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CREDENTI

MEDITIAMO LE SCRITTURE (anno A)

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    Coordin.
    00 28/09/2014 09:12
    Monastero Domenicano Matris Domini
    Commento su Mt 21,28-32

    Lectio

    Domenica scorsa abbiamo visto l'invidia dei primi credenti verso coloro che arrivavano al cristianesimo dal paganesimo o da una vita disordinata. Con il vangelo di questa domenica inizia una trilogia, che seguiremo per tre domeniche, in cui si incontra una realtà ancora più amara: i primi credenti, cioè gli Israeliti, il popolo dell'alleanza, non vuole accettare Gesù.

    Gesù entrato trionfalmente a Gerusalemme (Mt 21,1-11) si mette a insegnare nel tempio. Si avvicinano a lui i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo per chiedergli con quale autorità egli insegni. Ma Gesù risponde con una domanda a trabocchetto, chiedendo loro se il battesimo di Giovanni provenisse dal cielo o dagli uomini. Questo mise gli interlocutori in difficoltà perché la loro risposta avrebbe messo a nudo la loro vera opinione riguardo a Giovanni Battista. Così essi scelsero di non rispondere e furono disarmati nella loro offensiva (Mt 21,23-27).

    Allora Gesù continua il proprio insegnamento con tre parabole.

    1. I due figli mandati a lavorare nella vigna (il vangelo di questa domenica)

    2. I vignaioli omicidi (Mt 21,33-46)

    3. Gli invitati alle nozze che rifiutano l'invito (Mt 22,1-14)

    In queste tre parabole si sottolinea il costante rifiuto della salvezza da parte dei capi d'Israele. E' come una sintesi di tutta la storia di Israele. Il rifiuto si ripete sistematicamente, davanti a tutti gli inviati di Dio: Giovanni Battista, i profeti dell'Antico Testamento, il Figlio di Dio, i profeti del Nuovo Testamento, i missionari cristiani.

    Nella prima parabola, quella dei due figli, il rifiuto è verso il Padre e l'accento viene posto sul fatto che i pagani e i peccatori in fondo sono migliori del popolo eletto di Dio, poiché hanno accolto il messaggio di Giovanni Battista e poi di Gesù stesso.
    In quel tempo Gesù disse ai capi dei sacerdoti e degli anziani del popolo: 28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: «Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna».

    Gesù, come suo solito, raccontando la parabola coinvolge i propri uditori ad emettere un giudizio. I suoi interlocutori qui sembrano essere in primo luogo i sommi sacerdoti e gli anziani con cui aveva avuto un piccolo dialogo sul battesimo di Giovanni Battista nei versetti precedenti. Già con questa domanda d'inizio (che ve ne pare?) li avverte che saranno chiamati in causa.

    Come nella parabola del figliol prodigo (Lc 15,11ss.) i due figli ci mostrano il modello di due comportamenti opposti che vengono esasperati per farci comprendere meglio il messaggio. Il figlio viene invitato "oggi" a lavorare nella vigna. L'oggi sottolinea l'importanza di aderire subito all'invito del Signore ad accoglierlo e a seguirlo.

    La vigna lega questa parabola con quella seguente dei vignaioli omicidi. La vigna nell'Antico Testamento è uno dei simboli più importanti per indicare Israele, il popolo prediletto da JHWH.
    29Ed egli rispose: «Non ne ho voglia». Ma poi si pentì e vi andò.

    La risposta del primo figlio è secca e un po' irrispettosa, come capita spesso nei dialoghi tra genitori e figli. Però, alla fine, si pente e va nella vigna, cambia direzione.

    30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: «Sì, signore». Ma non vi andò.

    Il padre rivolge la stessa domanda anche al secondo figlio. Costui risponde affermativamente, ma in un modo un po' inusuale. Dice "Io, Signore!", mettendo in risalto la propria buona volontà, la propria bravura.

    Ricorda un po' l'atteggiamento del fariseo in Lc 18,9-14. Si può riflettere sul perché il secondo figlio dica di sì e poi non obbedisca. Forse teme troppo il padre/padrone, non crede che lui sappia rispettare la libertà del figlio, dice di sì per paura, non si prende la responsabilità delle sue azioni.
    31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».

    Entrambi i figli sono stati incoerenti con quello che hanno detto. Però viene preferito colui che ha fatto ciò che era giusto, piuttosto di colui che lo aveva solo detto. Il fare è ciò che conta, il dire rimane sempre ambiguo. L'interpretazione che Gesù dà della parabola però va ancora più oltre. Non sottolinea soltanto il fare, ma il "pentirsi" (il verbo usato è metamélomai, proprio di Matteo, un po' più debole di metanoeo, convertirsi).
    E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

    La parabola di Gesù provoca un rovesciamento inatteso nei destinatari del regno. "Pubblicani e prostitute vi precedono nel regno di Dio", ciò significa che essi prendono il posto dei capi di Israele. Esattori di imposte e prostitute non erano soltanto "pubblici peccatori", ma anche i peggiori collaborazionisti col potere d'occupazione romano, e i meno preoccupati di raggiungere il Regno di Dio. Ma almeno "alla fine" si sono pentiti, e pentendosi hanno fatto di più per il regno di tutti quegli osservanti che vi hanno creduto solamente a parole. La sfida del regno si gioca dunque a partire dall'accoglienza e dall'adesione alla predicazione penitenziale del Battista (cf. le parole di Mt 11,12 sui "violenti" che si impadroniscono del Regno). Anche se la venuta di Giovanni è distinta da quella di Gesù nei tempi e nei modi, tuttavia esse sono strettamente legate. Rifiutare l'una significa rifiutare l'altra. Nel v. 32 viene ripetuto tre volte il verbo "credere". In questo contesto significa "obbedienza" alla "via della giustizia" predicata da Giovanni, che è la stessa "via di Dio" insegnata anche da Gesù (Mt 22,16), cioè la volontà del Padre che è nei cieli. Gesù e Giovanni sono coloro che hanno compiuto "ogni giustizia" (cf. Mt 3,15). La mancanza di fede in Giovanni è una mancanza di fede in Gesù, e questa parabola - con la sua attualizzazione è la migliore spiegazione alla controdomanda che Gesù aveva fatto ai sommi sacerdoti e agli anziani: "Il battesimo di Giovanni proveniva dal cielo o dagli uomini?".
    Meditiamo

    - Come vedo Dio padre? Come un padrone severo, pronto a dare ordini e a punire?

    - Qual è il mio atteggiamento verso la Parola di Dio? La vedo come un insieme di comandamenti da rispettare o come una storia di salvezza che entra nella mia vita?

    - Mi è mai capitato di pentirmi dei "no" che ho detto al Signore? Al contrario, mi è mai capitato di parlare tanto della volontà di Dio, ma poi di non compierla nella mia vita?
    Preghiamo

    (Colletta della 26a Domenica del Tempo Ordinario, Anno A)

    O Padre, sempre pronto ad accogliere pubblicani e peccatori appena si dispongono a pentirsi di cuore, tu prometti vita e salvezza a ogni uomo che desiste dall'ingiustizia: il tuo Spirito ci renda docili alla tua parola e ci doni gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù. Egli è Dio...
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    00 29/09/2014 07:18
    Gli Angeli sono esseri misteriosi, e in forma misteriosa ne parla il profeta Daniele nella celebre profezia sul Figlio dell'uomo che la liturgia ci fa leggere oggi:
    "Un fiume di fuoco scendeva dinanzi a lui; mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano". Daniele non nomina gli Angeli: parla di fuoco, di migliaia, di miriadi di miriadi... Sono veramente esseri misteriosi. Noi li rappresentiamo come uomini dal viso soave e dolce, nella Scrittura invece appaiono come esseri terribili, che incutono timore, perché sono la manifestazione della potenza e della santità di Dio, che ci aiutano ad adorare degnamente: "A te voglio cantare davanti ai tuoi angeli, mi prostro verso il tuo tempio santo". Come preghiamo nel prefazio di oggi: "Signore, Padre santo, negli spiriti beati tu ci riveli quanto sei grande e amabile al di sopra di ogni creatura". Nella visione di Daniele non sono gli Angeli gli esseri più importanti: vediamo più avanti "uno, simile ad un figlio d'uomo" ed è lui, non gli Angeli, ad essere introdotto fino al trono di Dio, è a lui che egli "diede potere, gloria e regno", è a lui che "tutti i popoli serviranno". La stessa cosa vediamo nel Vangelo: gli Angeli sono al servizio del Figlio dell'uomo. "Vedrete i cieli aperti e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo" dirà Gesù, facendo allusione sia a questa visione di Daniele sia alla visione di Giacobbe, che nel sonno vede gli Angeli salire e scendere sul luogo dove è coricato e che dà il senso della presenza di Dio in tutti i luoghi della terra.
    Gli Angeli di Dio sono dunque al servizio del Figlio dell'uomo, cioè di Gesù di Nazaret; la nostra adorazione non è rivolta agli Angeli, ma a Dio e al Figlio di Dio. Gli Angeli sono servitori di Dio che egli, nella sua immensa bontà, mette al nostro servizio e che ci aiutano ad avere un senso più profondo della sua santità e maestà e contemporaneamente un senso di grande fiducia, perché questi esseri terribili sono al nostro servizio, sono nostri amici.
    Domandiamo al Signore che ci faccia comprendere davvero la sua santità e maestà infinite, perché ci prostriamo con sempre maggiore reverenza alla sua presenza, davanti ai suoi Angeli.
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    00 30/09/2014 07:20
    Ringraziamo Dio per il grande dono della Scrittura: è un dono del suo amore, un dono antico e sempre nuovo che dobbiamo sfruttare nella fede.
    Nel Vangelo Gesù ci dice appunto che il nostro tesoro è contemporaneamente antico e nuovo. E ogni epoca è invitata a discendere in questa miniera inesauribile per trovare nuove ricchezze, e le trova davvero.
    Il modo attuale di studiare la Scrittura non assomiglia a quello dei secoli passati: vi scopriamo aspetti nuovi, che ci aiutano ad apprezzarne meglio la varietà e la ricchezza. Così si rinnova continuamente il gusto e l'interesse per lo studio della Bibbia.
    Sappiamo che la Scrittura si studia bene soltanto nella fede. "Le Sacre Scritture scrive Paolo a Timoteo possono istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù". Lo studio della Scrittura è fatto per mezzo della fede, che lo guida. Per aver fede bisogna prima capire un po' la Scrittura, perché se non si capisce niente dell'annuncio di salvezza non è possibile aderirvi, quindi per arrivare a credere è necessario fare un certo lavoro di intelligenza, un certo studio. Ma d'altra parte per approfondire la Scrittura è necessaria la fede: credere per, comprendere.
    Se qualcuno ha il senso delle cose spirituali capisce profondamente la Bibbia anche se non ha cultura, perché la fede illumina gli occhi del suo cuore e questa illuminazione è più preziosa di tutti i mezzi della scienza, che possono far luce su aspetti secondari, ma non raggiungono il centro, che è il "proprio" della fede.
    Non bisogna disprezzare lo studio faticoso degli scienziati, perché i loro sforzi sono necessari per far penetrare la fede in tutti i settori della vita e di ogni epoca. Ma Dio ha rivelato i tesori della Scrittura non soltanto agli intelligenti, ma anche a chi è meno dotato, mediante la fede, luce divina.
    Siamo dunque riconoscenti al Signore per questo tesoro che tutti noi utilizziamo e aiutiamo ad approfondirlo insieme agli studiosi, perché la scienza aiuta a comprendere le Scritture, ma ancor più aiuta la santità.
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    00 01/10/2014 07:26
    Monaci Benedettini Silvestrini
    Esigenze della vocazione apostolica

