È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!
Nuova Discussione
Rispondi
 

RIFLESSIONI BIBLICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:42
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
27/05/2015 07:49
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Mc.10,32-45

Questo Vangelo ci aiuta a riflettere al mistero dell'Eucaristia, in cui avviene la trasformazione straordinaria (la "transustanziazione", in termini teologici) del pane e del vino nel corpo e sangue di Cristo. Ora, questa trasformazione ha avuto come condizione un'altra trasformazione, che è appunto espressa nel brano evangelico odierno. All'inizio troviamo un verbo passivo: ~ Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi". E i verbi successivi esprimono il significato di questo "essere consegnato": sarà condannato, schernito, flagellato, ucciso. Alla fine invece c'è un verbo attivo: Il Figlio dell'uomo è venuto per servire e dare la propria vita in riscatto per molti". Abbiamo qui una trasformazione: il Figlio dell'uomo sarà consegnato passivo ; il Figlio dell'uomo è venuto per dare la propria vita: è molto diverso.
Quando ci capitano cose penose, noi spontaneamente rimaniamo allo stato passivo, cioè subiamo queste cose e sovente con la convinzione che non sia giusto. Quindi non soltanto siamo passivi, ma non siamo neppure veramente ricettivi di fronte all'evento che ci causa pena. Ora, "il Figlio dell'uomo sarà consegnato" Gesù si trovava in una situazione di sofferenza subita davvero ingiustamente, di fronte alla quale la ribellione poteva essere pienamente giustificata. Ma egli ha operato una trasformazione: di questa pena subita ha fatto un sacrificio positivo, ne ha approfittato per dare la propria vita. Ha cambiato il passivo in attivo. E una trasformazione veramente straordinaria, prendere un evento così negativo, come la croce, e farlo diventare l'evento più positivo della storia del mondo, il dono inaudito dell'amore: dare la propria vita in riscatto per molti.
Soltanto il cuore di Gesù poteva operare questa trasformazione, che è proprio la condizione per l'Eucaristia: se Gesù non avesse trasformato questa pena subita in dono generoso, non avrebbe potuto darci il suo corpo, darci il suo sangue. Doveva trasformare l'evento in dono, per poter poi trasmetterci questo dono nel sacramento. E il sacramento ha lo scopo di dare anche a noi la forza di trasformare nello stesso modo gli eventi, cioè di accogliere tutti gli avvenimenti della nostra vita, anche quando sono penosi e trasformarli in sacrificio generoso in unione con Cristo, crocifisso e risorto. Grazie all'Eucaristia questa forza è in noi e lo Spirito di Cristo ci muove continuamente ad usarla nella generosità e nella fedeltà
OFFLINE
28/05/2015 07:32
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Mc.10,46 ss

Nel Vangelo di oggi vediamo quanto fosse grande il desiderio del cieco di riavere la vista, con quale forza, nonostante le raccomandazioni di chi gli consigliava un po' di discrezione, egli abbia supplicato Gesù quando era ancora lontano: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!", con quale spontaneità abbia risposto alla domanda di Gesù: "Che vuoi che io ti faccia?". "Rabbuni, che io riabbia la vista!".
Vedere, vedere la luce è un incommensurabile dono di Dio, che gli uomini hanno sempre apprezzato profondamente. Sappiamo che nella letteratura antica vedere la luce era quasi sinonimo di vita, tanto che ciò che faceva più paura al pensiero della morte era di non veder più la luce, di essere in una regione di tenebre.
Domandiamo davvero al Signore la riconoscenza per il grande dono della luce, già della luce naturale, che ci permette di contemplare tutte le sue opere, come scrive il Siracide: "il sole con il suo splendore illumina tutto, della gloria del Signore è piena la sua opera". Se in noi non nasce il desiderio di lodare il Signore è perché i nostri occhi sono offuscati e non vediamo le cose in modo giusto. Ma se siamo aperti alla luce del Signore già alla luce naturale spontaneamente il nostro cuore esulterà e troverà le parole per lodare Dio, per dire l'ammirazione per l'armonia che egli ha posto nella creazione, come scrive ancora il Siracide: "Una cosa conferma i pregi dell'altra".
È uno sguardo pieno di ottimismo, che invece di vedere dovunque tensioni, disaccordo, sopraffazione, vede che ogni essere è fatto per mettere in valore la bontà dell'altro, e che tutti insieme sono fatti per cantare la gloria di Dio, per aiutarsi insieme a contemplare la gloria di Dio, che è la gioia più profonda: "Chi si sazierà nel contemplare la sua gloria?".
Nel Vangelo vediamo che Gesù dà due volte la vista a questo cieco: gli guarisce gli occhi, certamente, ma nello stesso tempo gli dà una rivelazione, lo rende cosciente che è la fede ad averlo salvato: "Va', la tua fede ti ha salvato". Questa parola di Gesù è ancora più importante della guarigione fisica. Il cieco riceve, con la luce degli occhi, questa luce soprannaturale, prende coscienza che è la fede che illumina. Per la fede in Gesù egli ha ottenuto il miracolo, ma ora capisce che è grazie alla fede in Gesù che viene la vera luce. Infatti, dice san Marco, "subito prese a seguirlo per la strada".
Il miglior commento a questa frase del Vangelo èuna parola di Gesù riportata da Giovanni: "Io sono la luce del mondo; chi segue me avrà la luce della vita". ~ cieco segue Gesù: ha trovato la vera luce, la luce della vita.
È quanto già diceva il Siracide ricordando che soltanto l'Altissimo conosce tutta la scienza. Noi vediamo le cose, ma se non siamo uniti al Signore le vediamo in modo molto superficiale. "L'Altissimo osserva i segni dei tempi, annunziando le cose passate e future e svelando le tracce di quelle nascoste. Nessun pensiero gli sfugge...".
È nella luce di Cristo che noi vediamo la luce. Domandiamogli allora di essere veramente aperti alla sua luce, alla luce della fede, che tante volte ci permette di andare oltre apparenze paradossali, sconcertanti e di vedere il vero senso di tutte le cose. Seguire Cristo per trovare la luce è la vocazione di ogni cristiano. Dobbiamo essere persone illuminate, non nel senso di persòne che seguono la luce propria e si credono ispirate mentre sono nell'illusione, ma persone veramente illuminate, persone il cui volto risplende. Un salmo dice che se noi rivolgiamo la faccia verso il Signore saremo illuminati, e la liturgia lo utilizza sovente, perché è una allusione alla bontà del Signore che ci fa gustare i suoi doni. "Che vuoi che io ti faccia?". "Rabbuni, che io veda!". Domandiamo a Gesù che ci faccia vedere sempre di più, perché possiamo lodare Dio con tutto il cuore e attirare tanti alla vera luce
OFFLINE
29/05/2015 07:08
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Il brano di Vangelo oggi è piuttosto lungo e ci rivela parecchi aspetti della personalità di Gesù, forse in una maniera meno abituale. Noi siamo più abituati a ripetere le parole stesse del Signore: "Imparate da me che sono mite di cuore" e qui invece vediamo che può essere anche molto violento. il suo non è un amore molle, è un amore forte che in certe occasioni si esprime in modo davvero violento: "Entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e comperavano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe...". E l'amore verso il Padre suo e verso di noi che lo fa agire. Egli vuol purificare la casa del Padre, che deve essere "casa di preghiera per tutte le genti" e non "una spelonca di ladri"; egli sa che anche per gli uomini niente è più prezioso della casa di Dio, il luogo dove possono incontrarlo.
Anche l'episodio successivo mette in luce lo stesso duplice amore. A proposito dell'albero di fico che, maledetto da Gesù, è seccato un gesto simbolico che fa vedere la necessità di produrre frutti per essere benedetti da Dio il Signore stesso commenta: "Abbiate fede in Dio! Tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato". Gesù è sempre in intima relazione col suo Padre, sa che il Padre è sorgente inesauribile di doni e perciò ci invita a questa preghiera piena di fede. E nello stesso tempo non si dimentica dell'amore fraterno. Infatti aggiunge subito: "Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni i vostri peccati". L'amore per il Padre è indissolubilmente unito all'amore per gli uomini, gli uomini che egli ama. Per essere in relazione intima con il Padre, per crescere in questo rapporto, bisogna dunque aprire sempre più il cuore all'amore per gli uomini, anche se peccatori, anche se ci hanno offeso, come ha fatto Gesù.
Chiediamo a lui questo amore crescente, forte, generoso, pieno di fede in Dio
OFFLINE
30/05/2015 07:27
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Troviamo, nel brano di Vangelo di oggi, i capi del popolo di Gerusalemme ("i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani") che fanno domande a Gesù con cattiva disposizione verso di lui. La controinterrogazione di Gesù li mette in imbarazzo: non hanno accettato il battesimo di Giovanni, non cercano con purezza di cuore nemmeno Gesù, in fondo cercano il proprio vantaggio, non la verità. Per questo concludono: "Non sappiamo". Non hanno trovato la sapienza!
Maria invece ci è modello nella ricerca della sapienza, perché in lei c'è la pura ricerca della volontà di Dio. Anche lei ha posto una domanda all'Angelo dell'annunciazione: "Come è possibile? Non conosco uomo", ma non è una domanda cattiva, non è una richiesta di segni: è domanda di semplice chiarificazione. Dio accetta sempre queste domande, e la risposta ci giunge attraverso molta preghiera. Anche qui la Madonna ci è maestra:
"Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore". Luca lo dice dopo gli eventi prodigiosi della nascita e lo ripete dopo il ritrovamento di Gesù al tempio. Pure allora Maria fa una domanda, e non capisce subito la risposta di Gesù: "Essi non compresero le sue parole", ma l'atteggiamento della madre è lo stesso: "Serbava tutte queste cose nel suo cuore". Approfondiamo questa parola misteriosa, ricca di contenuti e che ci fa pensare alla Madonna soavemente ricercante la sapienza sul disegno di Dio, che le si svela a poco a poco e al quale aderisce con tutta se stessa. Chiediamo al Signore, per intercessione di Maria, la grazia di seguirla in questo cammino sicuro dell'umiltà che l'ha resa madre del Verbo. Così potremo condurre altri sulla stessa via, per aprirli all'abbondanza delle grazie divine.
OFFLINE
31/05/2015 08:38
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

don Roberto Rossi
Dio è Trinità nell'amore

Chi può conoscere Dio, il Signore?

