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RIFLESSIONI BIBLICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:42
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03/01/2017 09:06
 
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Nel brano del vangelo di ieri, si è visto Giovanni Battista farsi testimone di una persona, una persona non ancora nota, ma che ben presto sarebbe stata riconosciuta.
Nel brano di oggi, si vede il messaggero di Dio riconoscere Gesù nascosto tra la folla. Giovanni Battista, facendo segno col braccio alzato profeticamente, lo indica e grida: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!... Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua, mi aveva detto: L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio”.
Giovanni Battista dà questa decisa testimonianza per convincere gli uomini che Gesù è colui che “era prima”, il Servo sofferente di Isaia, la realizzazione dell’attesa apocalittica degli ebrei simbolizzata dall’Agnello Pasquale.
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04/01/2017 09:34
 
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Giovanni ci dà un esempio del “discepolo modello”. Nel vangelo di oggi si parla di vocazione, di Dio che ci chiama a sé. Il primo passo consiste nel sentire la voce di Gesù; qualcuno ce lo indica: “Ecco l’agnello di Dio!”. E, come i due discepoli, cominciamo a seguirlo. Poi Gesù si volta verso di noi e ci chiede: “Che cercate?”. In risposta dobbiamo dire: “Dove abiti?”.
Ricordiamoci delle parole di sant’Agostino e ripetiamole: “I nostri cuori sono inquieti fino a che non riposano in te”.
All’inizio della nostra vita di discepoli, Gesù ci fa questo invito: “Venite e vedrete”.
In molte pagine dell’Antico Testamento è ricordato l’invito del Signore a tornare a lui, ad abbandonare le cattive abitudini e a volgersi di nuovo a lui. Dio desidera il ritorno dei suoi figli ribelli.
In seguito, nella pienezza dei tempi, nel mistero dell’Incarnazione, Dio ci chiama di nuovo, con parole semplici perché possiamo comprendere: “Vieni!”. Seguendo Gesù e diventando suoi discepoli ci incamminiamo verso una meta, diamo un senso alla nostra vita terrena: il fine ultimo è unirsi a Dio e restare con lui per l’eternità. Pregando al Getsemani Gesù dice: “Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo” (Gv 17,24).
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05/01/2017 09:25
 
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“Vieni e vedi”.
All’inizio delle Sacre Scritture, nel libro della Genesi, leggiamo: “Dio disse: Sia la luce! E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona...” (Gen 1,3). Senza luce, infatti, non si può vedere e non ci può essere alcuna comunicazione.
“... Alla tua luce vediamo la luce” (Sal 035,10).
Gesù è la luce del mondo. La luce ci permette di vedere, e Gesù ci permette di vedere con gli occhi della fede.
Natanaele va verso la luce: crede in colui che lo conosce fin nel profondo dell’animo, capisce, dunque, che egli è il Figlio di Dio. Nella luce della verità c’è un reciproco riconoscersi. Ma Natanaele vedrà cose ancora più grandi: vedrà la gloria di Gesù rivelata nel miracolo di Cana.
In Gesù si concretizza la realtà prefigurata dalla scala che Giacobbe aveva visto in sogno, sulla quale gli angeli salivano e scendevano: questa promessa di armonia fra cielo e terra si è realizzata nel Figlio dell’Uomo che ci ha aperto il cammino verso il cielo perché vedessimo, come Giacobbe (Gen 32,30), il volto di Dio, e questa volta realmente, non in sogno. Il legame viene ristabilito nella persona di Gesù.
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06/01/2017 10:43
 
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Una stella ha guidato i Magi fino a Betlemme perché là scoprissero “il re dei Giudei che è nato” e lo adorassero.
Matteo aggiunge nel suo Vangelo: “Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono”.
Il viaggio dall’Oriente, la ricerca, la stella apparsa ai Magi, la vista del Salvatore e la sua adorazione costituiscono le tappe che i popoli e gli individui dovevano percorrere nel loro andare incontro al Salvatore del mondo. La luce e il suo richiamo non sono cose passate, poiché ad esse si richiama la storia della fede di ognuno di noi.
Perché potessero provare la gioia del vedere Cristo, dell’adorarlo e dell’offrirgli i loro doni, i Magi sono passati per situazioni in cui hanno dovuto sempre chiedere, sempre seguire il segno inviato loro da Dio.
La fermezza, la costanza, soprattutto nella fede, è impossibile senza sacrifici, ma è proprio da qui che nasce la gioia indicibile della contemplazione di Dio che si rivela a noi, così come la gioia di dare o di darsi a Dio. “Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia”.
Noi possiamo vedere la stella nella dottrina e nei sacramenti della Chiesa, nei segni dei tempi, nelle parole sagge e nei buoni consigli che, insieme, costituiscono la risposta alle nostre domande sulla salvezza e sul Salvatore.
Rallegriamoci, anche noi, per il fatto che Dio, vegliando sempre, nella sua misericordia, su chi cammina guidato da una stella ci rivela in tanti modi la vera luce, il Cristo, il Re Salvatore.
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07/01/2017 10:36
 
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La nostra esistenza cristiana assomiglia un po’ alla Galilea dei tempi di Gesù, una specie di crocevia di pagani. I pagani che ci circondano ma anche il pagano che sonnecchia in ognuno di noi. Coloro che negano il Verbo di Dio fatto carne e colui che agisce come se Cristo non fosse venuto.
Ascoltiamo Gesù dire dopo Giovanni il precursore: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”. Convertirsi, uscire dalle proprie abitudini, dalle opinioni correnti, per discernere i segni del regno già presente e che viene. Apriamo le finestre del nostro cuore per lasciare entrare la luce di Dio.
La grande Epifania è seguita dalle molteplici epifanie della nostra vita, dalle diverse manifestazioni del Signore, che vanno dalla guarigione spirituale al riconoscimento della presenza, in ogni sacramento.
Siamo tra la folla che accorre al lieto messaggio, o rimaniamo sulla riva, indifferenti al suo passaggio?
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08/01/2017 07:22
 
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Missionari della Via


Ecco Gesù all'inizio della missione; dopo 30 anni di vita nascosta, si manifesta a tutti, ed è Dio Padre stesso a dirci chi è: Questi è il Figlio mio, l'amato, in cui ho posto il mio compiacimento! E chi è questo Figlio di Dio, della stessa natura del Padre? È il Dio-con-noi che si mette in fila insieme a quelli vogliono convertirsi: non un lontano signore, ma un Dio umile, che sin dall'inizio si è immerso nelle nostre vicende, si è fatto uno di noi, in tutto simile fuorché nel peccato, abbassandosi, umiliandosi per dirci quanto ci ami e quanto valiamo per Lui!

Quello di Giovanni era un battesimo di conversione, diverso dal nostro: non c'era ancora lo Spirito Santo che toglieva i peccati e trasformava i cuori, rendendoli Sua dimora, ma era un segno che esprimeva la volontà di voler cambiare vita, di voler ritornare sulla via giusta, quella di Dio, pentendosi per tutti i propri peccati. Giovanni è esigente: per salvarsi dal giudizio non basta il gesto dell'immersione (come a dire: faccio la novena, la processione del santo, o anche la comunione e mi sento a posto, mentre poi la mia vita è colma di ingiustizia, impurità, corruzione, menzogna...); non è neppure sufficiente vantare la propria identità di figli di Abramo (della serie, sono cattolico, da piccolo ho fatto il chierichetto, ma non sono praticante!). No, occorre il voler cambiare vita, affidandosi alla misericordia di Gesù, decisi a non sottostare più all'ingiustizia: così Lui, che è buono, ci perdona sempre!

C'era una gran fila di gente che andava da Giovanni a farsi battezzare: prostitute, pubblicani, poveracci qualsiasi, guardati con occhi torvi dai "religiosi benpensanti" del tempo, dei quali nessuno ha accolto la predicazione di Giovanni. E ad un tratto, in mezzo a questa turba di gente, in uno dei punti geografici più bassi della terra, ecco il puro tra i puri, Gesù! Lui non aveva bisogno di chiedere perdono per nulla, anzi, è a Lui che la gente chiede perdono. Eppure si fa uomo in tutto, anche in questo. Gesù non s'inserisce tra quelli che sono sicuri di sé, che si credono giusti e irreprensibili; si mette invece tra i peccatori che vogliono davvero convertirsi. Ci insegna da dove ognuno di noi dovrebbe partire: dal riconoscere il bisogno che abbiamo dell'amore e del perdono di Dio, avendo il coraggio di ammettere e chiamare per nome i propri peccati e i propri fallimenti!