    Chi sceglie di mettersi alla sequela di qualcuno o è sollecitato comunque a farlo, la prima cosa che chiede ed esige sono alcune indispensabili garanzie e sicurezze che riguardano il presente ed il futuro. Ciò potrebbe sembrare perfino legittimo e dettato dalla virtù della prudenza. Nei confronti del Cristo, l'unica certezza e la garanzia assoluta è la sua persona e la sua dottrina. Egli infatti ha in se il fascino e la forza di dire semplicemente una parola imperativa «Seguimi» e l'invitato lascia tutto, si alza da banco delle imposte, abbandona reti e famigliari e lo seguono. Nel brano odierno non è Gesù che chiama, ma «un tale» non meglio identificato, che gli si accosta e si propone: «Ti seguirò dovunque tu vada». Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». E come dire: se cerchi un benessere umano non è da me che lo devi cercare. Ad alcuni chiamati che rispondono con sollecitudine, ma pongono soltanto alcune legittime condizioni, Gesù ad uno dice: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu và e annunzia il regno di Dio» e ad un altro: «Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio». È sulla scia di queste verità che abbiamo maturato la ferma convinzione che la vocazione alla sequela di Gesù non può mai essere motivata da solo motivi o interessi umani. Sappiamo ormai che la stessa sequela implica un distacco completo dalle cose, dagli interessi e perfino dagli affetti del mondo. Il primo compito dei chiamati è quello di affermare, in un mondo spesso impelagato nella materialità delle cose, il primato assoluto di Dio. S. Benedetto chiede ai suoi Monaci di non anteporre nulla all'amore di Cristo.
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    00 02/10/2014 07:23
    Movimento Apostolico - rito romano
    Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?

    Il diavolo sempre tenta l'uomo. Lo vuole nell'inferno con lui per l'eternità. Per contrastare questa furia e potenza di morte, il Signore ha stabilito per ogni uomo che un suo Angelo se ne prenda cura. Lo aiuti, lo sorregga, lo guidi, lo conduca sempre su una strada buona. La devozione agli Angeli di Dio è sommamente raccomandata. Essa è sempre efficace contro ogni tentazione dello spirito del male.

    Gesù rivela che gli Angeli custodi vedono sempre la faccia del Padre nostro celeste. Sono sempre pronti ad intervenire per la difesa dei loro assistiti in ogni momento. Basta un solo Angelo per sbaragliare i più agguerriti eserciti di questo mondo. Nessuno pertanto potrà pensare di poter fare impunemente il male ai piccoli, ai bambini. Il Signore è loro difesa, scudo, protezione, salvezza. Questa verità dovrebbe spingere ogni adulto al grande rispetto per quanti ancora sono incapaci di provvedere alla loro vita. La storia ogni giorno attesta che il Signore interviene e libera dal male.

    Questa verità di Gesù Signore è mirabilmente confermata dalla Scrittura Antica.
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    Coordin.
    00 03/10/2014 07:58
    Movimento Apostolico - rito romano
    Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me

    È verità: Dio e il suo popolo sono una cosa sola. Dalla rivelazione profetica sappiamo che tra Israele e il suo Dio vi era una unione profonda, raffigurata nel segno del matrimonio, attraverso il quale l'uomo e la donna divengono una sola carne. Dio e l'uomo per la fede divengono una cosa sola, un solo alito, una sola vita.

    La creazione di questa altissima unità e unione tra Dio e il suo popolo, fa sì che ciò che è del popolo è di Dio e ciò che è di Dio è del popolo. Questo significa che colui che onora, rispetta, stima, aiuta, sostiene il popolo, stima, aiuta e rispetta Dio. Come anche: colui che disprezza il popolo di Dio, disprezza il Dio che con il popolo è divenuto una cosa sola. Nessuno potrà mai pensare di disprezzare il Signore, che è un fuoco divoratore e sempre può intervenire in difesa del suo popolo.

    Ti disprezza, ti deride la vergine figlia di Sion. Dietro a te scuote il capo la figlia di Gerusalemme. Chi hai insultato e ingiuriato? Contro chi hai alzato la voce e hai levato in alto i tuoi occhi? Contro il Santo d'Israele! Per mezzo dei tuoi ministri hai insultato il mio Signore e hai detto: Con la moltitudine dei miei carri sono salito in cima ai monti, sugli estremi gioghi del Libano: ne ho reciso i cedri più alti, i suoi cipressi migliori, sono penetrato nel suo angolo più remoto, nella sua foresta lussureggiante. Io ho scavato e bevuto le acque, ho fatto inaridire con la pianta dei miei piedi tutti i fiumi d'Egitto. Non l'hai forse udito? Da tempo ho preparato questo, da giorni remoti io l'ho progettato; ora lo eseguo. E sarai tu a ridurre in mucchi di rovine le città fortificate. I loro abitanti, stremati di forza, erano atterriti e confusi, erano erba del campo, foglie verdi d'erbetta, erba di tetti, grano riarso prima di diventare messe. Che tu ti sieda, esca o rientri, io lo so. Poiché il tuo infuriarti contro di me e il tuo fare arrogante è salito ai miei orecchi, porrò il mio anello alle tue narici e il mio morso alle tue labbra; ti farò tornare per la strada per la quale sei venuto". Questo sarà per te il segno: mangiate quest'anno il frutto dei semi caduti, nel secondo anno ciò che nasce da sé, nel terzo anno seminate e mietete, piantate vigne e mangiatene il frutto. Il residuo superstite della casa di Giuda continuerà a mettere radici in basso e a fruttificare in alto. Poiché da Gerusalemme uscirà un resto, dal monte Sion un residuo. Lo zelo del Signore degli eserciti farà questo. Pertanto così dice il Signore riguardo al re d'Assiria: "Non entrerà in questa città né vi lancerà una freccia, non l'affronterà con scudi e contro di essa non costruirà terrapieno. Ritornerà per la strada per cui è venuto; non entrerà in questa città. Oracolo del Signore: Proteggerò questa città per salvarla, per amore di me e di Davide mio servo"». (Is 37,22-35).

    Questa verità di Dio con il suo popolo diviene verità di Gesù con i suoi discepoli. Con Gesù l'unità è ancora più forte, perché tra Lui e i suoi discepoli si crea un solo corpo realmente, spiritualmente, misticamente, veramente e non solo spiritualmente. Il disprezzo del discepolo è vero disprezzo di Cristo Gesù. Così come l'ascolto del discepolo è vero ascolto di Cristo Gesù. Questo però quando Gesù e il discepolo sono un solo corpo di verità, grazia, santità, giustizia, Vangelo, parola.

    Quando invece il discepolo si distacca da Cristo con il peccato, la disobbedienza, la sua vita scandalosa, non evangelica, in questo caso chi disprezza il discepolo, disprezza solo lui e nessun altro. Chi non ascolta lui, non ascolta lui e nessun altro. Lui si è distaccato da Cristo Gesù e non merita nessun ascolto, perché non è più parola di vita eterna come il suo Maestro e Signore. Il discepolo di Gesù deve porre ogni attenzione ad essere con il suo Signore una sola vita, nella santità e nella grazia più grande, nella giustizia e nella pace, nella verità della rivelazione, nella guida secondo lo Spirito Santo. Lui è vi obbligato a motivo della missione di cui è stato investito.
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    Coordin.
    00 04/10/2014 08:25
    Movimento Apostolico - rito romano
    Tutto è stato dato a me dal Padre mio

    Gesù è persona dal cuore purissimo, dalla mente santissima, dagli occhi pieni di luce. Lui è in una perenne contemplazione delle opere del Padre. Vede Dio e ne loda l'agire. Questa visione manca all'uomo. La sua cecità è congenita. Non riesce a vedere il Signore nella storia. Non solo quando agisce nel più grande nascondimento, ma anche quando le sue opere sono palesi, evidenti, perché eclatanti e sconvolgenti.
    Osserviamo per qualche istante le opere di Gesù che sono tutte opere del Padre in Lui. Qual è la reazione dell'uomo? È di rifiuto, opposizione, forte contrasto, negazione, mormorazione, parola vana, cattiva, malvagia. Farisei e scribi sono giunti finanche a dichiararle opere del diavolo, di Satana, di Beelzebùl. Quando si arriva al peccato contro lo Spirito Santo è il segno che nel cuore non regna la luce di Dio, vi sono solo tenebre infernali. Tenebra infernale è il cuore e secondo questa tenebra vede e giudica ogni cosa. La stessa morte di Gesù in croce è il frutto di questa tenebra satanica.
    Sempre l'uomo dal cuore di tenebra giudica le opere di Dio dalla sua tenebra. Questo giudizio mai verrà meno. Durerà fino all'avvento dei cieli nuovi e della terra nuova. Sempre gli inviati di Dio saranno sottoposti al martirio che avverrà secondo molteplici forme o modalità, ma tutte con un unico scopo: distruggere l'opera che Dio vuole compiere attraverso i suoi mediatori di verità, grazia, pace, salvezza, misericordia, grande carità. Sogghigno, mormorazione, critica spietata, satira pungente, calunnia, falsa testimonianza, tradimento, rinnegamento, accusa infamante, derisione, condanna a morte: sono vie che le tenebre percorrono al fine di abbattere gli inviati di Dio.
    Il mondo delle tenebre deve necessariamente giustificare se stesso nel suo operato, parola, filosofia, psicologia, superstizione, idolatria, empietà, comprensione distorta e fuorviante della stessa sana rivelazione. Non può tollerare che un Mediatore strumentale del Signore venga e lo ponga dinanzi alla falsità della sua fede e del suo culto, del suo amore e della sua speranza, della giustizia e della misericordia. Deve fare di tutto per abbatterlo, sopprimerlo, distruggerlo, toglierlo di mezzo. Il mondo delle tenebre è odio purissimo, spietato, crudele, insaziabile. Mai potrà lodare, benedire, esaltare il Signore. Mai dal suo cuore potrà sorgere un inno di ringraziamento.
    Gesù è luce eterna e creata allo stesso tempo. È luce perfetta di verità, santità, giustizia, misericordia, sapienza e intelligenza di Spirito Santo. Dalla luce del suo cuore vede la benevolenza del Padre che dona la rivelazione del suo mistero ai piccoli e lo loda, lo benedice, lo esalta, si rallegra con Lui. Con Lui si complimenta. Per questo evento la sua gioia è perfetta. Ma Gesù non vede solo il Padre, vede anche se stesso nel Padre. Si vede in pienezza di verità. Vede ciò che il Padre ha fatto di Lui. Lo ha costituito Mediatore universale di rivelazione, grazia, santità, ristoro, pace, giustizia, misericordia. Il Padre ha deciso e nessuna volontà umana potrà mai arrestare, impedire, ostacolare, sopprimere la decisione dell'Altissimo.
    Chi vuole conoscere Dio e in Dio conoscersi, lo potrà solo per mezzo della mediazione di Cristo Signore. Chi si esclude da essa, rimarrà nelle sue tenebre. Non conoscerà Dio nella sua verità di amore e di giustizia. Non riceverà alcun ristoro e alcun conforto. Mai passerà nel regno della luce. Sempre rimarrà nel mondo delle tenebre. Mai potrà trovare ristoro e riposo per i suoi giorni. Sempre resterà un confuso, uno sbandato.
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    00 05/10/2014 09:04
    don Luca Garbinetto
    La vigna, nostra eredità di nozze

    La parabola della vigna è intrisa di tanto sangue. È una finestra dura e realista sull'esperienza dell'umanità, che risalta in controluce dietro la passione e morte di Gesù qui chiaramente preannunciata. Eppure, nel cuore di Gesù, mentre raccontava ai sacerdoti e agli anziani del popolo, affiorava forse l'immagine di una festa, assieme al dolore di vederla ancora incompiuta.

