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RIFLESSIONI BIBLICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:42
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30/09/2016 09:29
 
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Ringraziamo Dio per il grande dono della Scrittura: è un dono del suo amore, un dono antico e sempre nuovo che dobbiamo sfruttare nella fede.
Nel Vangelo Gesù ci dice appunto che il nostro tesoro è contemporaneamente antico e nuovo. E ogni epoca è invitata a discendere in questa miniera inesauribile per trovare nuove ricchezze, e le trova davvero.
Il modo attuale di studiare la Scrittura non assomiglia a quello dei secoli passati: vi scopriamo aspetti nuovi, che ci aiutano ad apprezzarne meglio la varietà e la ricchezza. Così si rinnova continuamente il gusto e l'interesse per lo studio della Bibbia.
Sappiamo che la Scrittura si studia bene soltanto nella fede. "Le Sacre Scritture scrive Paolo a Timoteo possono istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù". Lo studio della Scrittura è fatto per mezzo della fede, che lo guida. Per aver fede bisogna prima capire un po' la Scrittura, perché se non si capisce niente dell'annuncio di salvezza non è possibile aderirvi, quindi per arrivare a credere è necessario fare un certo lavoro di intelligenza, un certo studio. Ma d'altra parte per approfondire la Scrittura è necessaria la fede: credere per, comprendere.
Se qualcuno ha il senso delle cose spirituali capisce profondamente la Bibbia anche se non ha cultura, perché la fede illumina gli occhi del suo cuore e questa illuminazione è più preziosa di tutti i mezzi della scienza, che possono far luce su aspetti secondari, ma non raggiungono il centro, che è il "proprio" della fede.
Non bisogna disprezzare lo studio faticoso degli scienziati, perché i loro sforzi sono necessari per far penetrare la fede in tutti i settori della vita e di ogni epoca. Ma Dio ha rivelato i tesori della Scrittura non soltanto agli intelligenti, ma anche a chi è meno dotato, mediante la fede, luce divina.
Siamo dunque riconoscenti al Signore per questo tesoro che tutti noi utilizziamo e aiutiamo ad approfondirlo insieme agli studiosi, perché la scienza aiuta a comprendere le Scritture, ma ancor più aiuta la santità.
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01/10/2016 08:29
 
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Sabato 1 Ottobre 2016 -

*In quel tempo, i settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome».*

Scacciare i demoni, guarire da malattie e infermità mai potrà essere motivo di gloria. Queste cose vengono fatte non per merito nostro, ma perché purissimo dono e potere datoci da Cristo Gesù. Mentre osservare la Parola di Dio nella purezza e pienezza della verità, sotto la guida sapiente e saggia dello Spirito Santo, richiede impegno quotidiano, totale abnegazione di sé, conversione perenne, volontà di lasciare il mondo del vizio e del peccato, desiderio di crescere in grazia, aspirazione a conquistare il cuore di Cristo per vivere con esso e per esso per tutti i giorni della nostra vita.
Il Vangelo, oggi, ci insegna a gioire del fatto di essere nel cuore di Dio, del fatto di poter annunciare e vivere la Parola, del fatto che il Padre, almeno lui, ha una logica diversa da quella selettiva di questo durissimo mondo che abbiamo costruito... Sia lodato Gesù Cristo!
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02/10/2016 09:21
 
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don Roberto Rossi
Ravviva il dono di Dio che è la fede

Gli apostoli dissero al Signore: "Accresci in noi la fede!". Tutti noi possiamo fare nostra questa invocazione. Anche noi come gli Apostoli diciamo al Signore Gesù: "Accresci in noi la fede!". Sì, Signore, la nostra fede è piccola, la nostra fede è debole, fragile, ma te la offriamo così com'è, perché Tu la faccia crescere. "Signore, accresci in noi la fede!"
Ho paura che molti non comprendano l'importanza di avere la fede, di crescere nella fede... in mezzo a tanta gente che vuole distruggere la fede, che immette nella cultura e nel modo di pensare materialista che vorrebbe convincere che avere la fede significa non divertirsi, non essere felici, che la felicità è da un'altra parte... E molte persone ci cascano e rischiano di rovinare la propria vita, dandosi solo alle mondanità o, al meglio, alle carriere e ai miraggi umani. Persone che rischiano di perdere e rovinare la propria vita nell'eternità: "che cosa serve guadagnare anche il mondo intero, se poi uno perde la sua anima?" ci dice Gesù..
Ecco l'importanza della fede: la fortuna, la gioia, il dono della fede, la luce e la forza della fede!
E il Signore che cosa ci risponde? Risponde: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire.... Il seme della senape è piccolissimo, però Gesù dice che basta avere una fede così, piccola, ma vera, sincera, per fare cose umanamente quasi impossibili, impensabili. Ed è vero! Tutti conosciamo persone semplici, umili, ma con una fede fortissima, che davvero spostano le montagne! Pensiamo, per esempio, a certe mamme e papà che affrontano situazioni molto pesanti; o a certi malati, anche gravissimi, che trasmettono serenità a chi li va a trovare. Queste persone, proprio per la loro fede, non si vantano di ciò che fanno, anzi, come chiede Gesù nel Vangelo, dicono: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».
In questo mese di ottobre, che è dedicato in particolare alle missioni, possiamo pensare a tanti missionari, uomini e donne, che per portare il Vangelo hanno superato ostacoli di ogni tipo, hanno dato veramente la vita; come dice san Paolo a Timoteo: «Non vergognarti di dare testimonianza al Signore nostro, ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo». "Ravviva il dono di Dio che ti è stato dato. Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità..." Questo però riguarda tutti: ognuno di noi, nella propria vita di ogni giorno, può e deve dare testimonianza a Cristo, con la forza di Dio, la forza della fede. La fede piccolissima che noi abbiamo, ma che è forte e che aiuta a compiere cose grandi! Con questa forza dare testimonianza di Gesù Cristo, essere cristiani con la vita, con la nostra testimonianza, col nostro amore.
Papa Francesco ci invita fortemente ad essere evangelizzatori e missionari per portare a tutti la gioia del vangelo.
E come attingiamo questa forza? La attingiamo da Dio nella preghiera e nella formazione cristiana. La formazione cristiana avviene nelle varie forme di catechesi, di incontri, di parola di Dio, di esperienza, di evangelizzazione.
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03/10/2016 07:59
 
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Il dottore della legge voleva trascinare Gesù nei dibattiti tipici dell’epoca: “Qual è il più grande dei seicentotredici precetti della legge?”. “E chi è il mio prossimo?”. Gesù orienta la conversazione in modo tale da precisare ciò che è più importante nella vita dei suoi discepoli: l’amore per Dio e per il prossimo, compresi i nemici. È il dottore della legge stesso che risponde alla prima domanda. Ma chiede ancora: “E chi è il mio prossimo?”. Per la mentalità dell’epoca, il prossimo non poteva essere né il pagano, né il samaritano, né uno qualsiasi. Alla seconda domanda, Gesù risponde con una parabola. Il samaritano non discute di problemi complessi di teologia, non chiede chi sia mai quell’uomo mezzo morto, semplicemente gli porta soccorso. “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”. Ciò significa: “Il tuo prossimo è ogni uomo che ha bisogno del tuo aiuto, del tuo amore, della tua misericordia. Non chiedere chi sia il tuo prossimo, sii piuttosto vicino a chi si trova in disgrazia, fosse anche un tuo nemico!”. Il samaritano sarà per me un esempio? Ecco ciò che sembrava assurdo al dottore della legge. I Giudei consideravano apostati i Samaritani. Provavano ostilità e ripugnanza nei loro confronti, come del resto i Samaritani verso i Giudei. I dottori della legge, poi, non volevano che si mostrasse loro benevolenza. Ecco che Gesù unisce nell’amore la famiglia umana dispersa e divisa dal muro di separazione (Ef 2,14).
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04/10/2016 09:05
 
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Riccardo Ripoli
Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli

