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RIFLESSIONI BIBLICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:42
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25/02/2015 07:03
 
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Gesù è “più di Salomone”, del quale l’Antico Testamento celebra la sapienza. Egli vuole farci penetrare in quella “sapienza di Dio” che è “follia” finché noi la vediamo dall’esterno, cioè nel mistero della sua croce.
Di fronte ai giudei che da lui reclamano un segno, Gesù proclama che nella religione che egli istituirà non saranno i segni esteriori i più importanti. Egli compirà ogni genere di miracolo, ma il grande segno, il solo segno che deve essere il sostegno estremo di tutti coloro che credono in lui, è la sua morte e la sua risurrezione. Dio ci concede generalmente molti segni del suo amore, della sua presenza. Ma quando la nostra unione con Gesù diventa più profonda, possiamo conoscere dei momenti di grande debolezza, passare attraverso ogni sorta di purificazione, attraverso delle morti, delle agonie a volte molto dolorose. Ma questi momenti sono sempre seguiti da momenti di grazia, di risurrezione del nostro cuore. Gesù ci insegna a camminare senza timore su questa stretta via che ci unisce a lui nei suoi misteri
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26/02/2015 07:14
 
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Signore, sto alla tua porta e busso. Busso a tutte le finestre della tua casa e imploro...
Mi hai messo in difficoltà con questa tua frase: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Ho preso quest’affermazione alla lettera. Ecco perché non osavo mandare via, senza prima aiutarlo, nessuno di coloro che mi chiedevano aiuto nel nome tuo. Pensavo che tu eri là, davanti a me, con gli occhi bagnati di lacrime, a lamentarti della tua povertà. Credevo che eri tu a scrivere le lettere piene di implorazioni che, a centinaia, ogni giorno, gravavano la mia scrivania e il bilancio della nostra Opera. E io ho detto “sì” sempre, ogni volta che tu sei venuto a me, per chiedermi qualche cosa per te. Perché ogni nostro aiuto non vede che te, che soffri nella tua Chiesa perseguitata.
Ciò è stato possibile per quattordici anni. Quattordici anni durante i quali tu non mi hai deluso nella mia attesa. Tu hai sempre toccato il cuore di amici e benefattori che mi riempivano le mani, permettendomi di distribuire tutto quello che avevo promesso per amor tuo.
Ma tu sei venuto da me troppo spesso, Signore, con troppe esigenze. Tu mi hai assillato troppo inesorabilmente con i lamenti delle tue labbra di mendicante. Mi hai fatto promettere più di quanto possa mantenere.
Tu sai bene, Signore, che anch’io sono solo un uomo debole e limitato. Tu sai quanto io sia stanco la sera e come non dorma di notte, cercando nuovi mezzi per provvedere ai bisogni della tua Chiesa. Tu sai che mi sono affaticato per te fino al limite delle mie forze e sono alla fine delle mie possibilità. Controlla tu stesso, dall’alto dei cieli, la mia contabilità e il lungo elenco delle promesse non mantenute
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27/02/2015 06:25
 
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Gesù vuole farci “salire” con lui a Gerusalemme: egli non vuole che noi restiamo nella “pianura”. Vuole che siamo “perfetti come il nostro Padre”! Com’è possibile questo? La perfezione che Gesù ci mostra, non lo capiremo mai abbastanza, non si pone sul piano della giustizia: non si tratta di voler esercitare alla perfezione tutte le virtù morali, di non commettere nessun errore nei confronti della legge di Dio. Ne siamo veramente incapaci! Si tratta piuttosto di imitare prontamente il Padre in ciò che più gli è proprio: il suo amore misericordioso e senza limiti.
Si tratta di avere nei nostri cuori i sentimenti di veri figli e figli del Padre. Con ciò, Gesù ci chiede soprattutto una delicatezza estrema nei nostri rapporti di fratellanza. Non arrabbiarsi mai con un fratello, non trattarlo mai da stupido, non fosse che con il pensiero, non è cosa da poco! Ma Gesù che conosce benissimo il cuore del Padre, dà una tale importanza all’amore fraterno da arrivare a raccomandarci di “lasciare il dono davanti all’altare” per andare a riconciliarci con un nostro fratello. Difatti, ci capita talvolta di percepire come un’ombra, come un peso sul nostro cuore, e abbiamo un bel pregare: nostro Padre sembra lontano; è probabilmente perché serbiamo un risentimento, una tentazione di collera, un rancore nei confronti di un fratello. E Dio attende che noi perdoniamo. Tale è la legge costante della misericordia: la riceviamo dal Padre nella misura in cui la professiamo con i nostri fratelli. Ma è l’amore infinito che abita nei nostri cuori che ce ne rende capaci
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28/02/2015 08:09
 
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Quando leggiamo il brano di Vangelo di oggi, dobbiamo soprattutto pregare, dobbiamo implorare Gesù per poterlo vivere pienamente. Dobbiamo supplicare lo Spirito Santo di cambiare i nostri cuori al punto di poter perdonare e amare come Gesù, che ci ha dato la più grande prova del suo amore per noi sulla croce.
È umano, è naturale che noi non possiamo amare i nostri nemici. Possiamo a stento evitare di ripagarli con gli stessi torti, ed è già molto! Ma Gesù ci chiama a molto di più. Egli ci dice di “amarli e di pregare per loro”. Dio ha creato il nostro cuore in modo che esso non possa essere neutrale. Quando restiamo indifferenti nei confronti di qualcuno, siamo incapaci di scoprire ciò che vi è di migliore in lui, siamo incapaci di perdonarlo veramente. Si tratta ancora, quindi, di imitare il nostro Padre celeste, non nella sua potenza, nella sua saggezza, nella sua intelligenza, ma nella sua bontà e nella sua misericordia. Lui che non solo “fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”, ma che ha sacrificato il suo Figlio, il suo Figlio prediletto, per Giuda come per il buon ladrone, per tutti gli uomini
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01/03/2015 08:14
 
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COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di Giuseppe Di Stefano

CHI CONDANNERÀ?

La difficoltà più grande di annunciare il perdono di Dio tra la nostra gente sta nel fatto che tanti non credono che qualcuno mai li possa perdonare per ciò che hanno fatto.
Ciò che è più difficile, infatti, non è perdonare, ma credere in un Dio che al male del mondo ha risposto con il sacrificio del suo Figlio, il suo Unico e Amato Figlio, per noi.
Nella morte in croce del Figlio si compie, infatti, quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l'uomo e salvarlo, e questo per solo amore.
Dinanzi a un Dio così scandalosamente dalla nostra parte, «chi sarà contro di noi?» (Rm 8, 31b).
Eppure non ci è difficile immaginare quali pensieri e sentimenti stringevano come in una morsa il cuore di Abramo mentre preparava il «coltello per immolare suo figlio» (Gn 22, 10). Quale padre sano di mente sacrificherebbe la vita del suo unico figlio, fosse anche per obbedire al Signore?
La risposta a questo interrogativo la troviamo nel silenzio di un Dio che sembra essere stato come "ingoiato" dalle tenebre del Venerdì santo, in cui risuona con forza soltanto la supplica accorata di suo Figlio: «... perché mi hai abbandonato?».
È guardando a quel corpo inchiodato sulla croce, torturato, schiacciato, ucciso, a quel fianco squarciato che siamo certi di non sbagliarci su Dio. Perché sbagliarci su Dio è il peggio che ci possa capitare, perché poi ci sbagliamo sulla storia, sul mondo, sull'uomo, su noi stessi, sul futuro, sui rapporti umani.
Nella persona di Isacco ci viene messo davanti un figlio - come ogni figlio - che è minacciato di essere sacrificato. Il suo non è il racconto di un sacrificio mancato, ma piuttosto il racconto di un sacrificio compiuto: il sacrificio del sacrificio!
Fermando la mano di Abramo prima che possa sacrificargli il figlio, Dio «sventa questa minaccia a vantaggio di tutti, per evitare che qualcuno, guardando un padre sacrificare il proprio figlio, si faccia l'idea che Dio sia abitato da quella violenza che, invece, spesso abita il nostro cuore ed anima i nostri gesti» (Michael Davide).
Colui che dalla nube indica Gesù come il Figlio amato da ascoltare (Mc 9, 7), non può essere un Dio che vuole i sacrifici, ma l'amore. Quello stesso Dio che, nel suo Unigenito, si rivelerà come colui che si sacrifica, per non aver accettato di sacrificare nessuno.
«Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?
[...] Non c'è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù» (Rm 8, 31-35. 1
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02/03/2015 07:49
 