    È la festa di nozze del Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, che si è fatto sposo del suo popolo Israele, celebrando nella fedeltà un'alleanza che ha le sue radici nelle viscere di misericordia del Signore. Le nozze non sono un evento di un giorno o di un momento. Le nozze sono per sempre: celebrano l'eternità. E quando Dio aveva preparato il suo regalo di nozze, lo aveva fatto pensando a un dono definitivo, totale, eterno.

    È commovente pensare a questo sposo generoso e prodigo, che non esige la dote della sua amata; anzi, la prepara egli stesso, in modo da rendere la vita a due qualcosa di dolce, di fruttuoso, di gioioso. Dio ha preparato la vigna con tanta cura, affaticandosi nei primi giorni della creazione, per poterla mettere nelle mani dell'amata, quell'umanità fragile e allo stesso tempo speciale, perché fatta a sua immagine e somiglianza. Dio ha risparmiato al suo popolo la fatica dei preparativi. Anche quando Israele si era trovato a entrare nella terra promessa, aveva goduto della fertilità di alberi e coltivazioni non piantate dai suoi uomini (cfr. Gios 24,13). Dio ha sempre sovrabbondato e preceduto in gratuità.

    Questa parabola, allora, non parla tanto di un rapporto di padrone e mezzadri, almeno non nel senso capitalistico con cui anche noi spesso comprendiamo le relazioni. E non solo quelle legate a uno stipendio. In generale, noi, come i sacerdoti di Israele, ci relazioniamo alle persone e alle cose con la costante ansia di dover guadagnare per mostrarci bravi, di dover ?rendere' per essere all'altezza, di dover azzeccare sempre le risposte giuste per non sciupare l'occasione di accumulare. Magari non si tratta di accumulare soldi o ricchezze materiali, ma riconoscimenti e affetto; è pur sempre un accumulare, ed è questo il guaio. A che cosa serve, infatti, a un uomo "guadagnare il mondo intero se poi perde la sua anima?" (Mc 8,36).

    Il fatto è che questa cupidigia del cuore, che emerge tanto più rimaniamo concentrati solo su noi stessi, porta come effetti collaterali i sentimenti e gli atteggiamenti di disprezzo, di gelosia, di invidia, di rapina, di odio che progressivamente attanagliano l'esistenza dei contadini della parabola. È un terribile vortice, a un certo punto quasi inarrestabile. Si costituisce persino una sorta di maliziosa e meschina solidarietà tra gli empi, memoria attualissima del subdolo inganno del serpente, apparentemente consigliere favorevole alla causa dei primogenitori.

    A volte ci sorprende, ci terrorizza, ci scandalizza il grado di malvagità di cui diventa capace un uomo. Quando meditiamo la sorte terrena di Gesù, restiamo scombussolati per tanta atrocità... Ma quanto c'è di autentica indignazione evangelica in tutto questo? Non è certo l'emozione conseguente a un film particolarmente crudo quello che manifesta la nostra reale adesione all'alleanza con il Signore.

    Perché questi sentimenti e questi atteggiamenti, descritti con tanta sofferenza nelle parole di Gesù, sono - almeno potenzialmente - anche e prima di tutto i nostri. Forse non ci è capitato di piantare mai un chiodo nel palmo della mano di un fratello, o non abbiamo fisicamente scagliato pietre per lapidare una donna peccatrice. Ma l'animo è in continuo combattimento, e la lotta ha radici profonde. Emerge continuamente, quando ci ritroviamo delusi e insoddisfatti pur essendoci affannati tanto per lavorare la vigna, fino al punto da considerarla ?ragionevolmente' nostra. Un possesso, non più un dono.

    Si tratta allora di riconoscerci o meno disposti a... lasciarci sposare dal Signore! Che non è cosa scontata. Al di là dei romantici sogni di una celebrazione sontuosa e impeccabile, ormai fin troppo vittima di logiche commerciali e di apparenza mediatica, il matrimonio con Dio è una vocazione sconvolgente, che Egli propone e promette a tutti. Chi ne diventa partecipe? Colui che accetta di essere destinatario indegno e prediletto della propria stessa dote matrimoniale. Colui che riconosce di ricevere l'eredità desiderata e cercata nel momento stesso in cui si lascia amare e abbracciare così come egli è.

    Lo Sposo - cioè il Figlio - non è solo l'erede: è anche l'eredità. E chi si affanna per escluderlo dalla propria corsa all'accumulo di frutti, non si accorge di condannarsi da solo a perdere l'unica cosa che conta: la relazione con Lui, Vite che dà vita ai tralci, Sposo innamorato, Figlio che ci fa fratelli.

    Nel cuore di Gesù dimora ancora la speranza incrollabile che non tutti rifiutino la bellezza del suo dono. Così egli - memore di ben altre sorti auspicate dal profeta Isaia per la propria vigna (cfr. Is 5, 1-7)- annuncia un nuovo sposalizio, coronato dai canti del vino buono della vite. È questa la sua promessa, nel momento in cui accetta di vivere fino in fondo la tragedia preannunciata nella parabola, per essere una nuova vite piantata nella terra scavata per sostenere la croce e irrorata del sangue della donazione. Gesù rimane lo Sposo. Gesù è per sempre la Vite. Gesù ridona all'umanità smarrita nella propria inconfessabile fragilità l'opportunità di vincere la logica che ne rinnova le trame mortali. La stessa logica che ispira la violenta reazione degli ascoltatori contro coloro che - alla fin fine - sono essi stessi. La logica dell'individualismo egoista e avido, che non beve il vino della festa né riconosce il sangue della gratuità, ma semina la zizzania della menzogna e della violenza.

    Gesù dona a noi una nuova occasione di ?accasarci' con Lui. Non più da mezzadri affittavoli, ma da coeredi della grazia che salva.

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    Coordin.
    00 06/10/2014 07:35
    Il dottore della legge voleva trascinare Gesù nei dibattiti tipici dell’epoca: “Qual è il più grande dei seicentotredici precetti della legge?”. “E chi è il mio prossimo?”. Gesù orienta la conversazione in modo tale da precisare ciò che è più importante nella vita dei suoi discepoli: l’amore per Dio e per il prossimo, compresi i nemici. È il dottore della legge stesso che risponde alla prima domanda. Ma chiede ancora: “E chi è il mio prossimo?”. Per la mentalità dell’epoca, il prossimo non poteva essere né il pagano, né il samaritano, né uno qualsiasi. Alla seconda domanda, Gesù risponde con una parabola. Il samaritano non discute di problemi complessi di teologia, non chiede chi sia mai quell’uomo mezzo morto, semplicemente gli porta soccorso. “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”. Ciò significa: “Il tuo prossimo è ogni uomo che ha bisogno del tuo aiuto, del tuo amore, della tua misericordia. Non chiedere chi sia il tuo prossimo, sii piuttosto vicino a chi si trova in disgrazia, fosse anche un tuo nemico!”. Il samaritano sarà per me un esempio? Ecco ciò che sembrava assurdo al dottore della legge. I Giudei consideravano apostati i Samaritani. Provavano ostilità e ripugnanza nei loro confronti, come del resto i Samaritani verso i Giudei. I dottori della legge, poi, non volevano che si mostrasse loro benevolenza. Ecco che Gesù unisce nell’amore la famiglia umana dispersa e divisa dal muro di separazione (Ef 2,14).
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    Coordin.
    00 07/10/2014 07:21
    Casa di Preghiera San Biagio FMA
    Commento su Galati 1,15

    Dio mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia
    Gal 1,15

    Come vivere questa Parola?

    "Mi scelse fin dal seno materno"! Un'espressione che fa pensare. Oggi si è propensi a pensare al feto come a qualcosa di irrilevante tanto che lo si può manipolare, si può decidere se farlo andare avanti o eliminarlo. E qui, Paolo ci dice che su di esso Dio ha già un progetto d'amore: lo ha scelto! Certo, Paolo sta parlando di se stesso e in relazione alla particolare vocazione di cui prenderà coscienza sulla via di Damasco. Ed io, tu, ogni uomo non può dire la stessa cosa di se stesso?

    Ogni essere che si affaccia alla vita non vi approda per caso: Dio lo ha desiderato, Dio lo ha chiamato. Apriamo la Genesi e troviamo: "Dio disse... e fu". Un giorno Dio ha pronunciato il mio nome ed io ho iniziato ad esistere. Anch'io sono stato desiderato, chiamato con la sua grazia. Anche su di me egli ha intessuto un sogno stupendo, di cui forse non ho ancora preso pienamente coscienza. È così per tutti!

    In questa scelta è la mia grandezza: voluto da Dio e non comparso per caso!

    In questa chiamata il segreto della mia realizzazione: ho un posto, un compito da svolgere nel mondo che mi rende collaboratore di Dio e mi fa porre accanto ai fratelli con un ruolo ben preciso. Nessuno può dire: io sono inutile!

    E questo vale per ogni uomo, anche per il piccolo che sta formandosi nel grembo materno e ancora non sa nulla della sua grandezza, anche per il vecchio che ne ha perso il ricordo...

    Voglio sostare, quest'oggi, in contemplazione di questo dono stupendo che è la vita. Chiederò poi al Signore di farmi comprendere e approfondire la chiamata con cui mi ha raggiunto e continua a raggiungermi ogni giorno, per potervi rispondere con prontezza e gioia.

    Mio Dio, quanto sei grande e quanto meravigliose sono le tue opere! Contemplo in me e intorno a me il miracolo della vita e percepisco l'eco della tua voce che mi chiama a rendermene responsabile, a collaborare con te e con i fratelli, svolgendo il compito che mi affidi, perché essa fiorisca in pienezza.

