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Meditazioni per le festività (di Mons.Riboldi)

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    00 08/11/2015 09:18
    La ‘povera vedova’ icona della Chiesa

    Pur essendo tanto amati da Dio, rispetto a Lui siamo davvero ‘nulla’, e tante volte anche agli occhi degli altri nulla abbiamo che ci possa rendere superiori a loro, se non il dono della santità. Ma la santità non è ‘superiorità’: è espressione di un grande dono di Dio, che gli uomini possono accogliere con totalità, ma se non ci fosse la Grazia, davvero saremmo un nulla a tutti gli effetti.

    Non è il soldo o la fama che ci fanno grandi, ma l’amore e la santità, che sono dono di Dio.

    Il Vangelo di oggi offre parecchie considerazioni, che sono uno sguardo di Dio su ciò che veramente siamo in ogni momento della vita. Una Parola che deve invitare a ‘guardare dentro di noi’, per capire ‘chi siamo ai Suoi occhi’.

    Gesù, guardando gli scribi e i farisei – persone considerate importanti a quel tempo – ci mette subito in guardia. ‘Diceva alla folla mentre insegnava: ‘Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere i saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe, e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grande’. (Mc. 12, 38-44)

    Papa Francesco ha definito con chiarezza questo atteggiamento ipocrita, smascherato da Gesù:

    “L’ipocrisia è quel modo di vivere, di agire, di parlare che non è chiaro. Forse sorride, forse è serio … Non è luce, non è tenebra … Si muove in una maniera che sembra non minacciare nessuno, come la serpe, ma ha il fascino del chiaroscuro. Ha quel fascino di non avere le cose chiare, di non dire le cose chiaramente; il fascino della menzogna, delle apparenze … Ai farisei ipocriti, Gesù diceva anche che erano pieni di se stessi, di vanità, che a loro piaceva passeggiare nelle piazze facendo vedere che erano importanti, gente colta …”.

    Quanto è fastidioso quel loro mettere in mostra un’apparente giustizia e bontà, ad iniziare dalle lunghe preghiere … tranne poi – e qui Gesù usa un verbo davvero pesante – ‘divorare’, cioè depredare i più deboli, rappresentati dalle vedove.

    E S. Marco fa seguire un fatto, che descrive meglio di ogni parola il pensiero di Gesù. “Sedutosi, di fronte al tesoro del tempio, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova, vi gettò due spiccioli, ossia un quattrino”

    Gesù sconvolge tutte le nostre regole e i comportamenti che spesso consideriamo necessari per stare a galla in questo mondo. Lui non guarda mai al ‘quanto’, ma al ‘come’, al ‘cuore’!

    Dei ricchi che ‘gettavano monete d’oro’ afferma: ‘Tutti hanno dato del loro superfluo’, cioè non è costato loro alcun sacrificio: era qualcosa che avanzava e quindi non merita alcuna lode, alcun risalto … hanno già ricevuto dagli uomini i loro ‘applausi’!

    Il suo stupore e la sua ammirazione sono tutte per la ‘povera vedova’, che nella sua povertà vi ha messo ‘tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere’.

    Quella ‘povera vedova’ senza nome non sapeva che in quel momento sulla bocca di Gesù occupava ‘la prima pagina’: una ‘pagina’ che Lui ha voluto giungesse fino a noi, come si parlasse di un grande personaggio. Una grandezza che si acquista in silenzio: il silenzio del dono totale di sé, fatto con tutto il cuore, con semplicità, come fosse la cosa più naturale, togliendo spazio ad ogni sicurezza personale. Come se il bene degli altri valesse di più, molto di più della propria vita. Questa non è una ‘povera vedova’: questa è veramente una ‘grande signora del Regno di Dio’.

    Magari fossimo degni anche noi di vivere con un tale cuore ed avere lo stupore di Gesù!

    Benedetto XVI, a Brescia, nel novembre del 2009, quando non era ancora emerito, parlò dell’obolo della vedova, come immagine della vita della Chiesa, esaltando al contempo la figura del caro e beato Paolo VI. Queste le sue parole:

    “A partire da questa icona evangelica, desidero meditare brevemente sul mistero della Chiesa, del Tempio vivo di Dio, e così rendere omaggio alla memoria del grande papa Paolo VI, che alla Chiesa ha consacrato tutta la sua vita. La Chiesa è un organismo spirituale concreto che prolunga nello spazio e nel tempo l'oblazione del Figlio di Dio, un sacrificio apparentemente insignificante rispetto alle dimensioni del mondo e della storia, ma decisivo agli occhi di Dio … In quell'unica oblazione è condensato tutto l'amore del Figlio di Dio, come nel gesto della vedova è concentrato tutto l'amore di quella donna per Dio e per i fratelli: non manca niente e niente vi si potrebbe aggiungere. La Chiesa, che incessantemente nasce dall'Eucaristia, dall'autodonazione di Gesù, è la continuazione di questo dono, di questa sovrabbondanza che si esprime nella povertà, del tutto che si offre nel frammento. È il Corpo di Cristo che si dona interamente, Corpo spezzato e condiviso, in costante adesione alla volontà del suo Capo … È questa la Chiesa che il servo di Dio Paolo VI ha amato di amore appassionato e ha cercato con tutte le sue forze di far comprendere e amare. Rileggiamo il suo "Pensiero alla morte", là dove parla della Chiesa. "Potrei dire – scrive – che sempre l'ho amata... e che per essa, non per altro, mi pare d'aver vissuto. Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse … Corpo mistico di Cristo ... Alla Chiesa, a cui tutto devo e che fu mia, le benedizioni di Dio siano sopra di te; abbi coscienza della tua natura e della tua missione; abbi il senso dei bisogni veri e profondi dell'umanità; e cammina povera, cioè libera, forte ed amorosa verso Cristo".

    E Benedetto XVI conclude: “Vorrei sottolineare quest'ultima visione della Chiesa "povera e libera", che richiama la figura evangelica della vedova. Così dev'essere la Comunità ecclesiale, per riuscire a parlare all'umanità contemporanea”.

    Così è chiesto di essere a ciascuno di noi, che formiamo la Chiesa, popolo in cammino con i Pastori che Dio ha scelto per lei. Così sia.

    Antonio Riboldi
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    00 20/11/2015 23:37
    Solennità di Cristo Re: un potere che si fa dono

    Pare che Gesù abbia scelto i momenti più drammatici per affermare le grandi verità che non ammettono ombre.

    Davanti a Pilato che aveva il potere di giudicare e condannare, Gesù si doveva difendere da una precisa accusa: ‘Sei tu il re dei Giudei?’. Agli occhi di Pilato poteva essere una grottesca invenzione degli avversari di Gesù. Come poteva infatti uno essere re senza incoronazione, senza territorio, soprattutto senza un esercito? Altro era la posizione di Pilato stesso: aveva alle spalle l’impero romano, con un potere che non guardava troppo per il sottile i diritti degli uomini, tanto da lasciare ai Giudei una parvenza di regalità da esibire, ma che restava sempre subordinata a Roma!

    Altro era Gesù, solo, abbandonato da tutti, volutamente alieno da ogni esercizio di potere terreno e che quindi non poteva assolutamente competere né con Roma né con i Giudei.

    La Sua potenza era l’amore: ‘Sono venuto per servire e non per essere servito’.

    Pilato quindi aveva davanti a sé un uomo che non faceva assolutamente paura: una povera cosa che si poteva schiacciare come e quando si voleva.

    Gesù, però, con semplicità, pur sapendo di essere totalmente nelle mani di un simile mostruoso potere ed avendolo accettato con la logica provvidenziale dell’amore, risponde con una chiarezza disarmante:

    “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv 18, 33-37)

    Due modi diversi, contrapposti di esercitare la regalità o il potere: quello di Pilato, che è lo stesso del mondo e di tutti i tempi, è diventare ‘padroni degli uomini e delle cose’. Un potere che si esercita a volte con tale virulenza, dissacrando il Nome stesso di Dio, di cui ci si fa scudo – pensiamo a quanto accaduto a Parigi - da suscitare terrore.

    Di per sé l’autorità che si esercita, qualunque questa sia e da qualunque parte venga, ad iniziare dalla famiglia, dalla Chiesa, dovrebbe aiutare a crescere nella libertà, nella giustizia, nella verità, nella pace e condivisione: tutto questo disinteressatamente, senza cioè farsi strada, vincendo la continua tentazione di badare ai propri interessi, che possono diventare squallide rapine agli uomini e gravi bestemmie al nobile concetto di autorità, che discende dal Cielo e segue le tracce di Gesù.

    ‘Fare strada ai poveri’ – diceva don Milani – ‘senza farsi strada’.

    Siamo a dir poco scandalizzati nell’assistere quotidianamente alla lotta dei partiti per i vari poteri nei governi, da quello nazionale a quello regionale, a quello cittadino: una lotta di ‘coltelli’ che non risparmia colpi. Ed è una lotta che avviene in tutte le strutture amministrative, unita alla corruzione più bieca, tanto da parere ormai l’interesse principale o il fine delle strutture stesse.

    E cosa dire quando questa mentalità di sopraffazione o di corruzione tocca uomini che dovrebbero essere ‘pastori buoni’ e diventano invece veri ‘mercenari’?

    Non si hanno mai parole adatte per condannare queste squallide scalate al potere, condite di vendette più o meno meschine, da qualunque parte vengano: sono vergognosi sfregi al servizio degli uomini.

    Se è giusta la denuncia, non lo è la sfiducia, come ha pubblicamente dichiarato Papa Francesco all’Angelus di domenica 8 nov.: “So che molti di voi sono stati turbati dalle notizie circolate nei giorni scorsi a proposito di documenti riservati della Santa Sede che sono stati sottratti e pubblicati. Per questo vorrei dirvi anzitutto che rubare quei documenti è un reato. E’ un atto deplorevole che non aiuta. Io stesso avevo chiesto di fare quello studio, e quei documenti io e i miei collaboratori già li conoscevamo bene, e sono state prese delle misure che hanno incominciato a dare dei frutti, anche alcuni visibili. Perciò voglio assicurarvi che questo triste fatto non mi distoglie certamente dal lavoro di riforma che stiamo portando avanti con i miei collaboratori e con il sostegno di tutti voi. Sì, con il sostegno di tutta la Chiesa, perché la Chiesa si rinnova con la preghiera e con la santità quotidiana di ogni battezzato. Quindi vi ringrazio e vi chiedo di continuare a pregare per il Papa e per la Chiesa, senza lasciarvi turbare ma andando avanti con fiducia e speranza.

    Seguiamone l’esempio, con lui dietro i passi del nostro Signore e Maestro: Gesù continua a dirsi Re nella sua nudità e debolezza, che ignora ogni forma di potere. Continua ad affermare che il suo potere è l’amore: un amore che non sdegna affatto di farsi ‘servo’, che si fa dono fino a dare la vita, un potere che celebra la sua festa ed il suo trionfo nel farsi ‘mangiare’ nell’Eucaristia da chi ama.

    Eppure Lui, a differenza degli uomini, davvero ha potere su di noi: Lui e Lui solo può chiamarsi la Verità e la Vita. Per Lui solo furono fatte tutte le cose e gli uomini. Con Lui, se accettiamo la sua regalità, condivideremo ‘potere e gloria in Cielo’. Eppure tanta regalità non si fa quasi sentire, fino al punto che la puoi rifiutare, quasi misconoscere, anche se agendo così è come oscurare il sole della vita, mettendosi le mani davanti agli occhi per paura della luce, come fanno in tanti.

    Per Gesù regnare è amare, cioè parteciparsi i beni che si hanno.

    Noi possiamo donare soltanto il nostro misero ‘sì’, ma Lui ci partecipa la sua stessa divinità!

    Per cui è bello oggi fare festa perché sappiamo che siamo totalmente nelle mani e nel cuore di Gesù, anche se continuiamo a muovere i nostri passi quaggiù.

    È festa sapere che già apparteniamo in Gesù nostro Re al suo Regno di verità e di pace, di giustizia e di amore: ‘Il Regno di Dio è in mezzo a voi’, nonostante le tante ombre che noi provochiamo.

    È gioia poter dire: ‘Gesù è il mio Re: il Re che voglio seguire’ a dispetto dei tanti Pilato che continuano a credere che il solo potere sia quello che gestiscono loro.

    È festa pensare che il vero potere non sta nella forza, tanto meno nelle armi o nella violenza, ma nel servizio reciproco, nell’amarci come Cristo, Re dell’universo, ci ama … servendo!

    Con la Chiesa, uniti, viviamo ciò che preghiamo:

    “Gesù, Speranza per chi si converte, quale misericordia per chi ti invoca!

    Quale bontà per chi ti cerca, che sarai per chi ti trova?

    Chi ne fa esperienza può credere cosa sia amare Gesù.

    Gesù, sii la nostra Guida, tu che sei il Premio che ci attende.

    Sia in Te la nostra gloria. Sempre!”.

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    00 27/11/2015 12:40
    “Vegliate e pregate, Gesù è vicino”



    È da quando Adamo, il primo uomo, con Eva si lasciò ingannare dal serpente, rinunciando al grande Bene di Dio, che Lui ci cerca con un amore che non conosce tempi, cattiverie, tradimenti, debolezze e limiti degli uomini.

