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PERSECUZIONI CONTRO I CREDENTI IN CRISTO

Ultimo Aggiornamento: 02/02/2023 12:13
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12/12/2010 23:01
 
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Le persecuzioni dei cristiani nell’Impero Romano consistettero in fenomeni di aggressiva intolleranza popolare e nell’assimilazione della religione cristiana ad un crimine contro lo stato, con le conseguenti condanne alle pene più crudeli. Certi di guadagnare il paradiso, molti proclamarono la propria fede accettando la prigionia, le torture, le deportazioni ed anche la morte: i martiri furono diverse migliaia [1].

Inizialmente tuttavia le autorità locali non ricercavano attivamente i cristiani; le loro comunità continuarono così a crescere, trovando anzi nel culto dei martiri nuovo vigore. Gli imperatori Decio, Valeriano e Diocleziano, spinti anche da considerazioni politiche, ordinarono pertanto persecuzioni più attive e severe, che tuttavia non arrivarono ad eradicare il cristianesimo.

Nel 311 Galerio emanò l'Editto di tolleranza che ne accordava la liceità, poi confermata da Costantino I. Gli ultimi strascichi delle persecuzioni si sovrapposero, senza soluzione di continuità, alle prime lotte contro gli eretici.

I

Le fonti storiche 

L’analisi di alcuni reperti e documenti contemporanei ed il raffronto tra i resoconti degli storici antichi ha consentito di pervenire ad un certo consenso sulla storia generale delle persecuzioni. L’indagine più dettagliata sulle vicende e sui singoli personaggi coinvolti si presenta più problematica in quanto può basarsi quasi esclusivamente su fonti cristiane.

Fonti cristiane 

I principali autori cristiani utili per la storiografia sono:

  • Dei martiri Policarpo, Giustino e Cipriano sono rimasti alcuni importanti scritti.
  • Diverse notizie possono essere desunte dalle numerose opere di Tertulliano (circa 155-230), sebbene non fosse uno storico ma un apologeta intransigente.
  • A Lattanzio (circa 250-327) è generalmente attribuito il De mortibus persecutorum, che si propone di istruire i cristiani sulla sorte dei nemici di Dio, a cominciare dai persecutori. Altre notizie utili sono fornite dalla sua opera Divinæ institutiones.
  • Le fonti più importanti sono probabilmente le opere di Eusebio (265-340), vescovo di Cesarea, in particolare la Storia ecclesiastica, il Chronicon e il De martyribus Palestinae. In esse Eusebio riporta sia eventi passati che altri a lui contemporanei, ma sulla sua attendibilità come storico i giudizi sono discordi.
  • Fra gli Atti dei martiri, solo pochissimi hanno valore storico.

Fonti latine [modifica]

Un documento di eccezionale importanza è la corrispondenza tra Plinio il giovane e l’imperatore Traiano sulla condotta da tenere nei confronti dei cristiani.

Tacito rappresenta un fonte storica molto importante, ma solo per la persecuzione avvenuta sotto Nerone. Frammentarie notizie hanno lasciato Svetonio, Dione Cassio, Porfirio, Zosimo e altri.

Le motivazioni 

Il culto pubblico della tradizionale religione romana era strettamente intrecciato allo stato: fare sacrifici agli dèi e rispettare i riti significava stabilire un patto con le divinità, in cambio della loro protezione. Era facile integrare gli dèi, i riti e le credenze di altre popolazioni in questo sistema. Perfino l'Ebraismo, in quanto antica religione di un popolo, era tollerato dalle autorità fin dai tempi di Giulio Cesare: gli ebrei potevano osservare i loro precetti ed erano esentati dai riti ufficiali (ma con Vespasiano furono sottoposti al fiscus iudaicus [2]). Pare che all'inizio i cristiani venissero facilmente confusi con gli ebrei stessi, tanto che Svetonio e Dione Cassio riportano che l'imperatore Claudio (41-54) avrebbe scacciato da Roma i "Giudei" che creavano disordini a nome di "un certo kriste" [3] [4].

Col tempo i romani identificarono nel Cristianesimo quello che consideravano "ateismo". Per loro i cristiani erano ebrei e pagani che avevano tradito i loro dèi e quindi il loro popolo, che si riunivano in segreto per praticare riti apparentemente magici ed incitavano altri a fare lo stesso. Questo tradimento non solo minacciava la pax deorum e l'autorità dell'imperatore quale Pontefice massimo, ma poteva “essere visto come la prova di intenzioni politiche sovversive” [5] [6]. Plinio il Giovane definirà il cristianesimo superstitio, termine che indicava “ogni religione implicante un timore eccessivo degli dèi” [7] e pertanto probabili disordini popolari. Come tali erano represse anche magia e astrologia, e lo erano stati in precedenza i baccanali, il druidismo ed il culto di Iside. [8] [9].