    La voce di un lebbroso

    Sento che la vita - questo breve momento per il quale nacqui, questo spazio aperto sull'infinito, in cui sono germogliato e che ora devo gestire - è un miracolo grande
    Lino Villachà
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    Coordin.
    00 08/10/2014 08:16
    Monaci Benedettini Silvestrini
    Gesù maestro di preghiera

    Esiste un vincolo inscindibile tra noi e il nostro Creatore e Signore. È stato lui stesso a stabilirlo sin dal momento della creazione, alitando il suo spirito in noi e facendoci simili a Lui. È vero che abbiamo deturpato quella primordiale immagine con l'arroganza del peccato, mai però si è completamento spento in noi l'innato desiderio di riunirci in qualche modo al nostro Dio e Padre. La preghiera è perciò un desiderio spontaneo in ogni essere umano, è la necessità urgente di dialogo con Colui che nel suo amore ci ha generati. Non è facile però immergersi nell'invisibile e nell'infinitamente grande; da quando ci siamo prostrati sulle cose della terra è diventata ardua la via del cielo. Gli stessi apostoli, testimoni oculari delle intense preghiere del loro maestro, sentono la necessita di chiedere: «Signore, insegnaci a pregare». È pronta la risposta di Gesù. Egli, perfetto nella natura divina e umana, sa come rivolgersi al Padre, come unirsi in intima comunione con Lui. Ed intona la sua splendida preghiera: «Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno». La paternità è per Lui connaturale ed intima, ma vuole, anticipando i frutti della redenzione, che anche noi ci rivolgiamo a Dio con gli stessi accenti. Ci invita a riscoprire le meraviglie del suo amore. Egli vuole che chiamandolo Padre, riscopriamo la nostra figliolanza, gustiamo come il figlio prodigo l'abbraccio amoroso che ci ridona in pienezza la primitiva dignità, sentiamo in noi la gioia di Dio per il nostro ritorno a lui. La preghiera di Gesù ci risuona come l'inno iniziale di una grande festa, come l'avvento del suo regno in noi. Sentiamo che è davvero salutare per noi che si compia, non la volontà degli uomini, vittima di mille inquinamenti, ma quella del nostro Padre che è alimentata solo dal suo infinito amore. È sulla scia di questa meravigliosa scoperta che con fiducia chiediamo poi quanto ci occorre, affinché ognuno possa vivere dignitosamente e possa progredire nella sua grazia e nella vera fraternità. Riscopriamo così la forza sanante del perdono e della riconciliazione, riscopriamo quell'aiuto soprannaturale di grazia che ci rende forti dinanzi alle tentazioni e liberi da ogni male. Riscopriamo infine un nuovo programma di vita da realizzare pregando: siamo suoi figli e opera delle sue mani, siamo tutti fratelli in Cristo, tutti da lui riconciliati con il Padre, tutti peccatori, ma capaci di riconciliazione e di perdono. Tutti affamati, ma tutti partecipi nella solidarietà e nella condivisione, dell'unica mensa del pane di Dio.
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    Coordin.
    00 09/10/2014 08:28
    Movimento Apostolico - rito romano
    Almeno per la sua invadenza si alzerà

    La nostra vita è interamente da Dio. È da Lui nel presente e nel futuro, nel tempo e nell'eternità. È vita che va perennemente chiesta. La preghiera deve scandire tutti i ritmi della nostra quotidiana esistenza. Un solo attimo senza preghiera e si rimane senza vita. Dio viene a noi per invocazione, per richiesta, su nostra domanda, su nostro interessamento, su nostra preghiera. Non basta allora pregare. Vi sono delle regole che vanno rispettate. Mai potranno essere ignorate, pena il non esaudimento e di conseguenza il nostro rimanere nella fame di vita e di ogni altra cosa necessaria perché si trasformi la nostra povertà di vita in pienezza di essa.
    La prima regola della preghiera è l'insistenza. Gesù parla di invadenza. Comprendiamo cosa Gesù ci vuole insegnare se per un attimo pensiamo allo straripamento di un grande fiume. Le sue acque invadono terreni, case, vie, piazze, intere città. È come se l'acqua fosse il solo padrone di ogni cosa. Tutto travolge e tutto trascina con se. Anche grandi montagne, grandi alberi, grandi edifici, essa riesce a trasportare con sé. L'invadenza è una forza inarrestabile. Non vi sono rimedi umani. Quando l'acqua invade, tutto diviene come un fuscello di paglia dinanzi alla sua forza. Dove essa passa è la catastrofe. Scompare ogni segno di vita. Tutto distrugge e tutto abbatte.
    La nostra preghiera dovrà avere tanta invadenza da incendiare il Paradiso. Dio da essa dovrà essere costretto ad ascoltarci. Dovremmo noi nella preghiera sempre vivere questa immagine che ci viene dalla Scrittura Santa e che riguarda una preghiera non ascoltata. È una immagine che ci rivela la potenza della nostra invadenza.
    Assalonne abitò a Gerusalemme due anni, senza vedere la faccia del re. Poi Assalonne fece chiamare Ioab per mandarlo dal re, ma egli non volle andare da lui. Lo fece chiamare una seconda volta, ma non volle andare. Allora Assalonne disse ai suoi servi: «Vedete, il campo di Ioab è vicino al mio e vi è l'orzo: andate e appiccatevi il fuoco!». I servi di Assalonne appiccarono il fuoco al campo. Allora Ioab si alzò, andò a casa di Assalonne e gli disse: «Perché i tuoi servi hanno dato fuoco al mio campo?». Assalonne rispose a Ioab: «Io ti avevo mandato a dire: Vieni qui, voglio mandarti a dire al re: "Perché sono tornato da Ghesur? Era meglio per me stare ancora là". Ora voglio vedere la faccia del re e, se vi è colpa in me, mi faccia morire!». Ioab allora andò dal re e gli riferì la cosa. Il re fece chiamare Assalonne, che venne e si prostrò con la faccia a terra davanti al re. E il re baciò Assalonne (2Sam 14,28-33).
    Se la nostra invadenza non giunge ad incendiare il Paradiso in modo da costringere Dio ad uscire e a venirci incontro, la nostra preghiera è debole, fragile, inefficace.
    La seconda regola della preghiera vuole che si creda nella bontà di Dio verso i suoi figli. Dio è vero Padre. Con Lui l'insistenza, l'invadenza dura pochi attimi. Il tempo di scandire la nostra richiesta e subito Lui viene in nostro soccorso. Lui non fa aspettare a lungo i suoi figli. Li ascolta prontamente. Lui è bontà eterna, misericordia infinita. Nel suo Figlio Unigenito è anche carità crocifissa per noi. Possiamo noi dubitare di Lui dopo quanto ha fatto per noi? Questa certezza deve essere fede forte, robusta, invincibile in noi. Quando i suoi figli lo invocano, Dio si commuove di gioia sempre.
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    Coordin.
    00 10/10/2014 08:15
    Casa di Preghiera San Biagio FMA
    Commento su Lc 11, 24-26

    «Quando lo spirito impuro esce dall'uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo e, non trovandone, dice: "Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito". Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l'ultima condizione di quell'uomo diventa peggiore della prima».

    Lc 11, 24-26
    Come vivere questa Parola?

    Il vangelo di oggi ci parla della lotta tra Gesù ("uno più forte") e il demonio, che perpetra la sua opera nell'interiorità ("nella casa") di ciascuno di noi. La presenza e l'opera del diavolo nella vita del cristiano e nella Chiesa è manifestata troppe volte dalla Parola di Dio - soprattutto da Gesù nel Vangelo - per essere negata a cuor leggero. Noi sappiamo dal catechismo di essere stati liberati dal peccato e da satana, per opera della grazia di Dio, nel giorno del Battesimo e che poi, nel corso della vita, tale liberazione continua ad affermarsi attraverso i sacramenti, soprattutto nel sacramento della Riconciliazione. Nel brano evangelico odierno, che ha anche dei punti non facili da scandagliare, mi fermo sul testo evidenziato più sopra.

    Ciò che il Signore vuole comunicarci con chiarezza è che non dobbiamo mai abbassare il livello di guardia e di vigilanza, nel ritenere troppo semplicemente che, una volta cacciato, il male sia debellato per sempre dalla nostra esistenza. Certi peccati e cattive abitudini contratte nel tempo, con i quali abbiamo lottato forse per anni, e di cui siamo riusciti con l'aiuto del Signore a liberarci, possono ritornare con una intensità e una violenza ancora maggiore. Ecco perché nel vangelo risuona tante volte l'imperativo alla vigilanza: «Vegliate dunque e pregate in ogni momento» (Lc 21,36).

    Essere attenti e vigilanti nella preghiera di fronte alle seduzioni del Maligno è importante, per evitare che il demonio divenga più forte e invadente e ponga la sua stabile dimora nella nostra casa. Occorre invece lasciare che sia il Signore a diventare il Padrone unico e assoluto della nostra vita, e ciò non può avvenire una volta per sempre, ma è una lotta che dura tutta l'esistenza.
    Signore Gesù, vieni nella mia casa e sii tu per sempre l'unico Padrone e Signore della mia vita! Non permettere che "l'uomo forte" prevalga su di me, ma tu che sei "il più forte", vinci la mia debolezza che mi porta a cadere.
    La voce Dal Catechismo della Chiesa Cattolica

    «Il Male non è un'astrazione, indica invece un persona: Satana, il Maligno, l'angelo che si oppone a Dio. Il «diavolo» ["dia-bolos", colui che si "getta di traverso"] è colui che «vuole ostacolare» il Disegno di Dio e la sua «opera di salvezza» compiuta in Cristo»
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    Coordin.
    00 11/10/2014 06:07
    L’uomo battezzato può cadere di nuovo, a causa dei suoi peccati, nella schiavitù di Satana (si veda, a questo proposito, il Vangelo di venerdì). Noi apprendiamo oggi che questo pericolo non minaccia colui che, seguendo l’esempio di Maria, ascolta e mette in pratica la parola divina annunciata da Cristo.
    Ogni madre è felice e fiera dei propri figli. Come comprendiamo allora l’esclamazione di questa donna, persa nella folla e soggiogata da Cristo! Cristo completa il suo pio augurio ponendosi al di sopra dei legami familiari che lo uniscono a Maria. Perché chiunque osserva la parola di Dio, riceve lo Spirito Santo che lo unisce a Gesù e a Dio con legami più forti di quelli carnali. Per questo Gesù designa come “beati” quelli che ascoltano le sue parole e le osservano. Questa benedizione si applica innanzi tutto a sua madre, che è la migliore fra i suoi discepoli, la Figlia del Figlio. La replica di Gesù contiene un elogio discreto di Maria. Poiché Maria è, dopo Gesù, la più attenta alla parola di Dio e la più fedele nel metterla in pratica. Proprio in questo risiede la sua grandezza, e non solo nella sua maternità. Nel contesto del Vangelo di oggi, Maria è vista come la serva del Signore che ascolta e crede
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    Coordin.
    00 12/10/2014 07:34
    fr. Massimo Rossi


