Nuova Discussione
Rispondi
 

RIFLESSIONI BIBLICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:42
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
28/03/2015 06:38
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

I sommi sacerdoti e i farisei diedero l’ordine di arrestare Gesù. Erano molto invidiosi, in seguito a tutto quello che era successo a partire dalla risurrezione di Lazzaro. Troppe persone avevano creduto e avevano seguito Gesù.
Il sommo sacerdote “profetizzò” che la morte di un solo uomo era preferibile alla schiavitù dell’intero popolo, deportato a Roma.
In realtà non era ancora giunto il tempo in cui i Romani avrebbero temuto qualcosa da parte degli Ebrei, come testimonia il processo di Gesù: il procuratore della Giudea diede poca importanza al fatto che Gesù si proclamasse re dei Giudei. Ordinò anche di preparare un cartello con questa iscrizione: “Re dei Giudei”.
Ma, trent’anni dopo, la “profezia” di Caifa avrebbe avuto un senso molto reale, quando i Romani sarebbero giunti a disperdere l’intero popolo e a distruggere il tempio.
Ma Gesù non era un pericolo! Egli muore per il suo popolo, per riunire in un solo corpo i figli di Dio che erano dispersi. Prima della morte, Gesù prega il Padre suo, perché tutti possano essere “uno” come lui con il Padre.
Molte persone cercarono Gesù nel momento dei preparativi della Pasqua. Molti chiesero: “Non verrà egli alla festa?”. Certamente Gesù verrà per la festa pasquale, perché, senza di lui, essa non avrebbe un senso molto profondo.
Allo stesso modo, nella nostra vita, una Pasqua senza Cristo non ha senso. Oggi dobbiamo porci la stessa domanda dei sommi sacerdoti e dei farisei: “Che facciamo? Quest’uomo compie molti segni”.
E noi che cosa vogliamo fare di Cristo nella nostra vita?
OFFLINE
29/03/2015 06:29
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Grado della Celebrazione: DOMENICA
Colore liturgico: Rosso
BPALM ;

È allo stesso tempo l’ora della luce e l’ora delle tenebre.
L’ora della luce, poiché il sacramento del Corpo e del Sangue è stato istituito, ed è stato detto: “Io sono il pane della vita... Tutto ciò che il Padre mi dà verrà a me: colui che viene a me non lo respingerò... E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto mi ha dato, ma lo risusciti l’ultimo giorno” (Gv 6,35-39). Come la morte è arrivata dall’uomo così anche la risurrezione è arrivata dall’uomo, il mondo è stato salvato per mezzo di lui. Questa è la luce della Cena.
Al contrario, la tenebra viene da Giuda. Nessuno è penetrato nel suo segreto. Si è visto in lui un mercante di quartiere che aveva un piccolo negozio, e che non ha sopportato il peso della sua vocazione. Egli incarnerebbe il dramma della piccolezza umana. O, ancora, quello di un giocatore freddo e scaltro dalle grandi ambizioni politiche.
Lanza del Vasto ha fatto di lui l’incarnazione demoniaca e disumanizzata del male.
Tuttavia nessuna di queste figure collima con quella del Giuda del Vangelo. Era un brav’uomo, come molti altri. È stato chiamato come gli altri. Non ha capito che cosa gli si faceva fare, ma gli altri lo capivano? Egli era annunciato dai profeti, e quello che doveva accadere è accaduto. Giuda doveva venire, perché altrimenti come si sarebbero compiute le Scritture? Ma sua madre l’ha forse allattato perché si dicesse di lui: “Sarebbe stato meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”? Pietro ha rinnegato tre volte, e Giuda ha gettato le sue monete d’argento, urlando il suo rimorso per aver tradito un Giusto. Perché la disperazione ha avuto la meglio sul pentimento? Giuda ha tradito, mentre Pietro che ha rinnegato Cristo è diventato la pietra di sostegno della Chiesa. Non restò a Giuda che la corda per impiccarsi. Perché nessuno si è interessato al pentimento di Giuda? Gesù l’ha chiamato “amico”. È veramente lecito pensare che si trattasse di una triste pennellata di stile, affinché sullo sfondo chiaro, il nero apparisse ancora più nero, e il tradimento più ripugnante? Invece, se questa ipotesi sfiora il sacrilegio, che cosa comporta allora l’averlo chiamato “amico”? L’amarezza di una persona tradita? Eppure, se Giuda doveva esserci affinché si compissero le Scritture, quale colpa ha commesso un uomo condannato per essere stato il figlio della perdizione?
Non chiariremo mai il mistero di Giuda, né quello del rimorso che da solo non può cambiare nulla. Giuda Iscariota non sarà più “complice” di nessuno
OFFLINE
30/03/2015 08:21
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Ogni evangelista racconta a modo suo la vita e le azioni di Gesù durante la festa della Pasqua a Gerusalemme. Per san Giovanni, tutto quello che succede durante questi “ultimi” giorni ha un valore simbolico e oltrepassa le apparenze. I protagonisti stessi diventano dei simboli: all’inizio della settimana della Passione, Gesù è l’ospite di Marta, di Maria e di Lazzaro, in Betania. L’amicizia li lega; è a loro che viene annunciato cosa significa parlare della “vita” e della “morte” quando si tratta di Gesù.
Marta compie i suoi doveri di padrona di casa. Gesù è a tavola con gli uomini. Maria fa qualcosa di sconveniente per la società dell’epoca - come per la nostra: unge i piedi di Gesù con un olio prezioso e li asciuga con i suoi capelli. Onora Gesù nell’innocenza del puro amore senza preoccuparsi delle altre persone riunite: l’odore del profumo riempie tutta la casa.
La critica superficiale che le viene indirizzata riguarda soltanto il suo “sperpero”. Ma, in realtà si adombra dell’abbandono senza misura di questa donna. Giuda parla in nome degli scontenti. Egli vuole trasformare in molteplici piccole razioni il dono di Maria, e venire così in aiuto a tante piccole miserie. Ma Gesù approva la spontaneità di questo amore, accetta il dono totale. Non è egli stesso sulla via del dono senza misura? Attraverso la sua morte, egli riscatta la vita del mondo
OFFLINE
31/03/2015 08:10
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Il tradimento di Gesù, per opera di Giuda, è l’esempio per eccellenza della cattiveria umana. Nel corso della storia, molti uomini hanno tradito i loro amici, coniugi, genitori, figli, concittadini o altri uomini fratelli. Questi uomini hanno stimato cosa da poco la solidarietà e la comunione umana. Ora, nella persona di Giuda, quest’ondata di indifferenza e di cattiveria si alza e si rovescia contro Gesù stesso, che in quanto Logos - Verbo - è il fondamento di ogni relazione positiva.
Durante la Settimana Santa, la sorte terrena del mediatore sarà decisa dal bacio del traditore. Ma il tradimento e la consegna di Gesù ai suoi nemici sarebbero impossibili senza l’azione, ad un livello più profondo, del Padre eterno che, attraverso le circostanze dell’Ultima Cena e della preghiera al Getsemani, si consegna lui stesso nella persona del Figlio. Compie così, nel tempo, il dono totale di sé che, nell’eternità, egli compie con la discesa dello Spirito Santo, il cui essere è Amore. La Passione di Gesù esprime nel tempo ciò che il Padre è nell’eternità. Così il tradimento di Giuda, colmo com’era della perversità del peccato, diventa il mezzo attraverso cui lo Spirito d’amore viene mandato in questo mondo, per salvarlo
OFFLINE
01/04/2015 06:57
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Gesù, vedendo che la sua ora si avvicina, fa preparare la Pasqua. Durante la cena, annuncia il tradimento di Giuda. Il salmista aveva già previsto il tradimento dell’amico (Sal 041,10). Il popolo di Giuda condanna Gesù e lo consegna ai pagani. I lavoratori della vigna, dopo aver ucciso i servitori, uccidono anche il figlio del padrone. “Popolo mio, che cosa ti ho fatto? In che cosa ti ho stancato? Rispondimi” (Mi 6,3). Giuda vende Gesù per trenta monete d’argento. Il valore di un servo era di trenta sicli d’argento (Es 21,32). Si valutò con lo stesso valore il profeta che era decaduto (Zc 11,12s). Ed è ancora questa somma che il sinedrio dà per Gesù.
Quando ciò che era stato annunciato si realizza, le Scritture terminano. Tutto, da sempre, era presente agli occhi di Dio. L’azione dell’uomo era prevista, ma non predeterminata. Ed è per questo che Gesù non toglie la responsabilità a colui che lo consegna, poiché egli ha utilizzato male la sua libertà.
Anche noi possiamo tradire Cristo, vendendolo per qualche moneta. La parola del Signore ci insegna, e il Signore stesso apre le nostre orecchie, affinché possiamo fare parte dei convitati di Gesù, che celebrano con lui la Pasqua, come membra vive della sua Chiesa
OFFLINE
02/04/2015 07:07
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Gesù trascorre le ultime ore della sua vita terrena in compagnia dei suoi discepoli. Il Maestro manifesta un amore straordinario per gli apostoli, impartendo loro insegnamenti e raccomandazioni. Durante l’ultima Cena, Gesù ha mostrato - con le sue parole - l’amore infinito che aveva per i suoi discepoli e gli ha dato validità eterna istituendo l’Eucaristia, facendo dono di sé: egli ha offerto il suo Corpo e il suo Sangue sotto forma di pane e di vino perché diventassero cibo spirituale per noi e santificassero il nostro corpo e la nostra anima. Egli ha espresso il suo amore nel dolore che provava quando ha annunciato a Giuda Iscariota il suo tradimento ormai prossimo e agli apostoli la loro debolezza. Egli ha fatto percepire il suo amore lavando i piedi agli apostoli e permettendo al suo discepolo prediletto, Giovanni, di appoggiarsi al suo petto. Nella sua vita pubblica, Gesù ha raccomandato più di una volta ai suoi discepoli di non cercare di occupare il primo posto, ma di aspirare piuttosto all’umiltà del cuore. Ha detto e ripetuto che il suo regno, cioè la Chiesa, non deve essere ad immagine dei regni terreni o delle comunità umane in cui ci sono dei primi e degli ultimi, dei governanti e dei governati, dei potenti e degli oppressi. Al contrario, nella sua Chiesa, quelli che sono chiamati a reggere dovranno in realtà essere al servizio degli altri; perché il dovere di ogni credente è di non cercare l’apparenza, ma i valori interiori, di non preoccuparsi del giudizio degli uomini, ma di quello di Dio.
Nonostante l’insegnamento così chiaro di Gesù, gli apostoli continuarono a disputarsi i primi posti nel Regno del Messia.
Durante l’ultima Cena, Gesù non si è accontentato di parole, ma ha dato l’esempio mettendosi a lavare loro i piedi. E, dopo aver finito, ha detto: “Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13,13-14).
La Cena si ripete nei secoli. Infatti Gesù ha investito gli apostoli e i loro successori del potere e del dovere di ripetere la Cena eucaristica nella santa Messa.
Cristo si sacrifica durante la Messa. Ma, per riprendere le parole di san Paolo, egli resta lo stesso “ieri, oggi e sempre” (Eb 13,8).
I credenti che partecipano al Sacrificio eucaristico cambiano, ma il loro comportamento nei confronti di Cristo è più o meno lo stesso di quello degli apostoli nel momento della Cena. Ci sono stati e ci sono tuttora dei santi e dei peccatori, dei fedeli e dei traditori, dei martiri e dei rinnegatori.
Volgiamo lo sguardo a noi stessi. Chi siamo? Qual è il nostro comportamento nei confronti di Cristo? Dio ci scampi dall’avere qualcosa in comune con Giuda, il traditore. Che Dio ci permetta di seguire san Pietro sulla via del pentimento. Il nostro desiderio più profondo deve però essere quello di avere la sorte di san Giovanni, di poter amare Gesù in modo tale che egli ci permetta di appoggiarci al suo petto e di sentire i battiti del suo cuore pieno d’amore; di giungere al punto che il nostro amore si unisca al suo in modo che possiamo dire con san Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20
OFFLINE
03/04/2015 07:32
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

