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RIFLESSIONI BIBLICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:42
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01/02/2017 07:36
 
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La fede è necessaria perché il Signore possa agire liberamente e donare abbondantemente le sue grazie: per la mancanza di fede dei suoi compatrioti, dice san Marco, non potè operare fra loro alcun prodigio. Non riuscivano a credere in lui perché era uno di loro, non aveva niente di straordinario, l'avevano sempre conosciuto... proprio non si capacitavano come potesse essere qualcuno diverso da quello che loro vedevano.
La prima lettura ci ricorda che anche noi, e molto facilmente, possiamo fermarci alle apparenze contrarie e non riconoscere l'intervento di Dio. Questo succede nelle difficoltà, nelle prove. Le prove giungono per tutti, credenti e non credenti, ma noi abbiamo l'impressione che per noi credenti non dovrebbero esserci, o almeno dovrebbero essere solo di un certo tipo... Ci sconcertano e facciamo molta fatica a riconoscervi la mano di Dio.
La Scrittura ci insegna ad andare al di là delle circostanze, che ci sembrano sempre strane, penose, per riconoscere in esse la presenza di Dio che vuoi operare e per questo ha bisogno che noi ci apriamo alla sua azione. "Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d'animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio", diceva già il libro dei Proverbi. E l'autore della lettera agli Ebrei lo ricorda ai cristiani per ammonirli: "Tutto ciò che state soffrendo è una correzione; non prendetelo semplicemente come una difficoltà!". Si tratti di malattie, o di difficoltà nei rapporti interpersonali, o di fallimenti in ciò che facciamo per il Signore, prendere le cose semplicemente nel loro aspetto esterno è mancanza di fede. "E per la vostra correzione che voi soffrite Dio vi tratta come figli". C'è una relazione con Dio che dobbiamo riconoscere, una intenzione di Dio alla quale dobbiamo corrispondere nella fede. Allora cambia tutto. La prova è illuminata dall'interno e invece di essere semplicemente un motivo di sofferenza diventa una occasione per sentirci in relazione più diretta con Dio: Dio si interessa di noi. Quando si è provati si ha invece l'impressione contraria: Dio ci abbandona, non pensa più a noi, ci lascia in una situazione che non corrisponde al nostro essere figli suoi... E la verità è proprio il contrario di tutto questo. Invece di lamentarci dovremmo essere contenti, perché Dio si interessa di noi: "Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre?".
È difficile, sempre difficile, sempre da ricominciare, il riconoscere in una prova, in una difficoltà l'intervento positivo di Dio verso di noi. È un atto di fede, perché non le apparenze ce lo dicono, ma la parola di Dio, ma lo Spirito Santo in noi, che ci apre gli occhi e ci fa capire che Dio sta intervenendo nella nostra vita, e in modo più attivo, in modo più affettuoso quando ci mette alla prova con delle difficoltà.
L'autore è molto realista e constata: "Certo, ogni correzione, sul momento, non sembra causa di gioia, ma di tristezza". E una esperienza che non ha bisogno di essere commentata, dovuta all'amor proprio. Qui non la sofferenza, ma l'umiliazione è messa in rilievo: se qualcuno ci fa notare un nostro difetto, una nostra mancanza, noi ci rattristiamo al punto da pensare soltanto all'osservazione che ci è stata fatta, e non al difetto o alla mancanza! Dovremmo superare la reazione dell'amor proprio e riconoscere che ci è stato dato un aiuto, di cui dovremmo essere contenti. È una constatazione a cui erano già arrivati i filosofi antichi. Socrate diceva che il colmo della felicità è non aver difetti e non fare niente di male, e aggiungeva che subito do po viene la felicità di essere corretti quando si sbaglia, perché allora ci si può emendare.
La Scrittura va molto più in profondità: dobbiamo essere felici che il Signore ci corregga non soltanto perché è una occasione per progredire, ma perché così la nostra relazione con lui diventa più stretta. È dunque un motivo di fiducia tanto più grande se pensiamo che la nostra sorte è legata a quella di Cristo.
La lettera agli Ebrei già ci ha detto come Gesù, pur essendo il Figlio perfetto, ha voluto per noi imparare l'obbedienza dalle cose che patì, ha voluto conoscere quella educazione dolorosa che a noi è necessaria. Ora, quando noi viviamo a nostra volta questi momenti di dolorosa educazione, siamo uniti a lui in modo speciale e possiamo crescere molto nel suo amore.
La prova motivo di speranza, la prova mezzo per amare: sono le prospettive da tener presenti nelle occasioni grandi e piccole di difficoltà e di disagio, che dovrebbero nutrire il nostro coraggio e la nostra fede. ~ Signore non ci fa sapere in che modo intende comunicarci i suoi doni e farci crescere nella fede e nell'amore. Domandiamogli che ci apra gli occhi perché sappiamo vedere in tutto la sua paterna attenzione verso di noi.
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02/02/2017 09:51
 
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Monastero Domenicano Matris Domini
Commento su Lc 2,22-40

Collocazione del brano

Con la festa della Presentazione al Tempio di Gesù si chiudono idealmente le ricorrenze legate al Natale. Il brano di Vangelo da cui trae fondamento la festa di oggi fa parte dei vangeli dell'infanzia redatti da Luca.

Giuseppe e Maria vengono presentati come degli israeliti pienamente osservanti che portano il bambino al tempio quaranta giorni dopo la sua nascita, per essere riscattato come ogni primogenito. Questa pratica non era più diffusa tra i giudei ai tempi di Gesù, e non era più necessario portare il bambino nel tempio.

Questa presentazione al tempio assume un significato teologico: il Signore entra nel suo tempio, riprende il suo posto per eccellenza.

Riguardo alla famiglia di Gesù, Luca la presenta in piena consonanza con le usanze ebraiche. Gesù è venuto a portare qualcosa di nuovo, ma non di totalmente separato, inaudito, piuttosto la sua novità si inserisce all'interno delle usanze e delle aspettative del suo popolo.

Lectio

22 Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore

Secondo la legge di Mosè (Lv 12,1-8) la donna che aveva partorito un figlio veniva considerata impura per 7 giorni e poi doveva attendere confinata in casa per altri 33 giorni (in caso di una figlia femmina il periodo saliva ad 80 giorni complessivi). Al termine di questo periodo doveva presentarsi al tempio e offrire un agnello in olocausto e un piccione o una tortora in sacrificio di espiazione. Se non si poteva permettere l'agnello, erano sufficienti due piccioni o due tortore. La purificazione riguardava solo la madre, ma Luca parla della "loro purificazione", indicando così anche Giuseppe. Per quale motivo? Forse Luca seguiva una convinzione di tipo greco secondo la quale l'impurità riguardasse la madre, il figlio e anche tutti coloro che avevano assistito al parto. Più probabile che Luca, come si vede anche più sotto non conoscesse molto bene le usanze ebraiche e si limiti a ricordarle in modo generale.

Di fatto l'accento viene spostato sulla presentazione del bambino al Signore, altro rituale che accompagnava la nascita degli israeliti.

23 - come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore -

Il primogenito di ogni famiglia umana (e anche degli animali) era consacrato al Signore per la sua esistenza (Es 13,11ss). In un secondo momento la Legge ne previde il riscatto, attraverso il pagamento di cinque sicli d'argento (la paga di 20 giorni; Nm 8,14-16).

Però ai tempi di Gesù la presentazione del primogenito non si faceva più, e nel suo racconto Luca omette di parlare del riscatto del primogenito. Inoltre per realizzare questo riscatto non era necessario portare il bambino al tempio: il padre poteva pagare la somma richiesta a un sacerdote del villaggio. Luca cita Esodo 13,12 adattandolo all'annuncio che l'angelo Gabriele aveva fatto a Maria: "il bambino sarà chiamato santo". Gesù quindi appartiene a Dio fin dalla nascita e non soltanto dal momento della sua presentazione.

24 e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.

Con questo versetto Luca ritorna al rito di purificazione della madre, ricordando il sacrificio che veniva richiesto per questo particolare frangente (Lv 5,7; 12,8). Tutto considerato, vediamo che Luca nei versetti 22-24 fa una strana commistione di riti ebraici e di avvenimenti.

O l'evangelista fraintende una tradizione giunta fino a lui, che conosceva poco bene, o egli modifica volutamente la tradizione per realizzare uno scopo ben preciso: sottolineare l'appartenenza di Gesù a Dio fin dalla sua nascita. La purificazione sarebbe dunque solo l'occasione per far venire Gesù al tempio.

Ancora Luca vuole mettere l'accento sul fatto che i genitori di Gesù erano fedeli alla tradizione giudaica. Per ben tre volte in questi versetti viene ricordata la Legge del Signore. Giuseppe e Maria appartengono al "resto" dei poveri di JHWH, disposti ad accogliere la venuta escatologica di Dio e del suo Inviato. Oppure Luca sottolineando la scrupolosa osservanza di Giuseppe e di Maria voleva rispondere a quei giudei che si mettevano in atteggiamento critico verso i cristiani, giudicandoli solo una setta fondata da un "eretico", che aveva deviato dalle genuine tradizioni di Israele.

25 Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d'Israele, e lo Spirito Santo era su di lui.

Entra ora in scena Simeone (il suo nome significa "esaudimento") e poi Anna. Entrambi sono anziani, simbolo di una lunga attesa giunta a termine. Simeone era un uomo giusto e pio, obbediente alla volontà di Dio, fedele al culto nel tempio, fiducioso nelle promesse di JHWH. Anch'egli è un povero di JHWH, che attende "la consolazione di Israele". Egli non è un sacerdote, si avvicina di più alla categoria dei profeti. E infatti in questi versetti che lo riguardano viene più volte ricordato lo Spirito Santo. Luca ci suggerisce così che la Legge e i profeti sono i riferimenti indispensabili per accogliere Gesù e proclamare la sua messianicità.

26 Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.

Simeone non avrebbe visto la morte prima di aver visto il Cristo. Questa frase sarà portata a compimento con il cantico di Simeone stesso: "i miei occhi hanno visto la salvezza".

27 Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo,

Lo Spirito sta conducendo i passi di Simeone e della famiglia di Gesù. Essi si incontrano nella parte esterna del tempio ( hieron, contrapposta a naos la parte più interna riservata ai sacerdoti).

28 anch'egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:

L'anziano Simeone prende tra le sue braccia Gesù. Questo quadro rappresenta l'incontro tra il vecchio e il giovane, tra l'antico e il nuovo Testamento: la novità del Vangelo si trova radicata nell'Antico Testamento.

Simeone rivolge la sua lode a Dio per quando gli viene donato di vivere, ma al tempo stesso questa lode diventa una rivelazione divina: lo Spirito permette all'uomo di riconoscere la realtà messianica del bambino.

29 "Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola,

Questo cantico di Simeone che la Chiesa ci fa ripetere ogni sera a Compieta è costruito a partire da passi dell'Antico Testamento, in particolare del Secondo Isaia (Is 40-55). Si apre con una formula di congedo che ricorda sia la liberazione ottenuta da parte di uno schiavo, sia l'ultimo saluto del pio giudeo prima di morire; un andarsene in pace: la serenità di una morte vissuta alla luce della pace messianica.

30 perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,

Il bambino che Simeone tiene in braccio è la salvezza arrivata, salvezza che anche Zaccaria ha celebrato nel suo cantico (Lc 1,69.71.77) con tutto ciò che questo termine significa per Luca: liberazione, remissione dei peccati, pace).

31 preparata da te davanti a tutti i popoli:

Questa pace, questa salvezza ha una dimensione universale, abbraccia tutti i popoli, tutti coloro che sono chiamati a formare il nuovo Israele, il popolo di Dio.

32 luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele".

La salvezza si manifesta come luce: così era attesa da Zaccaria, stella d'Oriente, chiamata a illuminare chi sta nelle tenebre (Lc 1,78ss). Ora questa luce si estende sino ai confini della terra. Si realizza così la profezia riguardante il servo di JHWH, chiamato ad essere luce delle nazioni.