Gesù ce lo ha rivelato, ce lo ha fatto conoscere. Lui ci ha detto che Dio è il Padre, Dio è il Figlio, Dio è lo Spirito Santo. Così lo conosco, certamente lo amo e cerco di vivere in un rapporto di amore con ogni Persona, contemplando e accogliendo il suo amore infinito.

Un grande maestro di preghiera, p. Andrea Gasparino, ci invitava, quando avevamo la possibilità di un'ora di adorazione in chiesa o un'ora di preghiera in casa, a fermarci a contemplare e a pregare per un quarto d'ora il Padre, un altro, il Figlio, un altro lo Spirito Santo, e l'ultimo quarto d'ora a illuminare la nostra vita concreta con la luce e la forza che proviene dal Signore.

Vi confido che da un po' di tempo quando recito il Gloria, traduco così quella preghiera e cerco di sentire un profondo rapporto personale, dicendo lentamente e varie volte: Gloria a te Padre, gloria a te Figlio, gloria a te Spirito Santo. Mi dà pace, mi dà forza, e durante il giorno mi è più facile collocare le varie azioni davanti al Signore con rettitudine e verità. Dio è Amore: è bello se riesco a vivere anch'io nell'amore. "Dio è amore e chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui", così ci dice l'apostolo Giovanni.

Dio è comunione di Persone: è bello se riusciamo a vivere la comunione fraterna, come riflesso della Trinità, nella famiglia, nei gruppi, nella parrocchia, nella società, nella comunità degli uomini.

La verità e la vita di Dio è la comunione delle Tre Persone. Ciò che è verità e vita in Dio è verità e la vita negli uomini, pensati e creati a sua immagine.

Noi uomini abbiamo bisogno di vivere in comunione, di costruire la pace, di promuovere la dignità di tutti, di essere la grande famiglia umana, il Corpo di Cristo, membra gli uni degli altri, di essere "una cosa sola". Gesù ha pregato "che siano una cosa sola, come Io e Te Padre siamo una cosa sola".

Provvidenzialmente celebriamo in questa solennità della Trinità la festa di Maria Ss. Regina della Pace. Il nostro amore alla Madonna in questa conclusione del mese di Maggio diventa preghiera e implorazione della pace, per le coscienze, per le famiglie, per la Chiesa, per l'intera umanità. E quanto bisogno c'è di pace!

Dall'esperienza vissuta In Kurdistan, riporto alcune espressioni di vera fede, là dove si vivono le conseguenze delle guerre e delle persecuzioni.

"In una notte, per la fede, abbiamo lasciato tutto, abbiamo perso tutto, ma ringraziamo Dio, non abbiamo perso la nostra fede.

Un uomo: "Nel Vangelo c'è scritto tutto... sarete perseguitati, ma perseverate: Io ho into il mondo". "Gesù ha detto: pregate per i vostri nemici".

Una ragazza: La fede è una cosa grande, più grande di quello che uno può immaginare, perché la si vive dentro. Vorrei dire a tutti i giovani: Rimante in Gesù Cristo, non credete a nessun altro".

Una bambina alla quale ho chiesto: "Tu vuoi bene a Gesù?" "Lo amo più di tutto al mondo, più di tutto al mondo, più di tutte le cose...". "Come?" " Sento che Gesù mi ama e anch'io lo amo. Dove vado sempre Gesù sta con me, per questo ogni cosa che chiedo a Gesù, Gesù mi dà, perché Lui mi ama e io lo amo" e conclude: "Voglio dire a tutti: Amate Gesù Pregate Gesù""

Questo è sentire l'amore di Dio, questo è vivere l'amore ai fratelli, questo è pregare e perdonare i nemici, sull'esempio e con la forza dello Spirito di Gesù.
OFFLINE
01/06/2015 09:43
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

UNA LUCE PER IL NOSTRO TEMPO. Il nostro secolo, che cerca un modello di santità vissuta nelle responsabilità quotidiane, potrebbe trovarlo benissimo in Giustino. Egli fu infatti un discepolo di Gesù Cristo, esemplare per la serietà della sua indagine intellettuale, come per la fedeltà alla sua fede. Sempre in cerca della verità, dopo averla scoperta in Gesù Cristo, non smette di approfondirla. Nel suo continuo cercare rende evidente il dono totale fatto di se stesso a Cristo, che lo porterà fmo al martirio. Uomo retto e fedele, Giustino fu sale e luce (7. ) per gli uomini del suo tempo.

FOLLIA DELLA CROCE (Colletta e L.). Giustino non arrivò alla "mirabile conoscenza del mistero del Cristo" soprattutto attraverso le sue ricerche intellettuali, bensì mediante la fedeltà alla fede che lo porterà sino al martirio. Coi libri che ci ha lasciato, ma più ancora col suo eroico sacrificio, egli proclama anche oggi che gli uomini non vengono salvati dalla loro saggezza, né dall'ostentazione di segni straordinari. Vengono salvati dalla Croce, follia e scandalo per gli uomini, potenza e sapienza di Dio.
OFFLINE
02/06/2015 09:45
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Tb.2,9ss
Nella prima lettura una frase mi sembra degna di attenzione: nella "disgrazia della cecità che lo aveva colpito Tobi rese grazie al Signore per tutti i giorni della sua vita". E impressionante: un uomo colpito da un grave male rende grazie a Dio! Eppure è questo sempre l'atteggiamento giusto, anche nella prova, non certo per la prova in se stessa, ma per i doni del Signore che continuano anche nella prova. Tobia che rende grazie è figura di Gesù che nell'Ultima Cena, prima della passione, ringrazia il Padre prendendo il pane che doveva diventare il suo corpo, dato per noi. Gesù ha riconosciuto nella Passione un dono del Padre. Dopo di lui e in lui ogni prova è una possibilità, un'occasione di amore in unione a tutti quelli che soffrono e quindi è giusto che ci sia rendimento di grazie per l'amore che Dio vuol comunicarci.
Nel Vangelo odierno Gesù, alla domanda insidiosa dei farisei, dà una risposta semplice e complessa insieme, che si può spiegare in molti modi. Oggi mi sembra utile sottolineare il senso di coerenza che egli insegna ai suoi avversari. "E lecito o no dare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare o no?". Gesù sa che cercano un pretesto per accusarlo, ma non si sottrae: "Portatemi un denaro". Glielo portano e così dimostrano che loro stessi usano questo denaro, che approfittano dell'organizzazione romana, che esercitano il loro commercio, che guadagnano, che sono quindi inseriti per il loro interesse nella struttura creata dal potere pagano. Perché dunque non pagare le imposte? U loro vuol essere un rifiuto per motivi religiosi, o con pretesti religiosi, o semplicemente per desiderio di indipendenza. Ma Gesù mette in evidenza la loro incoerenza, dicendo loro: "Se accettate l'immagine di Cesare per la vostra vita, per coerenza dovete rendere a Cesare quel che è di Cesare". E aggiunge subito: "E a Dio quel che è di Dio", che è la cosa fondamentale, ma non esclude l'altra.
In realtà nella vita ci sono situazioni non del tutto logiche, ma anche in esse i cristiani devono contribuire al bene dello stato in modo disinteressato, anche quando sono perseguitati, per partecipare alla bontà di Dio. San Pietro scrive nella sua prima lettera: "State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore", e aggiunge: "Comportatevi come uomini liberi,... come servitori di Dio". La coerenza della Chiesa non consiste nell'accettare tutto, ma solo a ciò che contribuisce al bene. Certo, questa è una vita travagliata, che si accetta con spirito evangelico per contribuire positivamente alla vita del paese, con il coraggio di aderire o di rifiutare le situazioni a seconda che rispondano o no al vero bene dell'uomo.
OFFLINE
03/06/2015 07:32
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota


Sant' Adalberto (Adelberto) Vescovo di Como

3 giugno


VII secolo

Etimologia: Adalberto = di illustre nobiltà, dal tedesco








Nulla di certo si conosce sulla figura e sull'attività di Adalberto. Il suo episcopato va collocato probabilmente tra il terzo e il quarto decennio del sec. VII. Il suo nome figura nei cataloghi episco­pali dopo quello di s. Rubiano, il successore di s. Agrippino (+ dopo il 617). Gli antichi storici lo­cali hanno riferito su A. alcune notizie a carattere favoloso. Originario della Croazia, Adalberto sarebbe ve­nuto a Como, per ossequiare il suo concittadino Rubiano, che reggeva quella diocesi. Si noti, tut­tavia, che per quanto riguarda s. Rubiano, pre­sentato come discepolo di s. Agrippino, venuto a Como da Aquileia, l'origine croata non offre diffi­coltà. Adalberto sarebbe stato trattenuto a Como da s. Ru­biano, a cui poi sarebbe stato chiamato a succedere.
La leggenda narra che, accusato presso il papa di incontinenza, Adalberto riuscì a trionfare di tali calun­nie con l'evidenza della sua vita santa, del suo ze­lo apostolico e dei suoi poteri taumaturgici. In tale occasione volle recarsi anzi personalmente a Roma, dove compì alla presenza del papa vari prodigi, annunziando tra l'altro che la sua morte sarebbe seguita alla recuperata piena facoltà visiva dello stesso pontefice, che era monocolo. Il pontefice, poi, allorché guarì, si sarebbe recato a Como, dove assi­sté il santo vescovo sul letto di morte e partecipò ai suoi funerali.
Si noti che secondo la leggenda tale papa sa­rebbe stato Urbano II (1088-1099), che gli storici seguenti mutarono in Bonifacio IV (f 615), erro­neamente ritenuto contemporaneo di Adalberto.
Non si può determinare l'anno della morte di Adalberto. Fu sepolto nella chiesa dei SS. Apostoli, che dall'818 si chiamò di S. Abbondio. Le sue reliquie, in seguito, furono collocate, insieme con quelle di s. Rubiano, sotto un altare a loro dedicato. Nel 1580 vi fu una ulteriore traslazione delle reliquie dei due santi vescovi, collocate in parte nella cattedrale sotto l'altare del Crocefisso, in parte nella chiesa dei domenicani di S. Giovanni. La festa di Adalberto era celebrata il 7 lugl., e in tal data era ricordato anche nel breviario patriarchino del 1519-23; in seguito fu spostata al 3 giugno.


