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PERSECUZIONI CONTRO I CREDENTI IN CRISTO

Ultimo Aggiornamento: 02/02/2023 12:13
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28/04/2014 18:41
 
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Asia Bibi dalla prigionia: credo nella Salvezza


«Credo con tutto il mio cuore, con tutte le mie forze e la mia mente che risorgerò. La salvezza verrà presto anche per me». È questo il messaggio di coraggio e speranza che Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte per blasfemia in Pakistan, ieri, Venerdì Santo, ha recapitato tramite i suoi avvocati al sito .



[Modificato da Credente 28/04/2014 18:41]
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03/05/2014 16:45
 
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Violenza contro i cristiani europei
in marzo-aprile 2014

violenza laicistaAggiornamento bimestrale dei soprusi, della censura e della violenza -fisica e intellettuale- subita da cattolici, cristiani e credenti in nome della tolleranza laica europea e occidentale.

 

SpagnaFinalmente il Parlamento catalano ha approvato una risoluzione per affrontare il caso dei vari gruppi radicali che negli ultimi mesi hanno vandalizzato diverse chiese cattoliche, interrompendo anche le celebrazioni con slogan blasfeme o abortiste.

Austria. La Cattedrale di Santo Stefano di Breitenfeld (Josefstadt) e le chiese di Neuottakring (Ottakring) e Lazaristenkirche (Neubau) sono state preso d’assalto da diversi vandali che hanno distrutto le statue di santi e demolito il fonte battesimale. Uno degli autori è stato arrestato e ha definito i fedeli cattolici dei “burattini”.

Canada. È arrivata davanti alla Corte suprema la battaglia della Loyola High School di Montreal contro il programma scolastico che obbliga gli istituti a impartire l’insegnamento di etica e religione da un punto di vista “laico” e “neutrale”, obbligando anche le scuole di ispirazione religiosa ad adeguarsi. Paradossalmente le scuole cattoliche, ha spiegato l’avvocato che segue il caso, non potranno più spiegare i motivi per cui sono cattoliche.

Regno Unito. Una pop star britannica, Eliza Doolittle, ha riferito che la rete televisiva BBC le ha chiesto di cambiare il testo di una delle sue canzoni, Walking on Water”, così da omettere un riferimento a “Gesù”. Mark Thompson, ex direttore generale della BBC, nel 2012 aveva pubblicamente ammesso che il cristianesimo è trattato dalla rete televisiva con meno sensibilità rispetto alle altre religioni.

Francia. Alcuni anarchici hanno imbrattato il portone e il piazzale della Basilica del Sacro Cuore di Montmartre a Parigi, scrivendo “Fuoco alle cappelle”, “né Dio né Stato”, “abbasso ogni autorità”.

Italia. In una scuola media di Reggio Emilia gli studenti sono stati costretti a gettare nella spazzatura copie del Vangelo che alcuni volontari avevano loro donato all’ingresso. Ad un’alunna è stato anche proibito di farsi il segno della croce al passare di un’ambulanza, con la motivazione che avrebbe potuto «offendere i ragazzi che appartengono ad un’altra religione»

Spagna Alcune associazioni hanno denunciato alla polizia la Federación de Mujeres Progresistas (Federazione di donne progressiste) che nel loro raduno del 29 marzo hanno scandito diversi slogan con minacce, insulti e violazione dei diritti fondamentali, come ad esempio: “Bruciamo la Conferenza episcopale sessista e patriarcale”, “infilate i vostri rosari nelle vostre ovaie”, “se il Papa rimanesse incinta l’aborto sarebbe sacro”. Nel settembre scorso, dopo un’altra manifestazione di questo genere, è stata fatta esplodere una bomba all’interno della cattedrale di Saragozza.

Francia. Lo storico Jean-François Chemain ha denunciato su “Le Figaro” la nuova frontiera del secolarismo che impone la rimozione delle statue della Madonna, il silenzio dei campanili e l’obbligo della laicità per i dipendenti delle aziende private.«Andiamo verso la rimozione di tutti i simboli cristiani dal paesaggio pubblico?», si è domandato.


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14/05/2014 10:18
 
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Cina, il partito comunista continua
a demolire chiese,  cattoliche e non:
«Vogliono impedirci di pregare» 

 
 

A due settimane dalla demolizione della grande chiesa di Sanjiang, il partito comunista cinese continua a perseguitare i cristiani con la sua campagna delle «Tre rettifiche e una demolizione». Più di 15 chiese sono state demolite completamente o in parte e la lista di quelle che dovranno essere “rettificate” supera già i 50 edifici.

«CRISTIANI AGISCANO». «In molti pensavano si trattasse solo della chiesa di Sanjiang ma ora si vede che non è così. Sempre più chiese vengono demolite, i cristiani devono agire», dichiara a ChinaAid un pastore protestante di Wenzhou, la “Gerusalemme d’Oriente” dove si ergeva la chiesa di Sanjiang, distrutta perché «il cristianesimo è cresciuto in modo eccessivo e disordinato».

CHIESA CATTOLICA DEMOLITA. La chiesa protestante di Wuai, sempre a Wenzhou, era ancora in costruzione ma è stata demolita il 3 maggio. Lo stesso giorno una chiesa cattolica di Liushi (Wenzhou) e una di Pingyang sono state demolite «perché non approvate dalle autorità». Come riferito da un cristiano di Liushi, «la comunità locale si è schierata fisicamente a difesa della chiesa, la situazione era molto tesa» ma non sono riusciti a salvare il luogo di culto.

Cina. Chiese demolite e croci rimosse

 «MAI SUCCESSE QUESTE COSE». Oltre alle tre chiese distrutte, altre cinque hanno dovuto rimuovere la croce dalla sommità degli edifici: la chiesa protestante di Baixi ha dovuto togliere il crocifisso nonostante fosse approvato dal governo, la chiesa cattolica di Taoyun ha dovuto coprire la sua croce, altre due croci sono state demolite. «Cose del genere non erano mai successe», si lamenta un pastore protestante di Wenzhou, «non si sono mai viste nella storia dell’umanità».
A Hangzhou, capitale della provincia di Zhejiang, dove è partita la campagna di demolizione, è stata demolita la croce della chiesa domenicale di Qiaosi. I cristiani di Ningbo (Zhejiang) hanno ricevuto l’ordine dalle autorità di distruggere loro stessi la loro chiesa entro il 20 maggio.

 

«VOGLIONO IMPEDIRCI DI PREGARE». La nuova ondata di persecuzione contro i cristiani è inedita in Cina, dove l’ateismo è ancora un requisito per entrare a far parte del governo, il quale però nell’ultimo mese ha colpito anche le chiese cosiddette “ufficiali”, cioè registrate all’Associazione patriottica e al Movimento delle tre autonomie, che regolano l’attività religiosa rispettivamente di cattolici e protestanti.
Secondo un pastore locale di Wenzhou l’obiettivo finale del partito comunista non è «solo distruggere le chiese ma impedire che la gente si riunisca in casa a pregare».



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11/06/2014 15:59
 
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In 17 mesi sono stati uccisi nel mondo 5.479 cristiani:
322 al mese. Triste record della Nigeria

È uscito un nuovo rapporto di Open Doors, che analizza la situazione dei cristiani perseguitati dal primo novembre 2012 al 31 marzo 2014
 
PakistanDal primo novembre 2012 al 31 marzo 2014 sono stati uccisi almeno 5,479 cristiani nel mondo. Una media di 322 al mese e le stime sono al ribasso. Open Doors ha pubblicato un nuovo rapporto sulla persecuzione dei cristiani nel mondo, prendendo in esame un periodo di 17 mesi ed escludendo dal novero paesi quasi inaccessibili dove le persecuzioni sono difficili da quantificare come Corea del NordEritrea, Iran e Cina.

NIGERIA SU TUTTI. L’associazione stila due “classifiche”: la prima considera i paesi dove i cristiani hanno subito più attacchi – siano essi a chiese, negozi o abitazioni -, la seconda riguarda i paesi dove sono stati uccisi più cristiani, anche per ragioni non religiose come le guerre. In entrambe primeggia laNigeria, sconvolta nel periodo preso in esame da centinaia di attentati da parte dei terroristi islamici di Boko Haram.

DALLA SIRIA AL MESSICO. Nella prima classifica la Nigeria è seguita da SiriaEgittoCentrafrica, Messico, Pakistan, Colombia, IndiaKenya e Iraq. Oltre ai paesi dove si fa più sentire l’intolleranza e gli scontri interreligiosi (Egitto, Pakistan), ci sono dunque anche paesi che stanno vivendo sanguinose guerre civili (Centrafrica, Siria, Iraq).

CHIESE E CASE DISTRUTTE. Il paese dove sono morti più cristiani, a prescindere dalla natura delle uccisioni, è sempre la Nigeria con 2.043 morti. Seguono con 1.479 la Siria, dove le milizie jihadiste prendono spesso di mira i cristiani, il Pakistan con 228 e l’Egitto con 147. Infine, entrano nella lista anche Centrafrica, Kenya, Iraq, Sudan, Myanmar e Venezuela. In totale si sono verificati circa 13.120 atti di violenza e tra chiese, negozi e abitazioni sono stati rasi al suolo 3.641 edifici appartenenti ai cristiani.



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02/07/2014 07:46
 
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© JUNG YEON-JE / AFP


 

 


Nel programma del viaggio di Papa Francesco nella Repubblica di Corea due momenti saranno dedicati alla memoria dei testimoni della fede. Sabato 16 agosto il Pontefice visiterà il Santuario dei martiri di Seo So mun, cui seguirà la Messa di beatificazione di Paolo Yun Ji-chung e di 123 compagni, uccisi in odio alla fede lungo il XVIII secolo. Il decreto è stato firmato proprio da Papa Francesco. Ne parliamo con il prof. Thomas Hong-Soon Han, Ambasciatore di Corea presso la Santa Sede dal 2010 allo scorso dicembre 2013.

Prof. Han, la persecuzione dei cristiani continua ancora oggi sotto il governo di Pyongyang. 
La Chiesa in Corea è una chiesa giovane che ha poco più di duecento anni, la cui storia fu iniziata da laici coreani non da missionari. I primi cent’anni furono caratterizzati da severe persecuzioni durante le quali più di diecimila martiri hanno dato la propria vita. 103 di loro sono stati canonizzati da Giovanni Paolo II. Anche i 124 martiri che attendono di essere proclamati beati da papa Francesco sul posto del loro martirio sono del periodo iniziale del cristianesimo in Corea.
La Corea è la terra dei martiri. La crescita così notevole della Chiesa in Corea sudcoreana come sopramenzionata eloquentemente verifica la classica affermazione: “Sanguis martyrum semen christianorum”. Purtroppo, sotto il regime comunista del Nord tuttora persiste la persecuzione, non esiste affatto la libertà religiosa, ma sono sicuro che ciononostante i fedeli del Nord, di nascosto, stanno conservando viva la fede, perché Dio “non manca di suscitare laici di eroica fortezza in mezzo alle persecuzioni, li abbraccia con paterno affetto e con riconoscenza” (Apostolicam Actuositatem, 17). Mi auguro che essi possano quanto prima vivere una vita più umana, godendone pienamente della libertà religiosa. Si può dire che la crescita della Chiesa nel Sud deve anche alla persecuzione nel Nord. Nel Sud i fedeli si sentono più che mai responsabili di impegnarsi per l’autentica umanizzazione del Nord, soprattutto attraverso la preghiera e aiuti umanitari.

Il segretario di Stato Parolin ha invocato il dono della riconciliazione nella vostra Penisola per il bene di tutto il popolo coreano. Sullo sfondo, la drammatica questione delle riunificazioni familiari...
Abbiamo proprio bisogno di questo dono della riconciliazione, che ci porterà alla pace e all’unificazione. Siamo davvero riconoscenti al Segretario di Stato il card. Parolin per tale atto di invocazione. Tutto il popolo coreano ringrazia di cuore il Santo Padre per la sua costante sollecitudine pastorale e umana nei loro confronti. Infatti Papa Francesco, già nel suo primo messaggio subito dopo la sua elezione, aveva invitato tutti i popoli a pregare per la pace nella Penisola coreana, “perché si superino le divergenze e maturi un rinnovato spirito di riconciliazione” (Messaggio “Urbi et Orbi” - Pasqua 2013)
La questione delle riunioni familiari è drammatica. Sono iniziate nel 1985 in base a un accordo tra Sud e Nord e da allora in poi sono avvenute soltanto sporadicamente. Nel Sud ci sono circa 700 mila persone separate dai loro familiari nel Nord da più di 60 anni, la Guerra Coreana (1950-53) senza nemmeno avere la possibilità di comunicare con loro. Più o meno uguale è il caso dei nordcoreani. Circa 130 mila sudcoreani hanno fatto richiesta al Governo per poter vedere i loro familiari nel Nord: si tratta ormai di persone anziane, con un’età media di 80 anni; più di 50 mila persone sono già morte. Eppure, a causa di ragioni politiche non viene permesso loro neanche di comunicare tranne in rari casi in cui si giunge ad un accordo politico come avvenuto lo scorso febbraio. Il Sud, quindi, sta cercando di stabilire un accordo con il Nord per trovare quanto prima possibile una soluzione che può permettere a queste riunioni familiari di realizzarsi regolarmente.

Parlando dei problemi della società coreana, il neocardinale Andrew Yeom Soo-jung ha ricordato la divisione tra ricchi e poveri, nonché tra partito progressista e conservatore. Queste differenze si riflettono anche sulla Chiesa cattolica coreana? 
I fedeli sono membri della Chiesa e cittadini della società, si può quindi dire che tale fenomeno potrebbe verificarsi anche nella Chiesa. Diverse ricerche sociali constatano che la maggioranza dei cattolici coreani appartiene ai ceti medi, con una proporzione ancora più alta di quella della società. Ciò costituisce una sfida per la Chiesa che dev’essere dei poveri e per i poveri, badando sempre a coltivare uno stile di vita che li abbracci e, al tempo stesso, impegnandosi a riformare le strutture della società per promuovere il bene comune, mantenendo l’unità nella diversità.

L’arcivescovo di Seoul ha ricordato anche la crisi della famiglia e il calo delle nascite, criticità che consideriamo tipiche delle società occidentali. Che volto ha la famiglia, in Asia?
Esiste davvero la “tipicità” occidentale? La cosidetta tipicità non sarebbe altro che un fenomeno tipico di una società tecnologicamente e materialmente progredita? Purtroppo, il progresso delle tecnologie di informazione e di comunicazione sta globalizzando la crisi della famiglia, come pure quella del matrimonio, e quindi, anche l’Asia ne risente e lo fa più fortemente nelle parti economicamente avanzate.

Il volto della famiglia asiatica è certamente diverso da quello che gli asiatici considerano “tradizionale” e persino “ideale”. Abbondano le famiglie inter-culturali e inter-religiose come conseguenza dei “matrimoni misti”. È in aumento il numero delle famiglie con un singolo genitore o con genitori separati/divorziati che si risposano. Ci sono anche tante famiglie in cui i genitori non sono sposati e non sono capaci di offrire stabilità ai loro figli, e altre nelle quali i coniugi non vogliono avere figli oppure ne ritardano l’arrivo. Sempre meno si vede la famiglia allargata asiatica, tradizionalmente molto unita. Le famiglie nucleari tendono ad avere meno comunicazioni con gli altri membri della famiglia allargata. Con l’avanzamento dei nuovi movimenti di liberazione e con il crescere del pensiero neoliberale e postmoderno, altre forme di famiglia, come quella omosessuale, stanno lentamente cominciando a emergere nei Paesi asiatici più secolarizzati e liberalizzati, seppur con grande disapprovazione.

