: Cristo ha ottenuto il regno eterno, è il nostro re mite e umile, che ci ha fatto sacerdoti del Padre suo.
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28/11/2015 09:29
 
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Il versetto dell'Alleluia nella Eucaristia odierna esprime l'atteggiamento che la Chiesa ci suggerisce oggi, ultimo giorno dell'anno liturgico: speranza e vigilanza: "Siate vigilanti, fissate la speranza in quella grazia che vi sarà data al ritorno del Signore Gesù Cristo". Possiamo sperare perché, come leggiamo nel libro di Daniele, "il regno, il potere e la grandezza di tutti i regni saranno dati al popolo dei Santi dell'Altissimo". Allora il Figlio dell'uomo di cui abbiamo letto ieri corrisponde al popolo? È un punto oscuro. L'espressione qui ha senso collettivo e sempre messianico, ma il senso personale non è eliminato, perché il Figlio dell'uomo è nello stesso tempo il capo, il rappresentante e il modello del popolo dei santi: Gesù ha più volte indicato se stesso come il Figlio dell'uomo. I santi, dice Daniele, saranno per un certo tempo dati nelle mani dei nemici, poi Dio li sottrarrà al loro potere ed essi riceveranno il regno. Ecco la nostra speranza. "Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo". Gesù ha vinto e noi partecipiamo alla sua vittoria se rimaniamo uniti a lui, pregando e vigilando.
L'ultimo giorno dell'anno. liturgico ci mette in questa atmosfera di fiducia e di pace e possiamo con gioia benedire il Signore con le parole del salino responsoriale: "Benedite, figli dell'uomo, il Signore. I Benedica Israele il Signore. / Benedite, sacerdoti del Signore, il Signore. / Benedite, o servi del Signore, il Signore. I Benedite, spiriti e anime dei giusti, il Signore. I Benedite, pli e umili di cuore, il Signore".
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29/11/2015 08:38
 
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don Luigi Trapelli
Vigilanti nell'attesa

Inizia oggi il tempo meraviglioso di attesa dell'Avvento. Quest'anno avremo come filo conduttore il Vangelo secondo Luca. Come sempre la prima domenica ci presenta la venuta di Gesù alla fine dei tempi.

1. Nella prima parte, Gesù ci presenta i segni premonitori della fine dei tempi. Il linguaggio è sicuramente forte, con tinte fosche, usando quel genere detto apocalittico, tipico dei momenti di difficoltà e di crisi. Tuttavia, il centro della scena si lega alla venuta del Figlio dell'uomo che viene sopra le nubi con potenza e gloria grande. Proprio in questo arrivo, Gesù ci fa capire che è necessario alzare il capo perché è arrivato non tanto il giudizio, quanto la liberazione, la salvezza.

2. Gesù ci invita a restare in guardia, a non mettere troppo al centro gli affanni della vita, perché quel giorno, il giorno finale, può capitare da un momento all'altro. Nessuno nella Chiesa può mai sentirsi un salvato. L'atteggiamento corretto è quello della vigilanza e della preghiera per comparire davanti al Figlio dell'uomo.?

Cosa può voler dire per noi questo testo.

?1. Siamo persone che vivono nell'attesa costante. Un incontro nuovo, un rapporto di amore vero, un figlio, quante attese noi abbiamo in questa nostra vita. L'attesa più bella, però, è proprio il gusto dell'attendere. Pensiamo alla volpe e al Piccolo principe.... La persona matura è quella che sa vivere nella costante attesa, che non si siede mai, che cerca sempre nuove strade, professionali e personali. ?Noi siamo uomini e donne dell'attesa.?

2. Molta gente oggi sta cercando salvatori, liberatori, incrociando strade non sempre corrette. Non sono le politiche o le ideologie a salvarci e a liberarci, anzi non ci sono uomini che ti liberano, ma uomini che si liberano perché si affidano a Gesù, Colui che solo ti può liberare veramente.?

3.Per crescere, bisognerebbe imparare a vegliare e a pregare sempre, sia perché la nostra vita è sempre in bilico, sia perché siamo persone che vivono una profonda dimensione spirituale. Puoi togliere tutto a una persona, ma la dimensione spirituale è quella che ti fa vivere e camminare.? L'uomo non è chiamato a guardare troppo in basso, ma ad alzare il capo, a vivere la sua dignità, la sua umanità, la sua dimensione più vera che è quella spirituale per incontrare Gesù.?

Sono convinto che oggi ci sia un grande bisogno della dimensione spirituale e della preghiera e che tanti la stiano cercando. Per questo l'esposizione del Santissimo Sacramento che molte parrocchie faranno in questo periodo di Avvento, sono il segno dell'importanza che la preghiera e la dimensione spirituale assumono nella nostra vita. Dare del tempo a Dio nel silenzio, con Gesù Eucarestia.

?Buon Avvento a tutti vo
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30/11/2015 07:28
 
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Oggi celebriamo la festa dell'Apostolo Andrea, fratello di Simon Pietro e amico di Giovanni e di Giacomo. Il Vangelo ci narra come Andrea ha ascoltato la parola di Dio che gli era rivolta: ""Seguitemi, vi farò pescatori di uomini". Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono". E questa adesione pronta che ha permesso agli Apostoli di diffondere la parola, la "buona notizia" della salvezza. La fede viene dall'ascolto e ciò che si ascolta è la parola di Cristo, che anche oggi la Chiesa diffonde fino alle estremità della terra.
Siamo dunque sollecitati ad ascoltare la parola, ad accoglierla nel cuore. Essa è un rimedio salutare. E una parola esigente, ed è questo il motivo per cui facilmente vorremmo chiudere le orecchie a Dio che ci parla: capiamo che l'ascolto avrà delle conseguenze. Dobbiamo pensare che la parola di Dio è davvero un rimedio, che se qualche volta ci fa soffrire è per il nostro bene, per prepararci a ricevere i doni del Signore.
Ma la parola non è solo un rimedio, è un cibo, il cibo indispensabile per l'anima. E detto nei profeti che Dio metterà nel mondo una fame, non fame di pane, ma di ascoltare la sua parola. E di questa fame che abbiamo bisogno, perché ci fa continuamente cercare e accogliere la parola di Dio, sapendo che essa ci deve nutrire per tutta la vita. Niente nella vita può avere consistenza, niente può veramente soddisfarci se non è nutrito, penetrato, illuminato, guidato dalla parola del Signore.
Nello stesso tempo la parola di Dio è una esigenza. Gesù ne parla come di seme che deve crescere e diffondersi Ovunque. Da questa parola viene la fecondità di Ogni apostolato. Se si dicono parole umane, non è il caso di considerarsi apostoli, ma se abbiamo accolto in noi la parola di Dio, essa ci spinge a proclamarla, a diffonderla dappertutto, per mettere gli uomini in comunicazione con Dio.
Da san Giovanni sappiamo che non è facile ascoltare la parola di Dio, che non è opera umana.
Gesù rimprovera ai farisei di non essere capaci di ascoltare la sua parola, perché non sono docili a Dio:
"Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me" (Gv 6,45), dice il Signore: per ascoltare la parola di Dio bisogna essere stati intimamente docili al Padre.
Infine, questa Parola fa la nostra felicità, perché è mezzo di comunicazione. La parola è sempre mezzo di comunicazione, è il mezzo per eccellenza della comunicazione umana. Senza di essa non potremmo comunicare fra noi, non potremmo capirci, non potremmo lavorare insieme. Ora, la parola di Dio è il mezzo della comunicazione con Dio. Se vogliamo essere in comunione con Dio dobbiamo accogliere in noi la sua parola.
D'altronde è lui che nella sua bontà e generosità ci dà la sua parola, ci mette in comunicazione, è lui che parla per primo, che ci apre le orecchie perché possiamo ascoltare, come dice un salmo, e ci dà la gioia di parlare con lui. La parola di Dio è anche il mezzo migliore per essere in comunione fra noi. Non facciamoci illusioni: la vera fraternità è possibile soltanto nella parola di Dio. Se noi la rifiutiamo, i più bei desideri, i più bei propositi di essere in comunione con gli altri sono destinati al fallimento, perché manca il vero fondamento, che è la comunione con Dio.
Domandiamo a sant'Andrea di insegnarci ad ascoltare, ad accogliere la parola di Dio molto generosamente, molto semplicemente, molto fraternamente, per essere in comunione con Dio e gli uni con gli altri.
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01/12/2015 05:26
 