La più grande lezione che Gesù ci dà nella passione, consiste nell’insegnarci che ci possono essere sofferenze, vissute nell’amore, che glorificano il Padre.
Spesso, è la “tentazione” di fronte alla sofferenza che ci impedisce di fare progressi nella nostra vita cristiana. Tendiamo infatti a credere che la sofferenza è sempre da evitare, che non può esserci una sofferenza “santa”. Questo perché non abbiamo ancora sufficientemente fatto prova dell’amore infinito di Dio, perché lo Spirito Santo non ci ha ancora fatto entrare nel cuore di Gesù. Non possiamo immaginarci, senza lo Spirito Santo, come possa esistere un amore più forte della morte, non un amore che impedisca la morte, ma un amore in grado di santificare la morte, di pervaderla, di fare in modo che esista una morte “santa”: la morte di Gesù e tutte le morti che sono unite alla sua.
Gesù può, a volte, farci conoscere le sofferenze della sua agonia per farci capire che dobbiamo accettarle, non fuggirle. Egli ci chiede di avere il coraggio di rimanere con lui: finché non avremo questo coraggio, non potremo trovare la pace del suo amore.
Nel cuore di Gesù c’è un’unione perfetta fra amore e sofferenza: l’hanno capito i santi che hanno provato gioia nella sofferenza che li avvicinava a Gesù.
Chiediamo umilmente a Gesù di concederci di essere pronti, quando egli lo vorrà, a condividere le sue sofferenze. Non cerchiamo di immaginarle prima, ma, se non ci sentiamo pronti a viverle ora, preghiamo per coloro ai quali Gesù chiede di viverle, coloro che continuano la missione di Maria: sono più deboli e hanno soprattutto bisogno di essere sostenuti
OFFLINE
04/04/2015 07:17
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Monastero Domenicano Matris Domini
Commento su Marco 16,1-8

Contesto

Il tempo pasquale ci presenta nei testi evangelici delle domeniche i brani più significativi delle apparizioni del risorto, ricorrendo per quest'anno all'evangelista Giovanni e Luca; essendo però quest'anno liturgico dedicato a Marco vogliamo vedere insieme il testo proposto nella veglia pasquale, tratto appunto da Marco, per meditare sul particolare messaggio che esso ci rivolge.

Il vangelo che narra la visita delle donne al sepolcro e l'annuncio della resurrezione di Gesù (Mc 16,1-8) costituisce il termine del vangelo marciano; i versetti successivi (vv. 9-20) come noto, costituiscono un'antica e canonica aggiunta che presenta come un riassunto delle apparizioni narrate dagli altri vangeli allo scopo di correggere e/o integrare il senso di sospensione e fallimento che il racconto lascia nel lettore, in particolare il versetto 8 (che infatti non è incluso nella lettura prevista per la veglia).

In realtà l'evangelista sembra aver costruito il racconto in modo molto preciso e con uno scopo ben chiaro: mettere in guardia i cristiani delle prime comunità, e i lettori credenti in generale, dal rischio di tradire l'annuncio pasquale ed esortarli quindi ad una coraggiosa testimonianza della vittoria di Gesù Cristo.

Sebbene ci siano chiari riferimenti e paralleli con i testi degli altri sinottici e di Giovanni (cfr. Mt 28,1-8; Lc 24,1-9; Gv 20,1-10), Marco scrive il testo con una precisa attenzione al racconto della passione narrato ai capitoli 14 e 15 del suo vangelo, in particolare per quanto riguarda i protagonisti e lo strano episodio di 14,51-52, come vedremo meglio qui sotto.

1 Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salòme comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. 2 Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole.