    È da allora, nel momento in cui l’uomo Lo rinnega, che ci cerca, tutti, uno ad uno, come solo un padre sa fare verso i suoi figli. “Uomo dove sei?”. “Mi sono nascosto perché sono nudo.”

    Due righe di una storia che non cessa di ripetersi in ogni tempo ed in ogni uomo. Dio è davvero un ‘papà’ fedele al suo amore, qualunque sia la nostra risposta. Bussa alla nostra porta, continua a farsi trovare, dà segni che Lui ci cerca, come se i nostri atteggiamenti, tante volte negativi, non intaccassero minimamente la sua fedeltà. Noi siamo Suoi figli e ai figli non si rinuncia mai!

    Da qui la ragione del tempo santo, che oggi iniziamo a vivere, che ha un nome che è davvero un programma: ‘Avvento’, ossia tempo di attesa di Chi sta per venire.

    Ma è solo attraverso la conoscenza – che è partecipazione della vita o dell’amore dell’altro, vivendo quello che è e ci offre da vivere – che possiamo gustare ’quanto è dolce essere amati dal Signore’.

    Occorre conoscerLo per poterLo attendere con amore: un’attesa che consenta l’irrompere nella nostra vita di Dio. Una irruzione che corrisponde ad un preciso Suo ‘sogno’ nei nostri confronti. Il ‘sogno’ di Dio è di poter nella libertà occupare il nostro cuore come e quando vuole. È un’irruzione che chiede la nostra disponibilità per poter avvenire, inaspettatamente, ma con la forza dirompente dell’amore.

    Così Gesù ci avverte della Sua venuta nel Vangelo di Luca:

    “In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: ‘Vi saranno segni nel cielo, nel sole, nella luna, nelle stelle e sulla terra angoscia di popoli, in ansia per il fragore del mare e dei suoi flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con potenza e gloria grande.

    Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia della terra.

    Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”. (Lc. 21, 25-36)

    Gesù ci ammonisce su quanto avverrà nella sua ultima venuta alla fine dei tempi. Ma noi sappiamo che a ‘quel giorno’ ci prepariamo ora, perché la vita è un continuo ‘tempo di avvento’, attesa di Dio. Occorre quindi che nella sincerità del cuore cerchiamo di prepararci, oggi.

    Volersi bene è essere talmente ‘dentro la vita’ dell’altro, tanto che egli occupa ogni spazio.

    Pensiamo all’amore vero tra due fidanzati, tra due sposi, dei genitori per il proprio figlio, di due amici. Ma se non ci si conosce, non ci si può voler bene.

    Noi vediamo che le nostre Chiese, dove più, dove meno, sono piene di gente che frequenta la Messa domenicale: non solo, ma spesso con troppa leggerezza, affermiamo che siamo credenti e battezzati. Ma oso fare una domanda seria a ciascuno di noi. Credenti in chi? Battezzati nel nome di chi? È davvero Gesù la Persona più cara che occupa a diritto ogni momento della vita, tanto da soffrire quando le eccessive occupazioni ci distraggono dal pensarLo o peggio le nostre debolezze offendono la Sua amicizia? Gesù è Colui che ‘conta’ nella vita? Oppure è troppo spesso ridotto a ‘qualcosa’ come una tradizione, anche religiosa, dove però il nostro cuore è lontano, dove la Sua parola non pesa e non è luce? Siamo testimoni credibili della Sua Presenza, di fronte a questo mondo pazzo, che pare affogare nella violenza e nell’odio, che inneggia alla fraternità, soprattutto a Natale, ma poi in pratica dileggia ogni concetto di giustizia, disprezza il grande dono della vita, che a volte urla il bisogno di Dio, ma non riesce ad alzare la testa in attesa della liberazione dal male, che Lui solo può realizzare?

    C’è il momento in cui Dio bussa alla porta e vuole entrare per sbrogliare la matassa della vita, personale e sociale, che non ha più né capo né coda senza di Lui. Noi stessi, che ci dichiariamo cristiani, non siamo a volte tentati di pensare che ciò è difficile, che è un miracolo che accade a pochi? La quotidianità afferma però il contrario, se abbiamo davvero occhi per vedere.

    C’è tanta gente, più di quanto si pensi, ‘nascosta con Cristo in Dio’, che non fa chiasso, ma ‘illumina le tenebre’, irradiando la Sua Luce di pace, di fraternità, di comunione, di solidarietà. Persone che non fanno cronaca, ma creano speranza; che seminano bene, senza la pretesa di raccogliere nulla.

    Sono coloro che hanno saputo aprire la porta del cuore a Lui e, in Lui, ad ogni fratello.

    Questo è davvero tempo di Grazia. Non viviamolo invano. Ascoltiamo l’invito di Papa Francesco: ‘Siamo arrivati alle soglie del Giubileo … Davanti a noi sta la grande porta della Misericordia di Dio ... La porta è generosamente aperta, ci vuole un po’ di coraggio da parte nostra per varcare la soglia. Ognuno di noi ha dentro di sé cose che pesano. Tutti siamo peccatori! Approfittiamo di questo momento che viene e varchiamo la soglia di questa misericordia di Dio che mai si stanca di perdonare, mai si stanca di aspettarci! Ci guarda, è sempre accanto a noi. Coraggio! Entriamo per questa porta! ... In verità, noi stessi siamo i custodi e i servi della Porta di Dio, e la porta di Dio come si chiama? Gesù! Egli ci illumina su tutte le porte della vita, comprese quelle della nostra nascita e della nostra morte. Egli stesso l’ha affermato: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10,9). … Così la Chiesa (ciascuno di noi) dovrà essere riconosciuta come la custode di un Dio che bussa, come l’accoglienza di un Dio che non ti chiude la porta in faccia, con la scusa che non sei di casa. Con questo spirito ci avviciniamo al Giubileo: ci sarà la porta santa, ma c’è la porta della grande misericordia di Dio! Ci sia anche la porta del nostro cuore per ricevere tutti il perdono di Dio e dare a nostra volta il nostro perdono, accogliendo tutti quelli che bussano alla nostra porta.”

    Antonio Riboldi, Vescovo
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    00 04/12/2015 23:19
    Omelia del giorno 6 Dicembre 2015

    II Domenica di Avvento

    Preparate la via del Signore



    Tanto ci colpiva la sintonia che esisteva tra il caro e Santo Giovanni Paolo II e i giovani: sintonia che ritroviamo intensa e profonda con Papa Francesco, che nei suoi viaggi sempre li incontra e sono i momenti più intensi e veri anche sul piano umano. Ricordo una risposta da vero maestro di S. Giovanni Paolo II ai giovani che lo interpellavano, in un incontro a Torino, in occasione del centenario di S. Giovanni Bosco. Gli avevano chiesto se riteneva che pace, sviluppo e solidarietà fossero obiettivi raggiungibili in questo nostro mondo e quale potesse essere il loro contributo. La risposta: “Potete essere ciò che gli uomini attendono da voi, se vi decidete ad agire. Solo abbiate la purezza delle motivazioni, che vi rende trasparenti; il respiro della speranza, che vi fa costanti; l’umiltà della carità, che vi rende credibili.’

    Parole che sembra di sentire riecheggiare in tanti inviti di Papa Francesco:

    “Non abbiate paura di Cristo Lui non vi toglie nulla e vi dona tutto … Pensate in grande! … Una delle più grandi sfide è quella di imparare ad amare … Non abbiate paura di amare! Ma, anche amando, preservate la vostra integrità morale … Siete chiamati a prendervi cura del creato, non solo come cittadini responsabili, ma anche come seguaci di Cristo! … Abbiate la cura per i poveri. Ma, per favore, date di più! Quando offrite qualcosa del vostro tempo, dei vostri talenti e delle vostre risorse alle tante persone bisognose che vivono ai margini, voi fate la differenza”.

    Sono esigenze che devono toccare ognuno di noi, qualsiasi sia la nostra età. È proprio del discepolo dare un contributo vitale, cooperare con il Suo Maestro a ‘raddrizzare i sentieri del Signore’.

    Diciamoci la verità: siamo davvero stanchi di feste che non sono feste; stanchi di correre dietro a mode che sono illusioni di poco tempo; stanchi forse del vuoto che c’è in noi o della pesantezza delle nostre colpe; stanchi e spaventati, in continuo stato di difesa, per la troppa violenza che ci circonda; stanchi di non sapere se qualcuno davvero esiste, in cui porre fiducia.

    Ma non sappiamo come scrollarci di dosso questa stanchezza, questa insicurezza e paura, che rischiano diventare un pericoloso cancro dell’anima, trasformandosi in indifferenza o in intolleranza, quando invece l’anima ha bisogno di quella pienezza di ‘salute’ che solo Dio può dare.

    Così il profeta Baruc, oggi, ci esorta:

    “Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivestiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre. Avvolgiti il manto della giustizia di Dio, metti sul capo il diadema di gloria dell’Eterno, perché Dio mostrerà il tuo splendore ad ogni creatura sotto il cielo.

    Sarai chiamata da Dio per sempre ‘Pace della giustizia e gloria della pietà’. Vedi, i tuoi figli, riuniti da occidente ad oriente alla Parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio. Si sono allontanati da te, ora Dio li riconduce. Poiché Dio ha stabilito di spianare ogni montagna e le rupi secolari, di colmare le valle e spianare la terra, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio”. (Baruc. 5, 1-9)

    E Paolo ci esorta: ‘Prego che la vostra carità cresca …. Perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio” (Fil 1, 4-6.8-11)

    Ma ci sono tanti atteggiamenti da cambiare.

    Un buon segno della ricerca di un cambiamento è la solidarietà verso chi è solo e cerca da noi amore e aiuto. E’ la strada buona che ci conduce a Betlemme. Bisogna però non fermarsi ad un momentaneo e fugace sentimento di pietà, ma condividere. Ci vuole il coraggio della fede e della carità. Non si può conoscere e creare speranza senza queste due sorelle: fede e carità. È davvero il momento, questo, di farci prendere il cuore dalla certezza che Dio ha ‘a cuore’ la nostra storia, quella personale e quella di tutti, e cerca di farsi strada...

    Questo, carissimi, è proprio il tempo in cui si deve avere la forza interiore, che è già dono dello Spirito, e domandarci se, nella nostra vita, c’è spazio per Dio e ‘cosa’ impedisce a che Lui si faccia vicino. È davvero il tempo di comprendere, per vivere, le esortazioni che ci vengono nel Vangelo, attraverso la voce di Giovanni il Battista: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri’, ossia le strade sbagliate che determinano le nostre scelte. Solo così, secondo il sogno di Dio per l’umanità, ‘ogni burrone sarà riempito, ogni monte e colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate.” (Lc 3, 1-6)

    Purtroppo a volte siamo noi a costruire ‘monti e colline’, che impediscono la visione di Dio, così come frenano i nostri passi o li fanno volgere in direzioni opposte a quella della felicità, dono di Dio, per cui ‘c’è più gioia nel dare che nel ricevere’. Siamo disposti a ‘spianare la via’ a Gesù che viene?

    Facciamoci senza timore scuotere dall’amore di Gesù, che sta venendo e cerca il Suo posto nella nostra vita. Iniziamo di cuore a camminare nella Chiesa, popolo di Dio, in questo anno del Giubileo della Misericordia, che inizierà l’8 dicembre, Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria.

    Quale ‘doppio’ dono e quale grazia, anche perché Maria non è solo la Mamma di Gesù, ma Gesù dalla croce ce l’ha donata come Mamma nostra, e in questi tempi, che sembrano a volte un venerdì di passione senza la domenica della resurrezione, attraverso di Lei davvero Dio vuole irrompere nella nostra vita. Come ha scritto Papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo:

    “Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato.”. Così sia!

    Antonio Riboldi - Vescovo
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    00 12/12/2015 12:59

    Omelia del giorno 13 Dicembre 2015


    III Domenica di Avvento


     


    Natale è vicino: ‘Che cosa dobbiamo fare?’


     


    Viviamo un tempo in cui tutto pare diventato violenza e si parla quotidianamente, forse troppo, dei massacri, senza pietà, dei terroristi islamici: non più uomini, ma pazzi gonfi di odio, che ammazzano vittime innocenti. Anni fa – e purtroppo ancora oggi, in certi quartieri – vi erano i mafiosi che si cercavano e rincorrevano per trucidarsi in una lotta senza quartiere, spesso colpendo ‘per sbaglio’ degli innocenti; negli anni ’70 lo Stato ha dovuto combattere contro il terrorismo rosso e nero. Se quest’ultimo si ‘ammantava di una qualche giustificazione ideologica’, dietro alle faide, come ai massacri dei fondamentalisti oggi, non c’è altro che una spaventosa rincorsa a inqualificabili interessi, che messi insieme formano un capitale da capogiro: interessi che coinvolgono strutture, persone che si presentano come ‘salvatori della patria’, dopo averne martoriato i cittadini, fino ai Governi. Si è creato così ‘un pezzo di terza guerra mondiale’, come l’ha definita Papa Francesco, in cui chiunque può essere il nemico, generando diffidenza tra i responsabili delle Nazioni e paura tra le popolazioni.