Sebbene i primi vescovi invitassero a riconoscere lo stato [10], astenersi dai riti ufficiali (considerati idolatria) costringeva in pratica i cristiani a uno sprezzante isolamento, e questo accese ulteriormente l'intolleranza popolare. I romani erano inoltre sconcertati dall'abolizione in questi gruppi di ogni distinzione tra uomini e donne, ricchi e poveri, schiavi e liberi, locali e stranieri. Per di più le conversioni provocavano insanabili conflitti familiari [11]. Le loro regole di vita erano disapprovate anche dalle autorità; [12] è possibile che talvolta fossero disordini all’interno delle stesse comunità cristiane a giustificarne l’intervento. [13]

I cristiani diventarono i capri espiatori di ogni calamità. Oltre ai riti malefici, si diceva che praticassero orge incestuose e cannibalismo e che adorassero un dio dalla testa d'asino [14] [15]. L'odio popolare si concretizzava spesso in denunce alle autorità ed attacchi violenti.

Tra i motivi delle ultime persecuzioni vi potrebbero essere anche degli interessi economici: la confisca dei consistenti patrimoni gestiti dalle chiese e dei beni dei cristiani abbienti fu infatti tra i primi provvedimenti ordinati da Valeriano e Diocleziano. L’opposizione poteva nascere anche, con il crescere delle comunità, dal danno economico arrecato a varie categorie coinvolte nei culti ufficiali [16] [17].

Atteggiamento nei confronti del Cristianesimo dei primi imperatori

Il primo imperatore che entrò in contatto con la neonata religione cristiana fu l'imperatore Tiberio: alcune fonti (Giustino e Tertulliano), riferiscono infatti di un messaggio inviato dal prefetto di Giudea nel periodo 26-36, Ponzio Pilato, a Tiberio nel 35, riguardante la crocifissione di un certo Gesù di Nazareth. L'imperatore avrebbe di seguito presentato al Senato la proposta di riconoscimento del Cristianesimo come religio licita ma, avendo ricevuto un rifiuto, avrebbe solo posto il veto ad accuse e persecuzioni nei confronti dei seguaci di Gesù.[18] Il dibattito sull'esistenza, o meno, di questo senatoconsulto è ancora in corso.[19] Sebbene non esistano altre fonti dell'epoca che provino queste ipotesi, l'invio di un messaggio a Tiberio da parte di Pilato e una conseguente discussione in Senato possono sembrare plausibili;[18] tuttavia non si sa nulla di certo sull'atteggiamento dell'imperatore verso i primi cristiani: al riguardo non fu preso alcun provvedimento ufficiale, ma è certo che i seguaci di Gesù non furono mai perseguitati sotto l'impero di Tiberio.[18] Un elemento che confermerebbe l'atteggiamento favorevole di Tiberio verso i cristiani, e che si inquadra con la politica di pacificazione che egli conduceva verso una provincia difficile come la Giudea, sarebbe la destituzione del sommo sacerdote Caifa da parte di Lucio Vitellio, legato di Siria inviato da Tiberio, nel 36 o 37, ossia subito dopo l'esecuzione, ritenuta illegale, del diacono Stefano su iniziativa proprio di Caifa, e solo un anno dopo la presunta relazione di Pilato.[20]

Persecuzione di Nerone 

La prima persecuzione sotto Nerone nel 64 fu dovuta alla ricerca di un capro espiatorio per il grande incendio di Roma, come viene raccontato dallo storico latino Tacito. Secondo lo storico, prima sarebbero stati arrestati quanti confessavano e quindi, su denuncia di questi, ne sarebbero stati condannati moltissimi, ma non tanto a causa del crimine dell'incendio, quanto per il loro "odio del genere umano". Tacito non dice il nome di alcuno di loro tuttavia numerose fonti, cristiane e pagane (Tertulliano, Scorpiace, 15, 2-5; Lattanzio, De mortibus persecutorum, 2, 4-6; Orosio, Historiarum, VII, 7-10; Sulpicio Severo, Chronicorum, 3, 29; Porfirio Neoplatonico), attestano che gli apostoli Pietro e Paolo subirono il martirio in Roma in quella persecuzione. La maggior parte di questi scrittori afferma pure che Pietro fu crocifisso (Origene, citato nella Storia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea al libro III, I, 1-3, specifica che fu crocifisso a testa in giù) e Paolo fu decapitato. Tacito descrive quindi i supplizi a cui furono sottoposti per opera di Nerone i cristiani che,nonostante la loro presunta colpevolezza, causavano pietà in quanto puniti non per il bene pubblico ma per la crudeltà di uno solo:"et pereuntibus addita ludibria, ut ferarum tergis contecti laniatu canum interirent aut crucibus adfixi atque flammati, ubi defecisset dies, in usum nocturni luminis urerentur."(Annales, XV, 44, 4; Traduz.: "E coloro che morivano furono pure scherniti: coperti di pelli di bestie perché morissero dilaniati dai cani oppure affissi alle croci e dati alle fiamme perché, caduto il giorno, bruciassero come fiaccole notturne."). Lo stesso Svetonio conferma anche che Nerone aveva mandato i cristiani al supplizio e li definisce "una nuova e malefica superstizione",senza tuttavia collegare questo provvedimento all'incendio.

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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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