Il ruolo sociale della donna è un altro dei grandi nodi che la Chiesa sta affrontando. La vita religiosa femminile è molto apprezzata e stimata, nel vostro Paese.
Quanto al ruolo sociale della donna, a mio modesto avviso, occorre anzitutto affrontare, oltre alla parità di genere, le circostanze che costringono le donne a svolgere l’attività economica e, quindi, l’equilibrio tra il ruolo sociale e il ruolo familiare. Occorre anche valutare gli effetti che l’attuale tendenza di valorizzare il ruolo sociale delle donne potrebbe avere sulla vocazione della vita religiosa femminile a lungo termine.

Attualmente in Corea le suore svolgono un ruolo assai importante nell’evangelizzazione, sia dentro che fuori della Chiesa. Sono attive in quasi tutte le parti della vigna del Signore, a cominciare dalla parrocchia, che è la parte principale delle loro attività. Vengono considerate a volte come collaboratrici a volte come sostitute del parroco a seconda delle necessità pastorali che si presentano. In quasi tutte le parrocchie le suore offrono, oltre all’esempio di vita di preghiera e di stile di vita semplice e umile, i diversi tipi di servizi con impegno e dedizione quasi come una sorta di “tuttofare” pastorale, per esempio, come insegnante di dottrina e fede, accompagnatrice spirituale, e assistente sociale. Si può ben dire, quindi, che La testimonianza che rendono così alle virtù evangeliche, senza dubbio, guadagna credibilità per la Chiesa, creando un’atmosfera favorevole per l’evangelizzazione. È anche vero, però, che tale ruolo delle suore così incentrato sulla pastorale parrocchiale le porta a porgere una questione fondamentale sull’identità e sulla carisma della propria vita consacrata.

Tra la minoranza cattolica e le chiese protestanti prevale un rapporto di concorrenza o di collaborazione?
Anzitutto, sarebbe opportuno menzionare la distribuzione della popolazione religiosa in Corea. Secondo le statistiche del Governo, nel 2005 i buddisti erano 10,72 milioni (il 23 % della popolazione), i protestanti 8,61 milioni (il 18 %), e i cattolici 5,14 milioni (l’11 %), mentre coloro che hanno dichiarato dichiarano di non professare nessuna religione erano 21,86 milioni (il 46 %). Questi dati indicano che L’insieme di cattolici e protestanti costituisce la maggioranza della popolazione religiosa, e poiché le chiese protestanti sono divise in tante diverse denominazioni, la Chiesa cattolica, come singola entità, è la maggiore.

La Chiesa cattolica non ha nessun complesso di inferiorità vis-à-viscon le chiese protestanti e altre religioni. Essa vede le chiese protestanti non come rivali, ma piuttosto come partner di collaborazione: mentre non tutti tra loro le contraccambiano la stessa veduta. Essa non vede mai le altre religioni in un’ottica di concorrenza. Anzi, la Chiesa cattolica prende l’iniziativa per condurre il dialogo e cooperare con tutte le religioni per promuovere il bene comune della società, come pure e una pacifica coesistenza delle religioni. Si può ben dire che la Corea è uno dei pochi paesi del mondo dove esiste tale rapporto di collaborazione tra le religioni. Secondo un sondaggio condotto dall’Istituto di ricerca sociale buddista, la Chiesa cattolica viene valutata la più affidabile tra le religioni in Corea. 

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28/07/2014 12:08
 
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I sedici ulema uccisi a Mosul per aver difeso i cristiani,
l’imam frustato in piazza e altre storie di musulmani
perseguitati dallo Stato islamico

 
 Leone Grotti

Come vivono il fanatismo del califfo Al Baghdadi i musulmani di Iraq e Siria? Camille Eid: «Alcuni protestano pagando con la vita, la maggior parte tace»

siria-isisI fanatici dello Stato islamico, dopo essersi insediati a Mosul proclamando il califfato, hanno dato il via a una sistematica persecuzione dei cristiani, culminata nella cacciata di questi dalle loro case. Le massime cariche istituzionali della Chiesa e degli organismi internazionali hanno condannato questa condotta, ma come hanno reagito i musulmani moderati? «Dipende», dichiara a tempi.it Camille Eid, scrittore e giornalista libanese. «Alcuni hanno protestato, pagando con la propria vita, altri hanno preferito restare in silenzio».

Chi si è opposto?
Innanzitutto 16 ulema sunniti che appartengono a confraternite sufi di Mosul, il ramo più spirituale dell’islam. La notizia della loro uccisione è uscita circa un mese dopo la presa della città da parte dello Stato islamico (e secondo l’Onu sono stati uccisi tra il 12 e il 14 giugno, ndr). Alcuni di loro sono stati uccisi ancora prima che venissero emanati gli editti contro i cristiani perché si erano opposti all’interpretazione radicale dell’islam seguita da questi terroristi. Tra loro ci sono gli imam della Grande moschea della città, Muhammad al-Mansuri, e quello della moschea del Profeta Giona, Abdel-Salam Muhammad.

Ce ne sono altri?
Un docente di legge (che lavora nel dipartimento di Pedagogia dell’università di Mosul, ndr), Mahmoud Al ‘Asali, che si è ribellato alle azioni persecutorie contro i cristiani. È stato davvero coraggioso. Altri, magari, pensavano che questi terroristi non facessero davvero sul serio.

Cioè?
Lo sceicco Muhammad Al Badrani, imam sufi, ha ricevuto 70 frustate come punizione per aver ripetuto dal minareto della moschea Al Kawthar lodi “aggiuntive” al Profeta prima dell’appello alla preghiera. Era già stato avvertito di smettere e forse non li ha presi sul serio. Allora lo hanno trascinato davanti al tribunale e gli hanno dimostrato che non scherzano. Ma non hanno problemi a punire anche uccidendo.

Come si spiega questi gesti di grande coraggio?
Non dico che Mosul abbia alle spalle una storia ideale di convivenza, però quanto meno il suo pluralismo è conosciuto da secoli. È stata una città con una composizione di etnie e religioni molto variegata. C’erano i cristiani siri, caldei, armeni; i musulmani sunniti, sciiti, sunniti sufi, yazidi. Poi i curdi, i turkmeni e anche una comunità ebraica fino agli anni Cinquanta. La convivenza di questi gruppi ha prodotto una tolleranza reciproca e molti si sono opposti alla sua distruzione. Anche i cristiani all’inizio sono stati ingannati, perché i terroristi hanno dato loro l’impressione che se fossero rimasti tranquilli avrebbero potuto continuare a vivere nella città. Non era così.

musulmani-cristiani-iraq-baghdadA Baghdad si è vista una piccola manifestazione di sostegno musulmano ai cristiani.
Non è stata una cosa organizzata. Si tratta di giovani musulmani che hanno voluto esprimere la loro vicinanza ai cristiani scrivendo sulle magliette “Io sono iracheno, sono cristiano” e anche “Siamo tutti cristiani”. Poi si è trasformata in una campagna Twitter. Questa è stata un’idea geniale che risponde alla richiesta del patriarca Sako, che ha invocato dai musulmani gesti di vicinanza concreti, non parole. Ha chiesto: dove siete voi musulmani moderati?

Il gesto di questi musulmani è isolato?
Purtroppo la maggior parte dei musulmani tace. Io capisco quelli che vivono nelle zone dove governa lo Stato islamico e che rischierebbero la vita. Però mi chiedo: il grande imam della moschea di Al Azhar in Egitto perché non parla? Che paura puoi avere se ti trovi al Cairo? Molti non parlano contro le crocifissioni, le lapidazioni e le amputazioni perché sanno già cosa si sentirebbero rispondere: non avete letto il Corano? Quando i terroristi compiono questi atti prima citano il Corano. E questo è un problema.

Nei luoghi in cui si insedia lo Stato islamico cerca di insegnare la versione radicale dell’islam contro cui si sono opposti gli imam sufi?
Certo. A Raqqa, ad esempio, sono molto pignoli con le accuse di politeismo e hanno tappezzato i muri della città (foto a destra) con manifesti che riportano: “Chi appende un amuleto [allo specchietto retrovisore della macchina] commette politeismo”. C’è anche una squadra di donne che pattuglia le strade controllando che nessuna donna violi il rigido codice di abbigliamento. Diciamo che fanno il loro

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23/08/2014 14:53
 
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La grande testimonianza dei profughi yazidi e cristiani:
hanno perso tutto, pur di non rinnegare la loro fede millenaria

Il cardinale Filoni, di ritorno dall’Iraq, ha raccontato il suo viaggio. «Questa gente ha preferito abbandonare tutto, perdere tutto, anziché la fede e la tradizione religiosa che custodiscono da millenni».
iraq-yazidi
Ieri sull’Osservatore Romano il cardinale Fernando Filoni, inviato da papa Francesco in Iraq, ha raccontato il suo viaggio tra quelle terre martoriate dalla furia islamista. Il cardinale non ha solo ripetuto quel che va dicendo da tempo, e cioè che la popolazione yazida e cristiana è allo stremo e che la prova che essa sta sopportando è titanica, ma ha anche aggiunto un’annotazione personale interessante: «A me ha fatto molto bene questa missione». Perché, accanto alla sofferenza e alla tribolazione («soprattutto in quelle famiglie dove ci sono tanti bambini»), il cardinale non ha potuto fare a meno di registrare la grande testimonianza che, a lui in prima persona e a noi tutti, queste persone stanno dando.

«NOI SIAMO VENUTI DOPO». In primo luogo – e non è un elemento da sottovalutare – da parte delle autorità civili: «Dovunque sono andato», ha raccontato, «le autorità civili — sia quelle dell’Iraq, il presidente della Repubblica, sia quelle del Kurdistan iracheno, il presidente e il primo ministro — hanno assicurato la loro vicinanza, la loro solidarietà, il loro aiuto. Soprattutto mi hanno detto di essere totalmente impegnati nella difesa dei cristiani: vogliamo che ritornino, perché sono parte integrante del mosaico della nostra terra e hanno un diritto nativo di stare qui in mezzo a noi. E hanno riconosciuto: noi siamo venuti dopo». Queste parole hanno confortato Filoni che, pragmaticamente, si aspetta che a quelle promesse seguano i fatti.

FEDELE AL PROPRIO CREDO. In secondo luogo, Filoni ha descritto l’incontro con le comunità degli sfollati «Ho trovato delle comunità molto belle, che danno veramente una testimonianza di fede straordinaria». Perché questa gente ha perso tutto, pur di non perdere la fede. «Davanti a situazioni in cui sarebbe stato facile ingannare chi chiedeva di rinnegare la fede, pur di rimanere nella propria terra, oppure accettare piccoli compromessi e cedimenti con i jihadisti o con altri, questa gente ha scelto di rimanere fedele al proprio credo. Ha preferito abbandonare tutto, perdere tutto, anziché la fede e la tradizione religiosa che custodiscono da millenni».

SIAMO TUTTI NAZARENI. Per questo, noi, così lontani e distratti rispetto alla loro tragedia, cosa possiamo fare? Filoni ha detto che «questa gente ha bisogno di sentire la nostra solidarietà, fatta non solamente di parole, oppure di aiuto attraverso offerte di tipo economico. Una solidarietà che dev’essere prima di tutto ecclesiale: i loro problemi non sono una questione di persone lontane che alla fine non ci toccano, non ci riguardano. Il loro desiderio è che noi ci facciamo carico di un affetto, di una vicinanza, di un aiuto, di un sostegno che vada al di là delle questioni materiali e al di là delle parole stesse. Questo è un compito che come Chiesa dobbiamo assumerci. Sono fratelli e sorelle dispersi qua e là, piccole comunità, ma posso testimoniare che sono ricchissimi di fede, di tradizione, di amore straordinario al Papa e ai propri vescovi». Questi nostri fratelli ci testimoniano che siamo tutti nazareni. Ce lo dicono al prezzo della loro vita. A noi il compito di immedesimarci nel loro coraggioso sacrificio o, almeno, di esserne consapevoli. (eb)


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07/09/2014 23:36
 
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Anche in Nigeria perseguitano i “nazareni”. «Boko Haram è come l’IS. Sta accadendo quel che è successo in Iraq»





«Niente è stato fatto a caso. Si è trattato di un’attività preparatoria che è durata a lungo, per passare poi alla presa e al controllo del territorio». Dopo cacciato i cristiani imporranno il Califfato




nigeria-chiesa di Santo Stefano, ZariaMentre l’opinione pubblica occidentale è concentrata su quanto avviene in Ucraina e Medio Oriente, vi è un paese africano dove la situazione sociale e politica si fa di giorno in giorno sempre più drammatica: la Nigeria, sferzata dagli attacchi terroristici del gruppo fondamentalista islamico Boko Haram. Quel che più preoccupa è che i jihadisti – che hanno già proclamato il Califfato – sembrano adottare una strategia simili a quello dello Stato islamico in Siria e Iraq. Lo ha detto ieri all’agenzia Fides padre Patrick Tor Alumuku, direttore delle Comunicazioni dell’arcidiocesi di Abuja: «Come i guerriglieri dello Stato Islamico in Iraq, Boko Haram ha iniziato da almeno due anni a minare il morale della popolazione e dei militari con una serie di attentati sempre più spettacolari, per poi sferrare l’attacco volto alla conquista territoriale».



LE ULTIME CONQUISTE. Le ultime notizie di cronaca ci raccontano della conquista da parte dei jihadisti di un’altra città nel nord-est del Paese, Banki, nello Stato di Yobe. Andrew Noakes, coordinatore della rete nigeriana degli analisti per la sicurezza, ha detto che «se Borno cade nelle mani di Boko Haram ci dovremo aspettare che accada anche per parte dei vicini Stati di Yobe e Adamawa. Anche zone del Camerun lungo la frontiera probabilmente saranno invase». Lunedì scorso, Boko Haram ha conquistato Bama, cittadina a settanta chilometri da Maiduguri, e poi ha costretto ventiseimila persone ad abbandonarla.


nigeria-cartina«NIENTE E’ FATTO A CASO». Sempre nell’intervista a Fides, padre Tor Alumuku ha però inviato a guardare con maggior attenzione alla strategia messa in campo in questi anni dai jihadisti. «Hanno iniziato ad attaccare le scuole, con la scusa che non vogliono l’educazione occidentale, poi hanno colpito le stazioni della polizia, in seguito hanno alzato il tiro colpendo le caserme dell’esercito. Boko Haram ha quindi preso di mira gli uffici governativi, da un Comune all’altro. Nel frattempo seminava il panico mettendo bombe nei mercati. Niente è stato fatto a caso. Si è trattato di un’attività preparatoria che è durata a lungo, per passare poi alla presa e al controllo del territorio. Mi sembra molto simile a quello che è successo in Iraq».


COME LO STATO ISLAMICO. «Gli assalti alle chiese e ai cristiani – ha aggiunto – rientravano quindi in questa strategia più ampia volta alla conquista del territorio, “liberato” dalla presenza dei cristiani, proprio come è avvenuto in Iraq». La strategia sembra quindi quella dell’Is: costituire sul territorio nigeriano uno Stato islamico che faccia da base di conquista per i territori vicini. «La Nigeria – ha concluso padre Tor Alumuku - è un obiettivo fondamentale, perché è uno dei Paesi con il più alto numero di musulmani al mondo. Su 170 milioni di abitanti, quasi la metà è musulmana. Gli estremisti sperano di trovare una base forte dalla quale lanciare l’attacco ad altri Paesi africani».



