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PERSECUZIONI CONTRO I CREDENTI IN CRISTO

Ultimo Aggiornamento: 02/02/2023 12:13
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03/05/2011 13:20
 
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La denuncia degli orrori della guerra civile e della persecuzione religiosa

VICENTE CÁRCEL ORTÍ


Nella Lettera Apostolica Tertio Millennio Adveniente il Santo Padre ha detto che «Pio XI dovette misurarsi con le minacce di sistemi totalitari o non rispettosi della libertà umana in Germania, in Russia, in Italia, in Spagna...» n. 22). Il giusto riferimento alla Spagna riguarda gli<o:p> </o:p>anni trenta, quanto la Seconda Repubblica, proclamata nel 1931, instaurò un sistema «non rispettoso della libertà umana» perché calpestò la libertà religiosa, che è il primo e più fondamentale dei diritti dell’uomo. A distanza di sessant’anni, emerge la valenza storica del più importante documento dell’Episcopato spagnolo, reso pubblico il 1° luglio 1937, che in questi anni è stato come soffocato da una storiografia poco attenta a questa tematica oppure polemica nei suoi confronti. È giusto, in nome del rigore della ricerca storica, analizzare il contenuto di detto documento, che conduce inevitabilmente a ricordare gli orrori della guerra civile spagnola e, soprattutto, le vittime della persecuzione religiosa? O l’iniziativa rischia di riaprire ferite di un passato che tutti vorrebbero dimenticare?<o:p></o:p>

Ancora una volta, il ricordo di un importante avvenimento storico, nel nostro caso la persecuzione religiosa spagnola, fa riemergere nel modo più doloroso le ambiguità, i dilemmi irrisolti, le inevitabili doppiezze del rapporto della Russia sovietica (e del resto d’Europa favorevole alla screditata Repubblica spagnola) nei confronti di un governo che violò sistematicamente i diritti fondamentali della persona umana. Nel 1934 ebbe luogo nelle Asturie la tristemente celebre «rivoluzione rossa di ottobre», definita dal professore Gregorio Marañón come «il tentativo in regola di eseguire il piano comunista di conquistare la Spagna». Ed il repubblicano Salvador de Madariaga, scrisse: «Con la rivoluzione del 1934, la sinistra spagnola perse perfino l’ombra di autorità morale per condannare la ribellione del 1936».<o:p></o:p>

Il documento dei Vescovi spagnoli si inserisce nel contesto crudele della guerra civile spagnola,<o:p> </o:p>ma si inserisce anche nel contesto di altre iniziative pontificie, come le encicliche Mit brennender sorge (14 marzo 1937), con la quale Pio XI denunciò il regime nazionalsocialista perché non rispettò né la lettera, né lo spirito del Concordato del 1933, e Divini redemptoris (17 marzo 1937) contro il «comunismo ateo», nella quale mise in evidenza il pericolo che potevano rappresentare da due dimensioni sociali — panteismo nazionalsocialista e ateismo marxista — che si richiamano viceversa al nichilismo, che oltre ad essere distruttivo per l’umanità, è anche autodistruttivo. La Chiesa in Spagna era consapevole in quegli anni di dover agire in modo deciso per favorire e difendere i beni fondamentali della giustizia e della pace, di fronte all’affermarsi nella società spagnola di tendenze opposte. In tale Lettera Collettiva i Vescovi denunciarono quanto la Chiesa aveva patito e continuava a patire nella Spagna repubblicana, vittima dell’ideologia comunista, che come il nazismo in Germania, scatenò una crudele persecuzione e, superando perfino la ferocia nazista, soppresse il culto cattolico in tutte le sue forme ed espressioni sia pubbliche o private. Il 18 luglio 1936 scoppiò in Spagna la guerra civile, che fu la conseguenza logica della violenta e caotica situazione nazionale creatasi dopo le elezioni del mese di febbraio dello stesso anno, in seguito alle quali il «Frente Popular» (coalizione di socialisti, comunisti, anarchici ed altri elementi estremisti e violenti) prese il potere. Il governo repubblicano dimostrò la sua incompetenza nell’affrontare la complessa realtà spagnola, e dopo alcuni mesi di grande instabilità politica, un settore dell’Esercito, con l’appoggio di una grande parte del popolo, si sollevò in armi per porre fine ad una situazione ormai insostenibile da ogni punto di vista. Da quel momento la Spagna rimase divisa in due zone: da una parte i partigiani della Repubblica, chiamati i «rossi»; dall’altra i favorevoli ai militari sollevati, chiamati «nazionali», che formarono il Governo presieduto dal Generale Francisco Franco. La Santa Sede mantenne il suo rappresentante a Madrid fino agli inizi del mese di novembre del 1936. Il Nunzio Tedeschini, creato Cardinale, era partito un mese prima dall’inizio della guerra, e Mons. Filippo Cortesi, non giunse mai nella Spagna repubblicana presso la quale era stato nominato Nunzio. Il 16 maggio 1938 Mons. Gaetano Cicognani fu nominato «Nunzio apostolico nella Spagna presso il Governo nazionale di Salamanca». Con questa nomina la Santa Sede riconosceva ufficialmente il Governo presieduto dal generale Franco, quando ormai erano trascorsi quasi due anni di guerra civile. Il quadro della situazione religiosa nella Spagna repubblicana dall’imperversare della persecuzione non poteva essere più triste, dopo due anni di ininterrotto conflitto armato. Dove era passata la furia devastatrice della rivoluzione comunista, con il contributo anche di socialisti ed anarchici, tutto ciò che aveva attinenza con la Chiesa era stato distrutto, incendiato, saccheggiato: chiese, seminari, canoniche, palazzi vescovili, conventi, sedi di associazioni cattoliche. Distrutti e rubati arredi sacri, tesori artistici. Le diocesi totalmente devastate in tutta la Spagna erano 27, 8 quelle devastate in parte e 22 quelle rimaste quasi incolumi. A parecchie migliaia ammontava il numero degli ecclesiastici massacrati nei modi più barbari ed a molte decine di migliaia quello dei laici cattolici, per lo più i migliori. Nei territori ancora sotto controllo del governo repubblicano continuava la persecuzione religiosa, che si acuiva quando si avvicinavano i nazionali. Il culto pubblico era stato dovunque soppresso e quello privato era difficile e pericoloso. Alla tristissima situazione religiosa della Spagna governativa faceva netto contrasto quella della Spagna nazionale, dove la vita religiosa si svolgeva normalmente, notandosi anzi un consolante risveglio spirituale e una maggiore frequenza ai sacramenti. Il generale Franco manifestava apertamente i suoi sentimenti cattolici. Nel suo complesso il Governo nazionale era favorevole alla Chiesa. Il generale Franco voleva fare della Spagna una nazione cattolica, fedele alla sua tradizione religiosa. Non mancarono tuttavia eccessi da parte delle autorità civili, per la tendenza spagnola di legiferare in materia di stretta competenza dell’autorità ecclesiastiche.