Qui c'è il punto di partenza per fare un vero cammino di fede, per essere liberati dalla schiavitù del male: non far finta di essere a posto, proclamandosi "eternamente innocenti", mentre in realtà si vive una "doppia vita" o una "fede di facciata"; non fuggire dalla propria storia, cercando giustificazioni e "arrampicandosi sugli specchi"; non coprire le proprie dipendenze dicendo: "tanto ne esco quando voglio" (cosa tanto facile da dire quanto falsa), ma riconoscere di aver bisogno di Lui, chiamando per nome i propri peccati e aprendosi all'azione dello Spirito di Dio che ci libera e ci risana, certi di trovarci al cospetto di un Dio d'amore che a ognuno di noi, divenuti suoi figli adottivi col battesimo, dice: Tu sei mio figlio, l'amato, di te mi compiaccio! Coraggio! È paradossale pensare quanta gente, ingannata dal maligno, preferisca rimanere schiava del male e non aprirsi alla Verità, alla luce, all'amore! Perché averne paura?
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09/01/2017 09:41
 
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Iniziamo oggi il tempo "per annum", con la lettera agli Ebrei e il Vangelo di Marco.
La lettera agli Ebrei, in questo esordio magnifico, presenta Cristo come colui che ha ereditato un nome ben diverso da quello degli Angeli. Qual è questo nome? Nella liturgia di oggi sembra quello di Figlio di Dio, ma se consideriamo la prima parte della lettera, non è limitato a questo. Certo, Cristo è Figlio, ma qui si tratta di Cristo glorificato nella glorificazione pasquale. C'è però l'altro aspetto, e lo vedremo domani:
Cristo è fratello degli uomini. Come Figlio è superiore agli Angeli, come fratello degli uomini è meno degli Angeli; è più vicino a Dio perché Figlio, è più vicino a noi perché fratello. Questi due aspetti si possono sintetizzare nel nome di Sommo Sacerdote, perfetto Mediatore per mezzo del quale entriamo nell'intimità del la Trinità. Il suo nome è quindi un nome misterioso, profondo, motivo di speranza e di fiducia.
E per mezzo del suo Figlio dice la lettera "Dio, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi". In questo inizio del tempo ordinario la liturgia ci mette davanti una parola di Gesù: "Seguitemi", alla quale c'è una duplice risposta: Per seguire Gesù dobbiamo rinunciare a determinare noi stessi la nostra strada chi segue non traccia la strada e questo sovente non è piacevole, perché si tratta di rinunciare alla nostra spontaneità che ci farebbe andare in un'altra direzione. In ogni circostanza invece di pensare: "Che cosa piace a me?", dobbiamo pensare: "Che cosa piace al Signore?" e non è facile, e soprattutto è umile, è non avere l'iniziativa della propria vita, ma lasciare che un altro definisca il cammino, come Gesù disse a Pietro: "Sarai condotto dove tu non vuoi" (cfr. Gv 20,18).
Però c'è l'aspetto positivo nella risposta all'invito "seguitemi": essere con Gesù, non essere soli, non essere nelle tenebre ma nella luce, perché Gesù ha detto: "Chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita".
"Seguitemi": è la condizione per vivere nell'amore. Chi stabilisce il proprio cammino non vive nell'amore, vive nella solitudine, anche se nel decidere autonomamente ci può essere una Certa gioia. Chi segue Gesù invece è sempre con lui, con il suo fratello e Signore, ed è in una gioia immensa.
"Seguitemi". Di fronte ad ogni gioia e ad ogni tristezza chiediamoci: "Chi sto seguendo adesso?", così vedremo dove sono le vere gioie e non ci lasceremo ingannare da gioie false. Se seguo il Signore sono nella strada della vera gioia; se seguo il Signore anche le mie pene sono feconde.
Chiediamo a Gesù che ci dia il desiderio di seguirlo sempre, anche a prezzo delle rinunce che questo può comportare, per vivere nella gioia vera.
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10/01/2017 09:29
 
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La Sacra Scrittura ci presenta i due aspetti di Gesù, l'umano e il divino. E bene capire. Agli inizi della Chiesa si sottolineava l'aspetto divino; qualche secolo dopo, con l'arianesimo, si mise in rilievo l'umanità, negando la divinità di Cristo. La Chiesa non poteva rimanere in una visione parziale e insistette sulle due nature in una sola persona, quella del Figlio unico di Dio. L'epistola agli Ebrei sottolinea i due aspetti e il passo di oggi insiste su quello umano: "Che cosa è l'uomo perché ti ricordi di lui? Di poco l'hai fatto inferiore agli Angeli, di gloria e di onore lo hai coronato e hai posto ogni cosa sotto i suoi piedi".
Gesù è l'uomo ideale, in cui la vocazione dell'uomo al dominio dell'universo si attua in modo perfetto. Nel racconto della creazione si legge che Dio ha costituito l'uomo signore di tutte le creature, ma allo stato attuale delle cose questa vocazione non può essere pienamente realizzata. Soltanto Cristo, con la sua morte e risurrezione, ha ottenuto una umanità rinnovata e può avere il dominio su tutta la creazione.
Nel Vangelo vediamo che Gesù all'inizio della sua predicazione dimostra questa sua autorità, provocando lo stupore della gente. San Marco racconta nel suo modo caratteristico: vede le cose come se stessero allora accadendo sotto i suoi occhi e tutte avvengono "subito": subito di sabato Gesù entra nella sinagoga, subito un uomo che vi si trova si mette a gridare, subito la fama si diffonde... Qui Marco mette in evidenza due' tratti importanti del ministero di Gesù. Il primo è proprio questo: "Insegnava come uno che ha autorità, e non come gli Scribi", non come i rabbini, che sempre si appellano all'autorità delle Scritture, dicendo: "Nella Bibbia è scritto questo e questo", oppure a quella di un antico maestro, o della tradizione. Gesù parlava con autorità: è il Figlio di Dio e può parlare come un maestro che sopra di sé non ha nessun altro maestro. Questo è chiarissimo nel Discorso della montagna: "Avete sentito che fu detto agli antichi... Ma io vi dico..." e Gesù dà un comando diverso, più perfetto.
L'altra cosa che colpisce la gente è che davanti a Gesù i demoni, gli spiriti maligni si sentono in pericolo ~ perciò si sforzano di combattere e si smascherano: "Un uomo posseduto da uno spirito immondo si mise a gridare: "Che c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci". Davanti a Gesù non ha potuto fare meno di smascherarsi e Gesù allora può scacciarlo "Gesù lo sgridò: "Taci, ed esci da costui!.", anche qui con grande autorità. Non possiede quindi soltanto l'autorità di un maestro che insegna una dottrina, in l'autorità sopra gli spiriti maligni e la gente è sbigottita: "Che è mai questo?".
Chiediamo al Signore Gesù di manifestarsi anche per noi con questa duplice autorità. Chiediamogli cioè di rivelarci sempre più la sua dottrina, di aprire il nostro cuore quando ci svela, come ai discepoli di Emmaus, il senso delle Scritture, e di smascherare in noi tutto il male che c'è ancora. ~ Battesimo ci ha liberati dal demonio, certamente ma in noi ci sono ancora molte cose cattive: lo spirito di discordia, lo spirito di vana compiacenza, lo spirito di egoismo... Bisogna che la presenza di Gesù le smascheri e le scacci, liberandoci dal male.
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11/01/2017 08:46
 
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Questo Vangelo mette in evidenza le due dimensioni della vita terrena di Gesù e la loro strettissima unione. La dimensione che appare più chiaramente all'inizio è la sua misericordia. Gesù si avvicina a tutte le miserie e la misericordia è proprio questo: essere accessibile a tutte le sofferenze e portarvi rimedio. U rimedio, prima di tutto, della compassione, dell'interessamento. Gesù lascia che i malati prendano tutto il suo tempo: "Dopo il tramonto del sole gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta". Egli prende per mano gli ammalati: è il suo corpo che comunica la potenza di sanazione di Dio.
Ma noi vediamo anche che Gesù al mattino, molto prima dell'alba, si alza e si ritira lontano dalla gente, "in un luogo deserto", per pregare: è l'altra dimensione della sua esistenza umana, la ricerca del Padre. Egli deve essere nelle cose del Padre suo, deve essere unito a Dio e prega lungamente.
Ma questo desiderio di unione a Dio non gli impedisce di darsi agli altri; anzi, quando vengono a cercarlo, Gesù non risponde: "Devo usare il tempo per pregare", ma: "Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!". La preghiera gli dà il massimo slancio di misericordia e di bontà, egli cerca nel cuore del Padre la sorgente dell'amore che deve trasmettere agli uomini.
Le due dimensioni si ritrovano nei due aggettivi che la lettera agli Ebrei applica a Gesù "sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio". Degno di fede per il rapporto unico esistente tra lui e Dio; misericordioso verso gli uomini e specialmente verso i peccatori, perché è venuto a portare il perdono, è venuto a togliere i peccati, è venuto a donare agli uomini la vittoria nelle prove, lui che "per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova". Tutta l'esistenza terrena di Gesù non ha altro scopo, secondo la lettera agli Ebrei, che di portare a perfezione nel suo cuore l'apertura agli altri, la misericordia e l'unione con Dio che lo rende "degno di fede".
La lettera agli Ebrei ci presenta qui una nuova concezione del sacerdozio. Nell'Antico Testamento non si metteva l'accento sulla misericordia, ma sulla separazione: il sacerdote era separato dagli uomini per essere dalla parte di Dio. Molti episodi dell'AT ci mostrano che il Sommo Sacerdote doveva essere impietoso, separarsi inesorabilmente, duramente dal peccato e dai peccatori. Invece Gesù non si è messo al di sopra di noi, ma al nostro livello, ha preso la nostra natura di carne e di sangue, non solo, ma le nostre sofferenze, le nostre prove, persino la nostra morte, per poterci aiutare così come siamo. Egli attinge la misericordia dalla sua unione con Dio, sorgente della misericordia, e dal suo contatto con noi. E questa la grande rivelazione dell'incarnazione. L'AT parlava già della misericordia di Dio, ma l'incarnazione di Gesù dimostra che Dio ha voluto aver bisogno di prendere la natura umana per aver maggior compassione: Gesù si è commosso, ha pianto, si è adirato, ha sofferto per poter veramente patire con noi.
Questo è per noi un grandissimo motivo di conforto e di riconoscenza; sappiamo che il Signore è sempre vicino a noi, che qualunque sofferenza, difficoltà, pena non è mai un ostacolo tra noi e lui, anzi è un mezzo di unione. Per questo dobbiamo guardare tutte le cose che nella nostra vita ci sembrano negative non come un ostacolo, ma come un mezzo per crescere nella unione con Dio e nella apertura agli altri. E un grande dono di luce capire che le difficoltà che facilmente ci scoraggiano devono invece aumentare la nostra fiducia, perché sono accompagnate da una grazia di unione particolare con la gloriosa passione di Cristo e nello stesso tempo ci rendono concretamente solidali con tutti i sofferenti. D'altra parte i due aspetti sono inseparabili, perché è unendoci alla passione di Gesù che noi possiamo essere di aiuto a chi soffre, ed è nella solidarietà con chi è nel dolore che ci uniamo davvero a Cristo, che ha voluto soffrire con tutti i sofferenti e i peccatori
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12/01/2017 09:46
 
