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RIFLESSIONI BIBLICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:42
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02/04/2017 08:16
 
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padre Ermes Ronchi
Non è la vita che vince la morte, è l'amore

Di Lazzaro sappiamo poche cose, ma sono quelle che contano: la sua casa è ospitale, è fratello amato di Marta e Maria, amico speciale di Gesù. Il suo nome è: ospite, amico e fratello, insieme a quello coniato dalle sorelle: colui-che-Tu-ami, il nome di ognuno.
A causa di Lazzaro sono giunte a noi due tra le parole più importanti del Vangelo: io sono la risurrezione e la vita. Non già: io sarò, in un lontano ultimo giorno, in un'altra vita, ma qui, adesso, io sono.
Notiamo la disposizione delle parole: prima viene la risurrezione e poi la vita. Secondo logica dovrebbe essere il contrario. Invece no: io sono risurrezione delle vite spente, sono il risvegliarsi dell'umano, il rialzarsi della vita che si è arresa.
Vivere è l'infinita pazienza di risorgere, di uscire fuori dalle nostre grotte buie, lasciare che siano sciolte le chiusure e le serrature che ci bloccano, tolte le bende dagli occhi e da vecchie ferite, e partire di nuovo nel sole: scioglietelo e lasciatelo andare. Verso cose che meritano di non morire, verso la Galilea del primo incontro.
Io invidio Lazzaro, e non perché ritorna in vita, ma perché è circondato di gente che gli vuol bene fino alle lacrime. Perché la sua risurrezione? Per le lacrime di Gesù, per il suo amore fino al pianto.
Anch'io risorgerò perché il mio nome è lo stesso: amato per sempre; perché il Signore non accetta di essere derubato dei suoi amati. Non la vita vince la morte, ma l'amore. Se Dio è amore, dire Dio e dire risurrezione sono la stessa cosa.
Lazzaro, vieni fuori! Esce, avvolto in bende come un neonato, come chi viene di nuovo alla luce. Morirà una seconda volta, è vero, ma ormai gli si apre davanti un'altissima speranza: ora sa che i battenti della morte si spalancano sulla vita.
Liberatelo e lasciatelo andare! Sciogliete i morti dalla loro morte. E liberatevi dall'idea della morte come fine di una persona. Liberatelo, come si liberano le vele, si sciolgono i nodi di chi è ripiegato su se stesso.
E poi: lasciatelo andare, dategli una strada, amici, qualche lacrima e una stella polare.
Tre imperativi raccontano la risurrezione: esci, liberati e vai! Quante volte sono morto, mi ero arreso, era finito l'olio nella lampada, finita la voglia di amare e di vivere. In qualche grotta dell'anima una voce diceva: non mi interessa più niente, né Dio, né amori, né vita.
E poi un seme ha cominciato a germogliare, non so perché; una pietra si è smossa, è entrato un raggio di sole, un amico ha spezzato il silenzio, lacrime hanno bagnato le mie bende, e ciò è accaduto per segrete, misteriose, sconvolgenti ragioni d'amore: un Dio innamorato dei suoi amici, che non lascerà in mano alla morte.
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03/04/2017 11:27
 
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Gesù Cristo insegna sul monte degli Ulivi e, in seguito, nel tempio. Raduna attorno a sé persone diverse, alcune che lo ascoltano volentieri e attentamente, altre che tentano a loro modo di raggirare la legge e l’autorità. Gli uni e gli altri ricevono una lezione. Gli scribi tendono una trappola a Gesù conducendo da lui una donna sorpresa in adulterio, ma Cristo ribadisce il valore e l’immutabilità delle leggi e delle esigenze divine, mostra come ci si deve comportare col peccatore, di cui rispetta la dignità umana: “Neanch’io ti condanno, va’ e d’ora in poi non peccare più”. Ecco le premesse del Vangelo di oggi: il male è male, il peccato è peccato, ma l’uomo è chiamato costantemente alla santità. Deve continuamente operare in sé il passaggio dall’uomo vecchio, cioè dal peccatore, all’uomo nuovo, rigenerato dall’acqua e dallo Spirito. Non c’è nessuno al mondo che sia senza peccato. Dobbiamo tutti impegnarci in modo solidale sulla via del ritorno a Dio. Chi di noi è senza peccato, scagli per primo la pietra. Molte pietre vengono scagliate e non perché sono in molti ad essere senza peccato. Quante persone invece, incontrando la misericordia di Cristo, si allontanano per non peccare più? Impariamo ad ascoltare attentamente Cristo, senza nasconderci dietro le leggi. L’insegnamento da seguire è l’amore!
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04/04/2017 10:22
 
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Gesù pronuncia una strana sentenza, in contraddizione con tutto il Vangelo, se tolta dal suo contesto: “Dove vado io, voi non potete venire”. In altri termini, non possiamo seguire Cristo se siamo nel peccato, cioè se rifiutiamo Dio e colui che egli ha mandato, Gesù Cristo. Secondo san Giovanni, il rifiuto di Cristo è il peccato più grande. Come Mosè nei confronti del suo popolo, Cristo parla in nome di Dio. Mosè nel tempo in cui era il pastore del popolo di Israele, aveva ascoltato le seguenti parole: “Io-Sono mi ha mandato a voi... Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi” (Es 3,14-15). Il nome di Dio bastava agli Ebrei perché avessero fiducia in Mosè, per fuggire dalla schiavitù e partire verso la terra promessa. Questo nome celava in sé la potenza e il dinamismo dell’Esodo. Grazie a questo nome, s’è compiuta la Pasqua in cui non è mancata né manna né acqua. Ci furono le quaglie e il serpente di rame a salvare dalla morte.
Evocando questo nome, che è il suo nome, Gesù ricorda tutta la strada percorsa dalla schiavitù alla libertà, perché ciascuno di noi deve intraprendere questo cammino dalla morte alla vita. Per provare in sé questa Pasqua, bisogna credere in Gesù, credere a Gesù. Credere che egli è l’inviato, il Messia, e credere nelle sue parole. Allora si impara a seguirlo nel mistero pasquale, nella passione, nella morte sulla croce e nella risurrezione.
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05/04/2017 08:55
 
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Essere libero o essere schiavo del peccato, ecco il dilemma che ogni uomo deve affrontare. Essere libero significa appartenere completamente a Dio, fare la sua volontà, poiché egli desidera la nostra salvezza. Essere libero compiendo il bene è fare piacere a Dio. Al contrario, essere schiavo significa andare per la propria strada, essere signori di se stessi. Impariamo a perseverare nell’insegnamento di Cristo. Perseverare significa perdurare sempre, costantemente. Perseverare significa credere anche a scapito della logica umana e delle convinzioni universali. Ciò significa avere il coraggio di dare fiducia a Gesù, rimanere sempre nella casa del Padre. Abramo ha mostrato di avere del tutto fiducia in Dio. La patria, verso la quale per tutta la vita non ha smesso di incamminarsi, è Dio. Se fossimo davvero figli di Abramo, le nostre vite prenderebbero un’altra piega. Il Figlio di Dio è venuto sulla terra per cercare e per salvare ciò che era perduto. Se il Figlio vi libera, sarete davvero liberi. Il tempo di Quaresima ha questo senso: con l’ascolto della parola divina e con le azioni dettate da una fede profonda noi vogliamo ottenere la liberazione operata per noi da Gesù Cristo. Essere un discendente di Abramo non ha un significato carnale, ma spirituale: continuare lo spirito del patriarca, cioè avere una fede sempre più forte.
Nella fede Abramo ha obbedito all’appello di Dio e si è recato nella terra di cui doveva entrare in possesso.
Prima di arrivare alla terra promessa ha peregrinato molto, aspettando la costruzione, su solide fondamenta, della città il cui architetto e costruttore sarebbe stato Dio stesso. E noi siamo capaci di camminare fino alla città costruita da Dio?
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06/04/2017 08:43
 
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Per non morire, basta osservare l’insegnamento di Gesù, osservarlo per intero. Eppure quante volte per far bella figura ci scusiamo, davanti all’opinione pubblica e davanti a noi stessi, dicendo che rispettiamo quest’insegnamento, ma in parte! Facendo ciò, non conosciamo Dio, perché non consideriamo le sue esigenze. Il Nuovo Testamento è il complemento e, insieme, il compimento dell’insegnamento dell’Antica Alleanza. Non possiamo capire del tutto l’Antico Testamento se non lo leggiamo con il Nuovo Testamento come un tutto. Ma il Nuovo Testamento non sarà comprensibile in tutte le sue implicazioni se lo leggiamo separatamente. Gesù ricorda oggi l’unità dei due Testamenti. Gli interlocutori di Gesù non vogliono prendere atto di ciò. Ne hanno semplificato la prospettiva, e si sono trovati in errore. Abramo ne possedeva invece la prospettiva globale, perché, grazie alla sua fede, guardava verso l’avvenire, verso il Messia. Gesù è il Messia promesso, atteso, colui che salverà Israele, ma gli Ebrei non ci credono. Si ostinano a guardare soltanto alla vita terrena, nel suo circolo chiuso che va dalla nascita alla morte, mentre la vita eterna, di cui parla Gesù, comincia con la nascita nell’acqua e nello spirito ed è infinita. Per giungere a questa vita eterna, bisogna osservare per intero l’insegnamento di Gesù.
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07/04/2017 08:15
 