Il capitolo 15 si apre con alcune annotazioni temporali molto interessanti:passato il sabato, quando cioè finiva l'obbligo del riposo e si potevano fare attività lavorative (come acquisti) e spostamenti di una certa lunghezza, ma più profondamente il v. 1 potrebbe indicare che il sabato come giorno santo era ormai passato, ossia superato nella sua funzione religiosa dal giorno del Signore, il giorno che ricorda appunto la resurrezione.

Il v. 2 precisa poi che era di buon mattino, il primo giorno della settimana, al levare del sole, la menzione del levare del sole potrebbe avere dei riferimenti a testi AT (quali Nm 24,17; Ml 3,20 e il Sal 110,3) di tipo messianico. L'annotazione circa il sole segna un forte contrasto con le tenebre che hanno accompagnato la morte di Gesù (vedi Mc 15,33) e simbolicamente indicano anch'esse la resurrezione.

Sulla scena poi si presentano le tre donne che hanno guardato e osservato da lontano la crocifissione e la sepoltura di Gesù (cfr. Mc 15,40.47), una presenza che riscatta il gruppo dei discepoli tutti fuggiti (vedi 14,50). Esse a quanto dice l'evangelista sembrano intenzionate a completare i riti dell'affrettata sepoltura narrata in Mc 15,46 ad opera di Giuseppe d'Arimatea (cfr. Gv 19,39-40).

3 Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall'ingresso del sepolcro?». 4 Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande. 5 Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura.

Anche le donne come i discepoli di Emmaus (Lc 24, 13ss) parlano tra loro in termini desolati e privi di speranza; in particolare il tema che domina è quello del sepolcro (citato ai vv. 2.3.5) e della grossa pietra che lo chiudeva, tutti segni di morte e di un destino che pare definitivo.

Ed ecco una prima sorpresa: la pietra era già stata fatta rotolare, quello che sembrava difficile o impossibile è già accaduto! Tanto che esse possono entrare nel sepolcro dove trovano al posto del cadavere di Gesù, un giovane; non si tratta di un angelo, in quanto Marco non usa il termine che invece compare in 1,3; 8,38; 12,25, ma di un giovane uomo (lo stesso termine utilizzato in 14,51-52), vestito d'una veste bianca, nel colore della veste ecco un'altra allusione alla resurrezione, come pure nella posizione dell'uomo seduto sulla destra . L'evangelista propone intenzionalmente questo giovane che anche qui porta una veste particolare? Se, come sostengono alcuni esegeti, il giovane che fugge nudo (14,51-52) potrebbe simboleggiare Gesù che sfugge al potere della morte, qui lo stesso, seduto alla destra del sepolcro, potrebbe avere lo stesso significato?

La reazione delle donne è comprensibilmente di paura (come negli altri sinottici del resto), il verbo usato da Marco indica una forte emozione. Non si aspettavano che un cadavere ed ecco invece un vivo; venute al sepolcro del loro Maestro trovano un estraneo che pare attenderle.

6 Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano posto. 7 Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: "Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto"».

Di fronte alla loro paura il giovane parla, invitano alla fiducia ed annunciando esplicitamente la resurrezione di Gesù Nazareno, il crocifisso . Interessante il modo in cui Gesù viene nominato, riferendosi alla sua origine (con un termine per altro di etimologia incerta, Nazareno) e alla sua morte infame. L'apparente fallimento, la morte in croce, non pare essere un problema, anzi come il dato necessario per la resurrezione appena annunciata. La scelta dei termini propone poi l'identità tra il crocifisso e il risorto.

L'indicazione del luogo (vuoto) in cui giaceva il corpo morto di Gesù viene solo in seconda battuta; nei testi evangelici in effetti non si racconta il momento della resurrezione, ma si attesta concordemente che il sepolcro fu trovato vuoto dalle donne, poi dai discepoli e riconosciuto tale anche dai giudei (che secondo Mt 28,11-15 misero in circolazione la diceria del furto del cadavere).

Il v. 7 consegna una missione alle donne (come leggiamo anche negli altri vangeli), quella di dire ai discepoli e in modo particolare a Pietro di andare in Galilea dove vedranno il Risorto, ricordando che Gesù stesso lo aveva detto (un rimando a 14,28). Gesù aveva già annunciato la sua resurrezione e l'incontro in Galilea, dove era cominciato il suo ministero, e anche negli annunci della passione aveva parlato della sua resurrezione (vedi Mc 8,31; 9,31; 10,34). La menzione specifica di Pietro mette in luce il suo ruolo nella prima comunità cristiana, mentre l'invito al ricordo spinge a riandare alle parole di Gesù e a verificarne la veridicità.

Notiamo che l'annuncio è risorto in greco è un verbo declinato al passivo, rimanda cioè all'azione di Dio. L'evangelista mostra come nell'evento di morte e resurrezione del Maestro i suoi discepoli possono vedere realizzate le promesse fatte da lui e più ampiamente le promesse di salvezza che Dio aveva fatto al suo popolo nell'AT.

Il giovane del v. 5 si presenta nell'intenzione l'evangelista come il tipo del discepolo, egli fa ciò che ogni cristiano deve fare con la sua vita: annunciare il vangelo e la resurrezione di Gesù a partire da un'esperienza personale. Come il giovane ogni discepolo è chiamato a farsi portavoce di questa buona notizia, manifestando nei gesti e nelle parole il vivo dinamismo della salvezza (G. Perego).

Il vangelo proclamato nella Veglia pasquale di quest'anno si conclude qui, sulla gioiosa notizia della resurrezione, ma in realtà la pericope e il vangelo marciano terminano con il v. 8 dove leggiamo: "Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite." Al contrario di Mt 28,8 le donne secondo Marco fuggono piene di paura e si rifugiano nel silenzio, lasciando cadere nel vuoto la gioiosa e stupefacendo notizia della resurrezione.
Il v. 8 in effetti è sovraccarico di verbi che indicano uno stato di paura/spavento e anche di confusione e terrore, come suggerisce l'abbinamento dei verbi usato dall'evangelista. Egli utilizza gli stessi verbi in altri testi del vangelo (vedi 4,41; 6,50; 9,32; 10,32) per sottolineare la difficoltà dei discepoli nel comprendere le parole e il comportamento del Maestro Gesù. Un rischio, quello della paura e della fuga, a cui è sottoposto anche il credente di ieri e di oggi, pare suggerire l'evangelista, e da cui bisogna guardarsi.

H. Balz a riguardo di uno di essi, del termine fobeo, osserva che "lo spavento delle donne in Mc 16,8 dipende dal sepolcro vuoto e dall'incomprensibile messaggio del giovane. Esso è ancora effetto della passione e della morte di Gesù, fatti inconcepibili e terrificanti. Infatti, la promessa della risurrezione non è stata ancora sperimentata come attualità salvifica del Risorto".

L'esegeta J. Marcus vede un parallelo con Gn 18,15 dove si narra dell'incredulità di Sara e la sua paura di fronte alla notizia della nascita del figlio di Abramo, Isacco; in entrambi i casi una promessa di vita è situata in un contesto di morte e incredulità.

Quello che sorprende nella finale del vangelo di Marco in cui spesso Gesù chiedeva un silenzio che veniva puntualmente disatteso è che si chiude con il v. 8 dove le donne non dicono niente a nessuno . Ma come ha potuto la notizie della resurrezione raggiungere il lettore se esse hanno taciuto? L'evangelista costringe i suoi lettori a porsi delle domande non solo sull'atteggiamento delle donne e dei discepoli di Gesù, ma anche sulle modalità di sempre in cui si può vivere la fede in Gesù e la sua sequela. La prima quella del giovane di 16,5-7 che assume il movimento di vita nato dalla resurrezione, la seconda quella delle donne che si nascondono nel silenzio e nella paura.