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Meditiamo le parole della lettera agli Ebrei: "Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori", che sono una esortazione sempre urgente e importante. Per capirla bene bisogna rendersi conto che la voce del Signore non è in primo luogo una voce che comanda, ma una voce che promette, ed è su questo punto che siamo esortati: quando sentiamo la voce del Signore che promette, non dobbiamo chiudere il cuore.
Il salmo fa allusione all'Esodo e precisamente al momento in cui, dopo una rapida traversata del deserto, gli Israeliti giungono in vista della Terra promessa. Mosè manda degli esploratori perché si rendano conto di come sia questa terra, della sua prosperità, dei suoi abitanti, delle sue città e, quando essi ritornano, fa dire al popolo da parte di Dio: "Dio vi dà questo paese, andiamo e prendiamone possesso": è la promessa di Dio. Un paese che, al dire degli esploratori, è magnifico, dove scorrono latte e miele, dove c'è abbondanza di raccolti: è veramente meraviglioso. Per gente che ha appena attraversato un deserto è una cosa addirittura straordinaria. E Dio dice: "E vostro, io ve lo do". E più che una promessa, è già un dono. E gli Israeliti in quel momento, hanno ascoltato un altra voce. Accanto alla voce di Dio che presenta il suo dono, che invita a entrarvi, c'è la voce dell'incredulità: "E troppo bello per essere vero, Dio non ce lo dà, non ce la faremo a impadronircene". Ed è la voce degli esploratori che, dopo aver descritto le meraviglie del paese, hanno aggiunto: "Ma gli abitanti sono terribili, noi al loro confronto siamo delle cavallette, hanno costruito delle fortificazioni Impressionanti, ed è temerario pensare di impossessarcene". E questa voce gira fra il popolo, la fantasia lavora, alla fine tutti dicono che le fortificazioni arrivano fino al cielo... E allora, invece di ascoltare la voce di Dio, di accogliere il suo dono, il popolo si ribella: "Dio ci ha fatto attraversare il deserto per farci arrivare in un luogo inaccessibile. Almeno fossimo rimasti in Egitto! Là la vita non era bella, ma era vita, qui non ci rimane che la morte". Così hanno tentato Dio, l'hanno irritato con la loro incredulità, hanno preso le distanze da lui, non hanno creduto alla sua promessa.
E questa la situazione richiamata dalla lettera agli Ebrei e l'autore ci esorta: "Guardate che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza fede, che si allontani dal Dio vivente. Esortatevi piuttosto a vicenda ogni giorno, perché nessuno di voi si indurisca sedotto dal peccato", cioè da questa altra voce che sempre insinua in noi che non è possibile credere alla promessa di Dio, che è una promessa irreale, troppo difficile da realizzare, che Dio non è veramente disposto a darci ciò che è scritto nel Vangelo. "Noi siamo infatti diventati partecipi di Cristo". Non è con Mosè che noi compiamo il nostro esodo: è con Cristo che attraversiamo il deserto e giungiamo in vista della terra promessa. Ma per non essere oggetto della collera di Dio bisogna rimanere saldi nella fede, perché se noi non crediamo alla parola di Dio, la sua promessa si trasforma in una minaccia, in un giuramento terribile:
"Non entreranno nel mio riposo". La minaccia divina è un gesto d'amore, è fatta per liberarci da tutto ciò che in noi è paura malvagia.
È chiaro che stiamo riflettendo su una situazione che è sempre attuale. Noi possiamo accogliere veramente la volontà di Dio soltanto se abbiamo fede nella sua promessa, che dà senso a tutti i comandamenti. Dio vuol farci vivere nella carità, vùol farci entrare nel suo amore e farci rimanere in esso. Ci promette che questo non soltanto è possibile, ma è già realizzato in Cristo Gesù. E noi continuiamo a dire che è difficile, che ci sono troppe difficoltà. Ora, le difficoltà sono reali, ma non devono renderci increduli di fronte alla promessa divina. Noi siamo con il Signore e sappiamo che egli trasforma tutti gli ostacoli in occasioni di crescita, perché l'ha promesso, perché ci ama. "Noi abbiamo creduto dice san Giovanni all'amore che Dio ha per noi".
Siamo dunque pieni di gioia e nelle difficoltà facciamo come il lebbroso del Vangelo: avviciniamoci al Signore e diciamogli: "Se tu vuoi, puoi. Io sono impotente, ma tu, se vuoi, puoi". Ripetiamoglielo, sapendo che è perfettamente vero e che questa è la preghiera che egli aspetta da noi, per ripeterci la sua promessa e l'assicurazione del dono di Dio.
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13/01/2017 04:15
 
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Parlando dell'ingresso nel riposo di Dio la lettera agli Ebrei dice che è una promessa che rimane in vigore. C'è un primo significato, che si coglie immediatamente. Adesso noi stiamo attraversando il deserto, e la Terra promessa è davanti a noi. Non vi siamo ancora entrati, e dobbiamo stancarci, faticare, soffrire, affrontare molti ostacoli. Però c'è questa promessa, e se noi prestiamo fede alla parola di Dio siamo sulla strada giusta e siamo certi di arrivare un giorno nel suo paradiso, nel suo riposo.
Ma c'è anche un'altra prospettiva, più profonda.
L'autore dice: "Possiamo entrare in quel riposo, noi che abbiamo creduto": già ora entriamo nel riposo di Dio. L'invito di Dio non è soltanto per il futuro, è già per adesso. Un altro passo dice che "noi abbiamo come un'ancora nella nostra vita, sicura e salda" (cfr. 6,19) e questa ancora è la fede. Noi non abbiamo soltanto la speranza di ricevere una ricompensa alle nostre fatiche, ma, nella fede, vediamo che già ora Dio ci dà i suoi doni. Questo è l'atteggiamento cristiano:
sapere che tra le difficoltà, le preoccupazioni, le sofferenze della vita, Dio già adesso ci invita a "entrare nel suo riposo", a essere con lui nella pace, nella tranquillità, nella gioia.
Il Vangelo ci dà un esempio della efficacia immediata della fede. "Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: "Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati"". Non ha detto: "I tuoi peccati ti saranno rimessi nell'ultimo giudizio", ma "ti sono rimessi", vista la loro fede: la fede fin da ora ottiene il dono di Dio, anche quando le circostanze direbbero il contrario. La fede è possesso anticipato delle cose che si sperano.
Noi siamo sempre invitati a entrare nel riposo di Dio, specialmente nella Messa: "Beati gli invitati alla cena del Signore". La cena del Signore in un certo senso è nel futuro, nella definitiva, e il banchetto celeste. Ma in un altro senso partecipiamo in ogni Eucaristia, nella fede, al banchetto celeste, siamo invitati a essere con Dio: nella gioia di Dio, nell'amore di Dio, nella pace di Dio. E in ogni momento della giornata dobbiamo sentire questo invito: "Entrate adesso nel mio riposo".
I tre giovani non erano certo m una situazione tranquilla in apparenza, ma il racconto di Daniele dice che spirava un vento leggero e che nel martirio erano come in cielo, e cantavano: "Benedite il Signore, lodatelo ed esaltatelo, perché ci ha liberati!". Anche noi siamo invitati allo stesso canto, anche in modo paradossale, che è proprio il modo della fede, perché attraverso le difficoltà, al livello più profondo raggiungiamo Dio.
Siamo Stati posti per sempre nell'amore di Cristo, ed egli ci ripete: "Rimanete nel mio amore".
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14/01/2017 08:10
 
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Nelle due letture di oggi vediamo due aspetti della persona di Gesù, che fondano la nostra speranza: da una parte la sua autorità, dall'altra la sua misericordia. La sua autorità è grande: egli è "il sommo sacerdote che ha attraversato i cieli", la cui parola "è spada a doppio taglio... e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore". Per questa autorità parla alle folle e impone ordini: "Seguimi", ottenendone l'immediata esecuzione: "Egli, alzatosi, lo seguì". E questa sua autorità è ancora più evidente dopo la risurrezione: abbiamo un sommo sacerdote Figlio di Dio, assiso alla sua destra.
Ma questa grandissima autorità non rende Gesù duro, perché egli è misericordioso e non può non compatire le nostre infermità. Lo vediamo accogliere i peccatori, mangiare con loro, in un rapporto familiare che provoca le critiche dei farisei e degli scribi. Mette la sua autorità a servizio dei peccatori e alle critiche risponde: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori". I farisei non ricorrevano alla sua misericordia perché non ne sentivano il bisogno; i cristiani invece lo conoscono autorevole e misericordioso e questo forma la loro gioia e la loro pace, perché sanno di potersi sempre "accostare con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia ed essere aiutati al momento opportuno".
Testimonianza di ciò è il dono di sua madre, piena di grazia, rifugio dei peccatori, consolatrice degli afflitti, la più perfetta espressione umana della misericordia. Ella, madre di misericordia, contribuisce a svelarci il volto di Dio, che resiste ai superbi e dà grazia agli umili. Riceviamo con gioia, umiltà e fiducia questa rivelazione.
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15/01/2017 08:18
 
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padre Ermes Ronchi
Un agnello inerme, ma più forte di ogni Erode

