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RIFLESSIONI BIBLICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:42
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24/12/2015 07:10
 
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Questa sera, questa notte, una folla di uomini e di donne festeggeranno il Natale, senza pensare alla parola di Zaccaria: “Benedetto il Signore Dio d’Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo ”.
E noi? Siamo consapevoli della nostra condizione di peccatori e, quindi, del nostro bisogno di un redentore?
Il canto di benedizione di Zaccaria traccia il programma della Nuova Alleanza: celebrare il nostro culto davanti a Dio, poter adorare, poter avvicinarsi a Dio, offrirsi a lui completamente, camminare sulla via della pace e della luce.
In questa vigilia della Natività del Messia nostro Salvatore nell’umiltà e nella povertà, sappiamo essere umili di cuore e poveri, così da saperlo riconoscere e accogliere nel nostro cuore.
Una stella è giunta a noi: sapremo essere ospiti degni di accoglierla, come essa ci accoglie?
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25/12/2015 08:21
 
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don Luciano Cantini
Buon Natale

Sono passati più di duemila anni dall'evento che noi oggi celebriamo, nonostante questo continuiamo a stupirci per un bambino che ci è nato.

Davanti ad un neonato è facile intenerirsi, la sua piccolezza ci spiazza, il suo abbandono ci disarma; è la vita che mostra se stessa nella totale potenzialità, in tutto il suo splendore. È il contrasto tra piccolezza e potenzialità che ci meraviglia, ci fa capire che ogni bimbo che nasce è il segno che Dio non si è ancora stancato dell'umanità (Tagore).

In fondo questo è il Natale: Dio, dall'alto del cielo, non solo non si è stancato dell'umanità ma è voluto entrare nella storia degli uomini, facendosi lui stesso carne e sangue, vene e muscoli, respiro e sudore.
Questo è il Vangelo, la buona notizia, la novità... la cosa più incredibile: un Dio che diventa uomo.

È nella fantasia dell'umanità il desiderio di diventare come Dio, arrampicarsi fino al paradiso, salire sulle impervie vette dell'impossibile. Invece Dio inaspettatamente compie per noi la strada inversa e si china sulla nostra piccolezza e si fa piccolo. Si intenerisce come noi ci inteneriamo davanti alla piccolezza di un bambino e vorremmo farci come lui, lo vezzeggiamo e lo assecondiamo nei versi e negli atteggiamenti, quasi da perdere la nostra identità e dignità di adulti mettendoci al suo livello.

È difficile immaginare un Dio privato della sua aura di mistero, di gloria, di unicità, calato in una anonima vita di un essere umano confuso tra milioni di suoi consimili. Un Dio così che si lasciare contaminare dalla umanità sembra negare ogni visione di soprannaturale onnipotenza e perdere ogni dignità divina, diventa irriconoscibile come Dio ma riconoscibile in un volto umano, un volto deturpato dalla fatica, dalla sofferenza, dal dolore.


Dio nascendo uomo ci costringe a contemplare questa nostra umanità e scoprire in essa i barlumi di divinità, quella somiglianza con Lui che ha posto nell'umanità fin dall'inizio della creazione (Gen 1,27).

Giovanni nel prologo del suo vangelo, lamenta: era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto (Gv 1,10-11). È perché l'uomo da sempre cerca in Dio l'onnipotenza, lo splendore, la santità, l'alterità che non riesce a riconoscere nell'umanità dei suoi simili.


La tradizione del presepe, che in questi giorni trova posto nelle nostre case, ha proprio la caratteristica di contemplare questa umanità... vi troviamo di tutto: i magi, i pastori, la lavandaia, il fabbro, il boscaiolo, il pescatore, il fornaio... tutta l'umanità è rappresentata nella sua multiforme diversità, ma tutta si rispecchia in quel bimbo che ci è dato che è anche l'unico motivo che dà ragione al loro esistere; un presepe senza il bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia (Lc 2,12) non avrebbe senso. Eppure siamo arrivati anche a questo nella moda tutta americana della rappresentazione della festa invernale, illuminata e in movimento con le giostre, la pista di pattinaggio, perfino la chiesetta che fa di contorno al nulla.


All'aurora della salvezza, è la nascita di un bambino che viene proclamata come lieta notizia: "Vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore" (Lc 2, 10-11). A sprigionare questa "grande gioia" è certamente la nascita del Salvatore; ma nel Natale è svelato anche il senso pieno di ogni nascita umana, e la gioia messianica appare così fondamento e compimento della gioia per ogni bimbo che nasce (cf. Gv 16, 21). [Giovanni Paolo II]


Il Natale ha il sapore, i colori, la luce della festa, ha la musica e i suoni della festa, è un grido di gioia e di speranza di una umanità che ha ancora voglia di "nascere", una umanità gravida di vita, capace di rigenerarsi davanti alla scoperta, come i pastori di Betlemme, di Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia (Lc 2,16).


Non è il compleanno di Gesù, come a volte si sente dire - tra l'altro il 25 dicembre è una data fittizia che ha altre origini storiche -, neppure la festa della nascita di un Dio che è in principio e tutto è stato fatto per mezzo di lui (Gv 1,3): Prima che nascessero i monti e la terra e il mondo fossero generati, da sempre e per sempre tu sei, o Dio (Sal 90,2).

Natale è la festa dell'uomo che rinasce nella profondità del suo esistere perché scopre che l'amore di Dio non lo abbandona, anzi scopre un Dio che si fa amabile, tenero, piccolo, capace di abbandonarsi tra le braccia dell'uomo.

Natale è la festa dell'uomo vivente perché avvolto dall'amore di Dio così come il bambino avvolto in fasce dall'amore dell'uomo.

Natale è la festa dell'uomo che scopre di essere ancora capace di generare vita, di superare la morte e le sue manifestazioni di odio e di guerra perché Dio lo ha adombrato con la sua Misericordia, si è fatto Emmanuele (Dio con noi), ha posto la sua dimora in mezzo a noi (Gv 1, 14), ma ancora di più è in noi: non vivo più io, ma Cristo vive in me (Gal 2,20).

Non smettiamo di augurarci un buon Natale.

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26/12/2015 09:04
 
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Stefano, il primo martire cristiano, era uno dei primi sette diaconi, il cui dovere era quello di porsi al servizio della Chiesa e degli apostoli. Come servo di Cristo, Stefano era contento di essere come il suo Signore, e, nel momento della sua morte, fu molto simile a lui. Potrebbe sembrare che il Vangelo di oggi sia stato scritto a proposito di santo Stefano. Quando si trovò di fronte al sinedrio, lo Spirito Santo lo ispirò ed egli parlò con audacia; non solo respinse le accuse che gli erano state mosse, ma accusò a sua volta i suoi accusatori. Il suo sguardo era sempre rivolto al Signore, tanto che il suo volto splendeva come quello di un angelo e rifletteva la gloria di Cristo, che era in lui. La somiglianza tra santo Stefano e il suo Signore non è solo esteriore: nel momento della sua morte, Stefano rivelò le intime disposizioni del suo cuore, pregando perché i suoi assassini fossero perdonati, una preghiera che diede frutti più tardi, con la conversione di san Paolo. Santo Stefano, il cui nome significa “corona”, si procurò la corona del martirio dopo esservisi preparato con una vita di fedeltà al servizio di Cristo.
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28/12/2015 07:42
 
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Da Betlemme si scorge, su una collina, una fortezza in rovina: si tratta della tomba del re Erode. Il luogo di nascita di Cristo, invece, era un’umile grotta. Questi due diversi luoghi ben caratterizzano i due diversi re; dobbiamo scegliere tra loro: l’uno era superbo e crudele, l’altro mite e umile. Erode cercava di eliminare ogni rivale, tanto che nemmeno la sua stessa famiglia era al riparo. Di conseguenza, il suo cuore, indurito da lunghi anni trascorsi nel peccato, non provò pietà alcuna per la sofferenza di bambini innocenti, che oggi commemoriamo.
La loro morte ci pone di fronte a un paradosso: essi sono morti al posto di Cristo, venuto a morire per loro!
Cristo, Principe della Pace, era venuto a riconciliare il mondo con Dio, a portare il perdono ai peccatori e a farci partecipare alla sua vita divina. Possiamo dunque essere sicuri che, nonostante non avessero bisogno di perdono, i santi Innocenti, che hanno perso la loro giovane vita per Cristo e per il suo vangelo, sono stati fra i primi a entrare nella gioia della vita eterna.