    Ormai è evidente che la violenza e l’odio vogliono distruggere ogni tipo di relazione, basata sul dialogo e sul rispetto reciproco. Siamo come assediati, da troppi fatti, che mettono in dubbio la stessa speranza e il desiderio di una possibile pace, giustizia e serenità.


    ‘Non se ne può più’ si sente affermare tante volte.


    In una tale situazione opprimente e incerta, la Parola di Dio ci sollecita a essere lieti. Questa III domenica dell’Avvento è infatti definita ‘Gaudete’, cioè gioite.


    Così, esprime la gioia il profeta Sofonia: “Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la sua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d’Israele è il Signore in mezzo a te, tu non temerai più alcuna sventura. In quel giorno si dirà a Gerusalemme: ‘Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un Salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia”.(Sof. 3, 14-18)


    Ed intenso è l’invito che ci propone S. Paolo, nella seconda lettura: “Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù”. (Fil 4, 4-7)


    È possibile accogliere e vivere questi inviti così forti alla gioia, in mezzo a così tante tribolazioni e sofferenze? Sì, perché la nostra letizia ha una sola motivazione: Gesù è vicino.


    E nella consapevolezza della nostra miseria si avverte ancor più di quanto ci sia davvero un Natale di Gesù necessario per tutti! Ma occorre entrare in un vero spirito di attesa, per ‘cambiarci dentro’. In questo ci aiuta oggi l’evangelista Luca, presentandoci le folle, che andavano nel deserto da Giovanni Battista e lo“interrogavano, dicendo: ‘Cosa dobbiamo fare?’.


    Una esortazione anche per noi ad uscire dal chiasso della vita e recarci ‘nel deserto’, luogo di riflessione, di confronto con la Parola, e quindi di esame di noi stessi con sincerità.


    È un grande dono arrivare a chiederci: ‘E io che devo fare?’.


    Una domanda che credo ci poniamo tutti, ma proprio tutti, oggi, quando sentiamo il bisogno di trovare la luce, e quindi di capire, udire, sentire l’amore del Padre che ci sta cercando, attraverso la venuta del Figlio Gesù. Questo è il vero dono del Natale di Gesù.


    Sarebbe davvero un grave danno per la nostra vita – quella dello spirito che conta davvero – se non ce la ponessimo, rimanendo dove siamo, senza tener conto di ‘come siamo’ agli occhi di Dio e soprattutto se mancasse in noi la volontà di mettere alle spalle gli sbagli, che ci separano da Dio e non Gli consentono di ‘venire’ nella nostra vita.


    Allora Giovanni il Battista suggeriva atteggiamenti concreti da cambiare: ‘‘Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha e chi ha mangiato ne dia a chi non ne ha”. Dava risposte nette alle varie categorie di persone che lo interpellavano: a quanti esigevano troppe tasse, per intascarne una parte, o facevano prestiti onerosi, come i pubblicani,: ‘non esigete più di quanto è fissato’.


    Ai soldati, che praticavano il diritto alla razzìa e al saccheggio nei territori occupati: ‘Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, ma contentatevi delle vostre paghe’.


    Ma rendendosi conto che molti ‘si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: ‘Io vi battezzo con acqua, ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali’ (Lc. 5, 10-18)


    Giovanni ha testimoniato con la sua vita, cosa significa attendere il Signore che viene, diventando un modello sempre attuale per ogni cristiano, per ciascuno di noi.


    Come Giovanni Battista, ha detto Papa Francesco, un cristiano non annunzia se stesso, annunzia un altro, prepara il cammino a un altro: al Signore. Un cristiano deve sapere discernere, deve conoscere come discernere la verità da quello che sembra verità. E un cristiano dev’essere un uomo che sappia abbassarsi perché il Signore cresca, nel cuore e nell’anima degli altri” … e nel suo proprio cuore, perché non si può testimoniare, se non si fa l’esperienza quotidiana di vivere per Lui e con Lui!


    Questo è ciò che ”dobbiamo fare!”


     


    Antonio, Vescovo


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    00 19/12/2015 14:00
    Omelia del giorno 20 Dicembre 2015

    IV di AVVENTO

    Beata te che hai creduto



    A Fatima, se si è avuta la gioia di andare, ricorderete come sul frontale della basilica campeggiano le parole di Elisabetta a Maria: ‘Beata te, che hai creduto’.

    Sono le stesse parole che Elisabetta rivolge nel Vangelo di oggi a Maria, che va a visitarla dopo l’annuncio dell’Angelo. Maria ed Elisabetta, due donne che Dio aveva preparato e formato dall’eternità, in quel preciso piano di amore e di salvezza a cui siamo chiamati anche noi, tutti gli uomini, seppure in maniera diversa.

    La Madonna era giovane, giovanissima. La sua vita doveva essere così modesta, in quell’angolo sperduto, che era il villaggio di Nazareth, che la sua presenza non era avvertita da alcuno, tranne che da Dio che la custodiva, fino al tempo dell’Annuncio. E Maria, immediatamente, come è lo stile delle persone umili che non danno spazio a inutili bagliori umani, si rende disponibile, non per ragionamenti umani, ma affidandosi alla fede.

    Lontano da lei, Elisabetta, non più giovane, sicuramente aveva offerto a Dio la sofferenza per la sua sterilità. Non aveva ancora , forse, capito che i tempi di Dio non sono i tempi degli uomini. Anche lei lo viene a sapere inaspettatamente dalla bocca dell’Angelo, messaggero di Dio, che fa partecipe il marito in preghiera del disegno dell’Altissimo: sarà madre di Giovanni il Battista, il Precursore del Messia, Gesù di Nazareth.

    L’incontro delle due donne diventa così l’incontro di due ‘annunci dal Cielo’: l’incontro di due atti di grandissima fede, che le renderanno protagoniste di promesse divine.

    Questi due atti di fede si incontrano nella visita di Maria alla cugina Elisabetta, dove hanno la conferma che è proprio vero quello che Dio ha annunciato.

    Così racconta l’incontro l’evangelista Luca:

    “In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: ‘Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento della parola del Signore!’. Allora Maria disse: ‘L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l’umiltà della Sua serva’. (Lc. 1, 39-48)

    E così, ‘due povere donne’ agli occhi del mondo, che non attendevano e non chiedevano chissà quali segni particolari da Dio, per sentirne la Presenza, divengono, per il loro disinteresse, generosità, apertura vicendevole, ‘luogo’ della manifestazione stessa di Dio.

    Ai fedeli raccolti nei Giardini Vaticani per la recita del Rosario, a conclusione del mese di maggio del 2014, Papa Francesco ha suggerito un nuovo titolo con il quale rivolgersi alla Madonna:

    “Ci dice il Vangelo che, dopo l’annuncio dell’Angelo, lei è andata in fretta, non ha perso tempo, è andata subito a servire. E’ la Vergine della prontezza, la Madonna della prontezza … Subito è pronta a venire in aiuto a noi quando la preghiamo, quando noi chiediamo il suo aiuto, la sua protezione a nostro favore. Nei tanti momenti della vita nei quali abbiamo bisogno del suo aiuto della sua protezione, ricordiamo che lei non si fa aspettare: è la Madonna della prontezza, va subito a servire”.

    Maria viene in nostro aiuto, per far sì che ne seguiamo l’esempio.

    Questo episodio evangelico ci richiama al nostro dovere di carità, di farsi vicini o visitare tanti, per portare serenità e gioia. Soprattutto verso chi non sta bene o è afflitto.

    È tempo di aprirci all’Amore che Dio ha per noi, per poi donarlo agli altri, come fu per Maria SS.ma con S. Elisabetta. È tempo di generosità, di accoglienza, di solidarietà.

    Un sorriso, una mano che si apre ai poveri, un atteggiamento di tolleranza, che diviene accoglienza, verso chi già è più fragile, perché si sente ‘straniero in terra straniera’, e i tanti infiniti modi di dire, anche ai più vicini, che li si ama, che siamo contenti di essere amati, diventano il grande annuncio: Gesù viene, Gesù è venuto, Gesù verrà nella Sua Gloria!

    ‘Prepariamo la via, raddrizziamo i nostri sentieri’, amandoci vicendevolmente e di vero cuore.

    E’ la via giusta, infallibile, che fa sussultare Dio, che è nascosto in tanti fratelli e sorelle, attendendo di nascere, grazie anche al nostro amore, che diviene segno e rivelazione dell’Amore Misericordioso di Dio.

    Antonio Riboldi - Vescovo
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    00 26/12/2015 22:22
    Lo stupore e la gioia del Natale



    “Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: ‘Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere’. Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E, dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.” (Lc. 2, 15-20)

    È questo il Vangelo della Messa dell’aurora di Natale.

    In esso echeggia una parola che Papa Francesco, nell’Angelus di domenica ha messo in rilievo, giustamente: lo stupore.

    Accostarsi al Natale con fede, meglio ancora ‘vivere’ il S. Natale, è provare lo stupore dei pastori, che obbedirono all’invito dell’Angelo di andare alla grotta, perché là era nato il Salvatore del mondo, Gesù, il Figlio di Dio.

    Agli occhi degli uomini superbi ed arroganti, quel bambino, posto in una mangiatoia, dice nulla di interessante, ieri e, forse, per tanti, anche oggi.

    Ma quel bambino, che ha scelto la nudità di una mangiatoia, quasi volesse prendere a schiaffi la nostra superbia o superficialità, non è un bambino ‘qualunque’ – sempre che davanti agli occhi di Dio possano esistere ‘bambini qualunque’! –

    Quel Bambino è il segno vivente dell’Amore di Dio-Padre, che non ha bisogno, come noi uomini, di ricoprirsi con effimere vesti o maschere di gloria, perché l’Amore ama la verità, la semplicità: è splendore in se stesso. Così Dio inizia la Sua Presenza tra noi, nella beatitudine della povertà in spirito, e solo chi ha gli occhi del cuore pieni di questa ‘beatitudine’ può cogliere la grande gioia, di cui Dio ci fa dono.

    Ma come comunicare, dunque, agli uomini di oggi, di sempre, la bellezza celeste del Natale di Gesù?

    A quante voci di mercato la gente dà ascolto nella lunga veglia del Natale, per fare ‘un buon Natale’ – come è nel gergo mondano – dando di conseguenza un calcio alla pietà per tanti che soffrono e che forse attendevano, proprio nel nome di Gesù, una condivisione di beni e di gioia!

    È il fragore della nostra superbia, del nostro egoismo, che non accetta la bellezza dell’umiltà e della sobrietà, della povertà interiore, che si fa carità, come quella dei ‘pastori’. E così si rifiuta inconsciamente di ospitar Gesù, che è tra noi.

    C’è nel Vangelo una piccola frase, che descrive il rischio, che tutti corriamo, di rifiutare Gesù nel povero: ‘Non c’era posto per loro in albergo’.

    Come si vorrebbe fosse sempre evitato questo atteggiamento, che causa sofferenza, ma anche ‘impoverisce’ e danneggia chi vive il rifiuto dei fratelli!

    Nell’Angelus di domenica, Papa Francesco ha spiegato che “per celebrare in modo proficuo il Natale siamo chiamati a soffermarci sui luoghi dello stupore... Quali sono questi luoghi nella vita quotidiana? Sono tre. Il primo è l’altro nel quale riconoscere un fratello, perché da quando è accaduto il Natale ogni volto porta impresse le sembianze del figlio di Dio, soprattutto quando è povero. Un altro luogo dello stupore in cui se guardiamo con fede proviamo lo stupore è la Storia. Tante volte crediamo di vederla per il verso giusto e invece la leggiamo alla rovescia, specie quando è regolata dagli affari e dai poteri di turno. Il Dio del Natale è un Dio che scombina le carte, come canta Maria nel Magnificat. Un terzo luogo è la Chiesa, guardarla non limitandosi a considerarla solo come un’istituzione religiosa ma sentirla come una madre, che pur tra macchie e rughe lascia trasparire i lineamenti della madre e sposa del Signore, che sa riconoscere i segni dell’Amore di Dio. Una Chiesa per la quale Gesù non sarà mai un possesso da difendere gelosamente! La Chiesa che chiama il Signore, la Chiesa madre che sempre ha le porte spalancate e le braccia aperte per accogliere tutti. Anzi, la Chiesa madre che esce dalle proprie porte per cercare con il sorriso di madre tutti i lontani per portarli alla misericordia di Dio. Questo è lo stupore del Natale. A Natale Dio ci dona tutto. Solo con il cuore di Maria, è possibile esultare e rallegrarsi per il grande dono di Dio e la sua imprevedibile sorpresa. Ci aiuti lei a percepire lo stupore … Non possiamo incontrare Gesù se non lo incontriamo nell’altro, nella storia e nella chiesa”.

    E allora più che raccontare il Natale o fare facili auguri, viene voglia di vivere questo incredibile evento di Dio, che si fa ‘Emmanuele’, Dio-con-noi, ‘lontano dalla città’, ossia lontano anche solo dalle voci di mercato, che è il nostro mondo dentro e fuori di noi, dove il silenzio non ha paura della solitudine, ma diventa luogo ideale per cantare con il cuore: ‘Vieni, Signore Gesù!’. un luogo unico per ascoltare in tutta la sua purezza la Voce di Gesù, che si fa vicino a noi, tanto vicino da non aver paura, per poter assaporare fino in fondo la gioia di essere amati da Dio: una gioia che poi si faccia sorriso, accoglienza, perdono offerto a quanti ci sono vicini, fino a riempire di bellezza tutto.