Giovanni vedendo Gesù venirgli incontro, dice: Ecco l'agnello di Dio. Un'immagine inattesa di Dio, una rivoluzione totale: non più il Dio che chiede sacrifici, ma Colui che sacrifica se stesso.
E sarà così per tutto il Vangelo: ed ecco un agnello invece di un leone; una chioccia (Lc 13,31-34) invece di un'aquila; un bambino come modello del Regno; una piccola gemma di fico, un pizzico di lievito, i due spiccioli di una vedova. Il Dio che a Natale non solo si è fatto come noi, ma piccolo tra noi.
Ecco l'agnello, che ha ancora bisogno della madre e si affida al pastore; ecco un Dio che non si impone, si propone, che non può, non vuole far paura a nessuno.
Eppure toglie il peccato del mondo. Il peccato, al singolare, non i mille gesti sbagliati con cui continuamente laceriamo il tessuto del mondo, ne sfilacciamo la bellezza. Ma il peccato profondo, la radice malata che inquina tutto. In una parola: il disamore. Che è indifferenza, violenza, menzogna, chiusure, fratture, vite spente... Gesù viene come il guaritore del disamore. E lo fa non con minacce e castighi, non da una posizione di forza con ingiunzioni e comandi, ma con quella che Francesco chiama «la rivoluzione della tenerezza». Una sfida a viso aperto alla violenza e alla sua logica.
Agnello che toglie il peccato: con il verbo al tempo presente; non al futuro, come una speranza; non al passato, come un evento finito e concluso, ma adesso: ecco colui che continuamente, instancabilmente, ineluttabilmente toglie via, se solo lo accogli in te, tutte le ombre che invecchiano il cuore e fanno soffrire te e gli altri.
La salvezza è dilatazione della vita, il peccato è, all'opposto, atrofia del vivere, rimpicciolimento dell'esistenza. E non c'è più posto per nessuno nel cuore, né per i fratelli né per Dio, non per i poveri, non per i sogni di cieli nuovi e terra nuova.
Come guarigione, Gesù racconterà la parabola del Buon Samaritano, concludendola con parole di luce: fai questo e avrai la vita. Vuoi vivere davvero, una vita più vera e bella? Produci amore. Immettilo nel mondo, fallo scorrere... E diventerai anche tu guaritore della vita. Lo diventerai seguendo l'agnello (Ap 14,4). Seguirlo vuol dire amare ciò che lui amava, desiderare ciò che lui desiderava, rifiutare ciò che lui rifiutava, e toccare quelli che lui toccava, e come lui li toccava, con la sua delicatezza, concretezza, amorevolezza. Essere solari e fiduciosi nella vita, negli uomini e in Dio. Perché la strada dell'agnello è la strada della felicità.
Ecco vi mando come agnelli... vi mando a togliere, con mitezza, il male: braccia aperte donate da Dio al mondo, braccia di un Dio agnello, inerme eppure più forte di ogni Erode.
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16/01/2017 08:46
 
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Il Vangelo di oggi proclama la novità cristiana, la novità di una vita unita a Cristo. E il Signore stesso inaugura questa novità, offrendo a Dio non più cose convenzionali, ma la sua stessa esistenza, come leggiamo nella lettera agli Ebrei.
"I discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno": essi si preoccupano di cose aggiunte alla vita, come penitenze scelte per onorare Dio e pensano che siano le più importanti. Nella vita di Gesù invece la cosa più importante è la sua esistenza stessa, non ciò che vi si sovrappone come cerimonia o penitenza supplementare. Cristo è sacerdote e non offre sacrifici convenzionali ("doni e sacrifici"), ma la sua vita: "Nei giorni della sua vita terrena offri preghiere e suppliche con forti grida e lacrime". E il dramma della sua vita trasformato in offerta a Dio.
Questa trasformazione richiede intense preghiere, non si compie con una semplice intenzione dello spirito, ma nella lotta, come è descritto nella lettera agli Ebrei, che ricorda la lotta dell'agonia. Gesù ha lottato contro le difficoltà della vita, contro la necessità della passione, ha lottato nella preghiera perché tutto questo fosse trasformato in un'offerta degna di Dio, piena dello Spirito di Dio.
È ciò che Gesù aspetta da noi: la trasformazione della nostra vita in sacrificio, non le cose che si sovrappongono alla vita. Certo, bisogna fare anche queste cose, come esercizi di preghiera e di mortificazione, che aiutano a trasformare la vita, ma la cosa importante e questa trasformazione, è fare della nostra esistenza una offerta a Dio, come dice Paolo nella lettera ai Romani (cfr. Rin 12).
Quando partecipiamo alla Messa dobbiamo ricordarci questa necessità e offrire la nostra vita in unione al sacrificio e alla vittoria di Cristo. Parlo della nostra vita concreta, con tutte le sue gioie, difficoltà, con le sue tentazioni, i suoi desideri e speranze. Questa è l'offerta che vuole il Signore: il sacrificio della trasformazione della nostra vita, che lo stesso Spirito di Gesù compie in noi se siamo docili alla sua azione.
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17/01/2017 09:26
 
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Casa di Preghiera San Biagio FMA
Commento su Mc 2, 27

"[...] Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!»

Mc 2, 27

Come vivere questa Parola?

Gesù dimostra la sua amicizia e la sua comprensione difendendo i discepoli accusati di violare il sabato, perché in tale giorno essi raccoglievano le spighe. Inoltre nello stesso tempo Egli relativizza il sabato, ponendo in primo piano il valore della persona. Contro ogni rigidezza e fanatismo mette in luce la misericordia e l'apertura verso i valori fondamentali dell'uomo, superiori ad ogni cieca visione della legge.

Solo se abbiamo cuori e menti "nuove", liberandoci dai nostri pregiudizi, attaccamenti, egoismi, potremo lasciare penetrare in noi la vita splendida e rinnovatrice del Vangelo e accogliere lo "sposo" che è Cristo e amarlo pienamente. D'altra parte Gesù evita anche un doppio il pericolo: da una parte la volontà di poter autogiustificare qualsiasi violazione alla legge (considerandola come un cappio alla propria libertà) e dall'altra la volontà di un legalismo cieco, che soffoca ogni vera esigenza dell'uomo.

Il punto discriminante è proprio l'amore (verso Dio e il prossimo), la norma divina iscritta nel cuore dell'uomo per il suo autentico bene, evitando libertinaggi e chiusure.

Nel mio agire dunque mi chiederò quale sia la norma suprema che guida le mie parole e le mie azioni: è il vero amore o al contrario l'applicazione intoccabile di una norma o la violazione libertina del mio egoismo?


Aiutami, Signore, ad essere attento alle persone, perché in ogni mia parola e azione ricerchi il bene e l'amore, non il mio interesse o una formalistica osservanza della legge.


a cura del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani e della Commissione Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese

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18/01/2017 09:47
 
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La prima lettura ci presenta la figura misteriosa di Melchisedek, e possiamo chiederci se Gesù, che è sacerdote, è tale a somiglianza di Melchisedek o se è Melchisedek fatto su modello di Gesù. In realtà nel testo ci sono tutte e due le prospettive: si dice che un altro sacerdote, cioè Cristo, è sorto a somiglianza di Melchisedek e il salmo citato dice testualmente: "Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek", però, commentando questo testo, l'autore scrive che Melchisedek è stato fatto a somiglianza del Figlio di Dio.
Leggendo la Bibbia egli riconosce una prefigurazione di Cristo risorto in Melchisedek, che si presenta senza padre, senza madre. A meglio dire: la Scrittura non parla di loro e questo è molto strano per un sacerdote, perché nell'Antico Testamento per essere sacerdote era necessario appartenere a una famiglia sacerdotale e quindi era importante che si parlasse dei genitori. Ma di Melchisedek non si dice niente: non si nominano né il padre né la madre, non si dà nessuna genealogia, non si dice quando è nato né quando è morto.
In questa misteriosa figura l'autore vede con ammirazione una immagine di Cristo risorto, che non ha né padre né madre terrestre: la novità di vita della risurrezione non ha un'origine terrestre. Gesù risorto è Figlio di Dio anche nella sua natura umana e rimane così sacerdote in eterno.
Vediamo in questa descrizione l'atteggiamento dei primi cristiani alla lettura dell'Antico Testamento. Con gioia, con stupore anche talvolta, vedevano delinearsi in esso la figura di Cristo, ed era per loro causa di grande esultanza accorgersi che Dio aveva preparato la rivelazione di Cristo già da molto tempo. "il Nuovo è nascosto nell'Antico" dirà sant'Agostino, e Cristo venendo illumina tutto l'Antico Testamento. Le cose che sembravano misteriose e quasi inspiegabili diventano chiare perché si rivelano come una profezia di Cristo.
Anche noi siamo chiamati a leggere l'Antico Testamento in questa luce cristiana e a trovarvi una sorgente di grande consolazione spirituale, perché la nostra fede si approfondisce e ci rendiamo conto con gioia che Dio da sempre ha disposto tutte le cose e tutti gli avvenimenti per la glorificazione di Gesù suo Figlio.
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19/01/2017 08:19
 