Luca presenta così Gesù al centro della storia della salvezza, punto di arrivo delle promesse e punto di partenza di una salvezza destinata ad estendersi a tutte le nazioni chiamate a formare l'unico popolo di Dio.

33 Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.

Anche Maria e Giuseppe, pur conoscendo la straordinarietà di quel loro bambino, devono imparare a poco a poco ciò che lo riguarda. Quindi alle parole di Simeone non possono che rimanere stupiti. Ogni bambino del resto è una novità, porta in sé una promessa, un progetto che i suoi genitori possono solo conoscere di giorno in giorno.

34 Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: "Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione

Simeone benedice tutta la famiglia forse sul modello della benedizione di Isacco a Giacobbe (Gn 27 e 48).

Poi però si rivolge a Maria. Ecco la prima nota negativa nel clima fino ad ora sereno e gioioso degli oracoli messianici. Gesù sarà motivo di caduta e di risurrezione per molti in Israele. Viene adombrato il destino di Gesù presso il suo popolo. Egli sarà segno di contraddizione, la pietra di inciampo che diverrà testata d'angolo. Il rifiuto di Israele provocherà la morte del Messia e l'allontanamento di Israele dalla Chiesa.

35- e anche a te una spada trafiggerà l'anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori".

Questa profezia riguardante Maria viene letta in previsione della presenza di Maria stessa sotto la croce il giorno della morte di Gesù. Ma questa presenza di Maria sotto la croce è ricordata solo da Giovanni, non da Luca e quindi va letta in un'altra prospettiva. Maria viene associata al destino del figlio. Ella condividerà in quanto madre l'ostilità che Gesù incontrerà nella sua vita. Questa condivisione va intesa in senso teologico.

Davanti a Gesù e a Maria i pensieri ostili, cattivi (il termine greco dialogismos ha sempre senso negativo nel NT), di molti (non tutto Israele è stato ostile a Gesù) verranno a galla.

36 C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio,

Anche Anna, come Simeone appartiene ai poveri di JHWH che attendono con desiderio la manifestazione del Messia. Anche i nomi che la riguardano sembrano avere una valenza simbolica. Anna= colei che ha ricevuto grazia. Fanuele= volto di Dio. Aser= fortunata. Aser era una piccola tribù dispersa nel nord della Galilea. Sorprende la sua presenza in Gerusalemme. Anna è una profetessa, come altre dell'Antico Testamento: Miriam, la sorella di Mosé e di Aronne, (Es 15,20), Debora (Gdc 4,4), Hulda (2Re 22,14), ma Anna è già segno dell'era messianica nella quale il dono dello Spirito scenderà su tutto il popolo (At 2,17s; Gl 3,1). Luca aggiunge l'episodio di Anna per dare valore legale alla testimonianza su Gesù, o forse per aggiungere una figura femminile accanto a quella di Simeone.

37 era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere.

Il numero 84, se riferito alla sua vedovanza, porterebbe la sua età a 104, gli anni di Giuditta, il modello di tutte le vedove nell'AT. Se riferito alla sua età potrebbe significare 12 x 7, cioè il numero delle tribù inteso nella loro perfezione, cioè Israele nella sua pienezza. La sua vita tutta dedicata a Dio ha il suo modello in Giuditta, ma raffigura anche l'ideale della vedova cristiana (1Tm 5,3-16).

38 Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

Illuminata dallo Spirito, anche Anna riconosce il Messia in quel bambino e subito rivolge la buona notizia al gruppo ristretto di coloro che aspettano la liberazione di Gerusalemme, cioè di Israele, gruppo al quale essa stessa, come Simeone, appartiene.

39 Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret.

Questa prima conclusione ricorda ancora come Maria e Giuseppe seguano la legge di Mosè, una legge che attende il Messia. La famiglia ritorna nella regine della Galilea, nella città di Nazaret.

Questa indicazione offre il quadro della futura attività di Gesù: egli inoltre verrà conosciuto dalla tradizione come nazareno.

40 Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

Questa seconda conclusione pone Gesù in parallelo a Giovanni (del quale però è detto che "cresceva nello Spirito", per Gesù questa indicazione è forse superflua, perché concepito dallo Spirito?).

Luca introduce poi due elementi che caratterizzeranno il futuro comportamento di Gesù in mezzo agli uomini:
- la sapienza, cioè l'intelligenza spirituale che mostrerà già dal brano seguente. Era una delle caratteristiche del Messia atteso (cf. Is 11,2)
- la grazia di Dio, di cui anche Maria è stata ricolmata, e che susciterà lo stupore della folla (cf. Lc 4,22).

Luca descrive così non tanto la crescita psicologica e fisica del bambino, quanto la sua crescita interiore, sotto la benevolenza divina.

Meditatio

- Cosa significa per me, per la mia vita, seguire "la legge di Dio"?
- C'è una promessa che io ho sentito vera per la mia vita, di cui attendo la realizzazione?
- Posso dire anche io di aver visto la "salvezza di Israele"?

Preghiamo
(Colletta della festa della Presentazione del Signore)

Dio onnipotente ed eterno, guarda i tuoi fedeli riuniti nella festa della Presentazione al tempio del tuo unico Figlio fatto uomo, e concedi anche a noi di essere presentati a te pienamente rinnovati nello spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
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03/02/2017 08:20
 
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La prima lettura ci presenta l'ideale cristiano: vivere nella carità, castità, povertà, obbedienza. Ideale cristiano e non solo per chi è chiamato a vivere nella vita religiosa. La vita religiosa radicalizza questi impegni; però Cristo chiama tutti a realizzarli.
La carità. "Perseverate nell'amore fraterno. Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che soffrono, essendo anche voi in un corpo mortale".
Una carità che è espressione dell'amore divino ricevuto e comunicato, un amore generoso, partecipe, costante.
La castità. L'autore ne parla a gente sposata: "il matrimonio sia rispettato da tutti e il talamo sia senza macchia. I fornicatori e gli adulteri saranno giudicati da Dio".
E la castità dei religiosi è segno, aiuto, forza per gli altri.
La povertà. "La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che avete...". Uno spirito di povertà che esprime la nostra fiducia in Dio: "Così possiamo dire con fiducia: "Il Signore è il mio aiuto, non temerò"".
Infine l'obbedienza. "Ricordatevi dei vostri capi...".
E più avanti si legge: "Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché questo sia di gioia per loro e vantaggioso per voi".
Chiediamo al Signore la grazia di vivere in pienezza questo ideale di vita cristiana e di aiutare le persone che avviciniamo a viverlo, con gioia e coraggio.
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04/02/2017 07:36
 
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E' sempre una gioia pensare che Gesù ci ha dato come madre la sua stessa madre: sappiamo quanta dolcezza e quanto coraggio questo mette nella nostra vita spirituale. Oggi finiamo la lettera agli Ebrei e vi troviamo un ultimo importante insegnamento, che possiamo ricevere come se ci venisse dato da Maria, la quale certamente ci direbbe le stesse cose.
"Per mezzo di Gesù Cristo offriamo continuamente un sacrificio di lode a Dio". La nostra anima deve essere sempre in attitudine di lode e di ringraziamento, e per questo dobbiamo aver coscienza dei grandi doni che continuamente Dio ci fa per mezzo di Gesù.
Una volta convinti di questo, la riconoscenza ci spinge a compiere con gioia gli altri sacrifici che l'autore della lettera ci consiglia. Eccoli: "Non scordatevi della beneficenza e di far parte dei vostri beni agli altri, perché di tali sacrifici il Signore si compiace". È il sacrificio della carità fraterna, nella continua apertura agli altri per fare del bene, aiutare, per dividere con loro quello che abbiamo. In questo modo noi continuiamo l'offerta di Cristo nella realtà della nostra vita, anzi è lui che continua in noi la sua offerta.
"Obbedite ai vostri capi, perché essi vegliano su di voi come chi ha da renderne conto". Qualche volta è difficile obbedire, essere sottomessi, ma la strada della vera carità e dell'unità è questa, non ce ne sono altre. L'attitudine di fondo in questa obbedienza è la sottomissione a Dio, attraverso i capi che egli ha scelto.
Se viviamo così, il Dio della pace potrà renderci perfetti in ogni bene per mezzo di Gesù, nostro Signore, operando in noi la sua volontà. Come lui ha compiuto in sé la volontà del Padre, noi possiamo compierla per mezzo di lui trovando la pace, la gioia, la carità piena.
In tutto ciò Maria è la nostra guida, lei che ha sempre offerto a Dio un sacrificio di lode, che ama maternamente tutti gli uomini, che è sempre l'umile serva del Signore, completamente sottomessa alla sua volontà.
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05/02/2017 09:28
 
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Gaetano Salvati
Commento su Matteo 5,13-16

La liturgia della Parola di oggi annuncia che l'evangelicità della nostra vita, l'essere creatura nuova, redenta in Cristo, passa sempre attraverso la nostra attitudine a "dividere il pane" (Is 58, 7), la stessa vita, con tutti i fratelli che incontriamo nel nostro cammino.
Non si tratta solamente di essere capaci di accogliere l'altro, spezzare il pane con il povero, l'affamato; condividere con lui il pranzo. Ma, come dice San Paolo, di riuscire a coltivare atteggiamenti di "timore e trepidazione" (1Cor 2,3). In altre parole, rendersi conto che seguire il Signore implica una responsabilità: "Voi siete il sale della terra.. voi siete la luce del mondo (Mt 5,13.14).
Certo siamo lieti che il Maestro ci riconosce spazio vivente in cui la grazia della misericordia di Dio risplende nel mondo. Ma perché questa la luce possa risplendere nel mondo e il sale rendere saporoso ogni cosa, è indispensabile non cadere nell'autoreferenzialità, che è l'incosapevole bisogno di poter far a meno di Dio.
Il Vangelo, invece, afferma che la nostra vita è capace di annunciare la vita nuova solamente nella misura in cui è rivelazione, manifestazione dello Spirito. Lo Spirito, la presenza di Dio in noi, dona gusto alla nostra vita e una luminosità piena e serena. Amen



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06/02/2017 07:38
 
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Riccardo Ripoli
Appena scesi dalla barca, la gente lo riconobbe