    Credo sia necessario che Gesù, presentatosi povero tra noi, ritrovi tra noi ‘gli angeli’ che annunziano a chi soffre che Lui è venuto anche per loro. Dobbiamo davvero riappropriarci del Natale come una rivelazione dell’amore di Dio per tutti e per ciascuno e ‘pieni di stupore’ diventare così ambasciatori di giustizia, di solidarietà, perché nessuno sia escluso dalla gioia di Dio.

    NB: Voglio assicurare tutti voi, che mi seguite nella ricerca di Gesù, accogliendo l’invito degli Angeli ai pastori, che a Natale tutti, ma proprio tutti, vi avrò vicini nella preghiera, perché a tutti e a ciascuno Dio doni la Sua Gioia e tanta Pace. E grazie di cuore per la vostra amicizia, così a me tanto cara e preziosa!


    Antonio, Vescovo
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    00 01/01/2016 22:34
    Vi do la mia pace



    Oggi, solennità che la Chiesa dedica a Maria Madre di Dio e Giornata della pace, seppure in mille modi diversi, tutti, ma proprio tutti, abbiamo bisogno di ritrovare la pace.

    Vi sono tante domande nel nostro cuore che, umanamente, restano senza risposte; tanti ‘perché’, che paiono non avere un senso. Spesso restiamo frastornati, confusi, e qualcuno angosciato, dalle tante notizie, a volte agghiaccianti, che rendono l’aria irrespirabile.

    Qualcuno, anche tra noi, discepoli di Gesù, può giungere a chiedersi: ‘Ma Dio dov’è?’.

    Carissimi, Dio è qui, è in mezzo a noi, continua a prendersi cura di ciascuno di noi, come solo un Padre tenerissimo può fare, ma mai rinuncerà a desiderare da noi un amore corrisposto, libero. È il più grande dono che ci ha fatto: la libertà, di cui l’amore vero si nutre nella verità.

    Non ci tratta come ‘burattini’, perché per Lui siamo figli!

    Oggi, nel Vangelo, proprio attraverso la Madre del Suo figlio e nostra Mamma celeste, ci offre un esempio di come imparare ad essere figli. Dopo la nascita di Gesù, di fronte a quello che i pastori avevano riferito di ‘ciò che del bambino era stato detto loro … Maria da parte sua custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore’. (Lc 2, 16-21)

    Non è facile imparare a leggere nella storia e nelle nostre vicende personali con occhi di fede. È necessario contemplare il Bambino e Sua Madre e Sua Discepola nella fede. Occorre lasciare che la Luce dissipi le nostre tenebre, nel silenzio della preghiera e nella carità operosa, chiedere di essere illuminati interiormente e rafforzati nella speranza. Solo lo Spirito di Dio può operare il grande miracolo di saperci fidarsi di Dio e credere senza tentennamenti che ‘tutto coopera al bene per chi Lo ama’. Questa è la via, come scrive S. Paolo ai Galati, per sentirci ed essere figli:

    “E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del Suo Figlio, il quale grida: ‘Abbà! Padre!’. Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio”. (Gal. 4, 4-7)

    La consapevolezza di essere figli ci rassicura, perché significa ‘essere custoditi’ dal Padre, che è fedele e Misericordioso, sempre, nonostante tutte le nostre miserie, e desidera con tutto se stesso di poterci ‘concedere la Pace’, perché possiamo diventare ‘operatori di pace’.

    Ricordiamo le parole iniziale di Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata mondiale della Pace, che vi invito a leggere: “Dio non è indifferente! A Dio importa dell’umanità, Dio non l’abbandona! All’inizio del nuovo anno, vorrei accompagnare con questo mio profondo convincimento gli auguri di abbondanti benedizioni e di pace, nel segno della speranza, per il futuro di ogni uomo e ogni donna, di ogni famiglia, popolo e nazione del mondo, come pure dei Capi di Stato e di Governo e dei Responsabili delle religioni. Non perdiamo, infatti, la speranza che il 2016 ci veda tutti fermamente e fiduciosamente impegnati, a diversi livelli, a realizzare la giustizia e operare per la pace. Sì, quest’ultima è dono di Dio e opera degli uomini. La pace è dono di Dio, ma affidato a tutti gli uomini e a tutte le donne, che sono chiamati a realizzarlo.

    E seguendo il suo esempio affidiamoci ‘all’intercessione di Maria Santissima, Madre premurosa per i bisogni dell’umanità, affinché ci ottenga dal suo Figlio Gesù, Principe della Pace, l’esaudimento delle nostre suppliche e la benedizione del nostro impegno quotidiano per un mondo fraterno e solidale.’

    Questo è il mio augurio più sincero, nella preghiera, per il nostro 2016, ringraziando il Signore del tempo che ci concede per imparare a vivere da figli e poter, un giorno, esserlo in pienezza.

    Antonio Riboldi - Vescovo
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    00 09/01/2016 13:43
    Il Battesimo, rinascere a vita nuova



    E’ bello immaginare un istante la scena che precede il Vangelo di oggi, riguardante il ‘battibecco’ tra Giovanni il Battista, che si rifiuta di battezzare nell’acqua Gesù, il Messia, e questi che invece insiste ed ottiene di essere battezzato (Mt 3, 13-15)

    Aveva pienamente ragione Giovanni di opporsi: quale peccato poteva essere da cancellare in Cristo, Figlio di Dio, il Santo dei santi? Giovanni per diventare ‘servo di Dio’ aveva scelto il deserto, la penitenza, la preghiera. Sapeva che ogni uomo ha bisogno di una conversione totale, un cambiamento di mentalità, di ‘morire a se stesso’, per vivere ‘una vita nuova, secondo Dio’.

    E si ritrova ritto davanti a sé, in mezzo al fiume Giordano, Gesù, il Figlio di Dio, che poteva far risplendere della Sua Luce divina tutto ciò che gli stava intorno, in attesa di essere battezzato! Quanta umiltà in questo gesto di purificazione del nostro Maestro.

    Solo una libertà piena consente una sottomissione vera!

    Gesù non ebbe paura di farsi giudicare ‘peccatore’ da quanti assistevano alla scena: Lui sapeva di avere sulle spalle tutti i peccati del mondo, anche i miei. Lui, Agnello immacolato che toglie i peccati del mondo, in quel momento accetta di farsi togliere i peccati del mondo, come fossero suoi.

    È e sarà fino alla fine solidale, fino a dare la vita, per l’umanità.

    Dice il Vangelo che ‘Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera’: questa è la via maestra per entrare nel Mistero di Dio, trasformando la nostra quotidianità di battezzati nel profondo. E la risposta del Padre non si fa mai attendere: ‘Il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: ‘Tu sei il Figlio mio, l’amato, in Te ho posto il mio compiacimento.”. (Lc. 3, 15-22)

    Sì, siamo figli di Dio, amati! Il nostro Battesimo, è stato il grande evento della nostra nuova vita. Non siamo più ‘uomini senza Cielo’, ma ‘uomini del Cielo, figli di Dio’: è la vita da cristiani.

    Ma occorre ridare al nostro Battesimo quella solennità e consapevolezza, che poi si proietta nella vita. Quando lo abbiamo ricevuto, come dono, eravamo inconsapevoli di tale grandezza, ma oggi non possiamo più considerarlo solo una consuetudine, un motivo ‘per far festa’.

    Il santo Battesimo non può quindi essere una formalità, un motivo ‘per far festa’, ma senza seguito. È stato il grande evento della nuova vita, che ci ha aperto le porte, se vogliamo, ad una vita da santi, al Paradiso.

    Ricordo il racconto di mamma sul mio Battesimo. Per lei e papà era grande certamente il dono che Dio aveva fatto nel concedere loro i figli. Ma sapevano bene che un figlio è ‘come incompleto’, se non diviene quello che per loro era ‘la bellezza di una vita in Cristo’.

    Nato il 16 gennaio, nonostante il freddo, vollero fossi battezzato il giorno dopo. E, senza alcuna cornice di esteriorità, nonostante il tempo inclemente, papà con il padrino mi portò al fonte battesimale. Era la festa di S. Antonio abate e mi dettero il suo nome.

    Per i miei diventare figlio di Dio era la ‘vera nascita’, che dava ‘senso alla mia vita’ e quel giorno divenne sempre il riferimento del come impostare poi la mia vita ‘da battezzato’.

    Tutta l’educazione era impostata sul Battesimo, sul ‘diventare un vero cristiano’.

    Nel giorno del Battesimo, come presi per mano dai nostri genitori, abbiamo iniziato il nostro cammino di fede. Ma è ancora così?

    Vorrei ricordare quanto il sacerdote chiede ai genitori e padrini, prima del Battesimo:

    Cosa chiedete alla Chiesa di Dio per questo bambino o bambina? – Il Battesimo e la fede.

    Siete disposti ad educarli secondo la nostra fede? Cioè ad accompagnarli nel cammino della fede dal momento del Battesimo fino alla loro consapevole e libera scelta … ed oltre? Ad essere quindi maestri e testimoni?

    E durante la cerimonia ancora chiede, se ricordate:

    Rinunciate a satana e alle sue opere? E, incalzando,

    Credete in Dio Padre, in Gesù ….. e snocciola i principi della nostra fede, come un rosario da ricordare sempre, per concludere … Questa è la nostra fede.

    È il grande impegno che ogni papà, mamma, padrino o madrina del battezzato si assumono per accompagnarlo nella sua crescita spirituale.

    E’ la strada della nostra completa realizzazione, come persona, se, nella preghiera e nella carità vissuta, sapremo diventarne sempre più liberamente consapevoli, per crescere giorno dopo giorno in santità di vita, che altro non è che lasciarci amare dal Padre, illuminare dallo Spirito, seguendo Gesù che ‘ci ha amati dando la vita per noi, suoi amici’, chiedendoci di amare i fratelli con il Suo stesso amore.

    Innalziamo a Lui la nostra preghiera:

    Signore Gesù, ti ringraziamo perché sei venuto in mezzo a noi,

    perché sei vicino a ogni uomo,

    perché il tuo amore non viene mai meno.

    Nel Battesimo ci hai rigenerati,

    siamo diventati tuoi fratelli, membri della stessa famiglia.

    Alimenta la nostra speranza,

    perché diventiamo costruttori di un mondo nuovo,

    e viviamo nell’attesa che si compia la pienezza del tuo Regno.



    Antonio Riboldi, Vescovo
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    00 17/01/2016 07:40
    Omelia del giorno 17 Gennaio 2016

    II Domenica Tempo Ordinario

    Qualsiasi cosa vi dica, fatela


    Le feste natalizie hanno puntato tutta l’attenzione sull’incredibile grandezza del Cuore di Dio che viene incontro, sempre, ai bisogni dell’umanità, mandandoci Suo Figlio, nato da Maria Vergine a Betlemme. Non so se tutti siamo riusciti a spalancare le nostre porte a Maria che chiedeva ospitalità nella nostra vita per consegnarci Gesù. Speriamo che non si sia raffreddato il nostro amore.

    Affermava Sant’Agostino: ‘La freddezza dell’amore diventa il silenzio del cuore; l’ardore dell’amore invece è il grido del cuore. Se resta sempre vivo l’amore, tu gridi sempre; se gridi sempre, tu desideri sempre; se desideri hai il pensiero rivolto alla pace’.

    Del primo affacciarsi alla vita di Gesù-Uomo, i Vangeli ci hanno detto ben poco: semplici tratti e poi, dopo lo ‘smarrimento’ nel tempio, a 12 anni, cala il silenzio. È un silenzio in cui Dio non ha voluto che curiosassimo, perché era il tempo della ricerca, della preparazione, della conoscenza.

    Gesù era pienamente uomo e, come tale, necessitava di ‘essere educato’.

    Deve essere stato stupendo per Maria e Giuseppe vivere accanto a Gesù, che ‘cresceva in età, sapienza e grazia’, in quel silenzio e nascondimento così lungo: nella semplicità della vita familiare, nella preghiera, nei dialoghi, che certamente ci saranno stati, per ‘leggere’ la storia di Dio tra gli uomini, nell’apertura accogliente ai vicini e paesani.

    Poi venne il giorno in cui Gesù comincia, pubblicamente, ‘a fare la volontà del Padre’, che è il desiderio, sempre, di amarci e farci suoi figli. È il giorno in cui Gesù lascia Nazareth per mettersi sulle vie dell’uomo. Tanto grande è l’inizio della missione di Cristo, che così era stata profetizzata da Isaia:

    “Per amore di Sion non tacerò; per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finche non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada. Allora le genti vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria; sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del Signore indicherà. Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo. Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te”. (Is. 62, 1-5)

    E come a voler spiegare queste parole, che sanno di una promessa di matrimonio tra Dio e l’uomo, un matrimonio a cui Dio sarà ed è fedele per sempre, Gesù compie il suo primo miracolo a Cana, proprio durante una festa di nozze, quasi a voler privilegiare matrimonio e famiglia, due capisaldi dell’umanità, e farci comprendere che è venuto a portarci la Buona Novella, che è la nostra realizzazione e felicità in ogni momento d’amore quotidiano, silenzioso o festoso, di gioia o di difficoltà, sempre, perché la nostra vita sia piena della Sua stessa Vita.