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05/10/2014 14:20
 
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Non solo nei film

Il Messico si conferma per il sesto anno consecutivo come il paese più pericoloso dell’America Latina per i religiosi.




di ALVER METALLI

L’ultimo sacerdote è stato assassinato pochi giorni fa; il corpo galleggiava in un fiume dello stato di Guerrero e presentava segni di tortura. Aveva appena 37 anni, svolgeva la sua attività pastorale nella diocesi di Ciudad Altamirano, in una delle aree più violente del Messico. Il precedente omicidio di un membro del clero messicano risale al mese di febbraio, nella località di Jilotepec, nello stato del Messico, mentre nel mese di novembre dello scorso anno sono stati assassinati due sacerdoti nello stato di Veracruz. In luglio del 2013 è stato ucciso a bastonate un altro prete nello stato di Bassa California, e sempre a colpi di bastone, a febbraio, un altro sacerdote della parrocchia di Cristo Rey, nello stato di Colima, e così via a ritroso fin al 1990, anno dell’assassinio del cardinale Posada Ocampo, per un totale di 28 sacerdoti, tre religiosi, un diacono e quattro sacrestani uccisi, registra con puntiglio l’agenzia cattolica SIAME appartenente alla diocesi di Città del Messico. 

E proprio il Messico si conferma ancora una volta come il paese più pericoloso in America Latina per chi indossa una tonaca. Lo ribadisce l’unità investigativa del Centro Cattolico Multimediale con sede nella capitale, un osservatorio che punta le antenne sulla condizione del clero messicano e le difficili condizioni in cui vive. 

Negli ultimi sei anni, fanno notare, i preti assassinati sono stati 6, a cui vanno aggiunti altri tre che risultano scomparsi e della cui sorte non si sa ancora nulla.

Un sessennio nero caratterizzato “dall’inerzia delle autorità e dalla mancanza di protezione dei diritti umani dei religiosi” denuncia l’organismo cattolico, “anzi, una situazione di inazione che si consolida con l’attuale governo” del presidente Peña Nieto incrementandosi di un 80 per cento rispetto allo stesso arco di tempo del governo del predecessore, Felipe Calderón.

 Un “odio” quello contro i preti che non è solo di narcos e trafficanti di vario genere. Il rapporto fa notare che alla prepotenza dei gruppi criminali si aggiunge anche quella “di piccoli settori della società che approfittano della violenza e si mostrano insolenti contro i religiosi in località come Chiapas, Tabasco, Distretto federale, Puebla, Tlaxcala, Hidalgo, Stato del México, Jalisco, Nayarit, Veracruz, San Luis Potosí, Colima, Culiacán, Tabasco, Michoacán, Acapulco e Tamaulipas”.

 Anche le ragioni degli attentati mortali a sacerdoti e religiosi, a cui si devono aggiungere centinaia di atti d’intimidazione che solo in piccola parte arrivano alla notorietà, sono denunciate a chiare lettere dalla Chiesa messicana: “cercano di limitare le attività della pastorale cattolica in campo sanitario ed educativo, e soprattutto impedire l’azione assistenziale- aiuto, rifugio, consolazione – a favore dei diritti umani dei migranti che transitano in territorio messicano”.

Terre d'America


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07/10/2014 21:44
 
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Aggressione alle Sentinelle in piedi





 Luigi Negri





«I margini di libertà sono in progressiva riduzione nel nostro Paese, contrariamente al dettato costituzionale che mette la libertà personale e sociale a fondamento dell’intero ordinamento democratico»



Luigi-NegriIn ordine alle manifestazioni del 5 ottobre che in molte città italiane hanno visto le Sentinelle in piedi essere fatte oggetto di attacchi e di percosse mentre manifestavano silenziosamente e dignitosamente per il grande valore della vita e della libertà umana, l’Arcivescovo di Ferrara – Comacchio S. E. Mons. Luigi Negri ha fatto la seguente dichiarazione:



«È una vicenda triste ma largamente anticipata. Per oltre cinquant’anni questi facinorosi, che percuotono gli altri accusandoli di essere fascisti, me li sono visti davanti in tutti gli ambiti in cui la vita professionale e pastorale mi ha posto, soprattutto le scuole e le università, dove ho tentato – credo in modo positivo – di aiutare migliaia di giovani a recuperare la propria identità cattolica e a vivere una presenza cristiana nell’ambiente animata dalla verità della fede e da una grande capacità di carità e di incontro con gli uomini.
Mi sono sempre riconosciuto nel brano della Centesimus Annus in cui San Giovanni Paolo II afferma che quando la Chiesa lavora per la libertà non lo fa solo per se stessa ma per tutti gli uomini, i popoli e le nazioni. Questi margini di libertà sono evidentemente in progressiva riduzione nel nostro Paese, contrariamente al dettato costituzionale che mette la libertà personale e sociale a fondamento dell’intero ordinamento democratico.
Molti, a partire dalle Istituzioni, devono riflettere su questo degrado che oggi vede una sempre maggiore difficoltà della libertà ad essere praticata sull’intero territorio nazionale. E lo stesso devono fare certi organi di stampa, perché questa notizia è stata evidentemente e volutamente eliminata da molti. Quella stessa stampa che ci satura di informazioni sulle partite di calcio e di dettagli sulle effusioni dei personaggi dello spettacolo e della politica.
L’Arcivescovo ritiene che il popolo cattolico debba restare saldo nella sua adesione ai principi della dottrina sociale della Chiesa e disponibile ad una presenza nella vita della società che dimostri come l’amore alla propria libertà può divenire lavoro, fatica e sofferenza affinché questa stessa libertà non venga tolta o ridotta a nessuno.
Chi, nel mondo cattolico, sta lavorando ad una progressiva riduzione dell’esperienza cristiana a spiritualismo soggettivista e privato, eliminando ogni tensione alla presenza dei cattolici nella vita culturale e sociale, forse dovrebbe sapere che sta assumendosi una gravissima responsabilità di collusione nei confronti di questa situazione. Si tratta di una responsabilità che ciascuno porterà davanti alla propria coscienza e davanti al Signore Gesù Cristo».


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05/11/2014 21:46
 
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Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo: i cristiani sono il gruppo maggiormente perseguitato





Dei 196 paesi analizzati, in ben 116 si registra un preoccupante disprezzo per la libertà religiosa. Paul Bhatti: «Libertà religiosa è condizione imprescindibile di ogni società libera e giusta»




 



cartina liberta religiosaTratto da Acs – Il rispetto della libertà religiosa nel mondo continua a diminuire. È quanto emerge dalla XII edizione del Rapporto sulla Libertà Religiosa nel Mondo della Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre. Il rapporto, nato nel 1999, fotografa il grado di rispetto della libertà religiosa in 196 paesi, analizzando le violazioni subite dai fedeli di ogni credo e non solo dai cristiani. «La libertà religiosa è per sua stessa natura un diritto da garantire a chiunque – scrive nella prefazione del volume Paul Bhatti, già ministro federale pachistano per l’Armonia nazionale e gli affari delle minoranze e fratello del compianto Shahbaz Bhatti, ministro per le minoranze ucciso nel 2011 – e, considerata la situazione di moltissimi gruppi religiosi, il Rapporto ci obbliga a guardare con nuovi occhi a questo diritto fondamentale, che è condizione imprescindibile di ogni società libera e giusta».


I cristiani si confermano ancora una volta il gruppo religioso maggiormente perseguitato. Minoranza oppressa in numerosi paesi, molte delle terre in cui i cristiani abitano da secoli, se non da millenni, sono oggi sconvolte dal terrorismo.


rapporto-acs-2014Redatto da giornalisti, esperti e studiosi, il rapporto prende in esame il periodo compreso tra l’ottobre 2012 e il giugno 2014. Dei 196 paesi analizzati, in ben 116 si registra un preoccupante disprezzo per la libertà religiosa, ovvero quasi il 60%. Nel periodo in esame sono stati rilevati cambiamenti in 61 paesi, ed è interessante notare come soltanto in sei di questi – Cuba, Emirati Arabi Uniti, Iran, Qatar, Taiwan e Zimbabwe – tali trasformazioni hanno coinciso con un miglioramento della situazione. Peraltro, ad eccezione di Taiwan e Zimbabwe, anche in queste nazioni si riscontrano limitazioni elevate o medie alla libertà religiosa. Inoltre spesso i miglioramenti sono il frutto di iniziative locali, più che segnali di un progresso nazionale.
Schede paese e approfondimenti sono disponibili in italiano su questo sito internet, oppure scaricando la nuova app ACS per smartphone (disponibile per apple e android), e in varie lingue sul sito religion-freedom-report.org.

Quest’anno il Rapporto si accompagna al Focus sulla Libertà Religiosa, una pubblicazione di 32 pagine che, oltre ad una panoramica generale sui dati emersi dall’analisi, contiene una graduatoria che suddivide i paesi in quattro categorie in base al grado di violazione della libertà religiosa: elevatomediopreoccupantelieve. La classifica è ovviamente indicativa, i fattori che condizionano la libertà religiosa sono altamente variabili e poco si prestano ad una valutazione oggettiva. La classifica è stata realizzata prendendo in considerazione gli episodi di violenza a sfondo religioso e indicatori diversi quali il diritto alla conversione, a praticare la fede, a costruire luoghi di culto e a ricevere un’istruzione religiosa.
In 14 dei 20 paesi dove si registra un elevato grado di violazione della libertà religiosa, la persecuzione dei credenti è legata all’estremismo islamico: Afghanistan, Arabia Saudita, Egitto, Iran, Iraq, Libia, Maldive, Nigeria, Pakistan, Repubblica Centrafricana, Somalia, Sudan, Siria e Yemen.

acs-nel-mondoNegli altri sei paesi, l’elevato grado di violazione della libertà religiosa è legato all’azione di regimi autoritari quali quelli di Azerbaigian, Birmania, Cina, Corea del Nord, Eritrea e Uzbekistan.
Le violenze a sfondo religioso – che contribuiscono in modo determinante al costante aumento dei flussi migratori – sono legate al regresso della tolleranza e del pluralismo religioso. Il progressivo distacco dal pluralismo religioso è chiaramente documentato nel Rapporto. In varie nazioni del Medio e dell’Estremo Oriente inizia ad appalesarsi il cosiddetto fenomeno degli stati mono-confessionali, in cui il gruppo religioso dominante cerca di prevaricare sulle minoranze, imponendo la sharia o approvando normative quali la legge anti-blasfemia. La recente affermazione dello Stato Islamico in Iraq è un chiaro esempio di tale fenomeno.
Il volume rileva inoltre altre tendenze preoccupanti, quali l’aumento dell’intolleranza religiosa e dell’ ”ateismo aggressivo” in Europa Occidentale; il crescente analfabetismo religioso delle classi politiche occidentali; il numero allarmante di episodi anti-semiti nel Vecchio Continente.

Ulteriore novità dell’edizione 2014 sono le analisi continentali di studiosi ed esperti: sulla situazione della libertà religiosa in AFRICAAMERICA DEL NORDAMERICA LATINAASIAEUROPA OCCIDENTALEMEDIO ORIENTERUSSIA E ASIA CENTRALE. Tutte le analisi sono disponibili online.
L’Asia si conferma il continente dove la libertà religiosa è maggiormente violata. Nei paesi in cui vi è una religione di maggioranza si riscontra un incremento del fondamentalismo non soltanto islamico, ma anche indù e buddista. Analizzando la situazione del Medio Oriente si nota come i paesi in cui la libertà religiosa è negata offrono un terreno fertile all’estremismo e al terrorismo. Se in Russia il crescente numero di immigrati musulmani comporta il rischio di una radicalizzazione della presenza islamica, nei paesi dell’Asia Centrale, il timore di rivolte sulla falsa riga delle primavere arabe, ha provocato un inasprimento delle restrizioni imposte ai gruppi religiosi.

In Africa, la tendenza più preoccupante degli ultimi due anni è senza dubbio la crescita del fondamentalismo islamico – sotto l’impulso di gruppi come Al Qaeda nel Maghreb islamico, Boko Haram e al Shabaab – e si riscontra un aumento di casi di intolleranza religiosa in Egitto, Libia e Sudan. Non mancano tuttavia esempi di dialogo e cooperazione religiosa in Camerun, Nigeria, Centrafrica, Uganda, Zambia, Sudafrica e Kenya.
In Europa Occidentale si registrano minacce sia alla libertà religiosa che alla libertà di coscienza. In numerosi paesi vi è inoltre una tendenza laicizzante che cerca di escludere la religione dalla vita pubblica. Anche in America del Nord si riscontrano casi relativi all’obiezione di coscienza.
In America Latina gli ostacoli alla libertà religiosa sono quasi sempre causati dalle politiche di regimi apertamente laicisti o atei, come quelli di Venezuela ed Ecuador, che limitano la libertà di tutti i gruppi religiosi, senza alcuna distinzione di credo



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07/11/2014 13:25
 
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A distanza di più di 20 giorni dall’aggressione a due sacerdoti e ad una religiosa, avvenuta il 12 e il 13 ottobre a Lodja, nella Provincia del Kasai orientale della Repubblica Democratico del Congo, le indagini non hanno fatto alcun progresso. Lo ha denunciato la “Nuova Società Civile del Congo” (NSCC) nel corso di una conferenza stampa tenuta a Kinshasa, di cui è pervenuta notizia all’Agenzia Fides. “Siamo preoccupati per l’aggressione a preti e religiose a Lodja. Vediamo che la libertà di espressione è minacciata dall’intolleranza politica nel nostro Paese” ha affermato il coordinatore nazionale della NSCC, Jonas Tshombela.
I due sacerdoti avevano appena letto durante la Messa il Messaggio con il quale i Vescovi congolesi si dichiaravano contrari alla riforma della Costituzione per permettere al presidente Joseph Kabila di concorrere alle elezioni per ottenere un terzo mandato. In seguito alcuni ragazzi hanno assalito il convento delle suore francescane. Una suora era stata aggredita.
Jonas Tshombela ha denunciato l’impunità di chi ha commesso il crimine contro i religiosi: “deploriamo la Repubblica dell’impunità. (…). Questi giovani, chiaramente strumentalizzati, con quale diritto si sono permessi di toccare una religiosa, denudarla, infierire su di lei? È intollerabile. Chiediamo l’apertura di un’inchiesta e che i responsabili siano portati di fronte alla giustizia”.
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30/11/2014 22:22
 
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Cristiani d'Iraq, perseguitati
Non solo cacciati dalle proprie case, ma pure costretti a cederle a prezzi stracciati, come capitò agli ebrei in Germania alla vigilia della seconda guerra mondiale. «I cristiani iracheni in fuga, nella speranza di un visto per l'Europa, vendono le loro case nella piana di Ninive occupata dallo Stato islamico - rivela padre Zoher Naser ad Erbil, capitale del Kurdistan -.

Casa cristiana saccheggiata nella cittadina fantasma di Telleskef a 30 chilometri da Mosul prima occupata dall'Isis e poi dai curdi

Agenzie immobiliari senza scrupoli offrono cifre 3 o 4 volte inferiori al valore dell'immobile.

