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RIFLESSIONI BIBLICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:42
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04/02/2015 07:11
 
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La fede è necessaria perché il Signore possa agire liberamente e donare abbondantemente le sue grazie: per la mancanza di fede dei suoi compatrioti, dice san Marco, non potè operare fra loro alcun prodigio. Non riuscivano a credere in lui perché era uno di loro, non aveva niente di straordinario, l'avevano sempre conosciuto... proprio non si capacitavano come potesse essere qualcuno diverso da quello che loro vedevano.
La prima lettura ci ricorda che anche noi, e molto facilmente, possiamo fermarci alle apparenze contrarie e non riconoscere l'intervento di Dio. Questo succede nelle difficoltà, nelle prove. Le prove giungono per tutti, credenti e non credenti, ma noi abbiamo l'impressione che per noi credenti non dovrebbero esserci, o almeno dovrebbero essere solo di un certo tipo... Ci sconcertano e facciamo molta fatica a riconoscervi la mano di Dio.
La Scrittura ci insegna ad andare al di là delle circostanze, che ci sembrano sempre strane, penose, per riconoscere in esse la presenza di Dio che vuoi operare e per questo ha bisogno che noi ci apriamo alla sua azione. "Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d'animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio", diceva già il libro dei Proverbi. E l'autore della lettera agli Ebrei lo ricorda ai cristiani per ammonirli: "Tutto ciò che state soffrendo è una correzione; non prendetelo semplicemente come una difficoltà!". Si tratti di malattie, o di difficoltà nei rapporti interpersonali, o di fallimenti in ciò che facciamo per il Signore, prendere le cose semplicemente nel loro aspetto esterno è mancanza di fede. "E per la vostra correzione che voi soffrite Dio vi tratta come figli". C'è una relazione con Dio che dobbiamo riconoscere, una intenzione di Dio alla quale dobbiamo corrispondere nella fede. Allora cambia tutto. La prova è illuminata dall'interno e invece di essere semplicemente un motivo di sofferenza diventa una occasione per sentirci in relazione più diretta con Dio: Dio si interessa di noi. Quando si è provati si ha invece l'impressione contraria: Dio ci abbandona, non pensa più a noi, ci lascia in una situazione che non corrisponde al nostro essere figli suoi... E la verità è proprio il contrario di tutto questo. Invece di lamentarci dovremmo essere contenti, perché Dio si interessa di noi: "Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre?".
È difficile, sempre difficile, sempre da ricominciare, il riconoscere in una prova, in una difficoltà l'intervento positivo di Dio verso di noi. È un atto di fede, perché non le apparenze ce lo dicono, ma la parola di Dio, ma lo Spirito Santo in noi, che ci apre gli occhi e ci fa capire che Dio sta intervenendo nella nostra vita, e in modo più attivo, in modo più affettuoso quando ci mette alla prova con delle difficoltà.
L'autore è molto realista e constata: "Certo, ogni correzione, sul momento, non sembra causa di gioia, ma di tristezza". E una esperienza che non ha bisogno di essere commentata, dovuta all'amor proprio. Qui non la sofferenza, ma l'umiliazione è messa in rilievo: se qualcuno ci fa notare un nostro difetto, una nostra mancanza, noi ci rattristiamo al punto da pensare soltanto all'osservazione che ci è stata fatta, e non al difetto o alla mancanza! Dovremmo superare la reazione dell'amor proprio e riconoscere che ci è stato dato un aiuto, di cui dovremmo essere contenti. È una constatazione a cui erano già arrivati i filosofi antichi. Socrate diceva che il colmo della felicità è non aver difetti e non fare niente di male, e aggiungeva che subito do po viene la felicità di essere corretti quando si sbaglia, perché allora ci si può emendare.
La Scrittura va molto più in profondità: dobbiamo essere felici che il Signore ci corregga non soltanto perché è una occasione per progredire, ma perché così la nostra relazione con lui diventa più stretta. È dunque un motivo di fiducia tanto più grande se pensiamo che la nostra sorte è legata a quella di Cristo.
La lettera agli Ebrei già ci ha detto come Gesù, pur essendo il Figlio perfetto, ha voluto per noi imparare l'obbedienza dalle cose che patì, ha voluto conoscere quella educazione dolorosa che a noi è necessaria. Ora, quando noi viviamo a nostra volta questi momenti di dolorosa educazione, siamo uniti a lui in modo speciale e possiamo crescere molto nel suo amore.
La prova motivo di speranza, la prova mezzo per amare: sono le prospettive da tener presenti nelle occasioni grandi e piccole di difficoltà e di disagio, che dovrebbero nutrire il nostro coraggio e la nostra fede. ~ Signore non ci fa sapere in che modo intende comunicarci i suoi doni e farci crescere nella fede e nell'amore. Domandiamogli che ci apra gli occhi perché sappiamo vedere in tutto la sua paterna attenzione verso di noi
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