Ricevi la Liturgia via mail >

Ascolta il Vangelo >

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29/12/2015 07:23
 
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Nel vangelo di oggi incontriamo Simeone, “uomo giusto e timorato di Dio”. Si riconosce comunque che il suo nome deriva, in ebraico, dal verbo “sentire”: un dettaglio rivelatore poiché egli “sentiva” spesso la voce di Dio. Ma lo Spirito Santo non si accontentava di parlare a Simeone: “era su di lui” e ne faceva una persona retta e, insieme, ardente, che serviva Dio e il prossimo con venerazione e devozione. Era, a quanto pare, un uomo di età matura, che si definiva servo del Signore. Aveva passato la sua vita ad aspettare il “conforto d’Israele”, cioè il Consolatore, il Messia. Non appena vide entrare nel tempio il Bambino Gesù, seppe immediatamente che la sua attesa era terminata. La sua visione interiore si chiarì e la pace del suo animo fu scossa.
Gesù doveva essere per Israele e per la Chiesa un segno del desiderio che Dio aveva di salvare l’umanità; eppure da alcuni fu respinto.
Le nostre azioni rivelano i nostri pensieri. Simeone prese tra le braccia Gesù, mostrando così che era pronto a condividere e a compiere la volontà divina.
Facciamo anche noi così e compiamo nella nostra vita con fede la volontà di Dio.
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30/12/2015 08:46
 
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Nonostante che Anna, protagonista, con Simeone, di questo brano del Vangelo di Luca, venisse da una tribù insignificante, si faceva notare per le sue grazie spirituali (il suo nome stesso significa “grazia”).
Aveva ricevuto il dono della preghiera perseverante e della profezia; il suo stile di vita, fatto di abnegazione, di digiuno e di veglia, aggiungeva importanza alla sua preghiera di intercessione per il suo popolo. Anna e Simeone ci mostrano che gli uomini e le donne sono uguali davanti a Dio e che tutti possono ricevere i doni dello Spirito Santo. Anna aveva consacrato a Dio la sua vedovanza, divenendo un modello per molte vedove cristiane. La sua vita illustra alcune verità importanti: tutti hanno il loro posto nel progetto divino di salvezza; Dio fa spesso appello a persone che non se lo sarebbero certo aspettato perché siano suo strumento scelto; le virtù di distacco e di umiltà ottengono sempre l’approvazione di Dio, perché egli può colmare solo un cuore puro da ogni attaccamento materiale.
Lo spirito ebraico era affascinato dall’etimologia dei nomi; può essere interessante, allora, sapere che Fanuele significa “volto di Dio”: Anna, sua figlia, ha davvero visto il volto di Dio in quello di Cristo.
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31/12/2015 04:58
 
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In principio, prima della creazione, era il Verbo, divino, dinamico e vivo. Era con Dio ed era Dio. Con queste tre brevi affermazioni, eccoci condotti al mistero stesso della Trinità. Ci è stato concesso di vedere che il Verbo divino ha origine nell’eternità di Dio, vive in un’unione particolare e ineffabile con Dio, è Dio stesso, uguale al Padre e non subordinato o inferiore. E questo Verbo, personale e trascendente, è sceso dalla sua dimora celeste perché Dio fosse presente, in carne ed ossa, sulla terra e per insegnarci a conoscere direttamente il Padre, che lui solo aveva visto. Perché il Verbo è da sempre e per sempre il Figlio Unigenito e prediletto di Dio. In Cristo si trovano unite la divinità e l’umanità. In Cristo vediamo la gloria di Dio brillare attraverso la sua umanità. Ma l’identità del Figlio col Padre è espressa nella dipendenza, nell’obbedienza completa rivelata nel sacrificio, nel dono totale di sé. Si intravede qui l’umiltà della Trinità, così come è manifestata nella carne mortale di Cristo.
Parlandoci del suo legame con il Padre, Gesù vuole attirarci a sé per fare di noi i suoi discepoli e figli di Dio. Vuole insegnarci che la nostra vita deve riflettere, nella condizione umana, la vita della Trinità, la vita di Dio stesso, se desideriamo ricevere i suoi doni apportatori di salvezza.
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01/01/2016 09:06
 
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padre Antonio Rungi
Maria, Stella della Misericordia

La liturgia di questo primo giorno del nuovo anno ci fa celebrare la solennità di Maria, Madre di Dio e la giornata mondiale della pace. Se questa annuale ricorrenza assume un significato particolare, ogni inizio d'anno, in quanto affidiamo il cammino temporale della nostra vita e della nostra storia alla Madre di Dio, questo lo è particolarmente oggi, nell'anno giubilare della misericordia, che stiamo vivendo e mi auguro valorizzando in modo significativo. In Maria, Madre di Dio, che è Madre della Misericordia ed è Stella della Misericordia, vogliamo analizzare il tempo che è passato e il tempo che ci attende. Il nostro già è scritto nel libro della vita e tutto è davanti a Dio, con le nostre opere di bene, ma anche con le nostre debolezze. Il non ancora della nostra vita sta nelle mani di Dio e lui solo lo conosce e lui solo ce lo fa conoscere di giorno in giorno, sia quando siamo chiamati a contemplare il paradiso sul nostro Tabor, sia quado siamo chiamati a vivere ai piedi del Crocifisso, insieme a Maria, sul monte del Calvario.

Nell'ottava di Natale, all'inizio del nuovo anno, la liturgia della parola ci riporta sia al momento della nascita di Gesù, che al successivo atto compiuto da Giuseppe e Maria nei confronti di quel Bambino che già era al centro della storia e segnava la storia di questa umanità con la sua presenza silenziosa e graziosa. Infatti ci ricorda l'evangelista Luca che, come sappiamo è stato particolarmente devoto della Madonna, al punto tale che le prime icone della Vergine Santissima si rifanno proprio a Lui, i genitori gli diedero il nome e a Gesù fu messo il nome che l'Angelo Gabriele aveva comunicato a Maria nel giorno dell'Annunciazione e del suo "Si" a Dio, che si incarna, così, nel suo grembo verginale per opera dello Spirito Santo: "Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo". Anche in questa particolare circostanza della vita di Gesù, è presente la sua Madre e Maria esercita la sua maternità in modo evidente, ma soprattutto in modo aderente alla sua missione nei confronti di Gesù Redentore. Una missione silenziosa, contemplativa ed adoratrice, al punto tale che davanti ai tanti bellissimi gesti nei confronti di quel Bambino, venuto alla luce, da parte dei pastori e di altre persone, Maria conserva tutto gelosamente nel suo cuore. Come al tempo di Gesù e come Ella fu vicina a Gesù con amorevolezza e discrezione, così è vicino ad ogni fratello, nella fede, di Gesù. E lei esercita la sua maternità non solo nei confronti di Gesù, Figlio di Dio, ma anche nei confronti di noi esseri umani, che la sentiamo, la veneriamo come vera nostra Madre celeste ed avvocata nostra. D'altra parte, ci ricorda l'Apostolo Paolo, nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua lettera ai Galati che "quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli". E che noi siamo davvero figli di Dio, nel suo Figlio, Gesù Cristo "lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio". La maternità di Maria, apre a noi esseri umani la prospettiva della nostra figliolanza a Dio, che ci ha resi tali mediante il dono dello Spirito Santo. Per cui, la nostra vita si struttura e si evolve nel tempo e nella storia, ma è aperta all'eternità ed indirizzata verso la gloria del cielo, dove è attenderci la Trinità Santissima e la Vergine Maria, con tutti i santi del Paradiso. Ce lo ricorda la preghiera iniziale di questa liturgia in onore di Maria: "O Dio, che nella verginità feconda di Maria hai donato agli uomini i beni della salvezza eterna, fa' che sperimentiamo la sua intercessione, poiché per mezzo di lei abbiamo ricevuto l'autore della vita, Cristo tuo Figlio".