    Racconta l’evangelista: “In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la Madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: ‘Non hanno più vino’. E Gesù le rispose: ‘Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora’. Sua madre disse ai servitori: ‘Qualsiasi cosa vi dica, fatela’. Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri.

    E Gesù disse loro: ‘Riempite di acqua le anfore’; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: ‘Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto’. Ed essi gliele portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua - chiamò lo sposo e gli disse:

    ‘Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora’. Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù: egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.”. (Gv. 2, 1-11)

    Se c’è una realtà che dovrebbe essere sempre difesa, conservata, con tutte le forze, come fondamento della nostra società, è proprio l’amore vero. Ma sono tante le difficoltà, che incontriamo nell’amare. È certo che la causa di tanti fallimenti nell’amore viene proprio da un ‘terribile oscuramento delle coscienze’, che il Vangelo pare evidenziare nella ‘mancanza di vino’!!

    Solo Gesù può donarci il ‘vino nuovo’, che sorprende tutti. Ma per gustare il ‘vino nuovo’ è necessario voler vivere l’esperienza dell’amore vero, che è davvero l’impronta di Dio in noi.

    E in questo cammino Maria, la Mamma che ci è stata donata, è davvero per noi guida sicura e maestra, che ci accompagna e ci indica cosa fare, sempre: Disse Papa Francesco in un video messaggio, al Santuario del Divino Amore: “Chi guarda la Vergine Maria? Guarda tutti noi, ciascuno di noi. E come ci guarda? Ci guarda come Madre, con tenerezza, con misericordia, con amore. Così ha guardato il figlio Gesù, in tutti i momenti della sua vita, gioiosi, luminosi, dolorosi, gloriosi, semplicemente con amore. Quando siamo stanchi, scoraggiati, schiacciati dai problemi, guardiamo a Maria. … La Madonna ci conosce bene, è mamma, sa bene quali sono le nostre gioie e le nostre difficoltà, le nostre speranze e le nostre delusioni. Quando sentiamo il peso delle nostre debolezze, dei nostri peccati, guardiamo a Maria, che dice al nostro cuore: "Rialzati, va’ da mio Figlio Gesù, in Lui troverai accoglienza, misericordia e nuova forza per continuare il cammino". Maria ci dice: "Guarda al mio Figlio Gesù, ascoltalo, parla con Lui. Non avere paura! Lui ti insegnerà a seguirlo per testimoniarlo nelle grandi e piccole azioni della tua vita, nei rapporti di famiglia, nel tuo lavoro, nei momenti di festa; ti insegnerà ad uscire da te stesso, da te stessa, per guardare agli altri con amore, come Lui che non a parole, ma con i fatti, ti ha amato e ti ama!".

    Fidiamoci dunque della Madre della Divina Misericordia, che ci dice, oggi: ‘Qualsiasi cosa vi dica, fatela’.

    Antonio, Vescovo
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    00 24/01/2016 10:08
    Lo Spirito del Signore è sopra di me
    Il Vangelo di oggi ci descrive la prima comparsa in pubblico di Gesù, la sua prima predica', proprio a Nazareth, sua città natale. Gesù ha forse voluto scegliere, tra tutto il popolo eletto che era venuto a salvare, il pulpito più povero': sì, perché Nazareth era considerata allora dai Giudei la città più ignorante, non solo, ma più lontana da Dio fino a sfiorare l'ateismo; tale da non meritare nessuna stima, ma solo disprezzo. Ma è proprio di Gesù partire dalla povertà, perché questa non impedisca lo splendore delle opere del Padre. Racconta Luca: "Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle sinagoghe e tutti ne facevano grandi lodi. Si recò a Nazareth, dove era stato allevato ed entrò, secondo il suo solito, di sabato, nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia. Apertolo, trovò il passo dove era scritto: ?Lo Spirito del Signore è sopra di me: per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato ad annunciare ai poveri il lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore'. Poi arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi su di lui. Allora egli cominciò a dire: ?Oggi si è adempiuta la Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi". (Lc. 4, 14-21)
    Ecco il segreto di Gesù, che poi è il segreto di tutta la Chiesa nell'annunziare il lieto messaggio ai poveri: avere coscienza della pienezza dello Spirito Santo che accompagna e rende viva la parola annunciata. Oggi siamo in tanti a parlare, a fare. Ma, spesso, nei migliori dei casi, si ha l'impressione di ?battere l'aria' senza lasciare una traccia di verità, di serenità, di ?buona novella' insomma. Eppure, come Gesù, i suoi discepoli, la sua Chiesa, in virtù del battesimo e della confermazione hanno non solo la missione, ma soprattutto l'ispirazione, data dalla presenza dello Spirito, per rendere viva la parola, ma solo se è accompagnata dalla testimonianza, che altro non è che affermare: ?Ciò che dico è vero, perché lo vivo, o almeno mi sforzo di viverlo!'.
    Essere cristiani non è solo un modo di dire, ma un modo di vivere la fede, che si esprime nel come pensiamo, come parliamo, come ci comportiamo, insomma nel come ?viviamo Cristo', sotto l'azione dello Spirito, perché, come ha affermato Papa Francesco: ?Lo Spirito Santo nel Battesimo cristiano è l'artefice principale: è Colui che... ci trasferisce nel regno della luce, cioè dell'amore, della verità e della pace.... La realtà stupenda di essere figli di Dio comporta la responsabilità di seguire Gesù, il Servo obbediente, e riprodurre in noi stessi i suoi lineamenti: cioè mansuetudine, umiltà, tenerezza. E questo non è facile, specialmente se intorno a noi c'è tanta intolleranza, superbia, durezza. Ma con la forza che ci viene dallo Spirito Santo è possibile!... Lo Spirito spinge la nostra vita sul sentiero impegnativo ma gioioso della carità e della solidarietà verso i nostri fratelli. Lo Spirito ci dona la tenerezza del perdono divino e ci pervade con la forza invincibile della misericordia del Padre. Non dimentichiamo che lo Spirito Santo è una presenza viva e vivificante in chi lo accoglie, prega in noi e ci riempie di gioia spirituale.'
    Occorre, dunque, prendere coscienza che non possiamo più essere cristiani di ?facciata', ma dobbiamo diventare cristiani ?vivi', che, dove sono, operano ?ispirati', ossia mossi dallo Spirito Santo.
    È difficile? Sì, ma possibile per la forza dello Spirito che ci guida e necessario se vogliamo ?realizzare' noi stessi ed aiutare gli altri, crescendo insieme nella fede e nella santità.
    Non è più tempo - e sono certo che voi, che siete ?di buona volontà', siate d'accordo - di ?segni senza significato', ma è tempo di presenze che tornino ad essere ?sale della terra e luce del mondo'.
    Possiamo facilmente immaginare lo stupore dell'assemblea di Nazareth nel sentire che la profezia di Isaia si ?incarnava' in quel giovane, Gesù, che loro da sempre conoscevano come ?il figlio del falegname'. E ancor più stupefacente - in quell'epoca, simile alla nostra, dove i deboli erano emarginati, privi di ogni diritto, come non avessero posto nel cuore dei fratelli,- era l'affermazione:'Mi ha mandato ad annunciare ai poveri il lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore'.
    È lo stesso problema e necessità che si pone anche oggi.
    Basta avere uno sguardo illuminato dallo Spirito, per vedere come il mondo sia diviso in chi si realizza e conta e in chi è messo al bando senza pietà. Una divisione che non è solo bestemmia alla giustizia umana e divina, ma è sempre sorgente di guerre aperte e sotterranee.
    Ma la Chiesa - noi, che ci diciamo Chiesa - dobbiamo sentire rivolto a noi, quell' OGGI si è adempiuta la salvezza': è un ?oggi' che non ha una valenza cronologica, ma salvifica. È il nostro presente, in cui, con la venuta di Gesù, avendo lo sguardo fisso su di lui, come unico punto di riferimento per le scelte della nostra vita, possiamo conoscere e imparare ad amare Dio, in Lui resosi visibile, aprendoci ai fratelli, soprattutto i più deboli, che sono ?la Sua carne'
    Per grazia di Dio, tanti, in tanti modi, questo ?oggi' lo stanno già attuando nelle innumerevoli forme della carità, animata dallo Spirito Santo.
    Paolo, scrivendo ai Corinzi, ci viene incontro, dando una risposta alla nostra domanda: Come possiamo noi cristiani realizzare quell'OGGI di Gesù?
    "Fratelli, come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra, e tutte le membra pur essendo molte sono un solo corpo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo... Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. ORA VOI SIETE CORPO DI CRISTO E SUE MEMBRA, CIASCUNA PER LA SUA PARTE.... (Ef. 12, 12-31)
    Con una chiarezza davvero incredibile, Paolo descrive i carismi di ciascuno. E ce ne sono tanti, che si adattano alle varie necessità di una Chiesa che vuole essere tutta missionaria, non lasciando alcuno con le mani in mano! Si tratta qui di tutti i carismi, anche gli apparentemente più ?semplici', legati alle realtà dove siamo e per ciò che facciamo. Nel piano di carità e di salvezza, che Dio ha disposto per tutti, ha fatto in modo che ciascuno, senza eccezioni, sia costruttore. Dai genitori agli educatori, ad ogni fedele. C'è davvero posto e necessità che tutti, ma proprio tutti, ciascuno con il suo carisma, mettiamo mano all'edificazione del Regno di Dio e, quindi, ad un mondo più giusto, più bello.
    Non è ammesso il disimpegno, perché sarebbe come fare mancare il nostro necessario apporto, creando un ?vuoto' nell'edificazione del Regno e nella comunità.
    Forse qualcuno, leggendo queste mie riflessioni, si è chiesto: ?Ma cos'è, di fatto, un carisma? Qual è il mio? Cosa posso farne?'. Lascio che risponda Papa Francesco:
    Nel linguaggio comune, quando si parla di "carisma", si intende spesso un talento, un'abilità naturale.... Nella prospettiva cristiana, il carisma è ben più di una qualità personale, di una predisposizione di cui si può essere dotati: il carisma è una grazia, un dono elargito da Dio Padre, attraverso l'azione dello Spirito Santo. Ed è un dono che viene dato a qualcuno non perché sia più bravo degli altri o perché se lo sia meritato: è un regalo che Dio gli fa, perché con la stessa gratuità e lo stesso amore lo possa mettere a servizio dell'intera comunità, per il bene di tutti. Parlando in modo un po' umano, si dice così: "Dio dà questa qualità a questa persona, ma non per sé, perché sia al servizio di tutta la comunità". Prima di arrivare in piazza ho ricevuto tanti bambini disabili nell'aula Paolo VI. Ce n'erano tanti con un'Associazione che si dedica alla cura di questi bambini. Che cosa è? Quest'Associazione, queste persone, questi uomini e queste donne, hanno il carisma di curare i bambini disabili. Questo è un carisma! Una cosa importante che va subito sottolineata è il fatto che uno non può capire da solo se ha un carisma, e quale. Tante volte noi abbiamo sentito persone che dicono: "Io ho questa qualità, io so cantare benissimo". E nessuno ha il coraggio di dire: "È meglio che stai zitto, perché ci tormenti tutti quando canti!". Nessuno può dire: "Io ho questo carisma". È all'interno della comunità che sbocciano e fioriscono i doni di cui ci ricolma il Padre; ed è in seno alla comunità che si impara a riconoscerli come un segno del suo amore per tutti i suoi figli. Ognuno di noi, allora, è bene che si domandi: "C'è qualche carisma che il Signore ha fatto sorgere in me, nella grazia del suo Spirito, e che i miei fratelli, nella comunità cristiana, hanno riconosciuto e incoraggiato? E come mi comporto io riguardo a questo dono: lo vivo con generosità, mettendolo a servizio di tutti, oppure lo trascuro e finisco per dimenticarmene? O magari diventa in me motivo di orgoglio, tanto da lamentarmi sempre degli altri e da pretendere che nella comunità si faccia a modo mio?". Sono domande che noi dobbiamo porci... E l'esperienza più bella, poi, è scoprire di quanti carismi diversi e di quanti doni del suo Spirito il Padre ricolma la sua Chiesa!... Questo vuol dire che nella comunità cristiana abbiamo bisogno l'uno dell'altro, e ogni dono ricevuto si attua pienamente quando viene condiviso con i fratelli, per il bene di tutti. Questa è la Chiesa! E quando la Chiesa, nella varietà dei suoi carismi, si esprime in comunione, non può sbagliare: è la bellezza e la forza del sensus fidei, di quel senso soprannaturale della fede, che viene donato dallo Spirito Santo affinché, insieme, possiamo tutti entrare nel cuore del Vangelo e imparare a seguire Gesù nella nostra vita."
    Buona ricerca dunque e il Signore guidi i vostri passi e i vostri cuori, là dove siete, con i compagni di fede che vi ha messo accanto!
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    00 01/02/2016 14:57
    Gesù cacciato dalla sinagoga



    Ci sono momenti, in cui, in quanto discepoli, bisogna ricordare agli uomini la verità della vita ‘secondo Dio’, che investe o dovrebbe investire ciascuno fino a renderci splendenti.