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Gesù ci chiama di nuovo ad imitare il Padre celeste con l’essere misericordiosi. Questa insistenza è dolcissima, poiché noi tutti abbiamo esperienza della nostra miseria e attraverso questa esperienza possiamo capire cosa sia la misericordia. Ma è anche rigorosissima, poiché Gesù ci avverte che vi è una esatta proporzione tra la misericordia che esercitiamo nei confronti dei nostri fratelli e quella che riceveremo dal Padre. Una frase sconvolgente, a pensarci bene! Dio ci ama al punto di mettere nelle nostre mani la “misura” stessa di cui egli si serve per elargire il suo amore. Ma egli vuole che noi ce ne serviamo come lui, per dare senza misura.
Gesù ci indica quattro modi assai pratici di esercitare la misericordia. Primo: non giudicare. Durante questa Quaresima prendiamo la decisione di non giudicare mai. Sforziamoci di fare un digiuno di quei giudizi spontanei che diamo così spesso, in parole o in pensieri. Anche se siamo responsabili di qualcuno, non dobbiamo mai giudicare le sue intenzioni; non sappiamo quali siano i suoi sentimenti profondi, e il segreto del suo cuore non appartiene che a Dio.
Condannare è ancor peggio: è dare un giudizio definitivo. Evitiamo la più piccola condanna, nelle nostre parole e nei nostri gesti. Al contrario, sforziamoci sempre di assolvere, di scusare, di rimettere a ciascuno il suo debito; cerchiamo di perdonare sempre e riceveremo anche il perdono del Padre. È così che verrà il regno di Dio “come in cielo così in terra”.
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03/03/2015 07:08
 
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Sin dall’inizio della Quaresima Gesù ci incita a fare l’elemosina, a pregare e a digiunare non “per essere ammirati dagli uomini”, ma solamente per il Padre. Il nostro io cerca sempre di essere approvato, ama tutto ciò che lo mette in mostra, si compiace delle lusinghe. Non abbiamo paura di chiedere la morte di questo io, perché il nostro cuore possa finalmente risuscitare con Gesù. Guardiamo Maria, umile “serva del Signore”, nella quale si è incarnata, in tutta la sua logica d’amore, questa regola misteriosa: “Chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato”. Maria era immacolata, eppure Dio poteva immediatamente “vedere la sua umiltà”. Noi, che siamo peccatori, abbiamo bisogno di essere “abbassati”, e per questo l’umiliazione è un’ottima scuola. Chiediamo allo Spirito Santo di farci amare le umiliazioni. Smettiamo di affligerci per i nostri difetti, se essi possono contribuire ad umiliarci; rimpiangiamo solamente il peccato che è in noi. Si ama così poco l’essere umiliati! È una delle pratiche più difficili! Non scegliamo le umiliazioni, non cerchiamole, ma chiediamo a Dio di darci quelle di cui abbiamo bisogno, e sforziamoci di vivere nella gioia!
L’umiliazione è una grazia, essa ci “abbassa”, ma, se noi l’accettiamo, essa ci immerge nella misericordia del cuore di Gesù, che ci “innalza” con lui sino al Padre
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04/03/2015 06:48
 
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La croce è sempre presente nel cuore di Gesù. È la meta della sua vita. Sarà un sacrificio liberamente offerto, e non solo un martirio: Gesù ben lo mostra annunciando con precisione ai suoi apostoli che cosa gli sarebbe accaduto. Certo, egli aggiunge che “il terzo giorno risusciterà”, ma si sente che ora è tutto rivolto alla passione che si avvicina. I sentimenti di Giacomo, di Giovanni e della loro madre appaiono molto umani. Questo bisogno di gloria, questo bisogno di apparire, esiste in ciascuno di noi. Il nostro io resta sempre più o meno occupato dal desiderio di dominare. Ma Gesù ci avverte come avverte Giacomo e Giovanni: se vogliamo essere con lui nella sua gloria, dobbiamo bere per intero il suo calice, cioè dobbiamo anche noi morire, fare la volontà del Padre, portare la nostra croce seguendo Gesù, senza cercare di sapere prima quale sia il nostro posto nel suo regno.
La reazione di sdegno degli altri dieci discepoli è anch’essa molto umana. E Gesù, seriamente, li invita a un rovesciamento totale di valori. Nella nuova comunità per la quale egli sta per dare la vita, il primo sarà l’ultimo, “appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti”. Chiediamo la grazia di divenire servi, e servi davvero umili, pronti a soffrire e a sacrificarsi. Preghiamo Maria perché interceda per noi: ai piedi della croce, ciò che Maria chiede per i suoi figli è che abbiano parte, come lei e con lei, al sacrificio del suo Figlio
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05/03/2015 08:04
 
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“Quant’è difficile, per coloro che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!” (Lc 18,24). Perciò è necessario, dice Gesù, un cambiamento radicale del nostro atteggiamento. È necessario liberarci di tutte le ricchezze che appesantiscono il nostro cuore, è necessario staccarsene, perché esse ci impediscono di vedere il povero che “giace alla nostra porta”. Chi tra noi oserebbe dire che non tiene a nessuna ricchezza? Siamo tutti assai preoccupati di noi stessi, del nostro agio, dei nostri interessi... La vera privazione, la più importante agli occhi di Dio, è quella che libera il nostro cuore dal suo egoismo e che lo apre agli altri.
Il Vangelo ci dà modo di conquistare veri tesori che nulla può intaccare: mettendo al servizio dei poveri, con umiltà, tutto ciò che abbiamo in beni materiali, talento, potere, qualità. Allora, coloro che avremo soccorso verranno da questa terra in nostro aiuto: non solamente faranno scaturire ciò che vi è di migliore in noi, la gioia del dare, ma ci faranno ottenere per noi un posto nel regno di Dio, che non appartiene che ai poveri
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06/03/2015 08:30
 