Gesù, quindi, porta la vita, è all'origine di ogni vita ed è il termine di ogni vita, è davvero l'Alfa e l'Omega di ogni vicenda umana e terrena. Da lui e in vista di lui, come credenti, dobbiamo partire, ripartire o giungere a Lui se vogliamo camminare sulla strada che Cristo stesso ci ha segnato: la strada della pace, della misericordia, del perdono, dell'amore che apre le porte anche dei cuori più duri degli uomini. Nella giornata mondiale annuale della pace, che coincide con il primo dell'anno, ci sia di auspicio la preghiera che gli israeliti utilizzavano come benedizione: Ci benedica il Signore e ci custodisca. Il Signore faccia risplendere per noi il suo volto e ci faccia grazia. Il Signore rivolga a noi il suo volto e ci conceda pace".

Quella pace che chiediamo al Signore per tutta l'umanità, mediante l'intercessione della Madonna, Stella della Misericordia, alla quale ci rivolgiamo con questa preghiera:


Vergine Santissima, Stella della Misericordia, ci rivolgiamo a te, con animo grato e riconoscente, in questo Anno Santo del perdono e dell'indulgenza plenaria, perché il tuo "Si" ha permesso a Cristo di entrare in questo mondo e salvarci dal fuoco eterno dell'Inferno.


La tua materna assistenza, a questa umanità sofferente, priva, spesso, di gioia e di speranza, si è manifestata sin dal momento del concepimento di Gesù Cristo, Figlio di Dio, fattosi carne, per opera dello Spirito Santo, nel tuo grembo verginale.


La tua materna protezione, l'hai assicurata alle persone e alle famiglie in difficoltà, soprattutto quando, alle nozze di Cana, hai chiesto a Gesù di aiutare quella giovane coppia, rimasta senza vino, all'inizio del loro cammino coniugale.


La tua vicinanza alle sofferenze di chi sperimenta il dolore e l'emarginazione, l'hai manifestata ai piedi della Croce, quando hai partecipato alla Passione del tuo Figlio, dal Quale sei stata scelta come Sua cooperatrice singolare.


Vergine Santissima, Stella della Misericordia, continua ad operare in noi prodigi di pentimento, conversione e riparazione per tutto il male che abbiamo commesso, personalmente e socialmente.


Dal cielo guida il nostro cammino giubilare in questo Anno Santo della Misericordia, durante il quale sentiamo l'urgenza e la necessità di dire basta al peccato e di vivere costantemente nella grazia santificante.


Vergine Santissima, consegnaci, alla fine dei nostri giorni, a Tuo Figlio, purificati nel corpo e nello spirito, perché possiamo partecipare, anche noi, alla gioia eterna di Dio Amore e Misericordia. Amen.

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02/01/2016 08:25
 
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Basilio (Cesarea di Cappadocia, attuale Kaysery, Turchia, 330 – 1 gennaio 379), vescovo della sua città natale (370), fu una delle figure più significative della Chiesa nel sec. IV: geniale guida dei suoi fedeli, difensore tenace della fede e della libertà della Chiesa, instauratore di nuove forme di vita comunitaria, creatore di istituzioni caritative, promotore di liturgia (vedi l’anafora che porta il suo nome) e autore fecondo nel campo ascetico (Le Grandi e Piccole Regole), teologico e omiletico.
Gregorio (Nazianzo, attuale Nemisi in Turchia, 330 – 25 gennaio 389/390) condivise con l’amico Basilio la formazione culturale e il fervore mistico. Fu eletto patriarca di Costantinopoli nel 381. Temperamento di teologo e uomo di governo, rivelò nelle sue opere oratorie e poetiche l’intelligenza e l’esperienza del Cristo vivente e operante nei santi misteri.
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03/01/2016 07:53
 
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Commento a cura di padre Gianmarco Paris

La tenda dell'incontro

Il mistero dell'incarnazione che stiamo celebrando in questi giorni è così profondo che lo si può continuamente contemplare senza esaurirlo e comprenderlo mai abbastanza. La liturgia del Natale ci accompagna a meditarlo nei suoi vari aspetti: la nascita di Gesù, la missione della Santa Famiglia, Maria madre di Dio, Gesù rivelato ai pagani. La Parola di Dio della seconda domenica dopo Natale ci fa contemplare la venuta di Cristo sulla terra con uno sguardo molto ampio e profondo, che non si alimenta di spiegazioni, ma di immagini da contemplare, di parole da lasciar risuonare.
La pagina del Siracide celebra l'incarnazione della sapienza divina, che è il progetto di Dio di entrare in comunione con l'umanità. Ciò che attira l'attenzione è che in un mondo così grande la sapienza riceve l'ordine di fissare la sua tenda in Giacobbe, cioè tra il popolo di Israele: e così essa si stabilisce in Gerusalemme. Questo testo, molto vicino all'epoca di Cristo e tra i più recenti dell'Antico Testamento, è interpretato dai cristiani alla luce di Gesù, la sapienza di Dio, che nasce sotto la protezione di un discendente di Davide (Giuseppe) e compie così la promessa della Sapienza.
Per entrare in questo grande mistero è necessario uno "spirito di sapienza", che Paolo nella lettera agli Efesini chiede a Dio Padre, per poter conoscere profondamente Gesù: solo con il suo aiuto possiamo percepire la speranza alla quale Dio ci chiama e il tesoro che prepara in cielo.
Il vangelo ci ripropone il prologo di Giovanni, che guarda all'incarnazione abbracciando non solo la storia umana ma anche ciò che l'ha preceduta, cioè il "principio", quando la Parola non era ancora uscita da Dio e quando stava al suo fianco per creare il mondo. Questa Parola, che è luce e vita, Dio l'ha inviata sulla terra, quando il tempo è stato compiuto. È la stessa sapienza che ha accettato di farsi carne, cioè di diventare una delle creature che ha creato, e di mettere la sua tenda in mezzo alle loro tende, condividendo tutto ciò che le persone vivono, le loro gioie e i loro dolori. È venuta nel massimo della discrezione e dell'umiltà, non si è imposta a nessuno. Per questo molti non l'hanno riconosciuta. Coloro che l'hanno accolta hanno potuto riconoscere il dono grande di essere figli di Dio.
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04/01/2016 08:11
 