Ci volevano centinaia di morti perché i politici si muovessero? Ci volevano centinaia di morti per gridare contro una legge che impedisce l'accoglienza? Ci volevano centinaia di morti per far muovere i politici in segno di solidarietà? Ci volevano centinaia di morti per accorgersi del dramma in cui vivono queste persone? Ma avete mai provato a immedesimarvi in uno di loro? E se foste nati in qualche paese africano ferito dalle guerre, dalla carestia, dagli abusi e soprusi continui sotto gli occhi distratti e corrotti delle autorità, dove sareste ora? Forse sareste una delle tante mamme che vedono partire i propri figli senza sapere se mai li potranno rivedere, o forse sareste uno dei tanti obbligato a sparare contro i propri fratelli, oppure uno di quei ragazzi che si mettono in mano a questi trafficanti di vite umane, disposti a tutto pur di avere una minima speranza di vita dignitosa. Vergogna a coloro che girano la testa dall'altra parte, vergogna a chi imperterrito continua a correre schivando i cadaveri allineati lungo la strada della sua vita, vergogna a chi continua a dare più importanza alle alleanze per proteggere il potere conquistato piuttosto che rimboccarsi le maniche e salvare chi sta andando a fondo.
Non è intelligente e sapiente chi ha la laurea o ha letto mille libri, sapiente è colui che sa discernere il bene dal male, che ha la sensibilità di mettere al primo posto la sofferenza altrui, che è pronto ad accogliere nella propria casa chiunque abbia bisogno di una mano.
Un'altra tragedia si è consumata, l'ennesima tragedia, l'ennesimo teatrino per chi vuole approfittare della situazione per avere un po' di visibilità. L'ennesima tragedia che domani sarà già dimenticata perché le cose importanti non sono la vita e la morte delle persone, ma la nostra esistenza, il potere che possiamo esercitare, il denaro che possiamo spendere. Se riuscissimo a guardare gli altri, a immedesimarci in loro, ad amarli ed accudirli come fossero nostri figli, il mondo sarebbe migliore. Se gli altri sono indifferenti, cominciamo noi a non esserlo ed il mondo pian piano cambierà davvero.
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05/10/2016 07:51
 
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L’amore è l’essenza, il centro della vita cristiana, e la preghiera ne è il respiro. Per questo, dopo aver parlato del comandamento dell’amore, Gesù parla della preghiera.
La richiesta più importante della preghiera del Signore è costituita da queste parole: “Venga il tuo regno”. Esse costituiscono il filo conduttore della predicazione di Gesù e il fine della sua azione. Chi compie la volontà di Dio e si impegna a diffondere il suo regno sulla terra, può chiedere il pane quotidiano, simbolo del pane eucaristico e di quel nutrimento che tutti gli uomini salvati mangeranno alla mensa comune, nella casa del Padre. Ora, ciascuno di noi è debitore e peccatore nei confronti di Dio, completamente affidato alla sua misericordia. Dio ci perdona, ma esige che noi proviamo verso gli altri questa stessa misericordia che sa perdonare. Consapevoli dei rischi, preghiamo Dio di guidarci attraverso tutte le prove e tutte le tentazioni. Quando verrà il regno di Dio, tutte le nostre aspirazioni umane saranno soddisfatte, le nostre domande esaudite, e saremo liberi da tutti i pericoli.
La preghiera del Signore è la sintesi del Vangelo, e riassume, sotto forma di domanda, tutta la Rivelazione. Ecco perché è diventata la preghiera ufficiale della Chiesa, il modello e la fonte di tutte le altre preghiere.
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06/10/2016 06:53
 
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Gesù ci assicura che la nostra preghiera sarà esaudita. Se accontentiamo la richiesta di un amico in difficoltà, anche se dobbiamo fare grandi sforzi per rendergli questo favore, a maggior ragione Dio ascolterà la nostra preghiera perché è nostro amico. E quanto più essa sarà pressante e ostinata, tanto più egli l’ascolterà. Non si adirerà contro di noi nemmeno quando, perseveranti e pieni di fiducia e di rispetto, ci faremo temerari al punto da importunarlo. È difficile trovare un amico del genere. Gesù ci assicura che Dio è proprio un tale amico. In seguito, però, sfuma un pochino il suo pensiero: Dio esaudisce la nostra preghiera non solo perché egli è amico, ma anche perché è Padre. Tuttavia egli non concede sempre tutto ciò che chiediamo, perché ha un’offerta migliore da proporci: lo Spirito Santo, che non nega mai a nessuno che gliene faccia richiesta. Questo dono dello Spirito contiene tutti gli altri beni a cui l’uomo aspira. In lui sono soddisfatti i nostri desideri, anche i più segreti.
Nel Vangelo di oggi, Gesù ci insegna a perseverare nella preghiera e traccia una meravigliosa immagine di Dio, nostro amico e Padre.
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07/10/2016 07:22
 
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La memoria del Rosario conduce il pensiero alle prime parole dell'Ave Maria: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te", che ripetiamo tante volte quando preghiamo il Rosario. E un modo di metterci alla presenza di Maria e nello stesso tempo alla presenza del Signore, perché "il Signore è con lei", di rimanere in maniera semplice con la Madonna, rivivendo con lei tutti i misteri della vita di Gesù, tutti i misteri della nostra salvezza.
Il racconto dell'annunciazione a prima vista ci presenta un solo mistero, ma se guardiamo bene vi si trovano tutti i misteri del Rosario: l'annunciazione, ma anche la visitazione, perché vi si nomina Elisabetta, e il Natale di Gesù: "Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù". Anche i misteri gloriosi sono annunciati: "Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore gli darà il trono di Davide suo padre... e il suo regno non avrà fine". E nella risurrezione e ascensione che Gesù riceve la dignità di re messianico, la gloria eterna nel regno del Padre. Dunque, misteri gaudiosi e misteri gloriosi. Sembra che manchino quelli dolorosi, ma troviamo anche quelli, non descritti, ma nel loro principio. Pensiamo alla risposta di Maria all'annuncio dell'Angelo: non è un grido di trionfo, ma una parola di umiltà: "Eccomi, sono la serva del Signore", che la mette in profonda consonanza con il Servo del Signore annunciato da Isaia, il Servo che sarà glorificato, ma prima umiliato, condannato, ucciso, "trafitto per i nostri delitti".
Maria sa, per ispirazione dello Spirito Santo, che i misteri gloriosi non possono avvenire senza passaggio attraverso l'obbedienza fiduciosa e dolorosa al disegno divino.
I misteri del Rosario sono una sola unità, ed è importante sapere che in ogni mistero gaudioso ci sono in radice tutti i misteri gloriosi e anche i dolorosi, come via per giungere alla gloria.
Chiediamo alla Madonna di aiutarci a capire profondamente l'unità del mistero di Cristo, perché esso si possa attuare nei suoi diversi aspetti in tutti gli eventi della nostra vita.
Mi piace riportare, a proposito della preghiera del Rosario, un piccolo testo che trovai anni fa in una rivista benedettina: "Dì il tuo Rosario dice Dio e non fermarti ad ascoltare gli sciocchi che dicono che è una devozione sorpassata e destinata a morire. Io so che cos'è la pietà, nessuno può dire che non me ne intendo, e ti dico che il Rosario mi piace, quando è recitato bene. I Padre Nostro, le Avemarie, i misteri di mio Figlio che meditate, sono Io che ve li ho dati. Questa preghiera te lo dico io è come un raggio di Vangelo, nessuno me la cambierà. Il Rosario mi piace dice Dio semplice e umile, come furono mio Figlio e sua Madre...".
Rinnoviamo, se è necessario, la nostra stima per il Rosario. Certo, bisogna pregarlo con rispetto, ed è meglio dirne due decine senza fretta che cinque di corsa. Ma detto con tranquillità è un modo di essere in compagnia di Maria alla presenza di Gesù.