Autore: Gian Michele Fusconi

OFFLINE
04/06/2015 08:34
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Ci dà sempre gioia ascoltare il Signore dirci che il primo comandamento è amare e che anche il secondo è amare: amare Dio e il prossimo, e che non c'è comandamento maggiore. Ci dà gioia perché corrisponde in pieno al desiderio del nostro cuore che è fatto per amare, che vuole amare. Dio, comandandoci di amare, viene incontro a questo profondo desiderio dell'uomo.
Potrebbe sorgere in noi una domanda: se questo desiderio è così profondo in noi, che necessità c'era di farne un comando? Non è neppure possibile comandare l'amore, l'amore non si comanda, è spontaneo, o c'è o non c’e.
In un certo senso è vero che non si può comandare di amare. Se Dio non avesse messo nel cuore dell'uomo l'anelito profondo verso l'amore, il suo comandamento sarebbe veramente stato inutile. Noi dobbiamo prima ricevere da Dio il dono di amare, per potere poi osservare questo comandamento. Però esso non è inutile, perché l'amore non è un dinamismo spontaneo: esige la nostra collaborazione, esige che mettiamo al suo servizio tutte le nostre capacità di pensiero, di affetto, di azione. Amare con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutta la forza non ci è dato subito, dobbiamo lentamente crescere nell'amore. il nostro amore è debole, è limitato, è mescolato a cose che lo inquinano e l'esperienza ce lo conferma continuamente. E per questa ragione che il comandamento è necessario e che in noi l'amore ha bisogno di tutte le attenzioni e di tutti gli sforzi, come una pianticella fragile ha bisogno di cure per svilupparsi.
Nella prima lettura abbiamo un bellissimo esempio, molto importante per l'educazione dell'amore. L'amore dell'uomo per la donna, della donna per l'uomo è un dono di Dio, che ha posto in noi questa profonda tendenza. Ma questo amore, nello stato di decadenza in cui il peccato ci ha posto, è terribilmente viziato dall'egoismo; il desiderio sessuale è un aiuto all'amore, ma in un altro senso può diventare un grave ostacolo, se si cerca nell'altro soltanto la propria soddisfazione. Tobia e Sara ne sono coscienti e si dimostrano fedeli all'amore. Dice infatti Tobia a Sara: "Sara, levati, preghiamo Dio... Noi siamo figli di santi e non possiamo unirci alla maniera di quelli che non conoscono Dio". E nella preghiera a Dio: "Signore, tu sai che io prendo in moglie questa mia parente non per passione, ma solo per il desiderio di una discendenza". Vediamo dunque, in questa drammatica storia, come il dinamismo che ci spinge verso l'amore può essere in noi profondamente bisognoso di purificazione.
Questo è vero per l'amore dell'uomo per la donna nel matrimonio, e lo è anche nelle altre relazioni interpersonali. Sempre noi abbiamo tendenza a strumentalizzare gli altri per i nostri fini, ad "usarli" invece di amarli, a cercare in loro ciò che ci piace, ciò che soddisfa un nostro bisogno. Per essere fedeli al comandamento dell'amore dobbiamo resistere a questa tendenza, non dobbiamo lasciare che l'amore sia profanato dall'egoismo, ma lavorare con pazienza a purificarlo.
D'altra parte il nostro amore ha bisogno di essere reso forte. Di fronte agli ostacoli facilmente ci scoraggiamo e lasciamo cadere la nostra speranza. Diciamo: amare è impossibile, amare incontra tante difficoltà... Non si è capiti, non si è corrisposti... Eppure, se veramente si vuol amare, bisogna affrontare tanti sacrifici, bisogna rinunciare a se stessi. Bisogna, in una parola, essere forti, perché il nostro amore sappia affrontare con generosità ogni sacrificio, superare gli ostacoli, non scoraggiarsi dell'ingratitudine. Ecco perché è necessario ascoltare spesso questo comandamento: "Tu amerai... Tu amerai..." per perseverare nel cammino dell'amore, senza scoraggiamenti, senza ripiegamenti su se stessi, senza rinunciare all'amore.
Gesù dunque ci ripete il comandamento scritto nella legge di Dio. Ma non si accontenta di ripetercelo, di prescrivercelo come una legge esteriore: egli lo ha realizzato in se stesso e celo dà. Se vogliamo amare, dobbiamo ricorrere al suo cuore. Amare con il suo cuore è il solo modo di avere un amore purificato e veramente forte, perché nella sua passione Gesù ha purificato l'amore umano e lo ha reso straordinariamente forte, vivendolo in circostanze assolutamente contrarie ad ogni egoismo. Amare come ha fatto Gesù, morendo su una croce, è amare in modo estremamente puro ed estremamente forte. Possiamo anzi dire che nella passione Gesù ha creato l'amore puro e forte.
Se dunque vogliamo adempiere il comandamento dell'amore, abbiamo un unico mezzo: uscire da noi stessi, rinunciare, in un certo senso, al nostro cuore e accettare, prendere il cuore di Cristo. "Il mio cuore è vostro", dice il Signore. Istituendo l'alleanza nuova egli ha proprio voluto darci un cuore nuovo
OFFLINE
05/06/2015 08:04
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Casa di Preghiera San Biagio FMA
Commento su Seconda Timoteo 3,16-17

Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.
2Tm 3,16-17

Come vivere questa Parola?

La Bibbia (o Sacra Scrittura) non è un libro facile in tutte le sue parti. È bene leggerlo con l'aiuto di una guida e di qualche buon commento esegetico che aiuti a distinguere la verità sempre attuale della Parola di Dio da rivestimenti letterari legati all'epoca e all'aspetto antropologico dei destinatari a cui, a suo tempo, si sono rivolti i vari autori in un lunghissimo arco di storia.

Precisato questo, resta il fatto inconfutabile che la Sacra Scrittura è veramente Parola del Signore. Chi scrive, pur con le sue particolarità di carattere, di esperienze umane e di stile è pur sempre "portavoce di Dio", ispirato da lui. Proprio perché sostanzialmente è Lui e non un uomo a rivolgersi a chi legge, la Parola insegna, convince, corregge ed educa nella giustizia. Sì, fa tutto questo contemporaneamente.

Un'altra cosa è necessaria: il cuore deve essere aperto alla fede. Bisogna leggere con gli occhi del cuore illuminati dallo Spirito Santo e dunque con volontà docile a mettere in pratica ciò che la Parola dice. Diversamente la Bibbia resta un libro chiuso. Tutt'al più serve per rendere eruditi, non per imparare a vivere con saggezza.

Oggi, nel mio rientro al cuore, mi spalanco allo Spirito perché renda vivo in me lo stupore e il grazie per il dono della Parola.

Spirito di luce e d'amore aprimi oggi e sempre alla Parola di Dio. Fa' che io l'accolga con venerazione e mi lasci da essa istruire, convincere e anche correggere.

Le parole di un vescovo martire

La Parola resta. E questa è la grande consolazione di chi predica. La mia voce scomparirà, ma la Parola che è Cristo resterà nei cuori di quanti lo avranno voluto accogliere. Fratelli, custodite questo tesoro. Non è la mia povera parola a seminare speranza e fede; è che io non sono altro che l'umile risuonare di Dio in questo popolo.
Oscar Romero
OFFLINE
06/06/2015 08:17
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Il Vangelo di oggi ci fa vedere come dobbiamo unire nella nostra vita di cristiani l'umiltà, la povertà, la carità. All'inizio il Signore ci mette in guardia contro la tentazione di cercare la stima degli uomini, come gli scribi, che perfino nel culto ne vanno in cerca: "Amano avere i primi seggi nelle sinagoghe, ostentano di fare lunghe preghiere" e non pensano che il vero culto a Dio è l'umiltà. Certo, non è un male desiderare la stima degli altri, è normale, però se il nostro agire è mosso solo dalla ricerca della stima non ne siamo più degni. Se amiamo "ricevere saluti nelle piazze, avere i primi posti nei banchetti", siamo egoisti e superbi e nel rischio di "ricevere una condanna grave": sono parole di Gesù.
La carità che piace a Dio è piena di umiltà, priva di ogni autocompiacimento. Dobbiamo stimare molto tutte le azioni nelle quali carità e umiltà sono unite, perché in esse la carità è custodita dall'umiltà e l'umiltà non è vuota, ma serve alla carità. In questa pagina della Scrittura vediamo con quale delicatezza il Signore fa l'elogio di questa donna povera e vedova, due attributi che nella società del tempo attiravano disprezzo. Io ricordo di aver ascoltato le lamentele di una vedova che, avendo fatto un'offerta modestissima perché era molto povera, era stata disprezzata ed era veramente desolata. Le raccontai questa scena del Vangelo, mostrandole che il Signore non misura le offerte secondo la quantità di denaro, ma secondo la generosità del cuore e guarda con maggior amore quelli che danno con umiltà, senza ricevere la ricompensa della stima altrui. Li stima di più di quelli che possono dare molto e ricevono una ricompensa imrnediata nella gratitudine, negli onori che si tributano ai ricchi generosi. E ricordo che questa donna fu veramente consolata, al pensiero di essere così ben capita dal Signore stesso. Due spiccioli di una povera vedova valgono di più davanti al Signore di unà somma grandissima data da un ricco che nell'offrire non si priva di nulla: "Tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere".
Questa è proprio l'elemosina che è "assai meglio che accumulare tesori, libera dalla morte, purifica dai peccati" come disse l'Angelo a Tobia e a suo figlio, perché e un atto di carità vera.
Chiediamo al Signore che nelle nostre azioni ci sia sempre l'unione della carità e dell'umiltà, perché esse siano sempre gradite ai suoi occhi
OFFLINE
07/06/2015 08:11
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