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Una volta ancora Gesù sta per essere lapidato, e le parole che scambia con i suoi persecutori mettono in rilievo il vero motivo del suo martirio ormai prossimo. Gesù non è stato condannato a morte, come Giovanni Battista, perché predicava la giustizia e nemmeno perché i suoi miracoli preoccupavano i potenti, ma piuttosto perché si dichiarava Figlio di Dio e, per la legge di Mosè, una simile affermazione meritava la morte. Durante tutta la vita, egli ha voluto conoscere nella sua sensibilità ardente questa sofferenza di essere rifiutato perché era Figlio del Padre, mentre il suo solo desiderio era di donarci suo Padre.
Alcuni l’hanno riconosciuto e sono venuti a lui. Sono quelli che, attraverso la sua parola dolce e pacata, ma affilata come una spada, attraverso le sue opere di misericordia, i miracoli, le risurrezioni che manifestavano la gloria di Dio, oppure attraverso la testimonianza del suo precursore, hanno percepito lo Spirito del Padre che li toccava nel più profondo del loro cuore e sono stati abbastanza umili, abbastanza poveri per aprirsi all’adorazione. Allora costoro sono stati rinsaldati nella fede e hanno riconosciuto che Gesù è nel Padre e che il Padre è in lui.
In questi ultimi giorni prima della Passione, la Chiesa ci spinge ad attaccarci, con una fede amorosa e piena, a “colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo”.
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08/04/2017 07:55
 
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I sommi sacerdoti e i farisei diedero l’ordine di arrestare Gesù. Erano molto invidiosi, in seguito a tutto quello che era successo a partire dalla risurrezione di Lazzaro. Troppe persone avevano creduto e avevano seguito Gesù.
Il sommo sacerdote “profetizzò” che la morte di un solo uomo era preferibile alla schiavitù dell’intero popolo, deportato a Roma.
In realtà non era ancora giunto il tempo in cui i Romani avrebbero temuto qualcosa da parte degli Ebrei, come testimonia il processo di Gesù: il procuratore della Giudea diede poca importanza al fatto che Gesù si proclamasse re dei Giudei. Ordinò anche di preparare un cartello con questa iscrizione: “Re dei Giudei”.
Ma, trent’anni dopo, la “profezia” di Caifa avrebbe avuto un senso molto reale, quando i Romani sarebbero giunti a disperdere l’intero popolo e a distruggere il tempio.
Ma Gesù non era un pericolo! Egli muore per il suo popolo, per riunire in un solo corpo i figli di Dio che erano dispersi. Prima della morte, Gesù prega il Padre suo, perché tutti possano essere “uno” come lui con il Padre.
Molte persone cercarono Gesù nel momento dei preparativi della Pasqua. Molti chiesero: “Non verrà egli alla festa?”. Certamente Gesù verrà per la festa pasquale, perché, senza di lui, essa non avrebbe un senso molto profondo.
Allo stesso modo, nella nostra vita, una Pasqua senza Cristo non ha senso. Oggi dobbiamo porci la stessa domanda dei sommi sacerdoti e dei farisei: “Che facciamo? Quest’uomo compie molti segni”.
E noi che cosa vogliamo fare di Cristo nella nostra vita?
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09/04/2017 09:24
 
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padre Ermes Ronchi
Quel centurione che vide un re morire di amore

Si aprono, con la lettura della Passione del Signore, i giorni supremi, quelli da cui deriva e a cui conduce tutta la nostra fede. E quelli che fanno ancora innamorare.
Volete sapere qualcosa di voi e di me? - dice il Signore - Vi do un appuntamento: un uomo in croce. La croce è l'immagine più pura e più alta che Dio ha dato di se stesso. E tuttavia domanda perennemente aperta.

«A stento il nulla» di David Maria Turoldo:
No, credere a Pasqua non è
Giusta fede:
troppo bello sei a Pasqua!
Fede vera
È al venerdì santo
Quando tu non c'eri lassù
Quando non una eco risponde
Al suo alto grido
E a stento il Nulla
Dà forma
Alla tua assenza.

E prima ancora l'appuntamento di Gesù è stato un altro: uno che è posto in basso. Che cinge un asciugamano e si china a lavare i piedi ai suoi. Chi è Dio? Il mio lavapiedi. In ginocchio davanti a me. Le sue mani sui miei piedi. Davvero, come Pietro, vorrei dire: lascia, smetti, non fare così, è troppo. E Lui: sono come lo schiavo che ti aspetta, e al tuo ritorno ti lava i piedi. Ha ragione Paolo: il cristianesimo è scandalo e follia. Dio è così: è bacio a chi lo tradisce, non spezza nessuno, spezza se stesso. Non versa il sangue di nessuno, versa il proprio sangue. Non chiede più sacrifici, sacrifica se stesso.
Ne esce capovolta ogni immagine, ogni paura di Dio. Ed è ciò che ci permette di tornare ad amarlo da innamorati e non da sottomessi.
La suprema bellezza della storia è quella accaduta fuori Gerusalemme, sulla collina, dove il Figlio di Dio si lascia inchiodare, povero e nudo, a un legno per morirvi d'amore.
Pietra angolare della fede cristiana è la cosa più bella del mondo: bello è chi ama, bellissimo chi ama fino alla fine. L'ha colto per primo non un discepolo ma un estraneo, il centurione pagano: davvero costui era figlio di Dio. Non da un sepolcro che si apre, non da uno sfolgorare di luce, ma nella nudità di quel venerdì, vedendo quell'uomo sulla croce, sul patibolo, sul trono dell'infamia, un verme nel vento, un soldato esperto di morte dice: davvero costui era figlio di Dio. Ha visto qualcuno morire d'amore, ha capito che è cosa da Dio.
C'erano là molte donne che stavano ad osservare da lontano. In quello sguardo, lucente d'amore e di lacrime, in quell'aggrapparsi con gli occhi alla croce, è nata la Chiesa. E rinasce ogni giorno in chi ha verso Cristo, ancora crocifisso nei suoi fratelli, lo stesso sguardo di amore e di dolore. Che circola nelle vene del mondo come una possente energia di pasqua.

«Dalla fine» di Jan Twardowski:
Inizia dalla Risurrezione
Dal sepolcro vuoto
Da Nostra Signora della Gioia
Allora perfino la croce allieterà...
Non fate di me una piagnucolona
Dice Nostra Signora
Una volta era così
Ora è diverso
Inizia dal sepolcro vuoto
Dal sole
Il vangelo si legge come le lettere ebraiche
Dalla fine.
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10/04/2017 09:25
 
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Ogni evangelista racconta a modo suo la vita e le azioni di Gesù durante la festa della Pasqua a Gerusalemme. Per san Giovanni, tutto quello che succede durante questi “ultimi” giorni ha un valore simbolico e oltrepassa le apparenze. I protagonisti stessi diventano dei simboli: all’inizio della settimana della Passione, Gesù è l’ospite di Marta, di Maria e di Lazzaro, in Betania. L’amicizia li lega; è a loro che viene annunciato cosa significa parlare della “vita” e della “morte” quando si tratta di Gesù.
Marta compie i suoi doveri di padrona di casa. Gesù è a tavola con gli uomini. Maria fa qualcosa di sconveniente per la società dell’epoca - come per la nostra: unge i piedi di Gesù con un olio prezioso e li asciuga con i suoi capelli. Onora Gesù nell’innocenza del puro amore senza preoccuparsi delle altre persone riunite: l’odore del profumo riempie tutta la casa.
La critica superficiale che le viene indirizzata riguarda soltanto il suo “sperpero”. Ma, in realtà si adombra dell’abbandono senza misura di questa donna. Giuda parla in nome degli scontenti. Egli vuole trasformare in molteplici piccole razioni il dono di Maria, e venire così in aiuto a tante piccole miserie. Ma Gesù approva la spontaneità di questo amore, accetta il dono totale. Non è egli stesso sulla via del dono senza misura? Attraverso la sua morte, egli riscatta la vita del mondo.
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11/04/2017 08:28
 
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Il tradimento di Gesù, per opera di Giuda, è l’esempio per eccellenza della cattiveria umana. Nel corso della storia, molti uomini hanno tradito i loro amici, coniugi, genitori, figli, concittadini o altri uomini fratelli. Questi uomini hanno stimato cosa da poco la solidarietà e la comunione umana. Ora, nella persona di Giuda, quest’ondata di indifferenza e di cattiveria si alza e si rovescia contro Gesù stesso, che in quanto Logos - Verbo - è il fondamento di ogni relazione positiva.
Durante la Settimana Santa, la sorte terrena del mediatore sarà decisa dal bacio del traditore. Ma il tradimento e la consegna di Gesù ai suoi nemici sarebbero impossibili senza l’azione, ad un livello più profondo, del Padre eterno che, attraverso le circostanze dell’Ultima Cena e della preghiera al Getsemani, si consegna lui stesso nella persona del Figlio. Compie così, nel tempo, il dono totale di sé che, nell’eternità, egli compie con la discesa dello Spirito Santo, il cui essere è Amore. La Passione di Gesù esprime nel tempo ciò che il Padre è nell’eternità. Così il tradimento di Giuda, colmo com’era della perversità del peccato, diventa il mezzo attraverso cui lo Spirito d’amore viene mandato in questo mondo, per salvarlo.