Si approfittano della tragedia». La secca denuncia della speculazione sulla pelle dei rifugiati arriva, in perfetto italiano, da un religioso costretto a fuggire con il suo gregge da Qarakosh, davanti all'avanzata del Califfo. «È una specie di indiretta pulizia demografica per cancellare la nostra presenza millenaria - spiega il prete rogazionista -. Una famiglia cristiana media nella piana di Ninive possedeva casa e terreno per un valore di 200mila euro. Adesso è costretta a cederli per 50mila ad agenzie che comprano in massa. E non sappiamo chi ci sia dietro».

Solo la Francia sta concedendo un po' di visti ai cristiani in fuga. Chi vende la casa a prezzo stracciato e ha qualche soldo da parte cerca di «comprare» un visto legalmente come quello spagnolo. Tanti scelgono la via più breve ed incerta. Patrick Enwyia è un volontario dell'organizzazione americana «Save Iraqi Christian», responsabile di uno dei centri «abitativi», simili a grandi loculi, dove sono ammassati i rifugiati in Kurdistan. «Intere famiglie cristiane esasperate stanno scegliendo la via dell'ingresso clandestino in Europa pagando anche diecimila dollari ai trafficanti di uomini», rivela il giovane.

 

 

La lista delle nefandezze sulla pelle dei cristiani è lunga. «Un'ambulanza per i nostri confratelli è ferma da tempo al confine turco. Sabato scorso hanno bloccato mezza tonnellata di medicinali e attrezzature della Lega biblica libanese all'aeroporto di Erbil», sottolinea padre Naser. I curdi vogliono che gli aiuti umanitari passino attraverso le loro maglie «beneficiando chi preferiscono. Ed i medicinali per i cristiani potrebbero finire venduti sottobanco» rincara la dose il rogazionista.

Per non parlare della sorte dei villaggi cristiani sul fronte. Telleskef, ad una trentina di chilometri da Mosul, ospitava 1500 famiglie. Per quasi un mese è stato occupato dallo Stato islamico che ha portato via tutto il bestiame. Poi sono arrivati i combattenti curdi e molti denunciano che è pure peggio. «Il Califfato aveva rubato in qualche casa. I peshmerga le hanno saccheggiate tutte», protesta Rustam Shamoon Sheya, un ingegnere che ha una villa a Telleskef. Testimoni oculari li hanno visti andarsene con il bottino. «I terroristi si sono portati via il televisore al plasma, ma i curdi hanno depredato sette volte casa mia», denuncia il poveretto.

Dopo l'intervento del patriarca il presidente del Kurdistan, Massoud Barzani, ha ordinato ai suoi di «proteggere i cristiani come fratelli». Nelle strade desolate del villaggio fantasma si incontra qualche sfollato che recupera sedie, tavoli e un frigorifero con un'immaginetta di Cristo scampati alle razzie. In una zona di casette a schiera le macerie testimoniano le ferite della guerra, ma non mancano cancelli divelti di abitazioni saccheggiate con la croce sulla porta. All'interno, la razzia ha buttato tutto all'aria. Un rosario appeso al muro sovrasta il caos dell'armadio svuotato alla rinfusa per cercare qualcosa di valore. A casa dell'ingegnere hanno spezzato in due un crocefisso ed i cristiani in fuga si sono lasciati alle spalle pure le ciabatte sulle scale.

«Ogni volta che torniamo a casa per prendere qualcosa notiamo nuovi furti - spiega l'ingegnere -. Le autorità ammettono che ci sono mele marce fra i peshmerga, che non controllano».

www.gliocchidellaguerra.it


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29/12/2014 12:19
 
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Boko Haram Article Albert Gonzalez Farran UNAMIDAnche Gesù è nato tra violenze e persecuzioni





 






di Giorgio Bernardelli

Ci sono cristiani perseguitati che non si guadagnano nemmeno un titolo su un giornale: sono troppe oggi le crisi, non si riesce a stare dietro a tutte le stazioni di questa Via Crucis. Così in pochissimi sanno che anche l’Estremo Nord del Camerun, la striscia di terra che si insinua tra la Nigeria e il Ciad, quest’anno ha vissuto un Natale di tensione con migliaia di profughi. Sono le popolazioni fuggite dalla Nigeria dei Boko Haram, il movimento fondamentalista islamico che con gli attentati alle chiese e le altre scorribande semina il terrore ormai anche nei Paesi vicini.

Proprio in questa zona svolgevano il loro ministero don Giampaolo Marta e don Gianantonio Allegri, i due missionari fidei donum vicentini rapiti e poi rilasciati nella primavera scorsa insieme a suor Gilberte Bussier, una religiosa canadese. Dopo quella vicenda molti altri missionari sono stati costretti ad abbandonare l’area. Tra i pochi che invece restano c’è un missionario brianzolo del Pime,fratel Fabio Mussi; lui resta perché attraverso la Caritas della diocesi di Yagoua ha il compito di prendersi cura proprio dei profughi in arrivo dalla Nigeria. Sono ben dodicimila quelli cui la Chiesa locale offre assistenza alimentare - grazie anche a un progetto d’emergenza lanciato dal Pime (www.pimemilano.com). Ed è sempre la diocesi che - per i più piccoli - cerca di combattere la battaglia più dura: quella sulla scuola. Perché Boko Haram (che letteralmente significa «il libro è peccato») ha messo innanzi tutto la scuola nel mirino: solo quelle coraniche sono ammesse nella sua ideologia fanatica. Per cui restare a Yagoua oggi significa anche darsi da fare per cercare di mantenere aperte le scuole. Una sfida tutt’altro che facile.

«Tutte le scuole di Fotokol, Bodo, Bargaram e Hile Alifa - che fanno parte della zona di confine piùsoggette agli attacchi e bombardamenti di Boko Haram - sono state chiuse per ordine delle autorità civili e militari»,  racconta nella sua ultima lettera il missionario del Pime. «Anche se l'esercito camerunese sta cercando di tenere la situazione sotto controllo, gli assalti e i bombardamenti continuano. Come potete capire, non ci sono ancora le condizioni per aprire la nostra scuola elementare a Fotokol. Ma il nostro impegno di aiutare le persone che fuggono dalle violenze è sempre attivo e si continua ad intervenire nonostante tutto».

Quale Natale, allora, in un contesto come questo? «Qualche giorno fa», scrive Fabio Mussi, «un amicomusulmano mi raccontava quanto gli dispiacesse che la prossima festa di Natale non sarebbe stata così serena e sicura per i cristiani in Camerun, Nigeria e Centro Africa. È vero che questo Natale è forse il primo vissuto in un clima di paura e diffidenza nella regione dell'Estremo Nord del Camerun. Paura per i possibili attentati alle chiese, come purtroppo accade spesso in Nigeria, e diffidenza irrazionale verso i musulmani, per la sola ragione di essere della stessa fede degli estremisti di Boko Haram. Se per la terra camerunese la precarietà sociale è una novità, vi sono molte altre regioni del mondo in cui la situazione di guerra e d'insicurezza è ben più pesante».

Eppure gli occhi della fede aiutano a guardare più in profondità anche dentro questa tragedia. «Apensarci bene», continua nella sua lettera il missionario del Pime, «anche nel primo Natale di 2014 anni fa l'insicurezza è stata un elemento essenziale di quanto avvenuto. Anche se ora ce ne siamo dimenticati, e ricordiamo e festeggiamo solo la gioia per la nascita di Gesù. Maria e Giuseppe, si sono trovati in una cittadina lontana dal proprio ambiente, e senza casa né parenti stretti su cui appoggiarsi, proprio nel momento di maggior bisogno. Tuttavia il loro senso pratico e il loro amore per la creatura che stava per nascere, li ha spinti a non scoraggiarsi, ma a cercare altre alternative disponibili. Hanno trovato un riparo di fortuna, come fanno attualmente tanti altri profughi e sfollati».

«Quest'anno», conclude l’ultimo missionario italiano rimasto nell’Estremo Nord del Camerun, «anchenoi cercheremo di vivere il Natale nella serenità e nella gioia di una salvezza che ci viene donata. Ma non potremo tralasciare l'esperienza dell'insicurezza e della violenza subita che accompagna oggi questo avvenimento. È quanto ci auguriamo di imparare dal Natale».

QUI L'ORIGINALE

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16/01/2015 18:49
 
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I PIU' PERSEGUITATI SONO I CRISTIANI

Ancora una volta viene confermato il fatto che i cristiani appartengono ad uno dei gruppi più perseguitati al mondo.

A dimostrarlo è stato l’ultimo rapporto di Open Doors(https://www.opendoorsusa.org/christian-persecution/world-watch-list/), una organizzazione americana che da oltre 60 anni è attiva nella difesa dei cristiani perseguitati in tutto il mondo.

In Italia, la notizia è stata ripresa e diffusa da Il Timone e da Vatican Insider. Secondo Open Doors, sono circa cento milioni i cristiani perseguitati in tutto il mondo.

Senza sorpresa, “il fondamentalismo islamico è la fonte primaria di persecuzione in quaranta dei cinquanta paesi compresi nella lista” di Open Doors.

E questa situazione tende a peggiorare perché “mentre il 2014 sarà ricordato nella storia per aver avuto il più alto livello di persecuzione dei cristiani nell’era moderna,le condizioni attuali suggeriscono che il peggio deve ancora venire».

 

 

 

La situazione è particolarmente grave in Nigeria. Proprio nei giorni dei ripugnanti e abominevoli attentati di Parigi, il gruppo islamista Boko Haram provocava una nuova disgrazia nel paese, sterminando una popolazione di circa 2.000 persone. Questo stesso gruppo aveva già proclamato un “califfato islamico” lo scorso agosto nella città di Gwoza.

Secondo quanto riporta Citizen Go, dall'ufficio dei diritti umani di Ginevra è stata mostrata solidarietà e il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha affermato che l'ONU è disponibile a intervenire.

Se è vero, cosa aspetta la comunità internazionale per intervenire? O ancora una volta, saranno soltanto parole?

Così come i cristiani sono perseguitati in tanti paesi del mondo, in Italia una profanazione ripugnante e indegna è avvenuta a Perugia, dove una statua della Madonna è stata distrutta e presa a calci da un gruppo di vandali, che avrebbero anche orinato sopra l'immagine sacra.

Secondo quanto riporta Il Giornale, un uomo stava pregando davanti alla Madonnina di via Tilli, a Perugia, inginocchiato con la fotografia di una persona cara in mano, quando è stato aggredito da un gruppo di persone che lo hanno insultato e gli hanno strappato la foto dalle mani. Quindi si sono accaniti anche contro la statua della Vergine, scaraventandola a terra e spezzandola in due. In seguito, hanno aggravato l'oltraggio orinandoci sopra.

Venerdì, la statua è stata riparata e ricollocata nella sua posizione originaria e sul luogo della profanazione è stato recitato un Santo Rosario di riparazione.

 

 

 

L’Osservatorio sulla Cristianofobia proseguirà nell’impegno di denuncia di tutte le situazioni di violenza e di negazione della libertà religiosa ai cristiani di tutto il mondo! 
 

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10/06/2015 23:27
 
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il secolo dei martiri

di Luigi Negri

Considerazioni sul significato del martirio a partire dalle parole del Santo Padre Giovanni Paolo II.
Dal sangue dei martiri il seme per una nuova civilità a misura d' uomo e secondo il piano di Dio.


La commemorazione ecumenica dei testimoni della fede nel secolo XX che si è tenuta al Colosseo il 7 maggio del 2000 ha avuto il valore di un fatto di provocazione ed insieme di edificazione della nostra identità cristiana.
Di fronte a una Chiesa ed a cristiani che sono quotidianamente tentati di sostituire la testimonianza pubblica di affezione a Cristo di fronte al mondo, di cui il martirio è un esito possibile, con varie forme di disimpegno che vanno dallo spiritualismo al culturalismo a forme sempre più laiche di impegno sociale (posizioni tutte più o meno esplicitamente funzionali alle ideologie mondane) è stato ribadito che il cristiano è essenzialmente un testimone di Cristo di fronte al mondo.
L'incontro con Cristo e la fede in Lui costituiscono il cuore della creatura nuova, che vive nel mondo per annunziare a tutti gli uomini la novità che è accaduta: tale annuncio deve essere vissuto in qualsiasi circostanza e condizione, perchè costituisce l'unica possibilità di salvezza per gli uomini di ogni tempo, e quindi anche di questo nostro tempo.

1 La questione fondamentale è dunque che, rievocando la grandezza e la varietà delle forme che il martirio ha assunto in questo ultimo secolo, ciascuno di noi ritrovi l'identità profonda della propria esperienza di fede e l'energia per una testimonianza che deve investire la totalità delle dimensioni della persona e delle condizioni di vita anche sociali.
"Beati voi quando vi insulteranno e , i perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male a causa mia, rallegratevi ed esultate perchè grande è la vostra ricompensa nei cieli" (Mt 5, 11-12).
"Quanto si addicono queste parole di Cristo agli innumerevoli testimoni della fede del secolo passato, insultati e perseguitati, ma mai piegati dalla forza del male! Laddove l'odio sembrava inquinare tutta la vita senza la possibilità di sfuggire alla sua logica, essi hanno manifestato come l'amore sia più forte della morte".
La fede è solo ed integralmente questo amore personale a Gesù Cristo, a Colui che è morto e risorto per noi, Colui che solo conosce il nostro cuore e ci libera ogni giorno dal dominio del male e ci introduce e ci fa sperimentare una vita nuova. Il cristianesimo è l'avvenimento di una coscienza nuova e una possibilità di azione nuova nel mondo. Cristo è il senso profondo della vita che ci permette quindi di interpretare adeguatamente le domande e le circostanze della vita personale e sociale, nella varietà delle sue condizioni e talora nella contraddittorietà dei suoi condizionamenti. Ma l'amore a Cristo diventa capacità di condivisione incondizionata dei bisogni degli uomini, in quel sostanziale amore all'uomo ed al suo destino che è stato vissuto da innumerevoli martiri nelle condizioni più tremende di violenza e abiezione.

2 È questo il tesoro di testimonianza di eroismo che ci viene dalla memoria di questo multiforme martirio.
"All'interno di terribili sistemi oppressivi che sfigurano l'uomo, nei luoghi di dolore, fra privazioni durissime, lungo marce insensate, esposti al freddo, alla fame, torturati, sofferenti in tanti modi, essi hanno fatto risuonare alta la loro adesione a Cristo morto e risorto... tanti hanno rifiutato di piegarsi al culto degli idoli del ventesimo secolo, e sono stati sacrificati dal comunismo, dal nazismo, dall'idolatria dello Stato e della razza. Molti altri sono caduti nel corso di guerre etniche e tribale perchè avevano rifiutato una logica estranea al Vangelo di Cristo. Alcuni hanno conosciuto la morte, perchè, sul modello del Buon Pastore, hanno voluto restare con i loro fedeli, nonostante le minacce. In ogni continente e lungo l'intero Novecento, c'è stato chi ha preferito farsi uccidere, piuttosto che venir meno alla propria missione. Religiosi e religiose hanno vissuto la loro consacrazione fino alla effusione del sangue. Uomini e donne credenti sono morti offrendo la loro esistenza per amore dei fratelli, specie dei più poveri e deboli. Non poche donne hanno perso la vita per difendere la loro dignità e la loro purezza".
Questa testimonianza storica diviene esplicito giudizio sulla storia mondana e su tutti i tentativi che sono stati compiuti per estirpare Dio dal cuore dell'uomo e per creare una società che essendo senza Dio si pensava fosse più a misura dell'uomo e della sua libertà.
Non si può negare Dio, senza contemporaneamente negare l'uomo, la sua libertà personale, la sua dignità, la sua capacità di amare intensamente se stesso e gli altri uomini, di collaborare con essi a una società più umana. Il martirio ha rivelato in modo definitivo che non esiste una adeguata alternativa alla fede che non porti, poco o tanto, alla costruzione dell'Inferno su questa terra.
Ma il giudizio tocca la nostra vita di cristiani e smaschera i nostri tradimenti, innanzitutto intellettuali, e le nostre connivenze con la mentalità mondana e poi rivela anche tutta la nostra debolezza etica e tutta la nostra viltà.
Il presunto silenzio di Dio in una società come la nostra è solo il silenzio della testimonianza cristiana.
Nei martiri e nella loro testimonianza Dio ha gridato la sua presenza in tutte le situazioni, in tutti i dolori, in tutte le ingiustizie.
La testimonianza pubblica si è sempre rivelata come un seme di personalità nuova. E la personalità nuova è sempre all'origine, anche mentre muore, di una socialità nuova.