padre Ermes Ronchi
Festa delle comunione, Dio dona se stesso

Nella cornice di una cena, la novità di Gesù: Dio non si propone più di governare l'uomo attraverso un codice di leggi esterne, ma di trasformare l'uomo immettendogli la sua stessa vita. La novità di un Dio che non spezza nessuno, spezza se stesso; non chiede sacrifici, sacrifica se stesso; non versa la sua ira, ma versa "sui molti" il proprio sangue, santuario della vita.
In quella sera, cibo vita e festa sono uniti da un legame strettissimo. Spesso trasformiamo l'ultima Cena in un'anticipazione triste della passione che incombe, mentre Gesù fa esattamente il contrario: trasforma la cronaca di una morte annunciata in una festa, una celebrazione della vita. Quella cena prefigura la resurrezione, mostra il modo di agire di Dio: dentro la sofferenza e la morte, Dio suscita vita. E Gesù ha simboli e parole a indicare la sua morte ma soprattutto la sua infinita passione per la vita: questo è il mio corpo, prendete; e intende dire: vivetene!
E mi sorprende ogni volta come una dichiarazione d'amore: "io voglio stare nelle tue mani come dono, nella tua bocca come pane, nell'intimo tuo come sangue, farmi cellula, respiro, pensiero di te. Tua vita".
Qui è il miracolo, il batticuore, lo stupore: Dio in me, il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola. Lo dice benissimo Leone Magno: partecipare al corpo e al sangue di Cristo non tende ad altro che a trasformarci in quello che riceviamo.
Con il suo corpo Gesù ci consegna la sua storia: mangiatoia, strade, lago, volti, il duro della Croce, il sepolcro vuoto e la vita che fioriva al suo passaggio. Con il suo sangue, ci comunica il rosso della passione, la fedeltà fino all'estremo. Vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo della sua vita, che nel cuore metta radici il suo coraggio, perché ci incamminiamo a vivere l'esistenza umana come l'ha vissuta lui.
Corpo e sangue, donati: ogni volta che anche noi doniamo qualcosa, si squarciano i cieli. Corpo e sangue, presi: ogni volta che ne prendo e mangio è la mia piccola vita che si squarcia, si trasforma e sconfina per grazia.
Festa della comunione: a riportare nel mondo questa verità, a riscoprire questo immenso vocabolo è stato Gesù. Senso definitivo del nostro andare e lottare, del nostro piangere e costruire, «fine supremo fissato da Cristo stesso a tutta l'umanità è il dono della comunione» (S. Bulgakov). Che si estende ad abbracciare tutto ciò che vive quaggiù sotto il sole, i nostri fratelli minori, le piccole creature, il filo d'erba, l'insetto con il suo misterioso servizio alla vita, in un rapporto non più alterato dal verbo prendere o possedere, ma illuminato dal più generoso dei verbi: donare
OFFLINE
08/06/2015 08:13
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Il tema comune alle letture della Messa odierna è la consolazione dopo la desolazione. "Beati gli afflitti perché saranno consolati" è una delle beatitudini; san Paolo nella lettera ai Corinzi porta l'esempio di se stesso: è appena passato attraverso una grande tribolazione, tanto che più avanti dirà che disperava perfino della vita, ma in questa tribolazione ha ricevuto la consolazione di Dio e ora lo benedice: "Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione". Anche il salmo ha lo stesso tema: "Ho cercato il Signore e mi ha risposto e da ogni timore mi ha liberato... Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo libera da tutte le sue angosce". E un messaggio di gioia e di consolazione molto prezioso.
Però dobbiamo renderci conto che la condizione per essere consolati è proprio di accettare prima la tribolazione, la desolazione: Dio non può consolare se non quelli che sono desolati.
Questo è il senso di tutte le beatitudini. È necessaria una situazione negativa, perché Dio in essa possa compiere la sua opera positiva. "Beati gli afflitti non coloro che sono nella felicità, nella gioia beati gli afflitti perché saranno consolati". E san Paolo: "Come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione". Bisogna lottare con Dio nella desolazione per ricevere la vittoria, la consolazione divina, perché non c e vittoria senza combattimento. Impariamo dunque a vedere la desolazione come condizione per ricevere la gioia divina.
Certo, la desolazione pesa ed è insieme una tentazione di non credere più a Dio, di non aver fiducia, quando invece Dio in quella circostanza vuol consolarci, e ci consola se lottiamo con lui, rimanendo fermi nella fede e nella speranza.
Lottare come? Lottare nella preghiera, una preghiera difficile, perché nella vera desolazione non c e più voglia di pregare, ma una preghiera intensa, vera, fatta rimanendo vicino alla croce di Gesù. Allora le nostre sofferenze diventano veramente "le sofferenze di Cristo in noi", preludio della vittoria e della consolazione, che ci fa cantare: "Gustate e vedete quanto è buono il Signore!". Soltanto dopo la vittoria si può avere la certezza gioiosa e beatificante della bontà di Dio.
In san Paolo l'esperienza della tribolazione e della consolazione è una esperienza apostolica: "Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione" perché combattimento e vittoria egli li vive per diffondere e consolidare la fede. E la consolazione "si dimostra nel sopportare con forza le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo". E dunque un cammino che egli traccia per tutti i fedeli, da vero Apostolo.
Domandiamo al Signore la luce per capire il valore delle tribolazioni e l'aiuto a rimanere, nelle prove, fermi nella fede, fermi accanto alla croce di Cristo, finché giunga la vittoria, nella consolazione divina
OFFLINE
09/06/2015 07:29
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Ieri la liturgia ci ha presentato il tema della consolazione, oggi troviamo quello della fedeltà.
"Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore...": il sale non deve diventare insipido, deve conservare le sue proprietà, deve cioè essere fedele a se stesso. Così noi dobbiamo essere fedeli al nostro essere figli di Dio, per impedire al mondo, che è pieno di corruzione, che tende alla corruzione, di imputridire.
"Voi siete la luce del mondo", una luce che si accende e non deve spegnersi, "per far luce a tutti quelli che sono nella casa".
San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi risponde alle critiche e ai giudizi di incostanza che erano stati fatti contro di lui, difendendo la propria fedeltà: "Dio è testimone che la nostra parola verso di voi non e si e "no"", e si appella alla fedeltà di Dio. Realmente "la fedeltà del Signore rimane in eterno". Tutto ciò che Dio fa è costante, Dio non rinuncia a nessun suo progetto, non si scoraggia per quanti ostacoli possa incontrare la sua azione, sempre cerca il bene che ha concepito, ama con fedeltà assoluta: Dio è fedele, Dio non è"sì" e "no". E in Gesù c'è stato il "sì".
Quello che Gesù ci chiede: "Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli", egli lo ha già attuato. Figlio del Padre, lo ha glorificato con l'essere il "si" di Dio. E una definizione splendida. Gesù ha posto il "sì" a tutte le promesse di Dio, che in lui sono diventate beni attuali; Gesù è stato il "si" compiendo sempre la volontà del Padre: "Faccio sempre quello che gli piace". Possiamo dunque appoggiarci su di lui con sicurezza, anzi dobbiamo appoggiarci su di lui. Noi uomini siamo incostanti e troviamo sempre pretesti per giustificare la nostra infedeltà; il "si" di Dio in Gesù invece è per sempre. Per sempre Dio ci ama, per sempre Dio ci usa misericordia, per sempre Dio ci sostiene nelle prove.
Apriamoci ad accogliere la fedeltà divina, il cui pensiero ci riempie di gioia e chiediamo al Signore la grazia di fortificare la nostra fedeltà a lui, perché gli uomini vedano le nostre opere buone e gli diano gloria
OFFLINE
10/06/2015 07:27
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Nella prima lettura Paolo esprime tutto il suo entusiasmo per la nuova alleanza, incomparabile dono della Trinità agli uomini: Dio Padre, Figlio, Spirito Santo li invitano a entrare nella loro intimità. L'Apostolo nomina le tre persone all'inizio di questo passo, dicendo che è per mezzo di Cristo che egli ha fiducia davanti a Dio (il Padre), che lo ha reso ministro di una alleanza dello Spirito. Cristo, il Padre, lo Spirito. E questo dono della nuova alleanza si realizza specialmente nell'Eucaristia, in cui il sacerdote ripete le parole di Gesù: "Questo calice è il sangue della nuova alleanza".
Anche noi dovremmo essere, come Paolo, pieni di entusiasmo per l'alleanza nuova, questa splendida realtà che viviamo, l'alleanza data dalla Trinità alla Chiesa, l'alleanza nuova che rinnova tutte le cose, che ci mette continuamente in una novità di vita, facendoci partecipare al mistero della morte e della risurrezione di Cristo. Il sangue della nuova alleanza, che riceviamo nell'Eucaristia, ci unisce a lui, mediatore della nuova alleanza.
San Paolo fa un confronto tra l'antica e la nuova alleanza. L'alleanza antica egli dice era incisa in lettere su pietre. È un'allusione trasparente all'alleanza del Sinai, quando Dio aveva inciso sulla pietra i comandamenti, la sua legge, che doveva essere osservata per rimanere nell'alleanza con lui. Paolo oppone questa alleanza l'alleanza "della lettera" all'alleanza "dello Spirito".
L'alleanza della lettera è incisa su pietre ed è fatta di leggi esteriori, l'alleanza dello Spirito è interiore ed è scritta nei cuori, come dice il profeta Geremia.
Si tratta, più precisamente, di una trasformazione del cuore: Dio ci dà un cuore nuovo per infondervi uno Spirito nuovo, il suo Spirito. La nuova alleanza è dunque l'alleanza dello Spirito, dello Spirito di Dio. È lui la nuova alleanza, è lui la nuova legge interiore. Non più una legge fatta di comandamenti esteriori, ma una legge consistente in un impulso interiore, nel gusto di fare la volontà di Dio, nel desiderio di corrispondere in tutto all'amore che viene da Dio e ci guida a Dio, all'amore che rende partecipi della vita della Trinità.
La lettera uccide dice san Paolo lo Spirito dà vita". La lettera uccide proprio perché si tratta di precetti che, se inosservati, provocano la condanna. Lo Spirito invece dà vita perché rende capaci di fare la volontà di Dio e la volontà divina è sempre vivificante, lo Spirito è una vita, un dinamismo interiore. Per questo la gloria della nuova alleanza è molto superiore a quella dell'antica.
A proposito dell'alleanza antica Paolo parla di ministero della morte pensando alle pene comminate in essa per impedire ai figli di Israele di errare: poiché la forza interiore non c'era, l'unico risultato era di procurare la morte. E tuttavia questo ministero della morte fu circondato di gloria: gli Israeliti non potevano fissare lo sguardo sul volto di Mosè quando discese dal Sinai, né quando tornava dalla tenda del convegno, tanto esso risplendeva. San Paolo argomenta allora: "Quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito!". Non si tratta di ministero della morte, ma della vita: se il ministero della condanna era glorioso, quanto più lo sarà quello che giustifica! Da un lato la morte, dall'altro la vita, da un lato la condanna, dall'altro la giustificazione; da un lato una gloria effimera, dall'altro una gloria duratura, perché la nuova alleanza ci stabilisce per sempre nell'amore
OFFLINE
11/06/2015 08:08
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Il Signore Gesù rivela il suo cuore in ogni pagina del Vangelo. In quella di oggi, che è un discorso di missione, vediamo la magnanimità del suo cuore. La povertà del Vangelo non è da pensare come "strettezza", ma come apertura nella fiducia e nella generosità: così testimoniano le parole di Gesù e così l'ha vissuta san Bamaba. Gesù vuole che siamo poveri perché ci vuole liberi e in grado di donare largamente a tutti, per il regno di Dio. "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date".
Nella storia di san Barnaba vediamo realizzata questa pagina. Un altro passo degli Atti degli Apostoli racconta che egli, possedendo un campo, lo vendette per darne il ricavato agli Apostoli, mettendo in pratica alla lettera la richiesta di Gesù al giovane ricco: "Vendi quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi". La fiducia in Dio che lo spinge a questo gesto si accompagna in lui alla fiducia negli altri. Arrivato ad Antiochia, invece di angustiarsi e preoccuparsi per questi "pagani" appena convertiti al Vangelo, Barnaba ha una reazione aperta, piena di fiducia: "Quando giunse e vide la grazia del Signore, si rallegrò". Non è un uomo che spegne gli slanci altrui con preoccupazioni di osservanze minuziose, è "virtuoso, pieno di Spirito Santo e di fede" e esorta tutti "a perseverare con cuore risoluto nel Signore": importante è soprattutto aderire a Cristo. E così "una folla considerevole fu condotta al Signore".
E qui si rivela un altro tratto della sua larghezza di cuore. Invece di riservare a sé il monopolio dell'apostolato in un campo così fecondo, va a Tarso a cercare Saulo: "Trovatolo, lo condusse ad Antiochia". E quando Paolo diventerà più importante di lui nell'apostolato fra i pagani, di Barnaba si può ripetere quello che gli Atti dicono del suo arrivo ad Antiochia: "Vedendo la grazia del Signore, si rallegrò".
Ma Barnaba non si ferma all'incoraggiamento degli altri. E veramente tutto a disposizione di Cristo, per questo lo Spirito Santo può riservarlo a sé per una missione più universale: l'evangelizzazione di tutte le nazioni.
Fiducia e generosità fondate nella vera povertà del cuore: ecco che cosa vediamo splendere nella vita di san Barnaba.
Domandiamo al Signore di aiutarci a camminare con gioia sulla stessa via, ad essere cioè persone di benevolenza, di disponibilità, di incoraggiamento per quelli che avviciniamo
OFFLINE
12/06/2015 07:12
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Movimento Apostolico - rito romano
Non gli sarà spezzato alcun osso


