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RIFLESSIONI BIBLICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:42
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27/05/2016 07:47
 
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Nel Vangelo di oggi, Gesù parla della fede.
Raccomanda ai suoi discepoli di avere una fede salda: “Se uno dice a questo monte: levati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto dice avverrà, ciò gli sarà accordato”.
Così Dio si aspetta di trovare nell’uomo una fede salda. La fede è un dono gratuito di Dio, ma egli ci chiede di essere aperti e disponibili.
Fra le molteplici sollecitazioni attuali che sembrano dare valore alla nostra vita, la fede è forse la meno attraente. Il mondo d’oggi ha come solo orizzonte l’azione umana e la realizzazione del singolo. La fede cerca, in tutto, di fare la volontà di Dio. Il mondo si preoccupa soprattutto del benessere e delle comodità. La fede, invece, ci chiede di portare la nostra croce seguendo Gesù. Ne sono esempio i santi: essi sono la risposta alla fede che Gesù si aspetta da noi.
Ciò che risulta difficile per noi è mettere in pratica la fede nella nostra vita quotidiana. Eppure, se, oltre l’agitazione e la frenesia del mondo, comprendessimo da dove ha origine la vera fame e sete dell’uomo e verso quale meta egli tende tutto se stesso, allora la fede in Gesù potrebbe svolgere un’azione liberatrice sulla nostra vita, come “vero pane di vita”.
Chi crede in Cristo, come dice Gesù, ha la vita eterna. Chi non crede, respinge la sua vocazione e rifiuta l’offerta di Dio.
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28/05/2016 06:20
 
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L’evangelista Marco volle mostrare ai destinatari del suo Vangelo che, con la venuta di Gesù, il regno di Dio era già sulla terra. Ovunque Gesù lo proclama. Del resto le sue azioni mostrano, in modo ancora più evidente delle sue parole, che cosa significhi ciò per gli uomini: Gesù guarisce infatti molti malati, caccia molti demoni e compie tali azioni non solo a Cafarnao, ma in tutta la Galilea. Gli uomini troveranno così la santità dell’anima e del corpo.
Giovanni riassume quest’esperienza nelle seguenti parole, pronunciate da Gesù: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).
Marco era convinto che chi avesse sentito parlare delle opere di Gesù, avrebbe dovuto riconoscere chi egli era; per questo l’evangelista mostra come rispondevano gli uomini alle azioni in cui Gesù manifestava i suoi poteri. Molti capivano che egli era il Messia, mentre i sommi sacerdoti e gli scribi non ci credevano. Del resto, costoro erano sempre stati e sarebbero sempre stati ostili a Gesù. In particolare, lo furono quando Gesù scacciò i mercanti dal tempio di Gerusalemme. In quell’occasione, Gesù “insegnò loro dicendo: Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti? Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri!”.
I sommi sacerdoti e gli scribi, come si dice nel Vangelo di oggi, allora gli chiesero con quale autorità facesse queste cose. Ma Gesù, con una sola domanda, li fece tacere. Essi cercarono allora un modo di farlo morire, ma lo temevano perché tutto il popolo andava a lui ed era ammirato del suo insegnamento.
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29/05/2016 07:22
 
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Domenica 29 maggio 2016

Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Oggi celebriamo il Corpus Domini e la liturgia ci propone l'episodio della Moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Gesù è seguito da molte persone e i discepoli, giunto il tramonto, gli apostoli si preoccupano di congedare la folla affamata, visto che nel deserto non si può trovare cibo. Non si vedono soluzioni, dal momento che hanno solo cinque pani e due pesci. Ma Gesù spiazza i discepoli; infatti, è proprio con quello che essi credono nulla che il Signore compie un grande miracolo. Quante cose Gesù può compiere con quello che noi consideriamo poco!
San Luca descrive attentamente la scena: Gesù prende i pani e i pesci, leva gli occhi al cielo, li benedice, li spezza e li fa distribuire alla gente. Questo segno ci ricorda l'Ultima cena, quando il Signore ha istituito l'Eucarestia compiendo gli stessi gesti con il pane e il vino. L'invito di Gesù è quello di aprirci alla condivisione. Il cristiano è chiamato a preoccuparsi dei bisogni del prossimo e a mettere in comunione il pane di vita. Inoltre, l'insegnamento è a fidarci di Lui e affidargli quello che per noi è insignificante perché con il suo sostegno possiamo fare cose grandi! Sia lodato Gesù Cristo!
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30/05/2016 04:11
 
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Noi tutti riceveremo, un giorno, una vigna da coltivare e curare. Questa vigna è la pietra della nuova Gerusalemme che
il Signore ci incarica di levigare e di posare dove ci indicherà.
Bisogna essere vigili e attenti per sapere quanto Dio si aspetta da noi. Cammin facendo, dobbiamo darci da fare per operare come Dio ci chiede. Molte tappe ci separano dalla meta finale. Il primo raccolto avviene in occasione della scelta di vita. Che cosa scegliere e come scegliere secondo il volere di Dio? Se ho operato la mia scelta senza tener conto del volere di Dio, ho perso la prima partita e ho ignorato il messaggero di Dio.
La seconda possibilità mi è data nella realizzazione della scelta di vita; se ho scelto la vita familiare, mi preoccupo di amare mia moglie (o mio marito) e di essere a lei (o a lui) unito nell’amore di Dio? Se ciò non avviene, ho mancato anche il secondo raccolto e ho ignorato il secondo messaggero di Dio. Lo stesso vale se, nella vita religiosa, nel celibato volontario o ecclesiastico, ho trascurato di cercare e di coltivare la comunione all’amore di Cristo, santo sposo della mia anima.
Il terzo raccolto ha luogo nell’educazione dei figli nel primo caso, e nell’impegno per il compimento della missione e nella pratica della perfezione nel secondo caso. Se non avremo comunicato ai nostri figli il Dio d’amore o se non avremo aperto le vie di Dio ai nostri fratelli, avremo perso anche il terzo raccolto e avremo ucciso il terzo messaggero.
Allora Dio, nostro Padre celeste, fa un altro tentativo: ci smuove con il suo Verbo fatto carne, suo Figlio Gesù. Ci interpella per mezzo di lui, per mezzo del suo Vangelo, per mezzo dei suoi ministri: è ancora possibile unirci all’amore.
Se noi rifiutiamo quest’ultima possibilità, contribuiamo ad uccidere in noi il Figlio di Dio. Questo è il peccato cosiddetto “contro lo Spirito”, poiché provoca in noi la morte eterna. Dio prende la nostra corona e la dà ad un altro. A chi ha sarà dato e a chi non ha sarà tolto il poco che ha... “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata testata d’angolo!”.
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31/05/2016 05:21
 