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12/04/2017 09:32
 
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Gesù, vedendo che la sua ora si avvicina, fa preparare la Pasqua. Durante la cena, annuncia il tradimento di Giuda. Il salmista aveva già previsto il tradimento dell’amico (Sal 041,10). Il popolo di Giuda condanna Gesù e lo consegna ai pagani. I lavoratori della vigna, dopo aver ucciso i servitori, uccidono anche il figlio del padrone. “Popolo mio, che cosa ti ho fatto? In che cosa ti ho stancato? Rispondimi” (Mi 6,3). Giuda vende Gesù per trenta monete d’argento. Il valore di un servo era di trenta sicli d’argento (Es 21,32). Si valutò con lo stesso valore il profeta che era decaduto (Zc 11,12s). Ed è ancora questa somma che il sinedrio dà per Gesù.
Quando ciò che era stato annunciato si realizza, le Scritture terminano. Tutto, da sempre, era presente agli occhi di Dio. L’azione dell’uomo era prevista, ma non predeterminata. Ed è per questo che Gesù non toglie la responsabilità a colui che lo consegna, poiché egli ha utilizzato male la sua libertà.
Anche noi possiamo tradire Cristo, vendendolo per qualche moneta. La parola del Signore ci insegna, e il Signore stesso apre le nostre orecchie, affinché possiamo fare parte dei convitati di Gesù, che celebrano con lui la Pasqua, come membra vive della sua Chiesa.
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13/04/2017 10:13
 
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padre Lino Pedron


Gesù ha cominciato la sua vita per opera dello Spirito Santo, ora comincia la sua opera nella potenza dello stesso Spirito Santo.
Lo Spirito lo conduce in Galilea: Là era iniziata la sua vita, là comincia la sua opera. Nella disprezzata "Galilea dei pagani" zampilla la salvezza per la forza dello Spirito.
L'operare dello Spirito Santo provoca ammirazione e fama, che si diffonde per tutti i paesi all'intorno. Lo Spirito agisce in estensione: la sua forza vuole mutare il mondo, santificarlo, riportarlo a Dio.
In una città della Galilea, di nome Nazaret, Gesù fu concepito e allevato, giunse a maturità e dovette cominciare la sua opera secondo la volontà dello Spirito. Il suo inizio porta l'impronta di questa città insignificante e non credente, che si scandalizza del suo messaggio e cerca di assassinarlo. Il suo inizio parte dal nulla, dalla mancanza di fede dei suoi compaesani, dal peccato, dal rifiuto... Eppure Gesù comincia!
Comincia nella sinagoga annunciando che lo Spirito Santo è sopra di lui e che Dio l'ha mandato a portare la salvezza ai poveri, ossia a tutti, perché tutti siamo poveri.
Alla lettura segue la spiegazione, che è riassunta in una frase piena di penetrazione e di forza: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi" (v. 21). La parola di Dio ha la sua radice nel passato, ma si realizza nell'"oggi", ogni volta che la Parola è annunciata. La Scrittura trova il suo compimento nell'orecchio dell'uditore che ascolta e obbedisce.
Anche per il lettore del vangelo il problema dell'attualizzazione della Parola consiste prima di tutto nell'ascolto del vangelo: l'obbedienza ad esso ci rende attuali all'oggi di Dio, contemporanei di Gesù, moderni, perché in Cristo ogni uomo trova il suo compimento.
Gesù annunzia e insieme porta il tempo della salvezza. Che il tempo della salvezza sia iniziato e che il Salvatore sia ormai presente, lo si può comprendere solo accogliendo questo messaggio. Non lo si vede né lo si sperimenta. Il messaggio della salvezza esige la fede; e la fede viene dall'ascolto, è risposta a una proposta.
Tutto il vangelo è un ascolto della parola di Gesù che ci rende contemporanei a lui: nell'obbedienza della fede, accettiamo in lui l'oggi di Dio che ci salva.
La profezia, che ora si compie, è il programma di Gesù. Egli non se l'è scelto da sé, ma gli è stato preparato dal Padre. Egli è l'Inviato del Padre. In lui il Padre visita gli uomini.
Gesù opera con la parola e con i fatti, con l'insegnamento e la potenza. Il tempo della grazia è sorto per i poveri, per i prigionieri e per gli oppressi. Il grande dono portato da Gesù è la libertà: libertà dalla cecità fisica e spirituale, libertà dalla miseria e dalla schiavitù, libertà dal peccato.
Finché Gesù rimane in terra, dura l'"anno di grazia del Signore". Cristo è anzitutto il donatore della salvezza, non il giudice che condanna. E' il centro della storia, la più grande delle grandi opere di Dio.

La parola di Gesù non è un commento alla promessa di Dio giunta a noi per mezzo dei profeti, ma è la realizzazione che compie ciò che era promesso: è la buona notizia che è giunto tra noi colui che era stato promesso.
La Scrittura si compie sempre "oggi" e negli "orecchi" di chi ascolta. La parola di Gesù è chiamata "parola di grazia": in lui la grazia e la benevolenza di Dio si sono rese visibili e operanti.
Invece di aprirsi nella fede e lasciarsi coinvolgere nel dono di Dio, i suoi compaesani si bloccano e si irritano. Il messaggio viene accolto, ma il messaggero viene rifiutato. Il rifiuto nasce perché il messaggero pretende di essere ascoltato come inviato da Dio. La patria di Gesù lo rifiuta perché è un cittadino qualunque e non porta prove per sostenere la sua pretesa di essere l'Inviato da Dio.



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14/04/2017 08:01
 
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Monastero Domenicano Matris Domini
Commento su Eb 4,14-16; 5,7-9

Collocazione del brano

La lettera agli Ebrei era dedicata in particolare ai cristiani provenienti dall'ebraismo i quali rimpiangevano le grandi cerimonie del tempio di Gerusalemme. L'autore spiega loro in vari modi che il sacerdozio e i sacrifici del tempio sono stati ormai sostituiti dall'unico sacrificio offerto da Cristo, e che Cristo stesso è il sommo sacerdote per eccellenza, superiore a tutti gli altri poiché ha offerto se stesso in un sacrificio che vale per sempre e non deve più essere ripetuto. Pur essendo Figlio di Dio però è passato attraverso la sofferenza e la morte. La sua vicenda ci aiuta a vivere in modo diverso le sofferenze che attraversano la nostra vita. Sono riflessioni necessarie il venerdì santo, il giorno in cui ricordiamo la morte di Gesù e il suo significato.

Lectio

Fratelli, 14poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede.

La nuova fede che i destinatari della lettera agli Ebrei hanno abbracciato è nettamente superiore alla religione ebraica a cui sembrano guardare con nostalgia. Il sommo sacerdote di questa religione nuova è Gesù il Figlio di Dio. Egli ha attraversato i cieli, cioè è asceso al cielo e siede alla destra del Padre. Dopo aver compiuto il suo sacrificio entra a far parte delle realtà immutabili e definitive. Ecco perché la fede dei cristiani non può vacillare, è fondata su questa certezza.


15Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato.

Gesù il Figlio di Dio appartiene ora alla sfera celeste ma si prende cura di noi, conosce bene le nostre debolezze, le nostre difficoltà, la fatica di essere sempre fedele alle scelte fondamentali che si fanno una volta ma poi devono essere rinnovate di giorno in giorno. Egli stesso è stato messo alla prova in queste fatiche, nella monotonia del quotidiano, nella tentazione di prendere scorciatoie. Ha condiviso fino in fondo la nostra condizione umana eccetto il peccato, poiché non poteva tradire se stesso, allontanarsi dalla comunione con Dio.


16Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.

Con queste premesse non possiamo far altro che rivolgerci a Lui. Ha acquistato autorità grazie al suo sacrificio. Siede per sempre alla destra del Padre, ma non disdegna di curvarsi con benevolenza verso di noi. Infatti il suo trono viene chiamato trono della grazia. Ci sfugge un po' questa richiesta di misericordia a un sovrano che siede in trono, però avvertiamo bene il desiderio di sentirci in pace con noi stessi. Gesù Cristo sa comprendere le nostre difficoltà. Ha un cuore misericordioso che ci verrà incontro e ci darà aiuto al momento opportuno. Queste parole ci possono indicare una via d'uscita, quando pensiamo che il nostro peccato sia troppo grande per essere perdonato o troppo vergognoso per essere confessato.


Cristo, 7nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito.

Nei giorni della sua vita terrena, traduce un'espressione più forte e cioè: nei giorni della sua carne. In questi versetti si pone l'accento sull'umanità del sacerdote. Per rappresentare gli uomini deve essere uno di loro: per compatire le loro miserie, deve averle condivise. L'umanità di carne è attestata in Gesù da tutta la sua vita terrena, dalla sua debolezza, soprattutto dalla sua agonia e dalla sua morte. Le sue preghiere (ricordiamo l'agonia del Getsemani, narrata da tutti gli evangelisti) vennero esaudite per il suo pieno abbandono, cioè per la sua obbedienza totale alla volontà del Padre. E' stato esaudito non nell'essere sottratto alla morte fisica, ma per essere stato sottratto al suo potere. Dio ha trasformato questa morte in un'esaltazione di gloria. C'è quasi un gioco di parole nei termini greci ascoltare dal basso (obbedire) e ascoltare dall'alto (esaudire).


8Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza da ciò che patì

C'è un movimento di discesa e uno di salita. Gesù che grida e supplica per essere salvato dalla morte, e viene salvato, ma vi passa attraverso. Impara l'obbedienza attraverso la sofferenza. Questo era uno degli elementi dell'educazione nella cultura greca. Vi sono anche alcune affinità con l'inno Cristologico di Fil 2,6-11.


9e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

Gesù è stato reso perfetto dal Padre, attraverso questa sofferenza e questa obbedienza. Così è causa di salvezza per tutti coloro che come Lui si sottomettono nell'obbedienza a Lui e a Dio. Ecco perché può realizzare degnamente il compito del sommo sacerdote. Ha provato la condizione umana, è passato attraverso la sofferenza e la morte, nell'obbedienza a Lui tutti possono ottenere la salvezza.


Meditiamo

- Mi è mai capitato di chiedere un aiuto al Signore con preghiere e suppliche, grida e lacrime? Sono stato esaudito?

- In quali situazioni ho capito che l'unico atteggiamento possibile era l'obbedienza (a una persona o a una situazione)? E' stato un atteggiamento fecondo?

- Mi sento partecipe della salvezza che Gesù mi ha meritato con la sua morte?

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15/04/2017 08:24
 
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Monastero Domenicano Matris Domini
Commento su Mt 28,1-10

Lectio

Il racconto della passione e morte di Gesù si conclude con la sua sepoltura a opera di Giuseppe di Arimatea. Subito dopo però si ricorda la sollecitudine dei sommi sacerdoti che chiedono a Pilato di mettere delle guardie al sepolcro per evitare che i discepoli di Gesù lo portassero via. Le guardie avrebbero poi sigillato il sepolcro. Il racconto salta poi al giorno dopo, il primo della settimana, all'alba.

Dopo il racconto della resurrezione vi è invece l'incontro di Gesù con i suoi discepoli in Galilea e il loro mandato a battezzare tutte le genti. In poche pennellate il vangelo di Matteo si chiude con la resurrezione di Gesù e l'apertura, l'annuncio del vangelo a tutto il mondo.
1 Dopo il sabato, all'alba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l'altra Maria andarono a visitare la tomba.

Maria Maddalena è molto conosciuta. L'altra Maria è probabilmente la madre di Giacomo e di Giuseppe, di cui si parla in Mt 27,56. Queste due donne al momento della sepoltura di Gesù si trovavano vicino al sepolcro (Mt 27,61). Il giorno di sabato rimasero in città, osservando la festa solenne di Pasqua, ma il giorno dopo tornarono al sepolcro di Gesù. Era usanza presso i Giudei vegliare la tomba di una persona amata fino al terzo giorno dopo la morte, per assicurarsi che la sepoltura non fosse stata prematura.
2 Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa.

Mentre in Marco le donne si chiedono chi avrebbe spostato per loro la pietra e poi la trovano già spostata, qui il fatto avviene in presa diretta. Anche qui come nel racconto della morte di Gesù vi è un terremoto: la resurrezione di Gesù è di natura apocalittica, come la sua morte, e i due avvenimenti si illuminano a vicenda. Nei racconti dell'infanzia di Gesù in Matteo gli angeli avevano avuto una parte importante nel comunicare e chiarire la volontà di Dio. Qui egli però non è un semplice interprete dell'evento, è uno dei protagonisti, poiché fa rotolare la pietra del sepolcro.
3 Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve.

L'angelo del Signore viene descritto in termini teofanici, che ricordano la visione di Dn 10,6, già utilizzata per il racconto della Trasfigurazione di Gesù (Mt 17,2). Matteo non sta descrivendo il risorto, ma rimanda implicitamente all'aspetto glorioso di un corpo ormai trasfigurato.
4 Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte.

Le guardie si misero a tremare (come la terra scossa dal terremoto) e divennero come morte, cioè assolutamente incapaci di compiere il loro dovere. Matteo non sta descrivendo la resurrezione di Gesù, ma ci dà le chiavi per la comprensione dell'evento. Non afferma che Gesù sia risorto nel momento preciso in cui la pietra è stata ribaltata dal sepolcro: però ci dice che le guardie incaricate di fare la guardia alla tomba erano perfettamente inutili.
5 L'angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso.

L'angelo si fa interprete e invita le donne a non temere. Dice esplicitamente "non temete, voi".

L'annuncio pasquale è simile a quello di Marco: voi cercate il crocifisso. Gesù rimane il crocifisso anche da risorto.
6 Non è qui. E' risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto.

L'annuncio pasquale continua. Il crocifisso non è qui, è risorto (verbo generico che significa "risvegliarsi"). E' risorto come aveva detto: qui si vede ancora l'interesse di Matteo per il compimento delle profezie. Gesù aveva predetto più volte la sua morte e la sua risurrezione.

Vedete il luogo: il sepolcro vuoto non è la prova della risurrezione, ma un segno.
7 Presto, andate a dire ai suoi discepoli: "E' risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete". Ecco, io ve l'ho detto».

L'annuncio pasquale termina con un mandato: annunziatelo ai discepoli. Questa è per loro una parola di perdono. Essi vengono riabilitati dall'annunzio delle donne. Gesù li precede: questo termine ha due significati. Il primo è: Gesù è già in Galilea e vi aspetta. Il secondo: Gesù tornerà ad essere la vostra guida. L'angelo termina dicendo: ecco ve l'ho detto. Questo inciso potrebbe avere lo scopo di controbattere all'accusa che fossero stati i discepoli a inscenare la risurrezione. Oppure sembra concludere la realizzazione della profezia di Ez 37 ("L'ho detto e lo farò", qui lo ha fatto e lo ha detto).
8 Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l'annuncio ai suoi discepoli.

A questo punto Marco parlava della paura delle donne che se ne tornarono indietro senza dire niente a nessuno. Matteo cambia la prospettiva e introduce l'apparizione di Gesù alle donne, mentre queste stavano andando a compiere ciò che l'angelo aveva detto loro.
9 Ed ecco, Gesù venne loro incontro dicendo: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono.

Gesù dà alle donne un annuncio di pace e di gioia. L'atteggiamento delle donne è descritto con dei termini molto famigliari in Matteo. Il giusto atteggiamento da tenere davanti a Gesù è l'adorazione (come fecero i Magi, Mt 2,1-12, come voleva Satana nel deserto da parte di Gesù, Mt 4,9).
10 Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano nella Galilea: là mi vedranno».

Gesù non aggiunge nulla alle parole dell'angelo. Questa ripetizione potrebbe mostrare che si tratta di un semplice doppione messo da Matteo per ovviare la brusca conclusione di Marco, oppure per mettere ancor più in evidenza la solennità dell'annuncio e del mandato ai suoi discepoli.
Meditatio

- C'è qualcosa di Gesù, che attira il mio cuore, nonostante la sua assenza, come il suo sepolcro ha attirato le donne?