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08/10/2016 09:41
 
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L’uomo battezzato può cadere di nuovo, a causa dei suoi peccati, nella schiavitù di Satana (si veda, a questo proposito, il Vangelo di venerdì). Noi apprendiamo oggi che questo pericolo non minaccia colui che, seguendo l’esempio di Maria, ascolta e mette in pratica la parola divina annunciata da Cristo.
Ogni madre è felice e fiera dei propri figli. Come comprendiamo allora l’esclamazione di questa donna, persa nella folla e soggiogata da Cristo! Cristo completa il suo pio augurio ponendosi al di sopra dei legami familiari che lo uniscono a Maria. Perché chiunque osserva la parola di Dio, riceve lo Spirito Santo che lo unisce a Gesù e a Dio con legami più forti di quelli carnali. Per questo Gesù designa come “beati” quelli che ascoltano le sue parole e le osservano. Questa benedizione si applica innanzi tutto a sua madre, che è la migliore fra i suoi discepoli, la Figlia del Figlio. La replica di Gesù contiene un elogio discreto di Maria. Poiché Maria è, dopo Gesù, la più attenta alla parola di Dio e la più fedele nel metterla in pratica. Proprio in questo risiede la sua grandezza, e non solo nella sua maternità. Nel contesto del Vangelo di oggi, Maria è vista come la serva del Signore che ascolta e crede
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09/10/2016 07:24
 
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don Giacomo Falco Brini
Prima la salute o la salvezza?

"La prima cosa, la più importante, è la salute". "Quando hai la salute, hai tutto". Sono solo alcune delle espressioni che sin da piccolo sento sulla bocca di tanti. Sembrerebbe proprio così, se consideriamo che le parole salvezza e salute hanno la stessa radice: il latino salus. Ma il vangelo non sembra allinearsi con il comune modo di pensare. Per carità, non che le due realtà non possano coincidere, ma ricordiamo il vangelo di un paio di domeniche fa. Un uomo ricco e satollo, senza problemi di salute; un povero invece pieno di problemi con il corpo coperto di piaghe, privo di salute. Nel post-mortem raccontato nella parabola, solo Lazzaro, che non aveva buona salute in terra, raggiunge la salvezza. Cosa se ne fece invece quel ricco della sua salute? Però voglio chiarirlo subito: questo commento non è né un elogio della sofferenza, né un invito al disprezzo della salute corporale.

Gesù incontra sul suo cammino verso Gerusalemme dieci lebbrosi che gridano a Lui. Lo chiamano per nome e lo riconoscono anche maestro (v.13). Il Signore ordina loro: andate a presentarvi ai sacerdoti (v.14). L'ordine dato rispetta le norme del libro del Levitico circa la purificazione dei colpiti da lebbra: questa è la legge da applicare al lebbroso per il giorno della sua purificazione. Egli sarà condotto al sacerdote... (Lv 14,2ss.).

Osserviamo che Gesù ha ascoltato il grido e ha visto la condizione di quegli uomini ma, nel suo pronto intervento, si è limitato a ordinar loro di fare quello che la parola di Dio già dice in proposito. Due piccole annotazioni al riguardo:

1) nella vita tante volte, per problemi di natura spirituale che non si ha più il coraggio di chiamare "peccati", c'è chi fa giri interminabili qua e là tra santoni, guru e presunti specialisti in umanità che offrono soluzioni suggestive spesso a caro prezzo, ma a lungo andare privandosi di una vita più serena e felice. Quante cose comincerebbero a sistemarsi nella propria vita, quale pace ritornerebbe nel proprio cuore se si andasse con fiducia dal sacerdote per una sincera confessione sacramentale e per ricevere le indicazioni di un cammino personalizzato!

2) i 10 lebbrosi, obbedendo alle parole di Gesù, vengono guariti mentre sono in cammino (v.14). Segno che conferma quanto detto sopra al punto 1. Le nostre infermità interiori di cui la lebbra è figura, guariscono all'interno del cammino di fede che intraprendiamo. Ed è l'obbedienza alla parola di Dio che ci guarisce! Inoltre, questo significa che per seguire Gesù non bisogna aspettare di essere prima puri, sani e santi. La guarigione e la salvezza sono doni consequenziali alla decisione di dar fiducia a Gesù e alle sue parole.


E veniamo al nucleo più importante del messaggio evangelico. Uno dei dieci vedendosi guarito tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un samaritano (vv.15-16). Dieci vengono guariti, ma uno solo ritorna verso Gesù per ringraziare e per giunta samaritano, cioè uno doppiamente escluso dalla salvezza secondo il pensiero religioso del tempo: perché era lebbroso e per il suo status di cittadino etnicamente impuro. Gesù lo chiama straniero (v.18). Ancora una volta il vangelo ci mette di fronte al tema della fede che il Signore incontra laddove non dovrebbe manifestarsi (cfr. Lc 9,53). Le domande che Gesù si pone davanti a quell'uomo sono in sé stesse la strada migliore per cogliere il nocciolo del suo insegnamento. La salvezza della nostra vita non consiste nel guarire dalla propria lebbra, ma incontrare Chi ci guarisce. La salvezza non coincide con una buona salute, anche se è sempre auspicabile averla. Se, come diceva un antico padre (S. Ireneo di Lione), il fine della vita dell'uomo è dar lode e gloria al suo Creatore, allora possiamo comprendere il risalto delle domande e l'affermazione finale nel vangelo. E' la relazione con Gesù che ci salva. La salute è uno dei tanti doni che può farmi ricordare il Donatore, ma me ne può anche allontanare se diventa più importante di Lui! Ecco quanto il credente deve ricordare.

Alzati e cammina; la tua fede ti ha salvato! (v.19) Se è la fiducia nel rapporto con Gesù a salvare la mia vita, allora la salute può esserci ma può anche non esserci. Come la stessa esperienza umana ci insegna quando incontriamo persone (e quante ce ne sono!...) che pur non godendo affatto di buona salute ci sono di esempio nella fede. La salvezza, salute interiore dell'anima, con o senza una buona salute, è vivere grati a Dio, anche su una sedia a rotelle! Per il discepolo di Cristo il dono più importante, il dono che Dio ci ha già fatto, il dono da accogliere ogni giorno nella preghiera, è incontrare e riconoscere il Donatore nel proprio cuore. Chi ha orecchi per intendere, intenda.




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10/10/2016 08:49
 
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Siamo anche noi una generazione malvagia che esige dei segni e tenta di mettere alla prova Gesù? Sembra di sì. Noi siamo troppo fissati sulle possibilità umane, soprattutto su quelle tecniche. Per questo facciamo a meno di altri segni, in particolare dei segni divini. Di qui le parole che ci sono rivolte: a noi non sarà dato “nessun segno fuorché il segno di Giona”. E qual è? In Luca è il richiamo alla penitenza rivolto a Ninive. Invece in Matteo è la risurrezione. Per noi il segno di Giona è Gesù Cristo stesso che ci chiama alla penitenza. Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino: “Convertitevi e credete al Vangelo”. Di fronte a noi, restii alla conversione, al tribunale appariranno molti testimoni che invece hanno accolto i segni che chiamano alla conversione: la regina di Saba che ha riconosciuto in Salomone il segno divino, gli abitanti di Ninive che si son convertiti alla voce di Giona profeta e molti altri. Sul mondo contemporaneo incombe la sentenza del Signore ad Abramo: Se si trovassero persone giuste, il mondo non sarebbe rovinato. Con l’adesione all’invito a convertirci, possiamo essere tra i dieci giusti!
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11/10/2016 08:17
 
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Nel brano che abbiamo ascoltato oggi accanto alle parole di Cristo, di una grandezza decisiva, le parole del fariseo sembrano ancora più meschine. Ai tempi di Gesù a decidere della condotta morale erano solo alcune persone. Tutta una serie di precetti, rispettati minuziosamente, rappresentavano la grandezza dei farisei in confronto agli altri che, non rispettandole allo stesso modo, venivano da loro disprezzati. Il fariseo doveva avere familiarità con molteplici ordini e divieti; la sua vita era caratterizzata da un alto rispetto per la morale “codificata”. Perché Gesù ha dovuto scatenare tali lotte e tali discussioni con i farisei? Perché la legge, quando è pura legge, perde l’uomo. I Romani, che erano giuristi impeccabili, in teoria ed in pratica, facevano notare che la più perfetta legge è la più perfetta ingiustizia (summum ius, suma iniuria). In nome della dignità umana, Gesù accende molte polemiche con i farisei, mostrando loro che l’uomo è per Dio il valore più alto e che la legge deve essere al di sotto dell’uomo. “Voi farisei purificate l’esterno... ma il vostro interno è pieno di rapina e di iniquità”. San Paolo, uno tra i farisei, l’ha capito molto bene: per lui agire sull’interiorità è necessario prima di lasciarsi formare da Cristo.
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12/10/2016 08:12
 