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Quando coloro che credono di poter risolvere tutti i problemi e rispondere a tutti i “perché” dell’uomo con la sola forza della ragione, facendo un atto di suprema intelligenza, piegano la mente di fronte alla Mente Suprema che è il Logos, il Verbo di Dio, essi penetrano in una dimensione spirituale in cui si partecipa della luce divina che arricchisce la stessa mente umana.
Non è possibile conoscere il Padre, andare al Padre, se non si passa per Gesù. Ora, fra le sue parole ce n’è una in cui si coglie il cuore del suo insegnamento e si ha in mano la chiave della salvezza, perché è su quella che saremo giudicati: “Qualunque cosa avete fatto al più piccolo l’avete fatta a me” (Mt 25,40).
Egli si nasconde sotto le spoglie di ogni nostro prossimo, che diviene così - come Gesù - via per andare al Padre, per conoscere il Padre. È così semplice da essere quasi incredibile: per arrivare a Dio, passare per l’uomo con tutte le implicazioni che la vita personale e sociale comporta.
È così semplice che Gesù ha voluto avvertirci. È una verità, egli ci dice, che solo i semplici afferrano, i piccoli.
E con ciò la strada è aperta veramente per tutti, anche per gli adulti, gli anziani, i sapienti, i furbi, se sanno farsi piccoli, accantonando per un momento tutta la loro scienza ed esperienza di vita, per mettersi all’ascolto del Signore, e vivere la sua parola.
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02/12/2015 08:25
 
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Gesù, di ritorno in Galilea da una predicazione nelle regioni di Tiro e Sidone, oltre i confini della Palestina, moltiplica nuovamente i pani (cf. Mt 14,13-21). Questa volta i destinatari non sono solo gli ebrei, ma anche i pagani scesi con lui in Galilea. L’evangelista annota, infatti, che, dopo la moltiplicazione dei pani, i presenti hanno glorificato il Dio del popolo d’Israele. Lo scopo del miracolo è di far capire che tutti, indistintamente, possono beneficiare della salvezza.
Anche i discepoli sembrano avere intuito la sproporzione del compito che, in prospettiva futura, sarebbe stato loro affidato. “Dove troveremo tutto il pane per sfamare tanta gente?”. Come faremo ora che i confini della Palestina sono stati infranti e culture diverse sono state incluse da Cristo nell’orizzonte della salvezza?
La domanda posta dai discepoli a Gesù è la stessa che l’uomo pone a Dio, dall’abisso della sua povertà. È la consapevolezza, che affiora spesso in noi, che senza di lui non possiamo fare nulla.
All’arduo lavoro per la conversione di noi stessi, al compito di testimoniare la nostra fede agli altri e di annunciare il vangelo a tutto il mondo che ci circonda, si pone come ostacolo la sproporzione delle nostre forze: dove troveremo, Signore, la capacità e il coraggio per dare una risposta al bisogno di verità, di giustizia, di amore dell’umanità intera?
Il nostro operare nel mondo può svolgersi secondo il disegno del Padre, senza provocare violenze e soprusi, solo se nel cuore sappiamo mantenere un atteggiamento profondamente religioso: quello di sapere che abbiamo sempre bisogno dell’aiuto del Signore.


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03/12/2015 07:24
 
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Ripensiamo al ministero apostolico di san Francesco Saverio, per ammirare il dinamismo che lo animò sempre.
San Francesco Saverio fu mandato nelle Indie, come dire, allora nel 1542 all'estremità del mondo, dove si arrivava con viaggi lunghissimi e pieni di pericoli. Subito si diede all'evangelizzazione, ma non in un solo posto, bensì in numerose città e villaggi, viaggiando continuamente, senza temere né intemperie nè pericoli di ogni genere. E non si accontentò delle Indie, che pure erano un campo immenso di apostolato, che sarebbe bastato per parecchie vite d'uomo. Egli era spinto dall'urgenza di estendere il regno di Dio, di preparare dovunque la venuta del Signore e così, dopo appena due anni, giunge a Ceyfon e poi ancora più lontano, alle isole Molucche. Torna in India per confermare i risultati della sua evangelizzazione, per organizzare, per dare nuovo impulso all'opera dei suoi compagni, ma non vi rimane a lungo. Vuoi andare ancora più lontano, in Giappone, perché gli hanno detto che è un regno molto importante, ed egli spera che la conversione del Giappone possa influire su tutto l'Estremo Oriente. E in Giappone riprende i suoi viaggi estenuanti, estate e inverno, sotto la neve, con fatiche estreme. Torna dal Giappone, ma il suo desiderio lo spinge verso la Cina. Ed è proprio mentre tenta di penetrare in questo immenso impero che muore nell'isola di Sanchian nel 1552.
In una decina di anni ha percorso migliaia e migliaia di chilometri, malgrado le difficoltà del tempo, si è rivolto a numerosi popoli, in tutte le lingue, con mezzi di fortuna. Tutto questo rivela un dinamismo straordinario, che egli attingeva nella preghiera e nella unione con il Signore, nella unione al mistero di Dio che vuole comunicarsi.
Anche Gesù, per venire in mezzo a noi, ha superato una distanza infinita: ha lasciato il Padre, come dice il Vangelo giovanneo, per venire nel mondo. E nel suo breve ministero di tre anni ha continuato questo viaggio: si spostava continuamente, non aspettava che la gente andasse da lui, ma percorreva città e villaggi per annunciare la buona novella del regno.
E ora? Ora, se si vuole che Gesù venga, bisogna agire nello stesso modo: non aspettare che gli altri vengano da noi, ma andare noi da loro.
San Francesco Saverio ha dovuto fare viaggi enormi, è continuamente andato verso gli altri, sospinto dall'urgenza di preparare dovunque la venuta del Signore, e in questo modo ha preparato la venuta del Signore in se stesso. Dopo essersi estenuato, dopo aver speso tutte sue forze, la sua intelligenza, il suo cuore, egli riceveva il Signore a tal punto che lo supplicava di limitare un po' le grazie di cui lo inondava.
suo viso era radioso, il suo cuore fremeva, si dilatava: egli aveva seguito in pieno l'ispirazione che il Signore gli aveva dato e per questo il mistero di Cristo si rinnovava nel suo intimo. Andare agli altri, senza aspettare che siano essi a venire: ecco la missione della Chiesa, la missione di ogni cristiano, ognuno nella sua situazione concreta. Se vogliamo che il Signore venga a noi, noi dobbiamo preparare la sua venuta negli altri, dobbiamo andare da loro, corrispondendo al dinamismo della misericordia divina.
È questa la rivelazione del Nuovo Testamento, che completa quella dell'Antico: la rivelazione di una misericordia che si diffonde, sempre più lontano.
Accogliamo la rivelazione di questo dinamismo dell'amore che viene da Dio: se vogliamo ricevere Cristo in noi dobbiamo essere pronti a portarlo agli altri, seguendo questo movimento che ci porta sempre fuori di noi stessi, verso gli altri con grande amore.
E questo l'insegnamento che ci viene dalla vita di san Francesco Saverio, in modo impressionante. Per ricevere l'amore di Dio bisogna trasmetterlo, per riceverlo di più bisogna averlo dato agli altri molto fedelmente, molto generosamente. Domandiamo al Signore la grazia di corrispondere davvero al desiderio del suo cuore.
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04/12/2015 07:29
 