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Il vangelo ci rivela che Maria è regina della comunicazione e dell’accoglienza.
Il mistero della Visitazione, infatti, è il mistero della comunicazione mutua di due donne diverse per età, ambiente, caratteristiche e della rispettosa vicendevole accoglienza.
Due donne, ciascuna delle quali porta un segreto difficile a comunicare, il segreto più intimo e più profondo che una donna possa sperimentare sul piano della vita fisica: l’attesa di un figlio.
Elisabetta fatica a dirlo a causa dell’età, della novità, della stranezza. Maria fatica perché non può spiegare a nessuno le parole dell’angelo. Se Elisabetta ha vissuto, secondo il Vangelo, nascosta per alcuni mesi nella solitudine, infinitamente più grande è stata la solitudine di Maria. Forse per questo parte “in fretta”; ha bisogno di trovarsi con qualcuno che capisca e da ciò che le ha detto l’angelo ha capito che la cugina è la persona più adatta. Quando si incontrano, Maria è regina nel salutare per prima, è regina nel saper rendere onore agli altri, perché la sua regalità è di attenzione premurosa e preveniente, quella che dovrebbe avere ogni donna. Elisabetta si sente capita ed esclama: “Benedetta tu tra le donne”. Immaginiamo l’esultanza e lo stupore di Maria che si sente a sua volta compresa, amata, esaltata. Sente che la sua fede nella Parola è stata riconosciuta.
Il mistero della Visitazione ci parla quindi di una compenetrazione di anime, di un’accoglienza reciproca e discretissima, che non si logora con la moltitudine delle parole, che non richiede un eloquio fluviale ma che con semplici accenni di luci, di fiaccole nella notte, permette una comunicazione perfetta” [Da La donna nel suo popolo, Ed. Ancora, 1984, pp. 77ss].
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01/06/2016 06:38
 
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UNA LUCE PER IL NOSTRO TEMPO. Il nostro secolo, che cerca un modello di santità vissuta nelle responsabilità quotidiane, potrebbe trovarlo benissimo in Giustino. Egli fu infatti un discepolo di Gesù Cristo, esemplare per la serietà della sua indagine intellettuale, come per la fedeltà alla sua fede. Sempre in cerca della verità, dopo averla scoperta in Gesù Cristo, non smette di approfondirla. Nel suo continuo cercare rende evidente il dono totale fatto di se stesso a Cristo, che lo porterà fmo al martirio. Uomo retto e fedele, Giustino fu sale e luce (7. ) per gli uomini del suo tempo.

FOLLIA DELLA CROCE (Colletta e L.). Giustino non arrivò alla "mirabile conoscenza del mistero del Cristo" soprattutto attraverso le sue ricerche intellettuali, bensì mediante la fedeltà alla fede che lo porterà sino al martirio. Coi libri che ci ha lasciato, ma più ancora col suo eroico sacrificio, egli proclama anche oggi che gli uomini non vengono salvati dalla loro saggezza, né dall'ostentazione di segni straordinari. Vengono salvati dalla Croce, follia e scandalo per gli uomini, potenza e sapienza di Dio.
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02/06/2016 07:45
 
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“Non sei lontano dal regno di Dio”.
La nostra vita, la nostra vera vita dipende da tale prossimità o lontananza. Dove siamo rispetto al regno? A che punto siamo nell’identificarci come figli del Padre? Per saperlo, ripetiamo i due comandamenti: “Amerai il Signore Dio tuo. Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Esaminiamoci, mettiamoci alla prova del fuoco di questi due comandamenti. Da una tale prova la nostra coscienza uscirà splendente come l’oro passato nel fuoco? Se sì, saremo allora riconosciuti da Cristo come vicini al regno. Se invece questa prova ci restituisce un’immagine sbiadita e consunta, non disperiamo: facciamo ancora in tempo a correggerci e a orientare il nostro cuore verso Dio e verso il prossimo
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04/06/2016 07:09
 
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Si dice che una cosa è immacolata quando è priva di qualsiasi macchia. Ciò che è immacolato non ha né difetti né imperfezioni. Quando uno dice: "Questa stanza è immacolata", intende dire che la stanza è molto pulita. Dire a qualcuno: "Appari immacolato" significa che i suoi abiti sono stirati con eleganza e non fanno una grinza, mentre si presenta in ordine anche nel resto: capelli, unghie, barba: tutto è perfettamente apposto. Il cuore è l’organo del corpo che pompa sangue attraverso il sistema circolatorio. Però, la parola "cuore" si riferisce spesso al centro emozionale di una persona. L’amore e l’odio, il coraggio e la paura, la fiducia e l’offesa sono ritenuti come aventi la loro sede nel cuore. Dire a uno: "Abbi cuore" comporta un riferimento alla compassione umana. Certe funzioni, che sono localizzate nel cervello, vengono alle volte considerate come se fossero nel cuore. Maria, la Madre di Gesù, "serbava tutte queste cose nel suo cuore". Dopo la nascita di Gesù e la visita dei pastori, Maria "serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Lc 2,19). Fece cosi anche dopo che ebbe ritrovato Gesù dodicenne nel Tempio (Lc 2,5 1). Nel cuore puro della Madre di Dio, erano conservate le meraviglie della rivelazione di Dio al suo popolo.
Dio continua a rivelarsi nel cuore degli uomini. Ciò avviene spesso come una meditazione: uno sta seduto con calma e, senza dire una parola, riflette sugli eventi della giornata; cerca la presenza di Dio nel quotidiano della vita, negli incontri sul lavoro, nelle conversazioni durante il pranzo, mentre nella sua auto torna a casa alla sera, a tavola in famiglia durante la cena, ecc. In questi eventi, si può scoprire che è Dio che guida e porta avanti ogni cosa; è lui che aiuta a crescere nella grazia, a comprendere le sue vie. Riflettendo su queste cose. uno le serba nel suo cuore.
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05/06/2016 08:46
 
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Commento a cura di Padre Gianmarco Paris