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In questo venerdì la Chiesa ha scelto di farci leggere due testi che ci preparano al mistero del Venerdì Santo, nel quale Gesù viene ucciso per salvare noi.
Abele, ucciso dal suo fratello geloso, è la prima immagine di Gesù nell’Antico Testamento. Viene poi la figura di Giuseppe, venduto dai suoi fratelli. Questi passi della Genesi mettono in piena luce la ferita che colpisce il cuore di tutti gli uomini dopo il peccato originale e che ostacola il sorgere dei sentimenti fraterni. La gelosia può assumere molte forme, vi sono modi più o meno eleganti di sbarazzarci di qualcuno che ci infastidisce e bisogna riconoscere che si tratta di una tentazione molto frequente, anche in una comunità cristiana. Abbiamo bisogno di chiedere continuamente a Dio una purificazione più profonda, per non accettare mai volontariamente nei nostri cuori il più piccolo sentimento di ostilità nei confronti di un fratello. L’ostilità diventa così facilmente odio...
La parabola dei vignaioli assassini è indirizzata ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo. Ci fa comprendere una particolare sofferenza del cuore di Gesù, e al tempo stesso ci fa penetrare nel mistero della sua Chiesa. Gesù ha sofferto per tutti i nostri peccati, ma in particolar modo ha sofferto per essere stato ripudiato e infine ucciso dai pastori del popolo eletto.
Quando consideriamo la storia della Chiesa e del mondo, vediamo che spesso gli uomini hanno veramente voglia di conservare l’eredità del cristianesimo: una nuova visione dell’uomo e della sua dignità personale, un senso della giustizia, della condivisione... Ma essi vogliono sopprimere l’Erede. Si accontentano di una spiritualità senza Dio! Durante questa Quaresima, chiediamo la grazia di attaccarci con fermezza non solo al messaggio, ma anche alla persona di Gesù, e che la nostra unione con lui sia il centro della nostra vita
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07/03/2015 06:31
 
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Oggi Gesù dice una parabola per ciascuno di noi: noi tutti siamo quel figlio che il peccato ha allontanato dal Padre, e che deve ritrovare, ogni giorno più direttamente, il cammino della sua casa, il cammino del suo cuore. La conversione è esattamente questo: questo viaggio, questo percorso che consiste nell’abbandonare il nostro peccato e la miseria nella quale esso ci ha gettati per andare verso il Padre.
Ciò che ci sconvolge in questa parabola, e la realtà la sorpassa di molto, è il vedere che di fatto il nostro Padre ci attende da sempre. Siamo noi ad averlo lasciato, ma lui, lui non ci lascia mai. Egli è “commosso” non appena ci vede tornare a lui. Talvolta saremmo tentati di dubitare del suo perdono, pensando che la nostra colpa sia troppo grande. Ma il padre continua sempre ad amarci. Egli è infinitamente fedele. Non sono i nostri peccati ad impedirgli di darci il suo amore, ma il nostro orgoglio. Non appena ci riconosciamo peccatori, subito egli si dona di nuovo a noi, con un amore ancora più grande, un amore che può riparare a tutto, un amore in grado in ogni momento di trarre dal male un bene più grande. Il suo perdono non è una semplice amnistia, è un’effusione di misericordia, nella quale la tenerezza è più forte del peccato.
Gesù vuole che noi abbiamo la stessa fiducia anche nei confronti degli altri. Nel cuore di ogni uomo vi è sempre una possibilità di ritorno al Padre, e noi dobbiamo sperarlo senza sosta. Quando vediamo fratelli e sorelle convertiti di recente che ricevono grazie di intimità con Dio, spesso davvero straordinarie, esultiamo senza ripensamenti, e partecipiamo alla gioia del
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08/03/2015 08:48
 
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dom Luigi Gioia
Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere

Potrebbe sorprenderci leggere che Gesu?, arrivando nel tempio di Gerusalemme, vi trovasse dei buoi, delle pecore e delle colombe e persone che li vendevano. Questo episodio va situato nel contesto della pratica religiosa ebraica prescritta dalla scrittura stessa, soprattutto dal libro del Levitico. Il culto del tempio era fondato essenzialmente sull'offerta di sacrifici di animali. I sacrifici richiedevano dunque che ci fossero a disposizione colombe, pecore e buoi e quindi qualcuno che li vendesse.
Non e? quindi il fatto di trovare questi animali presenti nel tempio e intorno al tempio che conduce Gesu? a compiere questo gesto radicale e, bisogna ammetterlo, violento. Cio? a cui Gesu? reagisce e? la trasformazione di questo che sarebbe dovuto essere un atto di culto, un atto di adorazione di Dio in un qualcosa che potremmo definire semplicemente della religiosita?.
Questa distinzione tra atto di culto e religiosita? e? da capire bene.
I sacrifici di animali nell'Antico Testamento dovevano essere il segno dell'offerta del cuore. In una societa? fondata su un'economia pastorizia, quindi sul pascolo degli animali, si chiedeva di offrire l'animale piu? bello del proprio gregge in segno di gratitudine al Signore. Se infatti questi animali potevano crescere era grazie alla benedizione del Signore. Quindi si prendeva l'animale migliore del proprio gregge e lo si offriva come segno di riconoscenza.
L'essenza di questo sacrificio era la gratitudine, l'azione di grazie, la lode, la preghiera e l'invocazione della benedizione del Signore. Tutta la letteratura profetica insiste su questo fatto: cio? che il Signore vuole non e? il sacrificio degli animali perche? comunque tutto il creato gia? appartiene al Signore e non e? il sangue di animali che da? lode a Dio. Cio? che da? lode a Dio e? un cuore contrito, un cuore umiliato. Cio? che da? lode a Dio e? la preghiera.
Il problema che Gesu? costata nel suo tempo, quando appunto entra nel tempio a Gerusalemme, e? che tutto questo e? diventato semplicemente un mercato. I sentimenti che avrebbero dovuto essere l'anima di questi sacrifici sono stati dimenticati. Non si sceglie piu? l'animale migliore che si ha nel gregge - se ne compra uno e lo si offre pensando che compiere il gesto nella sua materialita? sia sufficiente. L'atto di culto, cioe? i sentimenti interiori di dipendenza, di gratitudine, di lode si sono trasformati in religiosita? - ma la religiosita? non e? la fede e anzi spesso puo? essere cio? che soffoca una relazione autentica con il Signore. E' molto facile essere religiosi mentre e? molto difficile avere fede; e? facile compiere degli atti per mettersi ?a posto' davanti al Signore, invece e? molto difficile aderire al Signore con tutto il cuore e con tutta l'anima. Essere religiosi e? qualcosa che puo? essere profondamente pagano. E' qualcosa che consiste essenzialmente nel "tenere Dio buono", nel voler accontentare Dio per delimitare la sua influenza nella propria vita.
Tutti i popoli hanno forme di religiosita? spesso accompagnate da sacrifici. In questi sacrifici si da? qualcosa alla divinita? perche? la divinita? mi dia qualcosa in cambio. Do ut des: questa e? la religiosita?.
Invece la fede e? il riconoscimento di Dio come nostro creatore, come nostro padre, come qualcuno per il quale siamo importanti, come qualcuno che vive, che e? presente nel piu? profondo del nostro cuore. La fede e? adesione filiale ad un padre.
Gli atti esteriori di culto hanno senso solo nella misura in cui sono espressioni non di religiosita? ma di fede, solo se esprimono l'adesione del cuore al Signore.
E' chiaro che il pericolo di trasformare la fede in religiosita? resta tanto forte oggi quanto lo era al tempo di Gesu?.
Il vangelo di oggi ci invita a interrogarci molto concretamente su questo punto. Perche? vado in chiesa? Perche? sono ?praticante'? Per tenere Dio buono? Per dare a lui qualcosa in modo che lui dia qualcosa in cambio a me? Per essere in regola davanti a lui?
Oppure, come dovrebbe essere, lo faccio perche? riconosco che Dio e? mio padre e mi ama; perche? riconosco che io sono nelle sue mani, che tutto quello che ho e piu? ancora tutto quello che sono e? un suo dono e lo ricevo da lui e per questo voglio rendergli grazie, rendergli lode?
La prima lettura ci invita ad andare piu? profondamente, nel cuore di cio? che veramente costituisce l'unico sacrificio gradito a Dio. Io sono il Signore tuo Dio - dice questo passaggio tratto dal Libro dell'Esodo - che ti ho fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla condizione servile. Io sono il tuo Dio che ti ha salvato dalla morte, che ti ha liberato dal peccato. Io sono il padre che ha dato il suo figlio per te. Non avrai altri dei all'infuori di me. Solo il Signore tuo Dio adorerai, perche? io sono un Dio geloso - ci dice. Non pronuncerai il nome di Dio invano. E poi si?, a questo punto: ricordati del sabato per santificarlo. Il nuovo sabato e? la domenica, giorno della resurrezione del Signore, giorno del Signore. Quindi ricordati di questo giorno per santificarlo, non come semplice espressione di religiosita?, non per tener buono Dio, ma proprio perche? riconosci che Dio e? il tuo Signore, che egli ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto e per manifestare questa gratitudine, questa adorazione nei suoi riguardi.
La fede nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, la fede nel Dio di Gesu? Cristo, e? una fede fondata sull'interiorita?. Quanto e? detto nei dieci comandamenti sara? prolungato, sara? approfondito dal discorso sulla montagna di Gesu?, nel quale non bastera? piu? semplicemente non uccidere, non rubare, non dare falsa testimonianza e non desiderare la donna dell'altro, ma questo culto interiore sara? portato fin nel piu? profondo dei nostri sentimenti, per cui sara? la poverta? in spirito, sara? l'onesta?, sara? la sincerita?, sara? la mitezza, sara? lo spirito di pace che diventeranno la forma di culto piu? gradita a Dio. Questo culto in spirito e verita? di cui parla poi Gesu? nel vangelo di Giovanni.
E ancora piu? profondamente ci sara? chiesto non semplicemente di non uccidere, ma di non dire nulla di male nei confronti del prossimo. Non semplicemente di non commettere adulterio, ma gia? nel cuore di non cedere al desiderio impuro. E cosi? via.
Non abbiamo bisogno di essere troppo istruiti a questo riguardo, fratelli e sorelle. Lo Spirito che Cristo ha mandato nei nostri cuori ci insegna quale sia la differenza tra la religiosita? e la fede.
Nella religiosita? teniamo Dio a distanza. Lo consideriamo - magari con sospetto - come una divinita? da accontentare. Nella fede invece lo riconosciamo come padre, ci riconosciamo come figli. E non e? per timore, ma per amore, che vogliamo offrirgli non solo un po' del nostro tempo, non solo un contentino, non solo un angolo della nostra vita, ma tutto noi stessi in un sacrificio di lode, in un sacrificio di ringraziamento, in un atteggiamento di disponibilita? e di apertura del cuore che manifesti tutto il nostro amore per lui, tutto il nostro bisogno di lui, tutto il nostro desiderio di essere per sempre con lui
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09/03/2015 13:43
 