Olimpia è una signora, ormai anziana e non più autosufficiente, ma è stata colei che mi ha preso per mano per guidare i primi passi verso le famiglie ed i bambini che avevano bisogno di sostegno. Don Luigi ed io eravamo soliti chiamarla "la Madre Teresa di Livorno" perché ha donato tutta la sua vita al prossimo. Ha aiutato tutte le famiglie della mia città che le chiedevano aiuto e se non aveva nulla da dare loro contraeva debiti su debiti, chiedeva favori, telefonava nel cuore della notte, andava dal vescovo a piangere e tutto sempre con umiltà, con semplicità, tanto che era impossibile dirle di no. Insegnava e quando a fine mese le veniva dato lo stipendio, in ventiquattro ore lo aveva già speso tutto in parte per sanare i debiti che le famiglie povere avevano fatto in alcuni negozi a suo nome (su sua indicazione), ed in parte per pagare le bollette altrui. Chiaramente passava poi un mese rinunciando spesso anche a mangiare. Molte persone quando la vedevano la assalivano letteralmente perché vedevano in lei la loro unica ancora di salvezza e quando Olimpia non aveva nulla da dare loro, talvolta veniva anche picchiata da chi non capiva perché avesse aiutato altri e non potesse aiutare loro. Andava a giro con biciclette scassatissime che trovava ai cassonetti o che le regalavano, ma che puntualmente le rubavano.
In Olimpia rivedo Gesù, penso a come si sentisse quando, arrivando in un posto nuovo, veniva riconosciuto e tutti lo "assalivano" per ottenere da Lui un bene materiale come la guarigione.
Olimpia, seguendo le orme di Gesù, dava denaro e cibo a chi le chiedeva aiuto e non faceva preferenze o distinzioni e supportava tutti coloro che poteva. In cambio dava il suo amore, la sua parola, gli insegnamenti del Vangelo in un modo così naturale e spontaneo che le persone rimanevano affascinate da lei, dalla sua bontà, dalla sua dedizione verso il prossimo. Una volta diventata vecchia e inutile ai loro scopi è stata abbandonata e in pochi oggi la vanno a trovare nell'ospizio ove i suoi parenti l'hanno collocata.
Quando ci vediamo ha sempre il sorriso, mai una polemica, mai una critica, sempre e solo amore verso il prossimo.
In questo momento tutti staranno indignandosi perché questa donna, che tanto ha fatto del bene, è stata abbandonata come una scarpa vecchia che non serve più, ma anche noi facciamo così nei confronti di Dio, chiediamo che ci doni tutto ciò di cui crediamo di aver bisogno e una volta ottenuto chiediamo ancora di più, ma appena Gesù ha bisogno di noi, quando ci chiede di donare un po' di amore al prossimo, di accogliere un bambino in affido, di curare le piaghe di un ammalato, di sopportare un parente noioso, di dare una parte di ciò che abbiamo a chi abbia meno di noi ci tiriamo indietro, facciamo finta di non aver sentito o addirittura ci ribelliamo come se ciò che abbiamo ci sia dovuto e chi ha meno si arrangi.
Vi è dovuta la salute? E perché è un vostro diritto più di quanto non lo sia per coloro che sono ammalati?
Vi è dovuto un lavoro? E perché è un vostro diritto più di quanto non lo sia per coloro che muoiono di fame?
E' giusto che vostro figlio sia accudito, amato, rispettato, ben vestito? E perché è un suo diritto più di quanto non lo sia per tanti altri bambini che sono picchiati ogni giorno, vittime di abusi e di pedofili, mandati a spacciare droga a cinque anni oppure a rubare e costretti a procurarsi il cibo nei cassonetti?
Se voi avete ottenuto tutto questo non è perché siate più bravi di altri, ma solo perché il Buon Dio vi ha fatto nascere in un paese dove tutto sommato si sta bene, in una famiglia che vi ha amato e accudito, con un fisico che per tanti anni ha ben risposto agli stimoli del vostro ottimo cervello.
Ed allora guardatevi intorno, accendete la televisione, fatevi un giro nei quartieri malfamati delle vostre città e poi ditemi se non siete più fortunati di tanti altri. A casa mia non si chiama "fortuna", ma aiuto divino, provvidenza, amore di Dio e come possiamo essere così ipocriti da continuare a chiedere per noi quando altri hanno mille volte meno di ciò che abbiamo noi?
Quando eravamo piccini ci veniva insegnato a dividere ciò che avevamo con i nostri fratelli e sorelle. Gli insegnamenti ricevuti da bambini sono preziosi, ma tendiamo a dimenticarcene perché vogliamo sempre più di quanto abbiamo e non solo non ringraziamo Dio per i doni che ci ha elargito, ma spesso bestemmiamo contro di Lui perché non ci concede tutto quello che serve per appagare i nostri desideri.
Quando morì la mia mamma guardai indietro nella mia vita di ventunenne e mi accorsi di aver avuto tantissimo, che alcuni miei amici avevano perso un genitore anni prima, che alcune loro famiglie erano divise, che alcuni di loro non mangiavano regolarmente o non si potevano permettere tutto ciò che io avevo ed allora capii quanto il Signore era stato buono con me, e se la sofferenza della morte mi aveva colpito non potevo far altro che ringraziare per quello che avevo avuto, che era molto, ma molto di più di quanto non avessero ricevuto moltissime altre persone.
Andate a trovare Gesù in ospizio, non abbandonatelo, vi ha dato tanto ed oggi è Lui a chiedere qualcosa a voi, non siate sordi alle Sue richieste di aiuto e di amore.
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07/02/2017 07:46
 
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Quale splendida immagine dell'uomo ci dà il racconto della Genesi! L'uomo creato signore di tutta la terra, al quale Dio dà il dominio, che Dio incoraggia a essere fecondo, a moltiplicarsi, a riempire la terra e a soggiogarla. Quanto rispetto per l'uomo, quanta fierezza anche è espressa in queste pagine! il salmo responsoriale dice la stessa cosa: "Di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi".
E bene ripensare a queste splendide pagine della Bibbia, perché troppe volte siamo tentati di diminuire l'uomo, in un modo o nell'altro. Dio invece ha ambizioni per l'uomo, lo vuole grande, lo vuole glorioso. Dio non è un padrone meschino, invidioso, non vuoi tenere per sé la sua potenza: Dio vuoi dare, e dare molto. "Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza"; come è possibile una partecipazione così ampia? "E domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra". "L'uomo domini", dice Dio! Dobbiamo avere questa idea di Dio: Dio dà generosamente, vuoi dare sempre di più, ha grandi disegni sull'uomo, non vuole che egli si immiserisca in piccole cose.
Lo vediamo anche nel Vangelo. Gesù si oppone al tentativo di diminuire l'uomo costringendolo in un formalismo, in un legalismo piccolo, meschino, che dà grande importanza a cose che non ne hanno, che sono indifferenti, trasformando la religione in qualcosa di esterno, privo di valore davanti a Dio.
Ogni cosa deve essere al posto giusto. Se una piccola cosa ha piccola importanza, non bisogna drammatizzarla; non bisogna trovare scandalo in una cosa che è piccola in se stessa. E piccola e deve rimanere piccola.
Sono le cose importanti che fanno l'uomo grande, nella fedeltà, certamente, ai comandamenti di Dio, che non vuole che l'uomo sminuisca se stesso ma sia veramente un uomo cosciente, libero, amante del bene. Gesù insiste sui comandamenti importanti per l'uomo. "Onora tuo padre e tua madre", questo è un comando importante, proprio perché onora l'uomo: dà onore al padre e alla madre, dà onore anche al figlio che agisce così verso i suoi genitori. Le piccole cose che sono tradizioni umane, che possono cambiare col cambiare dei tempi, non possono sovrapporsi al comandamento di Dio. "Onora tuo padre e tua madre" significa essere un uomo che rispetta l'uomo e tutte le relazioni umane. E l'egoismo umano che cerca pretesti per essere infedele alla parola di Dio e infedele alla grande vocazione dell'uomo. Chiediamo al Signore che ci dia di essere fieri della vocazione umana e ci comunichi il sentimento profondo della nostra grandezza e della sua ambizione per ogni uomo.
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08/02/2017 07:59
 
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Gesù spesso parlava per enigmi, come lui stesso dice alla fine del Vangelo di Giovanni: "Vi ho sempre parlato in parabole". Enigmi ce ne sono molti nel Vangelo; per esempio, quando Gesù dice: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo ricostruirò" è un enigma, così come lo sono le parole: "Ancora un poco e non mi vedrete, un altro poco e mi vedrete". Anche nel Vangelo di oggi troviamo un enigma, e precisamente le parole: "Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo". Un enigma non è facile da capire; per questo all'inizio Gesù diceva: "Ascoltatemi tutti e intendete bene".
Queste parole si potrebbero capire in senso fisico, perché nella legge mosaica c'erano molte impurità rituali, concernenti gli alimenti ("le cose che entrano nell'uomo"). E anche quando qualcuno mangiava senza essersi lavate le mani commetteva una impurità rituale. E il caso che vediamo ora nel Vangelo, infatti la discussione era incominciata perché gli Apostoli mangiavano senza essersi prima lavate le mani. Ma c'erano altre impurità, dovute a "cose che escono dall'uomo", per esempio perdite di sangue e così via. Secondo la legge di Mosè esse contaminano l'uomo. La donna del Vangelo che soffriva perdite di sangue si nascondeva perché non aveva il diritto di toccare le altre persone, per non rendere anch'esse impure. Chi era toccato, prima di partecipare al culto doveva lavarsi e aspettare qualche tempo.
L'enigma di Gesù avrebbe perciò potuto essere capito nel senso che egli dava più importanza alle cose che uscivano dall'uomo che a quelle che si mangiavano o bevevano. Chiaramente Gesù non intendeva questo: egli distingueva l'esterno e l'interno nel senso del fisico e del morale o spirituale. Voleva dire cioè che le cose materiali hanno meno importanza per la purità religiosa.
Fu una vera e propria rivoluzione. Noi siamo talmente abituati che non ci badiamo più, ma fu una rivoluzione, una desacralizzazione. Gesù ci dà l'esempio della cosiddetta secolarizzazione, come si dice oggi, con una parola che a me non piace troppo, perché sembra che le cose non abbiano più rapporto con Dio. Ma nel pensiero di Gesù tutte le cose hanno rapporto con Dio e dovevano tutte essere santificate, ma senza sacralizzarle, cioè senza dare una importanza religiosa sproporzionata a una cosa esteriore, come un cibo, come il lavarsi le mani. Bisognava distinguere l'igiene dalla purità religiosa, una distinzione che per gli antichi non era evidente. Un rapporto tra la pulizia del corpo e il rispetto dovuto a Dio esiste, ma bisogna lasciarlo al livello che gli spetta e non considerarlo così importante da dimenticare altri aspetti, ben più importanti e non così facili da ottenere. Purificare il cuore èpiù difficile che lavarsi le mani!...
Gesù qui inaugura davvero la rivoluzione religiosa che egli vuol attuare, proclamando che la purezza religiosa non è esterna ma interiore, che si tratta di purificare il cuore, nel significato biblico della parola. E sappiamo che per la Bibbia il cuore comprende non solo gli affetti, ma tutto l'interno dell'uomo: le intenzioni, i desideri, gli atti di volontà e di intelligenza. Gesù dice: "Dal cuore degli uomini escono fornicazioni, furti, adulteri, cupidigie, malvagità... Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo".
Ringraziamo il Signore di aver dato questa luce ai suoi discepoli e di aver portato agli uomini la libertà dall'oppressione di pratiche religiose vane, donando ad essi il suo Spirito. "Mandi il tuo Spirito e tutto è creato" dice il salmo. Queste parole, che già descrivono la prima creazione, si applicano alla nuova creazione, la creazione dell'uomo nuovo fatto a immagine di Dio.
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09/02/2017 08:46
 
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Nella prima delle letture che la liturgia ci offre troviamo il racconto della creazione della donna. E chiaro che uomo e donna sono diversi e questa diversità può suscitare tutta una gamma di sentimenti. Si può provare una certa irritazione ad aver bisogno di qualcuno diverso da sé; c'è anche la tentazione di disprezzare ciò che è diverso. Gli uomini sono tentati di misoginia e le donne di misantropia: si è cioè tentati di valorizzare le proprie qualità e di diminuire rispettivamente la donna o l'uomo. E una tentazione molto profonda, alla quale la Bibbia reagisce in questo racconto, che ha proprio lo scopo di dimostrare che l'uomo e la donna sono complementari, che la loro diversità ha il senso di una vocazione all'amore nell'unità.
Platone, uno dei massimi filosofi dell'antichità, era un seguace della teoria della metempsicosi e spiegava che ogni anima deve prendere un corpo e in esso vivere bene per poter in seguito tornare in cielo. Ora, le anime vanno dapprima in un corpo maschile. Se in esso si comportano male, sono condannate a passare poi in un corpo di donna; se continuano a comportarsi male, allora finiscono in un corpo di animale. Anche un uomo della statura morale e intellettuale di Platone rifletteva il disprezzo per la donna proprio della sua epoca.
Il racconto della Bibbia vuol invece insistere sulla fondamentale uguaglianza e la profonda unità dell'uomo e della donna. Dio cerca un aiuto per l'uomo, constata cioè che l'uomo ha bisogno di un aiuto. E l'uomo deve accettare l'idea di non essere completo in sé, di aver bisogno di un aiuto che sia simile a lui. E a quegli punto che il racconto biblico pone la creazione degli animali. Come mai? Ebbene, proprio per affermare che la donna non è un animale. In molte civiltà essa è considerata e trattata come una bestia da soma, ma il racconto della Bibbia dimostra che gli animali sono diversi dall'uomo, sono a un altro livello e l'uomo non può trovare in essi l'aiuto che gli è necessario: "L'uomo impose nomi a tutto il bestiame (ciò che equivale ad affermare il suo dominio su di loro), a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l'uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile".
Allora Dio interviene per dare all'uomo l'aiuto di cui ha bisogno: "Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. il Signore Dio plasmò con la costola che aveva tolta all'uomo una donna e la condusse all'uomo". E un modo immaginoso di dire la profonda unità esistente tra l'uomo e la donna. Ed è questa unità che l'uomo riconosce esclamando: "Essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna (in ebraico: "ishsha") perché dall'uomo ("ish") è stata tolta".
L'uomo dunque riconosce che la donna è l'aiuto di cui aveva bisogno aver bisogno è sempre, in un certo senso, essere inferiore e la donna da parte sua deve riconoscere che è fatta per aiutare l'uomo.
Evidentemente con Cristo qualcosa cambia in questa concezione dei rapporti fra uomo e donna. San Paolo scrive che in Cristo non c'è più uomo né donna, che l'uguaglianza è diventata molto più fondamentale: non c'è più Giudeo o pagano, non c'è più libero e schiavo: tutti sono uno in Cristo Gesù. Dobbiamo essere ben consapevoli di questa unità in Cristo, che relativizza ogni differenza. In un altro passo san Paolo dice anche che non c'è uomo senza donna, né donna senza uomo, nel Signore. La donna non esiste senza l'uomo; l'uomo nasce dalla donna, e tutto ciò viene da Dio.
C'è dunque, tra l'uomo e la donna, un rapporto che rimane rapporto di diversità, di complementarietà necessaria per farci crescere nell'amore; sappiamo bene infatti che questa diversità è un mezzo che Dio ha impiegato per obbligarci a progredire nell'amore, a uscire da noi stessi per accettare l'altro. Aniare qualcuno che è identico a sé è ancora un certo modo di rimanere bloccati in se stessi, cercare l'immagine di se stessi in un altro, un po' come Narciso che cerca la propria immagine nell'acqua e vi annega, mentre accettare qualcuno diverso da sé è uscire da sé, è fare qualche passo nell'amore, che è sempre un uscire da sé.
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10/02/2017 08:18
 