3 "Resti viva, nel secolo e nel millennio appena avviati, la memoria di questi nostri fratelli e sorelle. Anzi, cresca! Sia trasmessa di generazione in generazione, perchè da essa germini un profondo rinnovamento cristiano! Sia custodita come un tesoro di eccelso valore per i cristiani del nuovo millennio e costituisca il lievito per il raggiungimento della piena comunione di tutti i discepoli di Cristo! È con animo pieno di intima commozione che esprimo questo auspicio".
Così la memoria dei martiri diventa domanda per una nuova stagione di missione della Chiesa. Una nuova capacità di annuncio, una nuova disponibilità a vivere una compassione per l'uomo, per i dolori e le sofferenze da cui è afflitto in un momento così grave e tragico come quello in cui viviamo, perchè nasca nel cuore dei credenti e di tutti gli uomini di buona volontà una nuova speranza, una nuova certezza, radice di una nuova civiltà.
La nuova evangelizzazione di Giovanni Paolo II è l'orizzonte di un martirio amato e vissuto da tutto il popolo di Dio.



I CONTINENTI

Area geografica Nuovi martiri
Africa 746
Asia 1706
Europa 8670
Americhe 333
Oceania 126
Ex-Unione Sovietica 1111
totale 12692

Vescovi 126
Religiosi/e 4872
Sacerdoti 5343
Laici 2351
totale 12692
Casi di martiri accertati nel XX secolo dalla Commissione Nuovi Martiri.
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28/03/2016 20:40
 
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La Pasqua insanguinata dalla furia islamista.

L'orrore di Lahore, dove i talebani hanno fatto una strage al parco dei bambini, piomba sul Vaticano.

  

La maggior parte dei 72 morti sono cristiani. Sono stati ammazzati dal kamikaze islamico proprio per la loro fede in Gesù Cristo. Papa Francesco ha condannatol'"esecrabile attentato" che ieri ha insanguinato la Pasqua in Pakistan, facendo "strage di tante persone innocenti" e "della minoranza cristiana".

"La Santa Pasqua è stata insanguinata da un esecrabile attentato, che ieri, nel Pakistancentrale, ha fatto strage di tante persone innocenti". Al Regina Caeli, la preghiera che sostituisce l'Angelus per tutto il tempo pasquale, papa Francesco ha espresso la sua"vicinanza" ai colpiti "da questo crimine vile e insensato". Un crimine che in nome di Allahha spazzato via la vita di famiglie cristiane, soprattutto donne e bambini, "raccolte in un parco pubblico per trascorrere nella gioia la festività pasquale". Il Santo Padre ha, quindi, lanciato un appello ai leader di tutto il mondo perché "compiano ogni sforzo per ridare sicurezza e serenità alla popolazione e, in particolare, alle minoranze religiose più vulnerabili" e ha pregaro Dio affinché "si fermino le mani dei violenti, che seminano terrore e morte".

Ancora una volta Bergoglio ha ricordato che "la violenza e l'odio omicida conducono solamente al dolore e alla distruzione", mentre "il rispetto e la fraternità sono l'unica via per giungere alla pace""La Pasqua del Signore - ha concluso papa Francesco - susciti in noi, in modo ancora più forte, la preghiera a Dio affinché si fermino le mani dei violenti, che seminano terrore e morte, e nel mondo possano regnare l'amore, la giustizia e la riconciliazione""Preghiamo tutti per i morti di questo attentato, per i familiari, per le minoranze cristiane ed etniche di quella nazione", ha quindi aggiunto "a braccio" prima di recitare con i fedeli un'Ave Maria.


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02/04/2016 11:55
 
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 La domenica di Pasqua è stato un giorno che rimarrà segnato dal sangue degli innocenti. In Pakistan, il drammatico bilancio dell’attentato suicida avvenuto in un parco per bambini, nella città di Lahore, dove la minoranza cristiana celebrava il giorno di Pasqua, è stato di 72 morti, fra cui 29 bambini. Più di un centinaio sono stati i feriti.



L’attentato è stato rivendicato dai Talebani pachistani:

"Abbiamo commesso l'attentato perché i cristiani sono un nostro obiettivo, e faremo altri attentati di questo tipo in futuro" ha avvertito un sedicente portavoce del gruppo, Ehsanullah Ehsan, aggiungendo che altri possibili obiettivi saranno "le infrastrutture dello Stato e del governo, le scuole e le università".

Secondo l’ultima World Watch List, il rapporto annuale redatto dall’associazione Porte Aperte, la persecuzione dei cristiani a livello globale è in crescita. Oltre 7.100 persone sono state uccise a causa della fede negli ultimi 12 mesi e 2.400 chiese sono state attaccate. La principale causa della persecuzione è rappresentata dall’estremismo di matrice islamica.

Per questo, l’Osservatorio sulla Cristianofobia consegnerà nei prossimi giorni le firme alla petizione “Fermiamo la Cristianofobia” al Presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, per continuare a fare pressione sulle Istituzioni europee affinché assumano una posizione inequivocabile contro questo genocidio.

L’obiettivo che si era prefissato l’Osservatorio era quello di raccogliere entro Pasqua 10.000 firme e il traguardo è stato raggiunto. Sono infatti 10.582 le persone che hanno firmato la petizione “Fermiamo la Cristianofobia”Se non hai ancora firmato, lo potrai fare adesso, sarà la tua ultima opportunità per farlo!


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05/05/2016 09:02
 
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Cifre dal martirio: saliti a 7100 i cristiani uccisi
di Anna Bono
La bandiera rossa sopra la croce di una chiesa in Cina

Ogni anno migliaia di cristiani vengono uccisi per la loro fede e molti di più subiscono maltrattamenti, discriminazioni e abusi. Secondo Open Doors, l’organizzazione internazionale che da oltre mezzo secolo documenta le persecuzioni subite dai cristiani nel mondo, li soccorre con la preghiera e, se possibile, fornisce loro assistenza e aiuti materiali, nel 2015 i cristiani uccisi per la loro fede sono saliti a 7.100, contro i 4.344 del 2014, e oltre 2.400 chiese sono state attaccate, distrutte o gravemente danneggiate, più del doppio rispetto al 2014 quando gli attacchi erano stati 1.062. 

La più recente vittima cristiana di persecuzione è una donna, Ding Cuimei, morta sepolta viva mentre con il marito, il pastore non ufficiale Li Jiangong, cercava di impedire che la loro chiesa fosse demolita per ordine del governo. È successo il 14 aprile in Cina, a Zhumadian, nella provincia dell’Henan. Ding e Li si erano messi davanti alla chiesa per fermare le ruspe, ma i demolitori proprio con una ruspa li hanno spinti e fatti cadere in una buca e poi l’hanno riempita di terriccio. Il pastore Li è riuscito a liberarsi, ma non ha fatto in tempo a salvare la moglie che è morta soffocata. Dei testimoni sostengono di aver sentito un agente del governo gridare agli operai «seppelliteli, mi assumo io la responsabilità». 

Dal 2013, quando è stata lanciata la campagna “Tre rettifiche e una demolizione” contro edifici e croci cristiani, nella provincia meridionale del Zhejiang e in altre vicine, tra cui quella di Henan, sono già state distrutte almeno 1.700 croci e decine di chiese. Cadono le croci, “troppe”, abbattute per non “deturpare” il paesaggio, ma si moltiplicano i cristiani che ormai in Cina, raggiunti i 100 milioni, superano gli iscritti al Partito comunista che sono 85 milioni.  Sempre il 14 aprile a Pleiku, nel Vietnam centrale, Tran Thi Hông, moglie di un pastore mennonita in prigione dal 2011, è stata picchiata quasi a morte, presa a pugni e calci dalla polizia che voleva sapere di che cosa avesse parlato con i componenti di una delegazione Usa incontrata alcuni giorni prima. 

Priva di sensi, la poveretta è stata poi gettata per strada dagli agenti, davanti a casa sua dove alcuni vicini l’hanno soccorsa. Il marito, Nguyen Cong Chinh, è stato condannato a 11 anni di carcere con l’accusa ritenuta del tutto pretestuosa di essere un nemico dello stato e di aver attentato all’unità nazionale. Prima di essere arrestato aveva già subito la confisca delle sue proprietà e la sua casa di preghiera era stata distrutta. La delegazione Usa molto probabilmente si era informata sulle condizioni di salute e sul trattamento inflitto al pastore. La moglie, nonostante le percosse, non ha risposto alle domande degli agenti.

Pochi giorni prima che Ding venisse uccisa, una donna cristiana in Indonesia, nella provincia di Aceh, è stata condannata a 30 frustate, punizione che le è stata inflitta pubblicamente, alla presenza di circa 1.000 persone. La sua colpa è stata di aver infranto la legge islamica per aver venduto delle bevande alcoliche. Aceh è una provincia a statuto speciale situata nel nord di Sumatra. È l’unica regione dell’Indonesia in cui vige la shari’a, in seguito a un accordo tra il governo centrale e il Movimento per la liberazione di Aceh. Dal 2005 le pene per i trasgressori sono state inasprite, ma finora la legge islamica era stata applicata solo ai fedeli musulmani. 

Tuttavia, dal 2015 è entrata in vigore una norma in base alla quale anche l’operato dei non musulmani in certe situazioni può essere regolamentato. La commerciante cristiana è stata la prima a farne le spese. Nei giorni scorsi altre violenze hanno colpito dei cristiani in India, nello stato di Bihar. Il 5 aprile degli estremisti indu hanno catturato un predicatore nei pressi del villaggio di Budhani Chak e lo hanno torturato crudelmente per cinque ore. Poi gli hanno versato dell’alcol sulle ferite, lo hanno spogliato, lo hanno costretto a bere dell’urina. Infine hanno cercato di fargli insultare Dio infliggendogli delle sacriche elettriche e minacciando di gettarlo sotto un treno. L’uomo ha resistito, disposto a morire piuttosto che pronunciare bestemmie. 

Altri radicali indu il 10 aprile, a Nabinagar, hanno aggredito un pastore e dei fedeli, accusandoli di conversioni forzate, alla fine di un raduno di due giorni organizzato dalla comunità pentecostale Gospel Echoing Missionary Society. Nella classifica Open Doors 2016 dei 50 pPaesi in cui i cristiani sono più perseguitati, la Cina, 33a, e l’Indonesia, 43a, si collocano tra i Paesi in cui la persecuzione è moderata e occasionale. Il Vietnam, al 20° posto, e l’India, 17a, compaiono invece tra i 16 Stati in cui la persecuzione è definita grave. 

In cima alla classifica ci sono nove Paesi in cui la minaccia è tale da essere stata definita estrema. Tra questi figura, al 6° posto, il Pakistan, dove i cristiani hanno subito un attentato jihadista la sera di Pasqua, il 27 marzo, mentre in un parco di Lahore trascorrevano la giornata per la prima volta dichiarata festiva dal governo. È il paese di Asia Bibi, in carcere dal 2009, condannata a morte per blasfemia. La sentenza è stata sospesa lo scorso luglio. Ma l’odio nei suoi confronti, istigato dagli islamici fondamentalisti, è tale che una sentenza di proscioglimento ormai significherebbe per lei morte certa, a meno che potesse subito lasciare il Paese insieme al marito e ai figli. 


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28/07/2016 11:00
 
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SACERDOTI CATTOLICI UCCISI PER LA LORO FEDE
di Paolo Affatato


 Sacerdoti cattolici uccisi in un mondo sempre più cristianofobo: ecco l'escalation del martirio


Il missionario Jesus Reynaldo Roda, degli Oblati di Maria Immacolata, è stato freddato nella sua cappellina dell'isoletta di Tabawan (Filippine del Sud) mentre recitava il rosario. Andrea Santoro era assorto in preghiera nella chiesa di Trebisonda, in Turchia, quando è stato raggiunto da un colpo di pistola alla schiena. Francois Murad è stato ucciso a Gassanieh, nel nord della Siria, in un assalto dei militanti al convento dove risiedeva. E Thaier Saad Abdal, ucciso durante la messa domenicale in un attentato compiuto nella Cattedrale siro-cattolica di Bagdad, in Iraq, ha detto ai terroristi: “Uccidete me, non questa famiglia con bambini” facendo loro scudo col suo corpo.

Sono tante le storie di preti cattolici che, in ogni parte del mondo, hanno pagato con la vita la loro fedeltà al Vangelo. Storie di martirio del nostro tempo, perchè tutti sono stati colpiti mentre portavano avanti le consuete attività pastorali: erano impegnati nella liturgia, o camminando verso villaggi remoti, in aree rurali o montuose, solo per celebrare messa; stavano beneficiando i più poveri o coinvolti in opere di promozione sociale, di istruzione, di sviluppo.

Secondo il dati rilevati annualmente dall'agenzia vaticana Fides -  osservatorio che, nella Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, monitoria i missionari e gli operatori pastorali (sacerdoti, suore, laici) che hanno perso la vita in modo violento - gli ultimi decenni hanno registrato un'autentica escalation del martirio: a fronte dei 115 missionari uccisi nel decennio 1980-1989, il periodo 1990-2000 presenta un'impennata fino a 604 vittime (con il genocidio in Rwanda che contribuisce in modo decisivo), mentre negli ultimi 15 anni (2001-2015) il totale degli operatori pastorali uccisi è di 365. Le cifre sono relative a casi accertati, di cui si è verificata notizia. In molti casi le ragioni degli omicidi non sono chiare, in altri, spiega l'agenzia vaticana, sono “odio personale o tentativi di rapina”, mentre non mancano casi di violenza “in odium fidei”, come per Jaques Hamel, ucciso ieri a Rouen, in Francia, e per altri come lui, colpiti dentro le mura o sul sagrato delle chiese.

Considerando i dati dell'ultimo decennio, è alto il prezzo pagato in Medio Oriente: la tragica scomparsa di Andrea Santoro nel 2006 è stata preludio a quella del vescovo Luigi Padovese, Vicario apostolico dell'Anatolia e presidente della Conferenza episcopale turca, assassinato a coltellate dal suo autista nella sua abitazione a Iskenderun il 3 giugno 2010.