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Due ciechi lo seguivano urlando. È un urlo che viene dal profondo come accade per chi non può vedere la forma delle cose, quindi la loro bellezza e la verità che in esse si cela. Solo un cieco può urlare per riavere la vista. È, la sua, una domanda singolare di pietà, quasi violenta, tanto acuto ha il sentimento della perdita che il non vedere implica.
I due non si peritano neppure di dire cosa vogliono: quell’urlo parla per loro quando si sono accostati a Gesù. Ma avrebbero urlato se non fossero stati assolutamente certi che ciò che chiedevano quell’uomo poteva compierlo?
Si può urlare per ricevere pietà, se si è mossi da un bisogno incontenibile, da un desiderio insaziabile, solo quando ci si imbatte in uno che può compiere il miracolo.
E Gesù esaudisce la domanda di fede. Apre gli occhi ai due. Perché normalmente la nostra fede non ha la forza di questo urlo? Perché si stempera nella dimenticanza annoiata? Perché si affievolisce nella prova come un lucignolo fumigante? Forse perché il nostro cuore si ottunde e non anela più a quella bellezza che commuove e a quella affezione che edifica.
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05/12/2015 06:15
 
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Due immagini vengono rapidamente evocate in questi pochi versetti del Vangelo di Matteo: quella del pastore col suo gregge e quella dell’agricoltore nel suo campo.
Anzi le immagini sono, per così dire, dolorosamente incompiute: sembra che il gregge non abbia guida e che il padrone non si prenda abbastanza cura della sua messe.
In realtà l’intento è quello di rivelarci da un lato la coscienza missionaria di Gesù, e di anticiparci dall’altro il significato e lo scopo della chiamata dei discepoli (cf. Mt 10).
In Gesù persona e missione coincidono: la compassione che egli prova davanti alle folle che gli appaiono “stanche e sfinite come pecore senza pastore” è l’esperienza terrena che il Cristo fa quando si presenta al suo popolo: ma questa esperienza manifesta come il suo “io filiale”, già da tutta l’eternità, sia costituito davanti al Padre in una “responsabilità salvifica” nei riguardi dell’intera creazione. Gesù non solo prova compassione, ma è la compassione di Dio che si è fatta presente nella storia.
La “domanda al padrone della messe” di inviare operai nel suo campo è la preghiera terrena che i discepoli devono fare, ma essa è già esaudita nel dono della venuta di Cristo.
Solo perché il Padre ha inviato il suo stesso Figlio, i discepoli possono offrire se stessi, ed essi devono pregare per essere disponibili a un invito che in Cristo stesso li raggiunge e li afferra.


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06/12/2015 05:19
 
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Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturea e della Traconitide, e Lisània tetrarca dell'Abilene,

Con uno stile solenne Luca introduce la sua storia e ci dà le coordinate storiche, politiche e geografiche del paese in cui sono avvenuti i fatti che racconta. Egli imita i grandi storici greci e romani, ma anche i profeti di Israele (cf. Os 1,1; Ger 1,1-3; Is 1,1). Indicando il tempo e il luogo dove è avvenuta la rivelazione della parola di Dio gli autori sacri ci ricordano che il Signore entra all'interno della storia, la sua Parola è viva ed efficace nelle vicende degli uomini a partire da un tempo preciso.

Luca esagera nei suoi particolari. Sarebbe bastata la menzione dell'anno di regno dell'imperatore romano.

L'evangelista però ci vuole dare anche il quadro politico della Palestina del tempo di Gesù. Il governatore era Ponzio Pilato, però alcune zone erano affidate al governo di qualche signorotto locale, in particolare alla famiglia di Erode il Grande. Riguardo a Lisania non si conosce molto. L'Abilene era una zona posta a nordovest di Damasco e ai tempi faceva parte della Palestina.

2 sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa',

Oltre alle informazioni di tipo politico, Luca ci ricorda anche la situazione religiosa della Palestina. Il sommo sacerdote era un'autorità molto più che religiosa, lo si vede nel processo e nella condanna a morte di Gesù.

Nel periodo qui considerato il sommo sacerdote era Caifa', ma il suo predecessore, Anna, che era anche suo suocero, continuava a far sentire la sua influenza. Quindi Luca li nomina entrambe.

la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.

Cosa accadde dunque, il quindicesimo anno dell'impero di Tiberio Cesare? La parola di Dio discese su Giovanni. Il Signore interviene nella storia, negli eventi, in modo diretto, cominciando da un uomo, il figlio di Zaccaria. Questa discesa della parola su Giovanni avviene nel deserto. Luca al v. 1,80 aveva precisato che il precursore era vissuto in zone desertiche fino all'inizio della sua vita pubblica. Quindi è ovvio che la parola di Dio lo abbia raggiunto nel deserto. Il deserto però per il popolo di Israele aveva una valenza ben più profonda, era il luogo dell'intimità di Dio (cf. Os 2,16), il luogo in cui Egli aveva dato la sua legge attraverso Mosè. Quindi nel deserto della Giudea vi è un nuovo inizio.

3 Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati,

Giovanni si mette a operare nella regione del Giordano in lungo e in largo. Luca dà molto risalto anche alla predicazione di Giovanni Battista. Il suo battesimo è una preparazione per accogliere la salvezza che sta alle porte, nella persona di Gesù. Il perdono dei peccati serve all'accoglienza nella fede (cf. Atti 19,4).

4 com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: preparate la vita del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! 5Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate,

Questa profezia di Isaia si trova riportata allo stesso modo anche negli altri due sinottici. Ciò significa che ai loro tempi era già stata attribuita alla venuta di Cristo. Questo brano, Isaia 40,3, fa parte del Secondo Isaia e predice il ritorno degli esiliati da Babilonia. Il profeta diventa come un araldo che esorta il popolo rimasto in patria a preparare la strada perché il Signore e i deportati rientrino trionfalmente, come in processione.

Una processione trionfale non può snodarsi attraverso vie tortuose, valli e monti! Nell'interpretazione cristiana la voce che grida nel deserto sarà quella di Giovanni il Battista.

6Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!

Solo Luca prolunga la citazione di Isaia con queste parole. Letteralmente significa "ogni carne vedrà la salvezza di Dio". La carne richiama la condizione di fragilità della persona, fragile, ma chiamata a salvezza.