Il racconto evangelico di Gesù che sente compassione per la vedova di Naim ci viene incontro con la sua semplicità e provocazione. Sappiamo, per fede, che non è solo il ricordo di un fatto perduto nel tempo e nello spazio, ma contiene l'annuncio di una presenza e di un incontro che riguarda noi oggi.
Gesù entra in un villaggio, ai piedi del monte Tabor, accompagnato da molta gente. Alla porta del paese Gesù incrocia un altro gruppo di persone, che portano al cimitero un giovane, unico figlio di una madre che già era vedova. Sembra strano che, nonostante la situazione sia tragica, Luca non descriva i sentimenti della donna e di chi l'accompagna. La storia fa un salto in avanti quando Gesù vede la donna e sente compassione per lei: egli si sente toccato dentro da quella situazione e non può andare oltre facendo finta di niente. Noi lettori ci avviciniamo alla sofferenza di quella madre con gli occhi e il cuore di Gesù: ecco perché Luca non ci ha parlato prima della tristezza della donna. È la mamma sofferente che suscita la compassione di Gesù più che il ragazzo morto. Ciò che smuove da dentro Gesù non è la morte ma il fatto che una madre, già vedova, abbia perso il suo unico figlio: egli non vuole lasciarla nel pianto. È l'unica volta che Luca descrive il sentimento della commozione di Gesù, e per questo la scena merita tutta la nostra attenzione (Luca parla soltanto altre due volte di questo sentimento, quando presenta la reazione del samaritano che si avvicina all'uomo ferito e la reazione del padre che vede da lontano il figlio che ritorna e gli corre incontro). In Gesù si manifesta la compassione di Dio per il suo popolo, che i profeti hanno espresso molte volte: una compassione paterna e ancor di più materna (nella lingua concreta della Bibbia il grembo materno è una delle parole usate per dire "misericordia"). Possiamo ricordare Osea 11,8: "Come potrei lasciarti, Efraim; come potrei consegnarti, Israele?...Si sconvolge dentro di me il mio cuore, mi si commuovono le viscera". E anche Geremia 31,20: "Efraim è il figlio che amo, il mio bambino, il mio incanto! Ogni volta che lo riprendo mi ricordo di ciò, mi si commuovono le viscere e cedo alla compassione, oracolo del Signore".
Mosso dalla compassione Gesù prende l'iniziativa, agisce con il suo potere sulla morte. Per la prima volta Luca lo chiama "Signore", titolo che indica il Cristo risorto presente nella Chiesa, il Signore della vita e della morte. Il centro della scena non è il miracolo né il morto redivivo, ma la compassione di Gesù per la madre sola e sofferente: lo prova anche il fatto che l'azione di Gesù non finisce quando risuscita il ragazzo, ma quando lo restituisce alla madre, perché lei aveva suscitato la sua compassione. Grazie a Gesù, la donna che piangeva per la perdita del figlio diviene di nuovo madre. Ora la vita del figlio non viene più da lei ma dal Creatore. Gesù rende di nuovo la donna madre e il ragazzo figlio. Ancora una volta ci colpisce il fatto che Luca non dia spazio ai sentimenti di gioia della donna. Non li nega (e noi li possiamo immaginare), ma per lui è più importante parlare delle conseguenze che il gesto di Gesù provoca nei presenti.
Essi si rendono conto che Dio agisce in Gesù (questo significa il "timore" che sentono, che significa rispetto). La gente comprende che è finito il tempo dell'assenza di profeti, è sorto un "grande profeta". I presenti vedono in Gesù l'Elia della fine dei tempi; anche quel profeta infatti aveva resuscitato il figlio di una vedova (come ci racconta la prima lettura), come Gesù aveva ricordato nella sinagoga di Nazareth. Riconoscono che è giunto il tempo della "visita" di Dio al suo popolo (come aveva annunciato Zaccaria nel suo canto di lode, Lc 1,78) perché si è ricordato della sua misericordia.
La seconda conseguenza del gesto di Gesù è che la fama di lui espande, preparando così la risposta che Gesù darà ai discepoli di Giovanni battista che chiedono a Gesù se è proprio lui il Messia. Restituendo un figlio a sua madre Gesù rivela un aspetto importante della sua missione: egli è colui che dà vita, come Dio.
Lo sguardo di Gesù sa scoprire la sofferenza nascosta e silenziosa; il suo cuore sa soffrire insieme a chi soffre. La "buona notizia" non è solo che Gesù dona la vita a un morto, ma che ridona il figlio vivo alla madre rimasta sola. Ridona vita e tutto quello che ne segue: gioia, speranza, senso. Questa è la "buona notizia" per ciascuno di noi oggi: quando la vita viene meno, nel passaggi dovuti all'età, alla malattia, alla partenza di persone care, Gesù incrocia il nostro cammino; non ci toglie le difficoltà, neppure la morte, ma sente compassione e fa rinascere la speranza, la fiducia, il coraggio di vivere con le difficoltà.
In questa pagina di Luca vediamo che Gesù fa conoscere la salvezza e l'amore di Dio mentre ricostruisce un rapporto familiare di amore, vicinanza, compagnia, protezione: ricostruisce una famiglia. Così Dio si rivela: aprendo di nuovo la strada dell'incontro, dell'amore. Se Dio si fa conoscere così, allora possiamo rispondere a Lui quando costruiamo rapporti di comunione, quando cerchiamo di restare fedeli nel momento della prova, quando sfidiamo la morte dell'egoismo con la forza della compassione e della misericordia; quando mettiamo la nostra vita al servizio di chi non può avere vita piena.
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07/06/2016 07:37
 
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Signore, esageri un po’! Io il sale della terra? Io la luce del mondo? Come è possibile?
Se queste parole mi fossero state rivolte da un adulatore, non mi avrebbero certo montato la testa come invece accade alle persone piene di sé che esultano delle lodi. Ma, poiché esse vengono da te, non possono essere che parole vere. Allora mi scuotono, mi obbligano a riflettere, a meditare, a cercare di capirne fino in fondo il senso.
Mi raccolgo e sento la tua presenza in me. Tu sei in me e agisci in me e attraverso di me. Vedi con i miei occhi, senti con le mie orecchie, parli con la mia lingua, ami con il mio cuore. Come non essere, allora, il sale e la luce del mondo, dal momento che sono il tuo tabernacolo?
Signore, fa’ che io resti sempre fedele alla tua presenza in me, e che le persone che incontro sul mio cammino vedano in me il tuo volto.
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08/06/2016 09:00
 
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Non è facile seguire Gesù. Per lui (e quindi per noi) la legge è stata stabilita per la nostra felicità. Ciò non piace agli
uomini d’oggi, che credono di sapere meglio del loro Creatore ciò che è bene per loro. Come i malati, che si credono più informati del loro medico sul trattamento più adatto al loro caso, o i bambini, che pensano di avere più esperienza educativa dei loro genitori.
Tanto Gesù è tenero verso i peccatori, quanto è intransigente verso il peccato. È quello che ci ricorda senza sosta il papa Giovanni Paolo II, percorrendo il mondo.
In ogni tempo gli uomini hanno voluto rimodellare il Vangelo secondo i loro desideri. E di qui il proliferare di sette. Si elimina tutto ciò che dà fastidio. Rileggiamo per esempio il discorso che tenne Paolo al governatore romano Felice(At 24,24-25). Felice mandò a chiamare Paolo per udirlo parlare della fede in Gesù Cristo. Ma siccome Paolo parlava di giustizia, di temperanza, di giudizio finale, Felice ebbe paura, e lo mandò via promettendo di richiamarlo più tardi, cosa che, naturalmente, si guardò bene dal fare.
Così molte persone sono infastidite quando un discorso tocca gli argomenti della continenza, del digiuno, del perdono, della giustizia o altro ancora. Essi lasciano la chiesa e trovano mille scuse per non rimettervi più piede. Ma in fondo a se stessi, nel profondo della loro solitudine, non hanno paura?
Siamo obiettivi: non c’è un Vangelo per i padroni e un altro per gli schiavi, un Vangelo per i ricchi e un altro per i poveri. Come non potranno mai esserci molti soli a brillare secondo le esigenze di ognuno. Certamente non è facile seguire Cristo. Eppure, egli ci ha detto: “Prendete il mio giogo sopra di voi... Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11,29-30). Se il Signore l’ha pesato, fidiamoci di lui. Egli conosce i limiti delle nostre forze. Inoltre, tutti quelli che hanno seguito la sua legge con amore sono stati felici quaggiù... e “lassù”...
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10/06/2016 12:09
 
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Queste parole di Cristo sono una lode, ben meritata, alla donna. Per il cristiano, discepolo di Cristo, la donna è co-creatrice, in quanto elevata da Cristo alla dignità di madre di Dio, poiché ha dato un corpo a Dio.
La donna, mirabile compagna e completamento dell’uomo, porta a perfezione le qualità di tenerezza, pazienza, ascolto, ospitalità, abnegazione, coraggio e generosità di cui l’umanità ha tanto bisogno. La donna, ricettacolo della vita. La donna, per prima, è salita in cielo con il suo corpo.
Che offesa alla sua dignità, che insulto considerarla come un semplice oggetto di piacere, da gettare via deliberatamente quando se ne è stufi, o come una serva tuttofare. Dal momento in cui Maria è diventata “un’immagine di prua” della nostra fede, il nostro sguardo sulla donna si è riempito di rispetto, di purezza e di gratitudine.
La donna, compagna, sposa, madre, deve essere amata e desiderata nella sua totalità. Questo amore e questo desiderio portano allora l’espressione della tenerezza di Dio. Si capisce allora perché una donna non possa essere ripudiata.
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11/06/2016 07:40
 