    L'inizio del Vangelo di oggi è quanto di più promettente si possa desiderare...
    Apprendere che il Regno dei Cieli è come un banchetto di nozze è notizia a dir poco eccitante...soprattutto per gli amanti della buona tavola! Coloro che invece soffrono di gastrite, o sono comunque condannati a diete frustranti e crudeli, anche per loro si profila un'eternità migliore, nella speranza che, almeno in paradiso, i piaceri possiamo goderli fino in fondo, senza rischi e senza le noiose inevitabili controindicazioni di questo mondo.
    Peccato che nelle ultime battute (del Vangelo) la mediocrità dell'uomo rovini l'incantesimo del banchetto. Del resto, che cosa ci può fare Dio, quando, all'ennesimo avviso di correre alla festa, si trova di fronte il solito opportunista che è convinto di poter mangiare a sbafo, senza neppure una parvenza di abito della festa? neanche Lui, neanche Dio, ci può fare niente!
    Il nodo da sciogliere è: che cos'è questo abito della festa? non è certo un semplice vestito...niente di esteriore, insomma. L'abito della festa, l'abito nuziale è quella (profonda) condizione interiore che fa di noi delle creature convinte di aver ricevuto da Dio un'attenzione, un affetto, una premura del tutto immeritati, e per questo, sono riconoscenti di questo onore infinitamente superiore rispetto a ciò che si poteva meritare, onore gratuito, onore esagerato...
    A me sembra del tutto legittima la reazione di quel re: santo cielo!! almeno un po' di gratitudine, per un lieto fine, ripeto, non solo immeritato, ma neppure previsto!
    Matteo evangelista parla anche di dignità, in senso negativo ovviamente: la dignità degli invitati non consiste in particolari talenti personali: se così fosse, dovremmo con tristezza constatare che anche nella vita eterna si ragiona come qui, da noi... Al contrario, Dio non fa alcuna distinzione tra chi è dotato di carismi particolari e chi è normalmente mediocre. Ci chiede solo un po' di gratitudine! Rendere grazie è l'atteggiamento cristiano giusto e necessario per essere ammessi alla festa eterna.
    In altri termini, l'Eucaristia è la dimensione giusta: forse, per molti fedeli, il momento della Messa non inteso e vissuto come l'occasione offerta dal Signore per manifestare la nostra gratitudine, a motivo di un dono così grande e, ripeto, immeritato, qual è il dono del corpo e sangue di Cristo.
    Eppure, chiediamoci, se dalla nostra parte manca l'atteggiamento della gratitudine, che cosa rimane? Qual è il contributo personale che possiamo aggiungere a quello di Cristo? se non c'è neppure la gratitudine, la relazione tra noi e Dio si riduce ad una azione a senso unico: Dio compie un passo verso di noi, ma noi restiamo fermi, immobili sulle nostre posizioni. Che rapporto è quello nel quale una parte sola cammina verso l'altra e non riceve alcun riscontro, alcuna risposta, neppure un cenno di assenso?
    In fondo Dio non ci chiede chissà quale prestazione eccezionale! Soltanto un grazie, detto non solo a parole, naturalmente, ma con tutto il cuore!
    A nostra parziale discolpa, la gratitudine, non è innata nell'uomo; l'orgoglio invece sì!
    E l'orgoglio si oppone sempre alla gratitudine, l'uno e l'altra insieme non possono stare, mai!
    Ringraziare significa riconoscere che, se siamo arrivati fino a qui, non è stato tutto e solo merito nostro. Ringraziare significa riconoscere che da soli non ce l'avremmo fatta!
    Sembrerà contraddittorio, ma tra l'orgoglio e la gratitudine, l'atteggiamento che denuncia una mancanza di autostima non è la gratitudine, ma l'orgoglio!
    L'orgoglio non è l'unità di misura di una stima esagerata, ma, al contrario è proprio il segno di una mancanza di autostima: l'orgoglioso è colui che si alza sulla punta dei piedi, perché si sente troppo piccolo, rispetto al suo interlocutore.
    Lo ripeto sempre nella speranza che un giorno - spero non sia troppo tardi - imparerò la lezione. Se c'è qualcosa che non deve affatto preoccuparci nel nostro rapporto con Dio, è proprio la statura!
    Dunque non ci resta che riconoscere che "tutto è grazia". La riconoscenza è questa: uno sguardo obbiettivo su di noi e sulla realtà nuda e cruda.
    "Che cosa importa? Tutto è grazia!": sono le ultime parole del protagonista del più celebre romanzo di G.Bernanos, "Diario di un curato di campagna": il giovane prete, parroco di Ambricourt, sperduto villaggio di campagna ai confini con il Belgio, si trova suo malgrado, a misurarsi col male nelle sue forme più subdole. Al limite della disperazione non perde tuttavia mai la speranza. Perdere la speranza è l'unico peccato che non conosce redenzione. Il giovane prete vive le ultime ore della sua tormentata esistenza nella squallida mansarda di un amico compagno di seminario spretato. Gli chiede di assolverlo e l'amico lo fa con molta coscienza, esprimendo il rammarico di vederlo morire senza il conforto della Chiesa. Il curato ha ancora la forza di dichiarare: "Che cosa importa? Tutto è grazia". E così, nella rassicurante pietà di Dio, l'uomo di fede trova il riscatto dalle tante ingiustizie subite, le stesse persecuzioni e umiliazioni che gli uomini si infliggono l'un l'altro perfino nel Nome di Dio.
    "Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti": è vero, il giudizio ultimo non avverrà in base al criterio dell'appartenenza alla Chiesa; è la carità che decreta la separazione tra coloro che si salvano e coloro che non si salvano. Resta il fatto che la Chiesa è scaturita dalla carità di Cristo crocifisso e la carità è il nucleo centrale dell'insegnamento della Chiesa.
    Ascoltiamo la Chiesa e ci stupiremo di quanto le distanze tra noi e la salvezza si possano accorciare.
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    Coordin.
    00 14/10/2014 07:53
    Paolo Curtaz
    Commento su Luca 11,37-41

    Ha avuto coraggio, il fariseo, ad invitare Gesù a cena. Ha avuto coraggio, rischia di essere guardato con sospetto dai suoi compagni devoti, eppure osa. Considera Gesù un uomo degno di essere invitato alla sua casa, occorre riconoscerlo. Eppure non esce dal suo schema: Gesù non si fa nemmeno le abluzioni rituali, prima di sedersi a tavola. Ma come? Come può essere così irrispettoso delle consuetudini religiose dei farisei? Gesù è tagliente, nella sua risposta: non sono queste le cose contano, non sono le abluzioni che purificano il cuore, ma l'elemosina del cuore, dare in elemosina ciò che c'è dentro. E Gesù è puro, intonso: ha dato tutto ciò che è, tutto ciò che ha. Dio non misura una persona dai suoi gesti esteriori, ma da quanto essi provengono da dentro, quanto sono la manifestazione dell'intimo. Dio non ama le mascherine, non accetta i gesti devozionali, se questi non derivano dal cuore. Allora, amici cristiani, osserviamo le norme, e preghiamo secondo quanto ci hanno insegnato ma, anzitutto, diamo in elemosina ciò che siamo in profondità, cioè mettiamoci in gioco fino in fondo. Meglio una povertà autentica di una ricchezza fasulla.
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    Coordin.
    00 15/10/2014 10:04
    Commento su Lc 11,42

    "Guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l'amore di Dio".

    Lc 11,42
    Come vivere questa Parola?

    Pagare la tassa sulla vendita ben controllata di determinate erbe utili alla salute era una pratica comune a quei tempi e non era permesso evaderne. Ma scribi dottori della legge e farisei, in ossequio a convenienze e interessi vari, erano giunti a dare grande importanza a queste cose diventando invece molto permissivi a proposito della giustizia e dell'amore di Dio (che si esprime nella carità).

    La presa di posizione di Cristo Gesù è decisa e sgombra da qualsiasi paura di plausibili conseguenze.

    Sembra di vederlo, nella sua bianca tunica senza cuciture col sole in fronte e uno sguardo che ti trapassa l'anima e non ferisce te ma sferza il tuo peccato!

    Sì, anche oggi, se non vigiliamo sulle intenzioni e sulle scelte del nostro operare, se ci lasciamo adescare da scopi di piacere egoistico e diamo molta importanza alle cose di poco conto chiudendo un occhio e anche due sull'assolutamente primario dovere della giustizia e dell'amore di Dio, siamo contro di Lui, perché fuori dal suo progetto che è salvezza per tutti.
    Signore Gesù, liberami da quel male sottile silenziosamente invadente ma pericolosissimo che è il fariseismo. Rendimi giusto nel cuore e nella pratica della vita e fa' che la mia giustizia si dilati fino a diventare quotidiana pratica di carità.
    La voce di una donna Dottore della Chiesa

    "Sapevo benissimo di avere un'anima, ma non ne capivo il valore, né chi l'abitava, perché le vanità della vita mi avevano bendati gli occhi per non lasciarmi vedere".

    S. Teresa d'Avila
    Sr Maria Pia Giudici
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    Coordin.
    00 16/10/2014 06:15
    Dopo aver rimproverato i farisei e gli scribi (Lc 11,42-46), Gesù, in questo brano del Vangelo, ammonisce i dottori della legge e fustiga la loro ipocrisia. Per esemplificare, commentiamo soltanto l’ultimo rimprovero (Lc 11,52). I dottori della legge sono accusati di proclamarsi detentori della conoscenza di Dio, confondendo la conoscenza di Dio con le proprie opinioni e i propri interessi. Bisogna, dunque, che anche noi stiamo attenti a non limitare e a non ostacolare la propagazione della parola di Dio e del suo messaggio.
    Il confronto di Gesù con le autorità d’Israele ha la sua origine nell’Antica Alleanza, che si prolunga oggi nel tempo della Chiesa. L’Antica Alleanza presenta il destino di ogni profeta: essere vittima della violenza del proprio popolo.
    La storia di Israele può essere riassunta in questi termini: da una parte, Dio invia i suoi profeti per insegnare agli uomini la via della salvezza; dall’altra parte, il popolo mette a morte i suoi profeti (Lc 4,24-28; 20,2-5).
    Da questo punto di vista, la storia e il destino di Gesù, testimone perseguitato, costituisce il punto culminante di questa persecuzione della verità fin dall’inizio dei tempi (per esempio, Abele). Questo brano del Vangelo ci permette di costatare che i discepoli di Gesù non hanno sofferto invano il loro martirio, poiché questo ha raggiunto il suo culmine con Gesù Cristo a Pasqua. Egli invia i suoi apostoli (oggi i predicatori e i cristiani) per diffondere la sua parola e il mondo continua a perseguitarli e a respingerli.
    In questo brano di Vangelo Gesù si rivolge certamente al popolo d’Israele che rifiuta il suo messaggio, ma in modo più vasto Gesù si rivolge all’umanità intera che si chiude in una verità parziale che difende con la violenza. Per questo motivo i credenti devono affrontare le sofferenze e le persecuzioni, dando così testimonianza alla verità divina che illumina la nostra vita
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    Coordin.
    00 17/10/2014 07:46
    Nelle tre virtù teologali la speranza si trova tra la fede e la carità: si appoggia alla fede e dà slancio alla carità. Avere molta speranza è come orientarsi verso la cima di una montagna: chi vuoi raggiungerla desidera superare tutti gli ostacoli per poter contemplare il meraviglioso panorama che si gode dall'alto.
    Sant'Ignazio d'Antiochia era colmo di un'immensa speranza; non assomigliava a quelli che san Paolo descrive nella lettera ai Filippesi, privi di speranza perché sono "tutti intenti alle cose della terra". Nella lettera agli Efesini san Paolo attribuisce alla mancanza di speranza tutta l'immoralità del mondo pagano: non avendo speranza, si sono abbandonati ai loro desideri impuri, che li trascinano in basso. I cristiani invece sono uomini e donne ricchi di una grande speranza, sanno di essere cittadini del cielo "e di là aspettano come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso".
    Anche il Signore, nel Vangelo di oggi, ci anima a una grande speranza: la speranza di conservare la nostra vita per la vita eterna, di essere con lui dove egli e, cioè nella gloria del Padre, di essere onorati dal Padre: "Se uno mi serve, il Padre lo onorerà". "Chi ha questa speranza dice san Giovanni si conserva puro". E la speranza a dare la forza di resistere alle tentazioni, a dare il coraggio di resistere nelle difficoltà. Nella Colletta della messa di oggi chiediamo a Dio che la passione di sant'Ignazio di Antiochia sia per noi fonte di fortezza nella fede. Perché possiamo pregare cosi? Perché essa è una manifestazione di grande speranza. Sant'Ignazio ha avuto il coraggio di perdere la vita per guadagnarla. Scrivendo ai Romani egli dice:
    "C'è in me un'acqua viva che mi sussurra: Vieni al Padre!". E l'espressione della sua speranza: la parola di Cristo è diventata in lui come una sorgente che vuol zampillare fino al Padre. Egli ardeva dal desiderio di guadagnare Cristo e per questo vedeva la necessità di essere simile a lui nella passione, di essere macinato dai denti delle belve per diventare frumento di Cristo. "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto", leggiamo nel Vangelo. Nella sua grande speranza egli corre incontro al martirio, con un coraggio intrepido; scrive ai Romani di non intervenire per allontanare da lui quelle sofferenze che sono la ragione della sua speranza, perché grazie ad esse potrà ricevere la più grande grazia di Dio, la vittoria del martirio e infine la gloria di essere accanto a Cristo.
    Ed ora Ignazio splende ai nostri occhi come un santo ardente di fervore e di amore, che ci fa vergognare dei nostri atteggiamenti di fronte alle piccole difficoltà della nostra vita. Il Signore vuol darci molto; per questo ci manda qualche sofferenza, che dovrebbe non diminuire ma far crescere la nostra speranza. Come san Paolo scrive ripetutamente, dovremmo poter dire: "Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce la pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza". Ed è una speranza che non delude
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    Coordin.
    00 18/10/2014 07:31
    Movimento Apostolico - rito romano
    Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi

    Vocazione e missione discendono dal Cielo, vengono da Dio, ci sono date per mezzo di Cristo Gesù, nello Spirito Santo. Esse vanno sempre vissute secondo la volontà del Padre celeste. Nessuno si potrà mai chiamare da sé. Può offrire se stesso a Dio per una particolare missione. Ma è sempre Dio che deve accettare il suo dono. Oggi Dio accetta il dono di una vocazione al ministero sacerdotale per mezzo della sua Chiesa e in modo speciale attraverso il Vescovo. È Lui che ha il posto di Dio nell'accogliere l'offerta che un uomo fa di consacrarsi nel ministero presbiterale.
    Questo ministero non appartiene a nessuna donna. Nessuna di esse potrà mai desiderare di essere presbitero. Non può perché Cristo Gesù ha deciso, per un mistero insondabile racchiuso nel suo cuore, che questo ministero fosse solo riservato all'uomo. La vocazione non viene dal nostro cuore. Viene dal cuore del Padre. Se non vediamo la vocazione nel mistero della volontà di Dio, ma la vediamo dal nostro cuore, allora tutto è possibile, tutto fattibile, tutto può avvenire.
    Oggi è proprio questo il dramma, è questa la crisi dell'uomo moderno: non si vede più nel mistero di Dio. Si vede dalla sua volontà, dai suoi desideri, dai suoi sentimenti, dai suoi capricci, da questa o quell'altra corrente filosofica o umanistica che altro non vuole se non togliere l'uomo da qualsiasi relazione di obbedienza con il suo Dio. La crisi attuale del mondo è crisi di insubordinazione, di non obbedienza, di ateismo, di idolatria, di empietà, di negazione a Dio di un qualsiasi influsso sulla nostra vita.
    Servire Dio, ma non secondo la sua volontà, è in tutto come se ad un assetato gli dessimo un vestito per coprirsi, ad un affamato un paio si scarpe per poter camminare meglio, ad un ammalato gli portassimo un giocattolo per divertirsi. Faremmo di sicuro un'opera inutile. Dobbiamo servire l'altro secondo la sua volontà, i suoi bisogni, le sue necessità. Dio per servire l'umanità nel dono della grazia e della verità di Gesù Signore ha bisogno di uomini, non di donne. È sua volontà. La Chiesa non può presentargli delle donne. Deve offrirgli degli uomini. È questo il sacrificio che Dio chiede e secondo questo sacrificio dobbiamo servirlo.
    Offrirsi a Dio in cose che Dio non vuole, è gusto e piacere personale. Obbedire a Dio, rinunciare alla nostra offerta, perché a Lui non è gradita, è questo il sacrificio dell'obbedienza che Lui sempre chiede. Una donna che si lascia consacrare sacerdote (oltre che la sua consacrazione è nulla e nulli tutti gli atti inerenti ad essa - il ministero esercitato è sacrilego e blasfemo; è inganno e menzogna), compie qualcosa di suo gusto. Una donna invece che accetta il limite e si pone in obbedienza a Dio, compie un vero sacrificio di redenzione a favore del mondo intero. Vergine Maria, Madre della Redenzione, Madre di Dio, aiuta tutti noi a discerne il gusto personale dal sacrificio. Angeli e Santi di Dio, insegnateci la vera obbedienza al Signore nostro Dio.
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    Coordin.
    00 19/10/2014 08:10
    Monastero Domenicano Matris Domini
    Commento su 1Ts 1,1-5

    Collocazione del brano

    Cominciamo in questa domenica la lettura di alcuni brani della prima lettera ai Tessalonicesi. Si tratta della lettera di Paolo più antica. Risale infatti agli anni 50/51 d.C. ed è una preziosa testimonianza della vita delle prime comunità cristiane. In quegli anni Paolo era sbarcato in Europa, in Macedonia per l'esattezza e aveva fondato una comunità a Filippi. Da qui però fu presto espulso dalle autorità locali e riparò a Tessalonica, la capitale della regione, dove poté fondare una nuova comunità, prima di doversene nuovamente andare a causa di attriti con la comunità giudaica. I cristiani di Tessalonica lasciati soli dovettero affrontare l'ostilità dei loro connazionali. La loro fede venne messa a dura prova.

    Paolo non poteva tornare da loro, ma mandò Timoteo per valutare la situazione. Quando Timoteo tornò da Tessalonica portando buone notizie, Paolo scrisse loro questa lettera congratulandosi per la loro perseveranza di fronte alle difficoltà.
    Lectio

    1 Paolo e Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: a voi, grazia e pace.

    Questo è l'indirizzo con cui avevano inizio tutte le lettere del tempo antico. Il mittente dichiara la sua identità e rivolge alcune espressioni di saluto. L'indirizzo delle lettere di Paolo supera le convenzioni e contiene sempre qualche indicazione particolare riguardante il Vangelo. Paolo nell'indirizzo raramente appare da solo, egli ama ricordare i collaboratori che sono con lui quando scrive la lettera. Però non si tratta di una lettera collettiva, nel corso della scrittura si vede che è lui il solo mittente. Silvano (talvolta detto anche Sila) era un personaggio importante della comunità di Gerusalemme. Si era unito a Paolo nel viaggio in Asia Minore e poi passò a collaborare con Pietro (1Pt 5,12). Timoteo era diventato collaboratore di Paolo a Listra (At 16,1-3) e ricevette l'incarico di portare a termine diverse delicate missioni. A lui furono mandate anche due lettere di Paolo dette pastorali.

    Interessante è il fatto che Paolo chiami la comunità di Tessalonica Chiesa. Questo appellativo era stato fino ad allora riservato alla comunità di Gerusalemme, quale nuovo popolo di Dio. Il termine infatti dovrebbe derivare dell'espressione dell'AT qehal Yahwé. La comunità di Tessalonica ha dunque la stessa dignità di quella di Gerusalemme.
    2Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere

    Il ringraziamento è uno dei temi principali di questa lettera. Paolo ha saputo che la comunità di Tessalonica persevera nella fede. Ringrazia il Signore per questo dono e continua ad affidarla a Lui nella preghiera.
    3e tenendo continuamente presenti l'operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro.

    Per che cosa dunque Paolo ringrazia il Signore? Perché i tessalonicesi vivono la triade fede-speranza-carità, caratteristiche peculiari del cristiano. Nella fede essi hanno accolto l'annuncio della grazia di Dio rivelata in Gesù, morto e risorto; vivono una vita di amore, nell'apertura concreta e solidale verso gli altri, e sono aperti a una prospettiva globale di speranza fiduciosa nel futuro, come portatore di salvezza. Questi loro atteggiamenti non sono del tutto scontati, infatti Paolo parla di una fatica nella carità. Ciò significa che l'amore che dimostrano gli uni gli altri non è sempre facile, è ostacolato da problemi interni o forse da persecuzioni esterne.
    4Sappiamo bene, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da lui.

    I credenti di Tessalonica inoltre sono stati scelti da Dio. Dietro la loro adesione all'annuncio di Paolo c'è il disegno di Dio che li aveva predestinati a partecipare alla gioia del regno. Ecco perché Paolo li chiama amati da Dio. Sono persone entrate una volta per tutte in un rapporto di amore, avvolte per sempre dall'amore del Padre. Per questo motivo essi sono anche fratelli di tutti coloro che sono entrati a far parte dello stesso cerchio di amore.
    5Il nostro Vangelo, infatti, non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo.

    Come può Paolo affermare che i tessalonicesi siano stati eletti dal Padre? Semplicemente perché quando era tra di loro si era reso conto che il Vangelo metteva radici nei loro cuori non solo grazie alla sua predicazione, ma all'azione dello Spirito Santo.
    Meditiamo

    - Mi sento parte della Chiesa, nuovo Israele, chiamato dal Signore?

    - Qual è la qualità della mia fede? La mia carità è operosa? In cosa spero?

    - Mi è mai capitato di riconoscere in me l'azione dello Spirito Santo che mi portava a fare qualcosa di nuovo?
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    Coordin.
    00 20/10/2014 07:08
    Casa di Preghiera San Biagio FMA
    Commento su Ef 2,4-5

    "Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato,5da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati".

    Ef 2,4-5
    Come vivere questa Parola?

    Non dovremmo mai smettere di "respirare" in cuore parole come queste! Esse non sono un fiore di retorica consolatoria per anime depresse. Rappresentano al contrario, la forza di verità vincente del nostro vivere da cristiani, in un mondo sempre più segnato dal materialismo e da un senso di autorealizzazione che presume di salvare sé e il mondo ma senza Dio e, proprio per questo, lo manda in rovina. Sapere, con la certezza del cuore illuminato dalla fede, che io sono salvato dall'amore gratuito di Dio, mi pone in una situazione di verità e di pace. Noi - dice ancora Paolo - "siamo opera sua", siamo stati "creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo". Così il dilemma: "conta la fede o contano le buone opere?" si compone in questa fondamentale certezza: è la fede nel grande amore col quale ci ha amati, la fonte della nostra serenità, del nostro camminare, umili e impegnati, nella strada di un bene operare che ci conforma a Cristo. Da Lui, per grazia e non per nostra bravura, veniamo salvati continuamente mentre operiamo il bene.

    Oggi, nella pausa contemplativa, mi lascerò provocare da questa consolante parola di Paolo e anche da quella di Gesù nel Vangelo: "Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende dai beni che accumula" e neanche da eventuali buone opere che presumo di aver compiuto con le mie sole forze.

    La mia vita è nelle tue mani, Signore! Scaturisce dal tuo immenso amore che mi salva, se però mi fido di te e, per grazia tua, rendo operante la mia fede nella carità, dentro il mio quotidiano.
    Signore, rendimi sempre più consapevole che l'attaccamento alle persone e alla roba, il volerle possedere per me sola è cupidigia: qualcosa che manda alla deriva la barca della mia esistenza, lontano dalle sponde della libertà e della pace.
    La voce di Papa Francesco

    "Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia."

    Sr Maria Pia Giudici
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    Coordin.
    00 21/10/2014 10:40
    Casa di Preghiera San Biagio FMA
    Commento su Ef 2, 14-15

    "Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l'inimicizia, per mezzo della sua carne. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace".

    Ef 2, 14-15
    Come vivere questa Parola?

    Questa è una delle pericopi più belle di tutte le lettere di S. Paolo. Il dire dell'Apostolo è centrato su una verità estremamente consolante, soprattutto in un'ora come quella che stiamo vivendo: attraversata, da ogni parte, da minacce di guerra. S. Paolo dunque ci dice che la Pace, per noi che crediamo, è la persona divina del Verbo fatto uomo: Cristo Signore. E - attenzione!- non è la Pace, intesa come una categoria generale e astratta del modo di essere a questo mondo. Gesù è davvero la "nostra" Pace, la Pace di noi che CREDIAMO, cercando di vivere la nostra fede, giorno dietro giorno, con un impegno che sia continuo atteggiamento di riconciliazione con Dio, con se stessi, con ogni uomo, con ogni creatura, in Cristo Gesù. La chiave che ci apre le profondità del mistero di Cristo-nostra Pace è il fatto che Egli, accettando di morire in croce per nostro amore, "ha abbattuto l'inimicizia" tra gli uomini. Essa era come un muro di divisione, impossibile a togliersi di mezzo. Ebbene, Gesù lo ha fatto. Gesù ha distrutto l'opposizione alla pace dentro il suo corpo consegnato, per amore, alla croce. La "nostra Pace" è questo mistero, è questo prezzo d'amore infinito. Lo credo? Ci penso?