Vedere nella mentalità ebraica significa partecipare in prima persona a un evento. Quindi non siamo chiamati ad assistere più o meno distaccati a una manifestazione. Siamo direttamente coinvolti in questo evento. Siamo perché ogni carne, qui la prospettiva è universalistica. Luca ci tiene ad estendere gli effetti della salvezza a ogni persona e a ogni tempo.

Meditatio

- Ti ricordi il momento preciso della tua vita in cui la Parola è scesa su di te? Che anno era, cosa succedeva in Italia, cosa facevi tu a quel tempo?
- Quali sono oggi nella tua vita le vie tortuose che devi raddrizzare, le valli che vanno colmate, i colli che vanno abbassati?
- Come si è manifestata in me la salvezza di Dio?

Orazione colletta della 2a domenica di Avvento

O Dio grande nell'amore, che chiami gli umili alla luce gloriosa del tuo regno, raddrizza nei nostri cuori i tuoi
sentieri, spiana le alture della superbia, e preparaci a celebrare con fede ardente la venuta del nostro
salvatore, Gesù Cristo tuo Figlio. Egli è Dio...
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07/12/2015 07:45
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Uomo, ti sono perdonati i tuoi peccati


Gesù è persona osservata speciale. Farisei e maestri della Legge vengono da ogni parte della Galilea, della Giudea, da Gerusalemme, per ascoltarlo e per verificare l'ortodossia del suo insegnamento. Sui miracoli nulla potranno mai dire. Sono segni evidente, pubblici, inconfutabili. Sulle parole invece no. È la parola che attesta la verità di un profeta, non i suoi miracoli. Se la Parola di Gesù è trovata non conforme alla Legge di Mosè, di sicuro potrà essere dichiarato un falso profeta e tolto di mezzo.

Questi uomini non vanno da Gesù con cuore puro, semplice, pronto all'ascolto, alla conversione, al ravvedimento. Si recano da Lui con volontà determinata a trovare il male, anche quando questo è inesistente. Non vanno con retta intenzione, sincerità, onestà della mente, disponibilità ad accogliere il vero e il buono che viene da Dio. Il loro intento è quello del contrasto, della trappola, dell'opposizione, del combattimento. Loro sono lì per spiare Gesù e coglierlo in fallo in ogni parola che esce dalla sua bocca. La loro è una presenza triste, perché è presenza di chi ha già deciso che nessuno, neanche Dio, dovrà entrare nel loro sistema religioso. Questo non potrà essere scalfito da nessuno. Dovrà rimanere così come esso è: strumento di morte e non di vita, di esclusione da Dio e non di avvicinamento.

Dinanzi a Gesù, dal tetto, viene calato un uomo, paralitico, che giace su una barella. Appena Gesù lo vede, gli rivolge una parola che tutti noi vorremmo ascoltare: "Uomo, ti sono perdonati i peccati". Con una sola parola, saltando tutte le procedure previste dal Libro del Levitico, tutta la sua lunga ritualità, Gesù rende quest'uomo puro. È questa la straordinaria novità che Gesù introduce nel rapporto con Dio: nel nome di Dio, senza alcun'altra cosa, l'uomo perdona i peccati dell'uomo, lo ricostituisce nell'amicizia con il suo Dio, lo ricolma di pace, gli ridona la vita, risuscita la sua anima, infonde la gioia nel suo spirito. Con una sola parola. Non è chiesto altro, se non il pentimento e la volontà di non peccare più. L'uomo è vero strumento di perdono.

Per i farisei e gli scribi presenti questa è una vera bestemmia. Nessuno può perdonare i peccati. Solo Dio lo può fare. Il loro cuore è chiuso nella loro misera visione miope di Dio. La loro mente è incapace di elevarsi e di pensare in grande. Il loro spirito è imprigionato in una tradizione inattuabile per la salvezza che il Signore ha deciso di operare sulla nostra terra. Dobbiamo passare da una salvezza particolare, circoscritta, ad una salvezza universale, cosmica. In questa salvezza nessuno si dovrà più recare al tempio di Gerusalemme. Questo sarà distrutto e annientato assieme al sacerdozio antico che si vive in questo luogo. Gesù così rende possibile l'impossibile.

La novità del dono della salvezza richiede anche la novità delle forme e delle metodologie. Non si può vivere una salvezza universale in una struttura finita, particolare, ristretta. Non si può versare l'acqua del mare in un secchio. È questa la grande opera di Gesù: la creazione di una nuova via per la remissione dei peccati.

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08/12/2015 08:01
 
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don Walter Magni


Oggi la liturgia smette il coloro viola dell'attesa e della penitenza dell'Avvento e si riveste dei colori luminosi della solennità dell'Immacolata Concezione di Maria. Dove il colore bianco della liturgia allude alla bellezza sfolgorante di Gesù risorto. Con questa solennità dell'Immacolata celebriamo l'inizio stesso della nostra fede, scaturito dal "si" pronunciato con fermezza da una donna.

Maria, donna dell'attesa

Com'è stato possibile tutto questo? Anche Maria, all'angelo che le diceva che sarebbe diventata la Madre del Figlio dell'Altissimo, pone la domanda: "com'è possibile questo?". Tutto questo è stato possibile perché Maria ha saputo umanamente attendere. Maria è stata anzitutto una donna capace di attesa. Se è vero che lo spesso di una persona si commisura dalla qualità delle sue attese, allora bisogna concludere che Maria è la più santa delle creature, perché tutta la sua esistenza è cadenzata dai ritmi gaudiosi di chi sa sempre aspetta. Come stando con pazienza infinita sull'orlo di quello stesso mistero che l'avrebbe avvolta e coinvolta. Già Luca nel brano evangelico odierno parla di lei come una donna promessa, fidanzata: "Promessa sposa di un uomo della casa di Davide". Attesa da un uomo, ma subito in attesa di un figlio. Per nove lunghissimi mesi. E poi l'attesa di tutta una serie di adempimenti legali: l'iscrizione all'albo del censimento dei romani e le prescrizioni per l'offerta a Dio del suo primogenito. E ancora: la ricerca affannosa di Lui che s'era perso a dodici anni nel Tempio; e quella continua attesa di Lui, ad ogni Suo ritorno nella casa di Nazaret, al tempo della Sua predicazione. Sino all'attesa della sua Ora. Presagita come sa presentire una madre. Aspettando persino l'ultimo Suo respiro, vedendoLo inchiodato su di una croce. Sino all'attesa del terzo giorno.


La bellezza di Maria

C'è una espressione di don Tonino Bello a riguardo di Maria che dice così: "attendere: infinito del verbo amare. Anzi, nel vocabolario di Maria, amare all'infinito...". Perché Maria è riuscita a sostenere tutta questa lunga attesa? Perché si è lasciata amare da Dio; perché si è sentita profondamente amata da Dio. Ha percepito sin dall'inizio della sua esistenza un amore profondo e unico da parte di Dio. Perché ha intuito sin dall'inizio della sua esistenza d'essere stata amata e cercata, attesa in modo unico da Dio. Qui sta tutto il segreto della sua santità, il segreto della sua bellezza e della sua verginità.

La bellezza di Maria non sta anzitutto in una purezza astratta, in una verginità statica, fissata dall'inizio della sua esistenza dallo sguardo geloso di Dio, che in lei aveva deciso di incarnare Suo Figlio. Troppo artefatta e rigida una teologia di questo genere. E' piuttosto questa sua attesa generata, sostenuta dall'amore, che nel primato dell'amore di Dio ritrova la sua radice, il suo inizio più vero, a spiegare la sua bellezza di donna e di Madre. Solo un amore così grande ha permesso a Maria di non scomporsi davanti all'annuncio dell'Angelo Gabriele. "Non temere Maria", dice infatti a Maria: perché la grazia è più grande del peccato, la misericordia di Dio è più potente del male.