- Qual è l'atteggiamento delle donne davanti all'annuncio dell'angelo? Quale può essere il mio atteggiamento davanti alla risurrezione di Gesù?

- Cosa significa per me "tornare in Galilea"?
Preghiamo

(Colletta della domenica di Pasqua)
O Padre, che in questo giorno, per mezzo del tuo unico Figlio, hai vinto la morte e ci hai aperto il passaggio alla vita eterna, concedi a noi, che celebriamo la Pasqua di risurrezione, di essere rinnovati nel tuo Spirito, per rinascere alla luce del Signore risorto. Egli è Dio e vive...
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17/04/2017 08:45
 
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In questo primo giorno della settimana che segue la grande festa, è la vita quotidiana della fede che comincia. Una fede che non si accorda spontaneamente alla vita passata. Perché, se quello che noi cantiamo e diciamo a Pasqua è vero, è solamente quando il Cristo risuscitato fa sapere ai suoi che egli resta con loro e per loro fino all’ultimo giorno che tutti gli uomini riscoprono il significato della vita.
I fatti di Pasqua che gli evangelisti hanno vissuto e riassunto nella loro narrazione sono una testimonianza. Testimonianza contestata nella loro epoca, come oggi.
San Matteo parla di Maria di Magdala e dell’“altra Maria”, che incontrano un angelo al levarsi del giorno vicino alla tomba. Quando gli obbediscono e lasciano la tomba, il Cristo risuscitato va ad incontrarle. Conferma egli stesso la missione che li aspetta: “Andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno”.
Ed è anche presso la tomba vuota che si sviluppano la nuova opposizione - che contesta la risurrezione - e il rifiuto di credere. Mentre le due donne sono in cammino, le guardie si recano in città dai loro capi. Questi sanno che è inutile sigillare e sorvegliare la tomba di Gesù, perché nessuna potenza terrestre può resistere od opporsi all’opera di Dio. Pertanto, poiché non possono accettare la verità della Pasqua, danno al mondo una “spiegazione”. Spiegazione che può trarre in inganno solo coloro che si rifiutano di incontrare il Signore
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18/04/2017 09:48
 
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Il quarto evangelista racconta a modo suo l’esperienza pasquale di Maria di Magdala, che ha vissuto con i discepoli il dolore della separazione e dell’esclusione quando Gesù si è ritrovato solo con le sue sofferenze e con la morte. La sera del venerdì santo, le autorità restituiscono il suo corpo morto. Giuseppe di Arimatea e Nicodemo lo portano alla tomba.
Se la sua tomba e il suo corpo dovessero essere tutto quello che resta ai discepoli, potrebbero diventare il pegno del ricordo, il luogo della commemorazione e il centro di una comunità legata a una reliquia.
E Maria è in lacrime vicino alla tomba. Non sente nulla dell’esultanza pasquale, né della risurrezione. Gli angeli seduti, uno al posto della testa e l’altro al posto dei piedi di Gesù, li nota appena. Essa non vede che lo spazio vuoto tra i messaggeri di Dio: “Hanno portato via il mio Signore...”, ecco la sua pena. Vuole sapere dove lo hanno messo, assicurarsene, tenerlo e restare vicino a lui... Questo futuro che lei si è immaginata distrugge Maria nel momento di lasciare la tomba.
È in questo momento che i suoi occhi si aprono. Che sente il timbro di quella voce familiare: che lo riconosce vivo. Egli non le parla del loro passato comune, ma del suo avvenire, che sarà anche l’avvenire dei discepoli che hanno fede. Le dice che va verso Dio, suo Padre, che è anche nostro Dio e nostro Padre.
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19/04/2017 22:50
 
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Gli evangelisti ci consegnano, condensata in un racconto, l’esperienza pasquale che porta una risposta sempre nuova a coloro che si interrogano.
San Luca racconta dei due discepoli in cammino il giorno di Pasqua: lontano da Gerusalemme e dalla comunità degli altri. Essi vogliono lasciare dietro di sé il passato che li lega a Gesù, ma non possono impedirsi di parlare senza sosta del peso che hanno sul cuore: Gesù è stato condannato, è morto sulla croce... non può essere lui il Salvatore promesso. Tutti e due, immersi in se stessi, non riconoscono colui che li accompagna sul loro cammino di desolazione. La fede nella potenza di Dio non basta loro per superare la morte. Ed è per questo che non capiscono cosa egli vuole dire quando fa allusione a Mosè e ai profeti.
È a sera, nell’ora della cena, mentre egli loda il Signore spezzando e dividendo il pane, che i loro occhi e i loro cuori si aprono. Anche se non vedono più Gesù, sono sicuri che è rimasto là, vivo; che lo si può incontrare attraverso la parola, e le cene. Con questa certezza, fanno marcia indietro per ritornare a Gerusalemme, nella comunità dei discepoli. È qui che si riuniscono e discutono gli avvenimenti di Pasqua, sui quali si basano i principi della fede. “È risuscitato e apparso a Simone” (il primo degli apostoli): ecco una delle frasi nelle quali si inserisce l’incontro pasquale dei due discepoli di Emmaus.
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20/04/2017 09:07
 
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Gli uomini e le donne che hanno conosciuto Gesù testimoniano la sua risurrezione. Dicono che è venuto vivo verso di loro, che si è offerto ai loro occhi.
Siccome la risurrezione oltrepassa tutti i limiti dell’esperienza terrena, non esistono termini né frasi fatte per ritrasmettere la realtà che tocca queste persone. I discepoli di Gesù cercano delle parole e delle immagini (già pensando alle domande che verranno poste) per esprimere l’inesprimibile.
Succede la stessa cosa per l’ultimo incontro pasquale con il quale termina il Vangelo secondo san Luca.
L’apparizione di Gesù agli apostoli è strana e tuttavia familiare. Dice loro: “Pace a voi!”. Ma essi sono colti dalla paura e pensano - come tanti tra coloro che hanno bisogno di una spiegazione - che si tratti di uno “spirito”. Allora, egli fa toccare loro il suo corpo, e mangia davanti ai loro occhi.
Perché, siccome la fede nella morte e nella risurrezione di Gesù è il fondamento di tutta la predicazione, questa non tollera alcun dubbio.
Gerusalemme, città della morte e della risurrezione, diventa la città dove gli apostoli ricevono lo Spirito promesso e, con lui, la onnipotenza, che fa di loro dei testimoni per tutti i popoli della terra.
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21/04/2017 10:10
 
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Il Vangelo di san Giovanni termina con la descrizione di un incontro ricco di simboli: Pietro e altri sei discepoli sono sulle rive del lago di Tiberiade. Là dove si trovavano prima che Gesù li chiamasse per seguirlo e diventare pescatori di uomini. Pietro decide: “Io vado a pescare” - ma senza pensare agli uomini. Gli altri si uniscono a lui.
Nella notte - propizia ai pescatori - vanno sul lago. La mattina, rientrano con le reti vuote. E, sulla riva, qualcuno domanda loro un po’ di pesce.
Ma non hanno pescato nulla, niente per loro stessi, niente che possano dividere. Fidandosi di una sua parola - che non hanno riconosciuto - gettano le loro reti e pescano molti pesci (anche se il mattino non è il momento migliore per la pesca). Allora il cuore del discepolo che Gesù amava si apre. “È il Signore!”, esclama. In modo conforme alla sua posizione nella comunità, Giovanni è il primo a riconoscere Gesù; e Pietro è il primo a raggiungerlo. Gli altri seguono con la barca e le reti, piene di centocinquantatrè grossi pesci, una quantità inaudita.
L’incontro sulla riva è colmo di una strana paura. Nessuno osa domandare: “Chi sei?”. Essi lo sanno, ma tuttavia provano un’impressione di estraneità e di cambiamento. Questa volta, Gesù non mangia. Prende il pane e i pesci. Li dà a loro ed essi li prendono dalle sue mani: il pane e la vita.
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22/04/2017 09:16
 
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Il Vangelo di san Marco termina con una catechesi sulla fiducia che meritano gli undici apostoli, la cui testimonianza è il fondamento della fede della Chiesa: Gesù stesso li ha chiamati per andare dalla Galilea a Gerusalemme.
Dopo il Venerdì santo, delusi e senza speranza, restano in città. Maria di Magdala che - secondo questo racconto, che fa fede - è stata la prima alla quale il Signore è apparso, spiega loro di che cosa l’ha incaricata il Cristo risuscitato. I due discepoli che il Signore accompagna lungo il cammino verso Emmaus rientrano a Gerusalemme. Tuttavia, essi non li ascoltano, né credono loro. Né la testimonianza della donna, né quella dei due discepoli fa uscire gli apostoli dalla loro afflizione e dai loro lamenti.
È soltanto quando Gesù stesso è vicino a loro e rimprovera loro la mancanza di fiducia nella parola dei suoi testimoni, che i loro cuori e i loro occhi si aprono.
Vedendolo, capiscono che il vangelo di Dio che Gesù aveva predicato, e che diventa la loro missione, ha un avvenire senza fine. Capiscono che la loro missione comprende “il mondo intero” e “la creazione intera”, tutta la comunità dei viventi.
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23/04/2017 09:17
 
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Carla Sprinzeles
Commento su Atti 2,42-47; Giovanni 20,19-31

Oggi la liturgia è molto ricca, si passa dalla paura alla gioia. I discepoli erano nella paura perché temevano che i romani avrebbero cercato anche i collaboratori di Gesù, che era stato ucciso come rivoluzionario. Non erano ancora credenti: non avevano creduto alle donne, non avevano creduto ai discepoli di Emmaus.