Così concludono il commento al vangelo di Marco J. R. Donahue e D. J. Harrington: "Se Mc 16,8 è il finale originale ... le donne vengono meno all'incarico affidato loro... e la loro mancanza fa il pari con le molte mancanze dei discepoli maschi abbondantemente documentate nei capp. 14 e 15. Se questo è vero, ciò che Marco sta dicendo ai suoi lettori è che il personaggio maggiormente degno della loro ammirazione e imitazione è Gesù, e che i suoi primissimi seguaci, uomini e donne, qualunque altro merito abbiano potuto avere, non sono all'altezza di proporsi alla loro imitazione come lo è Gesù.

Il vangelo quindi termina così come era iniziato, con un messaggio da parte di Dio (1,3; 16,7) che punta ad un incontro con Gesù il Messia e Figlio di Dio. Come il lieto annunzio di Gesù affondava le sue radici in Isaia (vedi Is 40,3 citato in Mc 1,3), così il comando finale del "giovane" ricorda ancora Isaia, con la sua alternanza ritmica di cadute e di perdono e reintegrazioni dopo la caduta: "Farò camminare i ciechi per vie che non conoscono, li guiderò per sentieri sconosciuti; trasformerò davanti a loro le tenebre in luce, i luoghi aspri in pianura" (Is 42,16). La cecità che ha caratterizzato i discepoli lungo tutto il racconto (vedi 8,18) sarà dissipata, per essere sostituita con la visione del Gesù risorto in Galilea.".
OFFLINE
05/04/2015 08:30
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Che cos’è che fa correre l’apostolo Giovanni al sepolcro? Egli ha vissuto per intero il dramma della Pasqua, essendo molto vicino al suo maestro. Ci sembra perciò inammissibile un’affermazione del genere: “Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura”. Eppure era proprio così: non meravigliamoci allora di constatare l’ignoranza attuale, per molti versi simile. Il mondo di Dio, i progetti di Dio sono così diversi che ancor oggi succede che anche chi è più vicino a Dio non capisca e si stupisca degli avvenimenti.
“Vide e credette”. Bastava un sepolcro vuoto perché tutto si risolvesse? Credo che non fu così facile. Anche nel momento delle sofferenze più dure, Giovanni rimane vicino al suo maestro. La ragione non comprende, ma l’amore aiuta il cuore ad aprirsi e a vedere. È l’intuizione dell’amore che permette a Giovanni di vedere e di credere prima di tutti gli altri. La gioia di Pasqua matura solo sul terreno di un amore fedele. Un’amicizia che niente e nessuno potrebbe spezzare. È possibile? Io credo che la vita ci abbia insegnato che soltanto Dio può procurarci ciò. È la testimonianza che ci danno tutti i gulag dell’Europa dell’Est e che riecheggia nella gioia pasquale alla fine del nostro millennio
OFFLINE
06/04/2015 09:31
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

In questo primo giorno della settimana che segue la grande festa, è la vita quotidiana della fede che comincia. Una fede che non si accorda spontaneamente alla vita passata. Perché, se quello che noi cantiamo e diciamo a Pasqua è vero, è solamente quando il Cristo risuscitato fa sapere ai suoi che egli resta con loro e per loro fino all’ultimo giorno che tutti gli uomini riscoprono il significato della vita.
I fatti di Pasqua che gli evangelisti hanno vissuto e riassunto nella loro narrazione sono una testimonianza. Testimonianza contestata nella loro epoca, come oggi.
San Matteo parla di Maria di Magdala e dell’“altra Maria”, che incontrano un angelo al levarsi del giorno vicino alla tomba. Quando gli obbediscono e lasciano la tomba, il Cristo risuscitato va ad incontrarle. Conferma egli stesso la missione che li aspetta: “Andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno”.
Ed è anche presso la tomba vuota che si sviluppano la nuova opposizione - che contesta la risurrezione - e il rifiuto di credere. Mentre le due donne sono in cammino, le guardie si recano in città dai loro capi. Questi sanno che è inutile sigillare e sorvegliare la tomba di Gesù, perché nessuna potenza terrestre può resistere od opporsi all’opera di Dio. Pertanto, poiché non possono accettare la verità della Pasqua, danno al mondo una “spiegazione”. Spiegazione che può trarre in inganno solo coloro che si rifiutano di incontrare il Signore
OFFLINE
07/04/2015 09:35
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Il quarto evangelista racconta a modo suo l’esperienza pasquale di Maria di Magdala, che ha vissuto con i discepoli il dolore della separazione e dell’esclusione quando Gesù si è ritrovato solo con le sue sofferenze e con la morte. La sera del venerdì santo, le autorità restituiscono il suo corpo morto. Giuseppe di Arimatea e Nicodemo lo portano alla tomba.
Se la sua tomba e il suo corpo dovessero essere tutto quello che resta ai discepoli, potrebbero diventare il pegno del ricordo, il luogo della commemorazione e il centro di una comunità legata a una reliquia.
E Maria è in lacrime vicino alla tomba. Non sente nulla dell’esultanza pasquale, né della risurrezione. Gli angeli seduti, uno al posto della testa e l’altro al posto dei piedi di Gesù, li nota appena. Essa non vede che lo spazio vuoto tra i messaggeri di Dio: “Hanno portato via il mio Signore...”, ecco la sua pena. Vuole sapere dove lo hanno messo, assicurarsene, tenerlo e restare vicino a lui... Questo futuro che lei si è immaginata distrugge Maria nel momento di lasciare la tomba.
È in questo momento che i suoi occhi si aprono. Che sente il timbro di quella voce familiare: che lo riconosce vivo. Egli non le parla del loro passato comune, ma del suo avvenire, che sarà anche l’avvenire dei discepoli che hanno fede. Le dice che va verso Dio, suo Padre, che è anche nostro Dio e nostro Padre
OFFLINE
08/04/2015 07:58
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Gi evangelisti ci consegnano, condensata in un racconto, l’esperienza pasquale che porta una risposta sempre nuova a coloro che si interrogano.
San Luca racconta dei due discepoli in cammino il giorno di Pasqua: lontano da Gerusalemme e dalla comunità degli altri. Essi vogliono lasciare dietro di sé il passato che li lega a Gesù, ma non possono impedirsi di parlare senza sosta del peso che hanno sul cuore: Gesù è stato condannato, è morto sulla croce... non può essere lui il Salvatore promesso. Tutti e due, immersi in se stessi, non riconoscono colui che li accompagna sul loro cammino di desolazione. La fede nella potenza di Dio non basta loro per superare la morte. Ed è per questo che non capiscono cosa egli vuole dire quando fa allusione a Mosè e ai profeti.
È a sera, nell’ora della cena, mentre egli loda il Signore spezzando e dividendo il pane, che i loro occhi e i loro cuori si aprono. Anche se non vedono più Gesù, sono sicuri che è rimasto là, vivo; che lo si può incontrare attraverso la parola, e le cene. Con questa certezza, fanno marcia indietro per ritornare a Gerusalemme, nella comunità dei discepoli. È qui che si riuniscono e discutono gli avvenimenti di Pasqua, sui quali si basano i principi della fede. “È risuscitato e apparso a Simone” (il primo degli apostoli): ecco una delle frasi nelle quali si inserisce l’incontro pasquale dei due discepoli di Emmaus
OFFLINE
09/04/2015 08:29
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Gli uomini e le donne che hanno conosciuto Gesù testimoniano la sua risurrezione. Dicono che è venuto vivo verso di loro, che si è offerto ai loro occhi.
Siccome la risurrezione oltrepassa tutti i limiti dell’esperienza terrena, non esistono termini né frasi fatte per ritrasmettere la realtà che tocca queste persone. I discepoli di Gesù cercano delle parole e delle immagini (già pensando alle domande che verranno poste) per esprimere l’inesprimibile.
Succede la stessa cosa per l’ultimo incontro pasquale con il quale termina il Vangelo secondo san Luca.
L’apparizione di Gesù agli apostoli è strana e tuttavia familiare. Dice loro: “Pace a voi!”. Ma essi sono colti dalla paura e pensano - come tanti tra coloro che hanno bisogno di una spiegazione - che si tratti di uno “spirito”. Allora, egli fa toccare loro il suo corpo, e mangia davanti ai loro occhi.
Perché, siccome la fede nella morte e nella risurrezione di Gesù è il fondamento di tutta la predicazione, questa non tollera alcun dubbio.
Gerusalemme, città della morte e della risurrezione, diventa la città dove gli apostoli ricevono lo Spirito promesso e, con lui, la onnipotenza, che fa di loro dei testimoni per tutti i popoli della terra
OFFLINE
10/04/2015 07:13
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Il Vangelo di san Giovanni termina con la descrizione di un incontro ricco di simboli: Pietro e altri sei discepoli sono sulle rive del lago di Tiberiade. Là dove si trovavano prima che Gesù li chiamasse per seguirlo e diventare pescatori di uomini. Pietro decide: “Io vado a pescare” - ma senza pensare agli uomini. Gli altri si uniscono a lui.
Nella notte - propizia ai pescatori - vanno sul lago. La mattina, rientrano con le reti vuote. E, sulla riva, qualcuno domanda loro un po’ di pesce.
Ma non hanno pescato nulla, niente per loro stessi, niente che possano dividere. Fidandosi di una sua parola - che non hanno riconosciuto - gettano le loro reti e pescano molti pesci (anche se il mattino non è il momento migliore per la pesca). Allora il cuore del discepolo che Gesù amava si apre. “È il Signore!”, esclama. In modo conforme alla sua posizione nella comunità, Giovanni è il primo a riconoscere Gesù; e Pietro è il primo a raggiungerlo. Gli altri seguono con la barca e le reti, piene di centocinquantatrè grossi pesci, una quantità inaudita.
L’incontro sulla riva è colmo di una strana paura. Nessuno osa domandare: “Chi sei?”. Essi lo sanno, ma tuttavia provano un’impressione di estraneità e di cambiamento. Questa volta, Gesù non mangia. Prende il pane e i pesci. Li dà a loro ed essi li prendono dalle sue mani: il pane e la vita.
OFFLINE
11/04/2015 07:22
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Il Vangelo di san Marco termina con una catechesi sulla fiducia che meritano gli undici apostoli, la cui testimonianza è il fondamento della fede della Chiesa: Gesù stesso li ha chiamati per andare dalla Galilea a Gerusalemme.
Dopo il Venerdì santo, delusi e senza speranza, restano in città. Maria di Magdala che - secondo questo racconto, che fa fede - è stata la prima alla quale il Signore è apparso, spiega loro di che cosa l’ha incaricata il Cristo risuscitato. I due discepoli che il Signore accompagna lungo il cammino verso Emmaus rientrano a Gerusalemme. Tuttavia, essi non li ascoltano, né credono loro. Né la testimonianza della donna, né quella dei due discepoli fa uscire gli apostoli dalla loro afflizione e dai loro lamenti.
È soltanto quando Gesù stesso è vicino a loro e rimprovera loro la mancanza di fiducia nella parola dei suoi testimoni, che i loro cuori e i loro occhi si aprono.
Vedendolo, capiscono che il vangelo di Dio che Gesù aveva predicato, e che diventa la loro missione, ha un avvenire senza fine. Capiscono che la loro missione comprende “il mondo intero” e “la creazione intera”, tutta la comunità dei viventi
OFFLINE
12/04/2015 08:58
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