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Giovanni ci dà un esempio del “discepolo modello”. Nel vangelo di oggi si parla di vocazione, di Dio che ci chiama a sé. Il primo passo consiste nel sentire la voce di Gesù; qualcuno ce lo indica: “Ecco l’agnello di Dio!”. E, come i due discepoli, cominciamo a seguirlo. Poi Gesù si volta verso di noi e ci chiede: “Che cercate?”. In risposta dobbiamo dire: “Dove abiti?”.
Ricordiamoci delle parole di sant’Agostino e ripetiamole: “I nostri cuori sono inquieti fino a che non riposano in te”.
All’inizio della nostra vita di discepoli, Gesù ci fa questo invito: “Venite e vedrete”.
In molte pagine dell’Antico Testamento è ricordato l’invito del Signore a tornare a lui, ad abbandonare le cattive abitudini e a volgersi di nuovo a lui. Dio desidera il ritorno dei suoi figli ribelli.
In seguito, nella pienezza dei tempi, nel mistero dell’Incarnazione, Dio ci chiama di nuovo, con parole semplici perché possiamo comprendere: “Vieni!”. Seguendo Gesù e diventando suoi discepoli ci incamminiamo verso una meta, diamo un senso alla nostra vita terrena: il fine ultimo è unirsi a Dio e restare con lui per l’eternità. Pregando al Getsemani Gesù dice: “Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo” (Gv 17,24).
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05/01/2016 07:39
 
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“Vieni e vedi”.
All’inizio delle Sacre Scritture, nel libro della Genesi, leggiamo: “Dio disse: Sia la luce! E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona...” (Gen 1,3). Senza luce, infatti, non si può vedere e non ci può essere alcuna comunicazione.
“... Alla tua luce vediamo la luce” (Sal 035,10).
Gesù è la luce del mondo. La luce ci permette di vedere, e Gesù ci permette di vedere con gli occhi della fede.
Natanaele va verso la luce: crede in colui che lo conosce fin nel profondo dell’animo, capisce, dunque, che egli è il Figlio di Dio. Nella luce della verità c’è un reciproco riconoscersi. Ma Natanaele vedrà cose ancora più grandi: vedrà la gloria di Gesù rivelata nel miracolo di Cana.
In Gesù si concretizza la realtà prefigurata dalla scala che Giacobbe aveva visto in sogno, sulla quale gli angeli salivano e scendevano: questa promessa di armonia fra cielo e terra si è realizzata nel Figlio dell’Uomo che ci ha aperto il cammino verso il cielo perché vedessimo, come Giacobbe (Gen 32,30), il volto di Dio, e questa volta realmente, non in sogno. Il legame viene ristabilito nella persona di Gesù.
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06/01/2016 08:37
 
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don Giacomo Falco Brini
Si prostrarono e lo adorarono

Alla notizia del concepimento o della nascita di un bambino, il cuore umano può rispondere con sentimenti di gioia ma anche con imprevedibili reazioni negative: perplessità, disappunto, disorientamento, paura, incertezza, voglia di togliere di mezzo la nuova vita...Non dovrebbe essere così, ma, ahimè, è proprio così. Pensate alla facilità con cui si sopprime oggi la vita umana al concepimento, in gestazione o alla nascita, e ci capiamo subito. In questi giorni una donna mi ha confidato che quando la sua terzogenita è stata concepita in modo imprevisto, il marito era visibilmente scontento, deluso. Cosa c'è dentro il cuore dell'uomo che può determinare una o l'altra delle reazioni?
A Natale abbiamo visto che Gesù è nato nella difficoltà di trovare accoglienza: come annota il vangelo di Luca, non c'era posto nell'alloggio. E' vero che Betlemme non era così grande (non lo è nemmeno oggi) ma possibile che non ci fosse un posticino più idoneo che permettesse a una donna gravida di partorire? Come se non bastasse, dal racconto che ci offre oggi Matteo nella solennità dell'Epifania, veniamo a sapere che tre misteriosi (e forse regali) personaggi venuti da lontano, si presentano a Gerusalemme con una domanda precisa: dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? (v.2) Il re Erode rimase turbato e questo possiamo capirlo: si chiedono informazioni su un re appena nato, logico che chi ami il proprio scranno di potere più di ogni altra cosa si senta minacciato alla sola domanda. Ma che tutta Gerusalemme rimanga turbata, questo non è immediatamente comprensibile. Non aspettavano forse il Messia? Non si attendeva che nascesse proprio in Giudea? Non sono le stesse autorità di Gerusalemme a confermare, come da profezia, che è Betlemme il luogo dove sarebbe nato l'atteso capo di Israele? (vv.5-6) E perché, una volta trasmessa l'informativa ai Magi, non si sono mossi verso Betlemme per verificare la loro tesi? Alla nascita di Gesù non c'è soltanto la luce degli angeli in festa con lo stupore che avvolge i pastori e forse altra povera gente accorsa alla mangiatoia. Non c'è soltanto chi ama la vita con le sue sorprese, i suoi imprevisti, quella lieta novità che sempre arreca un neonato che chiede accoglienza. No. C'è anche chi vive nella paura della novità, c'è chi vive nella paura di perdere le proprie sicurezze; c'è chi vive difendendo il proprio posto o potere ricorrendo all'inganno e ad ogni altro mezzo lecito o illecito, pur di non perderlo. Insomma, c'è che vive nell'egoismo che si sente minacciato dal più minimo dei fuori-programma e che non ammette alcun cambiamento: persino un bimbo adagiato in una mangiatoia può essere pericoloso! E' la solita storia. Quando Erode verrà evitato dai Magi al loro rientro da Betlemme (v.12), si scatenerà la sua follia omicida. Come alcuni secoli prima, quando il faraone d'Egitto decretò l'eliminazione dei primogeniti degli ebrei, non sapendo come contenere la paura di essere surclassati numericamente dal popolo degli israeliti. L'egoismo umano è sempre omicida.
I Magi rappresentano i popoli pagani chiamati alla fede, ma anche tutti quegli uomini che cercano con fatica, onestà e amore alla verità, il vero volto di Dio. Mi sembra siano anche simpatici nella loro ricerca. Giungono a Gerusalemme e fanno la loro domanda cercando un punto di congiunzione tra la loro ricerca e la religione del popolo ospitante. Non si mettono a discutere su quanto gli dicono, accolgono le indicazioni del loro sapere e si muovono fiduciosamente verso il luogo indicato: il segno che essi seguono, la stella, li conferma nel loro cammino. Verrebbe da dire che obbediscono a una autentica dinamica di fede: nel loro mondo si sono lasciati interpellare dall'apparire di quella stella, hanno lasciato l'ambiente più sicuro delle proprie conoscenze, della propria condizione, e della reputazione di cui probabilmente godevano. Si sono messi in cammino affrontando tutte le incognite del viaggio senza fare troppi calcoli. Si sono lasciati affascinare e guidare da quel segno. Si anticipa così, nei Magi, uno dei temi più ricorrenti nella vita di Gesù: i lontani salgono improvvisamente sulla cattedra della fede, perché tra i primi ad accoglierlo e riconoscerlo nella sua identità. Cosa da non considerare scontata: il re che doveva nascere, quei Magi, lo trovarono assiso su un insolito trono e attorniato da una insolita corte. Eppure, a quella vista, non esitarono ad aprire i loro scrigni e a prostrarsi per adorarlo. (v.11)
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07/01/2016 08:29
 
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La nostra esistenza cristiana assomiglia un po’ alla Galilea dei tempi di Gesù, una specie di crocevia di pagani. I pagani che ci circondano ma anche il pagano che sonnecchia in ognuno di noi. Coloro che negano il Verbo di Dio fatto carne e colui che agisce come se Cristo non fosse venuto.
Ascoltiamo Gesù dire dopo Giovanni il precursore: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”. Convertirsi, uscire dalle proprie abitudini, dalle opinioni correnti, per discernere i segni del regno già presente e che viene. Apriamo le finestre del nostro cuore per lasciare entrare la luce di Dio.
La grande Epifania è seguita dalle molteplici epifanie della nostra vita, dalle diverse manifestazioni del Signore, che vanno dalla guarigione spirituale al riconoscimento della presenza, in ogni sacramento.
Siamo tra la folla che accorre al lieto messaggio, o rimaniamo sulla riva, indifferenti al suo passaggio?
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08/01/2016 07:01
 