Oggi la liturgia ci riporta alla gioia: questo tema tornerà in tutte le letture. E' la gioia dell'incontro con il Signore, la gioia con la fede vissuta, la gioia del perdono e della misericordia di Dio, della scoperta dell'amore di Dio. Il tema ci è offerto dall'episodio di Tommaso che non crede. Anche noi cerchiamo delle verifiche concrete e vorremmo fossero definitive e assolute, mentre sappiamo che il nostro cammino deve sempre andare oltre e attendere nuovi traguardi, tracciare nuovi orizzonti.

L'inizio del cammino di fede è caratterizzato da una grande gioia, che aveva preso tutti man mano che attraverso la fede stabilivano rapporti diversi tra loro, vivevano anche situazioni di incertezza e di persecuzione in un modo diverso. La gioia della trasparenza della vita, che è semplicità ed è vivere trasparentemente tutte le situazioni, accogliendo l'azione di Dio che lì si esprime.

La trasparenza della vita, la semplicità, porta all'essere in sintonia immediata con la forza della vita. Noi invece abitualmente mettamo sempre delle strutture di interpretazione, delle strutture di difesa, che ci impediscono di accogliere immediatamente la vita.

La conclusione del vangelo ci richiama proprio a questo: "Perché crediate e abbiate la vita nel suo nome." Questa è la vita: il vivere ogni giorno in questa trasparenza, letizia, immediatezza.

ATTI 2, 42-47

In questo passo degli Atti degli Apostoli si parla di "perseveranza": "Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere." Perché ci sia perseveranza occorre il lungo respiro della passione, dell'impegno in qualcosa che si ritiene essenziale. La perseveranza nell'insegnamento degli apostoli comporta l'annuncio dell'evangelo quale fondamento della decisione di fede e un approfondimento di tale annuncio tramite un'istruzione più articolata. L'ascolto della Parola è momento essenziale di una comunità investita dalla forza dello Spirito. Il plurale "insegnamento degli apostoli" indica che l'incontro con la Parola avviene in comunità.

La seconda "perseveranza" si dà nella comunione. Il termine usato indicherebbe la condivisione e la messa in comune dei beni ed è da collegare al fatto che i fratelli "stanno insieme". Questa espressione, forse più che un punto spaziale di riunione, indica il trovarsi concordi, da parte di tutti i credenti, poggiando sullo stesso fondamento, sulla medesima fede; da qui una concordia che sfocia anche nella condivisione anche dei beni materiali e indica l'unità nella fede e la comunione della carità.

La terza "perseveranza" è quella della "frazione del pane". E' uno "spezzare il pane che rimanda al gesto rituale giudaico dell'inizio del pasto comune, in cui si rende lode a Dio, si spezza il pane e lo si distribuisce tra i presenti. Lo "spezzare il pane" è memoria dei pasti durante i quali Gesù ha mangiato con loro in amicizia e con i peccatori che hanno accolto la notizia del Regno. Questo trovarsi a mangiare il pane eucaristico significa che la vicenda con Gesù non è finita, ma continua. Questa "frazione del pane" celebra la presenza del Risorto, che ha mangiato di nuovo con loro, offrendo loro un perdono incondizionato nonostante il tradimento.

Poi c'è la perseveranza "nella preghiera", che è la base dell'intera vita comunitaria. E' la preghiera che garantisce un intreccio tra ascolto della Parola, celebrazione dell'Eucarestia, pratica della carità.

Con queste perseveranze i discepoli compiono la missione di testimonianza, che si concretizza nel fatto che ogni giorno si aggiungono nuovi credenti e il popolo guarda con simpatia questa nuova realtà.


GIOVANNI 20, 19-31

Il Risorto non fa nessun rimprovero. Alcuni l'hanno rinnegato, i più sono scappati, e la mattina stessa non hanno creduto alle donne, ignorando i vari annunci della sua morte che, il terzo giorno, sarebbe dovuta sbocciare la resurrezione. Non sembra neppure rattristato da questa mancanza di fiducia. Gli apostoli sono tornati all'ombra della loro paura, non si aspettano che negatività da parte dei giudei e dei romani.

Gesù attraversa il muro della loro diffidenza con un augurio di pace, come se non fosse mai stato abbandonato da loro. Noi avremmo detto: "Dopo tutto ciò che ho fatto per voi, non avete neanche saputo dare fiducia alle mie parole?", incapaci come siamo di credere al bene nascosto nella coltre di una realtà apparentemente negativa.

Gesù invece si fida: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". Consegna il suo Spirito, immettendo in loro la sua dinamica di perdono, capace di assumere il male per trasformarlo in bene. Cristo dimostra così che la relazione con lui non può essere distrutta.

Forse quest'affermazione può stupire chi pensa di dover essere in regola per poter entrare in contatto con il Signore o chi non se ne ritiene degno.

"Ricevete lo Spirito", dice il Risorto a ciascuno di noi, lo stesso Spirito che aveva aperto in lui una sorgente di perdono, facendogli intravedere dietro il male inflittogli un desiderio di bene. Perdonare è poter decifrare dietro l'atto negativo la ricerca di una vita più piena, è fidarsi del bene all'opera in ciascuno, con la certezza che ogni dinamica negativa è pregna di una tensione verso un maggior bene.

Caifa aveva detto bene: "Non è meglio che un solo uomo muoia per tutto il popolo? Se lo lasciamo fare i Romani distruggeranno la nostra nazione". Il Risorto dimostra che la relazione con lui può risorgere perché il suo Spirito vivifica nuovamente in ciascuno l'anelito verso la vita vera. "Tommaso, non essere più incredulo" credi nella forza del bene che è in te. E questi uomini impauriti hanno trovato la forza di percorrere le strade di un mondo pagano e ostile, per annunciare la loro certezza dell'indistruttibilità dell'Amore, fino a lasciarsi uccidere.


Non è facile venire alla fede, ognuno ha un suo percorso particolare, che deve compiere portando alla luce gli interrogativi e le domande, che si porta dentro, cercando, senza stancarsi una risposta. Tommaso non può accontentarsi di quello che riferiscono gli altri: è stato troppo grande il suo dolore e la sua delusione per ciò che è accaduto. Tuttavia, la più bella e la prima espressione di fede è la sua: "Mio Signore e mio Dio".

Crediamo nel bene che è in noi e negli altri!

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24/04/2017 09:14
 
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Nicodemo, uno dei notabili ebrei, si reca una notte da Gesù; vuole parlare con lui della salvezza. Bisogna quindi supporre che Gesù abbia anche dei simpatizzanti tra i farisei. In fondo, qualsiasi uomo è toccato dalla questione della salvezza; tutti si pongono delle domande sul senso ultimo della vita. Gesù va oltre la domanda fatta; l’offerta di Dio è posta a tutt’altro livello della sola aspirazione umana, che resta in definitiva nel campo dell’effimero e del terrestre. La salvezza dell’uomo riguarda la sua partecipazione alla vita del mondo che verrà. Bisogna per questo nascere “di nuovo”.
Chiaramente, il notabile ebreo conosce anche religioni non ebree, dove si può spesso riscontrare un’idea di rinascita. In altri scritti del Nuovo Testamento, si qualifica chiaramente come rinascita il battesimo cristiano (per esempio nella lettera a Tito o nella prima lettera di Pietro). Gesù mette in rilievo che questa nascita non è più nell’ambito delle possibilità umane: nascere “di nuovo”, è nascere “dall’acqua e dallo Spirito”. Lo Spirito è il dono che il Signore resuscitato fa alla sua comunità.
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25/04/2017 08:55
 