Lasciarsi ritrovare dalla grazia

La vera tristezza non è quando, a sera, non sei atteso da nessuno al tuo rientro in casa, ma quando tu non attendi più nulla dalla vita. Quando ti prende il pensiero che per te la musica è finita e i giochi siano fatti. E più nessuno verrà a bussare alla tua porta. Senza più soprassalti di gioia per una buona notizia che arriva, né trasalimenti di stupore per l'improvvisata di un amico. In un mondo di disgrazia, in un mondo che sembra essere sempre più oscuro, noi, guardando a Maria osiamo sperare non perché ci impegniamo a sperare moralmente di più, ma perché permettiamo alla speranza di ritrovarci ancora. L'annuncio dell'angelo Gabriele a Maria non è stato un annuncio importa solo per lei, ma diventa buona notizia anche per ciascuno di noi. Quando l'angelo dice a Maria: tu sei "piena di grazia" lo dice per noi. Di fatto da soli non riusciremmo a liberarci dai nostri mali e in modo particolare dal male. Soprattutto quando la tristezza diventa l'anticamera della paura e "un imprevisto è la sola speranza" (Montale). "Non temere Maria", dice l'angelo a Maria: perché la grazia è più grande del peccato, la misericordia di Dio è più potente del male e sa trasformarlo in bene. Il "si" detto da Maria, il suo "fiat" è come l'inizio di un alfabeto che Maria ci sta suggerendo, ci sta insegnando a pronunciare. Così come l'ha insegnato anche al bambino Gesù. Introducendolo sulle strade dell'amore.

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09/12/2015 07:54
 
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Gesù ci invita: “Venite a me, voi tutti”.
Ma chi sono i suoi invitati?
Sono coloro le cui spalle si piegano sotto il peso delle cose che si pretendono da loro: comandamenti e leggi, obblighi ad essere prestanti e concorrenza asserviscono agli uomini.
Gesù ci invita a liberarci da queste esigenze grazie a lui.
Ma cosa ci offre come alternativa?
Ci promette un giogo nuovo e un nuovo fardello. Come rispondere ad un tale invito?
Eppure vi è una differenza fondamentale tra il giogo che ci impongono gli altri e quello che ci propone Gesù. Gesù non ha altre esigenze, si propone come esempio. Egli stesso non obbedisce a ciò che si esige da lui dall’esterno. Obbedisce al proprio cuore, a ciò che sa che Dio sostiene in lui.
Quando si è trovata questa via, si cessa di essere sballottati qua e là, e si può riposare.
Gesù non vuole schiacciarci: non si aspetta che noi ci trasformiamo dall’oggi al domani, ma che noi siamo pronti a imparare da lui qualche cosa.


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10/12/2015 07:31
 
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Israele si aspettava che il profeta Elia ritornasse prima della venuta del Figlio dell’uomo, per preparargli il cammino.
È Giovanni Battista che ha compiuto questa importante missione per Gesù. Giovanni ha preparato la sua venuta chiamando la gente a convertirsi e promettendo la salvezza nel futuro regno di Dio a quelli che avessero risposto al suo appello. Ecco perché Gesù può dire di Giovanni: “Egli è quell’Elia che deve venire” (v. 14).
È perché Giovanni Battista ha riconosciuto i segni del tempo e vi ha risposto che gli viene accordata un’importanza particolare tra i cittadini del mondo.
Ma il regno di Dio è di tutt’altra qualità.
Mentre Giovanni si limita ad annunciare la salvezza, Gesù la fa vivere a tutti: quando lo incontrano, le persone sono trasformate e liberate dal dolore, dalla solitudine e dalla miseria. Si capisce bene, dunque, perché queste persone siano, da parte loro, talmente entusiaste per il regno di Dio, che si impegnano per lui con tutta la loro energia, come dei “forsennati”.
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11/12/2015 08:10
 
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In questa parabola Gesù presenta uno specchio ai suoi contemporanei. Essi non possono che riconoscersi come dei bambini testardi: bisogna che gli altri danzino come vogliono loro. Tutto deve andare come vogliono loro.
E guai a chi non risponde alle loro concezioni, o a chi non rientra nelle loro categorie già stabilite, come Gesù! Essi gli mettono l’etichetta di malato o di buono a nulla, e l’escludono dalla loro società.
Ma, in definitiva, è a loro stessi che nuocciono nella loro ostinazione. Questi bambini sono incapaci di giocare, si rovinano il gioco da soli.
Invece Gesù mostra che nel regno di Dio si giudica secondo tutt’altre categorie e tutt’altri criteri: azioni giuste, impegno verso chi vive ai margini della società, solidarietà con i peccatori e i pubblicani, ecco cosa distingue Gesù e i suoi fedeli.
E Gesù incita i suoi contemporanei, e anche noi a distoglierci dai preconcetti, a rivedere il nostro modo di pensare, a orientarci e ad agire secondo il principio dell’amore di Gesù.
Affinché i bambini cocciuti si liberino e conoscano la gioia.
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12/12/2015 07:55
 
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Con la loro domanda, i discepoli esprimono le riserve dei dottori della legge verso Gesù.
Se Gesù fosse il Messia atteso, il profeta Elia avrebbe dovuto essere tornato da molto tempo per preparare la sua venuta. E se Elia fosse effettivamente stato là, avrebbe già cominciato molte cose: non ci sarebbero più oppressioni politiche, il dominio dell’uomo sull’uomo sarebbe giunto alla fine, non vi sarebbero più opposizioni sociali tra poveri e ricchi, una nuova era di pace sarebbe già iniziata.
Gesù spiega ai suoi discepoli che la nuova era di pace comincia adesso, per coloro che colgono la loro opportunità, che rispondono all’appello alla conversione e instaurano la pace nel proprio cuore.
Ma le attese degli uomini sono altre: essi contano su un potente che possa aiutarli automaticamente a stabilire la pace. Ecco perché le parole di Giovanni Battista si sono perse nel vuoto. E perché la violenza minaccia quelli che portano la pace: Giovanni Battista muore di morte violenta, e Gesù presagisce che anch’egli sarà colpito da un destino simile.
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13/12/2015 08:41
 
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don Alberto Brignoli
Convertirsi all'umanità