L'agnello Pasquale è salvezza dei primogeniti dalla morte. Israele è il primogenito di Dio. Era anche nutrimento per sostenere il cammino verso la pienezza della libertà. La Cena Pasquale in Israele veniva celebrata con un rito perenne di generazione in generazione. Anche Gesù la celebrava ogni anno con grande solennità.

Il Signore disse a Mosè e ad Aronne in terra d'Egitto: «Questo mese sarà per voi l'inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell'anno. Parlate a tutta la comunità d'Israele e dite: "Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo piccola per un agnello, si unirà al vicino, il più prossimo alla sua casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l'agnello secondo quanto ciascuno può mangiarne. Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell'anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre e lo conserverete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l'assemblea della comunità d'Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po' del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull'architrave delle case nelle quali lo mangeranno. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nell'acqua, ma solo arrostito al fuoco, con la testa, le zampe e le viscere. Non ne dovete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato, lo brucerete nel fuoco. Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore! In quella notte io passerò per la terra d'Egitto e colpirò ogni primogenito nella terra d'Egitto, uomo o animale; così farò giustizia di tutti gli dèi dell'Egitto. Io sono il Signore! Il sangue sulle case dove vi troverete servirà da segno in vostro favore: io vedrò il sangue e passerò oltre; non vi sarà tra voi flagello di sterminio quando io colpirò la terra d'Egitto. Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne. Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: «Questo è il rito della Pasqua: nessuno straniero ne deve mangiare. Quanto a ogni schiavo acquistato con denaro, lo circonciderai e allora ne potrà mangiare. L'ospite e il mercenario non ne mangeranno. In una sola casa si mangerà: non ne porterai la carne fuori di casa; non ne spezzerete alcun osso. Tutta la comunità d'Israele la celebrerà. Se un forestiero soggiorna presso di te e vuol celebrare la Pasqua del Signore, sia circonciso ogni maschio della sua famiglia: allora potrà accostarsi per celebrarla e sarà come un nativo della terra. Ma non ne mangi nessuno che non sia circonciso. Vi sarà una sola legge per il nativo e per il forestiero che soggiorna in mezzo a voi».(Cfr. Es 12,1-49).

Gesù è il vero Agnello della Pasqua. La sua carne è offerta in sacrificio per il perdono dei peccati e mangiata perché si possa percorrere il cammino fino al raggiungimento della perfetta libertà, che è da ogni peccato, vizio, trasgressione, disobbedienza. Il suo sangue è bevuto come vita eterna che deve scorrere nelle nostre vene per vivere l'alleanza stipulata con Dio sul fondamento del nuovo comandamento dell'amore.

Gesù si immola sul Calvario ed è dal suo costato squarciato che sgorga la nuova vita per l'umanità intera. Lui è il nuovo tempio di Dio dal quale fuoriesce l'acqua e il sangue che dovranno riportare la vera vita sulla nostra terra. È divinamente grande il mistero di Gesù. Oltre ogni pensiero umano. Chi non si immerge in quest'acqua e in questo sangue, chi non se ne sazia, chi li trascura, chi li disprezza, sappia che per lui non ci sarà vita né sulla terra e né nell'eternità beata, perché è Lui la vita di ogni

OFFLINE
13/06/2015 08:27
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Si dice che una cosa è immacolata quando è priva di qualsiasi macchia. Ciò che è immacolato non ha né difetti né imperfezioni. Quando uno dice: "Questa stanza è immacolata", intende dire che la stanza è molto pulita. Dire a qualcuno: "Appari immacolato" significa che i suoi abiti sono stirati con eleganza e non fanno una grinza, mentre si presenta in ordine anche nel resto: capelli, unghie, barba: tutto è perfettamente apposto. Il cuore è l’organo del corpo che pompa sangue attraverso il sistema circolatorio. Però, la parola "cuore" si riferisce spesso al centro emozionale di una persona. L’amore e l’odio, il coraggio e la paura, la fiducia e l’offesa sono ritenuti come aventi la loro sede nel cuore. Dire a uno: "Abbi cuore" comporta un riferimento alla compassione umana. Certe funzioni, che sono localizzate nel cervello, vengono alle volte considerate come se fossero nel cuore. Maria, la Madre di Gesù, "serbava tutte queste cose nel suo cuore". Dopo la nascita di Gesù e la visita dei pastori, Maria "serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Lc 2,19). Fece cosi anche dopo che ebbe ritrovato Gesù dodicenne nel Tempio (Lc 2,5 1). Nel cuore puro della Madre di Dio, erano conservate le meraviglie della rivelazione di Dio al suo popolo.
Dio continua a rivelarsi nel cuore degli uomini. Ciò avviene spesso come una meditazione: uno sta seduto con calma e, senza dire una parola, riflette sugli eventi della giornata; cerca la presenza di Dio nel quotidiano della vita, negli incontri sul lavoro, nelle conversazioni durante il pranzo, mentre nella sua auto torna a casa alla sera, a tavola in famiglia durante la cena, ecc. In questi eventi, si può scoprire che è Dio che guida e porta avanti ogni cosa; è lui che aiuta a crescere nella grazia, a comprendere le sue vie. Riflettendo su queste cose. uno le serba nel suo cuore
OFFLINE
14/06/2015 06:37
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

fr. Massimo Rossi
Commento su Marco 4,26-34

Il Signore parla spesso di sementi, di seminatori, di semina, di potatura di vigne, di mietitura, di vendemmia... evidentemente il ciclo agricolo della natura di rivela uno dei paradigmi più adeguati - o meno inadeguati - per rivelarci qualcosa della bontà di Dio, del Regno dei Cieli; soprattutto, queste parabole ci insegnano ciò che possiamo e dobbiamo fare per corrispondere alla bontà di Dio e preparare l'avvento del Regno dei Cieli.
Due sono gli atteggiamenti che il credente deve incarnare, o meglio, tre: il primo è il lavoro cosiddetto di semina, il secondo atteggiamento è la pazienza di attendere il frutto della semina; il terzo (atteggiamento) è la fatica del raccolto. C'è un tempo, direbbe Qoelet, per seminare, un tempo per aspettare che il seme germogli e produca frutto, infine un tempo per mietere e vendemmiare.
Personalmente non mi intendo né di semina, né di raccolto... Del resto, neppure il Signore era contadino di mestiere, ma falegname; tuttavia, come Dio, era maestro anche nel lavoro della terra... Gesù si rivolgeva a gente che lavorava nei campi, che pascolava pecore, cammelli, maiali,...; dunque parlava loro con parole ed esempi che potessero capire tutti; se fosse vissuto ai nostri giorni, da noi occidentali, verosimilmente avrebbe usato altri esempi, altre parabole, in linea con i nostri usi e costumi quotidiani.
Il senso rimane tuttavia lo stesso: il Regno dei Cieli non ha inizialmente nulla di appariscente, nulla di vistoso... al contrario, il regno dei cieli è una situazione ordinaria, anzi, addirittura un po' meno dell'ordinario, quasi mediocre; qualcosa che può addirittura passare inosservato
...come, appunto, un chicco di senapa, il più piccolo seme del mondo: piccolo, insulso, quasi inutile, così com'è; tuttavia (il seme di senapa) contiene un potenziale straordinario! Se gli si dà spazio e attenzione sufficienti, il seme (di senapa) germoglia e cresce più di altri semi ben più grossi di lui, in partenza, ma, una volta germogliati e cresciuti, molto meno vistosi e ingombranti.
Sul fatto che le cose preziose siano spesso le meno vistose e riconoscibili, si sono versati fiumi di parole; cito per tutti IL PICCOLO PRINCIPE di Antoine de Saint Exupery: "L'essenziale è invisibile agli occhi".
Ma, dal momento che siamo in chiesa e siamo tutti credenti, preferisco restare sul testo del Vangelo: i capitoli 24 e 25 di Matteo sottolineano lo stesso principio: non fate troppo affidamento su coloro che profetizzano eventi straordinari, l'arrivo imminente di persone straordinarie... Il Regno dei cieli è tutt'altra cosa! il Messia stesso è tutt'altra persona!
Mi permetto di richiamare la vostra attenzione sulla relazione tra Regno di Dio e Figlio di Dio-Cristo-Messia; secondo Matteo e gli altri evangelisti, il Regno di Dio coincide con la persona di Cristo: la parabola del granello di senapa ci riconduce a questa fondamentale uguaglianza tra regno di Dio e Figlio di Dio. Il profeta Isaia scrive il poema del Servo sofferente, il Messia: "Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire. (...) Era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima." (53,2-3).
Gesù fu ritenuto un esaltato, un ciarlatano, un millantatore, la feccia della società, meno di niente... Nessuno avrebbe scommesso su di lui, nemmeno i suoi amici più intimi, i quali lo abbandonarono tutti. Ebbene, in quella nullità, in quel fallito si nascondeva il Messia, il Regno di Dio! La sua morte in croce lo rivelò al mondo.