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"Vi insegnerò la via migliore di tutte". I Corinzi erano entusiasti per il donò della profezia delle lingue della scienza (intesa non come conoscenza sistematica di cose, ma nel senso di conoscenza profonda delle realtà data da Dio); Paolo invece diceva che la scienza gonfia, fa insuperbire e non è la via cristiana migliore.
Nel nostro mondo c'è un tipo di conoscenza che si è sviluppata fin troppo a scapito dell'altra. La conoscenza scientifica arriva a scoperte straordinarie, ma non risolve i problemi più profondi dell'uomo. Pieni di questa conoscenza molti non sono più aperti alla conoscenza profonda raggiungibile soltanto in umiltà e semplicità. Gesù dice infatti che essa è concessa come grazia ai "piccoli": essi ricevono dal Padre la conoscenza del Figlio e dal Figlio la conoscenza del Padre, conoscenza di amore, fondata sull'amore. "Chi non ama non conosce Dio scrive Giovanni perché Dio è amore".
Avere pensieri sublimi su Dio non è nulla senza l'amore: "Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli... e se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, ma non avessi la carità, non sono nulla".
Ciò che conta è aprirsi all'amore che Dio ci dona e trasmetterlo agli altri.
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11/02/2017 08:34
 
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Oggi, tra la prima e la seconda lettura, c'è un contrasto. Nella prima leggiamo che l'uomo mangerà il pane con il sudore del suo volto; nella seconda, con la miracolosa moltiplicazione dei pani, la folla affamata si sazia di pane senza aver lavorato. Questo ha un profondo significato: Gesù riparerà completamente i peccati dell'uomo e gli darà accesso alla vera prosperità nella gioia di Dio.
Nella narrazione della Genesi vediamo le vere conseguenze del peccato. Il peccato non ci separa soltanto da Dio, ma mette separazione ovunque. L'uomo dà la colpa alla donna: "La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell'albero...". Non sono più uniti. E la donna a sua volta cerca qualcuno da accusare: "Che hai fatto?". "il serpente mi ha ingannato e io ho mangiato". E sempre un altro che ha peccato. E un comportamento infantile, ma se riflettiamo bene, anche noi facciamo così, troviamo sempre che la responsabilità è di qualcun altro. E ci separiamo. La sofferenza nella volontà di Dio unisce, la gioia vissuta al di fuori della volontà di Dio divide l'uomo dalla donna. L'unità si trova solo nella volontà di Dio, nell'amore di Dio manifestato dalla sua volontà. Se vogliamo unità, amicizia, amore, dobbiamo sempre cercare la volontà di Dio, perché essa è l'unico fondamento dell'unione dei cuori, delle intelligenze e della unità di tutto il nostro essere.
Ma in questo racconto biblico non ci sono soltanto cose deplorevoli, esso contiene anche delle promesse, perché Dio già pensa a riparare la rovina causata dal peccato: e nel racconto della caduta c’è già il segno della sua misericordia.
Oggi, sabato, leggiamo: "Porrò inimicizia fra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa" e sappiamo che la promessa si è realizzata nella storia di Maria e di Gesù. Gesù, figlio di Maria, ha schiacciato la testa al serpente, e anche Maria ha schiacciato la testa al serpente. E noto che nella traduzione c e una piccola divergenza: nel testo ebraico è il seme della donna, la sua posterità che schiaccia la testa del serpente, mentre nella Volgata è scritto che "essa", cioè la donna, la schiaccerà, però sono vere tutte e due le affermazioni.
E c'è un'altra cosa, che è passata in modo indiretto nel Vangelo di Giovanni, ed è questa: "L'uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi". Al Calvario Gesù farà allusione a questo nome, dicendo al discepolo: "Ecco la tua madre!". La madre di tutti i viventi, di tutti i discepoli, che hanno trovato la vera vita in Cristo, la madre di tutti è Maria, perché è stata solidale, non si è separata dai peccatori, ma ha accettato per loro la sofferenza, come prima di lei aveva fatto il suo figlio Gesù. Gesù fu solidale con tutti i peccatori, "reso in tutto simile ai fratelli", come dice la lettera agli Ebrei. ~ vero aiuto simile all'uomo, che Dio ha cercato all'inizio della creazione, non è l'uomo per la donna, né la donna per l'uomo, ma Cristo Gesù per entrambi, che si è fatto solidale con i nostri peccati fino alla morte, restaurando così l'unione dell'uomo con Dio e degli uomini fra loro. Oggi ringraziamo in modo particolare il Signore, che ci fa vedere le conseguenze del peccato per salvarci e che ha ristabilito la dignità della persona umana in Maria e in Gesù.
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12/02/2017 08:36
 
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don Marco Pozza
Come una mammella senza più latte

Costa immensamente trattare bene l'uomo. Molto più che volergli bene: è per questo che, fatti i conti, l'uomo ha tantissimi corteggiatori, pochissimi amici. «Cristo è amico dell'uomo» (P. Mazzolari): sa bene che senza un amico la casa libera è anche una casa vuota. Che giova, all'uomo, possedere un cuore se poi non lo stringere con altri? Il mondo, dunque, si è diviso come non mai: prima e dopo di Lui. Non poteva che andare così. «Avete inteso che fu detto»: di non rubare, di non spergiurare, non soverchiare il debole, non sopraffare lo straniero e la vedova. Già lo sappiamo: a chi fa una legge basta scemare il più possibile le scelleratezze di tutti, gl'interessa che la convivenza sia possibile, che l'ordine venga mantenuto. La legge, però, è sempre più disattesa che osservata: "Fatta la legge, trovato l'inganno", così ragiona l'uomo. Ecco che il potente la scansa, il cattivo la viola, il debole la froda: "Rispettassero la legge, vivremmo tutti più in pace". Invece no: la legge non vince il male, solo lo tiene a bada, non cancella la ferinità ma le mette in guinzaglio: «Facevano un po' di bene alla vista di tutti per essere più liberi di fare il male in segreto. Esageravano l'osservanza dei precetti per meglio tradire l'intuito della Legge» (G. Papini). Null'altro.
Una sorta di simulazione all'obbedienza, mica proprio un'osservanza.
Fino al giorno in cui Cristo è sceso dalla Montagna. "Basta formalismi, tutti a casa" fu ciò che capirono gli altri, i non-beati: pertanto, a Colui che ha appena rivoltato il mondo sotto-sopra come un carro di fieno, non resta che giurargli la morte. Era reo, ai loro occhi, d'aver fatto aprire gli occhi: la Legge era marcia, non portava più a nulla, s'era impaludata nella formalità. Anche il bene s'era fatto fuligginoso: non bastava più farlo, occorreva farlo bene. Il bene-va-fatto-bene: ciò che capirono, quelli che non volevano capire, era che per Lui la Legge s'era prosciugata, una sorta di mammella senza latte, una vecchia-filastrocca che bastava solo per allenare la memoria. Il cuore, però, stava allo scoperto: nessun cuore si sazia con il minimo dell'amore. Nasce, dunque, una nuova giornata: «Voi siete il sale!» Ciò che conta non è la quantità - ne basterà un pugno per insaporire il mondo -: che il sale non diventi insipido, questo gli stava a cuore. Fu così che Cristo sferrò l'attacco frontale: «Ma io vi dico». La felicità è minacciata ad ogni istante, l'uomo non ha più nessun amico, solo Cristo gli è rimasto appresso. Non perde tempo: "Hanno detto, ma io vi dico". A colpire l'atto tutti si sono mostrati capaci: ciò che a Cristo riesce - così bene che un giorno l'attaccheranno al chiodo - è andare a colpire l'intenzione, quella che poi conduce all'atto. Che era come ridurre a poltiglia ciò che stava più a cuore a quella gente: la Legge. "Tutto apparenza. Poco più che il gesto di una brava cortigiana, gente". Cristo accelera, tenta un di-più che è da vertigini: il fuoco non si può spegnere se non quando è una fiammella. Così è dell'ira: dopo, sarà tardi. Quel che conta, insomma, è l'intenzione: se un lavoro dev'essere fatto bene, va condotto alla radice. Quando, del male, se ne accorgono tutti, è troppo tardi per Cristo. Vero umanesimo sarà fare manovalanza delle intenzioni. Degli sguardi: accadrà, in certe mattinate, che tagliare il primo filo di uno sguardo voglia dire salvarsi dalla rete d'intrecci che da uno sguardo potrà nascere. Nel caso, il consiglio è crudo assai: "Cava l'occhio, gettalo via". Poca roba rispetto alla salvezza, eppure tanta-roba per noi di quaggiù. Fatto sta che, d'ora innanzi, sarà sempre così: non si capirà l'amore, per chi siede alla sua scuola, se non si accetta l'esagerazione. La carità non basta più: la follia-della-carità cerca.
Gliel'hanno giurata: "La pagherai!". Non poteva essere altrimenti. Avendo fiducia dell'uomo, gli parla da uomo, con franchezza e fiducia: si fa meno fatica a lavare un bicchiere che l'anima propria. Per le cose-morte un po' d'acqua e uno straccio bastano: per il cuore serve dell'altro. "E' venuto a farci la morale": è questo che hanno pensato subito i farisei. Che tanti pensano di Lui. Più che di morale, insegna come fare per non buttar via tempo: la guerra, prima che sulle strade, s'alza nel cuore. Cristo s'è accorto: vorrebbe che s'accorgessero tutti. Nel frattempo, alza il tiro con chi può: vuole che s'accorgano almeno gli amici.
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13/02/2017 08:59
 