Nell'Iraq destabilizzato da due guerre, vittima dell'odio settario è stato Raghiid Ganni parroco nella Chiesa del Santo Spirito a Mosul, ucciso domenica 3 giugno 2007, sul sagrato della chiesa, dopo la celebrazione della Santa Messa, insieme con tre diaconi. Ganni è il primo sacerdote cattolico ucciso in Iraq. Dopo di lui Paulos Faraj Rahho, arcivescovo Caldeo di Mosul, è stato rapito all’uscita della chiesa il 29 febbraio 2008, dopo aver celebrato la Via crucis, e un mese dopo i rapitori hanno restituito il suo corpo senza vita. E nella lista dei martiri si ascrivono anche i giovani sacerdoti Wasim Sabieh e Thaier Saad Abdal, nemmeno trentenni, sono rimasti uccisi la sera del 31 ottobre 2010 nel grave attentato terroristico compiuto nella Cattedrale siro-cattolica di Bagdad che ha causato decine di morti e feriti fra i fedeli riuniti per la messa domenicale.

Anche la Siria, sconvolta da un conflitto che ha visto la proliferazione di formazioni jihadiste propagatrici di odio religioso come il “Daesh”, ha visto scorrere il sangue dei pastori cattolici: il gesuita olandese p. Frans van der Lugt, SJ, che viveva dal 1966 nella martoriata città di Homs, è stato sequestrato il 7 aprile 2014, da uomini armati, che lo hanno picchiato e poi ucciso con due pallottole alla testa. Van der Lugt aveva scelto di restare in città, sotto i bombardamenti, in un monastero nella città vecchia. Un anno prima, il 23 giugno 2013, il sacerdote siriano François Murad, è stato ucciso a Gassanieh nel convento della Custodia di Terra Santa dove aveva trovato rifugio, attaccato dai miliziani legati al gruppo jihadista Jabhat al-Nusra. Murad aveva fondato una nuova congregazione siro-cattolica ispirata alla spiritualità di San Simeone lo Stilita. Non si può dimenticare, poi, la figura del gesuita italiano Paolo dall'Oglio, fondatore della comunità monastica Mar Musa, in Siria: se ne sono perse le tracce nel 2013 e le speranze di ritrovarlo vivo si fanno sempre più flebili.

L'Africa racconta, tra le tante vittime, la morte di Christ Forman Wilibona, trucidato il 18 aprile 2014 a Bossangoa, in Repubblica Centrafricana: il sacerdote aveva appena terminato la messa crismale, poco prima di Pasqua, quando dei ribelli Seleka gli hanno sparato contro 12 pallottole. Nello stesso anno, l’assalto alla parrocchia “Nostra Signora di Fatima” nel centro di Bangui, capitale della nazione, dove si erano rifugiate numerosi fedeli in fuga dalle violenze, sono morte 18 persone e con loro il prete centrafricano Paul-Emile Nzale.

In Asia spicca la morte di Fausto Tentorio, missionario italiano del Pontificio Istituto Missioni Estere, parroco di Arakan Valley, sulla grande isola di Mindanao (Filippine), ucciso la mattina del 17 ottobre 2011. Appena uscito dalla chiesa, dopo la messa, è stato assalito da due uomini armati che gli hanno sparato a sangue freddo, alla testa e alla schiena. Nello stesso arcipelago delle Filippine, Jesus Reynaldo Roda, guidava una piccola stazione missionaria nelle isole Sulu, portando avanti l’attività pastorale per una trentina di fedeli: aveva già ricevuto minacce da parte di dissidenti islamici legati al gruppo Abu Sayyaf, ma aveva rifiutato la scorta. Nel 2008 ha subito l'attacco fatale.

Nell'India disseminata di violenze anticristiane, perpetrate spesso da gruppi estremisti indù, si ricorda Thomas Kochupuryil, rettore del Seminario maggiore a Bangalore, assassinato da ignoti nella notte del 1° aprile 2013 all'interno dei locali del Seminario. Il sacerdote è stato malmenato fino alla morte.

Tuttavia, come riferisce l'agenzia Fides, negli ultimi anni è l'America Latina a detenere il record numerico di preti assassinati, data l'estrema violenza di carattere sociale che si registra nella società delle nazioni sudamericane: tra i casi più eclatanti, quello di Luis Alfonso León Pereira, ucciso in sacrestia mentre si preparava a celebrare la Messa, la sera di mercoledì 15 luglio 2015 nella parrocchia di Santa Maria Madre della Chiesa, dnella città di Monterìa, in Colombia. Un uomo senza fissa dimora, entrato in parrocchia con l'intento di rubare, scoperto dal sacerdote, si è scagliato contro di lui con un moncone di bottiglia, ferendolo mortalmente al collo.

Nei paesi europei, invece, le ultime vittime sono Adolfo Enríquez, parroco di Vilanova dos Infantes, in Spagna, vittima di omicidio nel marzo 2015; e don Michele Di Stefano, 79 anni, della diocesi di Trapani, ucciso a colpi di bastone nel proprio letto, in canonica, nella notte tra il 25 e 26 febbraio 2013. L’assassino, suo parrocchiano, ha ucciso per rapina ed è stato condannato a trent'anni di reclusione. 


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30/12/2016 12:11
 
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Persecuzioni anticristiane nel mondo: 90 mila uccisi nel 2016



di Debora Donnini

UN BILANCIO AGGHIACCIANTE ANCHE PER IL 2016

La Chiesa festeggia ogni 26 dicembre, Santo Stefano, il primo martire. La persecuzione non è un fenomeno sporadico nella storia del cristianesimo ma ha segnato profondamente la vita dei cristiani fino ad oggi, in molti Paesi del mondo. Lo stesso Papa Francesco ha più volte ribadito che le violenze verso i cristiani sono più numerose oggi che nei primi tempi della Chiesa. A dare una stima per il 2016, è il prof. Massimo Introvigne, direttore del Cesnur, Centro Studi Nuove Religioni: si parla di circa 90 mila cristiani uccisi per la loro fede, cioè uno ogni sei minuti, e di un numero che va dai 500 ai 600 milioni di cristiani che non possono professarla in modo totalmente libero:

R. – L’autorevole Center for Study of Global Christianity il mese prossimo pubblicherà la sua statistica 2016, che parla di 90 mila cristiani uccisi per la loro fede, un morto ogni 6 minuti, un po’ diminuiti rispetto ai 105 mila di due anni fa. Di questi il 70 per cento, cioè 63 mila, sono stati uccisi in conflitti tribali in Africa. Il Centro americano li include nella statistica perché ritiene che in gran parte si tratti di cristiani che si rifiutano di prendere le armi per ragioni di coscienza. L’altro 30 per cento, cioè 27 mila, deriva invece da attentati terroristici, distruzione di villaggi cristiani, persecuzioni governative, come nel caso della Corea del Nord.

D. – Per quanto riguarda invece una stima dei cristiani perseguitati nel mondo, quanti sono all’incirca?

R.  – Mettendo insieme statistiche di almeno tre diversi centri di ricerca degli Stati Uniti e anche del mio, il Cesnur, e paragonandoli fra loro in 102 Paesi del mondo, le stime variano fra 500 e 600 milioni di cristiani che non possono professare la propria fede in modo totalmente libero. Senza voler dimenticare o sminuire le sofferenze dei membri di altre religioni, i cristiani sono il gruppo religioso più perseguitato del mondo. Qualcuno può rimanere perplesso di fronte alle statistiche perché da qualche parte il Center for Study of Global Christianity ci dà questa cifra di 90 mila mentre altri ci parlano di alcune migliaia, altri ancora di alcune centinaia. Quando le discrepanze sono così grandi, è chiaro che si stanno contando cose diverse. Chi conta le persone messe di fronte consapevolmente alla tragica scelta: “O rinneghi la tua fede o muori”, ne conta ogni anno alcune centinaia. Chi ha una nozione un più larga: non “candidati alla Beatificazione” ma persone che mettevano in conto che potevano essere uccisi compiendo certi gesti o pratiche di fede, parla di alcune migliaia. Se però si parla di persone che sono uccise in senso lato perché sono cristiane, allora arriviamo ai 90 mila cioè un morto ogni sei minuti.

D. – Non si può non ricordare quella che è appunto la brutale persecuzione verso cristiani, e non solo, perpetrata dal sedicente Stato islamico nei territori conquistati. Ci sono esempi di cristiani che hanno perso la vita pur di rimanere fedeli al Signore in questi territori?

R.  – Sì, nei territori del cosiddetto Stato islamico ci sono diversi casi, fra alcuni che la Chiesa sta studiando in vista di una possibile Beatificazione; ci sono cristiani che hanno scelto consapevolmente di rimanere in questi territori e di continuare, come potevano, a testimoniare la loro fede. Parlando dello Stato islamico non dobbiamo dimenticare che lo Stato islamico uccide anche molti musulmani e che nel 2016, secondo le nostre stime, il numero di cristiani uccisi per la loro fede e il numero di musulmani uccisi per la loro fede, se si eccettua l’Africa, ma parliamo degli altri Continenti, in particolare dell’Asia, è un numero molto simile. I musulmani in genere sono uccisi da altri musulmani: i musulmani sciiti sono uccisi da musulmani sunniti e questo è il caso più frequente. Qualche volta musulmani sunniti sono uccisi da musulmani sciiti, musulmani che non sono d’accordo con una certa declinazione dell’Islam sono uccisi da musulmani più estremisti, come nel caso dell’Is.

D. – Cosa la colpisce di più di questo fenomeno di persecuzione?

R.  – Due punti. Il primo è che un po’ in tutti i Paesi cresce l’intolleranza e l’intolleranza è l’anticamera della discriminazione che poi a sua volta è l’anticamera della persecuzione. E poi l’atteggiamento calmo, nobile, molte volte esemplare di minoranze cristiane sottoposte a ogni sorta di vessazione ma che solo in casi rarissimi hanno risposto alla violenza con la violenza, mentre nella maggior parte dei casi hanno testimoniato serenamente la loro fede, molto spesso perdonando i persecutori e pregando per loro.


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04/02/2017 21:42
 
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Nella laica Francia ogni giorno un attacco ai cristiani



prete arrestatoMentre il neopresidente Donald Trump sta varando alcune misure a sostegno della libertà di coscienza dei cristiani, all’estero le cose procedono diversamente.


In Francia permane una cultura dichiaratamente anticattolica, finanche contro il principio di laicità: che non significa assenza di valori, ma rispetto di quelli umani comuni, specie dei valori su cui l’Europa fu edificata dai suoi fondatori (De Gasperi, Spinelli, Monnet, Schuman, Bech, Adenauer, Spaak). In tale inquietante scenario -mentre riecheggiano le parole di Benedetto Croce “non possiamo non dirci cristiani“-, il Rapporto 2016 sulla libertà religiosa nel mondo, edito dalla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, ha rilevato che nei primi cinque mesi del 2016 gli atti di violenza o discriminazione contro i cristiani in Francia sono stati 233. In media, quindi, un attacco al giorno.


Ad essi andrebbero aggiunti casi di intolleranza culturale, come ad esempio quella dell’Assemblea nazionale francese che approva in prima lettura la norma che aggiunge agli «ostacoli all’interruzione di gravidanza» puniti dalla legge anche quello «digitale» (impedendo ai cristiani di difendere la vita online); un tribunale dell’Alta Savoia che impone al sindaco del Comune di Publier di rimuovere un monumento alla Vergine Maria installato in un parco pubblico, sulla scia di una analoga decisione del 2015 con cui i magistrati della Procura di Grenoble avevano deciso di far spostare un innocuo blocco di marmo con l’inscrizione “Nostra Signora di Leman proteggi i tuoi figli”. Il comune denominatore sta nell’avversione conclamata ed esibita contro il cristianesimo.


Va tuttavia segnalato un certo risveglio della cultura cattolica che si contrappone al tentativo dell’omologazione culturale socialista. Si parla, infatti, di “risveglio dei cattolici”, come ha scritto il magazine Express. «È il sussulto della Francia profonda contro quel mondo parigino, laicista e devoto al multiculturalismo, che li ha a lungo disprezzati e qualificati cittadini di serie B, come Libération che,  due settimane fa, per commentare le primarie, ha titolato: “Aiuto, Gesù sta tornando!”». Il Cristo quindi, Re della pace, fa paura a certa Europa. Perché?


La risposta non è semplice e andrebbe formulata a partire da considerazioni storiche, filosofiche, sociologiche, religiose e politiche. Credo che l’avversione sia diretta contro l’affermazione di una Verità sull’uomo che non si può confutare che con l’imposizione di un multiculturalismo confuso e torbido. Sovvengono le parole rivolte dal Cristo ai suoi accusatori: “Se ho parlato male dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” (Gv 19,23). Dov’è quindi il male nella fede cristiana? Pilato, simbolo del potere politico di tutti i tempi, gli chiede: “Che cos’è la verità?”, per poi uscire verso i Giudei e concludere: “lo non trovo in lui nessuna colpa”.



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23/02/2017 19:01
 
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Persecuzione in Egitto

la situazione nella penisola del Sinai in Egitto è sempre più difficile e drammatica soprattutto per i cristiani!
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È infatti notizia solo di alcuni giorni fa del quinto cristiano ucciso dall’inizio del nuovo anno!

L’ultimo martire di questa persecuzione portata avanti dal Daesh (Stato islamico, o Isis) è Medhat Hana, cristiano copto di 45 anni. L’uomo sarebbe stato bruciato vivo e insieme a lui è stato ucciso anche il padre di 65 anni a colpi di arma da fuoco!

Le due uccisioni arrivano dopo un video diffuso dall’ISIS tra domenica e lunedì in cui vi erano chiare minacce contro i cristiani egiziani, che rappresentano il 10% della popolazione egiziana e sono la più grande comunità cristiana in Medio Oriente.




Queste due morti confermano drammaticamente come i cristiani sono stati identificati dall’ISIS come l’obiettivo principale delle loro azioni. E ci fa capire che la persecuzione sia solo all’inizio.

La denuncia e la conoscenza di questi orrori e di queste profonde ingiustizie sono fondamentali per opporsi alla loro reiterazione.

Non solo staremo accanto con la preghiera alle vittime della persecuzione, che ogni giorno rischiano la loro vita per professare il Vangelo, ma faremo tutto quanto è in nostro potere per denunciare e smuovere le istituzioni, perché agiscano concretamente per difendere la libertà religiosa di ogni cristiano nel mondo!




Spero che continuerò ad averti al mio fianco in questo importante impegno di giustizia e di libertà

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05/03/2017 17:22
 
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Documentario sui credenti uccisi dall’ateismo sovietico



GulagPochi giorni fa Israele si è fermata completamente per due minuti per ricordare le vittime dell’Olocausto. Far memoria delle vittime di un così immane disastro è sicuramente necessario per non dimenticare cosa ha potuto procurare la follia umana.


Dispiace però vedere che non tutte le vittime dei totalitarismi del ‘900 vengono commemorate o perlomeno fatte presenti alle nuove generazioni. Il caso in questione riguarda i 12 milioni di russi, e non solo, che dal 1917 fino al 1990 sono stati fatti uccidere, torturare o confinare nei gulag dalla dittatura sovietica.


Ma ciò che neanche i pochi informati sanno è che queste milioni di persone, o almeno la maggior parte, hanno subito tali atrocità solamente perché avevano fede in Dio. Uno dei concetti principali che le nostre intellighenzie pretendono ancora di tener nascosto è che alla base del comunismo e dei totalitarismi da esso derivanti c’è un totale e viscerale odio verso qualsiasi forma di religione.