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Il Signore Gesù rivela il suo cuore in ogni pagina del Vangelo. In quella di oggi, che è un discorso di missione, vediamo la magnanimità del suo cuore. La povertà del Vangelo non è da pensare come "strettezza", ma come apertura nella fiducia e nella generosità: così testimoniano le parole di Gesù e così l'ha vissuta san Bamaba. Gesù vuole che siamo poveri perché ci vuole liberi e in grado di donare largamente a tutti, per il regno di Dio. "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date".
Nella storia di san Barnaba vediamo realizzata questa pagina. Un altro passo degli Atti degli Apostoli racconta che egli, possedendo un campo, lo vendette per darne il ricavato agli Apostoli, mettendo in pratica alla lettera la richiesta di Gesù al giovane ricco: "Vendi quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi". La fiducia in Dio che lo spinge a questo gesto si accompagna in lui alla fiducia negli altri. Arrivato ad Antiochia, invece di angustiarsi e preoccuparsi per questi "pagani" appena convertiti al Vangelo, Barnaba ha una reazione aperta, piena di fiducia: "Quando giunse e vide la grazia del Signore, si rallegrò". Non è un uomo che spegne gli slanci altrui con preoccupazioni di osservanze minuziose, è "virtuoso, pieno di Spirito Santo e di fede" e esorta tutti "a perseverare con cuore risoluto nel Signore": importante è soprattutto aderire a Cristo. E così "una folla considerevole fu condotta al Signore".
E qui si rivela un altro tratto della sua larghezza di cuore. Invece di riservare a sé il monopolio dell'apostolato in un campo così fecondo, va a Tarso a cercare Saulo: "Trovatolo, lo condusse ad Antiochia". E quando Paolo diventerà più importante di lui nell'apostolato fra i pagani, di Barnaba si può ripetere quello che gli Atti dicono del suo arrivo ad Antiochia: "Vedendo la grazia del Signore, si rallegrò".
Ma Barnaba non si ferma all'incoraggiamento degli altri. E veramente tutto a disposizione di Cristo, per questo lo Spirito Santo può riservarlo a sé per una missione più universale: l'evangelizzazione di tutte le nazioni.
Fiducia e generosità fondate nella vera povertà del cuore: ecco che cosa vediamo splendere nella vita di san Barnaba.
Domandiamo al Signore di aiutarci a camminare con gioia sulla stessa via, ad essere cioè persone di benevolenza, di disponibilità, di incoraggiamento per quelli che avviciniamo.
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12/06/2016 05:29
 
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Omelia (12-06-2016)
don Luciano Cantini
Ho da dirti qualcosa

Si mise a tavola

Gesù è inviato da uno dei farisei a mangiare e non disdegna l'invito; poco prima Luca aveva ricordato l'accusa contro Gesù «Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!» (Lc 7,34). La tavola è il luogo della comunione ma anche quello dove le contraddizioni si fanno più evidenti.

Anche la tavola della nostra Eucarestia è capace di mostrare la profondità della comunione come lo scandalo della divisione; lì davvero il Cristo è segno di contraddizione affinché siano svelati i pensieri di molti cuori (Lc2,34-35). Significativo è l'anonimato delle nostre assemblee liturgiche, a volte decisamente difeso, per non mettersi in gioco più di quanto non riteniamo sia necessario. Si osserva, si giudica gli altri mentre si fa fatica a metterci insieme, a condividere le azioni, il canto, le parole; ognuno preso dai propri pensieri, assorto nelle sue considerazioni, proprio come il fariseo che guarda la donna e i suoi gesti ma non ha il coraggio di esprimersi pensando tra sé.

Anche nel racconto di Luca all'inizio tutti sono senza un nome finché non è Gesù a interpellare.

«Simone, ho da dirti qualcosa».

Neanche immaginiamo che il Signore abbia da dire qualcosa proprio a me, mi chiami per nome mi chieda di osservare la realtà che mi circonda con un occhio diverso, mi racconti una parabola e mi faccia qualche domanda per stimolarmi a valutazioni nuove, per coinvolgermi e liberarmi dalle mie chiusure.

La parabola mette a confronto i debiti condonati e la misura dell'amore; sembra che tutto sia valutabile in termini quantitativi, quasi commerciali nel baratto tra denaro e amore. Dobbiamo leggere così anche la nostra relazione con Dio?

Nel farisaismo quello che conta è l'impegno dell'uomo, il suo sforzo per meritare la benevolenza divina; non c'è spazio per la gratuità. La relazione d'amore invece trova la sua motivazione nella gratuità, il creditore condona l'uno e l'altro perché ha guardato al bisogno di ciascuno, non si lascia condizionare dalla quantità del debito. Il giudizio di Simone si basa su calcoli umani, Gesù invece confronta l'accoglienza "calcolata" che il suo ospite gli ha riservato e la gratuità dei gesti della donna che vanno ben oltre i "riti" di accoglienza mancati. L'amore ha sempre la dimensione del molto.


«La tua fede ti ha salvata; va' in pace!».

Simone si era scandalizzato nei confronti di Gesù perché sapeva di quale genere è la donna che lo tocca; quello che lo disgusta, almeno in apparenza, è il passato della donna: è una peccatrice! Neppure è interessato ai gesti che nel presente quella donna sta facendo perché sono intrappolati nell'ottica del trascorso della donna. Alla donna dal passato opinabile e dal presente non compreso, Gesù dona il futuro, va' in pace! Là dove la salvezza l'ha già raggiunta. A Simone chiede di aguzzare la vista: Vedi questa donna?

Bisogna andare oltre ciò che immaginiamo, quelle che sono le nostre percezioni immediate, il significato che diamo ai fatti e alle persone. Gesù ci invita ad uscire dalle nostre chiusure, dalle visuali ristrette ed egoistiche, anche dalle nostre valutazioni religiose per godere della logica dell'amore, e del perdono di cui tutti abbiamo bisogno. Di fronte all'assolutezza dell'amore tutto diventa relativo.

Questa donna, entrata di nascosto da emarginata, stando dietro, rischia quello che ha per Gesù, infrange le regole sociali, tiene fronte agli sguardi e i giudizi degli invitati parlando apertamente con i gesti inutili della gratuità e dell'amore. Gesù travalica le norme della sua società per restituire alla donna piena dignità: La tua fede ti ha salvata. La realtà degli uomini è ribaltata: i farisei, modello di religiosità soccombono sotto i calcoli dei propri meriti, la donna emarginata è inviata come modello di libertà colma di compassione e gratitudine.

... ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili ... (Lc 1,51-52).




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13/06/2016 09:30
 
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lunedi 13 giugno

«Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due».