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Il Vangelo, che ci fa vedere l'ostilità dei farisei verso Gesù, è in relazione con la prima lettura, che narra il primo omicidio, la morte di Abele.
La Chiesa ha colto benissimo la relazione tra la storia di Abele e quella di Gesù: nel Canone romano il sacrificio di Abele è una prefigurazione del sacrificio di Gesù. ~ miglior commento di questa pagina della Genesi ce lo dà san Giovanni nella sua prima lettera, facendo vedere che la ragione dell'omicidio commesso da Caino è la malizia, la malvagità. L'innocente èucciso dal malvagio, è odiato perché compie il bene:
"Caino era dal maligno e uccise il suo fratello. E per qual motivo l'uccise? Perché le opere sue erano malvage, mentre quelle di suo fratello erano giuste" (1 Gv 3,12). San Giovanni lo applica ai cristiani, che non devono meravigliarsi di essere odiati dal mondo. "Sappiamo egli scrive che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli". Ma "chi non ama rimane nella morte", e non soltanto rimane nella morte, ma desidera uccidere il proprio fratello, perché "il diavolo è omicida fin dal principio".
La storia di Caino e Abele possiamo applicarla anche a noi stessi, dato che ciò che è vero per Caino lo è anche per noi: quando proviamo odio per gli altri, quando ci troviamo in contrasto con gli altri non è perché loro fanno il male, ma perché noi non siamo buoni, noi siamo malvagi e, vedendo che essi sono migliori di noi, non riusciamo più a sopportarli. Dobbiamo essere molto attenti a questa tentazione. Quando avvertiamo in noi pensieri di violenza, di opposizione, chiediamoci con sincerità: "Perché ho questi pensieri? E perché gli altri sono cattivi, o perché io non sono abbastanza buono?". Spesso la risposta è la seconda: siccome non sono abbastanza buono, ho pensieri di violenza, cioè di intolleranza, di antipatia, di invidia, in fondo. il Signore ci dice che non dobbiamo avere pensieri di violenza neppure quando gli altri sono cattivi: dobbiamo essere noi migliori, per vincere il male con il bene.
La luce di Dio è già penetrata anche in questi inizi della storia umana e i Padri della Chiesa vi hanno riconosciuto il mistero di Gesù, la vittoria di Gesù sul peccato. Abele innocente muore. La prima ingiustizia è compiuta, ma Dio vigila; Dio non è indifferente, mai, anche quando talvolta noi diremmo il contrario. Dopo la morte di Abele, Dio parla e chiede ragione: "Dov'è tuo fratello Abele?". I Padri intravedono qui, agli albori dell'umanità, l'intenzione di Dio di dare la risurrezione come rimedio a questo primo omicidio. Nella lettera agli Ebrei l'autore dimostra che Abele, anche dopo la morte, è già figura di Cristo risorto. Abele è morto, ma la sua voce si fa sentire: "La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!". Dunque, in certo qual modo, egli vive ancora. E la voce del sangue è ancora più forte dice l'autore della lettera agli Ebrei quando si parla di Cristo. U sangue di Gesù, sparso dai suoi nemici, grida dopo la sua morte: Cristo è risorto! Questa voce grida non per chiedere vendetta, ma misericordia e amore.
In questa pagina biblica i Padri della Chiesa hanno visto anche un altro simbolo della risurrezione di Cristo, ed è la nascita di un altro figlio: "Adamo si unì di nuovo alla moglie, che partorì un figlio, e lo chiamò Set. "Perché disse Dio mi ha concesso un'altra discendenza al posto di Abele"". Set, nei commenti dei Padri della Chiesa, è figura di Cristo risorto. Secondo i Padri, Dio già all'inizio fa intravedere il suo disegno di salvezza, la vittoria sulla morte e 5ul male che sarà data all'uomo In Gesù morto e risorto.
Il Vangelo di oggi parla in modo misterioso di questa vittoria. I farisei chiedono un segno dal cielo, dice il Vangelo, "per metterlo alla prova". Se Gesù darà questo segno, essi vi troveranno motivo per condannarlo, per ucciderlo. Ma Gesù per il momento oppone un rifiuto: "Perché questa generazione chiede un segno? In verità vi dico: non sarà dato alcun segno a questa generazione". il segno sarà in realtà la morte di Cristo e la sua risurrezione, segno dell'amore di Dio e della vittoria di Gesù. In un altro punto del Vangelo questo è detto più chiaramente prendendo come simbolo il segno di Giona, gettato in mare e sfuggito alla morte per intervento di Dio, che prepara nel tempo il suo disegno contro la morte, e contro il male. Apriamo il cuore a questa vittoria di Dio, la vittoria della sofferenza accettata con amore per ottenere che il bene trionfi.
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14/02/2017 08:34
 
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Le due letture di oggi parlano dell'evangelizzazione a proposito dell'apostolato dei santi Cirillo e Metodio.
Il testo di Isaia parla già di "buona notizia" ed esprime un movimento centripeto verso Gerusalemme; il messaggero annuncia la pace "le sentinelle vedono con i loro occhi il ritorno del Signore in Sion", tutti i popoli guardano la santa città.
Nel Vangelo il movimento è inverso. Gesù invia gli Apostoli nel mondo: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura... Allora essi partirono e predicarono dappertutto".
Ci sono dunque due dinamiche diverse nell'AT, si pensa la salvezza come la venuta delle nazioni a Gerusalemme, il centro del mondo, dove si sale al monte del Signore, che attira tutti; nel NT Gerusalemme non è più il centro dell'unità, il "luogo" dell'unità è ora il corpo di Cristo risorto, presente in modo misterioso dovunque sono i suoi discepoli. "Andate in tutto il mondo". Ecco la legge dell'evangelizzazione, senza evidentemente perdere il legame con Gesù, luogo dell'unità di tutti coloro che credono in lui.
U problema per i santi Cirillo e Metodio è stato proprio quello di andare ad altri popoli, malgrado le grandi difficoltà, che non erano solo difficoltà di viaggio (c'erano certamente anche quelle, nel ix secolo), ma difficoltà di rivolgersi a popoli che non erano di cultura greca o latina, i popoli slavi.
Cirillo e Metodio furono veramente pionieri di quella che oggi si chiama "inculturazione", cioè il tradurre la fede nella cultura del paese invece di imporre la propria. Essi tradussero la Bibbia in slavo celebrarono la liturgia in lingua slava, una audacia per la quale furono denunciati a Roma da missionari latini. Venuti dal papa per discolparsi, furono capiti, approvati da lui che, dopo la morte di Cirillo avvenuta appunto a Roma, un 14 Febbraio, consacrò Vescovo san Metodio e lo rimandò nei paesi slavi a continuare la sua opera di evangelizzazione.
Oggi si è preso più coscienza di questo problema che per secoli ha causato incomprensioni, condanne e ritardi nell'evangelizzazione. Ormai ci si rende conto che la fede è separabile da ogni cultura e deve radicarsi in ognuna di esse, come fermento che le impregna del Vangelo.
È un problema non solo di popoli diversi, ma di generazioni diverse: in ogni generazione la fede domanda di essere espressa in modo nuovo.
È sempre la stessa, ma è un fermento di vita che chiede di crescere e di trovare sempre nuove forme per progredire. Proprio Gesù ha paragonato il Vangelo a un seme di senapa che cresce, si trasforma, diventa un albero.
Dobbiamo avere la preoccupazione di andare agli altri e di non obbligarli a uniformarsi alle nostre abitudini, a ciò che noi pensiamo sia il meglio.
Andare agli altri come Gesù è venuto a noi: facendosi uomo, accettando tutto ciò che è umano per farsi comprendere dagli uomini e poterli introdurre nella sua intimità.
San Paolo ci spiega che l'unità è possibile solo nella diversità dove ognuno si esprime secondo la propria vocazione e si adatta agli altri per formare un solo corpo nella molteplicità delle sue membra. Preghiamo allora così: "Padre tu che ami ciascuno di noi come un figlio e vuoi che ciascuno esprima in modo personale il mistero del tuo amore, donaci di accogliere ogni nostro fratello come egli è, perché possiamo tutti rimanere nell'unità del tuo amore".
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15/02/2017 08:00
 
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Nel Vangelo di oggi vediamo la semplicità del Signore Gesù e anche la sua umiltà. Per compiere il miracolo si nasconde, conducendo il cieco fuori del villaggio per non essere visto. Questa semplicità ci meraviglia: Gesù qui sembra un operaio che fa una cosa e non vuole che sia vista finché non è completata. il Signore mette della saliva sugli occhi del cieco gli impone le mani e gli domanda: "Vedi qualcosa?". Si direbbe che il miracolo è compiuto a metà: "Vedo gli uomini; infatti vedo come degli alberi che camminano". Di nuovo Gesù gli impone le mani e il miracolo è completo: "Vedeva a distanza ogni cosa".
Questa semplicità divina, che può destare il nostro stupore, la troviamo anche nel racconto della Genesi, dove Dio cambia la sua decisione: "Non maledirò più il suolo a causa dell'uomo, né colpirò più ogni essere vivente come ho fatto". Eppure in un altro passo della Scrittura è detto che Dio non si pente, che egli non è un uomo, per cambiare opinione. I filosofi insistono molto su questa immutabilità di Dio, dicono che Dio, essendo la perfezione assoluta, non può cambiare. C'è qui qualche contraddizione, ma è una contraddizione che deriva dalla nostra limitatezza, che non può comprendere Dio. Dice sant'Agostino che è una grande felicità poter comprendere qualche cosa di Dio, ma che non è possibile all'uomo comprendere Dio; se l'uomo lo comprendesse, non sarebbe più Dio. infatti noi abbiamo bisogno di mettere insieme cose contraddittorie per farci un 'idea meno imperfetta di Dio. Se vogliamo fare come i filosofi, e insistere sulla immutabilità di Dio, avremo un'idea di Dio molto molto povera. Dio sarebbe per noi come un mucchio di pietre, che non si muove, non cambia, non ha sentimenti, non vive. Se invece leggiamo con semplicità la Bibbia, vediamo che Dio pensa, ha dei sentimenti, ama profondamente, va in collera per i peccati del suo popolo, cambia le sue decisioni... E abbiamo l'idea di un essere vivente, pieno di movimento, di ricchezza, e questo è più vero dell'idea dei filosofi. Nella Bibbia si parla di Dio piuttosto come di un uomo, che è vivo, che riflette, prova delle emozioni, cambia parere, fa dei progetti... Questo è il modo più usato nella Bibbia. Talvolta anche la Bibbia fa delle osservazioni nella direzione dei filosofi, dicendo che Dio è perfetto, non muta, non si pente; generalmente però mostra Dio a nostra immagine, perché questo è più utile. Dobbiamo sapere che la perfezione divina è una perfezione di pienezza, non una perfezione di immobilità; che questa immutabilità contiene in sé tutti i movimenti; che Dio non ha emozioni umane, ma è al di sopra delle nostre emozioni. E vero che Dio non ama come noi, ma egli ama più di noi, in un modo che noi non possiamo comprendere.
La rivelazione di Dio è avvenuta in modo pieno nella umanità di Gesù. Gesù vero uomo, che ha sofferto, ha amato, ha riflettuto, ha fatto dei progetti nella sua vita, che è stato ingannato, tradito, è la rivelazione del modo di essere di Dio.
Domandiamo al Signore Gesù di aprire i nostri occhi perché possiamo avere di Dio non una idea povera, ma vera, ricca, che metta in noi un senso di adorazione, di ammirazione, di gratitudine.
Comprendere qualcosa di Dio è una grande felicità. E anche capire che non possiamo comprenderlo è felicità, perché ci mette nella fede davanti al profondo mistero di Dio.
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16/02/2017 09:32
 