Le dittature novecentesche, che siano di stampo nazista o comunista, una cosa hanno in comune: l’ateismo, frutto dell’assolutizzazione dello stato. Questa assolutizzazione pretende di omologare l’uomo, di sradicarlo da tutto ciò che non porta al bene dello stato. Lo stato diventa l’unico organismo in grado di portare il benessere ai propri “cittadini”. Qualsiasi forma istituzionale che si appropri degli obbiettivi dello stato, come la Chiesa, che ha come “obbiettivo” la salvezza dell’uomo, deve essere eliminata, semplicemente perché toglie allo stato la possibilità di esercitare il monopolio sull’uomo stesso (Si veda Luigi Negri, False accuse alla Chiesa, Piemme, pag 66-70). Questo era l’obbiettivo di Lenin e Stalin, questo era l’obbiettivo di Hitler.


Tutto questo lo mostra chiaramente un documentario realizzato da Kevin Gonzales sui martiri dell’URSS, su queste milioni di persone morte per la loro fede religiosa. E’ intitolato “Martiri in USSR: l’ateismo militante nell’ex Unione Sovietica”. Quello a cui mira Gonzales è informare le nuove generazioni su fatti accaduti nel loro paese, che nessuno accenna o spiega nella Russia di oggi. Questo non è vero solo per la Russia, ma anche per l’Italia, dove il mito comunista continua ad aleggiare nella nostra cultura grazie, o meglio, per colpa della Resistenza, e che non permette di scalfire minimamente questa devastante ideologia.


Ancora oggi troviamo paesi che ci mostrano i risultati di questa “dottrina illuminata”: basti l’esempio della Corea del Nord, paese dove i diritti umani, ancora nel 2013, sono tra i più bassi del mondo, dove il partito annienta qualsiasi opposizione direttamente con la pena di morte (ricorda non poco la Russia sovietica). La prossima uscita del documentario, e anche questo articolo per quanto possibile, cercano di mostrare la realtà dei fatti, che ancora in questa società “democratica” e liberale non riesce a vedere la luce. Occorre anche ricordare che il comunismo, come ideologia e come partito, è condannato e scomunicato dalla Chiesa Cattolica fin dal 1949.


Luca Bernardi



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16/03/2017 20:55
 
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“Non possiamo vendere in modo pubblico i nostri giornali [cattolico] sul mercato, non possiamo accostare il nostro nome a storie di persecuzione” a danno dei cristiani.




È quanto ha affermato un giornalista cattolico pakistano, testimoniando la difficoltà di quanti come lui appartengono a minoranze religiose e incontrano ostacoli nell’esercizio della professione.




Questa testimonianza è emersa la scorsa settima durante l’incontro promosso da Signis, l’Associazione cattolica mondiale per la comunicazione, presso la Jalan University di Selangor, in Malasia.




Ma non è stata l’unica testimonianza. Le altre testimonianze che si sono susseguite durante l’incontro hanno fatto emergere una dura realtà per i cristiani in Asia che esercitano professioni legate alla comunicazione come il giornalismo.




Alla conferenza hanno partecipato infatti 20 giornalisti provenienti da 13 Paesi asiatici e purtroppo la situazione di discriminazione è analoga in quasi tutti questi paesi.

Yohanes Agus Ismunarno, giornalista indonesiano, condivide le stesse difficoltà:

“Lavoro come direttore per un organo di stampa ufficiale, ma non posso utilizzare il mio nome cristiano. Non posso praticare in modo libero la mia confessione nel mio Paese ed esprimere gli insegnamenti di Cristo negli articoli”.

Essere cristiani nel campo della comunicazione è una vera e propria sfida, che in molti casi espone a rischi elevati la vita di coloro che decidono di professare liberamente la propria fede!

Ancora una volta ci troviamo a registrare e a condividere con te la difficile situazione che molti cristiani nel mondo affrontano quotidianamente.

La persecuzione contro i cristiani e le discriminazioni sono ancora all’ordine del giorno in Asia come in tutti gli altri continenti e questo non possiamo tacerlo!


Informa anche tu di questa situazione di discriminazione le persone che ti stanno vicine!

Conoscere la realtà dei fatti è il primo passo per cambiare questa drammatica situazione e lottare perché il diritto alla libertà religiosa dei cristiani sia rispettato e garantito ovunque nel mondo!

La domanda che mi vieni spontanea è: dove sono i mezzi di comunicazioni e i giornalisti italiani ed europei? Perché questa terribile situazione di discriminazioni verso i loro colleghi cristiani in Asia non viene denunciata?
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05/04/2017 12:50
 
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Cristiani perseguitati: 
atei e islamici si contendono il triste primato

cristiani nello scavoIl nuovo libro del giornalista Nello Scavo si intitola semplicemente Perseguitati (Piemme 2017), documentatissimo reportage sui cristiani perseguitati nel mondo.

Il 75% delle violenze sulle minoranze colpisce i cristiani. Gli autori sono persone aderenti all’islam, al buddismo e all’indusimo. Ma non solo, secondo Open Doors International la Corea del Nordguidata moralmente dall’ateismo di Stato, per il 15° anno di fila è il luogo peggiore al mondo dove essere cristiani. La Chiesa è interamente clandestina e continuamente perseguitata.

In Somaliaracconta l’autore, «gli islamici che si convertono al cristianesimo, se scoperti vanno incontro a morte certa. La Chiesa è pressoché totalmente clandestina o fortemente ostracizzata anche in Paesi come Afghanistan, Pakistan, Sudan, Iran ed Eritrea».

L’odio verso il cristianesimo risale agli albori della prima comunità cristiana nell’Impero romano, oggi, per quanto riguarda le ragioni, «possiamo dire che si tratta di scontri per difendere un interesse. Sia esso di tipo economico, culturale, sociale, o di “supremazia religiosa”. Il cristianesimo, infatti, non è mai privo di ricadute sociali e la novità che esso rappresenta viene spesso vissuto come una minaccia per chi ha fatto del sopruso, sotto qualsiasi forma, anche quelle apparentemente più innocue, una regola di vita».

E si potrebbero anche citare i soprusi degli intellettuali laicisti e le limitazioni alla libertà religiosa e di coscienza vissuti dai cristiani nelle società occidentali, ne ha parlato anche papa Francesco«sia gli intellettuali sia i commenti giornalistici cadono frequentemente in grossolane e poco accademiche generalizzazioni quando parlano dei difetti delle religioni e molte volte non sono in grado di distinguere che non tutti i credenti – né tutte le autorità religiose – sono uguali. Alcuni politici approfittano di questa confusione per giustificare azioni discriminatorie. Altre volte si disprezzano gli scritti che sono sorti nell’ambito di una convinzione credente, dimenticando che i testi religiosi classici possono offrire un significato destinato a tutte le epoche. Vengono disprezzati per la ristrettezza di visione dei razionalismi».

Nel libro si parla anche di schiave cristiane, racconta Nello Scavo, di «“condizioni contrattuali” nella compravendita delle donne, le angherie che molte sopportano spesso per proteggere i propri bambini. Ci sono casi di donne rimaste vedove e che avrebbero voluto togliersi la vita, una volta “comprate” da qualche miliziano, ma che hanno accettato il quotidiano martirio solo per non abbandonare i figli nelle mani dei mujaheddin». E ci sono «cristiani, sia cattolici che protestanti, che affrontano enormi rischi per far arrivare il sostegno delle comunità di credenti ai gruppi perseguitati. Tra essi persone che mettono a repentaglio la loro vita per contrabbandare copie della Bibbia da far giungere alle chiese relegate nel silenzio».

Ma ci sono anche dati che portano speranza, ad esempio alcuni «imam che nei Balcani hanno dato accoglienza a tanti profughi cristiani provenienti dalla Siria. Penso anche a quegli islamici che in Siria stanno proteggendo i loro amici cristiani, insomma a quei “samaritani” che non si girano dall’altra parte, ma si soffermano senza fare calcoli». Pochi mesi fa, ad esempio, un gruppo di musulmani di Mosul ha ricostruito una chiesa cristiana distrutta dall’Isis, in Pakistan hanno donato soldi perché venisse ricostrita e il patriarca caldeo Louis Raphael Sako ha testimoniato la vicinanza che sta ricevendo dalla comunità islamica.

Per scrivere il libro Scavo ha girato il mondo, ha visitato le comunità cristiane perseguitate e testimonia che «ovunque il pontefice è percepito dai cristiani, anche da tante comunità protestanti, come un vero difensore dei diritti umani e l’unico leader in grado di agire a sostegno dei martiri del nostro tempo. Sapere che c’è qualcuno che chiede di pregare per loro, non è solo di grande consolazione, ma gli conferma di essere parte di una comunità universale».


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19/05/2017 12:02
 
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IL COMUNISTA GAO ZHISHENG FINITO IN CARCERE PER DIFENDERE LA VERITÀ, LA LIBERTÀ, I CRISTIANI


da «Tempi»


 


Il grande storico cinese Sima Qian racconta che nel III secolo a.C. Zhao Gao, influente mandarino alla corte dell’imperatore Qin Shi Huang, congiurava per tradire l’ideatore della Grande muraglia. Per tastare il terreno e capire chi, tra gli alti ufficiali, l’avrebbe appoggiato, Zhao un giorno portò all’imperatore un cervo dalle corna maestose, sostenendo che si trattasse di un cavallo. Qin Shi Huang, pensando che l’eunuco fosse impazzito, chiese ai suoi dignitari che cosa ne pensassero. Alcuni rimasero in silenzio per non esporsi, altri risposero che si trattava evidentemente di un cervo, altri ancora, per accattivarsi il favore di Zhao, giurarono che non si era mai visto un animale tanto simile a un cavallo. Il cospiratore si appuntò i nomi di coloro che non avevano voluto mentire e li fece segretamente uccidere.


Sono passati più di duemila anni da allora, ma la Cina non sembra cambiata molto e il partito comunista dimostra di conoscere perfettamente la storia. Gao Zhisheng ne è la dimostrazione vivente. L’avvocato che si batte per la difesa dei diritti umani, attualmente il prigioniero politico numero uno in Cina, avrebbe potuto facilmente risparmiarsi 12 anni di arresti, estenuanti sedute di rieducazione e indottrinamento ideologico, torture, persecuzioni, umiliazioni e violenze a non finire. Doveva solo rinunciare a fare il suo lavoro, «venire meno alla mia coscienza e alla mia responsabilità». In sintesi, «abdicare alla condizione di essere umano».


Gli ufficiali del partito comunista, dopo cruente sessioni di tortura, gli hanno offerto tante volte questa possibilità: «Vecchio Gao, dimentica tutto quello che ti è successo e torna alla tua vecchia vita. Che cosa ti importa se ci sono ingiustizia, oscurità e soprusi nella nostra società? Nessuno di noi può farci niente»; «Vecchio Gao, uscire di qui non è mai stato così semplice. Non vedi che questi tre signori sono stanchi di torturarti? Basta scrivere poche righe per il governo, ammettendo i tuoi errori ed esprimendo la tua gratitudine per tutto quello che il partito ha fatto per te». L’avvocato cristiano, strenuo difensore della libertà religiosa di cristiani e Falun Gong, non ha mai ceduto né alle lusinghe, né alle minacce. Le vicissitudini che lo hanno trasformato da «eroe del partito comunista» a «prigioniero A2» (dove “A” sta per «criminale che mette in pericolo la sicurezza nazionale», mentre il “2” indica il suo altissimo grado di pericolosità) non danno solo sostanza all’immagine di un grande eroe dei nostri tempi, mostrano anche la strutturale fragilità che si cela dietro l’apparente onnipotenza del regime comunista cinese.


La carriera sfolgorante
Se la comunità internazionale è venuta a conoscenza dei modi aberranti con cui il partito ha cercato di mettere Gao a tacere è perché, tra il dicembre del 2014 e il marzo del 2015, approfittando di rari momenti di semilibertà, l’avvocato ha dettagliato in un libro i suoi «dieci anni di torture e fiducia nel futuro della Cina». Le memorie sono materiale così scottante che persino Hong Kong ha vietato di venderle per paura delle ritorsioni di Pechino. Pubblicate in mandarino con il titolo Alzati Cina 2017 all’estero, sono da poco state tradotte in inglese con il titolo Convinzioni incrollabili.

Gao è nato nel 1964 in un misero villaggio nello Shaanxi, la roccaforte del comunismo durante la guerra civile, in una famiglia ricca di figli (sei) ma poverissima. La vita non è mai stata tenera con lui: il padre è morto nel 1975 a soli 40 anni e Gao, che sognava di studiare ma non poteva neanche permettersi di frequentare la scuola elementare, si sedeva per terra sotto la finestra dell’unico istituto cercando di carpire qualche parola dell’insegnante. Solo grazie all’aiuto di uno zio poté frequentare la scuola media e così arruolarsi nell’esercito, dove si iscrisse con entusiasmo al partito comunista. Terminato il suo servizio cominciò a lavorare come fruttivendolo al mercato ed è tra le bancarelle che nel 1991 il suo destino lo raggiunse. Mentre avvoltolava in una pagina di giornale una treccia d’aglio, fu attratto da un articolo: spiegava che Deng Xiaoping, successore de facto di Mao Zedong, voleva arruolare 150 mila avvocati per migliorare il sistema legale cinese. Gao raccolse la sfida e nel 1995 riuscì a superare l’esame di Stato.

I primi a rivolgersi al giovane avvocato furono due genitori, il cui figlio era finito in coma dopo che un medico gli aveva per sbaglio iniettato in vena una dose di etanolo. La famiglia ottenne un risarcimento di 100 mila dollari e Gao divenne famoso. Collezionò un titolo di giornale dopo l’altro, soprattutto perché fu tra i primi ad approfittare di una legge del 1989 che permetteva finalmente di fare causa agli organi statali. «Era come vivere in un’età dell’oro», commenta Gao. «La legge sembrava avere un valore reale. I leader cinesi pensano che le norme servano solo a proteggere il loro potere. Il mio ruolo come avvocato era trasformare quella farsa in giustizia». Nel 2000, l’avvocato si trasferì a Pechino, dove aprì lo studio legale Zhisheng. L’anno dopo il ministero della Giustizia lo citò come uno dei «10 migliori avvocati della Cina», nominandolo «eroe del partito comunista». Tutto procedeva alla perfezione, ma durò poco.

La discesa all’inferno
Nel 2004, infatti, Gao fece un passo falso: fu il primo a difendere la libertà religiosa dei membri del Falun Gong, movimento spirituale capace di attrarre 70 milioni di fedeli in 10 anni, e a denunciare a tutto il mondo gli orrori della persecuzione comunista. Subito dopo prese le difese dei cristiani sotterranei. L’ufficio giudiziario di Pechino gli ordinò di smettere, ma lui non si fermò e nel 2005, dopo aver stracciato la tessera del partito comunista, si convertì al cristianesimo. Il suo studio legale venne chiuso, la sua licenza ritirata e da allora non ha più avuto pace.

«Mentre tutti stavano in silenzio davanti al male perpetrato dal regime, lui ha avuto il coraggio di denunciarlo», spiega a Tempi Bob Fu, pastore protestante cinese residente in America e presidente di ChinaAid. Amico di Gao, ha finanziato la traduzione in inglese del suo libro e ha aiutato la moglie dell’avvocato e i suoi due figli a scappare dalla Cina e a trovare asilo politico negli Stati Uniti. «Ha difeso pubblicamente persone che da anni venivano arrestate, torturate e massacrate ingiustamente. Ha chiesto alla comunità internazionale di non essere complice del regime pur sapendo che il suo attivismo sarebbe costato a lui e alla sua famiglia immani sofferenze. Non c’è dubbio che il suo coraggio meriti il premio Nobel per la pace e non è un caso che venga soprannominato “la coscienza della Cina”».