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Ascoltiamo oggi con umiltà le parole amare e severe che Cristo rivolge ai farisei e ai dottori della legge. Oggi queste parole vengono rivolte a noi. Vediamo quanta verità vi sia anche per noi? Pagare la decima significava riconoscere le proprie dipendenze nei confronti di colui a cui la si pagava, in questo caso a Dio. E Dio oggi ci dice: “Non ho bisogno dei vostri beni, perché tutto appartiene a me. Non smetto invece di richiamarvi alla giustizia e all’amore”. Nelle nostre società che posto spetta alla giustizia e all’amore?
La morte interiore è molto più temibile della morte fisica, perché la morte spirituale ha conseguenze eterne. È spaventoso essere dei “sepolcri” già da vivi, perché allora bisogna cambiare ancora molto, mentre l’uomo persiste volentieri in quanto in lui è negativo. Come uscire da questa situazione? Ritornare a vivere è rispondere alla chiamata di Cristo.
È molto facile essere giudici degli altri. È facile far rimarcare agli altri i loro errori e le loro mancanze. Invece, quando si tratta di noi stessi, ci risparmiamo: troviamo per noi delle regole più elastiche, con numerose scappatoie e riserve per giustificare il nostro comportamento. Cristo ha detto che siamo tutti uguali di fronte a Dio. Bisogna imparare a misurare sia noi sia gli altri con le stesse regole: quelle di Cristo.
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13/10/2016 08:36
 
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Dopo aver rimproverato i farisei e gli scribi (Lc 11,42-46), Gesù, in questo brano del Vangelo, ammonisce i dottori della legge e fustiga la loro ipocrisia. Per esemplificare, commentiamo soltanto l’ultimo rimprovero (Lc 11,52). I dottori della legge sono accusati di proclamarsi detentori della conoscenza di Dio, confondendo la conoscenza di Dio con le proprie opinioni e i propri interessi. Bisogna, dunque, che anche noi stiamo attenti a non limitare e a non ostacolare la propagazione della parola di Dio e del suo messaggio.
Il confronto di Gesù con le autorità d’Israele ha la sua origine nell’Antica Alleanza, che si prolunga oggi nel tempo della Chiesa. L’Antica Alleanza presenta il destino di ogni profeta: essere vittima della violenza del proprio popolo.
La storia di Israele può essere riassunta in questi termini: da una parte, Dio invia i suoi profeti per insegnare agli uomini la via della salvezza; dall’altra parte, il popolo mette a morte i suoi profeti (Lc 4,24-28; 20,2-5).
Da questo punto di vista, la storia e il destino di Gesù, testimone perseguitato, costituisce il punto culminante di questa persecuzione della verità fin dall’inizio dei tempi (per esempio, Abele). Questo brano del Vangelo ci permette di costatare che i discepoli di Gesù non hanno sofferto invano il loro martirio, poiché questo ha raggiunto il suo culmine con Gesù Cristo a Pasqua. Egli invia i suoi apostoli (oggi i predicatori e i cristiani) per diffondere la sua parola e il mondo continua a perseguitarli e a respingerli.
In questo brano di Vangelo Gesù si rivolge certamente al popolo d’Israele che rifiuta il suo messaggio, ma in modo più vasto Gesù si rivolge all’umanità intera che si chiude in una verità parziale che difende con la violenza. Per questo motivo i credenti devono affrontare le sofferenze e le persecuzioni, dando così testimonianza alla verità divina che illumina la nostra vita.
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14/10/2016 05:35
 
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Fra i consigli e le raccomandazioni che Cristo ha dato, oggi dobbiamo soprattutto fare tesoro dell’esortazione a non avere paura. Sappiamo quanto la paura paralizzi l’attività umana. Non avere paura di quelli che uccidono il corpo e temere invece chi può condannarci alla morte eterna! È naturale che ogni uomo abbia paura della morte. Cristo attira l’attenzione sulle conseguenze della vita presente per la vita futura. Bisogna stare attenti a non perdere la Vita durante la vita: in nome di questo valore che è la Vita eterna, non bisogna temere di perdere la vita terrena. L’uomo deve fare molta attenzione e cercare di vedere questa prospettiva eterna in ogni momento della vita. Per Dio ogni uomo è un essere unico. Per salvarlo dalla morte eterna, Dio manda suo Figlio. Ecco la ragione per cui non dovremmo avere paura, ma essere sempre vigilanti, perché troppi nemici ostacolano la nostra felicità eterna.
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15/10/2016 07:51
 
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Santa Teresa è stata riconosciuta dottore della Chiesa perché nei suoi scritti ha saputo esprimere i segreti della vita spirituale e spiegarli agli altri, parlando veramente dall'abbondanza del cuore. E un piacere leggere i suoi scritti, per la spontaneità dello stile che li fa assomigliare non a dei trattati di teologia, ma ad una viva conversazione con una donna colma di Dio e che appunto racconta come ha incontrato Dio su tutte le sue strade, come ha lavorato con Dio per fondare ovunque carmeli che fossero centri di intensa vita spirituale.
Il passo della lettera ai Romani evoca la fecondità interiore della santa e capiamo che tutta la sua dottrina veniva proprio da un cuore formato dallo Spirito Santo. Ella stessa parla della forza delle sue aspirazioni spirituali, della loro profondità; si tratta veramente di gemiti, come dice san Paolo: "Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, intercede per noi con gemiti inesprimibili". "Salvàti nella speranza", noi gemiamo verso Dio.
Questa vita "spirituale" nel senso più forte del termine, unisce santa Teresa alle tre Persone divine, e lo si comprende meglio leggendo i versetti successivi a quelli riportati, che già parlano dello Spirito di Dio che prega in noi con gemiti inesprimibili. La nostra preghiera è in noi stessi l'attività di Dio, del suo Spirito, se è preghiera autentica, se è preghiera cristiana. Non sono parole di sapienza umana, non sono un'invenzione umana: è l'attività dello Spirito in noi, che cerca di penetrare il nostro essere, di trasformarlo per slanciarci in Dio, per approfondire in noi il desiderio di Dio, per dare uno slancio fortissimo verso il Pa
dre. Questo grido dello Spirito in noi è espresso nel salmo di ingresso: "L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente", anela a Dio, perché già abbiamo gustato la vita di Dio, perché siamo abitati da Dio. "E Dio che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito": c'è una corrispondenza tra ciò che Dio vuole per noi e ciò che in noi lo Spirito realizza secondo la volontà di Dio.
Ora tutto questo continua la lettera di Paolo – è affinché diventiamo simili al Figlio, perché "quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo".
Lo Spirito ci è dato per mezzo del Figlio. È per la parola del Figlio che possiamo ricevere in noi lo Spirito; è per il sacrificio del Figlio che otteniamo in noi la vita di Dio, che è vita dello Spirito: l'acqua viva, simbolo dello Spirito Santo, è ormai unita al sangue uscito dal fianco di Cristo; è dunque attraverso Cristo che riceviamo lo Spirito che ci slancia verso il Padre, trasformandoci a immagine del Figlio.
E il nostro cuore diventa un cuore buono perché in esso vive la Trinità. Dice un passo del Vangelo che l'uomo buono estrae cose buone dal suo cuore. Noi non possiamo pretendere che il nostro cuore sia buono: è lo Spirito che venendo vi porta la vita di Dio e lo trasforma, in modo che possiamo estrarre dal suo tesoro cose buone per coloro che avviciniamo. E ciò che ha fatto Teresa d'Avila. Ha spalancato il suo cuore a tutta la forza della vita divina che veniva a lei da Cristo e dallo Spirito e che la lanciava verso Dio e da questo cuore colmo di Dio ha estratto tesori di vita spirituale per tutti quelli che le erano affidati e per le generazioni successive.
Domandiamo al Signore la stessa fiducia di santa Teresa e di aprire il nostro cuore all'azione dello Spirito Santo che ci viene da Gesù e ci conduce al Padre.
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16/10/2016 07:32
 