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Il Vangelo di oggi presenta un contrasto molto istruttivo per noi. San Pietro, ispirato dal Padre, riconosce in Gesù il Messia, l'eletto di Dio. E quasi immediatamente dopo lo stesso Pietro si oppone ai disegni divini e si mette a rimproverare Gesù che parla per sé di sofferenza, di disprezzo, di morte, tanto che Gesù lo riprende severamente: "Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini".
Come è difficile essere continuamente sotto la luce di Dio! San Pietro certamente, tutto felice di aver potuto proclamare che Gesù era il Cristo, e sicuro di aver agito così per ispirazione divina, credeva di poter ormai ragionare sotto questa ispirazione e opporsi a quanto Gesù andava insegnando. Effettivamente si possono trovare molti argomenti per opporsi a questo modo di essere del Messia; un Messia che deve soffrire, essere disprezzato, essere ucciso! Non è difficile dimostrare che questo non può rientrare nei disegni di Dio.
Nella prima lettura ci è presentata l'alleanza con Noè, dove Dio parla e impedisce espressamente di versare il sangue dell'uomo: "Io domanderò conto della vita dell'uomo all'uomo, a ognuno di suo fratello". Dunque non è nella volontà di Dio che un uomo venga ucciso. Si può ragionare così e concludere che perciò non è volontà di Dio che Gesù venga ucciso. Si possono anche prendere le profezie che parlano del Messia presentandolo come colui che trionferà di tutti i suoi nemici, che sarà glorioso e regnerà per sempre. La prima promessa messianica non parla di sofferenza e di morte: annuncia che Dio darà a Davide un successore, un figlio che Dio stabilirà sul suo trono e che regnerà per sempre. Ecco qual è il disegno di Dio! San Pietro non mancava certo di argomenti per rimproverare Gesù e dirgli che egli apriva una prospettiva che non faceva parte del disegno divino: che il Figlio dell'uomo dovesse molto soffrire, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi e venire ucciso, non corrispondeva apparentemente alla volontà di Dio.
Ma Gesù è totalmente docile ai disegni di Dio e sa davvero scegliere nelle Scritture ciò che conviene ad ogni momento, sa discernere i vari momenti. E ha riconosciuto nelle Scritture che il Messia doveva soffrire. La profezia del Servo di Jahvè in Isaia fa intravedere che il Messia deve prima essere umiliato e poi glorificato, e tutte le figure del Cristo: Abele, Mosè, Giuseppe sono la prova che il disegno di Dio comprendeva una morte. Dio non vuole la morte, non vuole il tradimento, ma prende il mondo come è. E poiché il cuore dell'uomo è cattivo, Dio ha deciso di trionfare del male assumendolo e trasformandolo con la forza dell'amore. Per questo Gesù ha potuto dire a san Pietro: "Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini".
Anche a noi può succedere di partire da una luce che viene da Dio e di arrivare alla fine a prospettive umane. Abbiamo riconosciuto nella Scrittura una rivelazione divina, o abbiamo sentito nella preghiera una ispirazione di Dio: è una cosa molto bella. Ma poi, credendo di esservi fedeli, vi aggiungiamo dei ragionamenti umani, che alla fine snaturano l'ispirazione. Gli autori spirituali, sant'Ignazio in particolare, insegnano che anche nel caso di ispirazioni molto soprannaturali bisogna distinguere bene ciò che viene immediatamente da Dio e ciò che la nostra psicologia, il nostro ragionamento vi aggiungono. E necessario rimanere molto docili a Dio e far attenzione a non aggiungere cose umane alle sue ispirazioni. Mi viene in mente un esempio chiaro ed evidente. Penso a una giovane donna sposata che desidera allontanarsi dal marito, per il quale non sente più amore, e andarsene con un altro uomo. Ha chiesto consiglio a un prete, che le ha detto: "Dio è amore". E lei ha concluso che doveva seguire l'amore. Non è certamente guidata in questo dalla volontà di Dio, perché, se avesse approfondito queste parole della Scrittura, avrebbe capito che l'amore di Dio è fedele e che, attraverso tutte le difficoltà, bisogna rimanere fedeli al primo dono. Ma, accecata dal sentimento, ha ragionato sulla parola di Dio con la sua psicologia umana e vi ha trovato una giustificazione per quanto desiderava fare.
In molte occasioni purtroppo ragioniamo con la nostra psicologia, con le nostre pulsioni umane e troviamo un mucchio di giustificazioni a quelle che sono soltanto le nostre naturali inclinazioni. Possiamo essere rigidi, e convincerci di pretendere soltanto quello che Dio vuole; possiamo, al contrario, lasciar correre tutto e ci convinciamo di imitare la grande misericordia di Dio. Dobbiamo essere sempre molto attenti, docili allo Spirito del Signore, per fare in ogni momento quanto è conveniente secondo la sua volontà, senza farci illusioni su noi stessi. >




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17/02/2017 08:11
 
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Di nuovo le due letture si illuminano a vicenda. Ambedue ci mostrano l'istinto di conservazione, l'istinto di dominare, di soggiogare gli altri. Sono istinti naturali, che l'uomo ha in comune con gli animali e che sono profondamente radicati in lui. Parliamo tanto di personalità, di sviluppo personale, di realizzazione di noi stessi, e spesso si tratta proprio di voler salvare la propria vita", come dice Gesù. E quello che vogliono gli uomini di Babele. "Costruiamoci una città e una torre la cui cima tocchi il cielo": vogliono conquistare anche il cielo, conquistare anche Dio. "E facciamoci un nome": è l'istinto di affermazione di se stessi.
il Signore però non può accettare che questo avvenga, proprio perché è contrario alla vocazione dell'uomo. Volendo salvare la propria vita, l'uomo la perde; per salvarla è necessario perderla, rinnegare anziché affermare se stesso. Tutti vogliamo affermare noi stessi e non ci è facile capire che la vera affermazione dell'uomo sta nel perdersi. Perché? Perché siamo chiamati all'amore e l'amore non può esistere senza un rinnegamento di sé. L'amore è sempre accettazione dell'altro, apertura all'altro; non è conquista, ma umile e fiducioso aprirsi e ricevere.
Dio dunque non vuole che gli uomini "si facciano un nome", non può accettare di essere conquistato. Un dio che può essere conquistato è un idolo, e se gli uomini hanno soltanto un idolo sono perduti; se invece si aprono a Dio nella umiltà e nel rinnegamento di sé, trovano il vero amore a cui sono chiamati: "Chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà".
Voler salvare la propria anima, cioè la propria vita, non è una preoccupazione egoistica, proprio perché è fondata sull'abnegazione, al seguito di Gesù: "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua".
Gesù ci ha dato l'esempio: non ha conquistato orgogliosamente il cielo, ma si è abbassato; non ha innalzato se stesso, ma si è umiliato: "Spogliò se stesso" scrive san Paolo ai Filippesi, "umiliò se stesso. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome ("Facciamoci un nome!" dicevano gli uomini a Babel) che è al di sopra di ogni altro nome". Così Gesù ci ha insegnato la via del perdersi per amore, l'unica via per salvare la nostra vita.
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18/02/2017 08:14
 
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Ci colma veramente di gioia indicibile e gloriosa come leggiamo prima del Vangelo la splendente visione di Gesù, luce del mondo che tutto illumina e di cui il Padre dice: "Questo è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!". Siamo invitati a fondare tutta la nostra vita sulla fede in Gesù: soltanto per mezzo di essa possiamo essere in relazione col Padre celeste.
il punto più importante di tutta la nostra vita è dunque essere appoggiati sul Signore Gesù, non appoggiarsi su noi stessi, sul niente che ci appartiene, ma rinnegare noi stessi e fondarci su di lui per essere in comunione con Dio, nell'amore vero. Ogni altro atteggiamento è fallace. Se cerchiamo di amare da soli, cioè senza appoggiarci sulla fede in Gesù, il nostro amore è vano, non è autentico; se tendiamo alla perfezione cristiana senza appoggiarci sul Signore Gesù, la nostra perfezione non esiste. "Se vuoi essere perfetto dice Gesù va', vendi quello che hai...". Dobbiamo rinunciare ad ogni idea di perfezione nostra, perché la perfezione non è proprietà nostra, l'abbiamo soltanto nella misura in cui siamo in comunione con Gesù, fondati su di lui nella fede. Egli solo è il nostro tesoro, la nostra giustizia, dice san Paolo, la nostra santità. Lui è santo, non noi, e soltanto in unione con lui possiamo essere santi e piacere a Dio. La fede è il segreto di ogni realizzazione buona.
Per questo la lettera agli Ebrei vede la fede in ogni pagina dell'Antico Testamento. Anche quando la Bibbia non parla esplicitamente di fede, l'autore sacro vede la fede come fondamento di tutto: fondamento del sacrificio di Abele, fondamento del prodigioso rapimento di Enoch che è figura della risurrezione di Gesù ,fondamento della salvezza di Noè che per fede nella parola di Dio "costruì un'arca a salvezza della sua famiglia".
Tutto è fondato sulla fede e senza di essa nulla ha consistenza.
Chiediamo alla Madonna, maestra della fede, madre della fede, di far crescere in noi una fede profonda nel Signore Gesù e che davvero la nostra comunione con lui sia fondamento di ogni nostro pensiero, di ogni nostra azione.
La vera abnegazione è proprio questa: rinnegare se stessi per fondarsi sul Signore Gesù. E così in lui ritrovare meravigliosamente tutto.
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19/02/2017 08:35
 
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padre Ermes Ronchi
Amare i nemici, la (difficile) concretezza della santità

Avete inteso che fu detto: occhio per occhio - ed era già un progresso enorme rispetto al grido selvaggio di Lamec, figlio di Caino: ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido (Gen 4,23) -, ma io vi dico se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l'altra. Porgi l'altra guancia, che vuol dire: sii disarmato, non incutere paura. Gesù non propone la passività morbosa del debole, ma una iniziativa decisa e coraggiosa: riallaccia tu la relazione, fa' tu il primo passo, perdonando, ricominciando, rattoppando coraggiosamente il tessuto della vita, continuamente lacerato dalla violenza.
Il cristianesimo non è una religione di schiavi che abbassano la testa e non reagiscono; non è la morale dei deboli, che nega la gioia di vivere, ma la religione degli uomini totalmente liberi, come re, padroni delle proprie scelte anche davanti al male, capaci di disinnescare la spirale della vendetta e di inventare reazioni nuove, attraverso la creatività dell'amore, che fa saltare i piani, non ripaga con la stessa moneta, scombina le regole ma poi rende felici.
È scritto: Amerai il prossimo e odierai il nemico, ma io vi dico: amate i vostri nemici. Tutto il Vangelo è qui: amatevi, altrimenti vi distruggerete. Altrimenti la vittoria sarà sempre del più violento, del più armato, del più crudele. Gesù intende eliminare il concetto stesso di nemico. Violenza produce violenza come una catena infinita. Io scelgo di spezzarla. Di non replicare su altri ciò che ho subito. Ed è così che mi libero.
Il Vangelo mette in fila una serie di verbi che chiedono cose difficili: amate, pregate, porgete, benedite, prestate, fate: per primi, ad amici e nemici. La concretezza della santità, niente di astratto e lontano, santità terrestre che profuma di casa, di pane, di incontri. Non sono precetti, ma offerta di un potere, trasmissione da Dio all'uomo di una forza, di una energia divina.
Infatti dove sta il centro da cui scaturisce tutto? Sta nelle parole: perché siate figli del Padre vostro che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi. Da Padre a figli: c'è come una trasmissione di eredità, una eredità di comportamenti, di affetti, di valori, di forza, di solarità.
Perché ogni volta che noi chiediamo al Signore: "Donaci un cuore nuovo", noi stiamo invocando di poter avere un giorno il cuore di Dio, e gli stessi suoi sentimenti, la sua perfezione.
È straordinario, verrà il giorno in cui il nostro cuore che ha fatto tanta fatica a imparare l'amore, sarà il cuore stesso di Dio e allora saremo capaci di un amore che rimane in eterno, che sarà la nostra anima, per sempre, e che sarà l'anima del mondo.
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20/02/2017 07:21
 