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Questo Vangelo ci fa vedere fino a che punto Gesù sia centro di unità. E molto importante prendere coscienza della potenza di Cristo di fare unità attirando tutti gli uomini a sé, perché solo con fede viva in questa sua capacità possiamo essere anche noi apostoli e artefici di unità nell'ambiente dove viviamo, non solo, ma per la Chiesa e il mondo.
San Marco ci descrive l'affollarsi della gente, così precipitoso che Gesù deve salire su una barca "perché non lo schiacciassero". Egli attira la folla con la sua bontà, con la sua potenza, e non solo dalla Galilea, dalla Giudea e da Gerusalemme ma scrive l'evangelista "dall'Idumea e dalla Transgiordania e dalle parti di Tiro e Sidone" quindi da paesi pagani. Accorrevano a lui con i loro malati per averne la guarigione, ma anche con tutte le aspirazioni del loro cuore, per trovare la pace di Dio.
La lettera agli Ebrei scrive di lui: "Tale era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato ormai dai peccatori ed elevato sopra i cieli". Un sommo sacerdote è centro dell'unità o, meglio, ne è il mediatore, come è detto alla fine del brano che abbiamo letto. Cristo è Mediatore proprio perché è perfettamente unito a Dio in una santità irreprensibile, in una purezza unica, ma è anche il sacerdote che ci occorreva: noi abbiamo bisogno di un sacerdote così perfetto per poter trovare l'unità in Dio stesso.
Nel Vangelo vediamo però che Gesù si oppone con severità a che la sua grandezza venga rivelata. Perché? Perché egli sa che la sua opera domanda il sacrificio di se stesso e che la sua dignità di Figlio di Dio può essere veramente rivelata solo attraverso la croce. E ciò che dice anche la prima lettura: "Egli non ha bisogno di offrire sacrifici ogni giorno, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso". Cristo ha realizzato il culto perfetto, che non è soltanto un simbolo come il culto antico, quello dei sacerdoti ebrei, che era "una copia e un'ombra delle realtà celesti"; egli ha ricevuto un ministero più elevato, che realizza veramente il divino disegno di comunione con il sacrificio di se stesso.
Nella preghiera sacerdotale (Gv 17) Gesù si rivela molto cosciente dell'opera di unità che egli deve compiere "santificando se stesso" cioè sacrificando la sua vita. U Figlio di Dio non ha preso la natura umana semplicemente per guarire le nostre malattie con la potenza divina, ma principalmente per trasformare la nostra natura e ristabilire il rapporto tra Dio e noi, senza il quale ogni unità è impossibile. Cristo ha dunque ricevuto, come si esprime l'autore della lettera agli Ebrei, "un ministero tanto più eccellente quanto migliore è l'alleanza di cui è mediatore, essendo questa fondata su migliori promesse".
In ogni Messa noi ci avviciniamo a Cristo e dovremmo avvicinarci con la stessa premura impaziente della gente di Palestina e dei paesi vicini, che si precipitava da Gesù per essere guarita e trasformata e con lo stesso ardore di contemplazione che si rivela nella lettera agli Ebrei, nella certezza che egli può trasformarci e fare anche di noi strumenti di unità. Cristo ha offerto un solo sacrificio una volta per tutte, ma lo mette continuamente a nostra disposizione: è il nostro Mediatore, sempre vivo per intercedere a nostro favore e viene in mezzo a noi proprio per essere nostro intercessore, per darci tutte le grazie necessarie affinché anche la nostra vita, con lui, in lui e per lui, diventi offerta viva, gradita a Dio.
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20/01/2017 11:00
 
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DO025 ;
Oggi la lettera agli Ebrei riporta il bellissimo testo di Geremia sulla "alleanza nuova", una espressione che si trova solo in questi versetti, in tutto l'Antico Testamento, e che annunzia un grande cambiamento: "Non come l'alleanza che feci con i loro padri, dice il Signore". La prima alleanza era un'alleanza che rimaneva all'esterno. Dio aveva dato la legge e condizione dell'alleanza era l'osservanza fedele di essa. Ma, essendo esterna, la legge diventava piuttosto un ostacolo per molti, proprio perché quando viene imposta una legge la prima reazione dell'uomo è di opposizione: è un giogo che non sopportiamo. Gli Ebrei veneravano la legge, ma pochi la osservavano veramente; anzi il profeta Geremia riferisce questa promessa divina in un tempo in cui, per le gravi violazioni della legge, Dio ha castigato duramente il suo popolo: il tempio è distrutto, il popolo esiliato.
Ma quando tutto sembra venuto meno, Dio crea cose nuove, più belle delle antiche. Così fa anche ora:
"Porrò le mie leggi nelle loro menti e le imprimerò nei loro cuori". Vale a dire che gli uomini saranno intimamente d'accordo con Dio, ameranno la sua volontà, avranno desiderio di compierla, avranno anzi la stessa volontà e gli stessi desideri di Dio. "Nessuno avrà più da istruire il suo concittadino, né alcuno il proprio fratello dicendo: Conosci il Signore! Tutti infatti mi conosceranno": sarà una conoscenza personale, intima, non imposta da un insegnamento, ma detta nel cuore. È l'alleanza istituita da Gesù con il suo sacrificio, è lui stesso che diventa nostra legge nella carità universale. Lo diciamo ad ogni Eucaristia: "Questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza". C'è in più la parola "eterna", che non si trova nel Vangelo ma si trova nei profeti ed è esatta, perché questa alleanza è definitiva, perfetta; ci unisce definitivamente con Dio e ci unisce tra noi. Questa è la base e la sorgente dell'unità.
Nel Vangelo odierno troviamo l'altra condizione dell'unità: l'elezione dei Dodici, l'istituzione che esprime la pluralità nell'unità, alla quale si deve aderire per essere uniti a Dio. Tutte le divisioni nella Chiesa sono dovute alla mancanza di fede e di adesione all'autorità; ma se vogliamo vivere davvero nell'unità dobbiamo avere un amore speciale per chi nella Chiesa è posto in autorità. Sono uomini deboli, imperfetti, ma costituiti da Cristo per conservare l'unità e per questo dobbiamo circondarli di affetto, di comprensione: Cristo Gesù è con loro! Chiediamo al Signore, per noi e per tutti gli uomini, la grazia di vivere uniti a lui, nel suo amore, osservando la legge che egli ci ha messo nel cuore e aderendo con fede all'autorità da lui costituita, affinché formiamo tutti un unico corpo.
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21/01/2017 07:23
 
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Il tesoro per il quale un cristiano deve saper vendere tutto è l'amore di Dio: come san Paolo anche noi siamo certi che nulla potrà separarcene. Santa Agnese ci mostra oggi la vittoria dell'amore. Ma qual è questa vittoria? L'amore di Dio secondo san Paolo è l'amore cristiano cioè mai separato dall'amore del prossimo ed è bellissimo vederlo nei martiri. Malgrado le persecuzioni essi non sono mai venuti meno a questo amore più forte dell'odio. In modo speciale essi hanno riportato la vittoria dell'amore sull'odio non rinunciando mai ad amare i loro persecutori.
Durante il periodo in cui la guerra infuriava nel Libano io ho avuto modo di leggere una lettera di un giovane cristiano di 22 anni scritta un mese circa prima di essere ucciso. Stava preparandosi al sacerdozio e nella previsione di poter morire, scrisse ai suoi familiari: "Ho una sola cosa da chiedervi: perdonate di cuore a quelli che mi avranno ucciso; domandate con me che il mio sangue serva come riscatto per il Libano, come offerta per la pace, per l'amore che sono scomparsi nel nostro paese e nel mondo; che la mia morte insegni agli uomini la carità. ~ Signore vi consoli. Io non rimpiango questo mondo ma mi rattrista il pensiero della vostra tristezza. Pregate, pregate e amate i vostri nemici".
È una testimonianza viva della vittoria dell'amore cristiano. Ringraziamo il Signore di farci conoscere che anche oggi i cristiani muoiono come Gesù perdonando chi li uccide; preghiamo per i cristiani che sono tuttora perseguitati e domandiamo di poter essere promotori di unità con la carità che supera ogni odio.
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22/01/2017 09:01
 
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COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di padre Gianmarco Paris

Siamo sempre in cerca di verità e di pienezza, in tutto quello che facciamo ogni giorno, in famiglia, sul lavoro, con gli amici. Per fede crediamo che senza Gesù tutto quello che facciamo resta incompiuto; ma non è facile vedere questo in concreto. La "religione" è ancora per molti di noi una "cosa da fare", magari per tenersi buono qualcuno, oppure riguarda chi ha voglia e tempo di leggere a approfondire. Il nostro rapporto con il Signore fa difficoltà a diventare una "cosa di cuore" (nel senso profondo del termine, cioè qualcosa che tocca il centro della vita). È qualcosa in più, non molto importante per essere persone alla moda, persone realizzate.
L'abitudine di molti di noi di partecipare alla Messa domenicale è una opportunità bella che ci permette di rivedere alcune idee sulla religione, ci aiuta a stare in cammino nel nostro rapporto con il Signore, perché ascoltiamo la Parola di Dio, ci alimentiamo del corpo del Signore e iniziamo la costruzione di una comunità di credenti, che continuiamo quando usciamo dalla chiesa.
La Parola di questa domenica ci presenta Gesù che dà inizio alla sua missione pubblica.
Giovanni battista è stato arrestato, Gesù legge in ciò il segno che è arrivato il momento di agire, di dare inizio alla sua missione pubblica. Dalla Giudea, dove era stato per qualche tempo vicino a Giovanni, sale in Galilea, anzi - dice Matteo - "si ritira", cioè se ne va in un luogo lontano dal centro della religione giudaica (Gerusalemme e il Tempio). Gesù inizia la sua predicazione dal un luogo periferico, un crocevia di passaggi, un luogo dove si vive la vita ordinaria, una regione dove si incontrano razze e religioni diverse.
Lì Gesù comincia a predicare (è l'azione che più lo occupa nella prima parte del suo ministero pubblico). S. Matteo riassume in una breve frase la sua predicazione: "Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino". Questo "Vangelo del Regno" è la buona notizia che Dio è presente nel mondo con il suo potere (così è da intendere la parola "regno", più che un luogo geografico su cui Dio comanda). Gesù annuncia che Dio è lì dove tu non pensavi che potesse essere, si rende presente nel modo che tu non potevi immaginare. Non devi andare lontano per cercarlo; né devi fare cose straordinarie per meritarlo. A Dio è piaciuto venirti incontro e farti il regalo della vita, del mondo, della famiglia, dei figli.
Ci chiediamo: c'era bisogno che Dio si facesse uomo per dire questa cosa semplice che sappiamo tutti? C'è bisogno che la predicazione ce lo ricordi sempre? Sì, c'è bisogno! Perché noi abbiamo gli occhi chiusi, non lo vediamo il Regno, il regalo. Vediamo noi stessi e ci mettiamo al centro, e non vediamo più chi sta al centro davvero. Ecco perché Gesù dice: convertitevi! Che significa: aprite gli occhi! Riconoscete come stanno veramente le cose.
Cambiate il vostro modo di vedere e di agire.
Sin dai primi giorni della sua predicazione Gesù chiama delle persone ad andare dietro a Lui. Il Vangelo ci racconta la chiamata di Simone e Andrea e subito dopo quella di Giacomo e Giovanni, che stavano presso il mare a fare il loro lavoro. Matteo ci presenta una scena quasi incredibile: subito dopo l'ordine di Gesù quegli uomini lasciano tutto (famiglia, casa, lavoro) e vanno dietro a lui. Matteo ricostruisce in poche righe un processo che deve essere durato qualche settimana o qualche mese: lo fa per evidenziare che nella vita di quegli uomini è avvenuto un cambiamento totale. In loro è iniziata quella "conversione" che Gesù chiede a tutti: essi hanno creduto che stando con Gesù, andando dietro a Lui potevano trovare quella pienezza di vita che cercavano. Il messaggio è per tutti noi: essere cristiani significa "andare dietro a Gesù"; per fare questo non c'è bisogno di abbandonare la propria casa o famiglia, ma occorre abbandonare un certo modo di vedere per assumere quello che Lui ci insegna. "All'inizio dell'essere cristiani non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva" (Papa Benedetto XVI, Deus Caritas est).
È nella comunità cristiana, fatta di persone concrete (come quelle di Corinto a cui scrive S. Paolo) che si fa il legame tra quello che viviamo in Chiesa e quello che viviamo fuori dalla Chiesa, in famiglia, al lavoro, a scuola, in ospedale: in tutti questi luoghi c'è il Regno di Dio e possiamo accoglierci come fratelli. Chi segue Gesù costruisce una umanità nuova, si incammina verso quella pienezza che il nostro cuore non può non desiderare.
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23/01/2017 09:27
 