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Luca ci fa qui intravedere l’ostilità e l’odio che finiranno per far morire Gesù sulla croce. Gesù lo sa bene. Lo sa e dichiara che nessuno è profeta in patria. Eppure, Gesù va verso la passione con una suprema libertà: quando sarà giunta la sua ora, l’ora stabilita dal Padre, si consegnerà alle mani degli uomini, ma fino a quel momento tutta la sua preoccupazione sarà di salvare coloro che vorranno accoglierlo.
Questo episodio deve farci riflettere. Noi che abbiamo la grazia di essere battezzati, di appartenere forse ad una famiglia cristiana, ad una comunità cristiana, noi che viviamo in un paese ancora sensibile al Vangelo, abbiamo abbastanza umiltà e fede per accogliere Gesù? Non rischiamo di essere un po’ come i farisei, come quei giusti che ritengono di non avere bisogno di alcuna conversione?
Molto spesso, è la nostra pretesa sufficienza che impedisce a Dio di concederci la sua grazia. Non ci rendiamo abbastanza conto che abbiamo bisogno di essere sempre purificati da Gesù. Non permettiamo abbastanza allo Spirito Santo di “convincerci quanto al peccato”, come spiega Giovanni Paolo II nella sua enciclica sullo Spirito Santo. Solo lo Spirito Santo, dandosi a noi, può darci una giusta coscienza del nostro peccato, non per opprimerci, ma, al contrario, per aiutarci a ricevere il perdono di Gesù, la guarigione e la salvezza
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10/03/2015 07:35
 
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Ancora una volta, Gesù insiste sulla pratica del perdono che deve caratterizzare i suoi discepoli. Il nostro perdono deve essere instancabile, ed è forse questo che ci costa di più. Molto spesso, riusciamo a mala pena a perdonare nostro fratello o nostra sorella, facendo peraltro capire che non deve però farlo un’altra volta. Ci risulta molto difficile perdonare sempre di nuovo, come se fosse la prima volta; ci risulta molto difficile avere abbastanza pazienza e abbastanza amore per guardare sempre con la stessa fiducia quella persona a cui bisogna perdonare due volte, dieci volte, mille volte una stessa cosa. Il nostro cuore è fatto così: noi poniamo sempre limiti al nostro amore!
L’amore del Padre invece è infinito. Il Padre ci perdona sempre, e noi sappiamo che ha diecimila occasioni di farlo! Il suo desiderio ardente è che noi, dal momento che riceviamo continuamente la sua misericordia, possiamo diventare a nostra volta misericordiosi nei confronti dei nostri fratelli. Le offese che dobbiamo perdonare loro saranno sempre di poco conto di fronte a quelle che Dio ci perdona senza contarcele
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11/03/2015 07:04
 
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La pagina del Vangelo di oggi ci invita a seguire con estrema fedeltà la legge di Dio, cioè la sua volontà manifestata nella sua parola.
Gesù è venuto a compiere la legge antica: non solo riconosce ai precetti dell’Antico Testamento tutta la loro importanza, ma realizza nella sua persona ciò che i profeti avevano annunciato. È commovente leggere, dopo alcuni particolari del racconto della passione fatto da Giovanni, quali la tunica tirata a sorte, il colpo di lancia del centurione, queste parole: “Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura”. Che rispetto infinito, che amore dovremmo avere per questa santa Scrittura, che ci è stata trasmessa da uomini, ma che viene direttamente dal Padre!
Secondo l’Antica Alleanza, la legge data a Mosè è strettamente legata ai profeti che annunciano il Messia: non si tratta di un codice giuridico freddo e astratto, ma di comandamenti d’amore che Dio dà al suo popolo perché viva. Secondo la Nuova Alleanza, i comandamenti di Gesù nel Vangelo non possono essere separati dalla sua presenza nella Chiesa e dallo Spirito Santo, che, diffuso nei nostri cuori, ci rende partecipi della vita stessa della Santa Trinità.
In questa Quaresima chiediamo una duplice conversione: che il nostro cuore sia sempre rivolto a Dio, in ascolto di quanto ci chiede; e che impariamo, grazie a ciò, a conformare il quotidiano delle nostre giornate a tutto quanto egli ci domanda con la sua parola
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12/03/2015 08:06
 