I profeti chiamarono il Messia “principe della pace” (Is 9,5); affermarono che una pace senza fine avrebbe caratterizzato il suo regno (Is 9,6; 11,6). In occasione della nascita di Cristo, gli angeli del cielo proclamarono la pace sulla terra agli uomini di buona volontà (Lc 2,14). Gesù stesso dice: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo” (Gv 14,27).
Sul monte degli Ulivi, contemplando la maestà di Gerusalemme, Gesù, con le lacrime agli occhi e con il cuore gonfio, rimproverò il suo popolo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace!” (Lc 19,42). La pace è il dono apportato dal Redentore. Egli ci ha procurato questo dono per mezzo della sua sofferenza e del suo sacrificio, della sua morte e della sua risurrezione. San Paolo afferma: “Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani siete diventati vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia” (Ef 2,13-14). Quando, risuscitato dai morti, si mostrò agli apostoli, Gesù offrì loro innanzi tutto la pace, prezioso dono del riscatto. Quando si mostrò a loro, disse ai suoi discepoli: “Pace a voi!”. Vedendoli spaventati e sperduti, li rassicurò dicendo loro che era proprio lui, risuscitato dai morti, e ripeté loro: “Pace a voi!”. Gesù ha voluto fare questo dono prezioso del riscatto - la pace - e l’ha fatto, non solo agli apostoli, ma anche a tutti quelli che credevano e avrebbero creduto in lui. È per questo che mandò gli apostoli a proclamare il Vangelo della redenzione in tutti i paesi del mondo, dando loro il potere di portare la pace dell’anima per mezzo dei sacramenti del battesimo e del pentimento, per mezzo dell’assoluzione dai peccati. Inoltre, in quell’occasione, Cristo soffiò sugli apostoli e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete, i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (Gv 20,21-23).
Beati coloro che credono in Dio senza averlo mai visto con i loro occhi, percepito con i loro sensi, compreso completamente con la loro intelligenza. La fede è una grazia; essa supera la conoscenza. La fede è un abbandonarsi con fiducia, non è un dato scientificamente dimostrato. Noi crediamo perché Dio si è rivelato e questa rivelazione è confermata dalla testimonianza di coloro che poterono essere presenti per decisione di Cristo e per ispirazione dello Spirito Santo, e cioè gli scrittori sacri, autori dei libri ispirati, e la Chiesa, alla cui testa si trova, in maniera invisibile, il Redentore stesso. Da ciò possiamo capire che la fede è meritoria e dunque benedetta. Infatti, accettare un sapere scientifico certo non costituisce in nessun modo un merito, mentre credere in qualcosa che non possiamo capire rappresenta un sacrificio e, perciò, un merito.
La benedizione della fede consiste nel fatto che essa ci unisce a Dio, ci indica la vera via di salvezza e ci libera così dall’angoscia del dubbio. La fede rende salda la speranza e, grazie ad essa, ci preserva dalla sfiducia, dalla tristezza, dallo smarrimento. La fede ci avvicina al soprannaturale e ci assicura così l’aiuto divino nei momenti più difficili. La fede ci innalza dalla vita materiale all’esistenza spirituale e ci riempie così di una gioia celeste.
Sulla terra, l’uomo è angosciato dal dubbio, dall’incertezza, dalla disperazione. Ma la fede lo libera da tutto questo. La fede lo rende pacifico e felice. Che cosa dobbiamo temere se Dio è con noi? La fede ci unisce a Dio e stabilisce uno stretto legame con lui. L’armonia con Dio sbocca, a sua volta, in un accordo con il proprio io, accordo che assicura una vera e propria pace interiore. Per giungere ad essa abbiamo bisogno, oltre che della fede, del pentimento che ci libera dai peccati riscattandoci. Perché è la colpa, il senso di colpa che suscita in noi l’inquietudine, e provoca tormenti spirituali, e ci procura rimorsi: tutto ciò è dovuto ad una coscienza appesantita dai peccati. La colpa non ci lascia in pace. Dice bene il profeta: “Non c’è pace per i malvagi” (Is 48,22). Mentre il salmo ci rassicura: “Grande pace per chi ama la tua legge” (Sal 119,165
OFFLINE
13/04/2015 07:07
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Nicodemo, uno dei notabili ebrei, si reca una notte da Gesù; vuole parlare con lui della salvezza. Bisogna quindi supporre che Gesù abbia anche dei simpatizzanti tra i farisei. In fondo, qualsiasi uomo è toccato dalla questione della salvezza; tutti si pongono delle domande sul senso ultimo della vita. Gesù va oltre la domanda fatta; l’offerta di Dio è posta a tutt’altro livello della sola aspirazione umana, che resta in definitiva nel campo dell’effimero e del terrestre. La salvezza dell’uomo riguarda la sua partecipazione alla vita del mondo che verrà. Bisogna per questo nascere “di nuovo”.
Chiaramente, il notabile ebreo conosce anche religioni non ebree, dove si può spesso riscontrare un’idea di rinascita. In altri scritti del Nuovo Testamento, si qualifica chiaramente come rinascita il battesimo cristiano (per esempio nella lettera a Tito o nella prima lettera di Pietro). Gesù mette in rilievo che questa nascita non è più nell’ambito delle possibilità umane: nascere “di nuovo”, è nascere “dall’acqua e dallo Spirito”. Lo Spirito è il dono che il Signore resuscitato fa alla sua comunità
OFFLINE
14/04/2015 07:57
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Per essenza, è la sua origine che determina l’uomo. È questa che decide quanta comprensione egli ha di se stesso, del suo essere, delle sue opinioni, del suo comportamento. Nati dalla carne, ci si può capire solo in funzione del mondo. Ma nascere dallo Spirito permette di avere una nuova percezione di se stessi. L’uomo anziano non diventa semplicemente migliore rinascendo, egli acquisisce una nuova origine. La rinascita è indispensabile, Gesù dice che bisogna che accada. Attraverso questa rivelazione, Dio risponde alla domanda dell’uomo in vista della salvezza, perché l’uomo non può darsi da solo una risposta. Ma non si può semplicemente dire che l’uomo diventa “migliore” rinascendo; la sua vita acquisisce un senso. Questo assomiglia al vento; non se ne può disporre a proprio piacere. Non lo si può afferrare, perché soffia dove vuole. Bisogna che qualche cosa si manifesti nella vita di colui che è nato dallo Spirito: i suoi pensieri e le sue azioni non possono essere colte secondo i criteri del mondo. Il bene che egli fa non proviene da lui stesso
OFFLINE
15/04/2015 08:04
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Il Dio di cui parla il nostro testo di oggi non ha niente di comune con gli antichi dei. Dio ha effettivamente amato il mondo. E non solamente il mondo ebraico, ma tutto il mondo. In san Giovanni, il concetto di “mondo” ingloba l’insieme delle creature. L’amore di Dio si è quindi giustamente rivolto verso coloro che non appaiono in nulla come membri della sua comunità. Tra di loro, ci sono anche quegli uomini che resistono al bene. È il mondo nella sua completa secolarizzazione, tale quale lo si può osservare oggi. Ed è certo anche il mondo del tempo di Gesù, con le sue implicazioni morali, politiche e religiose, un mondo che allontana Gesù dalla sua sfera di influenza, perché non sopporta che Dio si impicci dei suoi affari. San Giovanni dice che Dio ha amato molto tutti coloro che facevano il male. Dio non si limita quindi a rendere migliori coloro che sono già buoni. Dio non prende le distanze nei confronti del male. Non osserva dall’alto tutte le cose così poco appetitose che sono nel mondo. Dio si identifica assolutamente con il mondo cattivo!
OFFLINE
16/04/2015 09:58
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