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Possiamo paragonare il nostro mondo a questo ragazzo posseduto dallo spirito maligno; in realtà esso è sovente in preda alle convulsioni. "Lo butta nel fuoco e nell'acqua", nel fuoco della violenza e della guerra, nell'acqua della facilità, della frenesia di godere. E questo mondo noi abbiamo il dovere di guarirlo. Il Signore ci ha detto che siamo il sale della terra e la luce del mondo, dobbiamo dunque strapparlo dalla follia, dalle convulsioni. Ma come? Ci sentiamo così incapaci, così impotenti! Gesù ci ha indicato i mezzi: la fede e la preghiera. Bisogna credere veramente, allora si può fare qualcosa anche nelle circostanze più difficili. E con la fede si può pregare in modo efficace.
Perché anche la preghiera è necessaria? Nel Vangelo di oggi vediamo che il rimedio è una morte che si apre a una risurrezione. San Marco ha condotto il suo discorso in modo da evocare la morte per la risurrezione.
Questo ragazzo per guarire deve passare attraverso la morte: "Il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: E morto. Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi". Morte e risurrezione.
E anche il nostro mondo, scosso da tante convulsioni, ha bisogno di una morte, ma non di una qualunque morte: di una morte preparante la risurrezione, di un rinnegamento che conduca alla risurrezione. Per questo la preghiera è necessaria. Avviene come per Gesù. Egli stesso, per accettare di morire per risorgere, ha dovuto pregare a lungo e intensamente durante la sua agonia e così ha trovato, attraverso la morte, la strada della risurrezione.
Questa è l'imperscrutabile sapienza divina, dalla quale dobbiamo sempre chiedere di essere illuminati.
Domandiamo dunque il dono della fede e della preghiera, perché tutto il mondo trovi attraverso la morte la via della risurrezione.
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21/02/2017 09:01
 
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Oggi leggiamo un bellissimo testo del Siracide che, con un linguaggio familiare, suadente, ci mette nel cuore un insegnamento davvero necessario. "Figlio, se ti presenti per servire il Signore...". Quando uno si propone di servire il Signore, può aspettarsi di essere tranquillo, magari di non ricevere subito il centuplo, ma almeno la tranquillità e la pace della vita. Ecco invece che cosa dice la parola di Dio: "Se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione". La traduzione qui dice "tentazione", ma il termine greco è più generale e significa "prova": "Preparati alla prova". La prova dunque non è un male per noi, ma un bene, un segno dell'amore del Signore, la condizione per crescere nel suo amore, per ricevere grazie preziose.
E continua: "Sii paziente nelle vicende dolorose, perché con il fuoco si prova l'oro, e gli uomini ben accetti nel crogiolo del dolore". Poiché abbiamo in noi qualcosa di molto prezioso, Dio ci sottomette alla prova per purificare questo tesoro, per renderlo ancora più bello e gradito a lui. Ma, nella prova, la condizione per non venir meno, l'unica condizione, è di appoggiarsi al Signore: "Affidati a lui ed egli ti aiuterà; segui la via retta e spera in lui". "Guai ai cuori pavidi" dice in un altro passo il Siracide, "alle mani indolenti, al peccatore dalla doppia vita". La vita di chi vuol servire il Signore deve svolgersi nella rettitudine, unificata dall'amore di Dio; deve svolgersi non nella paura, ma nel timore del Signore, cioè in un profondo rispetto, tutto permeato di amore. Così possiamo essere certi di quanto dice il Siracide: "Voi che temete il Signore, sperate i suoi benefici, la felicità eterna e la misericordia".
Il Vangelo ci dà una luce ancora più chiara: la prova è una partecipazione al mistero di morte e di risurrezione di Gesù. ~ Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni risusciterà". Camminiamo nella vita senza illusioni: le prove, le tribolazioni ci saranno sempre, ma sono già illuminate dalla luce della risurrezione, sono rese feconde per noi e per tutto il mondo da questa meravigliosa luce.
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22/02/2017 07:54
 
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La liturgia di oggi è illuminata dal pensiero della paternità di Dio. Gesù stesso afferma che Pietro ha parlato per ispirazione del Padre, riconoscendo in lui il Messia, il Figlio di Dio: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli". È dal Padre che viene ogni cosa buona, e in particolare è dal Padre che viene la vita soprannaturale, il cui inizio e fondamento è la fede in Gesù.
E anche Gesù è docile al Padre. Non sceglie di sua iniziativa il primo fra gli Apostoli, ma aspetta che il Padre manifesti la sua scelta e soltanto dopo, quando il riconoscimento di Pietro indica la scelta del Padre, dice a Simone, a Pietro: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa". C'è dunque un riconoscimento reciproco, basato sull'iniziativa del Padre. Simone riconosce in Gesù il Figlio di Dio, Gesù riconosce in Simone la pietra fondamentale della sua Chiesa.
Anche nella sua bellissima lettera Pietro rivela la sua docilità all'ispirazione del Padre e la sua riconoscenza verso di lui.
Nei primissimi versetti parla della prescienza del Padre: tutto si compie per iniziativa di Dio, che sceglie i suoi eletti "mediante la santificazione dello Spirito per obbedire a Gesù Cristo". E all'opera il Dio Trinitario.
E subito dopo erompe in una acclamazione: "Sia benedetto Dio e Padre", per i benefici che già ci ha elargito e per quelli che ci ha preparati: "Sia benedetto Dio e Padre del Signore Gesù Cristo: nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati". Dio si è di nuovo
manifestato Padre per noi; già ci aveva dato la vita, ora ci ha nuovamente generati, "mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti". Il Padre si è di nuovo rivelato tale donandoci una vita al di là della morte, una vita, dunque, eterna.
Questa generosità che il Padre ci ha dimostrato nel passato è evidentemente promessa di una altrettanto grande generosità per il futuro. Infatti Pietro continua: "Ci ha rigenerati per una speranza viva". Già possediamo la vita eterna, ma in germe, un germe colmo di speranza, teso verso il perfetto compimento. Pietro non ha parole abbastanza belle per descrivere quello che Dio ci darà: "Una eredità che non si corrompe, non si macchia, non marcisce, conservata nei cieli...".
È una prospettiva estremamente positiva. Pietro vede la grande bontà di Dio nel passato, vede la grande bontà di Dio per il futuro.
E fra questi due spazi immensi di gioia c'è un piccolo momento di prova: "Perciò siete ricolmi di gioia anche se ora dovete essere per un po' di tempo afflitti da varie prove".
Realmente tutte le difficoltà, le contrarietà, le tribolazioni della vita, che spesso occupano tutto il nostro orizzonte soffocandoci, Pietro le vede come qualcosa quasi trascurabile, un breve momento di afflizione fra due manifestazioni indescrivibili della bontà e generosità divine.
E anche queste prove sono lette in maniera molto positiva sono necessarie per purificare la nostra fede, come l'oro si purifica nel fuoco.
È molto consolante per noi questa visione della vita cristiana, la vita che noi viviamo giorno per giorno e che san Pietro ci presenta con tanto entusiasmo.
Chiediamo a lui che ci aiuti ad essere docili al Padre e pieni di fiducia nel suo amore.


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23/02/2017 09:23
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Il male dello scandalo


La bontà e l'abituale mansuetudine di Cristo sembra quasi scompaiano dinanzi all'autore degli scandali soprattutto se perpetrati nei confronti dei "piccoli che credono". "È meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare", dice il Signore. Non è difficile comprendere gli effetti devastanti dello scandalo. Entra come forza distruttrice del bene e spande semi venefici e zizzania. Ai nostri giorni si sono moltiplicate le vie che consentono di diffondere rapidamente ed ovunque sia il bene che il male. I mezzi di comunicazione sono strumenti meravigliosi che ci aprono a tutte le bellezze e le conquiste del nostro mondo, ma ahimè, possono diventare e talvolta lo diventano, luoghi di immondezze e motivi di scandalo specialmente per i più piccoli. Come è importante quindi educare gli occhi della nostra anima e del nostro corpo ad apprezzare e saper godere di tutto ciò che è buono e bello e saper rigettare ciò che inquina la nostra persona e svilisce i valori sacri della vita. Gesù ci dice tutto questo facendoci fare una esatta valutazione dei valori del corpo e dello spirito, del presente e del futuro, del bene e del male, del tempo e dell'eternità. Da queste interiori illuminazioni sgorgano i frutti della pace perché abbiamo chiuso i percorsi delle brame e abbiamo aperto cuore e mente a Dio.




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24/02/2017 06:02
 
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Oggi le due letture ci parlano di fedeltà, fedeltà nell'amicizia e fedeltà nel matrimonio e ci dicono che essa corrisponde al desiderio di Dio: Dio vuole la fedeltà. Anche san Pietro ci invita, nel versetto prima del Vangelo: "Amatevi intensamente, di vero cuore, perché siete stati rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale". Immortalità e fedeltà vanno insieme. E’ una lezione che gli uomini non capiscono facilmente, perché concepiscono l'amore in maniera troppo naturale, mischiato all'interesse proprio. E vero che nell'amore umano c'è una certa mescolanza di interesse proprio e di generosità ed è questo il motivo che rende necessario educare il nostro amore ad essere sempre più fedele e disinteressato.
Anche nel matrimonio l'unione vera non può fondarsi sulla passione e sull'incostanza del sentimento, ma sulla fedeltà. E non è facile, perché ciascuno è tentato di cercare la propria felicità e di pensare che questo sia amore. In particolare, se l'amore non è purificato, l'impulso verso la soddisfazione dell'istinto sessuale ha il sopravvento e quando questa soddisfazione non la si trova o si pensa di poterla trovare meglio altrove, avviene la rottura.
Ma il progetto di Dio è un altro: "I due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne". Gesù ricorda questo progetto divino, che l'uomo fa proprio quando non cerca la propria soddisfazione, la propria felicità, ma la felicità dell'altro, anche a prezzo della propria abnegazione. Così ciò che Dio ha congiunto non sarà mai separato. È un comando divino ed è nello stesso tempo un dono divino, come il Siracide dice dell'amicizia.
Leggiamo nel bellissimo testo che oggi la liturgia ci presenta: "Un amico fedele è un balsamo di vita, lo troveranno quanti temono il Signore", quanti cioè hanno verso di lui quel rispetto profondo fatto di docilità e di amore che la Bibbia chiama "timore di Dio".
Se una persona è aperta alla docilità verso Dio, porterà nella sua amicizia la generosità che viene solamente da lui; per questo "chi teme il Signore è costante nella sua amicizia". Fondato sul Signore, che è amore generoso, anch'egli sarà generoso e fedele e troverà un amico come lui, "perché come uno è, così sarà il suo amico".
Il versetto petrino che abbiamo citato dà, per noi cristiani, la ragione più profonda della fedeltà nell'amicizia: "Amatevi intensamente..., perché siete stati rigenerati da un seme immortale: dalla parola del Dio vivente". La nostra vita spirituale è fondata sulla parola di Dio che ci dà una vita nuova, che durerà per sempre e i nostri affetti, se sono penetrati dal soffio divino della parola di Dio, dell'amore di Dio, non c'è ragione perché non debbano anch'essi durare per sempre.
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25/02/2017 09:23
 
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La prima lettura di oggi esalta la grandezza dell'uomo:
"Secondo la sua natura il Signore li rivestì di forza e a sua immagine li formò... Discernimento, lingua, occhi, orecchi e cuore diede loro perché ragionassero, li riempì di dottrina e di intelligenza e indicò loro anche il bene e il male". E, ciò che è più prezioso: "Stabilì con loro un'alleanza eterna e fece loro conoscere i suoi decreti". Parla, evidentemente, dell'alleanza con Mosè e della legge delle due tavole. Quanto più possiamo ora ammirare la bontà divina, pensando all'alleanza nuova conclusa nel sangue di Cristo e alla legge nuova scritta nei nostri cuori, che ci fa vivere nello Spirito Santo da figli di Dio! Nel Vangelo, a quest'uomo così grande per i doni di Dio, Gesù ripete più volte l'invito a diventare "come un bambino": è la condizione per entrare nel regno del Padre. E per diventare "bambini" abbiamo una via: essere figli di Maria, che è stata piccola ed è stata contenta di esserlo: "il mio spirito esulta in Dio, perché ha guardato l'umiltà della sua serva". È difficile essere contenti dei propri limiti! Il segreto è essere umili e magnanimi, per questo Maria ha potuto parlare per sé di grandezza e di umiltà.
Maria è stata adulta nella fede, ha usato, come dice il Siracide, il discernimento per ragionare: all'Angelo annunciante ha fatto domande essenziali per risposte precise. Ed è stata piccola, docile e fiduciosa nell'abbandonarsi a Dio. Leggiamo ancora nel Siracide:
"Loderanno il suo santo nome per narrare la grandezza delle sue opere". E Maria nella visita ad Elisabetta ha cantato le lodi del Signore: "Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e santo è il suo nome".
Ringraziamo il Signore di averci dato in Maria un modello e una madre che ci aiuta a capire la necessità della piccolezza evangelica e a crescere in essa per ricevere le grazie divine.
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26/02/2017 09:14
 