    Chiederò alla Madonna di lasciarmi afferrare da questo mistero, di lasciarmi dilatare il cuore e insieme provocare. Nell'esercizio delle mie relazioni (in famiglia, in comunità, sul lavoro) quando sento sorgere in me movimenti d'inimicizia, mi faccio premura di chiedere a "Gesù-nostra-Pace" di eliminarli? E lascio cadere prontamente ciò che mi divide dall'altro o sto a voler fare rivendicazioni?
    Signore Gesù, mi fido di Te, Tu sei la nostra pace.
    La voce di un Papa

    "La pace non può regnare tra gli uomini se prima non regna nel cuore di ciascuno di loro".

    Giovanni Paolo II
    Sr Maria Pia Giudici
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    Coordin.
    00 22/10/2014 07:12
    Il Vangelo vuol far nascere in noi un atteggiamento di attesa per ricevere Cristo. Questa attesa non è rivolta ad un avvenire più o meno lontano che non possiamo conoscere, ma ci fa rivolgere al presente.
    Il ritorno di Cristo non è come una grande luce che getterà nell’ombra il mondo presente, ma al contrario essa illumina la nostra vita presente! Il presente non ci separa da colui che viene. Noi siamo già legati a Cristo col fare la sua volontà: servire coloro che lui ci ha affidato.
    Gesù si è fatto servo di tutti. Egli ci chiede di servire veramente a nostra volta. Lungi dal volerci condurre ad un timore sterile e paralizzante, le sue parole ricordano quanto sia grande la fiducia che Dio ha negli uomini, una fiducia senza riserve che, se non è dimenticata, suscita questa risposta nel cristiano: imitare Cristo stesso
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    Coordin.
    00 23/10/2014 08:12
    Movimento Apostolico - rito romano
    Sono venuto a gettare fuoco sulla terra

    Per molti di noi la volontà di Dio è un peso. Sovente la pensiamo come un carico assai gravoso. È questo il segno che non l'abbiamo fatta nostra propria volontà, nostro desiderio, nostra carne e nostro sangue. Essa è fuori di noi, non è in noi. È una cosa estranea. È un corpo invadente da respingere, contro il quale proteggersi, difendersi.
    Quanto invece è differente l'atteggiamento di Gesù dinanzi alla volontà del Padre! Per Lui la divina volontà è il suo proprio desiderio. È il desiderio che compie la sua vita, le dona perfezione assoluta, la realizza nella sua soprannaturale finalità. È il desiderio che ricolma il cuore di pace divina ed eterna solo quando si sarà attualizzato.
    Oggi Gesù ci rivela due forti desideri del suo cuore. Il primo è che presto sulla terra scenda lo Spirito Santo, entri nei cuori il Fuoco Divino della verità e della carità, il Fuoco Divino della nuova creazione e della comunione, che dovrà distruggere l'uomo vecchio e creare l'uomo nuovo. Dovrà creare la nuova famiglia umana, nella quale tutti dovranno avere un cuor solo e un'anima sola. Questo Fuoco Divino si accende sulla terra in un solo modo: portando il suo corpo sulla croce, inchiodandolo sul legno, bruciando Gesù di divina carità e misericordia per la salvezza, versandolo dal suo cuore trafitto per amore. È dal suo sacrificio, dal fuoco della sua carità che si accende lo Spirito Santo e si riversa nei cuori per la fede.
    Il battesimo di Gesù non è di acqua e neanche di desiderio. È il battesimo di sangue. Gesù sa che solo versando il suo sangue, la terra si sarebbe potuta lavare dalle sozzure del peccato e della trasgressione. Solo versando il suo sangue per la nuova ed eterna alleanza sarebbe potuto nascere l'uomo nuovo. Lui prova angoscia nel cuore perché ancora questo suo battesimo non si è realizzato, anche se resta da attualizzarsi. È come se Lui chiedesse al Padre di accorciare i tempi di questa angoscia. La sua non è angoscia per il martirio da subire. È angoscia perché il martirio ancora non si è compiuto. La sua è vera angoscia di salvezza, redenzione, giustificazione. Lui è angosciato perché ancora l'uomo nuovo non è stato creato.
    Gesù è venuto per spaccare l'umanità in due. Non vi saranno più credenti e non credenti, atei e religiosi, giusti e ingiusti, santi e peccatori, fedeli e infedeli. Dopo il suo battesimo vi saranno solo due categorie di persone: credenti in Lui e non credenti in Lui. I non credenti in Lui sempre si avventeranno contro i credenti in Lui per distruggerli, annientarli, soffocarli, estinguerli dalla faccia della terra. Questa divisione non avviene solo a livello planetario, cosmico, universale. Si verifica all'interno di ogni famiglia. Il non credente in Cristo Gesù sempre si separerà dal vero credente in Lui. È per scelta di vita che questo avviene e si verifica.
    Fede in Cristo e non fede in Cristo non producono lo stesso frutto, non camminano sulla stessa strada, non avanzano sulla stessa direzione. Il credente in Cristo camminerà sempre sulla via della giustizia e della verità evangelica. Il non credente in Lui non consce il Vangelo. Seguirà la religione del mondo, che è totalmente opposta e contraria a quella di Gesù Signore. Poiché il vero credente in Gesù attesta al non credente in Lui che le sue opere sono malvage, per questo motivo l'opposizione potrà divenire anche martirio, uccisione, perdita della vita da parte del credente in Gesù Signore. La divisione è connaturale al Vangelo. Il Vangelo è luce. Il mondo è tenebra. Il Vangelo è fedeltà alla divina volontà. Il mondo è oscuramento di Dio in esso.

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    Coordin.
    00 24/10/2014 06:33
    Casa di Preghiera San Biagio FMA
    Commento su Romani 7, 19.24-25

    Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. (...) Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!
    Rm 7, 19.24-25

    Come vivere questa Parola?

    Da ragazzina il mio parroco mi aveva consegnato questo capitolo 7 della lettera ai Romani come parola da meditare dopo la confessione. Da allora il dramma che Paolo qui descrive, mi accompagna e mi interroga: il dissidio interiore per cui compio ciò che non voglio è solo del cosiddetto uomo vecchio, che la grazia di Cristo ha cancellato? L'uomo nuovo non vive più questa ambiguità?

    Il nostro non è più un corpo votato alla morte, è un corpo redento che si offre a Dio come culto, come offerta gradita! E allora... perché è ancora così vivace in noi la situazione del non fare quello che intuiamo giusto, buono?

    Paolo non dà immediatamente soluzioni e risposte; descrive minuziosamente questo dissidio interiore e esteriore e lo lascia a noi. Una rappresentazione emblematica del già e non ancora, di una salvezza arrivata definitivamente, ma non ancora compiuta nella vita personale di ciascuno. Quel non ancora determinato dalla libertà della persona di scegliere o non scegliere l'amore di Dio. Spazio per la ricerca, per intuire la promessa e desiderarla, per dire sì ad un dono senza superficialità. Luogo interiore dove la persona e lo Spirito si incontrano per fare spazio all'amore di Dio. Questa lancinante situazione dell'umanità apre il capitolo della vita nello Spirito e ci introduce pienamente nella vita teologale.

    Tutta la riflessione si conclude con un'invocazione di lode a Dio. Come nei salmi, che dopo aver narrato e dato spazio al lamento o alla supplica a volte anche un po' arrabbiata del salmista, si concludono con una lode piena, diretta a Dio!

    Signore, fa' che lo Spirito in me oggi lodi e renda grazie a te, per mezzo di Gesù Cristo!

    La voce di un Evangelista

    Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché ai piccoli hai rivelato i misteri del Regno. Mt 11, 25


    Commento di Sr Silvia Biglietti FMA
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    Coordin.
    00 25/10/2014 08:16
    Casa di Preghiera San Biagio FMA
    Commento su Efesini 4,7

    A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo
    Ef 4,7

    Come vivere questa Parola?

    Dopo il forte richiamo all'unità, Paolo nella Lettera agli Efesini prosegue dicendo che Cristo, asceso in cielo, ha effuso una varietà di doni per rendere idonei i cristiani a edificare il corpo di Cristo: apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri (4,7-12). In 1Cor 12, Paolo ammoniva i cristiani a non lasciarsi dividere da questi doni; ora invece può affermare che i doni aiutano i ?santi' a conseguire l'unità della fede, nella misura della pienezza di Cristo, crescendo così verso di lui, capo del corpo (4,13-16).

    È davvero ammirevole la fantasia divina nella diversificazione di doni, funzioni, compiti, carismi, ministeri... Ciascuno di noi è il destinatario privilegiato della grazia ~ del dono di Cristo: un dono personalizzato, da accogliere con fiducia e consapevolezza, da mettere in atto con responsabilità, e non da fanciulli in balia delle onde (cf 4,14); un dono reso continuamente condivisibile. Che avrà sempre un'unica sorgente e mèta: Cristo, Figlio di Dio e capo del corpo mistico, il quale è in crescita e maturazione continua, con la collaborazione di ogni sua giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, nella carità (cf 4,16)!

    Ci guidi i Signore, oggi, a ri-scoprire la grazia donata a ciascuno di noi, il ministero al quale sono stato chiamato, l'energia effusa in me, la portata della mia collaborazione responsabile... per edificare il corpo di Cristo, la Chiesa.

    Fammi ri-conoscere, Signore, la bellezza e la grandezza della tua chiamata, aiutami ad accogliere il dono della tua grazia, sostienimi nel ministero quotidiano tra i miei fratelli e sorelle, finché tutti arriviamo all'unità della fede e della conoscenza di Te.

    La voce di una missionaria in clausura: santa Teresa di Gesù Bambino e del Sacro Volto

    «Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi ritrovavo in nessuna delle membra che san Paolo aveva descritto, o meglio, volevo vedermi in tutte. La carità mi offrì il cardine della mia vocazione...:Nel cuore della Chiesa mia madre io sarò l'amore» (dall'Autobiografia).