San Giovanni vede le relazioni tra il cielo e la terra in modo più chiaro rispetto agli altri evangelisti che hanno scritto prima di lui. Per rappresentarle, egli utilizza nuovi modelli di linguaggio. Questi parlano di un mondo in alto: l’aldilà, dove abita Dio. E di un mondo in basso: quaggiù, dove vivono gli uomini. San Giovanni lo sa: Gesù è il Figlio di Dio. È sempre stato vicino a suo Padre, e sarà in eterno vicino a lui.
È sceso sulla terra in un momento della storia. La sua morte sulla croce rappresenta una nuova elevazione. Da un punto di vista puramente umano, la croce è la sconfitta definitiva di Gesù; la sua morte è il fallimento di tutti i suoi progetti terreni. Dal punto di vista di Dio, la croce di Gesù rappresenta la vittoria di Dio sul mondo e significa la nostra salvezza. Se noi crediamo in Gesù, Figlio di Dio, abbiamo già la vita eterna. Gesù è il germe della speranza attraverso il quale Dio agisce nel mondo. Dio è diventato un altro, si è fatto uomo. Quindi anch’io posso diventare un altro: ho la fortuna di diventare un uomo, un essere umano in un mondo inumano
OFFLINE
17/04/2015 08:41
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Non possiamo ascoltare il Vangelo che racconta il miracolo della moltiplicazione dei pani, e non possiamo riunirci per spezzare il pane, se ci dimentichiamo della fame che opprime molte persone della terra. Avere fame è una sorta di impotenza; essere saziato, una sorta di potenza. È la fame che distingue coloro che non hanno niente da coloro che posseggono. Questa disuguaglianza è ingiusta. Né i poveri, né i ricchi che fanno parte della Chiesa devono tollerare questa ingiustizia. Non esiste una risposta materiale alla fame, perché si tratta di un problema umano più generale. La povertà e l’oppressione colpiscono coloro che hanno fame nella loro dignità umana. Non si può quindi rimediare a questa mancanza con dei doni che l’addolciscano. Gesù rifiuta la fame: quella dell’alienazione fisica, politica, quella della perdita della dignità umana. Ed è per questo che egli non rimanda gli uomini nel loro mondo di miseria, ma invita i discepoli a mettere a loro disposizione i propri viveri. È l’obbedienza dei discepoli che apre la via all’azione di Dio. Gesù non vuole agire senza i Dodici. Ma, per finire, è Gesù stesso che effettua la condivisione. Solo lui può distribuire i suoi doni
OFFLINE
18/04/2015 07:12
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dal racconto degli altri Vangeli sappiamo il carattere drammatico della traversata del lago agitato: come le onde facessero dondolare la barca da una parte all’altra, e i discepoli, che Gesù aveva esortato a precederlo dall’altra parte del lago, temessero per la loro vita. Il Vangelo di san Giovanni non racconta niente di tutto questo. Certamente si può immaginare il comportamento dei discepoli, ma non viene menzionato. Chiaramente, l’evangelista non vuole che ci soffermiamo sull’atteggiamento dei discepoli; perché, in fondo, ciò non ha importanza per il racconto. Solo Gesù è importante.
I discepoli se ne sono resi conto: bisogna che Gesù salga sulla loro barca, altrimenti questa non raggiungerà la riva. Ma i discepoli hanno sottovalutato Gesù: la barca raggiunge sempre il suo scopo, se Gesù lo vuole; questo non dipende assolutamente dalla sua presenza fisica sulla barca. Gesù rimane sempre il padrone della sua Chiesa. Senza restrizioni. Ed è per questo che egli può dire di se stesso: sono io. Nell’Antico Testamento, è in questo modo che Dio parlava al suo popolo
OFFLINE
19/04/2015 08:56
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Casa di Preghiera San Biagio FMA
Commento su Gv 6, 18-21

«Il mare era molto agitato, perché soffiava un forte vento. Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: "Sono io, non abbiate paura!". Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti».

Gv 6, 18-21

Come vivere questa Parola?

Il vangelo odierno (è sempre il cap. 6 di Giovanni) riporta un episodio che allude al mistero della morte e risurrezione di Gesù, che è il tema specifico di questo tempo pasquale. Il Signore, infatti, che cammina sul mare è tipo e prefigurazione di Gesù vincitore della morte. La morte, nel mondo biblico e giudaico, sovente è paragonata al mare (cfr. Sal. 77,20; 107,23-30; Gb 9,8...). È tutto un modo simbolico di parlare della sofferenza, del dolore e della morte. Qui Gesù cammina sul "mare" e si presenta appunto come vincitore della morte. I discepoli hanno paura, come durante la passione, ma Egli si presenta loro dicendo: «Sono io, non abbiate paura!». Da notare che il Signore si attribuisce la proclamazione divina dell'IO SONO che è tipica in Giovanni (cfr. Gv 8,58).