Non si tratta di mostrarsi stupidi e arrendevoli nei confronti di chi ci fa del male, ma di spiazzarlo, reagendo dignitosamente e senza violenza. Per percuotere la guancia destra, bisogna colpire il volto di chi ci sta di fronte con un “manrovescio”, cioè con il dorso della propria mano destra; questo era il modo con cui il padrone colpiva lo schiavo, gesto vietato tra persone “libere”. È come se Gesù dicesse: a chi ti tratta da schiavo tu, con dignità e a testa alta rispondi e dimostra di non essere schiavo ma libero; se proprio vuoi colpirmi, fallo da “libero” a “libero”. E lo stesso spiazzamento dell’avversario è nel secondo esempio. Gli ebrei erano nudi sotto la tunica, ed era vergognoso non tanto mostrare la propria nudità, quanto guardare quella degli altri, il pudore ti imponeva di voltarti o di coprirti gli occhi di fronte ad una persona nuda; Gesù dice: a chi ti vuol sottrarre il mantello tu dagli anche la tunica, costringendolo a guardare la tua nudità e a vergognarsi. Il terzo esempio è forse quello che più chiaramente esprime l’intenzione di Gesù: la chiave di lettura è tutta in quel “con lui”: se uno ti costringe a fare qualcosa di incomprensibile, tu fallo ad una condizione, che lui lo faccia con te. È un concentrato di saggezza e di dignità nonviolenta. Magari diventasse un modo di comportarsi e di rispondere alle offese!
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14/06/2016 06:48
 
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Martedì, 14 giugno 2016

«Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori...

L'amore, il primo dei comandamenti, è il cuore della vita del discepolo e della Chiesa. Le parole semplici ma profonde di Gesù dimostrano bene come questa sia la vera umanità, non l'odio e la vendetta, nonostante siano sentimenti e atteggiamenti istintivi in ciascuno. Gesù giunge sino al paradosso di amare anche i nemici. Tale sconvolgente novità egli l'ha praticata per primo: dall'alto della croce prega per i suoi carnefici. Un amore così non viene da noi, nasce dall'alto, dal Signore che fa sorgere il sole sui giusti e sugli ingiusti, senza fare differenze nel suo voler bene con sovrabbondanza. Infatti chi di noi meriterebbe di essere così amato? E' il Signore che dona senza merito nostro il suo amore, per questo può chiedere: "Siate perfetti come il Padre vostro celeste". Apriamo il cuore alla nuova logica di Dio, oggi, con le persone antipatiche, con chi ci vuole fare le scarpe in ufficio, con dignità e verità sappiamo andare oltre all'istinto, al moto di stizza o di nervosismo; con semplicità e verità vogliamo bene, cioè auguriamo il bene a tutti coloro che incontriamo sul nostro cammino. Amen
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15/06/2016 09:14
 
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In segreto: “Padre nostro!”.
Uno dei miei vecchi maestri mi diceva: “La preghiera più perfetta è quella di Gesù. Ora egli ci ha insegnato il ‘‘Pater’’! Qualunque sia il tuo sconforto, entra in te stesso, in segreto, e di’ il tuo personale ‘‘Pater’’ seguendo lo schema che Gesù ci ha lasciato!”.
In seguito ho adattato le mie domande, le mie adorazioni, i miei ringraziamenti, i miei atti di costrizione al ‘‘Pater’’. Mi sono sempre trovato capito ed esaudito!
Tu hai sicuramente un problema. Raccogliti nel segreto di Dio; lontano da tutto ciò che non è lui. E di’ in fondo al cuore:
Padre nostro, che sei il mio cielo interiore, sia santificato il tuo nome da tutto il mio essere, ed in particolare in questo momento di prova che sto attraversando. Venga il tuo regno.
Il tuo Cristo, manifestazione del tuo regno, si degni di incarnarsi nel mio problema.
Sia fatta la tua volontà perché è santa.
In terra, nel mio problema, come in cielo!
Dacci oggi il nostro pane quotidiano!
Il pane si identifica oggi con la soluzione di questo problema!
Rimetti a noi i nostri debiti, particolarmente quelli che mi hanno condotto a questa situazione, come noi li rimettiamo...
E non indurci in tentazione, quella della disperazione, della dimenticanza di te.
Ma liberaci dal maligno e dalle sue insidie, specialmente...
Poiché tuo è il regno...
E tuo Padre, che vede nel segreto, te lo concederà!
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16/06/2016 07:53
 
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Il “Pater”, la cui prima parte riguarda Dio e la seconda noi, condensa tutte le preghiere passate, presenti e future, e il "fiat” riassume tutto l’atteggiamento cristiano nei confronti della vita.
Chiedendo a Dio che sia fatta la sua volontà, dovremmo comprendere che questa volontà non può essere fatta nell’astratto, o unicamente attraverso l’opera degli altri. Deve essere fatta da noi, in ognuno di noi, con ognuno di noi.
Noi tutti desideriamo che Dio esaudisca i nostri desideri. Vorremmo dirgli: “Signore, sia fatta la mia volontà. Digiunerò, ti accenderò delle candele, farò delle novene, farò l’elemosina, farò qualunque cosa, purché tu esaudisca le mie preghiere. Tu hai detto, fra l’altro, che tutto ciò che domanderemo nel tuo nome ci sarà accordato. Allora?”.
Allora noi dimentichiamo che pregare o domandare nel nome di Gesù, è innanzi tutto pregare per avere un cuore simile al suo, affinché sia nella gioia, come nelle prove più grandi, nelle sofferenze più atroci e anche nell’avvicinarsi della morte, possiamo dire con la stessa fiducia infinita, con lo stesso amore infinito: “Sia fatta la tua volontà”. Che fortuna per noi avere un Dio chiamato Padre. Egli ci ama infinitamente, sa tutto e può tutto. Può dunque soddisfare le mie richieste, se il suo cuore paterno e la sua scienza divina vedono che ciò corrisponde al mio bene, cioè alla mia felicità.
Il mio amore verso me stesso consiste nell’avere fiducia in lui, poiché non posso immaginare un cuore più tenero e caldo per proteggermi, capirmi e rendermi felice. Quando avremo capito questa preghiera, quando essa diverrà parte integrante della nostra vita, sapremo, non solo per mezzo della ragione, ma con tutto il nostro essere, che Dio ci esaudisce sempre, anche se non sempre afferriamo il modo in cui egli si prende cura di noi.
Un malato chiede la salute ed ecco che Dio gli manda la pazienza. Noi chiediamo ciò che ci piace ed egli ci manda ciò di cui abbiamo bisogno.
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17/06/2016 06:36
 
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Giovedì, 16 giugno 2016

«Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro....

Il "Padre nostro" occupa il centro del discorso della montagna, quasi a darci "la sintesi di tutto il Vangelo". La prima parola è "abbà" (papà). Gesù compie una vera e propria rivoluzione religiosa rispetto alla tradizione ebraica di non nominare neppure il nome santo di Dio, e con questa preghiera ci coinvolge nella sua stessa intimità con il Padre. Non è che "abbassa" Dio; piuttosto siamo noi innalzati a Dio "che sta nei cieli". Egli resta il "totalmente altro" che tuttavia ci abbraccia. È giusto fare la Sua volontà e chiedere che venga presto il regno, ossia il tempo definitivo nel quale sarà finalmente riconosciuta la santità di Dio. La seconda parte della preghiera riguarda la vita quotidiana. Gesù esorta a chiedere il pane, quello di ogni giorno, per farci toccare con mano la concretezza dell'amore di Dio. E poi pone sulle nostre labbra una grave richiesta: "Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Appare duro e irrealistico ammettere che il perdono umano sia modello ("così come noi...") di quello divino, ma nei versetti seguenti questa petizione trova una spiegazione: "Se avrete rimesso agli uomini le loro mancanze, rimetterà anche a voi il Padre che è nei cieli. Qualora non rimetterete agli uomini, neppure il Padre vostro che è nei cieli rimetterà le vostre mancanze". Questo linguaggio è incomprensibile per una società, come la nostra, nella quale il perdono è davvero raro. Ma forse proprio per questo abbiamo ancor più bisogno di imparare a pregare con il "Padre nostro".