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    Coordin.
    00 26/10/2014 07:08
    don Alberto Brignoli
    Una fede messa alla prova

    "Un dottore della Legge lo interrogò per metterlo alla prova": questo atteggiamento, con cui il soggetto si presenta davanti a Gesù nel vangelo di questa domenica, mi fa un po' sorridere... Mi fa sorridere innanzitutto perché ci vuole un bel coraggio, tutto sommato, per "mettere alla prova" Gesù: tanto più che quest'ultimo "tranello" viene alla conclusione di un capitolo, il ventiduesimo del Vangelo di Matteo, in cui diverse categorie di autorità del popolo hanno provato, con diverse e più o meno intriganti strategie, a cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Probabilmente urtati dalla parabola degli invitati a nozze che rifiutano l'invito, le autorità del tempo provano in tutti i modi a prendersi una rivincita per screditare Gesù di fronte alla gente nella sua pretesa di farsi "profeta" e leader religioso. E allora, prima ci provano con un'insidiosa domanda di politica economica (il vangelo di domenica scorsa, quello in cui i farisei e gli erodiani cercano di ottenere da Gesù alcuni elementi di "teologia dell'evasione fiscale" che li autorizzino a ribellarsi al potere di Roma in nome di una autonomia politica che poi, in realtà, fa comodo pure a loro se rimane sottomessa a Roma, visti i benefici che ne ricevevano dall'imperatore...); poi - questo nelle letture domenicali non è stato letto - si presentano i sadducei che si prendono gioco della risurrezione dei morti (nella quale non credevano) con un assurdo caso di una donna sposa di sette fratelli morti uno dopo l'altro, che in paradiso potrebbero tutti avanzare pretese nei confronti della donna come loro moglie. Alla fine del capitolo sarà Gesù che farà una domanda un po' intrigante a tutta questa gente, ed ottenendo da loro un silenzio assoluto, li farà allontanare tutti: questo fuggifuggi generale delle autorità lascia il campo libero a Gesù, nel capitolo 23 di Matteo, per un discorso alle folle in cui lancia una serie di invettive e di maledizioni nei confronti delle autorità religiose del suo tempo, fondamentalmente per la loro ipocrisia, per la quale si proclamano e amano farsi chiamare "maestri", opprimendo la gente sotto il peso di una Legge che loro per primi non sono assolutamente capaci di rispettare.
    Ma prima, ci sta il brano di Vangelo di quest'oggi, dove l'ultimo assalto per tentare di far cadere Gesù avviene, in maniera quasi assurda, sui fondamentali della Legge: "Qual è il grande comandamento?". Una domanda quasi assurda, dicevo, perché anche il più piccolo tra i bambini d'Israele sapeva rispondere con lo "Shemà Israel", preghiera mattutina e serale di ogni pio ebreo, che conteneva proprio questa verità di fede: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente". Per fare un paragone che ci aiuti a comprendere meglio, rivolgere questa domanda a Gesù è come se chiedessimo a un prete: "Scusa, mi sapresti recitare il Padre Nostro..?". La domanda, fatta per trarre in inganno, è banale fino a un certo punto: i farisei e i dottori della Legge ritenevano che la salvezza passasse attraverso l'osservanza di tutti i 613 precetti della Legge di Mosè. Affermarne uno solo, per quanto fosse il più importante, voleva dire escludere gli altri e quindi, secondo loro, rimanere fuori dall'ortodossia della fede ebraica. Se, ad ogni modo, qualche elemento di banalità permane nella domanda "tranello" del dottore della Legge, la seconda parte della risposta di Gesù è tutt'altro che banale: "E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti".
    Nessuno gliene aveva chiesto conto, eppure Gesù ha voluto far capire che 613 precetti acquistavano senso in due soli principi: amore a Dio e amore ai fratelli, inscindibili, assoluti, necessari, e soprattutto sufficienti alla salvezza. "Sufficienti" non nel senso di semplici o superficiali, ma nel senso di essenziali: al punto che tutti gli altri precetti, senza questi due, non servono a nulla. Prova ne è il fatto che al capitolo successivo, quello delle invettive ai farisei, Gesù dice loro chiaramente: "Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'aneto e del cumino, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle". Ossia, serve a ben poco essere uno stretto osservante delle norme, anche le più microscopiche, se poi ci si perde sui principi fondamentali: giustizia, rispetto, amore, fedeltà, sincerità...
    Cerchiamo di declinare questi insegnamenti nel nostro vissuto cristiano di ogni giorno. Sì, è proprio il caso di parlare di "vissuto cristiano", ossia di quella dimensione della nostra fede che si fa testimonianza e che spesso rimane latente perché nascosta dietro un'altra preoccupazione: quella dell'identità cristiana. Ed è su queste due realtà che il Signore ci mette alla prova, molto più duramente di quanto i farisei abbiano fatto con lui. La nostra fede è messa alla prova, è provata nella sua veridicità, proprio sulla forza del suo "vissuto", decisamente più importante rispetto alla sua identità. In tutte le salse immaginabili e possibili, Gesù ha sempre insegnato che la fede non è fatta di osservanza formale e legalista dei precetti, ma di concreti ed evidenti segni di amore verso Dio e verso il prossimo.
    La fede non si deve preoccupare di dire "chi è", ma di essere vissuta e testimoniata. La fede non è fatta innanzitutto di norme e comportamenti (anch'essi da praticare) ma principalmente di annuncio gioioso dell'incontro con il Risorto. La fede non è questione di difesa strenua e ad oltranza dei privilegi acquisiti e dei valori non negoziabili (qualora ve ne siano), ma è accompagnamento paziente e misericordioso, è ricerca comunitaria della verità, è cammino lungo le strade del mondo in compagnia degli uomini e delle donne del nostro tempo senza giudizi e senza condanne.
    La fede non è, in definitiva, un sigillo, un marchio, un timbro apposto su un certificato cumulativo di battesimo-cresima-comunione e matrimonio cristiano: è amore a Dio e ai fratelli sopra ogni cosa. A costo di essere messi da parte, o ancora peggio, "messi alla prova" dai farisei di turno che, insieme al potere e all'autorità, pretendono di detenere anche il primato sulle coscienze.
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    Coordin.
    00 27/10/2014 07:15
    Riccardo Ripoli
    Tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute

    Avete mai notato quanta fantasia hanno le persone. E' incredibile la quantità di sciocchezze che riescono a tirare fuori dal cilindro pur di avvallare le loro contorte ipotesi ed arrivare a creare una ragnatela contro di voi. Per fortuna sono fili leggeri, tessuti su banali scuse e opinioni legate alla cattiveria, all'invidia e alla gelosia piuttosto che a f
    atti concreti, e poco possono fare contro la forza prorompente di un consenso di amici e di persone obiettive che credono in te e in quello che fai.
    Poco possono fare, ma fastidio ne danno. Dobbiamo andare oltre questo disagio e pensare che quelle ragnatele nulla possono fare contro di noi, sono solo piccoli ragnetti che ci circondano con i loro deboli fili perché non sanno costruire qualcosa in sinergia per il bene della comunità. La loro invidia e cattiveria non ci deve scalfire, anzi ci sia di stimolo ad andare avanti e combattere contro le loro maldicenza, falsità e talvolta illegalità.
    E' un po' come andare a funghi la mattina presto in una bella giornata di sole. Passando tra albero ed albero il nostro viso incontrerà le tele dei ragni, ma basta un niente per andare avanti e raggiungere il nostro scopo. Così è nella vita, bastano piccole azioni, basta essere uniti nel fine comune.
    Nell'affido, oggi più che mai stante la crisi economica anche a livello di istituzioni periferiche, mille sono le ragnatele con le quali i servizi sociali ed i comuni tentano di impedire l'accesso al loro bosco, fatto di tranquillità. Sembra assurdo, ma moltissimi comuni, in maniera più o meno velata, spaventano le famiglie affidatarie, impediscono loro l'accesso all'accoglienza dei minori. Le motivazioni sono tante, dalla mancanza di soldi al consenso per i politici che quando tolgono un bambino vengono bersagliati dai media. Non dobbiamo spaventarci, sono solo ragnatele inconsistenti. Si parlava ieri dell'insistenza. Ecco, questo è il caso. Non una rivoluzione armata fatta di carte bollate, e ce ne sarebbero gli estremi per molte inadempienze dei comuni, ma un incedere silenzioso e costante verso un fine comune. Una persona non cambia il mondo, dieci possono fare già qualcosa, ma un fronte comune ampio e solidale potrà far paura a chi si comporta male ed inadempiente, non tanto nei nostri confronti, ma verso quei bambini che hanno bisogno di amore e di una famiglia.
    Noi siamo piccolini, ma ci mettiamo tutto il nostro impegno per far conoscere l'affidamento, per contrastare le ragnatele che ogni giorno vengono tirate addosso a chi prova ad andare oltre i confini stabiliti dai comuni arbitrariamente.
    Piccoli passi i nostri che necessitano della vostra forza, del vostro sostegno, non parlo economicamente anche se avere disponibilità ampie di denaro aiuta a creare iniziative sul territorio, ma sopratutto aneliamo al vostro desiderio di conoscere fino in fondo il problema per poterlo contrastare, per poter dire all'assistente sociale "sbagli", per avere la forza di andare in tribunale e puntare il dito contro la latitanza dei comuni.
    Mi fanno ridere i politici che spaziano su mille tematiche e pensano di avere le chiavi per risolvere tutti i problemi, e la cosa buffa è che in molti gli credono, un po' come se medico convincesse tutti che grazie a lui i tumori verranno debellati, la fame nel mondo sparirà, saremo tutti agiati grazie al lavoro che lui creerà, ponti e strade saranno costruiti. Il medico deve fare il medico e dire alle persone, io ho due mani ed uno studio alle spalle, questo so fare, questo ho imparato e ce la metterò tutta per darvi il miglior risultato nella cura delle malattie, ma non aspettatevi miracoli da me. Con il vostro aiuto però faremo grandi cose perché unendo la forza dell'ingegnere, dell'idraulico, del commercialista, della mamma a tempo pieno, dell'avvocato, proveremo con determinazione a dire la nostra in tutti i campi, ma non vi promettiamo la luna, soltanto il nostro impegno che sarà tanto più forte quanto voi ci sarete vicini.
    Questo è l'affido oggi, questo è ciò che noi siamo: assolutamente nulla se non ci sarà il vostro appoggio, ma se quest'ultimo non mancherà, sono certo che riusciremo a cambiare qualcosa, un passo alla volta, fosse anche un piccolo cavillo nella legge sull'affidamento.
    Venite a trovarci, mettete a nostra disposizione le vostre conoscenze, capacità, sensibilità ed insieme riusciremo a trovare una famiglia a qualche bambino che in questo momento sta piangendo nella sua camera sperando che qualcuno, fosse anche con la forza, venga a toglierlo dalla sua condizione di sofferenza ed abbandono.
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    Coordin.
    00 28/10/2014 07:11
    Casa di Preghiera San Biagio FMA
    Commento su Luca 6,13-16

    Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore.
    Lc 6,13-16

    Come vivere questa Parola?

    Un arido elenco di nomi? No! Il segno che per Dio non siamo numeri. Egli chiama ciascuno per nome, fa emergere dal nulla, dando un volto ben definito. Ognuno è se stesso: unico, irrepetibile. Da sempre Dio lo ha sognato così. È in quel nome una chiamata, che è la mia, solo mia. "Ne scelse dodici ai quali diede il nome di apostoli". Dodici. Eppure la vocazione di Simone non è quella di Andrea, perché Simone dall'eternità era nel cuore di Dio come Simone quel Simone lì impulsivo pieno di slanci eppure tanto fragile, quel Simone che rinnegherà ma poi verserà il sangue per il Maestro. Quel Simone che avrà il compito di confermare gli altri e a cui saranno affidati le chiavi del Regno... così per ogni uomo... per me. Chiamato da sempre perché da sempre sognato così, con questo volto, questo compito da svolgere nella vita, che non può essere distinto da me. Io non ho una vocazione: io sono la mia vocazione. Quella voce che mi ha tratto dal nulla, che mi ha dato un volto nel momento stesso in cui in un atto di infinita tenerezza pronunciava il mio nome, quella voce mi chiamava ad "essere per". VOLUTO DA DIO PERCHE' AMATO DA DIO COSI' COME SONO. Come posso non amarmi, non accettarmi anche nei miei limiti, non amare la mia vocazione? Come posso non esplodere di gioia? Sì, quella voce di cui serbo in cuore l'eco con nostalgia profonda, quella voce continua a chiamarmi alla gioia.

    Dio della mia gioia, dammi di percepire sempre nel mio cuore quel richiamo carico di tenerezza che mi ha dato di essere. Che io scopra giorno dopo giorno il mio "nome", con stupore e riconoscenza. Grazie, grazie Dio della mia gioia.

    La voce una Beata

    Tu, quando diffondi l'amore del Signore, sei la buona novella di Dio.
    Madre Teresa di Calcutta

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