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La Quaresima è un tempo di conversione. È anche un tempo di lutto. La lotta che dobbiamo affrontare si pone su diversi piani: dobbiamo lottare contro noi stessi, contro il nostro io, il nostro orgoglio; dobbiamo lottare contro il demonio e le tentazioni che fa nascere; dobbiamo infine lottare contro ogni realtà che ci allontana da Gesù, da ogni ostacolo che ci impedisce di essere con lui. “Chi non è con me, è contro di me”: queste parole hanno un significato molto profondo e possono servirci di regola in ogni cosa. Essere con Gesù deve essere la nostra prima ed unica preoccupazione. Allora la mattina, non appena ci svegliamo, la nostra prima azione cosciente sia un atto di adorazione: mostreremo così a Gesù il nostro desiderio di essere con lui e questo sarà il modo migliore per uscire dal torpore, dal sonno dell’incoscienza in cui il demonio potrebbe farci cadere. Durante la nostra giornata, prima di ogni azione, ritorniamo così a Gesù, cerchiamo di restare sempre in sua compagnia. È così che noi “raccoglieremo con lui” mentre il demonio cercherà con ogni mezzo di “disperderci”, di farci perdere tempo, di farci allontanare dall’essenziale
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13/03/2015 08:20
 
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Marco ci fa ascoltare, per bocca di Gesù, il nuovo comandamento per eccellenza, che è il centro e la sintesi del Vangelo, ed insieme il programma della nostra vita. Dio ci ha creati per l’amore. Ha fatto in modo che tutto in noi, il nostro corpo come il nostro spirito, la nostra sensibilità come la nostra volontà, la nostra anima come il nostro cuore, tutto il nostro essere, insomma, potesse amare. Del resto, egli ha fatto in modo che veniamo al mondo come un esserino indifeso, che ha un bisogno vitale non solo di essere nutrito, ma anche di essere amato dalla madre, un esserino che non può crescere e raggiungere la propria maturità come persona se non in fondamentali relazioni d’amore e grazie ad esse. Ma, più noi procediamo nella vita, più facciamo prova di come sia difficile amare, amare veramente e disinteressatamente, amare profondamente e sinceramente Dio e il prossimo. Questo richiede ogni sorta di purificazione, e non lo si impara certo sui libri! Il solo modo di imparare ad amare è quello di lasciarci amare da Dio, poiché non si può amare se non essendo amati, e non c’è altri che Dio che possa amarci veramente, perché egli è l’unico Signore ed è Amore
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14/03/2015 07:54
 
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Se siamo onesti, dobbiamo riconoscere che noi tutti abbiamo la tendenza a compiacerci di noi stessi.
Forse perché pratichiamo molto fedelmente la nostra religione, come quel zelante fariseo, pensiamo di dover essere considerati “per bene”.
Non abbiamo ancora capito queste parole di Dio in Osea: “Voglio l’amore e non il sacrificio” (Os 6,6). Invece di glorificare il Padre per quello che è, il nostro ringraziamento troppo spesso riguarda ciò che noi siamo o, peggio, consiste nel confrontarci, in modo a noi favorevole, con gli altri. È proprio questo giudizio sprezzante nei confronti dei fratelli che Gesù rimprovera al fariseo, così come gli rimprovera il suo atteggiamento nei confronti di Dio.
Durante questa Quaresima, supplichiamo Gesù di cambiare radicalmente il nostro spirito e il nostro cuore, e di darci l’umiltà del pubblicano che invece ha scoperto l’atteggiamento e la preghiera “giusti” di fronte a Dio. Non comprenderemo mai abbastanza che il nostro amore è in stretta relazione con la nostra umiltà. La cosa migliore che possiamo fare di fronte a Dio, in qualsiasi misura ci pretendiamo santi, è di umiliarci di fronte a Dio.
Ci sono dei momenti in cui non riusciamo a rendere grazie in modo sincero; allora possiamo fare la preghiera del pubblicano, possiamo cioè approfittare della nostra miseria per avvicinarci a Gesù: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Gesù esaudisce sempre questa preghiera.
L’umiltà non ha niente a che vedere con un qualsiasi complesso di colpa o con un qualsiasi senso di inferiorità. È una disposizione d’amore; essa suppone che sappiamo già per esperienza che il nostro stato di peccatori attira l’amore misericordioso del Padre, poiché “chi si umilia sarà esaltato”. Essa suppone cioè che siamo entrati nello spirito del Magnificat
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15/03/2015 09:00
 
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La notte scorsa ho vissuto anche io come gli altri preti del mio vicariato l'iniziativa lanciata dal papa di "24 ore per il Signore", che prevede che per 24 ore ininterrotte una chiesa della zona rimanga aperta per la preghiera e il sacramento della riconciliazione.
Io ho scelto il turno tra le 2 e 3 di notte, e mi sono messo a disposizione di chiunque volesse pregare o confessarsi. Devo ammettere che non c'è stato molto giro di persone in un'ora così notturna, ma questo ha permesso a me di vivere in maniera più intensa questa occasione spirituale.
È stato bello meditare il Vangelo di domenica proprio in una vera veglia notturna. Nel Vangelo di Giovanni al capitolo 3 si parla di un dialogo profondo tra Nicodemo, un fariseo, e Gesù. Questo dialogo si svolge proprio di notte, come racconta l'evangelista, esattamente come questa mia notte in chiesa, dove ci sono io e c'è il Signore nel segno del pane eucaristico sull'altare e nel segno della sua parola del Vangelo tra le mie mani.
Le tante domande di Nicodemo a Gesù e la sua fatica a capire quello che Gesù gli dice le sento in sintonia con le mie tante domande e le mie fatiche di capire e vivere il Vangelo. E stando dentro questo confessionale mi pare di percepire anche le tante domande, dubbi e fatiche di altri che spesso qui entrano in cerca di luce, conforto e risposte...
La fede è fare, vivere...
Credere in Gesù è credere che nel vivere secondo i suoi insegnamenti abbiamo la vita eterna...
Non c'è fede senza amore, senza opere di amore. Non sono le opere a salvarci, ma è il non-amore che mi toglie la salvezza già offerta e donata.
Papa Francesco in un suo intervento in una parrocchia romana, alla domanda di un ragazzo sull'esistenza o meno dell'Inferno ha risposto che l'inferno prima di essere un luogo è una dimensione spirituale che si vive già qui adesso. Inferno è tagliare con Dio, non fidarsi delle sue parole e del suo dono. L'inferno è un mondo senza amore e senza speranza, regolato solo da egoismi e violenze.
La notte che avvolge Nicodemo e Gesù nel loro dialogo è come la nostra notte di vita, la notte di ogni uomo. Cerchiamo risposte proprio di notte perché anche la più piccola luce aiuta, come la luce di una pagina di vangelo, la luce di un pezzo di pane sull'altare, la luce di una preghiera semplice...
Leggevo in questi giorni che la Siria a causa dei tanti anni di guerra civile è ormai quasi totalmente immersa nella notte reale senza luce elettrica, che diventa simbolo di una tenebra di violenza che la avvolge e la oscura. Ma le nostre luci occidentali sono davvero più luminose? O la luce artificiale oscura quella vera?
Fede, luce, amore...
Quanto bisogno c'è di luce vera! Anche in chi sembra immerso nelle luci.
C'è bisogno di una Luce che innalza e ridona la speranza che la vita ha significato non per quel che si produce ma per quanto si è capaci di amare.
La fede è credere che la nostra vita dipende dall'amore che mettiamo dentro in tutti i gesti anche più quotidiani.
Fede è credere non tanto che Dio esiste ma che mi ama.
Fede è credere che la mia vita si illumina e diventa luminosa grazie all'amore.
Gesù è venuto a mostrare tutto questo proprio dall'alto della croce, che è segno luminoso per la storia umana! La croce è innalzamento e non abbassamento! La morte come dono diventa vita e resurrezione.
Sono stato in chiesa per l'adorazione un po' più della mia ora prefissata, e alla fine sono uscito che erano le 5 per tornare in canonica. Posso dire che se anche il sole non era ancora sorto fisicamente, stando con il Signore e la sua Parola, il sole della fede mi ha illuminato con i suoi raggi, e ho imparato che davvero il sole di Gesù sorge anche di notte... in ogni notte.
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16/03/2015 05:58
 