Quando Cristo pronuncia le parole della sua preghiera, insegna non soltanto le parole, ma insegna che nel nostro colloquio col Padre deve esserci una totale sincerità e una piena apertura. La preghiera deve abbracciare tutto ciò che fa parte della nostra vita... Tutto deve trovare in essa la propria voce: tutto ciò che aggrava, ciò di cui ci vergogniamo; ciò che per sua natura ci separa da Dio. (San Giovanni Paolo II)
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17/06/2016 06:38
 
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In Brasile circola un aneddoto a proposito di un certo Mataraso (un uomo ricchissimo, oltre ogni immaginazione) che arriva alle porte del cielo. Egli vuole entrare, beninteso, subito come in ogni altro luogo. San Pietro non trova obiezioni, ma gli chiede il suo biglietto d’ingresso, che costa soltanto mille lire. Mataraso scoppia a ridere: “Andiamo, san Pietro, voi scherzate! Mille lire? Ma prendete tutta la mia fortuna. Prendete le mie fabbriche, i miei alberghi, i miei castelli, i miei conti in banca, le mie azioni in borsa, i miei lingotti d’oro, le mie automobili, le mie aziende... Io non ne ho più bisogno. Prendetele e lasciatemi entrare”.
San Pietro, per nulla impressionato, ribatte: “Neanch’io ne ho bisogno. Ti chiedo mille lire, non di più”. Mataraso gira e rigira le sue tasche... Invano. Deve fare dietro front.
Così un proverbio dice: Mataraso non è potuto entrare in cielo, per colpa di mille lire”.
Io non so se gli eredi di Mataraso lo ricordino con emozione, o se pensino di far dire una messa per il riposo della sua anima. Non sappiamo nulla di lui, a parte il fatto che era immensamente ricco.
Ma noi tutti conosciamo uomini e donne che non possedevano nulla, ma ci hanno lasciato un’eredità spirituale estremamente arricchente.
Penso a san Francesco d’Assisi, così invaghito di madonna povertà, a santa Teresa, a san Francesco di Sales, a san Louis Grignion de Montfort, a sant’Ignazio di Loyola, a san Domenico, a sant’Agostino, a sant’Antonio abate e a sant’Antonio di Padova, che trascinano tante persone a dedicarsi a Dio e al proprio prossimo.
Questi poveri hanno saputo scoprire il vero tesoro, imperituro, inestimabile, che hanno diviso e continuano a dividere con tutti coloro che ripongono la propria fiducia e la propria ricchezza in Dio. Cosa sarebbe il mondo senza questi giganti della fede?
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18/06/2016 08:15
 
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Che Cristo non abbia esitato a porre (anche se solo verbalmente) Dio e il denaro uno di fianco all’altro, questo ci sbalordisce.
Eppure il Denaro (con la D maiuscola) è troppo spesso venerato come un Dio. Lo si cerca, se ne è sedotti, stregati, lo si adula, lo si adora, per esso si uccide, si fa la guerra e non ci si ferma se non ci conviene, ci si vende per esso. E Cristo ci chiede di scegliere tra lui e il denaro. Alcuni seguono Cristo, altri il denaro, ed altri immaginano che, per non perdere nulla, potranno servire tutti e due nello stesso tempo.
Ma Cristo è categorico: “Non potete servire Dio e il denaro”.
Ciò mi ricorda un gruppo di universitari libanesi in visita ad un vecchio saggio sulla montagna, pacifico e felice nella sua evidente povertà.
“Parlaci del denaro”, chiedono i giovani.
Il saggio sorride e dice: “Guardate attraverso il vetro della mia finestra. Che cosa vedete?”.
“Il cielo, il sole, la montagna, gli alberi, la gente che passa...”.
Il saggio, allora, tende loro, un piccolo specchio e dice: “Guardate in questo specchio. Che cosa vedete?”.
“I nostri volti, evidentemente”, rispondono i giovani, meravigliati.
Il saggio riprende lo specchio, vi toglie la lamina d’argento e lo porge di nuovo ai suoi visitatori.
“Ed ora, che cosa vedete?”.
“Questo specchio non è che un vetro, dicono, non ci si vede più, ma si vedono gli altri”.
Credo che abbiate capito come loro hanno capito.
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19/06/2016 06:32
 
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La confessione di Pietro, l’annuncio della passione di Gesù e l’invito a seguire il suo esempio costituiscono un’unità organica. Gesù è il Messia, ma non come quello di cui fantasticavano gli uomini. Egli segue il cammino tracciato da Dio, che è il cammino della croce. Chiunque vuole essere con lui, deve seguirlo in questo cammino. Rispetto agli altri evangelisti, Luca introduce alcuni cambiamenti ed accenti caratteristici. Non cita il luogo della conversazione di Gesù con i discepoli, lega questa conversazione alla preghiera di Gesù e, soprattutto, rivolge a tutti l’invito ad imitare Cristo. È un invito importante, che non è rivolto solo agli eletti, ai santi e agli uomini pronti all’eroismo. Tutti i credenti sono discepoli di Cristo. Egli non li tratta come mercenari, ma come amici, vuole che lo accompagnino nel suo cammino e prendano parte alle sue sofferenze. Il suo destino deve essere anche il loro. Che essi portino ogni giorno la loro croce. Gesù non parla del martirio, che può capitare una sola volta, ma delle sofferenze che ognuno incontra nell’adempimento serio del proprio dovere e delle difficoltà quotidiane che devono essere sopportate pazientemente grazie all’amore per lui.
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20/06/2016 07:52
 
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Lunedì 20/06/2016

Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?

Il Vangelo di oggi vuole farci riflettere sul nostro modo facile di giudicare gli altri. Si, è questa un'abilità che ognuno di noi possiede: basta un piccolo errore da parte di una persona "vicina" e la tagliamo fuori dalle nostre amicizie oppure la teniamo alla larga da noi. E anche quando confessiamo i nostri peccati: questo l'abbiamo commesso perchè quell'amico mi ha ingannato, quest'altro per colpa di mia sorella, della collega d'ufficio, di mia madre..... ma Gesù spiazza iogni nostra certezza: TOGLI LA TRAVE DEL TUO OCCHIO, E POTRAI VEDERE LA PAGLIUZZA NELL'OCCHIO DEL FRATELLO. Non si tratta di evitare il giudizio o non avere opinioni, ma di giudicare noi stessi e gli altri con la compassione di Dio, con la certezza che ogni errore può essere riparato, superato. Proviamo questa settimana a guardare gli errori degli altri in un altro modo e cioè guardando il fratello con gli occhi compassionevoli del Padre..... Il Signore ti dia pace!
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21/06/2016 09:29
 
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Martedì 21 Giugno 2016 > San Luigi Gonzaga

Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti.