La Guerra Civile, non ostante la sua crudeltà, non provocò «un milione di morti», come è stato acriticamente detto per molti anni. Recenti e rigorosi studi statistici hanno dimostrato che furono circa 270.000 le vittime del conflitto fratricida, sia nei campi di battaglia sia nelle repressioni delle due retroguardie, comprese anche le vittime della persecuzione religiosa nella zona repubblicana. Trattasi, pur tuttavia, di una cifra ingente, che rivela la crudeltà della tragedia, ancor più tragica e grave se si tiene conto che i fratelli uccidevano i fratelli in una Spagna ritenuta tradizionalmente cattolica. Per capire storicamente la tragedia spagnola del 1936 e,<o:p> </o:p>soprattutto il protagonismo della Chiesa — che in quegli anni tremendi subì la maggiore persecuzione della sua storia —, è necessario ripercorrere seppure brevemente le tappe fondamentali della vita repubblicana iniziatasi cinque anni prima e l’evoluzione della società spagnola.


La II Repubblica fu anticattolica

Con la proclamazione della Seconda Repubblica, avvenuta il 14 aprile 1931, la Chiesa in<o:p> </o:p>Spagna, invisa al nuovo regime per la sua dottrina e la sua azione, fu subito posta in stato di latente persecuzione sul piano legislativo. A questo stato di cose, già di per sé gravissimo, fece seguito, ad opera dell’estremismo anarchico socialista, uno stato di violenza fisica sulle persone e sulle cose. Le prime vittime risalgono al 5 ottobre del 1934, durante la cosiddetta «rivoluzione delle Asturie», quando furono assassinati 37 fra sacerdoti, seminaristi e religiosi e furono incendiate 58 chiese. 8 di essi, e precisamente sette Fratelli delle Scuole Cristiani ed un Passionista sono stati beatificati nel 1990. Iniziò cosi il lungo Martirologio della Chiesa di Spagna quando mancavano ancora due anni allo scoppio della Guerra civile e la Chiesa non si era pronunciata in favore del militari definiti «ribelli». Anzi, sin dal primo momento i Vescovi avevano riconosciuto il legittimo Governo repubblicano. La Repubblica, tuttavia, manifestò la sua aperta ostilità nei confronti dei cattolici. E nell’estate del 1936, socialisti, comunisti ed anarchici scatenarono la maggiore persecuzione religiosa della storia di Spagna.<o:p></o:p>