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Nel Vangelo di oggi ci viene detto chiaramente che nessun profeta è rispettato né onorato nel proprio paese. Da un punto di vista letterario, il “paese natale” di Gesù è Nazaret, un villaggio della Galilea poco conosciuto. Per questo motivo Giovanni insiste su questa osservazione, per sottolineare la testimonianza missionaria di Gesù. Gesù è stato inviato al popolo di Giudea, il cui centro religioso era Gerusalemme, tuttavia non vi fu ricevuto (Gv 1,11).
La salvezza, la redenzione per mezzo della fede va molto al di là dei privilegi legati alla razza e ad ogni altro particolarismo. Gesù, dunque, ha svolto la sua attività non soltanto in Galilea ma anche nelle regioni pagane. E, in questo brano di Vangelo, il mondo pagano è rappresentato dal funzionario di Cafarnao, che non è ebreo. Egli, pagano, ha creduto alla parola di Gesù, dando prova di una fede pura e sincera che deve servirci di esempio.
In questo brano del Vangelo di san Giovanni ci viene mostrata l’importanza del dialogo tra Gesù e il funzionario e, nello stesso tempo, l’oggetto di questa conversazione: la fede. La vera fede è quella che rende possibile l’accoglienza di Gesù, quella che ci conduce al Salvatore (a Gesù). Per mezzo della fede, andiamo incontro a Dio e scopriamo il Padre e il suo amore nella nostra vita.
Quando constata la nostra fede, la nostra fiducia in lui, Gesù, per mezzo della potenza vivificante della sua parola, compie miracoli nella nostra vita. In questo brano di Vangelo, troviamo l’effetto della parola divina e la fiducia assoluta nella potenza di Gesù. Così, Gesù ha ricompensato la fede del funzionario come ricompensa la fede di ogni uomo
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17/03/2015 07:55
 
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Nella visione di Ezechiele, l’acqua che dà la salute e la vita simboleggia la grazia che Dio dispensa in abbondanza nel tempo messianico. Questo tempo è giunto con la venuta di Gesù Cristo. È il motivo per cui Gesù non conduce il malato alla piscina di Siloe, la sorgente della grazia dell’Antico Testamento, ma lo guarisce per mezzo della propria potenza.
Egli lo fa di sabato, ed ordina al miracolato di portare il suo giaciglio nel giorno di sabato, poiché è giunto il tempo in cui è arrivata una grazia più grande della legge, e Gesù è il padrone del sabato. Nel sacramento del battesimo, tutti siamo stati integrati nel tempo messianico e, guariti dalla paralisi, abbiamo ricevuto l’ordine di partire e di portare i frutti della vita nello Spirito. Oggi Gesù ci dà un monito come ha fatto con il paralitico: dobbiamo avere paura di ricadere ancora nella schiavitù del peccato, affinché la nostra paralisi spirituale di cristiani non sia più grave della paralisi del paganesimo di cui Cristo ci ha liberati. Il tempo di Quaresima è il tempo dell’esame di coscienza. I nostri paesi, il mondo cristiano e post-cristiano non sono forse caduti di nuovo nel paganesimo, nell’idolatria del denaro, del successo e del potere? Non siamo forse di nuovo paralizzati tanto da non saper più vincere il male sociale, politico, familiare e personale? Le strutture del male sociale non costituiscono forse il letto della nostra malattia? O lo costituiscono le opinioni e i costumi del nostro ambiente? Gesù chiama ognuno di noi a convertirsi. Ci offre la riconciliazione con il Padre e la guarigione. Ci dice oggi: alzati, porta con te il tuo giaciglio di malato, va’, vivi e fa’ il bene. Ognuno di noi, all’ascolto del Vangelo di oggi, deve trovare il suo compito nell’ordine di Gesù: “Alzati, cammina e non peccare più”.
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18/03/2015 07:32
 
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Le letture di oggi ci dicono chi è Gesù di Nazaret. Gesù sa e vede come agisce Dio, e per questo agisce come Dio, e lo fa sempre bene, anche il giorno di sabato. Gesù ha in sé la forza della vita e della risurrezione. Egli è il figlio prediletto di Dio, e Dio chiede che gli siano resi gli onori dovuti a Dio. Gesù è allo stesso tempo pienamente uomo, e proprio perché è un uomo Dio ha fatto di lui il giudice di tutti gli uomini. L’ora del giudizio di Dio su di noi, del giudizio attraverso Gesù Cristo, non è solo annunciata per la fine del mondo. È oggi, adesso, che noi siamo sottomessi al tribunale di Gesù Cristo, poiché il tempo messianico è incominciato a partire dalla sua morte e dalla sua risurrezione. Oggi noi ci troviamo contemporaneamente davanti al giudizio e alla misericordia di Dio, che ci sono dati in Gesù Cristo. Il giudizio concerne il male che abbiamo fatto e lo scopre ai nostri occhi. Ma Gesù Cristo ci porta la remissione dei peccati, la guarigione del male e il ritorno alla vita, alla vita che abbiamo ucciso o affievolito in noi.
Per questo è sufficiente accogliere il dono divino del perdono. Se crediamo che Gesù Cristo è veramente entrato nella storia dell’umanità quando il Verbo di Dio si è fatto uomo e il Padre ci ha mostrato il suo amore dandoci suo Figlio, se ci rimettiamo nelle mani di Gesù Cristo, usciremo allora dalla morte ed entreremo nella vita, ed invece di essere giudicati, troveremo la misericordia e diverremo figli di Dio. D’altra parte, noi possiamo rifiutare questo dono, possiamo preferire il male che è in noi e non volere la guarigione. In questo caso ci sottomettiamo volontariamente al giudizio di Gesù Cristo. Bisogna pregare con fervore perché nessun uomo faccia mai questa scelta. Noi apparteniamo a Gesù per salvare con lui il mondo intero
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19/03/2015 07:03
 