Riconosciuto Gesù, afferma Giovanni nel Vangelo di oggi, «vollero prenderlo sulla barca e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti». È proprio vero! Quando si accoglie Gesù nella propria barca, nel suo mistero umano-divino di passione, morte e risurrezione, allora, e solo allora, possiamo arrivare all'altra riva: possiamo giungere veramente al porto sicuro e alla mèta della nostra esistenza!


Chiediamo al Signore, in un momento intenso di preghiera lungo questa giornata, la grazia di accoglierlo nella barca della nostra vita, quando si presenta come Colui che cammina "sul mare "e di non aver paura, ma di abbandonarci totalmente a Lui.


La voce di un grande esegeta orientale della scuola di Antiochia

«L'evangelista ha detto: "Vollero prenderlo su, e subito la barca toccò terra, dov'erano diretti" per mostrare che quelli non lo presero su ma, tentando di prenderlo, con stupefacente rapidità la barca giunse a terra e il Signore con loro. Non potevano infatti credere quel che aveva compiuto il Signore, né potevano considerarlo un fantasma vedendo che la barca così velocemente era giunta alla terra verso cui andavano, e che il Signore stesso era con loro»

Teodoro di Mopsuestia, Comm. al Vangelo di Giovanni III, 6

OFFLINE
20/04/2015 08:06
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Portano all’estremità di una catenella intorno al collo alcune croci come se fossero dei gioielli. Fanno stampare sulle loro camicie l’immagine di Gesù. È scritto: “I love Jesus”, ma non lo riconoscono come Figlio di Dio. Sono delle persone che vivono in superficie; non hanno quella profondità che permetterebbe di prenderli sul serio. Ed è a persone come loro che si applica la parola: “Voi mi cercate, non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”. “Voi avete il mio nome sulle labbra, perché vedete in me qualcuno che incita alla rivolta contro l’ordine esistente. Voi mi seguite per sfuggire alla vostra vita quotidiana. Ma questo non è affare mio!”.
Ecco il nostro modo di pensare, di noi che crediamo in Gesù, e che ci mettiamo per così dire al suo posto. Ma il Signore non parlerebbe così. Egli guarda la via che percorrono gli uomini. Certamente, la direzione non è esattamente la migliore, ma tuttavia essi avanzano. Ed egli accetta la loro andatura dicendo: “Sforzatevi di cercare il vero nutrimento”. Essi non ricalcitrano; gli domandano quale sia la via da seguire: “Che cosa dobbiamo fare?”. Una nuova speranza esiste all’improvviso per loro, perché c’è qualcuno che non li tratta come dei superficiali
OFFLINE
21/04/2015 07:55
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Tu puoi impegnarti per i poveri, rischiare la tua reputazione per gli asociali, spogliarti per i mendicanti: tutto ciò non ha alcun valore se non sei importante per loro. Essi ti dicono: “Quale segno fai perché vediamo e possiamo crederti?”. Bisognerebbe abbandonarli alla loro sorte e voltarsi verso coloro che si sentono confortati dal nostro aiuto, che lo accettano con piacere e riconoscenza! Ma il Signore è di diverso parere. Egli sa che, se la scorza esterna è dura, spesso l’interno è molto sensibile. La provocazione - qualsiasi sia la ripugnanza che ispira - è una sorta di disperata chiamata di aiuto: “Signore, dacci sempre questo pane!”. Che preghiera per i provocatori
OFFLINE
22/04/2015 07:18
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Se non fossi cristiano, potrei dormire a lungo la domenica mattina, potrei mostrarmi un po’ meno rigoroso nei confronti della mia vita e dei miei soldi. Ma è proibito ai cristiani! Ecco il genere di parole che non piace assolutamente ai cristiani stessi. Tuttavia, è così. Gesù stesso non si esprime con delle parole velate? Egli dice che non vuole fare la propria volontà, ma quella del Padre. Ma cosa sarà questa volontà che egli si rifiuta di seguire?
È la folla che pretende: quello che tu fai e dici, non è né la parola né l’azione divina; tu segui la tua volontà, e non quella di Dio. Il Signore attesta il contrario: “Non sono venuto per compiere la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”. Ma egli ha rinunciato completamente alla sua? No: soltanto, egli si nutre della volontà di suo Padre. Non c’è niente di meglio per lui - e per noi. Fare la volontà di Dio non restringe la nostra libertà. Se non fossi già cristiano, non potrei impedirmi di diventarlo
OFFLINE
23/04/2015 07:33
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Se non fossi cristiano, potrei dormire a lungo la domenica mattina, potrei mostrarmi un po’ meno rigoroso nei confronti della mia vita e dei miei soldi. Ma è proibito ai cristiani! Ecco il genere di parole che non piace assolutamente ai cristiani stessi. Tuttavia, è così. Gesù stesso non si esprime con delle parole velate? Egli dice che non vuole fare la propria volontà, ma quella del Padre. Ma cosa sarà questa volontà che egli si rifiuta di seguire?
È la folla che pretende: quello che tu fai e dici, non è né la parola né l’azione divina; tu segui la tua volontà, e non quella di Dio. Il Signore attesta il contrario: “Non sono venuto per compiere la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”. Ma egli ha rinunciato completamente alla sua? No: soltanto, egli si nutre della volontà di suo Padre. Non c’è niente di meglio per lui - e per noi. Fare la volontà di Dio non restringe la nostra libertà. Se non fossi già cristiano, non potrei impedirmi di diventarlo
OFFLINE
24/04/2015 08:05
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Sta’ in guardia dagli uomini; non dare fiducia a nessuno che abbia più di trent’anni; tutti pensano innanzitutto ai propri interessi! Ecco le precauzioni e i consigli che gli adulti riservano ai giovani da diverse generazioni. Lo fanno con buona intenzione, come questo proverbio, che nasce dall’esperienza: “Un vero amico lo si conosce nelle difficoltà”. Di colui che ti sta vicino senza cercare di trarre un beneficio, di costui, ti puoi fidare.
Perché tanti contemporanei di Gesù si interessano a lui? Cos’è che conduce continuamente verso di lui i suoi nemici? È il suo modo diverso di parlare di Dio, oppure il gusto del sensazionale? Si lasciano “trascinare” dai devoti? “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato”, dice il Signore. “Nessuno può dire: Gesù Cristo è il Signore, se non sotto l’azione dello Spirito Santo”, aggiunge l’apostolo (1Cor 12,3).
Certo, questo Gesù ha “più di trent’anni” e molti uomini non gli hanno dato fiducia; certo molti lo hanno seguito solo per curiosità. Ma se uno solo si avvicina a lui quando tutti gli altri si allontanano, egli sa perfettamente che è il Padre stesso che lo ha attirato verso di lui, e che è lo Spirito del Signore che gli ha fatto confessare la sua fede
OFFLINE
25/04/2015 07:42
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Il passo di Marco appartiene a quello che si chiama “il luogo finale di Marco” che contiene il racconto delle apparizioni e l’ordine missionario dato ai Dodici (Mc 16,14) e con loro alla Chiesa intera (Mt 28,18-20). Il nostro testo comincia con il testamento del Signore. Le prime parole sono un comandamento ed un invio: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura”. La Chiesa deve predicare, cioè la sua missione evangelizzatrice è un comandamento del Signore risorto. I destinatari sono tutti gli uomini che esistono al mondo: “ogni creatura”. Ciò indica che tutti gli uomini hanno il bisogno e il compito di ascoltare il vangelo della salvezza. Il contenuto, l’oggetto della predica, è il Vangelo, il lieto messaggio della salvezza attraverso Gesù Cristo, la sua persona e la sua opera. Questo annuncio è chiamato predica, cioè essa è solenne e pubblica, fatta con coraggio e fiducia nel nome di Dio salvatore. Il testo continua insistendo sulla trascendenza dell’annuncio e della sua accoglienza: “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato” (Mc 16,16). Ci troviamo così davanti alle parole più importanti nella vita dell’uomo: salvezza e condanna. La fede e il battesimo sono le parole della vita; l’incredulità è la porta della condanna (cf. Gv 3,14-21).
Vengono poi enumerati una serie di segni miracolosi che daranno credito agli inviati: scacciare gli spiriti maligni, dono delle lingue, immunità contro i morsi dei serpenti e contro i veleni, e infine il dono della guarigione. Tutti questi sono fenomeni carismatici che accompagnano il cammino della Chiesa lungo la storia.
Il testo termina con la proclamazione dell’Ascensione di Gesù e il suo stabilirsi alla destra di Dio (Mc 16,19) e con una breve indicazione sulla realizzazione del comando della missione degli apostoli, che portano il vangelo dappertutto con l’aiuto del Signore (cf. Mt 28,20). Molti segni li accompagnano (Mc 16,20). La Chiesa missionaria è in cammino, il comandamento è indirizzato a tutti
OFFLINE
26/04/2015 10:04
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