Gli arresti e le sparizioni forzate di Gao ad opera della polizia segreta sono cominciate nel novembre del 2004, anche se formalmente l’avvocato è stato condannato al carcere solo nel 2011. Questo è il periodo che nel libro viene chiamato «l’inferno senza nome», contrapposto all’«inferno con un nome», riferimento ai tre anni passati in completo isolamento nella prigione di Shaya. Negli anni lo schema si è ripetuto sempre uguale: gli agenti facevano irruzione in casa sua o lo prendevano alle spalle per strada. Lo incappucciavano, gli legavano le mani dietro la schiena stringendo tanto da fargli quasi perdere l’uso degli arti, poi lo trascinavano dentro un’auto verso qualche “prigione nera” sparsa per il paese.

Durante i viaggi, che duravano anche dieci ore, era costretto a tenere la testa piegata in mezzo alle ginocchia e non poteva muovere un dito. Quando gli liberavano gli occhi, si ritrovava in stanze anonime e spoglie non più grandi di dieci metri quadrati, dove passava giorni o mesi senza che la famiglia venisse informata. Inizialmente doveva sopportare “leggere” umiliazioni: non poteva uscire, parlare, aprire una finestra, andare al bagno, usare la carta igienica, lavarsi. Poi arrivavano gli agenti della polizia segreta o gli ufficiali del partito per trattare la resa, confessioni false, delazioni. Se non trovavano un accordo, cominciavano le torture. Nonostante sia stato pestato e umiliato decine di volte, sono due quelle in cui ha anche rischiato di morire: il 21 settembre 2007 e il 28 aprile 2011. Se la prima è stata l’oggetto di una delle sue lettere aperte, la seconda è raccontata nel dettaglio nel libro.

Mentre si trovava in una prigione non ufficiale, tre energumeni, che Gao chiama «demoni», hanno fatto irruzione nella sua stanza per dargli «un trattamento da vip»: prima calci nello stomaco, nell’inguine, in bocca e in testa per 20 minuti, poi mentre uno di loro lo prendeva a ginocchiate nel petto, un altro lasciava che il fumo di cinque sigarette gli bruciasse gli occhi. Accecato, «potevo ancora udire le mie urla disumane coprire enormi distanze». Incapace di reggersi in piedi, vomitava per il dolore steso a terra mentre due dei suoi torturatori si riposavano e il terzo gli urinava addosso. Poi gli infilarono un bastone da elettroshock sotto il mento «e sentii uno strano suono, indescrivibile, che fuoriusciva dal mio corpo. Sentii i muscoli separarsi dalle mie ossa. È un dolore fisico che una persona normale non può descrivere a parole e non era nulla rispetto alle scosse subite nel 2007», quando gli rilasciarono scariche elettriche anche nei genitali e in bocca per un tempo infinito. «Questa volta durò meno di mezz’ora». Finita la sessione di elettroshock, ripresero gli schiaffi e i pugni sotto il mento. Poi ancora l’elettroshock e via da capo.

«Dio mi ha protetto»
I commenti che Gao inserisce tra una tortura e l’altra sono forse la miglior descrizione del suo carattere e della sua personalità fuori dal comune. «Io non li odiavo», scrive. «E anche se non provavo compassione per loro, mi sentivo a disagio al solo pensiero di quanto fossero sfortunati a dover portare a termine un compito così ignominioso. In Cina infatti i veri criminali sono le autorità totalitarie. Questi uomini sono solo i loro sgherri». Anche durante i momenti più bui, Gao non si è mai sentito solo: «So che ora le persone intelligenti rideranno di me, ma se con tutte le volte che mi hanno scaraventato a terra la mia testa non ha mai subìto danni, significa che Dio mi ha protetto. E dal punto di vista biologico, non so spiegare come le tante ginocchiate che ho ricevuto non abbiano minimamente danneggiato i miei organi cardiopolmonari. Si tratta certamente di un miracolo. Quando nel 2011 ne ho parlato con il capo della polizia segreta cinese, lui mi ha risposto: “Vecchio Gao, il tuo fisico è pazzesco! Sei un fottuto dio!”».

Le torture quel giorno non accennavano a finire ed è un episodio avvenuto allora che, secondo Bob Fu, rivela perfettamente di che pasta è fatto l’avvocato: «A un certo punto – racconta l’amico a Tempi – i “demoni” esaurirono le forze e lo lasciarono in pace per un attimo. Gao si addormentò all’istante e cominciò a russare. Subito ripresero a calpestarlo furibondi: “Come puoi dormire così serenamente dopo tutto quello che ti abbiamo fatto?”. E lui, che ormai da cinque anni viveva praticamente da recluso, rispose: “Perché io sono più libero di voi grazie alla mia fede in Gesù Cristo”». In tutta la sua vita Bob Fu non ha «mai sentito un’applicazione più grande della massima “ama i tuoi nemici”. Gao non ha mai odiato i suoi torturatori e li ha sempre trattati con gentilezza. È straordinario».

Per impedirgli di parlare al mondo dei soprusi ordinati da Pechino, il partito offrì a Gao case, lavori, soldi, onori, promozioni nel governo fino «ai massimi livelli». Davanti ai suoi continui rifiuti, all’«inferno senza nome» fecero seguire «l’inferno con un nome» e nel 2011 lo condannarono a tre anni per aver «incitato alla sovversione del potere statale». Gao scontò la pena in isolamento in una minuscola cella senza finestre, senza poter parlare, leggere o scrivere e per lunghi periodi anche senza potersi muovere. Legato mani e piedi da pesanti catene, ha rischiato di morire prima di caldo e poi di freddo. Nutrito male, ha subìto lunghe sessioni di indottrinamento per «abbandonare le mie posizioni reazionarie» ed è stato obbligato ad ascoltare l’altoparlante che ogni giorno, a tutto volume, strillava nella sua cella «le 30 attività bandite perché pericolose per la sicurezza nazionale», oltre a una lezione sul tema “La vittoria socialista è inevitabile, il capitalismo morirà” e a un’opera di educazione patriottica. Il programma ideologico «veniva mandato a ripetizione, nonostante durasse più di 90 minuti». Per sfuggirgli Gao arrivò a tentare il suicidio due volte, senza riuscirci, e per tutta risposta venne raddoppiata la frequenza delle lezioni patriottiche.

Se il 7 agosto 2014 Gao è uscito di prigione sulle sue gambe e sano di mente è soprattutto per la speranza di rivedere un giorno la moglie Geng He, il figlio Tianyu e la figlia Gege. Anche loro hanno patito violenze e torture, fisiche e psicologiche. Il partito ha reso la loro esistenza un incubo: se ogni volta che l’avvocato metteva piede fuori di casa veniva seguìto anche da venti persone contemporaneamente, il figlio Tianyu, che all’epoca aveva solo tre anni, era guardato a vista 24 ore su 24 da quattro agenti della polizia segreta. Ogni volta che la moglie Geng andava a prendere all’asilo Tianyu, almeno dieci agenti la seguivano passo passo. Per aver osato protestare, le è stato spezzato un dito. Una sera che aveva deciso di andare insieme alla madre a mangiare in un piccolo ristorante con degli amici, il locale fu riempito da così tanti poliziotti che il gestore si è visto costretto a cacciare le donne. Persino la suocera di Gao non poteva uscire di casa senza il permesso della polizia. La figlia Gege, invece, ha avuto l’infanzia rovinata da sei agenti che la seguivano ogni giorno a scuola, appostandosi fuori dalla classe e seguendola fino in bagno.

«Il regime crollerà quest’anno»
«Non voglio parlare di quel periodo, è troppo doloroso», confessa a Tempi Gege, che anche grazie all’aiuto di alcuni membri del Falun Gong nel 2009 è riuscita a scappare di nascosto negli Stati Uniti con la madre e il fratello. Oggi è una bella ragazza di 24 anni e frequenta l’università. «Ammiro mio padre, è un eroe, ma da giovane ero arrabbiata con lui. Mi chiedevo: “Come può lasciare la sua famiglia per aiutare gli altri?”. Crescendo ho capito e ora lo sostengo». Tra i momenti più difficili ricorda quando Gao veniva rapito e le autorità le facevano credere che fosse morto. Gege non vede suo padre da nove anni e nonostante ora sia stato ufficialmente “liberato”, ancora non può parlare con lui regolarmente. «Non lo sento da un mese. Non perché non voglia, ma perché gli hanno requisito il telefono». Gao è ancora confinato in casa, non può farsi visitare da un medico, «fa fatica a mangiare perché gli sono caduti molti denti, ma non può vedere un dentista» e «al massimo gli è concesso uscire di casa in giardino a fare due passi per un paio di minuti al giorno, sotto il controllo della polizia».

A sentire questa descrizione, Gao potrebbe sembrare un uomo sconfitto o un Don Chisciotte “con caratteristiche cinesi”. Ma non è così. «Il suo fisico è debilitato – precisa Bob Fu – ma il suo spirito è ancora forte. Ha appena finito un rapporto sui diritti umani in Cina nel 2016, peggiorati sotto Xi Jinping, ed è riuscito a farmelo avere. Presto lo pubblicheremo. Se il partito ha così paura di un uomo solo, significa che è debole». A questo proposito non si può non citare la parte del libro in cui Gao profetizza la caduta del comunismo in Cina. «Io credo che per Decreto Divino il partito comunista cinese sarà sconfitto e rovesciato quest’anno, finendo nella pattumiera della storia», scrive. In carcere «Dio ha cominciato a darmi delle visioni. Nel 2012, ho dedotto da esse che il partito comunista cinese crollerà nel 2017».

La figlia Gege non vuole commentare, non è cristiana, sa solo che «mio padre è convinto che questo messaggio venga da Dio. E lui ha fede in Dio, perché senza sarebbe già morto. E io ho fede in mio padre». Rileggendo dall’inizio la storia di Gao Zhisheng, non si comprende come un governo abbia potuto infliggere tante sofferenze a un uomo solo. Ma Gege non è per niente stupita: «Mio padre per tutta la vita non ha fatto altro che difendere la libertà religiosa inscritta nella Costituzione cinese e le leggi approvate dal regime stesso. Ha solo detto la verità. Ma il partito comunista è terrorizzato dagli uomini che hanno il coraggio di farlo. Perché la verità rende l’uomo libero».


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17/06/2017 21:12
 
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L’organizzazione internazionale Porte Aperte ha pubblicato un nuovo report relativo alla situazione delle persecuzioni a danno dei cristiani nel mondo.


 I dati che vengono comunicati sono decisamente allarmanti: oltre 215 milioni i fedeli perseguitati, di cui 1 su 3 in maniera grave!


Oltre 215 milioni di uomini e donne, padri, madri, figli, famiglie intere, come la mia e la tua, che nella loro quotidianità vengono aggrediti, discriminati, subiscono ingiurie e violenze per il solo fatto di credere in Gesù Cristo!


 Questo è inaccettabile! Riesci anche solo ad immaginare la tua quotidianità, le tue speranze, i tuoi sogni per il futuro infrangersi contro un odio religioso senza senso?


 Tra i tanti dati, eccone alcuni.


 La situazione in Siria e in Iraq, come purtroppo ben sappiamo, è molto critica; in questi paesi si stima che tra il 50% e l’80% della popolazione cristiana sia emigrata dal 2011 ad oggi e il sentimento più diffuso è quello di non tornare nelle proprie terre al termine del conflitto.


 Se però della situazione medio orientale siamo in qualche modo abituati a sentirne parlare, differente è per la condizione di migliaia di cristiani in Asia!


 In numerosi Paesi asiatici infatti (India, Laos, Bangladesh, Bhutan solo per citarne alcuni) il fenomeno del nazionalismo religioso si sta diffondendo rapidamente e su questo terreno nasce e si sviluppa la persecuzione contro i cristiani.


 Infine per il quindicesimo anno consecutivo la Corea del Nord si afferma come la Nazione con il più alto tasso di persecuzione anticristiana al mondo!


 Si stima infatti che vi siano tra i 50 e i 70 mila cristiani reclusi in campi di rieducazione, molto simili ai lager nazisti.


 Questi drammatici dati ci dicono chiaramente che è necessario lavorare molto per fermare le persecuzioni contro i cristiani nel mondo!


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09/09/2017 10:41
 
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Decine di cattolici hanno cercato di fermare oggi la demolizione della loro chiesa. Come si vede dal video, i fedeli gridano “Gesù salvami!” e “Madre Maria, abbi pietà di noi!”, mentre ostacolano i lavori del bulldozer e l’operato dei poliziotti.

Il fatto è avvenuto a Wangcun, a pochi chilometri da Changzhi, nel sud-est dello Shanxi.

Per fermare la demolizione, sacerdoti e fedeli a migliaia di sono radunati attorno alla chiesa e al muro di cinta, sotto la pioggia, pregando e domandando che il Signore “renda meno duro il loro cuore e agiscano secondo la legge dello Stato che protegge la libertà di religione”.

In precedenza il governo aveva dato il permesso di restaurare la chiesa, un piccolo gioiello dei primi decenni del secolo scorso. I lavori di restauro erano già iniziati da quattro mesi, con rilevante impegno di denaro da parte dei fedeli. Ora, per motivi “urbanistici”, il governo ha cambiato e ha decretato la demolizione del monumento.

In un decreto del 25 agosto 2012, il governo della città aveva deciso di ridare indietro alla Chiesa cattolica “la vecchia cappella di Wangcun e il terreno di pertinenza”. Ma poche settimane fa, il Comitato di distretto del partito comunista, insieme al governo del distretto hanno decretato la demolizione di tutta l’area, compresi i muri e l’edificio della chiesa. Il motivo ufficiale: “Dopo la demolizione si costituirà una piazza per arricchire la vita del popolo”.

Proprio pochi minuti fa è giunta la notizia che il governo della città ha fermato la demolizione, nel tentativo di risolvere la situazione.

Su una popolazione di quasi 3,5 milioni, i cattolici di Changzhi sono oltre 50mila, serviti da 47 sacerdoti. Nella diocesi ci sono oltre 60 chiese e cappelle.
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17/09/2017 19:02
 
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Nell’islamico Sud Sudan migliaia di profughi in fuga dalla guerra e dalla miseria ancora non trovano un attimo di pace.


 La discriminazione religiosa verso i cristiani è una piaga purtroppo diffusa nel Sud Sudan, paese guidato dal regime islamista di Al Bashir, in cui vige la sharia islamica e dove la persecuzione anti cristiana ha raggiunto livelli gravissimi.











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Diverse donne sono state arrestate all’uscita dalle chiese per quello che viene chiamato «abbigliamento indecente», ovvero semplici gonne, almeno 17 chiese sono già state demolite, non sono concesse le autorizzazioni per costruire nuovi edifici di culto e le proprietà ecclesiastiche vengono confiscate.


 


Tutto questo è inaccettabile, ma lo è ancora di più ciò che è accaduto ad alcuni bambini cristiani:


















«I bambini cristiani nei campi profughi sudanesi sono costretti a recitare le preghiere islamiche per ricevere il cibo».













Questa è la denuncia di una fonte locale, protetta dall’anonimato per timore di ritorsioni,che Aiuto alla chiesa che soffre (Acs), fondazione pontificia ha recentemente riportato.


 Non possiamo restare indifferenti!


 Unisciti con la preghiera per sostenere nella prova i cristiani del Sud Sudan!


 















 





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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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