Sarà perché loro - come sempre - non si sentivano chiamati in causa dalla parola "conversione"; sarà perché questa sedicente "voce che grida nel deserto" offre indicazioni morali molto poco dogmatiche, poco teologiche, al punto che nemmeno invita a pregare o a compiere la volontà di Dio attraverso l'osservanza della Legge: sta di fatto che - ascoltando l'evangelista Luca - nessuna delle autorità religiose di allora si rivolge a Giovanni il Battista per chiedere come intraprendere un serio cammino di conversione in vista dell'arrivo del Messia, ritenuto da Giovanni ormai imminente. Tre sono, infatti, i gruppi di persone che si rivolgono a Giovanni nel brano di Vangelo che abbiamo ascoltato, e nessuno dei tre raccoglie membri appartenenti ad una specifica categoria religiosa, tutt'altro: chi si rivolge a Giovanni sono i soldati (quasi certamente pagani, in quanto appartenenti all'esercito di Roma), i pubblicani (notoriamente poco raccomandabili da un punto di vista della moralità e della pubblica onestà) e le non meglio precisate "folle", che nel loro anonimato non rappresentano certo una specifica appartenenza religiosa, e che, per di più, pochi versetti prima erano state definite dallo stesso Giovanni "razza di vipere". Per quale motivo si rivolgono a Giovanni?
L'approccio al Battista è la conseguenza dell'ascolto della sua predicazione, nella quale aveva proclamato la necessità di preparare la strada alla venuta del Messia; e già quest'avvicinamento denota la sana intenzione di voler dare un'impronta diversa alla propria esistenza. Non è sufficiente, infatti, ascoltare un messaggio di speranza e manifestare il nostro assenso con una professione di fede: occorre sempre, e quasi d'immediato, passare anche a delle determinazioni etiche, comportamentali, che siano la concretizzazione del nostro assenso di fede. Se la fede rimane un assenso concettuale e teorico ad alcune affermazioni o verità rivelate, e non incide profondamente anche su uno stile di vita concreto, a poco serve: ebbene, queste tre categorie di persone hanno già colto che l'annuncio di Giovanni è un annuncio di speranza, e di conseguenza sono desiderose di sapere come ci si debba comportare perché dalla fede si arrivi alla prassi di vita.
Le tre distinte risposte di Giovanni - lo accennavamo prima - destano inizialmente qualche perplessità. Nessuna di esse, infatti, parla del comportamento nei confronti di Dio; nessuna invita a un ritorno di fede a Dio o a un'intensificazione delle pratiche di preghiera e dei sacrifici offerti al tempio, o all'osservanza rigorosa della Legge di Mosè. Il tema essenziale della prassi religiosa proposta dal Battista è un cambio di atteggiamento nei confronti delle persone, quindi qualcosa che punti a creare relazioni umane più giuste. Le folle sono invitate a condividere cibo e vestiti, i pubblicani a non esigere più del dovuto nella riscossione delle tasse, i soldati a non abusare del loro potere o a cercare favoritismi (verrebbe proprio da dire che passano le epoche storiche, i secoli e i millenni, ma i vizi umani rimangono sempre i medesimi...).
La strada del cambiamento di vita è tracciata in modo preciso da Giovanni: non c'è vera conversione, non c'è vero ritorno a Dio dove non c'è ritorno all'uomo, ovvero, dove non ci si preoccupa innanzitutto di ricreare relazioni più umane. Perché è proprio la ricreazione del tessuto di relazioni umane la miglior culla dove poter adagiare il Dio Bambino, il Dio fatto uomo che ci apprestiamo ad accogliere nel mistero del Natale. E se questa prospettiva è già di per sé sconvolgente rispetto a una prassi o a una mentalità come quella delle autorità religiose del tempo del Battista (e non solo del suo tempo), le quali identificavano la conversione con l'intensificarsi della pratica religiosa e del culto, ancor più sconvolgente è lo stile dell'attenzione rivolta dal Battista alle tre categorie di persone che interloquiscono con lui, in modo particolare ai pubblicani. Non dimentichiamo che l'opinione pubblica nei confronti dei pubblicani non era certo intrisa di stima e di rispetto, non solo per le evidenti ruberie ed estorsioni da loro attuate nei confronti dei più deboli, ma anche perché ormai essere pubblicani, significava essere indelebilmente e irreversibilmente segnati dall'impurità, dalla dannazione: erano persone ritenute da tutti ormai prive di alcuna possibilità di riscatto. Invece, nella predicazione del Battista c'è spazio anche per loro, per di più senza che venga loro richiesto l'abbandono della loro immonda e immorale professione (cosa a loro ormai impossibile), ma attraverso quantomeno l'osservanza di una minima regola di giustizia ("Non esigete nulla più di quanto vi è stato fissato").
Il Regno di Dio annunciato da Giovanni assume, secondo i canoni delle autorità religiose del suo tempo, le fattezze di uno scandalo, di un ricettacolo di persone che altro non meriterebbero se non il fuoco della Geenna. Di fuoco parla anche Giovanni, quando - annunciando l'arrivo del Messia - lo presenta come un fuoco inestinguibile che brucerà definitivamente la paglia separata dal grano buono, oramai raccolto grazie a una semina attenta, quella, appunto, derivante dalla conversione da lui annunciata. Al Messia che viene, Giovanni si presenterà con l'umiltà di chi sa che dovrà lasciargli libero lo scenario; di chi accetta volontariamente di rinunciare al diritto di essere sposo e padre di un popolo nuovo (diritto simboleggiato, nel codice ebraico, dal gesto del sandalo sciolto) per fare in modo che un altro sia padre; di chi accetta di continuare a battezzare con la freschezza e la semplicità dell'acqua, ben poca cosa rispetto alla forza dello Spirito Santo e del fuoco.
Salvo poi...andare in crisi per la comparsa di un Messia decisamente ancor più misericordioso di quanto egli lo fosse già stato con i pubblicani. Un Messia che non avrà fretta di ripulire l'aia, senza per questo rinunciare a raccogliere il buon grano.
Ma per giungere a questo, c'è tempo: per ora, rallegriamoci, perché il Signore è vicino, la porta della sua Misericordia è già spalancata.
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14/12/2015 05:10
 
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Casa di Preghiera San Biagio FMA


Dalla Parola del giorno
Rispondendo a Gesù dissero: Non lo sappiamo.

Come vivere questa Parola?
Dopo l'episodio nel Tempio quando Gesù ha scacciato i mercanti, i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo pensano di mettere Gesù alla prova di fronte alla folla. Quindi domandano: "Con quale autorità fai queste cose? E chi ti hai dato questa autorità."
Gesù sfida i suoi interlocutori ponendo loro le sue domande e promettendo che risponderà con quale autorità egli parla e agisce. Gesù chiede: "Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?" È un momento decisivo nella vita di questi leaders; sono di fronte alla possibilità di varcare la soglia della Verità. Nonostante il fatto che essi hanno visto segni che meritavano un confronto serio con le Scritture circa il Messia promesso da Dio, perdono il momento di grazia; sono schiavi del loro piccolo mondo di potere. E parlottano tra sé: se diciamo dal cielo, egli ci chiederà come mai non l'abbiamo ascoltato e se diciamo dagli uomini, c'è la folla da temere perché tutti considerano Giovanni un profeta. Così concludono in modo omertoso di non sapere. Di fronte a tale atteggiamento chiuso, anche Dio tace.

Nella mia pausa contemplativa, oggi, esamino il mio atteggiamento di fronte a certe scelte della vita mia. Ho un cuore semplice e sincero? Sono veramente alla ricerca della Verità?

Signore Gesù, aiutami ad essere coerente con la fede che professo; aiutami a conoscerti di più, a comportarmi secondo le tue parole, ad essere trasparente, che ciò che dico e ciò che faccio siano l'espressione di chi sono. Vieni Gesù nel mio cuore!