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Siamo nella luce dell’Epifania, presenza velata che vuole manifestarsi nei nostri cuori e attraverso noi nel mondo. È l’avvenimento che deve illuminare questa settimana. Che cosa c’è di più importante nella vita, che amare con verità e tenerezza? Ci sono, infatti, tante caricature dell’amore.
L’amore non fa calcoli, si dona con sovrabbondanza, come le ceste piene di pezzi di pane che rimasero dopo che tutti ebbero mangiato a sazietà. La Parola di Dio fatta carne si fa nutrimento spirituale in ogni Eucaristia.
Riscopriamo il nostro stato di figli di Dio, di mendicanti di Dio. Al di fuori dell’amore, vedremo soltanto infantilismo, umiliazione. Nell’amore, comprenderemo che tutto è differente: siamo figli prediletti del Signore e dobbiamo comportarci con gli altri di conseguenza.
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09/01/2016 06:29
 
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Questo episodio del Vangelo dice bene la debolezza e la fragilità del nostro essere. Quando tutto sembra normale, ci crediamo forti. È quando sopraggiunge l’ostacolo, la tentazione, che rischiamo di cadere. La fede dà un’audacia inimmaginabile. Gesù ha vinto la paura con tutto il suo corteo di malattie, di mali, di peccato e di morte.
Forti della nostra fede, davanti alle meraviglie che Dio ha compiuto possiamo esclamare: “Veramente, tu sei il Figlio di Dio”.
Ricordiamo le prime parole di Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura di aprire le porte a Cristo”. Possiamo dire con il Vangelo: apriamo le porte a Cristo e non avremo più paura, perché in lui saremo vincitori.
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10/01/2016 07:38
 
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don Luciano Cantini
Nella concretezza dell'incarnazione

Riguardo a Giovanni

Luca non ci racconta il battesimo di Gesù. La lettura, mutilata dei versetti 17-20, salta l'espressione conclusiva della attività del Battista, con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo (Lc 3,18) e il racconto di Erode che fece rinchiudere Giovanni in prigione (Lc 3,20).

È vero che non dobbiamo tener troppo conto della cronologia dei fatti come appare dai vangeli, ma è anche vero che la redazione finale pone una certa distanza tra l'evento del Battista, e dunque il battesimo appena accennato, e la preghiera di Gesù.

Mentre tutto il popolo

Chiuso il racconto del Battista, Luca riprende con una espressione ed un inciso di grande importanza: tutto il popolo veniva battezzato. L'espressione tutto è sicuramente una esagerazione ma fortemente indicativa del sentire dell'evangelista che vuole imprimere un valore universale a quello che sta accadendo: in modo particolare l'inciso, Gesù ricevuto anche lui il battesimo, messo lì quasi di passaggio per concentrarsi sull'episodio che si vuole effettivamente narrare.

Luca, interpreta il battesimo di Giovanni come prima risposta al bisogno universale di salvezza mentre il battesimo di Gesù sottolinea la sua appartenenza a tutto il popolo e la sua incarnazione in esso. È un mistero non facile da capire e da descrivere, quello di Dio che si fa uomo (carne come in Gv 1,14), che si mischia nell'umanità e non si distingue, che lo accomuna ai peccatori a coloro che sentono il bisogno di conversione mettendosi in fila con gli altri per il battesimo. È interessante notare, invece, come l'iconografia cristiana, sia orientale che occidentale, raffigura il battesimo di Gesù come fatto isolato e solitario, nascondendo o attenuandone la portata simbolica.

La pienezza dell'incarnazione, che il battesimo con l'umanità peccatrice orienta al compimento sulla croce, fa da substrato all'evento successivo della preghiera.


Stava in preghiera

Immaginare Gesù in preghiera ci confonde, ma confusi lo erano anche i discepoli se sono spinti a chiedere «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (Lc 11,1).

Le immagini post seicentesche di Gesù inginocchiato con le mani giunte sono lontanissime dalla realtà e dalla tradizione semitica. Si è tentato di raffigurare la preghiera con un atteggiamento diverso, rituale, separato dagli altri atteggiamenti della vita, così come separiamo la preghiera incorniciandola tra due segni di croce.

Il testo di Luca ci suggerisce una cosa diversa, mentre il battesimo è già compiuto, il verbo pregare (al participio presente) indica una azione continua, non un atteggiamento, ma un abito, lontanissimo dal tempo ristretto per dire o recitare preghiere; Gesù stava in preghiera.

La sua era una preghiera ininterrotta come San Paolo raccomanda: pregate ininterrottamente (1Ts 5,17).

Quello che l'abito della preghiera suggerisce è la costante immersione nella relazione col Padre, una perfetta comunione con Lui e il Suo Progetto di salvezza per l'uomo.

È l'abito della preghiera che rivela Gesù nella pienezza dell'umanità che si affida al Padre e riceve la consacrazione per la missione che gli è affidata.


Il cielo si aprì

La preghiera di Gesù, consapevolmente in comunione con l'umanità debole e peccatrice, apre i cieli, fa discendere lo Spirito, comunica con il Padre. C'è un parallelo con Luca 11: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto (v.9), la preghiera è bussare alla porta che si apre, comunicare con il Padre che dona lo Spirito, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono! (v.13).

La preghiera, nella sua autenticità, è obbedienza incondizionata al progetto del Padre (con tutti i limiti dell'umano), apre la porta del cielo, ci mette in comunicazione (comunione) con il Padre, fa comprendere noi stessi che ci sentiamo figli amati del Padre, ci dispone ad accogliere il dono dello Spirito.


Come una colomba

Come una colomba è un paragone che ha condizionato in futuro l'iconografia dello Spirito Santo che Luca ci racconta nella "corporeità" come ulteriore dono del Padre che si fa incontro alle nostre esigenze umane segnate più dal corpo (carne) che dallo spirito. È ulteriore conferma di Dio che ha scelto come itinerario di salvezza per l'uomo l'Incarnazione, se Dio dà corpo allo Spirito, tanto più noi che siamo già corporei dobbiamo dare corpo (storicità) al dono dello Spirito... che è proprio tutto l'incontrario di spiritualizzare l'uomo e la storia, è invito alla concretezza.

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11/01/2016 07:21
 
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Signore Gesù, perché sei venuto così tardi nella storia dell’umanità? Quanti miliardi di esseri umani sono esistiti prima di sapere ciò che tu vieni a insegnare agli uomini, prima di sapere che sono amati? È un insegnamento costante della Chiesa il dire che ogni essere umano è chiamato alla salvezza e ad essere divinizzato. Ma, sapendo che ogni uomo può ottenere questa salvezza per mezzo della fedeltà alla sua retta coscienza, ci si può ancora chiedere che cosa aggiunga l’annuncio missionario. Ciò che esso porta di unico è il far sapere a ciascuno di noi che siamo amati, che siamo tutti amati dal Padre. Siamo davvero consapevoli che Gesù, quando, nel Vangelo, dice a uomini semplici che incontra sul suo cammino: “Venite e seguitemi!”, si rivolge a ogni credente, e non semplicemente a chi è chiamato a una vocazione eccezionale di sacerdote o di consacrato? Ogni credente è chiamato da Gesù perché sia con lui il portatore della Buona Novella; tutto il suo modo di essere grida: “Tu sei amato, noi tutti siamo amati”. È questo il dovere assegnato dal Signore a ciascun credente, perché ogni credente è apostolo e inviato per comunicare la gioia della Buona Novella. Ed è spesso questa gioia che permette a ognuno di continuare il suo cammino con più speranza, attraverso le lacrime e le sofferenze, incomprensibili e a volte ripugnanti, della sua esistenza.
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12/01/2016 09:12
 