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Il passo di Marco appartiene a quello che si chiama “il luogo finale di Marco” che contiene il racconto delle apparizioni e l’ordine missionario dato ai Dodici (Mc 16,14) e con loro alla Chiesa intera (Mt 28,18-20). Il nostro testo comincia con il testamento del Signore. Le prime parole sono un comandamento ed un invio: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura”. La Chiesa deve predicare, cioè la sua missione evangelizzatrice è un comandamento del Signore risorto. I destinatari sono tutti gli uomini che esistono al mondo: “ogni creatura”. Ciò indica che tutti gli uomini hanno il bisogno e il compito di ascoltare il vangelo della salvezza. Il contenuto, l’oggetto della predica, è il Vangelo, il lieto messaggio della salvezza attraverso Gesù Cristo, la sua persona e la sua opera. Questo annuncio è chiamato predica, cioè essa è solenne e pubblica, fatta con coraggio e fiducia nel nome di Dio salvatore. Il testo continua insistendo sulla trascendenza dell’annuncio e della sua accoglienza: “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato” (Mc 16,16). Ci troviamo così davanti alle parole più importanti nella vita dell’uomo: salvezza e condanna. La fede e il battesimo sono le parole della vita; l’incredulità è la porta della condanna (cf. Gv 3,14-21).
Vengono poi enumerati una serie di segni miracolosi che daranno credito agli inviati: scacciare gli spiriti maligni, dono delle lingue, immunità contro i morsi dei serpenti e contro i veleni, e infine il dono della guarigione. Tutti questi sono fenomeni carismatici che accompagnano il cammino della Chiesa lungo la storia.
Il testo termina con la proclamazione dell’Ascensione di Gesù e il suo stabilirsi alla destra di Dio (Mc 16,19) e con una breve indicazione sulla realizzazione del comando della missione degli apostoli, che portano il vangelo dappertutto con l’aiuto del Signore (cf. Mt 28,20). Molti segni li accompagnano (Mc 16,20). La Chiesa missionaria è in cammino, il comandamento è indirizzato a tutti.
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26/04/2017 10:05
 
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Il Dio di cui parla il nostro testo di oggi non ha niente di comune con gli antichi dei. Dio ha effettivamente amato il mondo. E non solamente il mondo ebraico, ma tutto il mondo. In san Giovanni, il concetto di “mondo” ingloba l’insieme delle creature. L’amore di Dio si è quindi giustamente rivolto verso coloro che non appaiono in nulla come membri della sua comunità. Tra di loro, ci sono anche quegli uomini che resistono al bene. È il mondo nella sua completa secolarizzazione, tale quale lo si può osservare oggi. Ed è certo anche il mondo del tempo di Gesù, con le sue implicazioni morali, politiche e religiose, un mondo che allontana Gesù dalla sua sfera di influenza, perché non sopporta che Dio si impicci dei suoi affari. San Giovanni dice che Dio ha amato molto tutti coloro che facevano il male. Dio non si limita quindi a rendere migliori coloro che sono già buoni. Dio non prende le distanze nei confronti del male. Non osserva dall’alto tutte le cose così poco appetitose che sono nel mondo. Dio si identifica assolutamente con il mondo cattivo!
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27/04/2017 07:42
 
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San Giovanni vede le relazioni tra il cielo e la terra in modo più chiaro rispetto agli altri evangelisti che hanno scritto prima di lui. Per rappresentarle, egli utilizza nuovi modelli di linguaggio. Questi parlano di un mondo in alto: l’aldilà, dove abita Dio. E di un mondo in basso: quaggiù, dove vivono gli uomini. San Giovanni lo sa: Gesù è il Figlio di Dio. È sempre stato vicino a suo Padre, e sarà in eterno vicino a lui.
È sceso sulla terra in un momento della storia. La sua morte sulla croce rappresenta una nuova elevazione. Da un punto di vista puramente umano, la croce è la sconfitta definitiva di Gesù; la sua morte è il fallimento di tutti i suoi progetti terreni. Dal punto di vista di Dio, la croce di Gesù rappresenta la vittoria di Dio sul mondo e significa la nostra salvezza. Se noi crediamo in Gesù, Figlio di Dio, abbiamo già la vita eterna. Gesù è il germe della speranza attraverso il quale Dio agisce nel mondo. Dio è diventato un altro, si è fatto uomo. Quindi anch’io posso diventare un altro: ho la fortuna di diventare un uomo, un essere umano in un mondo inumano
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28/04/2017 09:44
 
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Non possiamo ascoltare il Vangelo che racconta il miracolo della moltiplicazione dei pani, e non possiamo riunirci per spezzare il pane, se ci dimentichiamo della fame che opprime molte persone della terra. Avere fame è una sorta di impotenza; essere saziato, una sorta di potenza. È la fame che distingue coloro che non hanno niente da coloro che posseggono. Questa disuguaglianza è ingiusta. Né i poveri, né i ricchi che fanno parte della Chiesa devono tollerare questa ingiustizia. Non esiste una risposta materiale alla fame, perché si tratta di un problema umano più generale. La povertà e l’oppressione colpiscono coloro che hanno fame nella loro dignità umana. Non si può quindi rimediare a questa mancanza con dei doni che l’addolciscano. Gesù rifiuta la fame: quella dell’alienazione fisica, politica, quella della perdita della dignità umana. Ed è per questo che egli non rimanda gli uomini nel loro mondo di miseria, ma invita i discepoli a mettere a loro disposizione i propri viveri. È l’obbedienza dei discepoli che apre la via all’azione di Dio. Gesù non vuole agire senza i Dodici. Ma, per finire, è Gesù stesso che effettua la condivisione. Solo lui può distribuire i suoi doni.
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29/04/2017 10:47
 
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Casa di Preghiera San Biagio FMA
Commento su Mt 11, 25

«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.

Mt 11, 25

Come vivere questa Parola?

Le cose nascoste ai dotti sono da Dio rivelate ai piccoli. "Piccoli" che nella storia della Chiesa abbiamo più volte visto trasformarsi ed ergersi come giganti, ricostruendo l'opportunità di tornare a Dio, di comprendere, interpretare più profondamente il Vangelo nel loro oggi.

Santa Caterina, patrona d'Italia. Una santa lontana nel tempo e nella nostra sensibilità, vissuta in un medioevo pieno di luce e di ombre che ancora molto può dirci. Caterina: donna di religione, cioè consacrata alla preghiera e all'azione nel neonato ordine domenicano, scelta ritenuta sconveniente per una così giovane donna. Donna interventista, cosa del tutto inusuale per un'epoca dominata da imperante maschilismo, ha agito nella vita politica del tempo con inattesa efficacia, richiamando tutti (anche il papa!) all'essenzialità. Contro il rischio di una Chiesa troppo compromessa e timorosa nell'agire politico Caterina richiama il papa al suo dovere di restare nella propria Diocesi - Roma - abbandonando la provvisoria anche se più sicura Avignone. Abbiamo bisogno di donne del genere, la Chiesa ha bisogno di lasciare più spazio (e molto!) al carisma femminile della Parola di Dio, di profetesse che richiamino la Chiesa e la nazione italiana alle proprie origini, dicendo ancora e ancora che solo la fede e la preghiera e il silenzio possono plasmare caratteri e situazioni.


Affidiamo la nostra nazione, un tempo terra di santi poeti e navigatori, oggi sempre più omologata ad un pensiero globale dominante gretto ed egoista. Santa Caterina, col suo piglio deciso di donna toscana, ci richiami all'essenziale!


La voce del Beato Paolo VI°

Caterina da Siena offre nei suoi scritti uno dei più fulgidi modelli di quei carismi di esortazione, di parola di sapienza e di parola di scienza, che san Paolo mostrò operanti in alcuni fedeli presso le primitive comunità cristiane. [...] Ed invero, quanti raggi di sovrumana sapienza, quanti urgenti richiami all'imitazione di Cristo in tutti i misteri della sua vita e della sua Passione, quanti efficaci ammaestramenti per la pratica delle virtù, proprie dei vari stati di vita, sono sparsi nelle opere della Santa! Le sue Lettere sono come altrettante scintille di un fuoco misterioso, acceso nel suo cuore ardente dall'Amore Infinito, ch'è lo Spirito Santo.