In ultima analisi, la parabola del granello di senapa allude alla persona di Gesù, annunciando il suo annientamento e il suo rifiuto da parte degli uomini. Questo è l'abbaglio, questo è l'equivoco, l'errore capitale dell'umanità: non aver creduto, non aver capito che nell'umiltà di Gesù, nella sua disarmata e disarmante debolezza si nascondeva la pienezza della Divinità, il compimento della Rivelazione; in una parola, la Salvezza!
Lo stesso Gesù di Nazareth aveva detto di sé:"Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore porta molto frutto." (Gv 12, 24-26).
La notazione finale del Vangelo: "Con molte parabole (Gesù) annunciava loro la Parola, come potevano intendere...", è tutt'altro che un dettaglio: il Signore si esprimeva e si esprime secondo un linguaggio che l'uomo è in grado di comprendere.
Leggendo il Vangelo non c'è pericolo di incorrere in equivoci; l'esposizione del pensiero di Gesù è chiara, senza mezzi termini; pertanto non lascia spazio a possibili fraintendimenti.
Ma, come ricorda il proverbio, "Facile a dirsi, difficile a farsi!": se il messaggio evangelico è chiaro a tutti, la sua realizzazione è quanto di più difficile e faticoso esista al mondo! ci si rimette letteralmente la vita...nel senso che la salvezza vale assai più della vita; dunque la vita bisogna giocarsela tutta, dal primo giorno all'ultimo! Proprio come Gesù, il quale, anche lui, che era Dio, provò tristezza, angoscia, prostrazione, paura,... emozioni talmente forti che, tra l'altro, gli causarono quel fenomeno mistico rarissimo, ma assolutamente reale, della sudorazione di sangue. Non è una frase ad effetto, non è un modo di dire: il Signore patì realmente i dolori della passione descritti nel Vangelo: perché aveva un corpo come il nostro, una mente come la nostra, uno spirito come il nostro; vero uomocome noi, secondo quanto la fede insegna a credere.
Ma Gesù era anche vero Dio! un Dio che accettò di nascondersi in carne mortale, insegnandoci fino a che punto un Dio si può umiliare per amore degli uomini... A noi Dio non chiede l'umiliazione al di sotto della nostra natura... A noi Dio chiede soltanto l'umiltà, cioè la verità di noi stessi: conoscere sufficientemente bene quali sono le nostre potenzialità, per dare e fare tutto ciò che è in nostro potere, senza scoraggiarci; ma anche conoscere i nostri limiti, per saperci fermare in tempo, senza montare in superbia.



OFFLINE
15/06/2015 06:51
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Nella prima lettura si manifesta in pieno il temperamento di Paolo, un temperamento amante del contrasto, dell'opposizione, perché è insieme un lottatore e un uomo ipersensibile. Spesso i suoi scritti sono difficili da capire proprio per questa insistenza sui contrasti, che mette in evidenza l'aspetto sconcertante del mistero di Cristo e anche della vita dell'Apostolo. Qui i contrasti si susseguono: "Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri; sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi, ed ecco viviamo; afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!". Sono tutti aspetti della vita apostolica. Dio ha scelto un temperamento come quello di Paolo perché la situazione dell'Apostolo e di ogni cristiano, una situazione straordinaria, fatta tutta di opposti, fosse espressa nella Scrittura in modo più vivo.
Nel Vangelo odierno anche Gesù invita i suoi discepoli a vivere in modo sconcertante. Invece di rispondere al male con il male, che è la risposta naturalmente più spontanea e che anche l'Antico Testamento aveva codificato ("Occhio per occhio, dente per dente"), essi devono contrapporre al male il bene; ed è il contrasto fondamentale. "Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra". Sembra una cosa stupida, ed è l’atteggiamento più profondamente cristiano; san Paolo lo vede come cosa divina.
Noi non prendiamo dalla nostra ricchezza per dare agli altri, ciò che potrebbe fomentare la nostra superbia ma attingiamo alla nostra povertà e per la grazia di Dio possiamo aiutare molti. Questo è il paradosso della vita apostolica e spirituale: il Signore ci lascia poveri, ci lascia nelle difficoltà e proprio in esse la sua grazia si manifesta, il suo amore risplende. "Poveri, ma facciamo ricchi molti" se nella nostra povertà lasciamo agire Dio. Rimanendo poveri poveri in tutti i sensi accogliamo veramente in noi la ricchezza di Dio, che è di un altro genere, per trasmetterla agli altri.
Chiediamo al Signore che aumenti la gioia del nostro essere poveri, afflitti, incompresi di fronte al mondo, perché possiamo arricchirlo dei beni di Dio
OFFLINE
16/06/2015 08:00
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Il modo con il quale Paolo incomincia il discorso che la liturgia ci propone oggi è veramente degno di attenzione.
Scrive: "Vogliamo farvi nota, fratelli, la grazia di Dio concessa alle Chiese della Macedonia". Ora, questa grazia che Dio ha dato è la loro generosità. A prima vista noi diremmo: "Non è Dio che ha dato, ma sono loro, questi cristiani che, pur essendo poveri, hanno dato generosamente per sollevare altri cristiani!". Paolo invece chiama questo grande sforzo di generosità una grazia concessa da Dio, rovesciando in un certo senso la situazione. Ed è proprio questa la lettura più profonda di questo gesto, come di ogni azione generosa, per due motivi. Il primo è che ciò che hanno dato lo hanno ricevuto da Dio: Dio ha dato loro la possibilità di essere generosi, passando ad altri in dono ciò che Dio aveva loro donato. Poter dare è una grazia di Dio; lo slancio di dare è anch'esso grazia di Dio. Il secondo motivo, più profondo, è che dando con amore disinteressato ricevono veramente il dono di Dio.
Scrive san Giovanni nella sua prima lettera: "Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l'amore di Dio?" (1 Gv 3, 17). La generosità è condizione indispensabile perché l'amore di Dio rimanga in noi, per rimanere nell'amore di Dio.
La grande grazia di Dio concessa alle Chiese della Macedonia è proprio questa: vivere nell'amore di Dio, ricevere l'amore di Dio, partecipare attivamente al suo amore. L'amore di Dio non si può ricevere senza trasmetterlo; chi lo trasmette vive veramente in esso e lo riceve sempre di più.
Questo è il senso cristiano della generosità: unione all'amore di Dio, condizione perché questo amore ci sia donato con sempre maggiore munificenza, con quella munificenza di cui Gesù parla nel Vangelo, che fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.
Pensando a questo amore che ci viene di continuo dal Padre celeste, apriamo il nostro cuore alla generosità verso chi si trova nel bisogno: bisogno di pane, bisogno di una parola fraterna, bisogno di essere aiutato a credere all'amore del Signore
OFFLINE
17/06/2015 08:06
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Mt.6,1-6