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Il Signore ci dà oggi una lezione sull'importanza dell'unità. Il Vangelo parla della casa di Satana, però dà questo principio: "Se un regno è diviso in se stesso quel regno non può reggersi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi". Così è per la Chiesa. Se non lavoriamo per l'unità, lavoriamo contro la Chiesa. Non è necessario spendere molte parole: è evidente che la divisione dei cristiani nuoce all'evangelizzazione. Nelle terre di missione, quando i pagani vedono che ci sono diverse Chiese cristiane che non si intendono fra loro, dicono: "Perché accettare questa religione, che non ha unità?".
E dobbiamo insistere, nel problema dell'ecumenismo, più su ciò che ci unisce e meno su ciò che ci divide. Anche se sappiamo di essere fondati sull'unica pietra che il Signore ha posto per essere fondamento della sua Chiesa, dobbiamo sempre favorire l'unità e riconoscere ciò che è buono, ciò che viene dallo Spirito Santo anche nelle altre Chiese.
Il Vaticano Il ha riconosciuto che ci sono tanti tesori di grazie anche in queste Chiese. Non hanno tutta la ricchezza della grazia di Cristo, perché sono tagliate fuori dall'unità apostolica fondata su Pietro, ma hanno la parola di Dio, hanno i sacramenti e hanno grazie attuali che Dio, nella sua bontà, dà a tutti gli uomini di buona volontà. Dunque anche i fratelli separati sono guidati dallo Spirito Santo nella misura in cui sono docili alla grazia di Dio. Lo dobbiamo riconoscere con gioia: anche così lavoriamo ad abbattere le divisioni. Se invece vediamo solo ciò che divide, le divisioni non avranno rimedio.
Nella lettera agli Ebrei troviamo il fondamento dell'unità: l'unico sacrificio di Cristo. L'autore insiste nel dire che Cristo si è offerto una volta sola: "Una volta sola, nella pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso". E la Messa, che è il sacramento dell'unico sacrificio di Cristo, ècosì il fondamento dell'unità.
Quando partecipiamo all'Eucaristia dobbiamo pensarci: offriamo il sacrificio di Cristo per l'unità di tutti i credenti in lui.


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24/01/2017 08:31
 
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Casa di Preghiera San Biagio FMA
Commento su Marco 3, 34-35

"Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre".
Mc 3, 34-35

Come vivere questa Parola?

Non basta ascoltare la volontà di Dio nella sua Parola, non basta conoscerla, non basta parlarne, bisogna farla per poter sentire rivolte a se stessi le parole di Gesù.

Bisogna praticarla come e quanto ci è possibile, dopo averla cercata, compresa, abbracciata. Se questo avverrà potremo dirci non solo fratelli o sorelle di Gesù, ma addirittura madri.

Madri perché lo custodiremo in cuore, lo accoglieremo in grembo, nella nostra carne per la fede, e lo partoriremo al mondo. Sarà per noi la cosa più cara come un figlio lo è per la madre, avvertiremo un legame inscindibile che nessun peccato o situazione potrà annullare. Lo porteremo in noi nella gestazione della riflessione e della preghiera ma poi non lo terremo più per noi.

Come per Maria, Gesù cresce nel nostro "grembo" perché sia condiviso, donato. E questo avviene nella misura in cui la sua Parola diventa carne della nostra carne, come lui è divenuto carne in Maria. Diventa gesti, parole, sguardi.

La nostra parentela con Cristo è un legame che non è mai fermo o uguale a se stesso. Non si fonda sul sangue ma sull'amore e cresce nella misura in cui l'amore è praticato.

Mi immagino Signore il tuo sguardo su di me e quanto vorrei che tu mi vedessi come sorella, fratello, madre. Fatico spesso a conoscere la tua volontà o a seguirla ma so che se mi affido a te nella mia incapacità e ti cerco con cuore sincero, dalla tua misericordia tutto posso sperare.
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25/01/2017 08:38
 
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Oggi vediamo la potenza di Dio in san Paolo, divenuto da persecutore Apostolo che ha accolto la fede in Cristo e l'ha diffusa, con una fecondità apostolica straordinaria, che non è ancora cessata.
Ma poiché siamo ancora nella settimana dell'unità, riflettiamo su alcuni aspetti della conversione di Paolo che si possono mettere in relazione con l'unità.
San Paolo si preoccupava al massimo dell'unità del popolo di Dio. Fu proprio questo il motivo che lo spingeva a perseguitare i cristiani: egli non tollerava neppure il pensiero che degli uomini del suo popolo si staccassero dalla tradizione antica, lui che era stato educato, come egli stesso dice, alla esatta osservanza della Legge dei Padri ed era pieno di zelo per Dio. Ai Giudei che lo ascoltano dopo il suo arresto egli paragona appunto il suo zelo al loro: "... pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi".
E dunque possibile essere pieni di zelo per Dio, ma in modo sbagliato. San Paolo stesso lo dice nella lettera ai Romani: "Essi hanno molto zelo, ma non è uno zelo secondo Dio", è uno zelo per Dio, ma concepito secondo gli uomini (cfr. Rm 10,2).
Ora, mentre Paolo, pieno di zelo per Dio, usava tutti i mezzi e in particolare quelli violenti per mantenere l'unità del popolo di Dio, Dio lo ha completamente "convertito", rivolgendogli quelle parole che rivelano chiaramente quale sia la vera unità. "Chi sei, o Signore? Mi disse: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti". Nelle tre narrazioni della conversione di Paolo molti dettagli cambiano: alcuni vengono aggiunti, altri scompaiono, ma queste parole si trovano sempre, perché sono veramente centrali. Paolo evidentemente non aveva coscienza di perseguitare Gesù, caricando di catene i cristiani, ma il Signore in questo momento gli rivela l'unità profonda esistente fra lui e i suoi discepoli: "Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti". Forse proprio allora Paolo ebbe la prima rivelazione del corpo di Cristo, del quale ha parlato poi nelle sue lettere. Tutti siamo membra di Cristo per la fede in lui: in questo consiste la nostra unità.
Gesù stesso fonda la sua Chiesa visibile. "Che devo fare, Signore" chiede Paolo, e il Signore non gli risponde direttamente: "Prosegui verso Damasco; là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia". Lo manda dunque alla Chiesa, non vuole per il suo Apostolo una conversione individualistica, senza alcun rapporto con gli altri discepoli. Egli deve inserirsi nella Chiesa, Corpo di Cristo, al quale deve aderire per vivere nella vera fede.
Dopo la sua conversione Paolo ha conservato in cuore il desiderio di essere unito al popolo di Israele. Lo scrive nella lettera ai Romani con parole che non si possono leggere senza profonda commozione: "Dico la verità in Cristo, non mentisco, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anatema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e possiedono l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli".
Ogni cristiano dovrebbe avere questa tristezza continua, che non impedisce di essere gioiosi in Cristo, perché è una tristezza secondo Dio, che ci unisce al cuore di Cristo. E la sofferenza per il popolo di Israele che non riconosce Cristo, per i cristiani che sono divisi e non giungono all'unità che il Signore vuole.
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26/01/2017 07:51
 
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Paolo Curtaz
Commento su Luca 10,1-9

Ieri abbiamo celebrato la conversione di Paolo, oggi celebriamo i frutti di quella conversione: la santità di due suoi discepoli, Timoteo e Tito, destinatari di alcuni suoi scritti.