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Gesù insegnava... Insegnava come uno che ha autorità.
Tutti noi, dall’istante in cui cominciamo a credere in lui, dall’istante in cui prendiamo l’abitudine di vivere nella gioia che ci dà la fede, nella certezza di non essere mai soli, di essere sulla strada che porta alla soddisfazione di ciò di cui abbiamo fame, tutti noi dobbiamo essere “parole”. Le parole di Gesù erano confermate dai miracoli e, nella storia, rare sono le persone che abbiano avuto questo dono. Ma, quando noi portiamo la parola di Gesù fra i nostri fratelli, noi tutti dobbiamo apparire pur sempre credenti, dei credenti “credibili”; per essere credibili, occorre che appaia con evidenza che la nostra fede non pretende di dare una risposta a tutto. Questo non è vero. Anche noi abbiamo momenti di: “Padre, Padre, perché mi hai abbandonato?”, dei momenti in cui, come sulle labbra di Giobbe, ci si pongono delle domande, dei problemi, qualche volta la tentazione di imprecare perché la sofferenza e il male sono troppo duri... Ma dobbiamo essere fra quelli che testimoniano che, di tutti i mali di cui l’umanità soffre, il credente soffre altrettanto e forse anche di più di un altro uomo qualsiasi. È con gli occhi e il cuore spalancati e feriti da questo male misterioso che dobbiamo mostrare di essere pur sempre credenti! Ugualmente credenti, nonostante tutto ciò che sembra negare che l’Eterno è amore. Per essere credente, c’è bisogno, più che di parole, del nostro modo di vivere, delle nostre azioni, della nostra maniera di reagire di fronte alla sofferenza che ci circonda. Soltanto la parola di chi è capace di assumersi ogni rischio per soccorrere il suo prossimo che soffre, soltanto la parola di costui sarà credibile.
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13/01/2016 05:08
 
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Gesù si alza molto prima dell’alba. Esce e se ne va in un luogo deserto, nella notte, e là prega. Quando gli apostoli, che lo cercano, infine lo trovano, egli dice loro: “Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!”. Egli dice di essere venuto per proclamare la “Buona Novella” e, tuttavia, quando è uscito, non si è trovato in mezzo alla folla. Prima dell’alba, nella notte, egli ha cercato un luogo deserto. Il Vangelo ci dice: “E là pregava”. Come è triste sapere che il più delle volte la preghiera è presentata come una domanda.
Per la maggior parte di coloro che lo sentono, il termine preghiera ha solo questo significato immediato.
Così è un momento decisivo nella nostra vita quando ci rendiamo conto che la preghiera è innanzi tutto adorazione! Essa è come quei pannelli solari che producono energia semplicemente dal loro essere stesi ed esposti alla luce. La preghiera è prima di tutto questa adorazione, questa gioia che noi esprimiamo nella più splendida parola d’amore che possa esistere: “Noi ti rendiamo grazie”. Grazie per che cosa? Per qualche dono? No di certo. Nel “Gloria” diciamo: “Noi ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa”. Grazie per te. È un po’ come il bambino che, in un momento di tenerezza, si getta fra le braccia della mamma e le dice: “Grazie, mamma, perché tu sei proprio tu”. La preghiera è prima di tutto questa adorazione silenziosa; non occorrono parole. Questa adorazione non è certo lontana da ogni preoccupazione. È per questo che dobbiamo chiedere l’aiuto di Dio. Come potremmo essere nell’adorazione di Dio in questo modo, se non fossimo nello stesso tempo feriti, preoccupati da tutta la sofferenza che c’è attorno a noi, dagli sforzi per i compiti che siamo chiamati a svolgere, dalle liberazioni di cui abbiamo bisogno, noi come tanti altri attorno a noi?
L’adorazione è al tempo stesso parola e silenzio. È un silenzio pieno, portatore di tutti i gemiti che sono in noi e che sono attorno a noi. È preghiera in senso pieno solo quella che si fa in silenzio, in una muta presenza. Raramente ci viene riferito questo episodio di cui è stato testimone il curato d’Ars. Egli passava molto tempo nella sacrestia per preparare laboriosamente le sue prediche, poiché non aveva una profonda cultura. Si stupiva nel vedere ogni sera un contadino, un uomo molto semplice, senza istruzione, che, al ritorno dal lavoro, dopo aver lasciato i suoi zoccoli alla porta, entrava in chiesa, si metteva in un angolo e rimaneva per molto tempo immobile e silenzioso. Il curato d’Ars stesso racconta che una volta non si trattenne dalla voglia di chiedergli: “Ma, amico mio, che cosa fa qui?”. L’uomo gli rispose nel suo dialetto della regione di Dombes: “Oh, signor curato, io lo guardo e lui mi guarda”. Quest’uomo così semplice era arrivato ad un altissimo grado di perfezione nella preghiera. Impariamo così, prima di affrontare i doveri della giornata, ad esporci, come Gesù, alla luce che ci riempirà d’energie, in questa preghiera semplice d’amore, d’adorazione: “Grazie, Signore, noi ti rendiamo grazie per il tuo splendore”.
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14/01/2016 07:15
 
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Gesù è mosso a compassione. È uno degli enigmi della vita di Gesù: egli ha la capacità di guarire tutti i malati, eppure ne guarisce soltanto alcuni, ora qua ora là. Chiediamo a Dio di chiarirci la risposta a questa domanda: perché Gesù non li guarisce tutti? Forse non vuole che noi ci aspettiamo che faccia dei miracoli per liberare gli uomini da tutte le loro sofferenze: egli non vuole compiere quello che è invece nostro dovere. La lebbra è diffusa ancor oggi in molti luoghi, ma essa è una malattia che si può guarire: dipende da noi usare tutte le tecniche, tutta la nostra intelligenza, tutte le nostre risorse umane perché possa esserci guarigione. Qualche volta, prima del pasto, si dice: “Da’ del pane a chi non ne ha”. Il Signore non può fare tutto al nostro posto, ma è sempre con noi affinché abbiamo la forza instancabile di servire quelli che soffrono.
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15/01/2016 08:01
 
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L’ordine di Gesù al paralitico: “Alzati!” non ci ricorda forse il racconto degli Atti degli apostoli in cui san Pietro risponde ad un paralitico che gli chiede l’elemosina vicino al tempio: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!”? Questi due testi sono, secondo me, inseparabili. Come Cristo, san Pietro dice al paralitico di alzarsi e camminare, ma è molto importante ciò che egli dice prima: “Non possiedo né argento né oro”, cioè nulla di quanto sia generalmente considerato “ricchezza”. È possibile avere molti beni, poteri, responsabilità ed essere povero in spirito se in ogni momento si è consapevoli di essere debitori di ciò che si possiede. Occorre chiedersi ogni sera: “Che cosa ho fatto dei miei mezzi, dei miei poteri? Li ho messi a disposizione solo dei miei cari o anche di quelli che soffrono?”. Signore Gesù, fa’ che noi possiamo, anche se possediamo molto, essere consapevoli che nulla ci appartiene, che tutto è tuo, degli altri, di tutti. Allora potremo dire sicuramente all’umanità sofferente, ferita, come Pietro al paralitico: “Cammina!”.
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16/01/2016 05:20
 