La voce di un guida spirituale di oggi
Devo semplicemente aprire gli occhi nel mondo in cui sono stato posto e diventare poi sempre più chi sono: un figlio di Dio. So di certo che il mio incidente non è stato altro che qualcosa per farmi semplicemente ricordare chi sono e che cosa sono chiamato a diventare.
Henri Nouwen
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15/12/2015 07:46
 
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La conversazione di ieri con i dottori della legge ha un seguito nella pericope di oggi: nella parabola dei due figli.
Come reazione spontanea a questa storia mi è per prima cosa venuta in mente la formula seguente: “Che il vostro sì sia sì ed il vostro no sia no”, che non sembra qui avere nessun seguace.
Mentre uno dei figli dice “sì, sì”, ma senza agire di conseguenza, l’altro riflette e ritorna sul suo primo rifiuto. Finisce per compiere la missione che suo padre gli aveva affidato.
Considerando il risultato, non ho nessuna esitazione a riconoscere che è lui che ha compiuto la volontà del padre - non vi è nessun dubbio, nemmeno per i farisei.
Considerata la situazione del brano - e non solo questa - i farisei - e, ancora una volta, non solo loro - si trovano messi davanti ad uno specchio.
Perché, in fin dei conti, a cosa servono un pio discernimento e un santo discorso, se vi sono due mondi interi tra le parole e gli atti?
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16/12/2015 07:30
 
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Giovanni Battista è in prigione. Probabilmente egli si è più o meno rassegnato a non uscirne vivo.
Ma la domanda che lo assilla è il sapere se tutto ciò che ha fatto e insegnato ha avuto un senso se colui del quale era previsto che egli preparasse la strada è veramente in cammino verso gli uomini nella persona di Gesù di Nazaret.
Ecco perché egli manda subito dei discepoli al “Signore”.
Questo appellativo lascia già intendere che Giovanni non è completamente nel dubbio, ma che ciò che vuole è essere assolutamente sicuro. Egli chiede dunque ai suoi discepoli di porre la seguente domanda: “Sei tu colui che viene?”. Gesù non risponde con un semplice: “Sì, sono io” - egli li rimanda alle sue azioni, a ciò che è accaduto e accade grazie a lui.
A partire dal momento in cui lo fanno, essi non possono che constatare - perché sono Giudei credenti e conoscono la Scrittura - che l’ora è giunta. Infatti, la venuta del Messia e l’inizio del tempo definitivo della salvezza sono già annunciati da alcuni segni descritti dal profeta Isaia.
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17/12/2015 07:50
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Le genealogia di Gesù

E' un desiderio innato nell'uomo ricercare le proprie origini. Diventa un tormento quando questa ricerca diventa vana per chi ha perso il susseguirsi degli eventi della propria vita. Anche per il Signore è stata necessaria stendere una genealogia, anzitutto per provare che la sua origine risale a Davide, alla cui discendenza era promesso un regno eterno, non tanto materiale, come disse Gesù a Pilato: Il mio regno non è di questo mondo. Però sono re: per questo sono venuto. In questa genealogia compaiono anche quattro donne e diversi personaggi non così integri nei costumi come la grandezza del loro discendente secondo la carne avrebbe richiesto. Possiamo vedere in questo fatto annunziata l'universalità della salvezza dal momento che esse, le donne, non sono ebree, ma anche l'insegnamento che Colui che veniva per redimere l'uomo dal peccato non rifiuta di discendere da uomini e donne peccatori. E inoltre ci ammonisce di non vergognarsi dei nostri progenitori anche se non stati stinchi di santi. Mèritano il nostro grazie e rispetto anche solo per averci dato la vita. D'altra parte Gesù, figlio di Dio che come Uomo è discendete di Davide merita una genealogia che risale fino ad Abramo, il patriarca delle promesse. E' costume degli Ebrei, come troviamo in molti luoghi dell'Antico Testamento, premettere al nome di qualche personaggio importante per la loro storia, una genealogia fino alla quarta e quinta generazione. Nel Nuovo Testamento siamo in possesso della genealogia di Gesù, la sola importante.
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18/12/2015 07:56
 
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Adonai, pastore della casa di Israele, autore della Torà, vieni a salvarci per mezzo della tua forza!
Nella Bibbia le genealogie sono numerose. In particolare quella riguardante Cristo può sembrare monotona. Eppure è sublime. Ci aiuta a capire che il Messia è ben radicato in una stirpe di uomini (santi e peccatori).
Nella genealogia di Matteo, di cui oggi abbiamo letto l’ultimo paragrafo, Cristo figura all’inizio e alla fine, quasi a significare che egli abbraccia l’intera umanità.
Gesù, il cui nome significa “Dio salva”, è davvero discendente di Davide, figlio di Maria e Figlio di Dio.
La profezia di Isaia si realizza. Il salvatore è anche “ Dio con noi ”. Colui per mezzo del quale l’Eterno si avvicina a noi.
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19/12/2015 07:54
 
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Stirpe di Iesse, che ti innalzi come segno per i popoli, vieni a liberarci e non tardare più!
In ogni momento della rivelazione, Dio si presenta come colui che salva. La salvezza portata dal Messia si precisa a poco a poco. Con Sansone si tratta di una salvezza sul piano temporale. Con Gesù, la salvezza è di altro tipo. La lotta che egli intraprende è di tutt’altra misura: si tratta di cacciare chi si oppone al nostro definitivo incontro con Dio.
Riuscirò ad essere, per il mio modo di vivere, un segno o, meglio, un riflesso del segno che è già stato dato per tutti?
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20/12/2015 08:25
 
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don Alberto Brignoli
Che donne!