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30/04/2017 08:11
 
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fr. Massimo Rossi
Commento su Luca 24,13-35

L'autore ispirato della prima lettura - per convenzione viene identificato con Pietro, principe degli apostoli e vicario di Cristo alla guida della prima comunità cristiana di Gerusalemme - traccia una sintesi mirabile della storia della salvezza, sottolineando che Cristo discende dal re Davide, e che lo stesso re Davide ne aveva cantato le gesta, scrivendo i versi del salmo 16: l'operazione teologico-letteraria, rileggere un salmo in chiave Cristologica, individuando cioè, nel protagonista che parla, o del quale si parla, la persona di Gesù, è un esempio di ciò che, nei secoli a venire, i Padri della Chiesa avrebbero fatto con gran parte dell'antico Testamento: rileggere, appunto, le (antiche) Scritture in chiave Cristologica, per rinvenirvi gli annunci dell'avvento del Salvatore.
Un altro esempio particolarmente esplicito sul destino di morte e risurrezione del Messia è il salmo 22 (21) - "...Hanno forato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano, mi osservano, si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte..." -. Aver raccontato i fatti della Passione 1000 anni prima fa veramente pensare, non trovate?
Del resto, Gesù in persona rilegge Mosè e i profeti, mettendo in evidenza che in tutte le Scritture ci si riferiva a lui, a Cristo.
Tutto ciò dimostra che, in un certo senso, il Nuovo Testamento stava già racchiuso nell'Antico. Come lucidamente sottolinea san Paolo, la Legge (antica) ?funziona' da pedagogo, conduce e prepara il credente all'incontro con il Cristo (cfr Gal 3).
Al tempo stesso la novità del Vangelo rimane integra; non si può appiattire, riconducendo all'Antico, quanto è rivelato nel Nuovo.
Tra l'AT e il NT resta dunque una distanza, un'asimmetria, una discontinuità; non è possibile dedurre la vicenda del Signore dal ?semplice' esame delle Scritture che lo precedono. L'incarnazione era, è assolutamente necessaria per portare a compimento ciò che mancava nei racconti antichi, e che l'uomo, da solo, non avrebbe saputo neppure immaginare.
Questa verità è testimoniata dal fatto che i due discepoli di Emmaus non compresero il mistero della Passione; ma neppure gli altri protagonisti del Vangelo erano stati in grado di riconoscere il Messia annunciato, nella persona di Gesù di Nazareth; o, se lo avevano riconosciuto, non ne erano stati pienamente consapevoli. Un esempio per tutti, Giovanni il precursore: costui lo indicò, senza esitare, presente nel mondo; dichiarò anche di non essere degno di sciogliere il laccio dei suoi sandali - conosciamo il significato simbolico del gesto -; ma fu incapace di capire l'opera di Gesù; anzi ritenne che le sue parole e il suo comportamento non corrispondessero a ciò che le profezie avevano annunciato.
Ma anche Caifa, che presiedette il sinedrio nel processo contro Gesù, rivolgendosi agli anziani del popolo, disse: "Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera. Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi." (cfr. Gv 11,45-54).
Tutto questo per dire che, senza la fede nel Cristo, non si possono comprendere le Profezie, tantomeno riconoscere la Sua verità dall'incontro diretto o indiretto con Lui.


E ora, a noi: con quale mentalità, con quali convinzioni, con quali aspettative, e, perché no, con quali pregiudizi ci accostiamo al Vangelo?
La vicenda dei due di Emmaus ci offre un esempio prezioso, di come si possa tornare a credere nuovamente in Cristo, nonostante le delusioni del passato; la fede ci sfida ancora una volta a vincere la tentazione di chiudere per sempre con Dio, dopo l'ennesima sconfitta, dopo l'ennesimo fallimento, l'ennesima dimostrazione dell'apparente inutilità della fede...
Il discorso è assai delicato: si tratta di esaminare senza alcuna indulgenza quale sia l'atteggiamento di fondo con il quale affrontiamo il testo evangelico, ma anche i sacramenti.
Vangelo e sacramenti sono il luogo dell'incontro con il Risorto; dovremmo forse usare il condizionale - dovrebbero essere -, o porre addirittura un punto interrogativo...
È proprio vero che nel Vangelo e nei sacramenti incontriamo la persona di Cristo?
In altre parole, abbiamo il coraggio di abbassare le difese, per lasciare che Cristo ci dica in faccia chi siamo? "...stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!".
La conversazione tra i discepoli che scendevano da Gerusalemme e il Signore risorto comincia nel modo peggiore: i primi confessano la loro delusione, diciamolo pure, la loro disperazione, di fronte all'ultimo Messia apparso sulla scena di Israele: gran seduttore, capace solo di promesse, ma in fin dei conti incapace, come gli altri, di cambiare la storia, colpevole di averli prima illusi e poi traditi.
Gesù ribatte chiamandoli ignoranti e pure un po' ritardati...
Qualche volta, da un iniziale scontro, da una solenne litigata, nella quale ci si dice in faccia che cosa si pensa l'uno dell'altro, può nascere qualcosa di nuovo e di meglio per tutti e due.
È il caso della vicenda raccontata al cap.24 di Luca: il figlio del falegname sfida i compagni di viaggio ad abbandonare per un attimo illusioni, desideri individuali, punti di vista personali... per concentrarsi sulla persona di Cristo... e scoprire che quell'uomo fragile, indifeso, e solo, aveva fatto molto di più di quanto si potessero aspettare da lui.
Soprattutto, (il Cristo) aveva lasciato un dono, l'Eucaristia, nella quale e con la quale continuava a rimanere presente, anche ora che fisicamente era assente...
In quel gesto - prendere il pane, rendere grazie, spezzarlo e distribuirlo - lo riconobbero con assoluta certezza...anche se Lui non c'era più.
Lo Spirito Santo susciti anche in noi la fede dei discepoli di Emmaus, per riconoscere la presenza reale di Cristo nel sacramento dell'altare.
Da questa fede rinnovata, tutta la vita può cambiare, uomini e donne di poca fede! (me compreso!!)



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01/05/2017 09:53
 
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La reazione della gente di Nazaret a proposito della sapienza di Gesù fa pensare al capitolo del Siracide, che contrappone il lavoro manuale e la legge. La gente del popolo (operai, contadini) dice il Siracide, mette tutta la sua attenzione nelle cose materiali; lo scriba invece ha pensieri profondi, cerca le cose importanti e può essere consultato per il buon andamento della città.
La gente di Nazaret si domanda: "Da dove mai viene a costui questa sapienza? Non è il figlio del carpentiere?", che non ha studiato e non può avere cultura?
È chiaro: la sapienza di Gesù è sapienza divina ed egli ha insistito varie volte sul mistero di Dio che viene rivelato ai piccoli, ai semplici e nascosto ai sapienti ed ha criticato gli scribi "che dicono e non fanno".
D'altra parte il Vangelo insiste anche sulla parola: è necessario accogliere la parola di Dio E soltanto se ispirato alla parola di Dio il lavoro vale. "Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre".
"Tutto quello che fate", siano lavori materiali, siano discorsi. Il Vangelo inculca il servizio sincero, umile, la disponibilità nella carità, per essere uniti a Gesù, figlio del carpentiere, che ha dichiarato di essere venuto a servire.
La vera dignità consiste nel servizio dei fratelli, secondo le proprie capacità, in unione con Gesù, Figlio di Dio.
Verifichiamo la nostra scala di valori, per renderla sempre più aderente ai pensieri di Dio.
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02/05/2017 09:12
 
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EP032

Il Vangelo presenta in modo molto realistico le difficoltà dei testimoni della fede: per questo lo si legge nella festa di sant'Atanasio, quattro volte esiliato, costretto a fuggire e a nascondersi proprio per la sua fede nella divinità di Gesù. Gesù Figlio di Dio non è al nostro livello, ci è infinitamente superiore, in un modo che possiamo appena intravedere nel racconto della trasfigurazione, e accettare nella fede. Ma nella storia della Chiesa sorgono ogni tanto uomini che vogliono ridurre Gesù alla misura umana, alla nostra statura di creature. Così è accaduto ai tempi di sant'Atanasio, con l'eresia di Ario, affermante che Gesù era semplicemente un uomo, grande, santo, adottato da Dio, ma non Figlio di Dio. E molti, anche vescovi, anche imperatori, accettavano questa teoria, perché è più facile, non esige l'adesione ad un mistero ineffabile, incomprensibile.
Atanasio difese questa verità di fede: è un mistero da cui dipende la nostra salvezza, perché se Gesù non è Figlio di Dio, noi non siamo né redenti né salvati, essendo la salvezza opera di Dio. Certo è una esistenza travagliata, una condizione penosa quella del fedele, e in più senza nessuna evidenza di vittoria. E difficile credere che Gesù abbia vinto il mondo quando si subiscono persecuzioni. Ma la vittoria non ci può essere senza lotta, senza essere passati attraverso la passione del Signore. Crediamo nel mistero "totale" di Gesù: il mistero di una morte sfociata nella risurrezione. Un cristiano non può meravigliarsi troppo di essere, come Gesù, perseguitato, perché solo a queste condizioni si giunge alla vittoria della fede.
Che cosa significa "vittoria della fede"? Significa continuare a credere, nelle tribolazioni, che Dio ci ama e ci prova per un maggiore bene.
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