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È il Vangelo della misericordia. In Dio, giustizia e misericordia sono inseparabili. Lo vediamo per esempio quando Gesù, rivolgendosi ai farisei (a quelli, cioè, che si credevano persone superiori e, anzi, perfette), dice loro: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”. Così il Signore dice a un pubblicano (Levi) di venire a unirsi agli altri apostoli che erano già con lui. Cristo non si riserva alle persone colte, agli scribi, a chi rispetta le leggi con scrupolo. Dice questa frase che deve farci scoppiare di gioia e di speranza: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori”. Noi tutti siamo feriti e malati. Signore, fa’ che non siamo mai sdegnati nei confronti degli altri. Fa’ che, in mezzo a tutta questa umanità talmente ferita, noi siamo testimoni del tuo Spirito e che portiamo la tua Buona Novella, non a parole, ma con i fatti.
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17/01/2016 07:02
 
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don Alberto Brignoli
Faccio nuove tutte le cose

Non ha ancora iniziato il suo ministero pubblico, e Gesù ha già voglia di mettere ben in chiaro le cose: il suo Vangelo è novità, egli è venuto a fare nuove tutte le cose. E il Gesù del Vangelo di Giovanni è poco diplomatico: nell'arco di tre capitoli, tra il secondo e il quarto, l'evangelista gli fa compiere gesti e discorsi simbolici che denotano chiaramente il desiderio di farla finita con l'Antica Alleanza, quella del Sinai stabilita da Mosè.
Immediatamente dopo le nozze di Cana, dalla Galilea Gesù va a Gerusalemme per la sua prima Pasqua, e con il gesto della cacciata dei mercanti dal tempio dice in modo inequivocabile che quel tipo di tempio ha fatto il suo tempo, che quella religiosità basata sui sacrifici e sulla ritualità non ha più senso di esistere, e che il tempio di pietra può essere benissimo distrutto, perché c'è già un altro tempio ben più importante, la sua persona. A Nicodemo, il fariseo che va da lui di notte, chiede lo sforzo di rinascere di nuovo, ovvero un cambio di rotta radicale. Alla donna di Samaria tutta presa dalla necessità di capire dove fosse il luogo in cui rendere culto a Dio - se Gerusalemme o il monte Garizim - Gesù annuncia che è arrivato il tempo della fede nuova, in cui Dio è adorato senza segni o luoghi visibili (senza necessità di costruire una chiesa, diremmo oggi), ma "in spirito e verità". Sono stati scritti meno di tre capitoli, e il Gesù di Giovanni ha già quasi portato a compimento la sua predicazione, perché ha già detto dove vuole arrivare.
Ma torniamo un istante in Galilea, e contempliamo il primo dei "segni" di Gesù, uno dei più grandi, ma soprattutto uno dei più emblematici della sua necessità di fare nuove tutte le cose. L'episodio delle nozze di Cana, infatti, è tutto giocato su elementi che annunciano l'arrivo della "ora", del "tempo" della salvezza: e il concetto fondamentale di questa salvezza è che la vecchia alleanza non c'è più, il Vecchio Testamento sta lasciando il posto al Nuovo, l'antica alleanza stabilita da Mosè sul monte Sinai sta cedendo il passo alla nuova alleanza, sigillata dal sangue dell'Agnello di Dio sul monte Calvario. E di questa nuova alleanza, inaugurata oggi a Cana ma portata a compimento solo il venerdì santo a Gerusalemme (infatti, "non è ancora giunta la mia ora", dice il Maestro) abbiamo una testimone d'eccellenza: la Madre. Lei, e solo lei, tra gli invitati di Cana, sarà presente con Gesù sul Calvario: per di più, nel Vangelo di Giovanni, questa "Donna", "la Donna", dopo Cana sparirà per ricomparire solamente sotto la Croce, ormai al termine del racconto. Il suo "Qualsiasi cosa dica, fatela" vale quanto l'affermazione del popolo d'Israele nel deserto, quando Mosè presentò a tutti l'Alleanza con Dio, ed essi risposero: "Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo".
Quell'Alleanza, però, era stata preparata da un rito di purificazione ed era stata scritta su tavole di pietra; questa alleanza è qualcosa di totalmente nuovo, e allora l'acqua di quella purificazione rimarrà nelle anfore, perché la nuova alleanza sarà sigillata dalla gioia del vino, di un vino nuovo e buono; quelle anfore rimarranno legate ai vecchi riti di purificazione dei Giudei, ed è per quello che non sono come tutte le altre, di ceramica o di terracotta, ma sono "di pietra", pesantissime (120 chili l'una solo di contenuto!) come le tavole della Legge antica, e di pietra rimarranno. Non riusciranno a far parte della creazione nuova, perché sono "sei", come "sei", sono i giorni trascorsi dalla comparsa di Gesù nel Vangelo di Giovanni al giorno delle nozze di Cana, mentre invece la Creazione arriva a compimento il settimo giorno, quello del riposo: nell'Antica Alleanza è il sabato, nella Nuova Alleanza è "il primo giorno dopo il sabato"... e noi cristiani sappiamo bene di che giorno stiamo parlando.
Il "miracolo" di Cana (ma sarebbe meglio dire "il segno"), non avviene quindi nelle anfore di pietra, non può avvenire lì, dove tutto richiama l'Antica Alleanza: avviene mentre i servi attingono l'acqua e la portano al maestro delle cerimonie, a colui che dirigeva il banchetto. I servi sanno bene come è avvenuto "il segno", perché hanno visto bene che le anfore erano piene di acqua fino all'orlo; a loro, ai servi, agli ultimi, è rivelato il mistero del Regno, e non al maestro delle cerimonie, che è legato al passato, alla tradizione, ai vecchi modi di fare (come i sacerdoti, gli scribi e i farisei attaccati alla vecchia legge), a quello stile usuale e scorretto di dare subito un po' di vino buono per far ubriacare la gente e di allungarlo poi con l'acqua quando tutti sono ormai "partiti". No, lui non può capire, e per questo se la prende con lo sposo: perché non capirà mai che qui è avvenuto qualcosa di nuovo; non capirà mai che qui a Cana si è inaugurata la "ora" della salvezza che si compirà "il primo giorno dopo il sabato"; non capirà mai che questa festa di nozze non è semplicemente tra un uomo e la sua donna, ma tra un popolo e il suo Dio, un Dio che viene a fare nuove tutte le cose.
La fede in Gesù Cristo fa nuove tutte le cose: lo ha fatto quel giorno, a Cana, con "l'inizio dei segni compiuti da Gesù", attraverso il quale "i suoi discepoli credettero in lui". Lo fa con noi, ogni giorno, ogni volta che crediamo in lui: ogni volta che decidiamo di seguirlo, ogni volta che diciamo "no" a un ritorno al passato, ogni volta che ci buttiamo alle spalle la mentalità del "abbiamo sempre fatto così"; ogni volta che sperimentiamo qualcosa di nuovo nella Chiesa, ogni volta che proviamo a buttare lì un'idea diversa, ogni volta che facciamo un passo in avanti nella conoscenza delle cose di Dio, ogni volta che apriamo le porte a qualcuno o a qualcosa di nuovo nella comunità, anche se "non sappiamo da dove viene" (come il vino di Cana); ogni volta che siamo disposti a fare "qualsiasi cosa egli ci dirà", anche se totalmente nuova per noi, purché ci fidiamo di lui.
Perché tutto ciò che è nuovo, sa sempre di voglia di vivere.
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18/01/2016 07:58
 