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Sposo di colei che sarebbe stata Madre del Verbo fatto carne, Giuseppe è stato prescelto come “guardiano della parola”. Eppure non ci è giunta nessuna sua parola: ha servito in silenzio, obbedendo al Verbo, a lui rivelato dagli angeli in sogno, e, in seguito, nella realtà, dalle parole e dalla vita stessa di Gesù.
Anche il suo consenso, come quello di Maria, esigeva una totale sottomissione dello spirito e della volontà. Giuseppe ha creduto a quello che Dio ha detto; ha fatto quello che Dio ha detto. La sua vocazione è stata di dare a Gesù tutto ciò che può dare un padre umano: l’amore, la protezione, il nome, una casa.
La sua obbedienza a Dio comprendeva l’obbedienza all’autorità legale. E fu proprio essa a far sì che andasse con la giovane sposa a Betlemme e a determinare, quindi, il luogo dell’Incarnazione. Dio fatto uomo fu iscritto sul registro del censimento, voluto da Cesare Augusto, come figlio di Giuseppe. Più tardi, la gioia di ritrovare Gesù nel Tempio in Giuseppe fu diminuita dal suo rendersi conto che il Bambino doveva compiere una missione per il suo vero Padre: egli era soltanto il padre adottivo. Ma, accettando la volontà del Padre, Giuseppe diventò più simile al Padre, e Dio, il Figlio, gli fu sottomesso. Il Verbo, con lui al momento della sua morte, donò la vita per Giuseppe e per tutta l’umanità. La vita di Giuseppe fu offerta al Verbo, mentre la sola parola che egli affida a noi è la sua vita
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20/03/2015 08:07
 
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Il Vangelo di oggi ci presenta il dramma di Gesù abbandonato dai capi della sua nazione. Gesù deve nascondersi, e il popolo non sa cosa pensare di lui, perché i capi religiosi della nazione non credono nella sua dignità di Messia. I farisei non credono in Gesù, perché lo giudicano secondo i principi formali del sabato e delle abluzioni rituali, e non penetrano in profondità nel suo insegnamento. I sacerdoti rifiutano Gesù per motivi politici. Che cosa ne è di lui oggi, fra di noi? Le parole di Gesù che attestano la sua identità ed invitano a credere, non si scontrano oggi nel nostro mondo con simili difficoltà di credibilità?
Quali sono le cause della debolezza della nostra fede? Sicuramente le forme attuali di pensiero sembrano diverse da quelle del tempo di Gesù, e non si tratta sempre di formalismo religioso. È a volte scientifico, a volte legato ai costumi. Anche le considerazioni politiche si formano in modo diverso pur essendo comunque essenziali. I marxisti non sono i soli ad aver rifiutato la fede nel nome di una teoria politica. Le società del consumo, nella corsa al benessere materiale, fanno in pratica la stessa cosa, anche se non la teorizzano. E noi, siamo capaci di credere in modo da assumere la responsabilità del dramma di Gesù e, con lui, di esporci al rifiuto, al giudizio degli altri, o ancora di lasciarci implicare in qualche conflitto con chi ci sta intorno? Si può trattare semplicemente di un conflitto all’interno della Chiesa a motivo del formalismo morale, o un conflitto all’interno di una società laica nella difesa del bene, del prossimo e dei suoi diritti alla vita e a una giustizia equa. Che cosa abbiamo fatto per introdurre nella vita sociale e politica dei nostri paesi, che conoscono il Vangelo da secoli, i principi dell’amore del prossimo? Non meritiamo forse il rimprovero di Gesù, perché non osserviamo la legge divina, perché uccidiamo e nuociamo agli altri?
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21/03/2015 07:03
 
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Gesù prese su di sé le sorti del profeta rifiutato e quelle di tutti gli esclusi e gli abbandonati. Egli ha preso su di sé le sorti delle nazioni perseguitate per aver combattuto per la libertà, le sorti dei militanti condannati per la loro fede, sia che essi siano perseguitati da un potere laico ateo, sia dai seguaci di un’altra confessione. Il Vangelo di oggi ci mostra le poche persone che hanno tentato di difendere Gesù. Le guardie del tempio non hanno voluto arrestarlo, e Nicodemo l’ha timidamente sostenuto, argomentando che non si può condannare qualcuno senza aver prima ascoltato il suo difensore. Nel mondo di oggi, anche noi cerchiamo timidamente di prendere le difese di quelli che sono ingiustamente perseguitati. A volte è l’esercito che rifiuta di sparare sui civili, come è successo di recente nei paesi baltici. A volte è nell’arena internazionale che viene negato - assai timidamente - ad una grande potenza il diritto di opprimere un popolo. Il dramma del giudizio subito da Cristo, seguito dal suo arresto e dalla sua crocifissione, come riporta il Vangelo di oggi, perdura ancora nella storia umana. Ogni uomo ha, in questo dramma, un certo ruolo, analogo ai ruoli evocati nel Vangelo. Gesù è venuto da Dio per vincere il male per mezzo dell’amore. La sua vittoria si è compiuta sulla croce.
La sua vittoria non cessa di compiersi in noi, passando per la croce. Dobbiamo osservare la scena del mondo attuale alla luce del processo a Gesù e del dibattito suscitato dalla sua persona, quando viveva e compiva la sua missione in Palestina. Siamo capaci di percepire Gesù e il suo insegnamento nella Chiesa? Non rifiutiamo davvero nessuno, e non giudichiamo nessuno ingiustamente? Siamo capaci di vedere Gesù nei poveri e nelle vittime della terra? Chi è ognuno di noi oggi nel dramma dei profeti contemporanei rifiutati, e nel dramma odierno di Gesù Cristo e del suo Vangelo? Gesù? Nicodemo? Le guardie del tempio?
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23/03/2015 07:15
 
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Gesù Cristo insegna sul monte degli Ulivi e, in seguito, nel tempio. Raduna attorno a sé persone diverse, alcune che lo ascoltano volentieri e attentamente, altre che tentano a loro modo di raggirare la legge e l’autorità. Gli uni e gli altri ricevono una lezione. Gli scribi tendono una trappola a Gesù conducendo da lui una donna sorpresa in adulterio, ma Cristo ribadisce il valore e l’immutabilità delle leggi e delle esigenze divine, mostra come ci si deve comportare col peccatore, di cui rispetta la dignità umana: “Neanch’io ti condanno, va’ e d’ora in poi non peccare più”. Ecco le premesse del Vangelo di oggi: il male è male, il peccato è peccato, ma l’uomo è chiamato costantemente alla santità. Deve continuamente operare in sé il passaggio dall’uomo vecchio, cioè dal peccatore, all’uomo nuovo, rigenerato dall’acqua e dallo Spirito. Non c’è nessuno al mondo che sia senza peccato. Dobbiamo tutti impegnarci in modo solidale sulla via del ritorno a Dio. Chi di noi è senza peccato, scagli per primo la pietra. Molte pietre vengono scagliate e non perché sono in molti ad essere senza peccato. Quante persone invece, incontrando la misericordia di Cristo, si allontanano per non peccare più? Impariamo ad ascoltare attentamente Cristo, senza nasconderci dietro le leggi. L’insegnamento da seguire è l’amore!
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24/03/2015 06:29
 