    Come afferma oggi il profeta Geremia: “Prima di formarti – dice il Signore – nel grembo materno, ti conoscevo; prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato, ti ho stabilito profeta delle nazioni. Tu, dunque, cingiti i fianchi, alzati e dì loro tutto ciò che ti ho ordinato; non spaventarti alla loro vista, altrimenti ti farò temere davanti a loro.” (Ger. 1, 4-19)

    Nella mia vita di pastore ho sempre preso posizione contro ogni forma di sopruso e violenza.

    Coloro che conoscono un po’ la mia storia, ancora oggi mi chiedono quale sia stata l’ispirazione, che mi portò a prendere certe posizioni.

    Lo evidenziai in una lettera pastorale, scritta nei tempi duri, proprio rivolgendomi alla camorra. Un ‘imperativo’ tratto dal profeta Isaia: ‘Per amore del mio popolo non tacerò’. Era una sollecitazione che mi guidava nel desiderio di far percepire la bellezza della Verità di Dio, che è la vera salvaguardia per la dignità di ogni uomo.

    Ma il continuo battersi per la giustizia, anche nella Chiesa, da alcuni, non era ben visto, come fosse un danno alla serenità. Una sera, durante un incontro, alcuni mi dissero: ‘Perché non te ne vai in un’altra diocesi: qui pochi ti assecondano o ti vogliono’. Ma poi, ogni volta che avevo l’occasione di poter incontrare il davvero santo, Giovanni Paolo II, mi rincuorava e sosteneva. Quanto era di sollievo il suo: ‘Non abbia paura!’. A volte ancora oggi ho come l’impressione di sentire la sua voce.

    E pensavo a quello che era accaduto a Gesù. Il Vangelo di oggi che la Chiesa ci offre come luce e guida, sempre. Gesù, dopo aver proclamato chi era – come abbiamo letto domenica scorsa. ‘Lo Spirito del Signore mi ha mandato …’ - , prima sorprende, poi fa discutere sulla sua identità - ‘Non è il figlio di Giuseppe?’- manifesta la sua conoscenza anche delle pieghe più profonde dell’animo umano - ‘Nessun profeta è bene accetto in patria’ – e, per questo, alla fine - ‘All’udire queste cose, tutti nella sinagoga furono presi da sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori dalla città e lo condussero sul ciglio sul quale la loro città era situata per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò”. (Lc. 4, 21-30)

    Incredibile, se non fosse che questo succede anche oggi con chi, dicendo la verità, smaschera l’ipocrisia. Le parole chiare di Gesù immediatamente accendono un odio che non ha confini … fino a volerlo gettare dal dirupo su cui poggia Nazareth! Persino Gesù rimase sconcertato, osservò in un Angelus del 2012, l’allora Papa Benedetto XVI: ‘Gesù «si meravigliava della loro incredulità» (Mc 6,6). Allo stupore dei concittadini, che si scandalizzano, corrisponde la meraviglia di Gesù. Anche Lui, in un certo senso, si scandalizza! Malgrado sappia che nessun profeta è bene accetto in patria, tuttavia la chiusura del cuore della sua gente rimane per Lui oscura, impenetrabile: come è possibile che non riconoscano la luce della Verità? Perché non si aprono alla bontà di Dio, che ha voluto condividere la nostra umanità?”

    Sono due le riflessioni che possiamo fare in quanto discepoli.

    In chi ritroviamo ‘incarnato’ il nostro agire? Siamo come il nostro Maestro, a volte, rifiutati o respinti o emarginati ‘per amore del Suo Nome’? Non meravigliamoci. Il Signore ci ha detto che in quanto suoi discepoli saremo perseguitati, ma Lui sarà sempre con noi …

    O siamo, purtroppo, fra coloro che lo respingono?

    Scriveva il caro e beato Paolo VI: “Gesù incontra resistenza e ostilità. Ora un simile atteggiamento può essere riferito anche a noi oggi. Siamo per Cristo, oppure no? Rimaniamo cristiani o avviene il contrario? La Chiesa chiede a tutti noi: siete pronti a confermare vera la vostra adesione e fedeltà? Ma noi vorremmo rivolgere singolarmente a ciascuno di voi, per parlare con voce sommessa e dire: ‘Tu accetti il Signore? Gli vuoi veramente bene? Pensi alle sue parole e le accetti? Sono vere per te, o passano come farfalle senza mèta? Sono effettivamente il colloquio tuo con Dio? Incalzano sopra di te e trovano posto nella tua vita?....ricordiamoci che la prima forma di negazione è il sistematico rifiuto di credere. C’è anche chi dice, come fecero nel Vangelo i compaesani di Nazareth: ‘Signore, facci vedere un miracolo e allora crederò. Voglio vedere un segno come intendo io.’ E se tutto questo non avviene si è pronti a cacciarlo dalla vita… Ma l’intero Vangelo, che è pieno di meraviglie, prove, luci, conferme, non aderisce al desiderio di quanti ‘tentano Dio’. Egli si dona con discrezione e totalità se ci si affida con fiducia”. (21 marzo 1965)

    La via di Gesù non è fatta per chi cerca consensi o trionfi, ma è la via della verità e dell’amore, della libertà e della giustizia, che non trovano facile dimora tra gli uomini. Ma non è fatta neppure per coloro che si sentono troppo ‘sicuri’, come ha detto Papa Francesco, ‘nella loro “fede” fra virgolette, tanto sicuri nella loro osservanza dei comandanti, che non hanno bisogno di un’altra salvezza». Un atteggiamento che rivela, ha spiegato il Pontefice, «il dramma dell’osservanza dei comandamenti senza fede: io mi salvo da solo perché vado a Messa tutte le domeniche, cerco di obbedire i comandamenti»; e «che non venga questo a dirmi che sono meglio di me quel lebbroso e quella vedova, quegli emarginati!». Ma la parola di Gesù va in senso contrario … Infatti ‘Dio non ci troverà al centro delle nostre sicurezze. Ci troverà nell’emarginazione, nei nostri peccati, nei nostri sbagli, nelle nostre necessità di essere guariti spiritualmente, di essere salvati. È lì che ci troverà il Signore». E questa, ha precisato ancora, «è la strada della umiltà. L’umiltà cristiana è dire la verità: sono peccatore, sono peccatrice!». Si tratta, in sostanza, semplicemente di «dire la verità; e questa è la nostra verità». Ma, ha concluso il Papa, c’è anche «l’altra verità: Dio ci salva! Ma non nella nostra sicurezza».

    Preghiamo Maria, contenta perché il Signore ha ‘guardato l’umiltà della sua serva, la sua piccolezza’, per ottenere la grazia di avere questa saggezza, per ricevere la salvezza del Signore.

    Antonio, Vescovo
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    00 07/02/2016 21:43
    “Prendete il largo…”



    L’evangelista Luca oggi ci descrive minuziosamente la chiamata di Pietro: una chiamata fondamentale per la vita della Chiesa.

    Pietro era un pescatore che veniva da una pesca fallimentare. Aveva faticato tutta la notte sul lago di Tiberiade, che conosceva palmo per palmo. Era stata una sua scelta di vita fare il pescatore. E un buon pescatore non esce mai in mare se non ha la quasi certezza di tornare con le reti piene. Tornare a mani vuote non voleva dire solo confessare un’incapacità ‘professionale’, ma anche e soprattutto non avere il sufficiente per vivere e fare vivere.

    Ma quella notte, davanti al Maestro che aveva scelto di fare da spettatore, era stata la notte del fallimento, così ben espressa dalle amare parole di Pietro: ‘Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla’. Gesù sembra voler dare un segno a Pietro, proprio sul campo della sua competenza: ‘Prendi il largo, e calate le reti per la pesca’.

    E’ stupendo l’atteggiamento di Pietro, questo uomo deluso e affaticato! Aveva mille ed una ragione per essere furibondo con se stesso, con il mare di Galilea, e quindi scettico verso qualsiasi speranza di soluzione, perché per lui, trovarsi a mani vuote dopo una notte di grande fatica, era come avere perso, non solo le forze fisiche, ma la fiducia in se stesso … è come sentirsi rotte le gambe.

    Eppure non fa obiezioni: ‘Sulla tua parola getterò le reti’.

    Supera se stesso e con la docilità di un bambino, fidandosi della parola di Uno che in fondo conosceva appena di vista o di fama, ma con il quale non aveva ancora alcuna familiarità, torna in mare, avventurandosi al largo, dove si misura resistenza, capacità e coraggio.

    Dice il Vangelo che ‘avendolo fatto presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano.”

    Un fatto che intacca la dura crosta del pescatore che ‘al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: ‘Signore, allontanati da me che sono un peccatore’

    È pronta la risposta di Gesù che, a sua volta, getta le sue ineffabili reti verso Pietro, Giacomo e Giovanni: ‘Non temere, d’ora in poi sarai pescatore di uomini’.

    Hanno gettato le reti, con un’obbedienza carica di fiducia, propria del vero discepolo. Si sono fidati e affidati alla Parola di Colui che l’ha pronunciata e giungono a gettare anche tutto quello che hanno per seguire Gesù: ‘Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono”. (Lc. 5, 1-11)

    Quella di Pietro sul lago è la storia di ogni battezzato, chiamato da Gesù, nel Battesimo e nella Cresima, a seguirlo e quindi invitato a ‘gettare le reti al largo’.

    Il risultato – e questa è la bellezza della nostra missione – non dipende dalle nostre capacità, ma dalla fede nella Sua Parola. A volte chiamati a stare vicini a Lui nella preghiera, sempre invitati a ‘prendere il largo’, con fiducia in Lui, conoscendo le nostre debolezze.

    Siamo tentati a volte e come scoraggiati nel gettare le nostre reti in questo mondo, diventato un mare inquinato da mille veleni, dove sembra difficile sopravviva, almeno così ci pare, ogni forma di ‘vita vera’, di Presenza di Dio.

    Eppure occorre la piena fiducia di Pietro e ‘gettare le reti’, come sanno fare tanti.

    Pensiamo alla mamma di S. Agostino, che pregò una vita intera perché il figlio tornasse alla Chiesa di Cristo. E non solo ottenne quanto chiedeva, ma Dio le diede di più: un figlio Vescovo.

    Quante volte mi si confidava: ‘Non so più che cosa fare per mio marito, per i miei figli, per riportarli a quella bontà e fede su cui da tempo era fondata la mia famiglia’; oppure ‘Con tutti gli sforzi, avrei voluto dare alla mia vita un indirizzo che mi portasse alla serenità interiore … ma … ’.

    Tutti, senza eccezioni, conosciamo momenti difficili, che possiamo attraversare nella quotidianità della vita, nella famiglia, nella fedeltà del matrimonio, nell’educazione dei figli, sul lavoro, nella società in cui sembra che nulla funzioni, nella stessa Chiesa, dove a volte i pastori vedono le loro fatiche annullate, i loro piani pastorali subire fallimenti, causando quel terribile pericolo che è lo scoraggiamento, da considerare una grave tentazione per un uomo di fede ‘chiamato e mandato’.

    Quando Paolo VI mi pregò di accettare il mandato di vescovo, lo accettai per la grande fiducia che lui aveva in me. La Chiesa di Acerra, per non so quali motivi, era senza vescovo residenziale da ben 12 anni, affidata ad un Ausiliare della Diocesi di Napoli, che veniva quando poteva.

    Davvero era ‘un gregge senza pastore’ e, per di più, un territorio tremendamente tenuto sotto pressione dalla camorra. Fui accolto molto bene. Cercai di affrontare le difficoltà, di mettere insieme un popolo che era senza guida, spargendo a larghe mani la fiducia.

    E divenne, in breve, ritrovando sacerdoti e fedeli la fiducia, davvero una bella diocesi, che alla fine del mio mandato donò alla Chiesa due Vescovi.

    Direi davvero che la nostra fede o, se volete, il nostro coraggio nella prova, nel superare insieme i momenti difficili, che sono per tutti, sostenuti dalla Grazia di Dio, ha dato i suoi frutti.

    La misura del coraggio non è nel considerare la vita una bella ‘discesa’, ma una ‘ripida salita’ che porta alla ‘porta stretta’, ma molto in alto, all’incontro vero con Gesù!

    Papa Francesco concluse un’omelia a S. Marta, dopo aver meditato questo brano, con queste parole:

    “Il Signore ci dia la grazia di lasciarci incontrare da Lui. Ci dia la grazia, tanto bella, dello stupore dell’incontro. E ci dia la grazia di avere la doppia confessione nella nostra vita: ‘Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivo, credo. E io sono un peccatore.’”.

    È ciò che prego per tutti oggi: tempo di coraggio, sentendoci sempre come Pietro ‘peccatori’, gente che senza la Grazia davvero è incapace anche solo di camminare, ma con la fiducia in Dio sa ‘prendere il largo e gettare le reti’.

    Antonio, Vescovo
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    00 13/02/2016 09:56
    Omelia del 14 febbraio 2016

    Seguiamo Gesù nel deserto



    La Chiesa, come ogni anno, alza il sipario sul ‘prezioso tempo della Quaresima’, con il racconto di una delle più sconcertanti, ma nello stesso tempo più umane, vicende vissute da Gesù.