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don Alberto Brignoli
La violenza della preghiera

Credo sia capitato a diversi di noi di trovarci a chiedere con insistenza qualcosa a Dio: una grazia, un aiuto, un favore, un sostegno nei momenti di difficoltà. Ci sta, il fatto di essere insistenti con Dio: è anche sinonimo di fiducia in lui, nella stragrande maggioranza dei casi, e in fondo non è che stiamo chiedendo chissà cosa. Noi siamo limitati, poveri, mortali, incapaci e indifesi, di fronte agli attacchi della vita: e allora, se non ci dà retta lui, chi ci dà retta? Quindi, se notiamo un certo silenzio da parte sua, non dobbiamo aver paura a farci avanti esigendo ciò che ci spetta. In fondo, assumiamo il medesimo atteggiamento della vedova del Vangelo, che insiste presso il giudice irriguardoso perché le faccia giustizia, secondo quanto le spetta per diritto. Per inquadrare correttamente la parabola che abbiamo ascoltato, non vanno dimenticate due cose riguardanti l'ambiente giudaico.
Innanzitutto, la figura della vedova: insieme all'orfano, nella Bibbia è la categoria maggiormente abbandonata dalla società, e di essa è direttamente Dio - e chi agisce in suo nome - a farsi carico. Quindi, in una società in cui tutto è retto dalla volontà di Dio, anche e soprattutto la legge, la vedova in questione non sta chiedendo favori particolari al giudice, sta solo reclamando il diritto di essere difesa, perché nessun altro lo fa per lei. E qui entra in campo la seconda figura, quella del giudice, che essendo l'uomo che fa rispettare la legge (intesa però come legge di Dio, e non degli uomini), è tenuto a essere non un arbitro imparziale, ma colui che esercita la giustizia in nome di Dio, una giustizia che salva e libera chi - come la vedova - è sfruttato e oppresso. Quindi, il giudice non può essere imparziale di fronte alla legge, perché la legge di Dio è parziale, fa preferenze: difende sempre i poveri e gli oppressi. Per il nostro ordinamento giuridico e per la nostra mentalità cresciuta sulla base del diritto romano, una cosa di questo tipo è inconcepibile e profondamente ingiusta: la legge è uguale per tutti, va applicata per ciò che è, e il giudice deve essere arbitro imparziale che fa rispettare la legge a chiunque. Per la mentalità biblico-giudaica, un giudice che "non teme Dio", e che nemmeno per gli uomini "ha riguardo" è totalmente inconcepibile. È un giudice ingiusto, anche se imparziale di fronte alla legge.
Dicevo all'inizio che pure a noi è capitato di essere insistenti, nelle nostre preghiere, con un Dio che a volte pare faccia fatica ad ascoltarci, quasi fosse pure lui un giudice - imparziale e ingiusto allo stesso tempo - che non fa caso a chi si rivolge a lui per essere aiutato. Ma credo onestamente che a nessuno di noi sia mai balenato per la mente di "fare un occhio nero a Dio" per colpa della sua apparente sordità alle nostre suppliche... prendercela con Dio può pure starci, ma senza l'intenzione di fargli del male o di arrivare a minacciarlo... sarebbe quantomeno grottesco! Eppure, con il beneficio d'inventario che la comparazione della parabola ci esige, la vedova del Vangelo arriva a essere talmente insistente con il giudice che questi si sente minacciato fisicamente! Sì, perché questo è il significato originario del termine greco che traduce la frase "perché non venga continuamente a importunarmi": la preoccupazione del giudice di non dover girare con un occhio nero era forse dovuta al fatto che si sentiva minacciato fisicamente da chi avrebbe potuto prendere le difese della vedova, cosa che probabilmente non era così infrequente, ma che soprattutto avrebbe causato un crollo della sua reputazione professionale. E così, per pura convenienza, fa giustizia alla vedova oppressa e sfruttata adottando gli stessi criteri di Dio; il quale, invece, non ha bisogno che l'umanità giunga a minacciarlo perché egli eserciti la giustizia, perché "egli fa giustizia prontamente ai suoi eletti che gridano giorno e notte a lui".
Il problema, allora, non è il silenzio di Dio di fronte alle ingiustizie, ma il nostro silenzio, la nostra inedia, la nostra accidia, il nostro disinteresse, che non denota altro se non una mancanza di fede in un Dio che può veramente ribaltare le sorti del mondo, se ci si affida a lui. Diamine! Un giudice irriguardoso riesce a ribaltare la sorte di una povera vedova condannata all'ingiustizia per via della sua insistente e quasi minacciosa preghiera, volete che Dio non sappia ascoltare il grido e l'anelo dell'umanità? Il problema è che l'umanità, oggi più che allora (ecco perché Gesù usa un verbo al futuro), denota di non avere più la minima dose di fede in un Dio che può veramente instaurare un regno di giustizia, se l'umanità gli dimostra di crederci veramente pure lei.
Se l'umanità dimostrasse di credere veramente in un mondo più giusto e più solidale, farebbe di tutto per ottenere da Dio la forza necessaria per cambiare il mondo; se l'umanità dimostrasse di credere in un Dio giusto e difensore dei poveri, non si farebbe nessun riguardo a pregarlo, a implorarlo giorno e notte, a chiedere a lui di indicargli la via giusta perché il suo Regno di giustizia si instauri nel mondo! Se l'umanità avesse fede, e la dimostrasse, e la coltivasse, invece di implorarla da Dio come fosse un distributore automatico di grazie (non dimentichiamoci: "Aumenta la nostra fede!, è il grido privo di responsabilità dei discepoli all'inizio di questa dottrina lucana sulla fede), allora l'unica violenza che userebbe per ottenere giustizia, l'unica arma per "fare un occhio nero" a chi non ha riguardi per il povero sarebbe quella della preghiera, della semplice preghiera di abbandono e di fiducia in Dio.
Non furono le armi di Israele a sconfiggere Amalek: furono le braccia alzate di Mosè, alzate con insistenza da Cur e da Aronne...vorrà pur insegnarci qualcosa, tutto questo?
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17/10/2016 11:05
 
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Cristo si definisce di fronte ad un mondo diviso in due: quello degli oppressori senza Dio e senza cuore, e quello degli oppressi senza protezione. Egli scopre un peccato: il peccato sociale, più forte che mai, antico quanto l’uomo; ed egli lo analizza in profondità nell’ingenuità di una parabola dalla quale trae un duplice insegnamento. Quello del clamore che sale verso Dio gridando l’ingiustizia irritante in una preghiera fiduciosa e senza risentimento, tenacemente serena e senza scoraggiamenti, con la sicurezza che verrà ascoltata da un giudice che diventa il Padre degli orfani e il consolatore delle vedove. D’altro canto, Gesù stesso prende posizione, rivoltandosi come una forza trasformatrice dell’uomo su questa terra deserta di ogni pietà, per mezzo della risposta personale della sua propria sofferenza, agonizzante, in un giudizio vergognoso, senza difesa e senza colpa. Neanche lui viene ascoltato, ma si abbandona ciecamente a suo Padre, dalla sua croce, che ottiene per tutti la liberazione. La sua unica forza viene dal potere di una accettazione, certa, ma profetica, denunciante. Ci chiede, dalla sua croce: quando ritornerò a voi troverò tutta questa fede, che prega nella rivolta?
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18/10/2016 08:09
 