L’assassinio di ecclesiastici e di semplici laici, nel tentativo di annientamento fisico della Chiesa<o:p> </o:p>cattolica nelle persone e nelle cose, divenne normale durante i primi sei mesi del conflitto armato, iniziato con il «Movimento Nazionale» del 18 luglio del 1936 e durato fino al 1° aprile 1939. La gravità di questa azione persecutoria fu tale che già nei primi sei mesi si giunse ad un numero elevatissimo di vittime ecclesiastiche — oltre 6.500 — con l’annientamento totale di ogni presenza religiosa nella cosiddetta «zona rossa». Gli orrori commessi in obbedienza all’ideale dell’ateismo militante sembrano oggi lontani, eppure è un quadro di infamie che, nelle zone «rosse» della Spagna, furono il frutto logico di correnti di pensiero e di azione di natura profondamente antiumana e attivamente anticristiana. La persecuzione religiosa fa comprendere quale errore storico commetterebbe chi giudicasse la Guerra di Spagna in base al solo aspetto sociale e politico. In essa fu essenziale l’elemento religioso. L’atteggiamento della Santa Sede e della Chiesa in Spagna nei confronti di tale guerra è ancora oggi una questione complessa, che deve necessariamente essere esaminata alla luce dell’ambiente dichiaratamente anticattolico e persecutorio nel quale vissero i cattolici nel periodo repubblicano. L’argomento è stato studiato dalla storiografia ecclesiastica e civile. Pur nelle loro diverse valutazioni, gli autori più rigorosi ed imparziali ammettono non solo l’ostilità dichiarata contro la Chiesa in genere, ma contro la fede cattolica in specie, da parte di molti politici repubblicani e di numerosi atti e leggi anticattoliche a tale ostilità ispirate.<o:p></o:p>

Questa mentalità decisamente anticattolica, che giunse fino alle ultime conseguenze nell’estate<o:p> </o:p>del 1936, si impostò già dagli inizi, nel mese di maggio del 1931 con gli incendi di chiese e conventi, e dopo nelle «Cortes Constituyentes» della Repubblica. I più influenti dei suoi deputati provenivano della «Institución Libre de Enseñanza» (anche se non tutti costoro erano antireligiosi). La massoneria ebbe una parte notevole in questo processo. Secondo il gesuita Ferrer Benimeli, uno dei maggiori esperti di questi temi, che ha potuto verificare i nomi dei massoni che componevano le istituzioni politiche spagnole, i massoni alle «Cortes Constituyentes» erano almeno 183. Secondo lo stesso autore, la massoneria ebbe quindi un notevole influsso nella legislazione anticattolica della Repubblica e nelle sue campagne<o:p> </o:p>diffamatorie contro la Chiesa. Secondo uno dei padri della II Repubblica spagnola, Manuel Azaña, lo Stato doveva diventare laicista nel senso più radicale. Tutti i mezzi per conseguire questo scopo erano leciti. Voleva una Chiesa sottomessa, dominata e controllata dallo Stato. E se questo non fosse stato possibile si sarebbe dovuto eliminarla. Inoltre secondo questo politico pensatore, i dogmi cattolici e i principi sui quali si voleva fondare il nuovo Stato Spagnolo erano assolutamente incompatibili. Per cui Azaña non era solo contro il cattolicesimo spagnolo nella sua forma storica concreta, né contro altro tipo di cristianesimo specifico, ma contro il<o:p> </o:p>cristianesimo in quanto tale nella sua sostanza e trascendenza che ha valore in qualsiasi parte del<o:p> </o:p>mondo. Azaña, e con lui il pensiero dominante della Repubblica che più tardi tenterà di eliminare la Chiesa, vanno al di là dell’anticlericalismo: sono formalmente e specificamente contro la Chiesa Cattolica Romana. Il loro è anticristianesimo e antiecclesialità radicale. Azaña fu presidente della Repubblica fino alla sua morte avvenuta poco dopo la fine della guerra. Azaña — e con lui molti dei proceri della II Repubblica spagnola — vedevano nella Chiesa Cattolica una minaccia per lo stabilimento del Nuovo Stato. Perciò il nuovo Potere stabilitosi nel 1931, con una legislazione sistematica, si propose di eliminare subito ogni espressione pubblica della Chiesa cominciando con la soppressione della Compagnia di Gesù, considerata la sua manifestazione più significativa; e, finalmente, propiziando o almeno tollerando l’eliminazione fisica dei suoi sacerdoti e dei laici più impegnati, che iniziò due anni prima della rivolta nazionalista del generale Franco, con i massacri delle Asturie del 1934 — come abbiamo detto — e altri fatti molto simili nel primo semestre del 1936. I laicisti repubblicani, i marxisti e gli anarchici, ognuno dal proprio schema politico e solo sulla base del sospetto di pericoli per il Nuovo Stato, calpestavano i diritti fondamentali della persona contro quanto affermavano gli stessi principi democratici da loro professati. Di conseguenza questi uomini della Repubblica<o:p> </o:p>Spagnola invocavano come suprema ragione politica ed etica la salvezza del loro progetto di Stato. In questo non si differenziavano dagli altri totalitarismi statali contemporanei, come già allora alcuni gli avevano rinfacciato.

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