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Il digiuno, nella mentalità biblica, ha la sua ragione di esistere nella diversità delle circostanze. Mentre, in certi casi, rappresenta la fede di colui che digiuna per crescere nel suo incontro con Dio, in altri casi il credente si pone così, di fronte alle disgrazie o alle sofferenze, in un atteggiamento di accettazione dell’azione di Dio.
Gesù dà le basi del vero digiuno. Il suo obiettivo è la pratica della giustizia già annunciata dalla legge e dai profeti. Il digiuno fatto in una prospettiva legalistica assomiglia al vecchio otre che corrompe il vino fresco e nuovo. Il digiuno e i sacrifici non hanno alcun valore agli occhi di Dio se non hanno alla base l’amore fraterno. Dio ama colui che è in armonia con il proprio amore e quello del prossimo. Questa è la nuova giustizia instaurata da Gesù Cristo.
La Chiesa ci invita a digiunare. Non sono i cuori chiusi, senza solidarietà, egoisti, i cuori che non si fondono che in se stessi, che inaugureranno il tempo nuovo. Coloro che si spogliano di se stessi, costruiscono strutture di solidarietà e aprono le vie dell’unità aspettano con gioia la venuta dello Sposo che ha già cominciato una nuova umanità, e che raggiungerà il suo apogeo nella sua venuta definitiva.
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19/01/2016 08:23
 
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La pratica del sabato appare negli strati più antichi della Bibbia. È durante il settimo giorno che Dio Creatore si è riposato. Per la religione ebraica è un giorno molto importante. Di qui il suo rigore nell’esigere il rispetto del riposo in questo giorno; è proibito fare legna, preparare del cibo, accendere il fuoco, camminare a lungo... I farisei erano scandalizzati nel vedere i discepoli di Gesù raccogliere delle spighe, per mangiare, di sabato.
Gesù festeggia il sabato andando alla sinagoga e leggendo i Libri Sacri; non rinnega questo giorno. Condanna piuttosto il rigore esagerato. Afferma che la carità vince qualsiasi osservanza legalista del sabato.
Anche per noi questo può essere un richiamo all’ordine. La religiosità formalista non ha un autentico carattere religioso. Le qualità dell’evangelizzatore sono profonde e sorgono dal suo amore concreto per un qualsiasi essere umano. L’uomo non è un oggetto che può essere manipolato; il sabato stesso non può tiranneggiarlo, ha valore nella misura in cui rispetta e onora la persona.
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20/01/2016 08:44
 
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Una volta ancora Gesù Cristo si trova alle prese con i farisei che osservano la legge con rigore, senza tenere conto dell’uomo e senza riconoscere la dignità umana. Alcuni cambiano vita ascoltando il nostro Maestro; altri, al contrario, si oppongono, facendo un affronto all’insegnamento ed alla persona di Gesù.
La vicinanza di Gesù è sorprendente, egli rischia la propria vita per l’uomo, e il Vangelo di oggi insiste su questo punto. Non teme né la morte né la condanna, giurata da coloro che egli definisce “sepolcri imbiancati” con la calce (Mt 23,27), rigidi nelle loro osservanze (formali) ma colmi di “sporcizia” all’interno.
I nostri occhi contemplano il vero volto di Dio che si è manifestato a noi nel suo Figlio prediletto. Noi abbiamo davanti l’unico modello che ci invita a distruggere tutti i legami delle false osservanze. L’uomo è l’immagine di Dio (imago Dei). Non serve a nulla, a chi non scommette su di lui, pretendere di averlo fatto: egli vive in un sottile fariseismo.
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21/01/2016 08:36
 
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Il tesoro per il quale un cristiano deve saper vendere tutto è l'amore di Dio: come san Paolo anche noi siamo certi che nulla potrà separarcene. Santa Agnese ci mostra oggi la vittoria dell'amore. Ma qual è questa vittoria? L'amore di Dio secondo san Paolo è l'amore cristiano cioè mai separato dall'amore del prossimo ed è bellissimo vederlo nei martiri. Malgrado le persecuzioni essi non sono mai venuti meno a questo amore più forte dell'odio. In modo speciale essi hanno riportato la vittoria dell'amore sull'odio non rinunciando mai ad amare i loro persecutori.
Durante il periodo in cui la guerra infuriava nel Libano io ho avuto modo di leggere una lettera di un giovane cristiano di 22 anni scritta un mese circa prima di essere ucciso. Stava preparandosi al sacerdozio e nella previsione di poter morire, scrisse ai suoi familiari: "Ho una sola cosa da chiedervi: perdonate di cuore a quelli che mi avranno ucciso; domandate con me che il mio sangue serva come riscatto per il Libano, come offerta per la pace, per l'amore che sono scomparsi nel nostro paese e nel mondo; che la mia morte insegni agli uomini la carità. ~ Signore vi consoli. Io non rimpiango questo mondo ma mi rattrista il pensiero della vostra tristezza. Pregate, pregate e amate i vostri nemici".
È una testimonianza viva della vittoria dell'amore cristiano. Ringraziamo il Signore di farci conoscere che anche oggi i cristiani muoiono come Gesù perdonando chi li uccide; preghiamo per i cristiani che sono tuttora perseguitati e domandiamo di poter essere promotori di unità con la carità che supera ogni odio.
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22/01/2016 07:38
 
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Siamo tutti chiamati ad essere discepoli, ma non tutti i discepoli sono chiamati per essere apostoli. Dalla montagna (luogo che generalmente nella Bibbia è teatro delle rivelazioni divine) Gesù Cristo sceglie, senza alcun obbligo, dodici discepoli perché questi diventino apostoli.
Apostolo significa “inviato” di Gesù Cristo, investito della sua autorità. Gli apostoli hanno la responsabilità di cementare la Chiesa, nella persona di Gesù Cristo. Ne ha scelti dodici perché siano con lui, perché annuncino come lui il vangelo e scaccino gli spiriti cattivi.
Il numero dodici simboleggia le dodici tribù di Israele. Sono loro che sosterranno il nuovo popolo di Dio, iniziato da Gesù Cristo.
La Chiesa è apostolica perché è cementata dagli apostoli. Tutti i suoi membri partecipano all’apostolato, che è luce e speranza tra gli uomini, come un fermento.
L’apostolo e il discepolo hanno un solo scopo, anche se il loro ministero è diverso. Essi trasmettono il regno di Dio a tutti e a tutte le generazioni.
Sulla soglia del terzo millennio, le voci dei nostri pastori ci invitano a dare un impulso all’evangelizzazione. Se la prendiamo sul serio, questa sfida verrà in aiuto a molti uomini che aspettano una nuova civiltà di amore e di solidarietà.
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23/01/2016 08:44
 
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L’incomprensione contiene generalmente un’arma nascosta: la calunnia. Gesù, senza volerlo, si trova circondato dall’ostilità, effetto - da parte degli Ebrei - dell’incomprensione. Anche la sua famiglia si inquieta perché ha sentito dire (“si diceva”) che egli è pazzo e non padrone di sé; essa vuole difenderlo.
Coloro che non accettano il messaggio di Gesù Cristo sono senza argomenti, e la loro unica risposta è la calunnia.
Coloro che voltano le spalle alla verità sono nella menzogna e non capiscono che il Messia è venuto per rivelare delle verità sconosciute. Peggio ancora, non capiscono che la grande novità cristiana consiste nel fatto che Gesù Cristo in persona è la Parola-Verità, rivelatrice del Padre, illuminata dallo Spirito.
Il medesimo destino di Gesù è riservato a coloro che vogliono seguire il Maestro. Noi ne abbiamo la prova tramite l’esperienza dei santi. I loro contemporanei li hanno spesso accusati di essere fuori di sé. Molti sono morti torturati e la Chiesa li definisce martiri perché furono testimoni della fede in Gesù Cristo. Colui che aderisce a Gesù Cristo deve sapere che berrà allo stesso calice.
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