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Gesù pronuncia una strana sentenza, in contraddizione con tutto il Vangelo, se tolta dal suo contesto: “Dove vado io, voi non potete venire”. In altri termini, non possiamo seguire Cristo se siamo nel peccato, cioè se rifiutiamo Dio e colui che egli ha mandato, Gesù Cristo. Secondo san Giovanni, il rifiuto di Cristo è il peccato più grande. Come Mosè nei confronti del suo popolo, Cristo parla in nome di Dio. Mosè nel tempo in cui era il pastore del popolo di Israele, aveva ascoltato le seguenti parole: “Io-Sono mi ha mandato a voi... Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi” (Es 3,14-15). Il nome di Dio bastava agli Ebrei perché avessero fiducia in Mosè, per fuggire dalla schiavitù e partire verso la terra promessa. Questo nome celava in sé la potenza e il dinamismo dell’Esodo. Grazie a questo nome, s’è compiuta la Pasqua in cui non è mancata né manna né acqua. Ci furono le quaglie e il serpente di rame a salvare dalla morte.
Evocando questo nome, che è il suo nome, Gesù ricorda tutta la strada percorsa dalla schiavitù alla libertà, perché ciascuno di noi deve intraprendere questo cammino dalla morte alla vita. Per provare in sé questa Pasqua, bisogna credere in Gesù, credere a Gesù. Credere che egli è l’inviato, il Messia, e credere nelle sue parole. Allora si impara a seguirlo nel mistero pasquale, nella passione, nella morte sulla croce e nella risurrezione
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25/03/2015 07:03
 
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Ciò che colpisce, nell’Annunciazione, è che una “religione pura” esige un dialogo vivente e costante fra Dio e ogni uomo. Qui Dio ha pronunciato la sua ultima Parola a Maria, perché si compissero le parole che, nella storia di Israele, erano state dette ad Abramo, a Mosé e ai profeti. Essi avevano ascoltato e obbedito; lasciarono entrare nella loro vita la Parola di Dio, la fecero parlare nelle loro azioni e la resero feconda nel loro destino.
I profeti sostituirono alle loro proprie idee la Parola di Dio; anche Maria lasciò che la Parola di Dio si sostituisse a quelle che erano le sue convinzioni religiose. Di fronte alla profondità e all’estensione di questa nuova Parola, Maria “rimase turbata”. L’avvicinarsi del Dio infinito deve sempre turbare profondamente la creatura, anche se, come Maria, è “piena di grazia”.
Assolutamente straordinario è poi che questo Dio non solo si avvicina a Maria, ma le offre il proprio Figlio eterno perché divenga il suo Figlio. Come è possibile che il “Figlio dell’Altissimo” diventi suo Figlio? “Lo Spirito Santo scenderà su di te”. Come scese sul caos, in occasione della creazione, lo Spirito Santo scenderà su Maria e il risultato sarà una nuova creazione. L’albero appassito della storia fiorirà di nuovo. “Maria disse: Eccomi sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. Nell’Annunciazione si ha il tipo di dialogo che il Padre del nostro Signore Gesù Cristo vorrebbe avere con ciascuno di noi. L’esperienza di Maria a Nazaret sottolinea questa verità per tutto il popolo di Dio. Il suo “sì” in risposta all’offerta divina e il cambiamento drammatico di vita che ne sarebbe seguito, mostrano che la venuta di Dio in mezzo a noi esige un cambiamento radicale.
Ma, cosa più importante, l’Annunciazione a Maria ci pone di fronte ad una grande verità: ognuno di noi ha avuto un’“annunciazione” personale. Sto esagerando? No di certo. Se esaminate la vostra vita passata, troverete un’esperienza che è stata decisiva; forse non ebbe allora conseguenze immediate, o almeno non vi sembrò, ma, ripensandoci adesso, vi accorgete che è stata fondamentale, sia essa la scuola che avete frequentato, un libro che avete letto, un discorso che avete ascoltato, una frase delle Scritture che vi ha colpito, gli amici a cui vi siete sentiti uniti o un ritiro che avete fatto. Era il Dio di Maria di Nazaret che si annunciava a voi. Voi avete dunque avuto una “vostra” annunciazione. E se non avete risposto “sì”, o se avete pronunciato soltanto un “sì” timido? Basta riconoscere l’annunciazione ora e cercare di recuperare il tempo perduto vivendo per Dio e per gli altri.
“Eccomi sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”.
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26/03/2015 07:05
 
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Per non morire, basta osservare l’insegnamento di Gesù, osservarlo per intero. Eppure quante volte per far bella figura ci scusiamo, davanti all’opinione pubblica e davanti a noi stessi, dicendo che rispettiamo quest’insegnamento, ma in parte! Facendo ciò, non conosciamo Dio, perché non consideriamo le sue esigenze. Il Nuovo Testamento è il complemento e, insieme, il compimento dell’insegnamento dell’Antica Alleanza. Non possiamo capire del tutto l’Antico Testamento se non lo leggiamo con il Nuovo Testamento come un tutto. Ma il Nuovo Testamento non sarà comprensibile in tutte le sue implicazioni se lo leggiamo separatamente. Gesù ricorda oggi l’unità dei due Testamenti. Gli interlocutori di Gesù non vogliono prendere atto di ciò. Ne hanno semplificato la prospettiva, e si sono trovati in errore. Abramo ne possedeva invece la prospettiva globale, perché, grazie alla sua fede, guardava verso l’avvenire, verso il Messia. Gesù è il Messia promesso, atteso, colui che salverà Israele, ma gli Ebrei non ci credono. Si ostinano a guardare soltanto alla vita terrena, nel suo circolo chiuso che va dalla nascita alla morte, mentre la vita eterna, di cui parla Gesù, comincia con la nascita nell’acqua e nello spirito ed è infinita. Per giungere a questa vita eterna, bisogna osservare per intero l’insegnamento di Gesù
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27/03/2015 09:38
 
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Una volta ancora Gesù sta per essere lapidato, e le parole che scambia con i suoi persecutori mettono in rilievo il vero motivo del suo martirio ormai prossimo. Gesù non è stato condannato a morte, come Giovanni Battista, perché predicava la giustizia e nemmeno perché i suoi miracoli preoccupavano i potenti, ma piuttosto perché si dichiarava Figlio di Dio e, per la legge di Mosè, una simile affermazione meritava la morte. Durante tutta la vita, egli ha voluto conoscere nella sua sensibilità ardente questa sofferenza di essere rifiutato perché era Figlio del Padre, mentre il suo solo desiderio era di donarci suo Padre.
Alcuni l’hanno riconosciuto e sono venuti a lui. Sono quelli che, attraverso la sua parola dolce e pacata, ma affilata come una spada, attraverso le sue opere di misericordia, i miracoli, le risurrezioni che manifestavano la gloria di Dio, oppure attraverso la testimonianza del suo precursore, hanno percepito lo Spirito del Padre che li toccava nel più profondo del loro cuore e sono stati abbastanza umili, abbastanza poveri per aprirsi all’adorazione. Allora costoro sono stati rinsaldati nella fede e hanno riconosciuto che Gesù è nel Padre e che il Padre è in lui.
In questi ultimi giorni prima della Passione, la Chiesa ci spinge ad attaccarci, con una fede amorosa e piena, a “colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo
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