In questo Vangelo Gesù manifesta il suo grande desiderio di metterci in comunione con il Padre, lo stesso desiderio che l'ha spinto a donarsi a noi nell'Eucaristia. Se ha istituito l'Eucaristia è stato proprio perché noi potessimo essere in comunione con lui e con il Padre, come scrive san Giovanni nella prima lettera, e la nostra gioia fosse perfetta. Qui Gesù ci indica la condizione per entrare in questa mirabile comunione e per avere questa profonda e purissima gioia: bisogna operare bene, senza ritorni su se stessi. E quello che chiamiamo rettitudine di intenzione e che può anche chiamarsi sincerità dell'amore.
Gesù conosce il cuore dell'uomo, sa che quando facciamo il bene siamo subito tentati di cercarvi un interesse personale, una soddisfazione di amor proprio e di egoismo e ci insegna che abbandonandoci a questa tentazione svuotiamo ogni nostra azione del suo contenuto di bene.
Si tratta di scegliere tra la soddisfazione dell'amor proprio, dell'egoismo e la ricompensa presso il Padre che è nei cieli.
Se ci pensiamo bene, potremmo dire che Gesù ci spinge a cercare il nostro vero interesse, cioè la ricompensa del Padre celeste. Dimenticando noi stessi per vivere nell'amore abbiamo proprio questa ricompensa, che consiste nell'essere in comunione con Dio, essere nell'amore come Dio è nell'amore, lui che è amore.
Dovremmo avere il gusto di ricercare la comunione con Dio, e niente altro; di fare il bene perché Dio ama ciò che è bene e perché facendo il bene siamo in comunione con lui. E meno ricompensa si ha sulla terra, più si gode la ricompensa intima di essere con Dio.
Ogni volta che leggo questo Vangelo sono colpito dalla cura con cui Gesù ha espresso il suo pensiero. Avrebbe potuto esprimerlo in modo molto secco, come fanno tante volte i predicatori, no? Bisogna far attenzione alle nostre intenzioni, conservare la rettitudine di intenzione e così via, con concetti astratti. Invece Gesù ha scelto una forma molto concreta, vivace, quasi visiva. Ha utilizzato il modo che troviamo sovente nella Bibbia, ha usato cioè immagini perfino esagerate, che colpissero la fantasia. Per esempio: "Quando fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te...". Non succede sovente che si suoni la tromba
quando si fa l'elemosina! Oppure quest'altra espressione, estremamente parlante ma anch'essa esagerata:
"Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra". È uno stile vivacissimo: le due mani sono personificate, come se fossero due persone che vivono a fianco a fianco, e una non deve sapere quello che l'altra fa. E noi comprendiamo benissimo quel che Gesù vuol dire: quando si fa del bene bisogna quasi che noi stessi lo ignoriamo, per evitare la vanagloria. Così la concretissima descrizione di quelli che "pregano ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini". E, di contro: "Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta" perché il Padre è li, nel segreto.
Questi tre esempi sono costruiti molto armoniosamente, con un parallelismo, un equilibrio letterario che è un piacere per lo spirito. All'inizio c'è ogni volta l'antitesi: Gesù descrive coloro che si abbandonano alla tentazione della vanità e dell'amor proprio e, in contrapposizione, l'attitudine buona che mette in comunione con Dio. Ogni volta ci sono parole che fanno quasi da ritornello e che inculcano l'insegnamento che Gesù vuol dare.
In negativo: "Hanno già ricevuto la loro ricompensa"; in positivo: "E il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà".
Questo esempio della cura con cui Gesù ha espresso il suo insegnamento in modo vivo, interessante, espressivissimo ("Nessuno ha mai parlato come quest'uomo" dicevano quelli che erano venuti ad ascoltarlo con pensieri ostili), ci incoraggia a curare anche la forma di ciò che facciamo per Dio, di ciò che facciamo nell'evangelizzazione, specialmente quando parliamo di lui.
Ringraziamo il Signore dei suoi preziosi insegnamenti e anche della forma con cui ce li ha dati, che fanno del Vangelo un libro inesauribile ed incomparabile
OFFLINE
18/06/2015 08:50
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Parlandoci della preghiera e insegnandoci come bisogna pregare Gesù ci chiama ad una conversione della nostra preghiera. Ci dice dapprima di non essere come i pagani, che credono che nella preghiera le loro parole siano la cosa più importante. La cosa più importante è l'azione di Dio, molto più della nostra, e perciò è essere molto semplicemente in profondo rapporto con Dio. Non contano le parole, non contano i bei pensieri ed è un'illusione credere che, più sono le idee che abbiamo saputo mettere bene in ordine nella preghiera, più essa abbia valore. Non è quello che facciamo noi, ma quello che Dio fa in noi che conta.
Poi Gesù ci dà una preghiera che veramente converte la nostra, la cambia forse alla radice e così ci mette in condizione di "esaudire Dio". Noi chiediamo a Dio di esaudirci, ma più ancora quando preghiamo esaudiamo Dio, che desidera trasformarci se lo lasciamo agire in noi. Se preghiamo come ci ha insegnato Gesù, noi esaudiamo Dio e la nostra è una preghiera che può veramente trasformare la vita.
E certamente una profonda educazione alla preghiera quella che Gesù ci dà incominciando con domande tutte riferentisi a Dio: "Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà". E chiaro che spontaneamente, cioè nel nostro istintivo egoismo, noi non cominceremmo mai le nostre preghiere in questo modo, che è mettersi davanti a Dio, è contemplare Dio e desiderare che egli sia conosciuto, amato, che si realizzino i suoi progetti e non i nostri, così limitati e senza futuro.
Gesù ci ha dato l'esempio di una simile preghiera quando in circostanze angoscianti, la sua prima preghiera è stata: "Padre, glorifica il tuo nome!". Più esattamente dovrei dire che è stata la seconda preghiera, perché ha incominciato con una domanda: "Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora?" e ha rifiutato di pregare così, per dire invece: "Padre, glorifica il tuo nome" (Gv 12,2728).
Anche le preghiere concernenti direttamente la nostra vita sono educative per noi.
"Dacci oggi il nostro pane quotidiano". E una preghiera nello stesso tempo fiduciosa e limitata. Non si chiede la ricchezza, o di essere assicurati per tutto il resto della vita: si domanda per oggi il pane di oggi. Nel testo greco c'è un aggettivo che non si sa bene come tradurre e alla fine lo si traduce abitualmente "il nostro pane quotidiano" ispirandosi all'"oggi" immediatamente precedente. Ma è probabile che Gesù, qualificando il pane che ci fa chiedere, abbia pensato sia un pane necessario per la nostra vita, ma per la nostra vita spirituale.
"Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Gesù continua ad educare la nostra preghiera mostrandoci che l'amore che Dio ci dà è legato al nostro amore per il prossimo. E subito dopo insisterà: "Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi, ma se voi non perdonerete, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe". "Non indurci in tentazione ma liberaci dal male". Le ultime domande ci mantengono sempre al livello della vita spirituale. Non chiediamo di essere liberati dalla sofferenza, ma dal
male. E vero che si può considerare un male anche la sofferenza, ma non è la stessa cosa. Nella misura in cui essa è un male, domandiamo di essere liberati anche dalla sofferenza, ma accettiamo di soffrire fisicamente se questo serve al nostro bene. L'importante è che siamo liberati dal peccato, da tutto ciò che nuoce al nostro rapporto con Dio. Per questo domandiamo di essere liberati dalla tentazione e dal male, il male spirituale.
Siamo riconoscenti al Signore che ci ha così educati alla preghiera e cerchiamo di essere fedeli al suo insegnamento, per crescere nell'amore suo e dei fratelli
OFFLINE
19/06/2015 07:56
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

A prima vista non si coglie una vera connessione tra la prima e la seconda parte del Vangelo di oggi; in realtà c'è ed è anche abbastanza diretta.
"La lucerna del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso".
Malattia degli occhi è la cupidigia. Non vediamo più: andiamo in una direzione falsa, cercando il nostro interesse e non i valori veri, ci affanniamo dietro tutto ciò che si può possedere e non vediamo altro: siamo immersi nelle tenebre.
il Signore vuole invece che il nostro occhio sia chiaro e il nostro corpo nella luce. L'occhio chiaro è l'intenzione pura, non egoistica: se c e questa rettitudine siamo nella luce. Non è facile, ci vuole uno sforzo continuo, una grazia continua da chiedere al Signore.
Preghiamo Gesù di guarire i nostri occhi, se ci rendiamo conto che sono un po' malati. Chiediamogli uno sguardo chiaro, che riconosca il giusto cammino per raggiungere lo scopo della nostra vita: possedere il tesoro che è lui, vera luce degli occhi e gioia del cuore
OFFLINE
20/06/2015 06:29
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Se ci mettiamo alla sua scuola, la Madonna ci insegnerà l'umiltà e l'abbandono. Maria ha fatto perfettamente quanto dice Paolo a proposito della sua debolezza: "Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo". Maria ha accettato la sua situazione di debolezza, di piccolezza e ne è stata felice perché l'ha vista come motivo di una particolare attenzione di Dio: "il mio spirito esulta in Dio mio salvatore perché ha guardato l'umiltà della sua serva".
Come è difficile, di solito, essere contenti della propria sorte umile, nascosta, oscura! E come è difficile l'umiltà quando si hanno motivi di vanto! San Paolo avvertiva il pericolo della superbia "per la grandezza delle rivelazioni"; Maria, salutata dall'angelo "piena di grazia", rimane tranquilla, contenta, abbandonata in pace alla volontà di Dio, preoccupata solo di lui. E quando Dio la vuole madre di un figlio condannato alla morte di croce come bestemmiatore, la sofferenza non fa cambiare il suo atteggiamento interiore: segue Gesù con adesione piena al disegno divino, in pace, con fiducia, fino al Calvario.
Domandiamo a lei che ci aiuti ad essere umili, fiduciosi, contenti della volontà del Signore in ogni concreta situazione
OFFLINE
21/06/2015 07:59
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Movimento Apostolico - rito romano
Chi è dunque costui