È frizzante la prima esperienza cristiana, colma di entusiasmi, di luci, di conversioni, di passione. Così la fede di Paolo contagia le comunità che incontra, le rianima, le orienta, le motiva. Dalle sue lettere impariamo a conoscere una Chiesa dinamica, in continua evoluzione, embrionale ma già definita, ancora in movimento ma già basata su alcuni principi che, bene o male, ritroviamo ancora oggi. Il "sì" di Paolo alla chiamata del Signore ha prodotto molti frutti, molta santità, molte conversioni. Il "sì" di Paolo ha suscitato il "sì" di molti altri, fra cui Tito e Timoteo. Il "sì" di questi due discepoli ha permesso al vangelo di giungere ad altri cuori, di convertire numerose altre vite. Se la nostra vita diventa un "no" all'azione di Dio, molti uomini e donne, attorno a noi, dopo di noi, non sentiranno parlare del Signore Gesù. Celebrare, oggi, il "sì" di due discepoli vissuti così lontani nel tempo, ci ricorda che la catena della fede è fatta di tanti piccoli anelli che si uniscono per giungere fino a noi. Facciamo diventare la nostra giornata, la nostra vita, un grande "sì" al Signore, perché molti altri, un giorno possano conoscere la gioia dell'appartenere a Cristo.
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27/01/2017 07:40
 
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Il Signore oggi ci dà una lezione di fede e di umiltà, facendoci vedere che la crescita spirituale non dipende da noi, ma dalla parola di Dio che è stata seminata in noi e che può salvare la nostra vita, come dice san Giacomo. Noi siamo preoccupati del nostro progresso e sovente lo siamo in modo troppo naturale, come se tutto dipendesse da noi, dalla nostra buona volontà, dai nostri sforzi, e ci sbagliamo. Facciamo come un agricoltore che volesse far crescere le piante che ha seminato tirandole verso l'alto: non è un buon sistema!
Il Signore ci insegna invece il fiducioso abbandono a Dio. Noi dobbiamo accogliere il seme, come fa la terra, accogliere cioè la parola di Dio. Poi la parola cresce e neppure noi sappiamo come. Quando il seme è gettato subito la terra lo copre, tanto che non lo si distingue più, ma contiene una potenza vitale straordinaria e bisogna lasciarlo tranquillo. Esso cresce spontaneamente, dice il Signore, e chi lo ha seminato può dormire o vegliare: la crescita non dipende da lui, che può soltanto aspettare con fiducia di vedere "prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga".
Anche san Paolo lo dirà: "Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che fa crescere".
San Francesco di Sales era molto severo verso quello che chiamava l'"empressement" la fretta febbrile di vedere i risultati in ogni campo in cui fatichiamo, e anche nella vita spirituale. Egli lavorava molto ma insegnava che bisogna fare tutto pacatamente: agire pacatamente, pregare pacatamente, perfino soffrire pacatamente, lottare pacatamente. Se ci appoggiamo 5ul Signore, constatiamo che davvero egli fa crescere tutto, talvolta più lentamente di quanto noi vorremmo, ma altre volte in modo più bello e anche più rapido di quel che ci aspettavamo. Non siamo noi che abbiamo il metro per misurare la crescita, neppure la nostra. Noi dobbiamo avere fede, fiducia e anche pazienza: il resto, la potenza di far crescere, è di Dio.
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28/01/2017 10:06
 
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La parola di Gesù "Voi siete la luce del mondo" si può applicare a molte vocazioni cristiane ma è particolarmente adatta a un santo come Tommaso d'Aquino i cui scritti illuminano ancora oggi il pensiero cristiano e tutto il pensiero umano
La prima lettura ci fa intravedere qual è la condizione per poter essere la luce del mondo; non si tratta semplicemente di usare la propria intelligenza per ricercare il segreto delle cose ma prima di tutto di mettere la propria intelligenza in relazione con Dio. "Alla tua luce vedremo la luce" dice un salmo: per vedere la luce presente nella creazione di Dio bisogna essere in rapporto con lui. Ecco perché non esiste vera sapienza senza preghiera. "Pregai e mi fu elargita la prudenza; implorai e venne in me lo spirito della sapienza" (Sap 7,7>.
Tommaso d'Aquino è stato un santo contemplativo: il suo ideale era trasmettere agli altri le cose che egli stesso aveva contemplato, cioè capite nella preghiera, capite nel rapporto con Dio. L'intelligenza da sola può certamente fare molte cose, costruire sistemi di idee, ma sono sistemi che non corrispondono alla sapienza, hanno un effetto devastatore. Qualcuno ha detto che il mondo moderno è completamente disorientato perché gli sono state date idee cristiane impazzite. L'aspirazione alla verità, alla libertà, alla fraternità sono idee cristiane sono aspirazioni evangeliche ma se si cerca di soddisfarle prescindendo dal legame vivo con Dio il risultato è quello di mettere negli uomini una specie di febbre che impedisce di trovare il giusto equilibrio e spinge a tutti gli eccessi: ecco le rivoluzioni violente, i turbamenti continui...
Invece san Tommaso d'Aquino è sempre rimasto profondamente unito a Dio, ha pregato per ottenere quell'intelligenza vera, dinamica, equilibrata che proviene dal creatore; per questo ha potuto accogliere anche idee pagane. Non ha avuto paura di studiare Aristotele e di cercare nelle sue opere luce per capire meglio il mondo creato da Dio. Lungi dall'essere propagatore di idee cristiane impazzite egli è anzi riuscito a rendere sapienti le idee pagane; è stato aperto in modo straordinario a tutta la creazione di Dio a tutte le idee umane proprio perché viveva intensamente il suo personale rapporto con Dio. "Mi conceda Dio di parlare secondo conoscenza e di pensare in modo degno dei doni ricevuti" dice il Libro della Sapienza (7, 15): il rapporto con Dio non rimpicciolisce il cuore, non rattrappisce l'intelligenza, anzi dà il gusto di penetrare in tutti gli splendori della creazione.
Nella Chiesa ci sono molte vocazioni. Alcuni sono chiamati ad insistere fino al paradosso sul rifiuto della sapienza umana; san Paolo per esempio ha dei passi addirittura violenti contro la filosofia: la sua vocazione era di insistere sul messaggio cristiano fino a farlo sembrare incompatibile con la filosofia umana. Altri come Tommaso d'Aquino hanno la vocazione di far vedere che tra loro è possibile una profonda conciliazione che avviene quando si è rinunciato all'autonomia umana per darsi tutto a Dio: si è completamente all'unisono con il creatore ed egli ci mette profondamente in accordo con la creazione.
Domandiamo al Signore che apra il nostro spirito ad accogliere in pieno la sua luce in modo da poter attirare quelli che ne sono in ricerca; che siamo davvero anime viventi del rapporto con Dio e proprio per questo capaci di orientare verso tutte le ricchezze dell'universo.
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28/01/2017 10:07
 
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La parola di Gesù "Voi siete la luce del mondo" si può applicare a molte vocazioni cristiane ma è particolarmente adatta a un santo come Tommaso d'Aquino i cui scritti illuminano ancora oggi il pensiero cristiano e tutto il pensiero umano
La prima lettura ci fa intravedere qual è la condizione per poter essere la luce del mondo; non si tratta semplicemente di usare la propria intelligenza per ricercare il segreto delle cose ma prima di tutto di mettere la propria intelligenza in relazione con Dio. "Alla tua luce vedremo la luce" dice un salmo: per vedere la luce presente nella creazione di Dio bisogna essere in rapporto con lui. Ecco perché non esiste vera sapienza senza preghiera. "Pregai e mi fu elargita la prudenza; implorai e venne in me lo spirito della sapienza" (Sap 7,7>.
Tommaso d'Aquino è stato un santo contemplativo: il suo ideale era trasmettere agli altri le cose che egli stesso aveva contemplato, cioè capite nella preghiera, capite nel rapporto con Dio. L'intelligenza da sola può certamente fare molte cose, costruire sistemi di idee, ma sono sistemi che non corrispondono alla sapienza, hanno un effetto devastatore. Qualcuno ha detto che il mondo moderno è completamente disorientato perché gli sono state date idee cristiane impazzite. L'aspirazione alla verità, alla libertà, alla fraternità sono idee cristiane sono aspirazioni evangeliche ma se si cerca di soddisfarle prescindendo dal legame vivo con Dio il risultato è quello di mettere negli uomini una specie di febbre che impedisce di trovare il giusto equilibrio e spinge a tutti gli eccessi: ecco le rivoluzioni violente, i turbamenti continui...
Invece san Tommaso d'Aquino è sempre rimasto profondamente unito a Dio, ha pregato per ottenere quell'intelligenza vera, dinamica, equilibrata che proviene dal creatore; per questo ha potuto accogliere anche idee pagane. Non ha avuto paura di studiare Aristotele e di cercare nelle sue opere luce per capire meglio il mondo creato da Dio. Lungi dall'essere propagatore di idee cristiane impazzite egli è anzi riuscito a rendere sapienti le idee pagane; è stato aperto in modo straordinario a tutta la creazione di Dio a tutte le idee umane proprio perché viveva intensamente il suo personale rapporto con Dio. "Mi conceda Dio di parlare secondo conoscenza e di pensare in modo degno dei doni ricevuti" dice il Libro della Sapienza (7, 15): il rapporto con Dio non rimpicciolisce il cuore, non rattrappisce l'intelligenza, anzi dà il gusto di penetrare in tutti gli splendori della creazione.
Nella Chiesa ci sono molte vocazioni. Alcuni sono chiamati ad insistere fino al paradosso sul rifiuto della sapienza umana; san Paolo per esempio ha dei passi addirittura violenti contro la filosofia: la sua vocazione era di insistere sul messaggio cristiano fino a farlo sembrare incompatibile con la filosofia umana. Altri come Tommaso d'Aquino hanno la vocazione di far vedere che tra loro è possibile una profonda conciliazione che avviene quando si è rinunciato all'autonomia umana per darsi tutto a Dio: si è completamente all'unisono con il creatore ed egli ci mette profondamente in accordo con la creazione.
Domandiamo al Signore che apra il nostro spirito ad accogliere in pieno la sua luce in modo da poter attirare quelli che ne sono in ricerca; che siamo davvero anime viventi del rapporto con Dio e proprio per questo capaci di orientare verso tutte le ricchezze dell'universo.
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29/01/2017 09:19
 
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don Alberto Brignoli
Votiamo la fiducia a Gesù?