    “In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo.” (Lc 4, 1-13)

    Su Gesù, nel Giordano, era disceso lo Spirito come a consacrarlo per la missione che stava per iniziare. Ed il Padre Lo aveva pubblicamente ‘riconosciuto’: ‘Questi è il mio figlio prediletto nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo’. Dio vuole ‘ricreare’ l’uomo in Cristo Gesù. Questa volta è Suo Figlio che si mette totalmente nei panni dell’uomo: su di Lui e quindi da Lui su tutta l’umanità, di tutti i tempi, si rivolge lo sguardo carico di amore misericordioso del Padre. Dal Primogenito il Padre si attende un ‘sì’ totale e definitivo al Suo Amore, perché da questo ‘sì’ possa realizzarsi il sogno del Suo Cuore: amare l’uomo ed essere riamato, gratuitamente e liberamente.

    L’uomo Gesù, pieno di Spirito Santo, anzi ‘condotto dallo Spirito’, vuole capire fino in fondo come quel ‘sì’ dovesse essere reso ‘azione concreta’, ossia come potesse essere vissuto pienamente, secondo la volontà di Chi lo aveva mandato.

    In quanto uomo, seppure perfetto e innocente, forse anche Gesù ‘correva dei rischi’.

    Era facile farsi prendere dalle mille ambiguità che a volte tappezzano la nostra stessa vita, fino a imbrogliare la verità e quindi la direzione dei nostri passi; facile farsi ‘ammaliare’, in questo mondo, dalle mille voci; facile ‘inventare un piano di salvezza’ personale. Sotto le mille tentazioni, è facile prendere abbagli. A noi questo capita spesso, anche ad anime buone.

    Gesù ‘fa deserto’ in se stesso: si spoglia di tutto ‘dentro e fuori’ fino a non sentire più voci che gli impediscano di andare diritto alla Voce del Padre.

    ‘Si fa lui stesso deserto’, perché nulla in Lui sia un ‘no’ al Padre che lo manda, perché sapeva che nella totalità del suo ‘sì’ vi era la totalità della ‘nuova creazione dell’intera umanità’: sorprendente, inaspettato, gratuito dono del ‘Padre di ogni misericordia’.

    Satana prova a proporgli le sue ‘vie’, che, come al solito, sono ‘vie’ di superbia, su cui non si possono mai costruire esistenze di amore, che richiedono umiltà, povertà e docilità.

    ‘Se tu sei Figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane’.

    Sarebbe stato facile fare il Messia ‘riempiendo il mondo di pane’, ossia ‘facendo ricchi gli uomini’.

    ‘Ti darò tutto questo potere e la gloria di questi regni … Se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo’.

    Quante volte per voglia di potere gli uomini mandano a brandelli la propria dignità!

    ‘Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù … sta scritto infatti: ‘Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano’’.

    In ultimo Satana cerca di mettere in crisi Gesù circa la Sua identità e la sua missione, come spesso fa anche con noi, discepoli del Maestro.

    Gesù, ribattendo tentazione a tentazione, sceglie la via del ‘pane della Parola’, la via dell’umiltà, la via della povertà, che ignora il concetto di potere, ma percorre solo la via del servizio.

    Alla fine ‘il diavolo si allontanò da Lui’.

    Gesù ha detto ‘sì’ alla volontà del Padre. Quel momento è ‘la nuova creazione’ , che noi siamo chiamati a vivere, come dono meritato da Gesù nel compiere la volontà del Padre sulla croce, da dove affermerà: ‘Tutto è stato compiuto, come Tu, Padre, hai voluto’.

    La Quaresima ci propone lo stesso ‘deserto’.

    Anche noi, tutti, senza eccezioni, veniamo ogni giorno corteggiati da Satana, in mille modi, perché ignoriamo la volontà di Dio o mascheriamo il nostro sfacciato egoismo con una presunta volontà di Dio, ma siamo sicuri di vivere secondo Dio?

    Siamo certi di percorrere le vie sulle quali il Signore ci chiede di camminare per vivere il nostro ‘sì’? C’è in giro troppa gente che rincorre potenza, prestigio, ricchezza, magari chiamando tutto quello un bene. Ma un bene di chi e per chi?

    Non è piuttosto la tentazione di Satana, che si fa attuale in noi, cancellando il ‘sì’ che Gesù ha già detto una volta per tutte al nostro posto?

    Sentiamo profondamente un forte bisogno di cambiamento: non fuori di noi, ma ‘dentro di noi’, seguendo Gesù, nella preghiera, che è il dialogo con Dio, da cui viene ogni verità e forza; nella penitenza, che è strapparci di dosso gli egoismi che impediscono di camminare sulla via della libertà; nella carità, che è via alla santità.

    Cerchiamo in questo tempo prezioso, nell’anno straordinario del Giubileo della Misericordia, di trovare spazio per pregare, chiedere perdono a Dio e ai fratelli, amare, donare.

    Voglio augurare a tutti i miei amici un santo cammino di Quaresima, che ci accosti di più al Bene di Dio, prendendo le distanze da noi stessi: è l’unico modo per resistere alle tante tentazioni che il mondo ci offre.

    Viviamo il nostro ‘deserto’ con Gesù e … il deserto fiorirà!

    Antonio, Vescovo


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    00 27/02/2016 11:54
    III Domenica di Quaresima



    Una vita di ‘impegno’



    Viviamo in una società dove domina l’apparenza effimera, la superficialità e, spesso, l’indifferenza verso problemi, che richiederebbero profondità di analisi, volontà ferma e cuore grande, per essere affrontati alla radice; senza parlare della vita personale in cui è facile sentirsi dire: ‘Che male c’è? Lo fanno tutti.’ Di conseguenza non si cerca più di dare senso e trovare la vera ragione in ciò che operiamo. È proprio della Quaresima, o se vogliamo delle persone che amano la verità, cercare invece di essere coerenti con la verità stessa e il bene, assumendosi le proprie responsabilità, per rendere il nostro mondo un po’ più vivibile.

    Oggi l’Evangelista Luca ci fa assistere ad un dialogo fra Gesù e alcuni che forse Lo avevano cercato solo per porgli delle domande imbarazzanti e fuorvianti, proprio per ‘scaricarsi’ la coscienza di ogni responsabilità: “In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola Gesù disse loro: ‘Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per avere subito tale sorte? … O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Siloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?’.

    La domanda di fondo era: ‘Ma perché si disprezza tanto la vita dell’uomo? Perché l’uomo e i suoi sacrosanti diritti vengono con tanta facilità calpestati?’. Noi potremmo aggiungere: ‘Perché tanti muoiono di fame senza alcuna colpa? Perché tanti, anche tra di noi, vengono emarginati senza averlo meritato? Perché tanti debbono abbandonare casa, Paese, a causa di guerre che non hanno voluto loro? E potremmo continuare il ‘rosario’ delle violenze di oggi e di sempre, usate verso i deboli.

    E in riferimento al fatto accaduto a Siloe, citato da Gesù: ‘Di quali colpe si sono macchiati i tanti che muoiono per cause accidentali, come i terremoti, le alluvioni? Perché così tanti ammalati, soprattutto bambini? Perché il dolore innocente?’. Sono domande che tal volta sorgono anche nei nostri cuori, e diventano devastanti quando ci portano quasi a dubitare dello stesso amore di Dio, se non addirittura contestarlo, come fece Giobbe, o arrivare a rifiutare che tale amore esista.

    Ma c’è una solenne dichiarazione, che esce direttamente dalla bocca di Dio, e spazza via ogni incertezza. La leggiamo nella prima lettura di oggi, riguardante la chiamata di Mosè: “Il Signore disse: ‘Ho osservato la miseria del mio popolo, in Egitto, e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele’. (Es. 3, 1-15)

    È una dichiarazione che nessun tempo, nessun fatto, nessuna circostanza può minimamente offuscare, perché anche il solo dubitarne sarebbe mettere in discussione la fedeltà dell’amore di Dio, la sua stessa giustizia e misericordia. Sono parole vere e ‘dense’. ‘Ho osservato la miseria del mio popolo’, riecheggiano l’atteggiamento di Gesù che ‘vedendo la folla ebbe compassione’, Lui, Buon Samaritano, che ‘passa’, ‘osserva’, ‘si prende cura’. Un verbo del Padre tutto da meditare è: ‘Ho udito il suo grido’. ‘Udire’ è accogliere nel proprio cuore la sofferenza profonda che è nel grido e non fermarsi ad una compassione epidermica, che poco può operare, ma ‘entrarci dentro’. Ed infine ‘conosco le sue sofferenze’: ‘conoscere’, nella Bibbia, non è solo sapere, ma sperimentare, fare proprio.

    E chi meglio di Gesù conobbe la sofferenza?

    E proprio Lui ha la risposta per coloro che gli ponevano le domande. Una risposta che va a pennello per il mondo in cui viviamo: ‘Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo’. E in cosa consista la ‘conversione’, l’ha spiegato bene Papa Francesco, all’Udienza di sabato 20 febbraio, soffermandosi ‘a riflettere sul tema dell’impegno’, e invitando tutti “a conoscere sempre di più il Signore Gesù, e a vivere in maniera coerente la fede con uno stile di vita che esprima la misericordia del Padre … per offrire a quanti incontriamo il segno concreto della vicinanza di Dio. La mia vita, il mio atteggiamento, il modo di andare per la vita deve essere proprio un segno concreto del fatto che Dio è vicino a noi. Piccoli gesti di amore, di tenerezza, di cura, che fanno pensare che il Signore è con noi, è vicino a noi.’

    Allora possiamo meglio capire la parabola del fico, proposta da Gesù, dopo il suo richiamo alla conversione: “Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarci frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: ‘Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?’ Ma quello gli rispose: ‘Padrone, lascialo ancora quest’anno, finchè gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”. (Lc. 13, 1-9)

    Da una parte vi è l’incredibile apatia, superficialità, ignavia degli uomini, che però spesso genera o ‘permette’ un mare di dolore e di sofferenza; vi è la poca voglia di farsi cambiare dalla Parola e dalla Grazia, rimanendo quello che si è: una pianta di fico con tante foglie, tante parole, tanti buoni propositi, ma senza alcun frutto. Dall’altra c’è l’infinita pazienza del Padre che continua ‘a zappare e mettere concime’, nella speranza che il fico dia frutti. Chi vincerà? L’indifferenza dell’uomo o la pazienza misericordiosa del Padre? La risposta è proprio nel nostro modo di vivere adesso, in questo tempo di Grazia, oggi. Non aspettiamo sempre che siano gli altri a cambiare … Cominciamo noi a vivere ‘con impegno’, come ha detto Papa Francesco, perché ‘a partire dall’amore misericordioso con il quale Gesù ha espresso l’impegno di Dio, anche noi possiamo e dobbiamo corrispondere al suo amore con il nostro impegno. E questo soprattutto nelle situazioni di maggiore bisogno, dove c’è più sete di speranza. … Dobbiamo sempre portare quella carezza di Dio - perché Dio ci ha accarezzati con la sua misericordia - portarla agli altri, a quelli che hanno bisogno, a quelli che hanno una sofferenza nel cuore o sono tristi: avvicinarsi con quella carezza di Dio, che è la stessa che Lui ha dato a noi. Che questo Giubileo possa aiutare la nostra mente e il nostro cuore a toccare con mano l’impegno di Dio per ciascuno di noi, e grazie a questo trasformare la nostra vita in un impegno di misericordia per tutti.” Così sia!

    Antonio, Vescovo
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    00 05/03/2016 11:11

    IV Domenica di Quaresima


     


    Accogliere la Misericordia, per diventare misericordiosi


     


    In questa domenica, la IV di Quaresima, la Chiesa con la Parola di Dio ci fa quasi respirare la bellezza della nostra resurrezione, frutto della Resurrezione del Maestro, sempre che la Sua Grazia ci raggiunga e arrivi a parlare al nostro cuore, che ha davvero bisogno di assaporare, nel ritorno a Lui, lo stupendo bacio di gioia e di pace che solo Dio sa e può donarci.


    È il tempo in cui Dio si ‘lascia commuovere’ dalla nostra povertà, quando finalmente comprendiamo, ‘rientrando in noi stessi’, quanto profonda sia la tristezza di sentirsi ‘orfani’ e lontani da Casa.


    Se ci lasciamo conquistare dalla Grazia e non sbarriamo le porte del cuore, fatto per essere amato da Dio ed amarlo, consapevoli della nostra fragilità e pochezza, avvertiremo un profondo bisogno di sentire il calore delle braccia del Padre, che si tendono verso i figli per accoglierli, stanche solo di essere state troppo tempo aperte nell’attesa, ma pronte a chiudersi su quanti sanno gettarsi dentro con fiducia. Il Padre non si lascia mai intimorire né frenare dal rifiuto in cui noi siamo capaci di cacciarci, per l’egoismo che è spuntato nei progenitori e continua a dare i suoi perfidi frutti anche in noi.


    Il Padre sa bene, molto bene, quanto sia dura la solitudine, che può prendere possesso del cuore dell’uomo: è una terribile morte del cuore, che striscia vicino a troppi per un motivo o per un altro.


    Troppe volte perdiamo anche la verità del peccato e facciamo passare per lecito quello che invece offende Chi ci ha creati e a cui dobbiamo amore ed obbedienza: l’Unico che ben conosce quanto il peccato possa farci del male. E tante volte riteniamo che sia sufficiente un superficiale ‘chiedere perdono direttamente a Dio’, per sentirsi liberati e scolparsi. Ma non è così.