Quando entro in una chiesa e vedo la sua statua; quando in una casa vedo un quadro che la rappresenta; quando - come in questo periodo dell'anno - la vedo immortalata in un presepio, oppure quando vedo la sua effige in una qualsiasi riproduzione, moderna o antica che essa sia, la vedo sempre immersa in un'aura di tenerezza, di dolcezza, spesso addirittura di melensaggine, con il collo ritorto, piegato, quasi sottomesso a una Volontà più grande di lei, accettata con rassegnazione più che con entusiasmo. Eppure, io non riesco a credere che Maria fosse così, e quanto abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi, mi fa davvero pensare a tutt'altro, ovvero a una donna forte, decisa, piena di carattere, per nulla piegata, bensì protesa ad accettare con entusiasmo questa benedetta volontà di Dio che a noi suona sempre come un macigno che ci sovrasta e ci schiaccia. No, Maria non è schiacciata né rassegnata di fronte alla volontà di Dio, e lo vediamo nella forza prorompente di questo testo di Luca, dove due donne, molto diverse tra di loro ma accumunate da un identico destino, sembrano davvero prendere in mano le redini della loro storia, e addirittura della storia della salvezza.
Partiamo con Maria, allora, e "partiamo" nel vero senso della parola, perché non fa neppure in tempo a ricevere l'annuncio dell'angelo che esce dalla porta lasciata aperta dal messaggero per "andare in fretta verso la regione montuosa". Lo scopo del suo viaggio era raggiungere una città della Giudea, e già la modalità con cui raggiunge la meta è sorprendente. Non dimentichiamoci che siamo di fronte a una ragazzina adolescente, per di più all'inizio di una gravidanza precoce: ebbene, con una libertà d'animo impressionante, decide di intraprendere questo viaggio di circa 150 chilometri, per la rapidità del quale (sceglie addirittura la scorciatoia delle montagne, mentre la strada passava dalla valle del Giordano) è presumibile pensare che non abbia avuto il tempo di aggregarsi ad una carovana organizzata, che di certo non sarebbe passata in territorio samaritano. E il fatto che nessun altro personaggio sia citato in compagnia di lei, ci fa veramente pensare che non solo abbia viaggiato in solitudine, ma l'abbia fatto indipendentemente dalla volontà del padre o del futuro sposo, i quali, proprio in quanto maschi di famiglia, avrebbero dovuto autorizzarla a fare questo viaggio. Ma vedremo che qui i "maschi di famiglia" non la fanno certo da protagonisti, perché una ragazza così decisa e così libera come Maria non lascia spazio ad autoritarismi che non hanno più motivo di sussistere, quando si ha Dio nel cuore.
Siamo di fronte ad una ragazza talmente forte e libera che è capace di entrare nella casa di Zaccaria e di salutare non il padrone di casa, ma la sua signora. E anche questo, per la mentalità dell'epoca, era un atteggiamento quantomeno spavaldo. Ma, tant'è, il padrone di casa non avrebbe mai potuto salutarla perché zittito dalla potenza di Dio di fronte ad un mistero che egli non ha saputo accettare perché ritenuto troppo grande per le sue forze. Perlomeno, l'altro maschio di famiglia, Giuseppe di Nazareth, se ne sta a casa a cercare, nel silenzio, la soluzione dell'uomo giusto di fronte a questa inattesa gravidanza extramatrimoniale; Zaccaria, invece, il sacerdote, l'uomo del culto, ha bisogno di capire che è Dio che parla, in questo momento, e non certo attraverso la Legge o i sacrifici offerti nel tempio, ma attraverso l'incredibile vicenda di due donne. Alle quali è sufficiente un saluto, un abbraccio, perché la traboccante gioia ed esultanza di Dio sussulti nel grembo della più anziana, di Elisabetta, cosa che avrebbe dovuto fare il padre, stando all'annuncio dell'angelo nel tempio. Ma no, nel tempio quel giorno c'era solo turbamento e timore: è qui, ora, il tempo della gioia, e lo è grazie a queste due straordinarie donne, la cui vicenda altro non è se non il segno che la promessa di Dio annunciata nell'alleanza antica si è compiuta attraverso il loro "sì".
Il brano che narra la cosiddetta "visitazione" è, infatti, un insieme di citazioni dell'Antico Testamento, tutte inerenti alla salvezza che il Signore ha compiuto in favore del suo popolo Israele. Quel "Benedetta tu fra le donne" che è ormai divenuto parte indelebile della nostra devozione mariana, è la citazione di un'acclamazione presente due volte nella Bibbia: prima nel libro dei Giudici, quando una donna, il giudice Deborah, canta ed esalta la salvezza che Dio ha operato nel popolo per mezzo della forza di un'altra donna, Giaele, che da sola sconfigge l'esercito nemico; poi, nella vicenda di Giuditta, accolta con queste stesse parole dal popolo dopo essere ritornata vittoriosa con la testa di Oloferne nel sacco. A queste parole, Luca aggiunge le parole della benedizione di Mosè presente nel libro del Deuteronomio (cap. 28): "Benedetto sarà il frutto delle tue viscere", la quale, però, fino ad allora, era riferita ai maschi del popolo.
Ma qui - l'abbiamo già visto - i maschi di famiglia sono messi da parte per fare spazio alla grandezza delle donne e del frutto dei loro rispettivi grembi, uno sterile, l'altro ancora incapace a generare, che diventano luogo della manifestazione di Dio. E non è finita, perché il riferimento al compimento delle promesse dell'Antico Testamento si fa ancor più evidente con la domanda di Elisabetta a Maria: "A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?", parole che richiamano le vicende del trasporto dell'Arca dell'Alleanza da parte di Davide nel campo di Araunà, dove un giorno verrà costruito il tempio, luogo della manifestazione di Dio in mezzo al suo popolo. Araunà accoglie Davide con queste stesse parole, mentre Obed, che ospiterà l'arca per tre mesi nella sua casa, sarà benedetto, lui e tutto ciò che gli appartiene. Anche Maria si fermerà tre mesi nella casa di Elisabetta, e non abbiamo motivo di dubitare che quella duplice permanenza (della Madre e del Figlio) abbia benedetto in maniera forte la casa di Zaccaria che riacquista la parola proprio al compiersi della promessa.
Il racconto si chiude con una beatitudine, la prima di tutto il Vangelo: "Beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto". Anche la conclusione dei Vangeli è legata a una beatitudine: "Beati coloro che pur non avendo visto crederanno". La beatitudine, la gioia del Vangelo, è sempre questione di fede: il timore e la diffidenza creano il silenzio di Zaccaria, la fiducia in Dio fa esplodere in beatitudini e canti di gioia la vita di due donne, di cui Dio si serve in maniera inspiegabile - una sterile, l'altra vergine - per donare al mondo l'autore stesso della Vita.
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21/12/2015 07:40
 
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O sole che sorgi, splendore della gloria divina, sole di giustizia, vieni ed illuminaci!
“Una voce! Il mio diletto! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline ” (Ct 2,8).
Fra qualche giorno arriverà. Saprò riconoscerlo e accoglierlo?
Sacre parole del Cantico dei cantici, che ci sono date perché possiamo farle nostre.
Dal momento in cui Maria ha dato alla luce il Bambino, la donna-umanità, la Chiesa, veglia e prepara la venuta del Messia.
Non serve a nulla celebrare una volta all’anno la natività del Salvatore se egli non nasce ogni giorno nel nostro cuore. Concedici, Signore, un cuore così grande da contenere la tua venuta.
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22/12/2015 08:13
 
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Re di tutti i popoli, oggetto della loro speranza, pietra angolare che da due popoli ne fai uno solo, vieni a salvare l’uomo che tu hai plasmato dalla terra!
La vita di Maria è esplosa nel canto del Magnificat.
Lasciamoci guidare da Maria verso Gesù: l’irruzione dell’Eterno nel nostro mondo. Maria ci comunica il segreto della sua gioia. Maria ha approfondito nel silenzio e nella preghiera tutte le profezie e il canto di Anna. Se noi stiamo in ascolto, Maria ci affiderà, in una segreta comunicazione di cuori, il frutto della sua meditazione. La nostra gioia allora esulterà.
I due Magnificat che la Chiesa ci fa ascoltare oggi sono un invito rivolto a ciascuno di noi perché ne pronunciamo un terzo: il nostro. Un cantico personalizzato nella meditazione della Scrittura e nell’esperienza quotidiana facendo tesoro dell’insegnamento di Maria.
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23/12/2015 04:28
 
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Emmanuele, nostro re e legislatore, speranza e salvatore dei popoli, vieni a salvarci, Signore nostro Dio!
In questi ultimi giorni che precedono la Natività, bisognerebbe farsi “ascolto”, tapparsi le orecchie per non essere contaminati dai preparativi pagani del Natale e ritagliarsi del tempo per rendersi disponibili alla Parola di Dio: prima di apparire, essa ci parla perché possiamo prepararci alla sua venuta.
Colui che noi aspettiamo non è più un messaggero e nemmeno un precursore: sarà Dio stesso, il Dio dell’Alleanza. Egli sta per giungere e noi, allora, lo vedremo, lo toccheremo, lo ascolteremo e ce ne nutriremo.
Bisogna accogliere il Messia come il dono dell’amore infinito di Dio. Il “Giorno del Signore”, annunciato da Malachia, è sempre grande e noi abbiamo bisogno di essere purificati. Giorno annunciato un tempo come da temere, deve essere invece desiderato, se noi sappiamo essere uomini e donne di desiderio.
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