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Gesù ci invita a fare una scelta. Egli lo fa spesso con un vigore estremo. Noi abbiamo capito bene che il regno di Dio è
incompatibile con il regno del denaro. In quel regno non si vende nulla. La vita è gratuita, come l’aria, come l’acqua (Is 55,1; Ap 21,6), l’acqua soprattutto, senza la quale non c’è vita. E colui che ha ricevuto gratuitamente, deve dare gratuitamente (Mt 10,8).
In questo regno, invece, tutto si compra. La prudenza raccomanda di essere previdenti e rapaci. Bisogna preparare l’avvenire, poiché è incerto. Ma l’avvenire ci sfugge. Esso appartiene a Dio. Fare la scelta del regno di Dio, scegliere di servire Dio escludendo ogni altro padrone, significa anche rimettersi a lui per l’avvenire: avere fede in Dio, al punto di non preoccuparsi per l’avvenire. È la nostra ricchezza, il nostro tesoro (Mt 13,44). È più sicuro per noi che tutto l’oro del mondo. Avere dell’oro da parte è un modo di assicurare il proprio avvenire. Ma un avvenire sulla terra, cioè a breve termine. L’avvenire di cui parliamo è grande come l’eternità. Su questo avvenire non abbiamo nessuna presa. Poco importa. Dio stesso se ne preoccupa per noi. Gesù si incarica di “prepararci un posto” (Gv 14,2). Il nostro avvenire è in buone mani. È sicuro. Perché farci tante preoccupazioni? Questo atto di fiducia, che Gesù esige, è anche una lezione di saggezza. Troppo spesso, con il pretesto di preparare l’avvenire, noi non viviamo più. Gesù è un maestro, non di noncuranza, ma di pacifica serenità.
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27/02/2017 08:11
 
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Quest'uomo ricco che accorre a Gesù desidera entrare nel regno dei cieli e viene a lui perché gli insegni la via: è il modo giusto di incominciare. Gesù gli risponde ricordandogli i comandamenti di Dio e allora ci rendiamo conto che costui non solo ha ascoltato Dio, ma ha messo in pratica le sue leggi ed è quindi già sulla strada del regno. E per questo che Gesù gli propone una tappa ulteriore: "Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: "Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi"". E qui il cammino si arresta: "Egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni". Gli sembra impossibile lasciare quello che ha per prendere ciò che il Signore gli offre; manca di fede e non sa più ascoltare la parola del Signore, non sa più vedere che essa è una parola di amore. "Gesù, fissatolo, lo amò dice Marco e gli disse: Una sola cosa ti manca...". Non è per impoverirlo che Gesù gli parla, non è per severità, ma per affetto, per amore e per renderlo veramente ricco. Gesù vuol aprirgli gli occhi e fargli vedere che la sua ricchezza è in verità una mancanza: "Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai... libera te stesso dallo ai poveri...". Allora sarai ricco, perché quando avrai dato tutto avrai un tesoro in cielo. "Poi vieni e seguimi". La proposta di Ge
sù è quella di entrare già ora nel regno, di avere già ora un tesoro nel cielo e, più ancora, di entrare nella sua intimità:
"Vieni e seguimi". La ricchezza gli impedisce di seguire Gesù, è un peso che rallenta il suo passo, che lo ostacola.
È una lezione che dobbiamo sempre accogliere, perché molto sovente è la nostra "ricchezza" che ci impedisce di camminare, di avere in Gesù una fede totale, di capire che la sua è sempre una proposta d'amore; la nostra ricchezza che non è necessariamente fatta di beni materiali, ma di tante cose di ogni genere. Si può essere attaccati a letture, a spettacoli, a passatempi... che impediscono di essere disponibili ad ascoltare la parola di Dio e a seguirla. Siamo sempre chiamati a semplificare la nostra vita e a renderci conto che la nostra vera ricchezza è solo nel seguire Gesù.
Gesù riconosce che questo distacco è difficile: "Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!" Ma vedendo l'inquietudine e l'angoscia dei discepoli egli stesso offre il mezzo, richiamandoli di nuovo alla fede. ~ rimedio non è nella nostra forza, nei nostri tentativi umani, ma nell'aprirsi all'azione di Dio: "Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio".
E rieccoci al punto di partenza. È sempre qui che bisogna tornare in ogni difficoltà, si tratti di un ostacolo da superare, di un peso da sopportare o di un peso di cui dobbiamo liberarci: l'uomo non può riuscirci, ma ci riesce Dio in lui, se egli ha fede. L'ultima parola del Vangelo odierno è anche l'ultima parola dell'Angelo a Maria: "Niente è impossibile a Dio". Siamo così davanti all'esempio di Maria, che ascolta la parola che viene da Dio, l'ascolta nella sua povertà, nella sua umiltà e aderisce a questa affermazione fondamentale: "Tutto è possibile a Dio".
L'essenziale è dunque ascoltare Dio, essere docile a Dio nella fede e camminare con fiducia sulla strada in cui Dio ci ha posto.
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28/02/2017 09:21
 
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Nella prima lettura troviamo una catechesi completa sui sacrifici. Naturalmente nell'Antico Testamento quando si parla di sacrifici si pensa subito alla immolazione di animali e il Siracide ricorda al pio israelita di non trascurare le oblazioni prescritte dalla legge e di fare le proprie offerte con animo generoso e lieto:
"Non essere avaro nelle primizie che offri. In ogni offerta mostra lieto il tuo volto, consacra con gioia la decima". Però si dilunga a spiegare che la vita è più importante dell'immolazione di vittime e così prepara già il Nuovo Testamento. "Chi osserva la legge moltiplica le offerte", cioè l'osservanza della legge è equivalente a molte offerte: "Chi adempie i comandamenti offre un sacrificio di comunione; chi pratica l'elemosina fa sacrifici di lode...". Non soltanto ciò che si fa per Dio costituisce un sacrificio, ma anche il bene che viene fatto al prossimo: praticare l'elemosina equivale ad offrire a Dio un sacrificio di lode. Nella lettera agli Ebrei l'autore dice: "Non dimenticatevi della beneficenza e di far parte dei vostri beni agli altri, perché di tali sacrifici il Signore si compiace".
Ed infine il Siracide non esita ad insistere sulla generosità di Dio: "Da' di buon animo secondo la tua possibilità, perché il Signore è uno che ripaga, e sette volte ti restituirà". E chiaro che non si tratta di offrire sacrifici con animo interessato, compiendo così un atto di egoismo e non di omaggio a Dio, però possiamo essere sicuri che il Signore è più generoso di noi e questa persuasione ci è di aiuto ad essere anche noi veramente generosi.
Nel Vangelo odierno Gesù conferma questa concezione, anzi non parla di sette volte, ma di cento volte tanto: "In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del Vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto...". E questo ci mette al nostro posto. E falsa la pretesa di dare a Dio senza voler ricevere niente, perché è Dio che dona per primo, ed è ancora lui che alla fine darà in sovrabbondanza. Noi siamo soltanto un po' come specchi della generosità divina: ciò che abbiamo ricevuto lo possiamo dare in parte, per ricevere ancora di più.
Anche nella Messa viviamo questo atteggiamento.
Nell'Offertorio diciamo a Dio: "Ti presentiamo questi doni che abbiamo ricevuto dalle tue mani. Tu ci hai dato questo pane e questo vino e noi te li riportiamo con umile generosità, perché tu ci dia ancora di più, cioè non soltanto un pane materiale, ma un Pane di vita, non soltanto il vino frutto della vite, ma il Vino del regno eterno". E questa la dinamica della nostra vita, che ci deve dare gioia sempre, perché siamo veramente coinvolti dalla generosità divina, che ci da affinché possiamo dare e ricevere ancora di più.


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01/03/2017 08:35
 
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Il mercoledì delle Ceneri, la cui liturgia è marcata storicamente dall’inizio della penitenza pubblica, che aveva luogo in questo giorno, e dall’intensificazione dell’istruzione dei catecumeni, che dovevano essere battezzati durante la Veglia pasquale, apre ora il tempo salutare della Quaresima.
Lo spirito comunitario di preghiera, di sincerità cristiana e di conversione al Signore, che proclamano i testi della Sacra Scrittura, si esprime simbolicamente nel rito della cenere sparsa sulle nostre teste, al quale noi ci sottomettiamo umilmente in risposta alla parola di Dio. Al di là del senso che queste usanze hanno avuto nella storia delle religioni, il cristiano le adotta in continuità con le pratiche espiatorie dell’Antico Testamento, come un “simbolo austero” del nostro cammino spirituale, lungo tutta la Quaresima, e per riconoscere che il nostro corpo, formato dalla polvere, ritornerà tale, come un sacrificio reso al Dio della vita in unione con la morte del suo Figlio Unigenito. È per questo che il mercoledì delle Ceneri, così come il resto della Quaresima, non ha senso di per sé, ma ci riporta all’evento della Risurrezione di Gesù, che noi celebriamo rinnovati interiormente e con la ferma speranza che i nostri corpi saranno trasformati come il suo.
Il rinnovamento pasquale è proclamato per tutta l’umanità dai credenti in Gesù Cristo, che, seguendo l’esempio del divino Maestro, praticano il digiuno dai beni e dalle seduzioni del mondo, che il Maligno ci presenta per farci cadere in tentazione. La riduzione del nutrimento del corpo è un segno eloquente della disponibilità del cristiano all’azione dello Spirito Santo e della nostra solidarietà con coloro che aspettano nella povertà la celebrazione dell’eterno e definitivo banchetto pasquale. Così dunque la rinuncia ad altri piaceri e soddisfazioni legittime completerà il quadro richiesto per il digiuno, trasformando questo periodo di grazia in un annuncio profetico di un nuovo mondo, riconciliato con il Signore.
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02/03/2017 07:20
 
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Commento su Lc 9,22

"Gesù disse ai suoi discepoli: «Il Figlio dell'uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno".

Lc 9,22

Come vivere questa Parola?

C'è, in Cristo Gesù, la piena consapevolezza di quell'itinerario di Passione Morte e Risurrezione che è il Suo Mistero: il Mistero Pasquale.

C'è il suo pieno consenso a un progetto in cui la morte e la vita, la sconfitta totale (fino a scendere nel sepolcro) e la piena vittoria su ciò che è disgregazione di vita, hanno un esito di grande risalto proprio nella sua esistenza.

E sarà Lui stesso ad affermare: "Per questo io sono venuto: per dare la vita per la salvezza degli uomini".

Quel che ci offusca l'anima è l'aspetto del luminosissimo capovolgimento affermato e vissuto da Gesù. Perdere la vita per Cristo, cioè immergerla totalmente nel Vangelo, che è proposta di un'esistenza del tutto nuova, vuol dire salvezza! Tenere stretta la vita con mani di adunco egoismo, significa perdere: sì perdere realmente la vita dietro false opportunità di far soldi e roba, di accumulare e disperdere, vanificando proprio il gusto e la possibilità di godere di quel che è buono, onesto, vero, bello e tanto più bello quanto più ?condiviso' e semplice.


Si, Gesù, Tu aggiungi che, per camminare su questa strada, bisogna prendere la propria croce e prenderla ogni giorno. Fammi capire che è proprio quello che dà ?sapore' alla mia vita. Fossi anche padrona di una multinazionale, che cosa mi gioverebbe se non fossi poi in pace con me stessa e con il mondo intero?


La voce di un giornalista e scrittore italiano

La croce deve apparirci in tutta la sua verità. Essa congiunge la terra al cielo, tende le braccia in tutte le direzioni, è il segno misterioso dell'umanità universale, il telaio sul quale viene tessut
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