don Michele Cerutti
Pecore sotto l'unico pastore

La Domenica è il centro della vita di fede nelle prime comunità.
Luca, negli Atti, ce lo dice in questa lettura. Il primo giorno della settimana si erano trovati a spezzare il pane nella comunità di Troas.
Pensate si trovavano dopo una giornata di lavoro. La Domenica non era giorno di riposo era un giorno della settimana come l'altro. Il giovane Eutico dorme e mentre dorme cade all'indietro.
Egli tuttavia guarirà.Tante ipotesi allo studio degli esegeti su questo episodio. Io ritengo, senza essere uno studioso di esegesi, che il giovane si è addormentato dopo una giornata di duro lavoro.
A noi un insegnamento forte. Oggi viene riconosciuto la domenica come giorno della settimana dedito al riposo. La presenza alla Messa per alcuni diventa saltuaria. Nelle prime comunità si ritagliava il tempo per il Signore e noi invece?
Rischiamo di compiere tante cose in questa giornata e lo dimostra il fatto che i negozi sono sempre più aperti.
I centri commerciali stanno diventando sempre di più i nostri moderni santuari.
E' veramente centrale la Messa l'incontro con il Signore e con la comunità?
Il giovane è guarito. E' la forza della preghiera comunitaria che si alza da quell'assemblea a riportare
in salute Eutico.
Anche in questo caso poniamoci degli interrogativi: crediamo nella forza della preghiera comunitaria?
Sono domande che dobbiamo porci in questa domenica in cui la Chiesa ci invita a pregare per le vocazioni.
Queste crescono e si rafforzano se il tessuto religioso si rinvigorisce e si rafforza.
Le nostre comunità stanno vivendo momenti di raffreddamento.
Il rinnovo dei consigli pastorali faccia riscoprire la gioia dell'appartenenza comunitaria.
Un tessuto comunitario vivo da cui possa scaturire la varietà di vocazioni.
Non possiamo non essere preoccupati della crisi della famiglia, la vocazione principe da cui scaturiscono tutte le altre vocazioni.
Il Parlamento ha approvvato la legge sul divorzio breve. Come cattolici non possiamo che rimanere sconcertati per l'abbassamento morale che una legge suggella.
"Se guardato un po' più in profondità, è la spia di come siamo cambiati di fronte appunto a termini come fatica, sacrificio, rinunce, perdono, responsabilità, fedeltà a un impegno preso e a una parola data. Tutte cose che abbiamo smarrito non solo riguardo al matrimonio". (La Stampa, Michele Brambilla-24-04-2015).
In questa giornata intensifichiamo la nostra preghiera per la perseveranza dei sacerdoti.
Paolo invita Timoteo nel compiere il presbiterato in maniera irreprensibile.
Chiediamo questo nella preghiera che coloro che sono chiamati alla sequela di Cristo nelle diverse forme di consacrazione siano irreprensibili.
Mi suonano alla mente la semplicità delle parole del Santo Curato d'Ars:
«Se non avessimo il Sacramento dell'Ordine, noi non avremmo Nostro Signore. Chi l'ha messo nel tabernacolo? Il sacerdote. Chi ha ricevuto la vostra anima al suo ingresso a questo mondo? Il sacerdote. Chi la nutre per darle forza di fare il suo pellegrinaggio? Sempre il sacerdote. Chi la preparerà a comparire davanti a Dio, lavando l'anima per la prima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, ogni volta il sacerdote. Se l'anima, poi, giunge all'ora del trapasso, chi la farà risorgere, rendendole la calma e la pace? Ancora una volta il sacerdote. Non potete pensare a nessun beneficio di Dio senza incontrare, insieme a questo ricordo, l'immagine del sacerdote.Se andaste a confessarvi alla Santa Vergine o a un angelo, vi assolverebbero? No. Vi darebbero il Corpo e il Sangue di Gesù? No. La Santa Vergine non può far scendere il Suo divin Figlio nella Santa ostia. Anche duecento angeli non vi potrebbero assolvere. Un sacerdote, per quanto semplice sia, lo può fare, egli può dirvi: "Va in pace, ti perdono". Che cosa grande è il sacerdote!...»
In questo anno in cui la Chiesa ci invita a pregare per la Vita Consacrata chiediamo giovani e giovane pronti a rispondere con fiducia a una sequela generosa nei confronti di Cristo casto, povero e obbediente.
Il modello è sempre Cristo il buon e bel pastore come lo chiamiamo in questa Domenica.
Un immagine che con semplicità ci fa comprendere che Cristo conduce ciascuno al suo pascolo e non dimentica nessuno.
Nessuno è escluso proprio nessuno.
Come è bello riaffermare questo principio di non esclusione in un mondo come questo in cui in tanti cristiani prevale il concetto di esclusione.
Davanti alle tragedie del mare di questi giorni in cui assistiamo impotenti guai accettare il linguaggio che circola anche sui social network e nei discorsi che hanno il tono inaccettabile.
Cristiani di serie A e cristiani di serie B. Tutti apparteniamo all'unico gregge dell'unico pastore.
Mi rifaccio a quello che afferma il cardinal Montenegro.
"I respingimenti sono una condanna a morte perché rimandandoli indietro andranno incontro a morte sicura, in mare, nel deserto. Una psichiatra tunisina mi raccontava che tornano indietro "sconquassati" nell'anima, ha usato proprio questo termine. E' gente che scappa, se noi la respingiamo è morta. Il nostro finto buonismo non può farci credere davvero che se buchiamo una barca quel milione di persone che aspetta sulla riva poi farà semplicemente il bagno in acqua.
Cristo conosce uno a uno i nostri bisogni e le nostre necessità si cala a cercare le pecore smarrite e prende su di sè l'odore del suo gregge.
Noi cristiani che prendiamo come modello Lui non ci vogliono minimamente sporcare le mani.
Parliamo di radici cristiane da salvaguardare e poi accettiamo che l'Europa assuma toni così tentennanti nel prendere delle decisioni su vite umani?
Non è che rischiamo di essere mercenari interessati solo al semplice guadagno? Ci muoviamo solo se ne vale la pena economicamente.
Abbiamo bisogno di cristiani che sanno portare anche loro le sofferenze dei fratelli senza tante remore
Nuova Discussione
Rispondi
Cerca nel forum
Tag discussione
Discussioni Simili   [vedi tutte]
TUTTO QUELLO CHE E' VERO, NOBILE, GIUSTO, PURO, AMABILE, ONORATO, VIRTUOSO E LODEVOLE, SIA OGGETTO DEI VOSTRI PENSIERI. (Fil.4,8) ------------------------------------------
 
*****************************************
Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra | Regolamento | Privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 07:58. Versione: Stampabile | Mobile - © 2000-2024 www.freeforumzone.com