Ogni uomo di governo inaugura il proprio periodo amministrativo presentando un programma di governo. Condiviso o no che esso sia da tutti, deve costituire il pilastro, la pietra fondamentale su cui costruire la comunità civile, nell'interesse e per il bene di tutti, amici e avversari politici. Ognuno cerca di ispirarsi a dei valori, a dei concetti-chiave dai quali è bene che non si discosti mai, per evitare la perdita di punti di riferimento entro cui tracciare il proprio itinerario. Anche Mosè, dopo aver liberato gli israeliti dalla schiavitù dell'Egitto per riportarli nella terra dei loro padri, capì che era necessario rendere quella massa di oltre due milioni di persone un popolo, con delle istituzioni e soprattutto delle leggi da rispettare. Ci pensò Dio a ispirargli dei valori, attraverso il Decalogo, le "Dieci Parole" - come le chiama la Bibbia - che rappresentano in un certo senso il programma di governo che Dio stesso (e Mosè con lui) propose al popolo d'Israele in cerca della propria identità.
Circa 1300 anni dopo Mosè, un altro monte - non più il Sinai - fece da palcoscenico per la proclamazione di un programma di governo che vedeva come protagonista un rabbino, figlio presunto di un falegname della Galilea, che aveva un progetto quanto meno ardito: quello di instaurare, qui sulla terra, niente meno che il "Regno di Dio", sulla scorta del fatto che lui non si riteneva figlio del falegname, ma di Dio stesso. Qualcuno gli credette da subito, e ci vuole un bel coraggio, ora, a dire che si trattava solamente di un sognatore, se dopo duemila anni siamo nuovamente qui ad ascoltare la sua Parola, almeno ogni domenica (se non tutti i giorni), e a sentirci, nel suo nome, il popolo del Regno di Dio, come lui stesso, quel mattino, dalla cima di quel monte, aveva annunciato ai suoi primi seguaci. A lui non servono Dieci Parole: gliene bastano otto, così come a lui fu sufficiente l'ottavo giorno, il primo della settimana, per dirci che nemmeno la morte aveva potere su di lui e sul suo Regno. A lui, non serve un programma di governo basato sui "no", sul "fai questo" e "non fare quest'altro": gli basta aprire le porte del nostro cuore alla speranza, dicendoci che, nonostante tutto ciò che avviene nella vita, siamo "beati", ovvero "felici", "sereni", di quella serenità che prova il bambino in braccio a sua madre dopo che qualcosa l'ha spaventato.
Anche a noi tante cose spaventano, oggi, come in ogni epoca, soprattutto quando sentiamo programmi di governo di gente che non solo non è ispirata da Dio, come lo furono Mosè e il suo successore Gesù, ma che neppure sa che per governare bisogna essere ispirati, avere ideali, sognare il bene, credere nell'umanità.
E così, mentre qualcuno pensa di poter costruire il proprio regno sulla ricchezza e sul guadagno senza scrupoli, Gesù proclama "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli";
mentre qualcuno sorride delle disgrazie altrui pensando magari come poterci speculare sopra, Gesù proclama "Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati";
mentre qualcuno pensa di occupare terre, terreni e territori facendo la guerra o colonizzando illegalmente, Gesù proclama "Beati i miti, perché avranno in eredità la terra";
mentre qualcuno pur di nascondere la verità si inventa le teorie più incredibili, credendo addirittura di poter sbattere in carcere una valanga o una scossa di terremoto, Gesù proclama "Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati";
mentre qualcuno imposta la vita sociale propria e degli altri sulla paura, e nega anche il minimo gesto di attenzione agli altri, perché diversi da lui, e quindi delinquenti, Gesù proclama "Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia";
mentre qualcuno pensa male di tutto e di tutti, e giudica gli altri in base ai propri pregiudizi, Gesù proclama "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio";
mentre qualcuno pensa che per governare bene un paese basti costruire muri e barriere facendoli pagare al vicino di casa, oppure sia sufficiente tenere a bada con ogni metodo i propri nemici, vicini e lontani, Gesù proclama "Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio";
mentre nelle aule dei tribunali i veri disonesti la fanno quasi sempre franca, e i poveri disgraziati al primo minimo errore la pagano fino all'ultimo spicciolo, Gesù proclama "Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli".
Questo è il programma di governo del Regno di Dio, e il nostro Maestro, da buon "premier", lo illustra in modo chiaro e inequivocabile all'inizio del suo mandato. E non usa mezzi termini: è un programma che va controcorrente rispetto alla logica dei potenti di questo mondo. Fa parte pure questo del gioco: chi vota la fiducia al suo programma di governo, non si aspetti applausi o momenti esaltanti. "Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia": non importa, ciò che conta è saperlo.
A me basta una cosa, per dire il mio sì a questo programma: la maggior parte dei verbi usati è al futuro. E il futuro è il tempo della speranza. Io non ci rinuncio, per nulla al mondo.
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30/01/2017 09:08
 
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Nel Vangelo di oggi, un racconto vivo, pittoresco, secondo lo stile di Marco ci sono molte lezioni per noi, ma commento solo un punto.
C'è un uomo in uno stato spaventoso: "Posseduto da uno spirito immondo... nessuno riusciva a domarlo; continuamente, notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre". E poi lo vediamo liberato, tranquillo, sano di mente. E c'è un branco di porci, numeroso (circa duemila, dice Marco) che affogano uno dopo l'altro nel mare. La gente vede l'una e l'altra cosa e, in conclusione, "si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio". Sono accecati dall'egoismo, non vedono che la liberazione di un uomo è molto più importante di un danno materiale, non capiscono che la guarigione di questo indemoniato è anche per loro promessa della liberazione, della salvezza portata da Gesù. Senza la fede è veramente impossibile capire qualcosa nella vita.
Anche la lettera agli Ebrei ci parla ancora della fede, in due quadri opposti, che potremmo intitolare: vittorie e sconfitte della fede. Per la fede i Giudici, i Profeti, hanno fatto grandi cose: "Conquistarono regni, esercitarono la giustizia, chiusero le fauci dei leoni, spensero la violenza del fuoco...". Poi viene l’altro quadro:"Torturati, lapidati, segati, uccisi di spada", sempre per la fede. E queste "sconfitte" sono più meravigliose ancora, perché sono prova di una fede più forte, che non si lascia sconcertare dagli avvenimenti, né accetta l'apostasia per la liberazione. Anche in Gesù vediamo i due quadri: Gesù che compie miracoli e suscita l'ammirazione delle folle; Gesù nella sua passione; condannato, deriso, crocifisso, morto.
Seguendolo nella fede, dobbiamo vivere realmente di fede. Anche nella nostra vita ci sono successi e insuccessi, cose che ci consolano e altre che ci desolano ed è solo la fede che ci fa approfittare delle une e delle altre. Le cose positive ci fanno vedere la fecondità della fede, ma sappiamo che sono terrestri e che dobbiamo oltrepassarle; le cose negative ci aiutano a rivolgerci alle cose del cielo, a cercare i veri valori spirituali. Così saremo uniti al mistero di morte e di risurrezione di Gesù e con lui riporteremo vittoria sul mondo: "Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo".
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31/01/2017 07:37
 
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Riccardo Ripoli
Non temere, continua solo ad aver fede!

Davanti ad eventi che vanno al di là della nostra comprensione o di quelli innanzi ai quali siamo impotenti come un terremoto che distrugge tutto, il crollo di una casa, una malattia incurabile, la morte di una persona cara in molti sono portati alla rassegnazione, alla disperazione, all'imprecazione. la vita è piena di lati che ci appaiono negativi, che ci fanno del male, per i quali soffriamo. La forza della Fede è quella di non perdersi mai d'animo, di essere sempre forti davanti alle avversità.
D'altra parte siamo pratici, davanti a cose di questo genere abbiamo la possibilità di un duplice comportamento: o ci disperiamo piangendoci addosso o reagiamo non lasciandoci sopraffare da ciò che è capitato addosso. La vita per noi continua, anche se in maniera diversa perché la morte di un figlio, il crollo di una casa, una brutta malattia ci segnano a vita, marchiano a fuoco anima e cuore. Ma se la vita continua dobbiamo cercare di viverla al meglio, soffrire il meno possibile e quindi disperarsi non solo non serve a nulla, ma ci fa' chiudere in noi stessi, fa allontanare le persone, ci fa vedere il mondo in maniera negativa ed ogni cosa che faremo sarà senza quell'entusiasmo che produce benefici effetti.
Affrontare il problema significa invece trovare altre strade, gioire di altre cose, cimentarsi in altre imprese.
Ed allora questo spirito ci porterà ad avere sempre più amici intorno, persone cui donare la tua forza ed il tuo esempio, riuscire in ogni azione intrapresa.
Ho conosciuto tante persone che hanno visto la morte negli occhi, che ogni giorno devono affrontare una brutta malattia, che hanno vicino un figlio che li fa disperare, ed alcuni di loro sono forti ed hanno tramutato la forza distruttrice di un evento in potenza per costruire qualcosa di bello, per dare più vigore alla propria famiglia, per trovare unioni ed alleanze tra i cuori, per dare speranza a chi si è abbattuto davanti al male. La loro sofferenza non è minore, ma aggiungono ad essa una grande gioia che compensa ed in certi casi sopravanza la sofferenza.
Non passa giorno in cui non soffra per la perdita di mia madre, non poter condividere con lei ogni istante, non avere consigli, non potermi confrontare con lei sui problemi della vita, non poterle presentare i miei ragazzi, ma la nascita dell'Associazione, la vicinanza dei miei bimbi e di tante persone che camminano con me mi rende questo dolore meno lancinante e a volte riesco a non pensarci e non soffrirne.
Quando la mia mamma è stata chiamata in Paradiso il Signore mi ha detto "Non temere, continua solo ad aver fede!" così è stato e la ricompensa è la grande gioia che dall'Associazione deriva a me e a quanti ne beneficiano. Così dice il Signore ad ognuno di noi, non temete, continuate ad avere Fede e vedrete il vostro dolore trasformarsi in gioia.
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