Le opere manifestano la natura di colui che le compie. Quando Giobbe chiese a Dio le ragioni della sua sofferenza, il Signore gli rispose che ogni sua opera è mistero impenetrabile. Tutta la natura creata è sua opera e in essa si respira solo mistero, non solo nelle grandi cose da Lui fatte, ma anche in quelle umilissime e ordinarie.
«Chi è mai costui che oscura il mio piano con discorsi da ignorante? Cingiti i fianchi come un prode: io t'interrogherò e tu mi istruirai! Quando ponevo le fondamenta della terra, tu dov'eri? Dimmelo, se sei tanto intelligente! Chi ha fissato le sue dimensioni, se lo sai, o chi ha teso su di essa la corda per misurare? Dove sono fissate le sue basi o chi ha posto la sua pietra angolare, mentre gioivano in coro le stelle del mattino e acclamavano tutti i figli di Dio? Chi ha chiuso tra due porte il mare, quando usciva impetuoso dal seno materno, quando io lo vestivo di nubi e lo fasciavo di una nuvola oscura, quando gli ho fissato un limite, e gli ho messo chiavistello e due porte dicendo: "Fin qui giungerai e non oltre e qui s'infrangerà l'orgoglio delle tue onde"? Da quando vivi, hai mai comandato al mattino e assegnato il posto all'aurora, perché afferri la terra per i lembi e ne scuota via i malvagi, ed essa prenda forma come creta premuta da sigillo e si tinga come un vestito, e sia negata ai malvagi la loro luce e sia spezzato il braccio che si alza a colpire? Sei mai giunto alle sorgenti del mare e nel fondo dell'abisso hai tu passeggiato? Ti sono state svelate le porte della morte e hai visto le porte dell'ombra tenebrosa? Hai tu considerato quanto si estende la terra? Dillo, se sai tutto questo! Qual è la strada dove abita la luce e dove dimorano le tenebre, perché tu le possa ricondurre dentro i loro confini e sappia insegnare loro la via di casa? Certo, tu lo sai, perché allora eri già nato e il numero dei tuoi giorni è assai grande! (Cfr. Gb38,2-42,16).
Quando il Signore mandò Mosè a liberare il suo popolo, il Faraone accolse la richiesta solo dopo aver subìto ben dieci segni, tutti finalizzati a manifestargli che il Dio degli Ebrei è superiore a qualsiasi altro Dio e ad ogni uomo che vive sulla terra. Niente è paragonabile al Signore. Viene Gesù sulla nostra terra, deve mostrare ai suoi discepoli chi è Lui realmente, secondo verità. Lo fa rivelandosi ad essi in tutta la sua potenza. Né morte, né vita, né malattie, né mare, né venti, né tempeste, né uragani, né altro elemento della natura può resistere al suo comando. Lui dice e tutto obbedisce. Dinanzi ad ogni miracolo i discepoli si chiedono: "Chi è dunque costui?". La risposta dovrà essere una sola. Quest'uomo è Dio, perché parla come Dio, agisce come Dio, comanda come Dio. Tutto a Lui obbedisce come si obbedisce a Dio.
Come Mosè, come Gesù, il cristiano è mandato nel mondo per invitarlo alla conversione, alla fede nel Vangelo. Non potrà fare questo lavoro scrivendo summe di teologia o altri trattati tematici di altissimo valore conoscitivo. Queste cose servono al cristiano, non servono a chi cristiano non è. Non può neanche invitarlo attraverso solenni liturgie. Queste servono al cristiano, non a chi ancora non lo è divenuto. Il cuore si attrae a Cristo in un solo modo: mostrando il cristiano nella sua carne la superiorità di Cristo Gesù per rapporto ad ogni altro Dio. Avendo il discepolo di Gesù una parola efficace, parola che trasforma la sua vita e la vita di ogni altro sul quale essa viene pronunciata. Se il cristiano non si presenta al mondo con una sua superiorità spirituale, fatta di opere di Parole, il mondo resta mondo, non passerà a Cristo. Gli manca la visibilità storica dell'unicità di Cristo Gesù in confronto con ogni altro. L'unicità di Cristo è l'unicità del cristiano. Lui deve essere unico dinanzi a tutti .
OFFLINE
22/06/2015 07:03
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Oggi nella prima lettura inizia la storia di Abramo, modello del cammino di fede di ogni credente.
Le prime parole di Dio a quest'uomo che egli sceglie, lasciano intravedere un amore quanto meno sconcertante: "Vattene dal tuo paese, dalla tua patria, dalla casa di tuo padre". Per andare dove? "Verso il paese che io ti indicherò". Tutto è oscuro, unica meravigliosa luce la promessa: "Farò di te un grande popolo e ti benedirò". Abramo accoglie l'ordine di Dio con obbedienza indiscussa: "Allora Abramo partì come gli aveva ordinato il Signore".
Abramo con i suoi si trova in Canaan come uno straniero, ma qui incomincia a delinearsi il disegno divino:
"Alla tua discendenza io darò questo paese". Quindi è necessario che Abramo muoia, perché le generazioni successive abbiano la vita. E Abramo peregrina da un paese all'altro: "Piantò la tenda... costruì un altare al Signore... levò la tenda..." sono espressioni che si ripetono in queste pagine. Gli basta il suo rapporto con Dio ed essere nella sua volontà.
Così Dio educa Abramo ed ogni credente a successivi distacchi, che possono sembrare duri, ma in realtà sono una liberazione. Bisogna scegliere: o essere posseduto dall'egoismo che vuoi possedere, o essere donati. Abramo ha fatto di sé dono incondizionato, senza sapere nulla di ciò che gli sarebbe accaduto. Ecco la fede: essere aperti, accettare di camminare al buio indefinitamente, incontro a qualcuno a cui diamo fiducia, contenti di dargli quello che ci chiede, di amarlo per se stesso, di mettere in lui la nostra gioia e il nostro amore, in un rapporto di persona a persona che il Signore vuoi fare sempre più bello. Tutto il resto è secondario. "Volontà di Dio, paradiso mio", dicevano i santi.
"Vattene...". E una parola che Dio non ci dice una volta per tutte, perché sempre la nostra è una libertà da liberare. Accogliamola dunque con fiducioso abbandono nel nostro cuore e nella nostra vita
OFFLINE
23/06/2015 07:59
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Quale grande libertà di spirito dona il distacco a cui la fede guida il credente! Di solito i ricchi sono preoccupati di come conservare e aumentare la loro ricchezza; Abramo invece è più preoccupato del rapporto con il prossimo che di se stesso. Vuoi evitare che la discordia si frapponga fra lui e Lot e con grande libertà di spirito attua in anticipo la regola d'oro che Gesù darà: "Fa' agli altri quello che vorresti fosse fatto a te". Dice al nipote: "Non vi sia discordia tra me e te, perché noi siamo fratelli. Non sta forse davanti a te tutto il paese? Separati da me. Se tu vai a sinistra, io andrò a destra; se tu vai a destra io andrò a sinistra". E il modo migliore: lasciare all'altro la scelta. Ma è difficile, perché vediamo subito i nostri diritti e i doveri degli altri.
Lot sceglie la fertile valle del Giordano e ad Abramo resta la parte montuosa, arida.
Anche qui possiamo vedere un'applicazione ante litteram dell'insegnamento che Gesù dà nel Vangelo di oggi: "Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione...; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita!". Lui è la via, via angusta verso la morte, ma per la vita; lui è la porta stretta del distacco, dell'abnegazione, che si apre sulla felicità.
E la storia darà ragione ad Abramo: la via larga portava a Sodoma e Gomorra, simboli della perdizione; la terra di Canaan sarà la terra promessa: "Alzati dice il Signore percorri il paese in lungo e in largo, perché io lo darò a te e alla tua discendenza".
Meditiamo su questa pagina. C'è veramente più gioia nel dare che nel ricevere
OFFLINE
24/06/2015 09:50
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Gaetano Salvati
Una vita piena... nel Suo nome

"Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda". Il ritornello del Salmo ci aiuta a comprendere il motivo per cui la liturgia, oggi, celebra una nascita, quella di Giovanni Battista. La ragione profonda non risiede nella meditazione dell'opera compiuta dal cugino di Gesù lungo le rive del Giordano, trent'anni dopo la sua nascita; quanto piuttosto, nel considerare attentamente la formazione iniziale di Giovanni. San Luca, infatti, narra che "il bambino cresceva e si fortificava nello spirito" (Lc 1,80). Fermiamoci un istante, e meditiamo il racconto dell'evangelista: scopriremo che la descrizione della nascita e dell'infanzia del Battista illuminerà il nostro cammino di fede.
Il Vangelo riporta che Elisabetta diede alla luce un figlio (v.57). È importante rilevare che la madre concepì il bambino in tarda età: ciò dimostra che i tempi di Dio, per cui ogni uomo ha la possibilità di convertirsi, ci sono ignoti; dunque, basta questo per farci comprendere che il Signore dà sempre la possibilità per salvare la creatura, per (ri)tornare a Lui, per convertirsi. Continuando la narrazione, i genitori, adempiendo l'annuncio dell'angelo (v.13), chiamarono il figlio Giovanni, che significa "testimone della luce". In realtà, la loro fermezza di fronte a quanti, fra parenti e vicini, volevano un nome diverso, sta ad indicare che Dio, ancor prima della nascita, conosce il destino del bambino, tanto da rivelarlo al padre e renderlo, così, partecipe del piano di salvezza attuato da Gesù. Infatti, la lode di Zaccaria rivolta a Dio, cui accenna il Vangelo, è la prova che l'Altissimo non nasconde i Suoi progetti all'uomo. Lo coinvolge perché ama, e amando, manifesta che Egli è il Dio per noi; cioè, incarnandosi e morendo sulla croce, ci salva dalle tenebre dell'inquietudine, per condurci alla vita eterna, ad un'esistenza da vivere in pienezza. Il dono del seme della fede, allora, è il mezzo con il quale il Signore ci compromette al Suo amore e, al contempo ci invita a non staccarci da Lui. A riguardo, l'ultimo versetto del Vangelo dice che il piccolo Giovanni non veniva distratto da futili interessi, ma, rinvigoriva il suo spirito nella presenza di Dio (v.80). Qui risiede l'origine, cui si accennava in principio, della solennità odierna. La figura umile di Giovanni ci mostra che la fede senza la nostra collaborazione, senza il nostro impegno quotidiano per farla fermentare nella storia, non conduce ad esprimere totalmente il nostro essere cristiani e, quindi, ad una vita realizzata nell'Amore: unico "elemento" che rende intensa la nostra esistenza. L'impegno, quindi, evidenzia la nostra volontà a seguire sempre e in ogni caso il Maestro, e a lasciarsi guidare dalla Sua luce. Egli, nonostante le difficoltà del nostro esistere, illuminerà i nostri passi, fino a farci soggiornare sulla terra lodando il Suo nome, come Zaccaria, per i benefici che ci concederà. Impegnarsi a vivere nell'Amore, infine, denota costanza, perseveranza nell'individuare nei sentieri del patire, la forza insopprimibile di Dio, che trasforma le amarezze in felicità, le delusioni in successi, le frustrazioni in affermazioni. Solamente nel Suo nome, dietro Lui, faremo della nostra vita una splendida avventura; innanzitutto, ci realizzeremo come uomini: capaci di Dio, per natura pronti a cercarLo, sapremo cogliere e accogliere la Sua voce; poi, ci realizzeremo come cristiani: chiamati per vocazione, doneremo la Sua luce agli altri. Amen
OFFLINE
25/06/2015 06:56
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

"Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli". Le esigenze di Gesù sono molto forti, quasi tremende per noi, così deboli e fragili. Tutto il discorso della montagna, nelle sue articolazioni, è un fermo invito al compimento della volontà di Dio con purezza, generosità, perfezione, e noi sappiamo bene quanto poco possiamo contare su noi stessi. Ma mentre ci presenta queste esigenze Gesù mette in noi il desiderio di rispondervi e ce ne dà il mezzo e la forza.
Un mezzo: "Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica è simile a un uomo saggio...". La parola di Gesù ci fa conoscere la volontà del Padre; se l'ascoltiamo non dobbiamo temere di esserne lontani:
siamo anzi immersi in essa e "in quel giorno" Gesù ci riconoscerà tra i benedetti del Padre suo.
La forza: Gesù ci dà un cuore nuovo, ci offre anzi il suo cuore, perché soltanto con il suo cuore obbediente possiamo adempiere la volontà del Padre, anche quando su di noi dovessero abbattersi la pioggia, il vento, i flutti delle prove e delle avversità, perché siamo fondati sulla roccia. Con la presenza di Dio in noi abbiamo la sua forza, la sua gioia, siamo già in paradiso
Nuova Discussione
Rispondi
Cerca nel forum
Tag discussione
Discussioni Simili   [vedi tutte]
TUTTO QUELLO CHE E' VERO, NOBILE, GIUSTO, PURO, AMABILE, ONORATO, VIRTUOSO E LODEVOLE, SIA OGGETTO DEI VOSTRI PENSIERI. (Fil.4,8) ------------------------------------------
 
*****************************************
Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra | Regolamento | Privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 15:29. Versione: Stampabile | Mobile - © 2000-2024 www.freeforumzone.com