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L'evangelista Luca può esserci particolarmente caro perché è l'evangelista della Madonna. Solo da lui ci sono state tramandate l'annunciazione, la visitazione, le scene del Natale, della presentazione al tempio di Gesù. E si può anche dire l'evangelista del cuore di Gesù, perché è Luca che ci rivela meglio la sua misericordia: è l'evangelista della parabola del figlio prodigo un tesoro che troviamo soltanto nel suo Vangelo, della dramma perduta e ritrovata. E' l'evangelista della carità: lui solo ci racconta la parabola del buon samaritano, e parla dell'amore di Gesù per i poveri con accenti più teneri degli altri: ci presenta il Signore che si commuove davanti al dolore della vedova di Nain; che accoglie la peccatrice in casa di Simone il fariseo con tanta delicatezza e le assicura il perdono di Dio; che accoglie Zaccheo con tanta bontà da cambiare il suo esoso cuore di pubblicano in un cuore pentito e generoso.
San Luca è dunque l'evangelista della fiducia, della pace, della gioia; in una parola possiamo dire che è l'evangelista dello Spirito Santo. Negli Atti degli Apostoli è lui che ha trovato la formula tanto cara alle comunità cristiane: "formare un cuor solo e un'anima sola", che è ripresa anche dall'orazione della Colletta di oggi:
"Signore Dio nostro, che hai scelto san Luca per rivelare al mondo il mistero della tua predilezione per i poveri, fa' che i cristiani formino un cuor solo e un'anima sola, e tutti i popoli vedano la tua salvezza". E la comunità cristiana, fondata sull'amore di Gesù e anche sull'amore alla povertà: solo persone non attaccate ai beni terreni per amore del Signore possono formare un cuor solo e un'anima sola.
Il Vangelo di san Luca lo rivela pieno di zelo. Soltanto lui riporta l'invio in missione dei settantadue discepoli (gli esegeti pensano che questo sia un numero simbolico e rappresenti le settantadue nazioni dell'universo) e alcuni particolari di questa missione: "Il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi". San Gregorio Spiega: "Bisogna che i discepoli siano messaggeri della carità di Cristo. Se non sono almeno due la carità non è possibile, perché essa non si esercita verso se stessi, ma è amore per l'altro".
Ci sono dunque molti tesori nell'opera di san Luca e noi possiamo attingervi con riconoscenza, non dimenticando l'aspetto che l'evangelista sottolinea maggiormente: darci tutti al Signore, essere suoi discepoli pronti a portare la croce ogni giorno con lui. Allora il nostro amore è autentico e porta veramente i frutti dello Spirito: la pace, la gioia, la benevolenza.
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19/10/2016 08:24
 
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Il Vangelo vuol far nascere in noi un atteggiamento di attesa per ricevere Cristo. Questa attesa non è rivolta ad un avvenire più o meno lontano che non possiamo conoscere, ma ci fa rivolgere al presente.
Il ritorno di Cristo non è come una grande luce che getterà nell’ombra il mondo presente, ma al contrario essa illumina la nostra vita presente! Il presente non ci separa da colui che viene. Noi siamo già legati a Cristo col fare la sua volontà: servire coloro che lui ci ha affidato.
Gesù si è fatto servo di tutti. Egli ci chiede di servire veramente a nostra volta. Lungi dal volerci condurre ad un timore sterile e paralizzante, le sue parole ricordano quanto sia grande la fiducia che Dio ha negli uomini, una fiducia senza riserve che, se non è dimenticata, suscita questa risposta nel cristiano: imitare Cristo stesso.
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20/10/2016 08:28
 
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Un dispiacere si fa sempre più pesante per Gesù in cammino verso la sua passione: lui che voleva raccogliere insieme tutto il popolo di Dio si vede sempre più isolato nel suo insuccesso. Eppure resta fedele: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra”. Questo fuoco, immagine del giudizio di Dio, della sua parola ultima e definitiva, si accenderà attraverso di lui.
Ma, per realizzare questo, egli deve ricevere un battesimo, attraversare la sofferenza e la morte.
Il rifiuto dell’amore di Dio è divenuto estremo nel rifiuto della sua persona. In un certo senso la sua venuta provoca questo rifiuto. E Gesù non vuole nasconderlo con una pace facile, non può lasciare in pace un mondo che si rinchiude nella durezza del cuore. Ormai egli è pronto a prendere su di sé tutte le conseguenze del rifiuto di Dio, le divisioni tra gli uomini fino nelle loro relazioni più intime. È l’ultima prova già descritta dai profeti (Mi 7,1-17). Il Vangelo ci dice: nel momento del rifiuto totale di Cristo, il fuoco è acceso.
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21/10/2016 07:05
 
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Cristo si scontra con la cecità. Gli uomini non riconoscono ciò che per lui è più evidente, cioè la certezza che il regno di Dio è vicino. Eppure essi sanno guardare, sanno che il vento del mare porta la pioggia ed il vento del deserto il caldo.
Per uscire da questa cecità non possiamo restare passivi, come se i segni della venuta del regno fossero dei miracoli che potremmo guardare come spettatori. Si tratta piuttosto di riconoscere la volontà di Dio e di farla. Cristo ci dice anche ciò che è al centro dalla volontà di Dio: riconciliarci con gli altri nel nostro cammino.
Il perdono ci fa entrare nell’evidenza di Gesù; il regno di Dio è vicino. In questo modo noi prepariamo la venuta di Dio. E Cristo insiste: rifiutare la riconciliazione è come chiudere la porta del regno di Dio.
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22/10/2016 15:22
 
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Cristo vuole che il massacro dei Galilei e l’incidente della torre di Siloe commuovano veramente il cuore degli uomini che gli parlano, mentre essi desiderano solamente sapere se coloro che sono morti erano puniti da Dio per i loro grandi peccati.
Queste persone rischiano di rinchiudersi nelle loro idee troppo umane su Dio, mentre Gesù è venuto per aprire loro la via ad una vera comunione con Dio, in una nuova vita. È vero che essi non troveranno una nuova spiegazione semplicistica alla sofferenza, ma attraverseranno gli avvenimenti, anche i più crudeli, in modo diverso, con un’altra prospettiva.
Gesù soffre a non essere capito. Eppure è come quel vignaiolo, che fa l’impossibile per salvare il fico sterile. Sa che attraverso di lui deve essere salvato ciò che è perduto.
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23/10/2016 08:45
 
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don Alberto Brignoli
Missione e misericordia: lotta al "di più"