È bellissimo quanto fa oggi Gesù! Trasforma il “non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi” con “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”. Non ci chiede di ‘non fare’ ciò che nuoce agli altri, ci invita a fare il bene, a donare, a servire. Gesù sa bene come siamo fatti e ci chiede di diventarlo sempre più e sempre meglio. Basterebbe vivere questa ‘regola’ per uscire dal nostro egoismo (io al primo posto) e a dare una svolta alla nostra vita. Gesù ci chiede di immaginare di essere nella situazione del prossimo che incontriamo e di trattarlo come vorremo essere trattati noi al suo posto. Ha bisogno di un aiuto? Ne ho bisogno io, e glielo do. È solo senza amici? Lo sono anch’io a volte, gli offro la mia amicizia. È nel dubbio? Lo sono io e condivido le sue pene. Una vita così mi farà sperimentare ‘la porta stretta’, cioè la fatica e la delusione del dono, il dolore della gratuità… ma ne varrà la pena poiché in cambio mi è promessa la gioia e la piena realizzazione: diventerò così ciò che sono! Sia lodato Gesù Cristo!
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22/06/2016 03:29
 
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Si contano tremila sette negli Stati Uniti e duemilacinquencento in Europa. Ognuna di queste sette si attribuisce il monopolio della verità, e, di conseguenza, si adopera a convincervi che, fuori della loro dottrina, marcireste nell’errore.
Da qualche tempo gli evangelisti televisivi degli Stati Uniti lamentano un calo di ascolto, dovuto ad alcune delle loro prediche, o al loro agire scandaloso. Tutti si ricordano di James Jones, in Guyana, che impose il suicidio a novecento dei suoi adepti. Il lavaggio del cervello (attentato supremo alla libertà) non fallisce mai i suoi obiettivi.
I capi delle sette si impongono come investiti da Dio di una missione particolare e salvifica. Essi si considerano eletti, puri, e perciò dicono di essere incompresi e perseguitati. Essi posseggono la capacità di suscitare turbamento, paura e insicurezza nei loro adepti, di farli regredire in qualche modo, rendendoli incapaci di “essere” al di fuori del giro della setta. Alcuni capi giungono fino al punto di minacciare di morte coloro che osassero rinnegare “la loro fede”.
Il pericolo viene dal fatto che questi illuminati (o questi profittatori) recitano la persuasione come dei virtuosi, alternando dolcezza e fermezza con un’arte consumata. Essi “seducono” i loro “fans”, che finiscono con l’inghiottire tutto con delizia. Ogni volta che la convinzione o la pratica religiosa indietreggiano, le sette prendono piede.
L’intolleranza dei loro fondatori verso quelli che non pensano come loro giunge spesso fino all’aggressività. Purtroppo, non sembra che la carità abiti i loro cuori. E, senza carità, non si può essere che falsi profeti.
Fu chiesto un giorno al pastore di una setta come andasse la sua chiesa: “Non molto bene - disse -, ma grazie a Dio le altre non se la cavano meglio”.
Grazie, Signore, della serenità che mi dà la tua Chiesa
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23/06/2016 06:33
 
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Nostro Signore si indirizza a quelli che pretendono di avere la fede. Egli dice loro senza mezzi termini che se non la mettono in pratica non entreranno nel regno dei cieli.
Cristo è chiaro, non è possibile essere più chiari di lui. Coloro che credono di guadagnare il cielo a forza di dichiarazioni, di citazioni o di preghiere, senza convinzione interiore e senza conformare la loro vita alla loro convinzione, si sbagliano di grosso. La fede non salva attraverso un semplice atto di formulazione. “La fede senza le opere è morta”, dice san Giacomo.
Io sono “credente” ma non “praticante”, dichiarano troppi cristiani. Cosa a cui rispondo: “La vostra fede è inutile. Che cosa vi offre di fondamentale? Che cosa cambia in voi?
Niente! Non si fa piacere a Dio concedendogli di esistere. Si pensa di offrirgli un fiore? Non ne ha bisogno per esistere ed essere il padrone dell’universo. Egli non sarà Dio di più o di meno. Siamo noi che saremo perdenti o vincitori”.
“Il sole splende”, voi dite. Ed è bello. Ma se vi ostinate a tenere gli occhi chiusi, o se non aprite le porte e le finestre ai suoi raggi, restate nel buio, cosa che non impedisce al sole di splendere.
“Il fuoco arde”, voi dite ancora. Ma se restate lontani, continuerete a battere i denti. A che cosa vi serve dunque dire che il sole e il fuoco esistono?
Credere in Gesù Cristo o vivere di Gesù Cristo, tutta la differenza è qui. Da lontano un fiore artificiale può ingannare. Da vicino si constata subito che gli manca una grazia fondamentale, una morbidezza, un candore. La grazia di Gesù Cristo è questo profumo e questa morbidezza, testimoni, attraverso di noi, della sua incarnazione.
Un montanaro si recò una mattina, per la prima volta nella sua vita, in città. Secondo l’usanza del suo paese, non mancò di salutare tutte le persone che incontrò. Salutò nello stesso modo i manichini delle vetrine, e fu contrariato dal loro silenzio e dalla loro rigidità.
Senza la fede praticante, noi assomigliamo assai a dei manichini.
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24/06/2016 07:34
 
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don Marco Pedron
E' il nuovo che ci fa vivi

Oggi la Chiesa ci presenta una festa particolare: la Nascita di Giovanni Battista.
La Chiesa celebra la festa del Battista perché Giovanni è stato il primo maestro di Gesù. Gesù è stato discepolo di Giovanni, poi si è distaccato da lui e ha fatto la sua strada (molto diversa da quella del Battista: nei vangeli infatti troviamo contrasti e dissidi fra i discepoli dei due).
Inoltre Giovanni sarà per sempre legato a Gesù: è il suo precursore. Giovanni annuncia che un mondo è finito, Gesù annuncia un mondo nuovo e che inizia. Per questo "devono" essere parenti, cioè legati.