C'è sempre chi, nel mondo, si crede "di più": "di più" nel sapere, "di più" nell'avere, "di più" nell'apparire in forma smagliante, "di più" nell'aver fatto esperienze. Sempre "un po' di più". E ovviamente, per essere "di più", occorre avere almeno un termine di paragone rispetto al quale ci si senta "di più". E il termine di paragone sono gli altri, ovviamente; non "gli altri" in senso generico, ma "certi" altri, ovvero quelli che sono meno istruiti, quelli che sono meno abbienti, quelli che sono meno belli, quelli che hanno girato il mondo meno di noi, e così via. Finché il paragone avviene su ciò che si ha, o si sa, o si è fatto, il sentirsi "di più" da fastidio e crea malumore, ma più di tanto non stupisce e non fa male. Quando invece si fanno paragoni e ci si sente superiori agli altri per ciò che si è a livello di qualità morali, e soprattutto nella sfera religiosa, allora lì si cade veramente in atteggiamenti che non è improprio definire "diabolici", perché il rischio è quello di sentirsi "di più" rispetto non solo agli uomini, ma anche a Dio; il quale vuole dall'uomo determinate cose, ma l'uomo che si sente "di più" rispetto agli altri uomini pretende e si sente capace di dare a Dio "di più" di ciò che Dio vuole da noi. Si sente addirittura di più di Dio e della sua Legge: questi è il primo dei due uomini narrati dalla parabola di Luca.
Non poteva che essere un fariseo, perché il fatto stesso di appartenere a un movimento religioso talmente integralista da poter essere definito una vera e propria "setta" lo rendeva "settario", "separato" (questo vuol dire "fariseo"), "diverso" da tutti gli altri uomini sulla faccia della terra. Soprattutto da quelli cattivi, cioè "di meno" di lui; soprattutto, da quelli che tutti sapevano essere peccatori; soprattutto, da questo "pubblicano" che si trova contemporaneamente (che orrore!) nel tempio con lui. E neppure nel tempio non perde occasione per ribadire un'altra volta la sua superiorità in nome della fede, o meglio della religione, da lui superata con i suoi atteggiamenti superlativi: digiuni due volte la settimana (quando prescritto era solo un all'anno), pagamento di decime su tutto ciò che possedeva (quando la legge stabiliva solo su alcuni prodotti della terra), e via dicendo. Fortunatamente, Dio non guarda al "di più" del fariseo, ma al "meno", al "poco", al "nulla" del pubblicano, che proprio perché non ha nulla, offre a Dio se stesso, e si offre come nulla, senza la pretesa di presentargli nulla di ciò che è, che ha o che fa, anzi piuttosto avanzando una richiesta a Dio: quella di avere pietà di lui. E Dio lo salva; salva lui e non il fariseo, perché Dio non è il Dio dei santi e dei giusti, ma dei peccatori. Soprattutto, Dio non è il Dio dei superbi, ma degli umili, come Luca ama dire sin dall'inizio del suo Vangelo, mettendo in bocca queste medesime parole a Maria prima ancora che a suo Figlio.
Nel messaggio che ha promulgato per questa 90? Giornata Missionaria Mondiale, dal titolo "Chiesa missionaria, testimone di misericordia", riprendendo il tema di fondo dell'Anno Giubilare, Papa Francesco parla della missione come di una "grande, immensa opera di misericordia", che si deve dirigere ad ogni uomo ma in particolare agli ultimi della società, perché così Dio fa fin dal principio della storia dell'umanità: "La misericordia procura intima gioia al cuore del Padre quando incontra ogni creatura umana; fin dal principio, Egli si rivolge amorevolmente anche a quelle più fragili, perché la sua grandezza e la sua potenza si rivelano proprio nella capacità di immedesimarsi con i piccoli, gli scartati, gli oppressi (cfr Dt 4,31; Sal 86,15; 103,8; 111,4). Egli è il Dio benigno, attento, fedele; si fa prossimo a chi è nel bisogno per essere vicino a tutti, soprattutto ai poveri". La vicinanza ai poveri e agli umili è ciò che il Papa ci chiede fin dall'inizio del suo pontificato: ed è l'esatto opposto dell'atteggiamento del fariseo nel Vangelo, che non solo si sente e fa il "di più" nei confronti di Dio e della sua Legge, ma è convinto che ribadire la sua superiorità nei confronti dei fratelli ultimi, umili, emarginati e peccatori lo avvicini ancora di più a Dio perché "santo come lui è santo", anzi forse anche qualcosa più di Dio. E non solo continua a ribadire la propria superiorità, ma ringrazia pure Dio perché lo ha reso così, superiore agli altri e privo di ogni occasione di peccato.
Un atteggiamento come questo, di superiorità rispetto a chi fa più fatica a credere e a comportarsi di conseguenza, è un atteggiamento più diffuso di quanto pensiamo, anche tra le nostre comunità cristiane e, purtroppo, anche tra noi missionari; e questo succede ogni volta in cui ci avviciniamo ai poveri con un senso di superiorità, magari anche in buona fede, pensando di portare loro ciò che a loro manca, ma poi dentro di noi ringraziando il Signore che non ci ha fatti poveri come i sudamericani, miseri come gli africani, perseguitati come i medio orientali. Non serve a nulla avvicinarci ai poveri con atteggiamenti che li fanno sentire ancor più poveri e ancora più distanti da noi. Occorre condivisione, consapevolezza che se la vita è stata più clemente con noi, è perché ciò sia messo a servizio degli altri, e non per affermare la nostra superiorità.
Se solo il fariseo avesse pregato Dio, invece di pregare e incensare se stesso...
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24/10/2016 07:46
 
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La parola di Gesù, il suo insegnamento, è forza di vita. Essa raddrizza tutto ciò che, nell’essere umano, è storto.
Guarisce tutto ciò che si oppone alla pienezza della vita. La donna inferma, incapace di alzarsi, e il capo della sinagoga, indignato per la misericordia di Gesù, sono tutti e due, per ragioni diverse, chiusi nella gioia della lode. La donna è piegata sul suo corpo, annientata da una sofferenza che le impedisce di stare in piedi davanti a Dio. Ma per mezzo del suo sguardo e della sua parola, Gesù le presta, a lei sola, la stessa attenzione che presta a tutta l’assemblea del giorno di sabato, e la ristabilisce nella gioia di vivere. Il capo della sinagoga è piegato dalla durezza del suo cuore. Se egli stesse in piedi, davanti a Dio, a viso scoperto, non riconoscerebbe forse nella guarigione di questa donna la bontà di Dio? “Ipocriti!”. Gesù non si rivolge solo a lui. Egli desidera sciogliere ogni resistenza alla pienezza in tutti i cuori umani. Egli è venuto a liberare la bontà umana da ciò che la ostacola, perché nell’amore senza limiti l’essere umano ritrovi Dio.
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25/10/2016 07:58
 
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Gesù ha proclamato la presenza del regno di Dio. Per un ebreo del suo tempo che lo ascolta non vi è nulla di più grande della venuta del regno di Dio, poiché rappresenta quello sconvolgimento del mondo che sarà il compimento di tutto.
Ma allora, per coloro che ascoltavano Gesù o che l’accompagnavano, quale scarto tra questa evocazione del regno di Dio e l’umile condizione di Gesù! Le sue parole e i suoi gesti non sono forse senza proporzione rispetto all’intervento di Dio che deve ricapitolare tutta la storia dell’universo? Gesù insegna a vedere: l’uomo che getta il suo granello di senapa nella terra, la donna che nasconde il suo lievito nella pasta, ecco ciò che tutti possono subito vedere. Ma questi gesti non assumono significato che a partire dai loro risultati, ancora nascosti: il grande albero, la pasta lievitata.
Così la parola di Cristo, in apparenza così povera, è già l’inizio, l’inaugurazione del regno di Dio. Ovunque è vissuto e trasmesso il Vangelo, per quanto poveramente lo sia, si dispiega una forza di Dio capace dell’impossibile.
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26/10/2016 07:14
 
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Nell’antica Alleanza, gli uomini di Dio Michea (Mi 3,5ss), Geremia (Ger 14,13) o Ezechiele (Ez 13,16) rinunciarono a servirsi di belle immagini per parlare della felicità che ci attende. Continuarono piuttosto ad annunciare il castigo per spingere il popolo alla conversione. I loro avversari, gli annunciatori di una felicità a buon mercato, usavano un linguaggio ben diverso: “Essi curano la ferita del mio popolo, ma solo alla leggera, dicendo: ‘‘Bene! Bene’’” (Ger 6,14). Essi hanno tranquillizzato, incoraggiato e illuso la gente. La loro razza non è ancor oggi estinta.
La vita non è forse un fardello troppo pesante per l’uomo d’oggi? Che bisogno c’è che si aggiungano ad appesantirlo ancora di più le esigenze della Bibbia? I principi generali dell’ordine sociale e della pace non implicano forse già da sé doveri e obblighi? Ecco perché i pastori e i predicatori oggi pronunciano sempre di meno il “Fate dunque opere degne della conversione!” di Giovanni Battista. “Peccato” è una parola di cui si fa volentieri a meno nel predicare. Alcuni giungono a chiedersi: “Dobbiamo forse allontanare gli ultimi fedeli, con una pastorale troppo esigente?”.
Gesù si serve di tutt’altro linguaggio nel predicare. La porta della salvezza non è spalancata. Non può essere certo di entrare chi si limita vagamente a fare la volontà di Dio e si accontenta di non praticare l’ingiustizia. Altri prenderanno il suo posto nel regno dei cieli. Lo stesso accadrà per chi, non essendo troppo disponibile all’ascolto, pensa di avere fatto i suoi bravi calcoli e di essersi ben arrangiato per entrarvi: ha fatto i conti senza l’oste.
Gesù si pone senza dubbio sulla stessa linea dei profeti dell’Antico Testamento. Ci ricorda che non dobbiamo dimenticare la santità e il mistero di Dio. Sarebbe per noi fatale pensare di avere Dio per sempre dalla nostra parte in virtù del suo innegabile amore per noi, forse comodo e rassicurante ogni volta che ne abbiamo bisogno. Dio resta un mistero insondabile. E quand’anche ci preoccupasse la questione dell’eterna salvezza di coloro che non hanno conosciuto Gesù o che non l’hanno seguito manifestamente, una risposta a tali speculazioni non può far sì che la Parola di Dio non abbia alcun effetto.
Nessuno può tralasciare quell’“allontanatevi da me” ripetuto anche nella nuova Alleanza.
Contro tutte le tendenze al concetto della “grazia concessa a buon mercato” e contro tutte le tesi della posizione confortevole del cristiano, la parola di san Paolo rimane un punto di riferimento stabile: “Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore” (Fil 2,12).
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27/10/2016 08:02
 
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Già lo stesso nome “Gesù” ce lo assicura: Dio è salvezza. Fin dall’inizio della sua vita, i titoli che vengono attribuiti al figlio della vergine di Nazaret sono: “Messia” e “Salvatore” (cf. Lc 1,47). Essi indicano il senso stesso dell’essere e della missione di Gesù. “Ecco, io scaccio i demoni e compio guarigioni oggi e domani”. Così egli parla di sé e della sua missione nel Vangelo di oggi. Questi sono i segni che accompagnano il profeta che reca agli uomini la Parola di Dio, che atterra e salva al tempo stesso.
Gesù non è semplicemente un precursore che prepara la venuta di un ordine migliore e più umano. Vuole raccogliere i figli di Gerusalemme come una gallina la sua covata sotto le ali: cerca la comunione, rischia la propria vita pur di attirare a sé i contemporanei. E quando piange su di loro (cf. Lc 19,41), non si tratta di sentimentalismo: è piuttosto l’espressione di quella importante lotta spirituale che ha intrapreso per la loro salvezza. Vorrebbe riunirli, come la gallina riunisce attorno a sé i suoi piccoli per riscaldarli, nutrirli, proteggerli. E ancora, vuole mettere in pratica i comandamenti dello sforzo nella mitezza e dell’inclinazione nell’attenzione. Vuole essere tutto per loro, perché sono indifesi e completamente dipendenti da lui. Costi quel che costi: l’impegno della sua persona è completo. Egli rischia la propria vita.
E non soltanto per l’amore di Gerusalemme. Infatti questo passo del Vangelo non riferisce soltanto parole datate ed effimere. Tali parole furono fedelmente conservate dopo la risurrezione dalla prima comunità cristiana, affinché conservassero il loro valore in eterno. Queste parole riguardano me che sto trascrivendo tali pensieri e riguardano te che li leggi o li ascolti. L’atteggiamento di Gesù e in particolare il suo affetto per noi sono i medesimi da duemila anni. Seduto alla destra del Padre, ancora oggi ci rivolge un invito ogni volta che ascoltiamo la sua parola.
Conosce la nostra incostanza che esclama felicemente: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. Un entusiasmo che non durerà. L’“Osanna” può presto trasformarsi nel “Crocifiggilo” dei Giudei. Il piano di Erode, un politico furbo, non fa che anticipare quanto otterrà il popolo esaltato. Il Signore sa che ne va della sua vita. “Perché voi non avete voluto” (Lc 13,34). Gli uomini non hanno accettato nemmeno che egli si desse loro completamente.
A volte l’amore non è riamato. Ma, se l’amore va al di là di una ricerca di appagamento personale, anche quando viene respinto, non rinuncia all’essere che ama. “Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1Cor 13,7). E ciò precisamente testimonia l’amore di Gesù: l’amore di Cristo diventa tangibile. È unito a colui che dice: “E il terzo giorno avrò finito” (Lc 13,32).
Ecco perché ci salva. Perché “morire a Gerusalemme” (cf. Lc 13,33) non è la sua ultima azione. Dopo la croce, il fallimento con Gesù assume un senso nuovo. E il “terzo giorno” assicura definitivamente e indistruttibilmente la luce della risurrezione.
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28/10/2016 09:04
 
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La festa degli Apostoli ci dà l'occasione di acquistare maggiore consapevolezza delle due imprescindibili dimensioni della Chiesa, che è corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo, e non può essere l'uno senza l'altro. E un'illusione credere di poter ricevere lo Spirito Santo senza far parte del corpo di Cristo, perché lo Spirito Santoè lo Spirito di Cristo e si riceve nel corpo di Cristo. La Chiesa come corpo di Cristo ha anche un aspetto visibile: per questo Gesù scelse i Dodici e sceglie nel tempo i loro successori, a formare la struttura visibile del suo corpo, quasi continuazione dell'incarnazione. Appartenendo al suo corpo, possiamo ricevere il suo Spirito ed essere intimamente uniti a lui in un solo corpo e in un solo Spinto.
La prima lettura, dalla lettera agli Efesini, esprime bene queste due dimensioni. "Siete edificati sopra il fondamento degli Apostoli e dei profeti, avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù": è l'aspetto visibile del corpo di Cristo, che è un organismo con la propria struttura. E in Cristo "la costruzione cresce ben ordinata":
ogni membro ha la propria funzione e il proprio posto. Scrive Paolo più avanti nella stessa lettera: "E lui (Cristo) che ha stabilito alcuni come Apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori...". Ognuno ha ricevuto la grazia "secondo la misura del dono di Cristo". Ed ecco la seconda dimensione, invisibile: "In lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito".
Anche nella prima lettera ai Corinzi Paolo mette in evidenza lo stesso concetto: "I vostri corpi sono membra di Cristo... Il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo" (6,15.19).
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29/10/2016 07:20
 
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“È giunto secondo”: ecco quanto si dice con ironia e commiserazione di chi non ce l’ha fatta. Lo sport e il gioco sanciscono premi ai migliori. Chi, invece, corre al di fuori della gara, per quanto inattesa sia la sua prestazione, non ottiene onori. E noi ci dirigiamo con ogni sforzo verso la meta, sotto le luci del palcoscenico del potere politico, economico e culturale. Ci facciamo largo per essere i primi tanto nella nostra vita professionale quanto nella vita privata. E dimentichiamo facilmente o, peggio, respingiamo coloro a cui abbiamo fatto sgambetti lungo il cammino verso la nostra meta. Non è questa la prassi comune in una società in cui ci si fa largo con i gomiti? È la società stessa che, praticamente, ci spinge a farlo.
Non è strano, allora, che anche nella Chiesa ci sia la lotta per occupare un posto di responsabilità. È una lotta combattuta da individui, assemblee, istituzioni, consigli, comitati di redazione, facoltà. Del resto, nella comunità della Chiesa avviene anche che una parte combatta l’altra: le donne tentano di opporsi alla predominanza degli uomini. Nessuno vuole l’ultimo posto.
Il Vangelo di oggi si oppone a tale spirito del nostro tempo e della nostra esperienza personale: chi mi ha mai chiesto di salire di grado? Quando mai mi sono guadagnato con le mie forze influenza e competenza? Meglio ancora, la parola di Gesù corregge la natura umana dalla menzogna di ogni tempo: quando mai colui che è il re del creato - e la cui crescita segue il normale corso - s’è volontariamente umiliato?
Eppure il nostro Signore l’ha fatto: “Facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2,8). E san Paolo ci presenta il cammino di Cristo come un esempio da seguire: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5).
Ancora una volta, il Vangelo e il senso comune sono in contraddizione fra loro. Ma la parola e i gesti di Gesù sono perfettamente chiari. Egli mostra come sarà salvata l’umanità. Non ci si può sbagliare. Non possiamo minimizzare la difficoltà di seguirlo. E se qualcuno si rifugerà nella confortevole illusione di se stesso, nel giorno delle “nozze”, il padrone di casa lo porterà alla dolorosa conoscenza di sé. Gli negherà quel posto d’onore per cui tanto si sarà dato da fare al banchetto della vita eterna.
Nel primo capitolo del Vangelo di Luca, Maria canta il “Magnificat”. Una donna loda Dio perché ha rovesciato l’ordine abituale di questo mondo: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili” (Lc 1,52). Dio non vuole tenere l’uomo lontano dall’altezza e dagli onori. Soltanto, la creatura non deve cercare di guadagnarseli con le sue forze, rischiando di infrangere l’ordine stabilito dal creatore e salvatore. Deve, invece, riceverli, affinché tale dono sia occasione di lode e di ringraziamento al Signore.
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