Per capire il vangelo di oggi dobbiamo fare un salto indietro. Zaccaria, il padre del Battista, è un sacerdote. Teoricamente doveva essere un onore: in realtà non lo era.
Giuseppe Flavio ricorda infatti le lotte con le parole e con i sassi tra sacerdoti e sommi sacerdoti (gli ingordi dei sommi sacerdoti infatti rubavano le pelli degli animali immolati che spettavano ai sacerdoti). E i sacerdoti durante il loro turno s'abbuffavano divorando la carne degli animali sacrificati. Le indigestioni erano così forti e frequenti (come pure le ubriacature anche se erano proibite) che nel tempio c'era un medico incaricato a curare ciò.
Zaccaria è un sacerdote (Lc 1,5): in Palestina ve ne erano circa 18.000 su 600.000 persone. Si diventava sacerdoti non per vocazione ma per nascita: di padre in figlio.
Zaccaria (zakar=ricordare: Dio davvero si ricordò di lui!) era sposato con Elisabetta (=Dio è pienezza: e così realmente fu!) e il vangelo dice che erano "giusti e che osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore" (Lc 1,6). Giusto non ha il senso di giustizia che ha per noi, ma indica colui che rispetta per filo e per segno tutte le regole religiose. Allora: Zaccaria è un ebreo d.o.c. perché rispetta tutte i 613 precetti religiosi. Lui sì che li rispetta tutti, non come gli altri sacerdoti. E pensando a come si comportavano i sacerdoti del tempo, era veramente degno di nota il suo comportamento! Quindi: è un buon uomo, un buon religioso, un buon credente e un uomo giusto. Ma non è felice!
C'erano un cavallo e un cane che si amavano "da morire". Il cavallo dava al cane la miglior erba e il cane, al cavallo, i migliori ossi. Ognuno dava all'altro il meglio di ciò che aveva. Si amavano così tanto che morirono di fame.
Una famiglia così è perfetta, da Beverly Hills: non le si può appuntare nulla. Sono il massimo, l'esempio, il meglio. Ha tutto, a parte una cosa: la vitalità.
E infatti Zaccaria ed Elisabetta non hanno figli. Sono sterili (Lc 1,7). Nella Bibbia Dio punisce l'empio con la sterilità (Gb 15,34). La sterilità fuori, è segno di quella interiore.
Il vangelo apocrifo di Tommaso, vangelo molto vicino a quelli canonici, ha una parabola che molti studiosi ritengono proprio di Gesù. Dice: "Il regno del padre è come una donna che stava trasportando una giara piena di cibo. Mentre stava camminando sulla strada, ancora distante da casa, il manico della giara si ruppe e il cibo cadde dietro di lei sulla strada. Lei non se ne accorse; non aveva notato il problema. Quando giunse a casa sua, appoggiò la giara a terra e la trovò vuota".
La vita di alcune persone è così: non è cattiva, forse non hanno fatto nulla di male, è che è vuota. Alcune persone pur vivendo sono senza vita: non sanno più ridere, sorridere, commuoversi; non sanno fare qualche piccola pazzia; non sanno lasciarsi andare agli slanci e agli entusiasmi; sono cinici, professionali, freddi, calcolatori; non sanno più lasciarsi riscaldare dall'amore, ecc.
Molti uomini hanno perso la gioia di vivere, il gusto di sapere e di conoscere, il desiderio di migliorarsi, la forza per superare i propri ostacoli: non vibrano più e non sanno più entusiasmarsi. Sono vuoti.
La tua vitalità è qui in te ma tu sei altrove. E quando si è lontani da sé si è tristi, insicuri e dispersi. E più una vita pesa e più è vuota.
Molti uomini corrono sempre: non corrono perché hanno tante cose, hanno tante cose per correre sempre. Perché se si fermassero non saprebbero perché corrono.
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25/06/2016 09:51
 
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Sabato 25 Giugno 2016

Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito.

Non chiede di essere guarito, il lebbroso, ma purificato. Reso puro, mondato, ricostruito. Probabilmente l’idea di essere immondo gli deriva dalla brutalità della malattia che corrode e imputridisce la carne ma, anche dalla mentalità religiosa del tempo che faceva del lebbroso un maledetto, un punito da Dio a causa dei suoi peccati o dei peccati dei suoi genitori. Perciò non chiede solo la guarigione, ma anche la purificazione, cioè il passaggio, ad una vita nuova, senza pensieri cupi, senza dover fare i conti con i sensi di colpa, senza lasciare prevalere la parte oscura di sé. E Gesù lo purifica, gli restituisce salute e dignità. Anche noi necessitiamo di purificazione, di lavare i nostri pensieri nello specchio d’acqua cristallina che è il cuore di Dio. E lo possiamo fare nel sacramento del perdono, nella misericordia che tutti ci aspetta. Gesù invita il lebbroso a rispettare le norme previste dalla Torah: non è un anarchico, si piega alle consuetudini del tempo e gli chiede anche di non parlare della guarigione. Gesù non ama essere identificato con un guaritore, sa bene quanti danni fa una fede che cerca il miracolo e non la conversione, sa bene quanto è fragile una fede fondata sullo straordinario… facciamo attenzione a noi stessi quando seguiamo i vari Padre XXXX o il fratello YYYY perchè compie questo segno o quest'altro. Buon sabato!
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26/06/2016 06:24
 
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Commento a cura di Gigi Avanti

Sono tanti, come sempre, gli spunti di meditazione con i quali nutrire l'anima nel suo percorso di ritorno al Padre... curiosamente corrispondono in qualche modo al medesimo percorso di Gesù verso Gerusalemme descrittoci da Luca nel brano di oggi.
Lo spunto da cui vorrei partire sta in quel verbo "decise" che Luca usa all'inizio del racconto. In quel verbo è racchiusa tutta la determinazione di Gesù nel voler portare a termine la missione per la quale era venuto al mondo.
Una determinazione che sembra venire momentaneamente intralciata dagli abitanti di un villaggio di Samaria risentiti per essere stati, a parer loro, poco considerati rispetto ai giudei di Gerusalemme, città verso la quale Gesù si era "deciso" ad arrivare.
Da lì il loro rifiuto ad accoglierlo, lo sfogo di rabbia vendicativa di Giacomo e Giovanni per questo rifiuto e la ramanzina di Gesù che mette tutto a posto... per proseguire nella sua "determinazione" a vivere l'ultima tappa della sua missione.
Ed è proprio questa "determinazione missionaria" di Gesù a condurre Luca ad aprire lo scenario sulla dinamica misteriosa della "vocazione" per il Regno di Dio.
Sembra già di poter capire che la risposta a questa vocazione debba essere di alta qualità e che questa qualità consista proprio nella determinazione a dare priorità assoluta alla causa del Regno di Dio... costi quel che costi.
Nel caso concreto, Luca racconta di tre tipologie diverse di tale chiamata - risposta.
Il primo tizio che entra in scena (forse senza essere stato esplicitamente chiamato...) lo fa con una euforica proclamazione di "sequela", ma questa euforia viene subitamente calmata da Gesù.
Come se Gesù mettesse sull'avviso chiunque del pericolo dell'esaltazione o del sacro furore della testimonianza, perché seguirlo non sarà mai una passeggiata.
Quanto agli altri due, essi danno una risposta piena di se e di ma, di sì... però. Gesù risponde secco che la causa del suo Regno viene prima di tutto, prima delle regole civili, prima delle usanze culturali ed anche prima degli obblighi affettivi.
E' già spianata la strada per l'imperativo che fa da fondamento per ogni risposta vocazionale: "Cercate prima di tutto il Regno di Dio, il resto vi verrà dato in aggiunta".
E' rilassante pertanto appartarsi con Gesù per meditare sulla propria posizione di risposta vocazionale... che magari ha bisogno di fare ogni tanto il "tagliando".
Tra l'altro, continuando nella proprio determinazione a dare sempre precedenza alla causa del Regno di Dio, si schiva il pericolo dei sensi di colpa per non aver ottemperato a usanze, costumi, ritualità di questa terra che, pur lodevoli, lasciano però il tempo che trovano.
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27/06/2016 06:49
 
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Ancora una volta, ecco il tema della “vocazione”. I desideri degli uomini traspaiono nello scriba del Vangelo: “Io ti seguirò dovunque andrai”, “Permettimi di andare prima...”, e si scontrano con le esigenze di Gesù. Annunciare il Vangelo, donarsi agli altri, servire la causa del regno di Dio, chiede un atteggiamento che va oltre i limiti umani. Mentre tutti conoscono le condizioni minimali del focolare, della famiglia, della comodità, si chiede a chi segue Gesù di rinunciare completamente a tutto, alla maniera di colui che “non ha dove posare il capo”. Che forza hanno queste parole di Gesù: “Seguimi”! Sono valide oggi come lo erano alla loro epoca. La generosità nell’adesione a Gesù non manca, neanche la volontà di seguire Gesù. Ma quello che è necessario è capire l’esigenza radicale del Vangelo. Noi l’abbiamo indebolita con precisazioni, condizioni, spiegazioni, per non ferire... Una sola cosa è sufficiente: “Seguimi”. Il cuore generoso risponderà alla chiamata messa così a nudo.
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