    Ci viene incontro, per guidarci ad una retta coscienza e consapevolezza, la stupenda parabola del figlio prodigo, un capolavoro di misericordia.


    Leggiamola insieme, assaporandola, parola per parola, per capire il Cuore di Dio.


    “Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al Padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il Padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto.


    Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci, ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato  tuo figlio. Trattami come uno dei garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso e ammazzatelo; mangiamo e facciamo festaperché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato.


    E cominciarono a fare festa.” (Lc. 15, 11-32)


    Una parabola che apre il cuore e la mente sulla misericordia di Dio, che nulla ha a che fare con la cosiddetta ‘confessione’ di chi sbaglia ed è giudicato nei nostri tribunali. ‘Chi sbaglia – si sente dire spesso – è giusto che paghi!’: una condanna, che non lascia spazio al perdono o alla speranza.


    La parabola del figlio prodigo ha poco a che fare anche con quelle che ancora oggi chiamiamo ‘confessioni’, dove ha spesso più spazio la paura, il senso di umiliazione e di imbarazzo, invece della gioia. Questo è un modo di concepire il sacramento della penitenza sullo stile del giudizio umano: un incontro con un Giudice che condanna, non con un Padre che perdona!


    Ma Cristo ci ha insegnato ben altro. Come dice Papa Francesco: ‘Qual è la gioia di Dio? La gioia di Dio è perdonare! … Gesù è tutto misericordia, Gesù è tutto amore: è Dio fatto uomo … Dio non ci dimentica, il Padre non ci abbandona mai … E il suo cuore è in festa per ogni figlio che ritorna. E’ in festa perché è gioia.”


    La storia del peccato è infatti lasciare la Casa del Padre, dove regnava la gioia e l’innocenza, per fare spazio alle prospettive del mondo, dove tutto può avvenire, fuorché donarci la gioia di vivere nell’amore, e quindi nella serenità e nella pace del cuore. E’ facile farsi stordire dalle tante offerte del mondo, la cui conseguenza è sotto gli occhi di tutti: un disordine morale, magari sbandierato come libertà conquistata, spettacolo o capacità di trasgressione, ma che porta allo scetticismo, all’oscuramento dell’anima, segni di un’amarezza profonda, colmata con ogni sorta di sciocchezze, vanità e idoli sbagliati, o peggio, tradimenti, avventure, senza riuscire a superarla e venirne fuori, anzi! E quando riemerge il bisogno di purezza di cuore, ci si sente immersi nel fango; se si sente il bisogno di uscirne, non si trova la forza o la Grazia per venirne fuori.


    È il momento di entrare nei panni del figlio prodigo. Dopo aver toccato il fondo, ‘rientra in se stesso e dice: Tornerò da mio padre’: è la capacità di mettersi in discussione e lasciare che il proprio cuore ricerchi la sua bellezza ed innocenza, ritornando in pace con se stesso, con gli altri e con Dio.


    Ma oggi la Parola di Dio ci mette in guardia anche da un altro pericolo, come ha evidenziato Papa Francesco: ‘E’ che noi presumiamo di essere giusti, e giudichiamo gli altri. Giudichiamo anche Dio, perché pensiamo che dovrebbe castigare i peccatori … Allora sì che rischiamo di rimanere fuori dalla casa del Padre! Come quel fratello maggiore della parabola, che invece di essere contento perché suo fratello è tornato, si arrabbia con il padre che lo ha accolto e fa festa. Se nel nostro cuore non c’è la misericordia, la gioia del perdono, non siamo in comunione con Dio, anche se osserviamo tutti i precetti, perché è l’amore che salva, non la sola pratica dei precetti.”


    Tutti noi, chi più chi meno, siamo propensi ai giudizi duri e intransigenti verso i fratelli, mentre sentiamo per noi stessi il bisogno di Uno che ci ridia la gioia di essere amati, passando per il perdono.


    Sono le nostre contraddizioni, il nostro usare sempre ‘due pesi e due misure’.


    Come aggiunge Papa Francesco: “Se noi viviamo secondo la legge “occhio per occhio, dente per dente”, mai usciamo dalla spirale del male … Solo la giustizia di Dio ci può salvare! … Ma come ci giudica Dio? Dando la vita per noi! Ecco l’atto supremo di giustizia che ha sconfitto una volta per tutte il Principe di questo mondo; e questo atto supremo di giustizia è proprio anche l’atto supremo di misericordia. Gesù ci chiama tutti a seguire questa strada: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso».


    Può sembrare difficile lasciare alle spalle il peso delle colpe. Occorre superare vergogna o rilassatezza, come pure la nostra tendenza a giudicare, che rende freddo il cuore, anche tra fratelli, ma farlo è ‘rinascere’!


    Antonio, Vescovo


     

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    00 15/03/2016 08:30
    V Domenica di Quaresima

    Donna, neppure io ti condanno



    Se ricordiamo, il Vangelo di domenica scorsa mostrava, il Padre, che, sulla porta di casa, attende ansiosamente da tempo, il figlio, che ha sperperato ogni dono ricevuto; appena lo intravede il padre ‘gli corre incontro commosso, gettandogli le braccia al collo’ e invita ‘a fare festa’, perché ‘il figlio che era morto è tornato in vita’. Questo per spiegare l’infinita misericordia di Dio verso di noi, nonostante la nostra indifferenza, superficialità o cattiveria.

    Tutta la vita di Gesù, compresa la Passione e la Morte, è stata sempre una risposta della misericordia del Padre, all’immenso amore che Lui ha per noi. È davvero grande il Cuore di Dio. Nulla a che fare con il nostro cuore, che ha sete di amore, di perdono, di comprensione, ma poi si rivela di una meschinità incredibile di fronte alle debolezze altrui. Quando qualcuno, per debolezza, sbaglia, non abbiamo nessuna pietà nella condanna, come ci evidenzia il fatto narrato nel Vangelo di oggi. Racconta l’apostolo Giovanni:

    “In quel tempo Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei, gli conducono una donna, sorpresa in flagrante adulterio, e postala nel mezzo, gli dicono: ‘Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?’. Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo.

    Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: ‘Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra contro di lei’.

    E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono, uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Allora Gesù le disse: ‘Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?’. Ed essa rispose: ‘Nessuno, Signore’. Gesù le disse: ‘Neanch’io ti condanno: va’ e d’ora in avanti non peccare più’.” (Gv. 8, 1-11)

    Ai tempi del terrorismo, per una serie di circostanze, fui interpellato e poi guidato nella visita alle carceri dalla cara sr. Tersilla e da Padre Bachelet, fratello del giudice ucciso da terroristi.

    Vi erano tra i detenuti delle Brigate rosse gli ‘irriducili’, che restavano fissi nelle loro idee, considerandosi ‘a posto’, rispetto ad una società che ritenevano di dover cambiare con la violenza; i cosiddetti ‘pentiti’, che raccontavano ai giudici i delitti, propri e di altri, commessi, aprendo la strada a controlli ed indagini serrate su tutte le cellule. Incontrai soprattutto alcuni, che si definivano ‘dissociati’, ossia ‘confessavano’ le proprie colpe, si dissociavano dal terrorismo, senza coinvolgere gli altri compagni. Ogni volta che incontravo quei fratelli e sorelle, che avevano fatto scelte errate, da loro stessi riconosciute sbagliate, ma cancellati dalla compassione di tutti, mi si affacciava spontanea alla mente e al cuore la differenza tra la misericordia di Dio, che chiede il riconoscimento delle colpe, ma offre la grazia del perdono, anche se rimane sempre il dovere della riparazione, e la nostra tendenza ad una condanna senza appello.

    I ‘dissociati’ dalla giustizia umana chiedevano solo uno spiraglio per poter tornare nella società e vivere, anche se per poco, la bellezza di essere uomini dal cuore rinnovato.

    Questo mio pellegrinaggio nelle carceri, che aveva il solo scopo di indicare la via del ‘figlio prodigo’, ossia ‘rientrare in se stessi e tornare alla Casa del Padre, non come servo, ma come figlio’, non era ben accolto da gran parte dell’opinione pubblica.

    ‘La rispettiamo, Padre, - mi fu detto dopo un incontro pubblico sull’argomento del perdono e della riabilitazione – per tutto quello che ha fatto e fa, ma in questo non approviamo. Chi sbaglia deve pagare!. Ma ricordo come, proprio nell’anno in cui la Chiesa celebrava il Convegno sulla Riconciliazione, in un incontro, presenti alcuni vescovi, uno di loro, Mons. Magrassi, mi fece coraggio dicendomi: ‘Lei, caro fratello, è come chi vuole aprire almeno una fessura nella coscienza umana del ‘chi sbaglia paghi’, invitando alla riconciliazione. Può darsi che si rompa la punta di diamante che usa, e dovrà pagare lei. Ma vale la pena di tentare, se se la sente’.

    Scelsi di continuare, fino a quando mi fu data la possibilità, perché, se, a volte, la giustizia degli uomini, soprattutto quando diventa spettacolo, rischia di diventare una giustizia ingiusta, che distrugge totalmente l’uomo, magari anche chi …. è innocente, ben diversa è la misericordia giusta di Dio, che riporta a vita chi per debolezza sbaglia, ma poi riconosce il proprio errore.

    È quello che è accaduto alla protagonista del Vangelo di oggi ‘colta in flagrante adulterio’: deve essersi ‘sentita morire dentro’ al pensiero della stima perduta da parte di chi la conosceva e le voleva bene. Dall’altra vi è la schiera degli scribi e dei farisei, che portano la donna a Gesù, con l’intento di farlo cadere in contraddizione.

    Al centro della scena Gesù. Guarda entrambi: coloro che ‘seppelliscono’ nella disistima ed emarginano chi sbaglia, come fosse morto, e li richiama alla verità: ‘Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra contro di lei’, alla donna, vittima della sua stessa debolezza, Gesù fa conoscere la bellezza della resurrezione, ossia del ritorno alla vita, attraverso la grande Misericordia del Padre: ‘Neanch’io ti condanno: va’ e d’ora in avanti non peccare più’.

    E ricordiamocelo sempre: quando uno sbaglia, cade, non implora dita puntate e disistima, ma mani che lo aiutino a rialzarsi, come nel sacramento della Riconciliazione, che ha bisogno di essere più considerato e frequentato. Davanti a noi, che ci sentiamo forse avviliti dai nostri peccati, non c’è mai un giudice impietoso, come vorrebbero gli scribi e i farisei del nostro tempo, sempre pronti a condannare e mai a risuscitare. Il nostro Dio non si lascia ‘condizionare’ da chi punta il dito, ma ascolta e scrive per terra, attendendo, per poi meravigliosamente dire: ‘Va’ in pace e non peccare più!’, facendoci tornare a vivere … come è stato per la donna adultera.

    Antonio, Vescovo
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    00 19/03/2016 10:22
    DOMENICA DELLE PALME


    Con la Domenica delle Palme, inizia la Settimana, che mette a nudo quanto Dio ci ami: una Settimana, in cui sfilano davanti alla nostra fede i grandi momenti, irripetibili, della vita di Gesù.
    Anche nella liturgia odierna vi sono due momenti: il primo è l’entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme, accolto con palme ed acclamato dalla folla e il secondo la lettura della Passione del Signore. Il primo momento è quasi un’inaspettata epifania, manifestazione del Cristo. Gesù lascia che sia riconosciuta la sua vera identità di Figlio di Dio e la sua missione di Messia, quasi a voler confermare la nostra fede, prima del Suo essere annientato dalla Passione e morte in croce, come Figlio dell’Uomo.
    L’entrata di Gesù a Gerusalemme inizia con una richiesta del Maestro a due suoi discepoli: ‘Andate nel villaggio di fronte: entrando, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è mai salito; scioglietelo e portatelo qui. E se qualcuno vi chiederà: Perché lo sciogliete? Direte così: il Signore ne ha bisogno’ … Lo condussero da Gesù e, gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Via via che egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi che avevano veduto dicendo: ‘Benedetto Colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in terra, e gloria nel più alto dei cieli!’. Alcuni farisei tra la folla, gli dissero: ‘Maestro, rimprovera i tuoi discepoli’. Ma egli rispose: ‘Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre’”. (Lc. 19, 28-40)
    La richiesta di Gesù di procurargli un puledro, per fare una ‘strana’ entrata in Gerusalemme, deve avere procurato un poco di stupore. Non aveva mai fatto una tale richiesta né un simile gesto.
    La Sua vita era stata una rivelazione del Cuore del Padre. Aveva veramente accostato tutti, a cominciare dai poveri, dagli ultimi, ossia da quanti si riconoscevano bisognosi di amore, senza fare preferenze o distinzioni. Si era fatto trovare sulla strada da tutti, indifferenti, deboli, e potenti, poveri e ricchi, amici e nemici, offrendo ‘nulla’ e donando ‘il tutto’, cioè l’esperienza di essere amati con tutta la potenza e fedeltà dell’Amore. Aveva incontrato consenso e dissenso, l’amicizia di chi voleva seguirlo incondizionatamente e l’odio di chi progettava già la Sua morte.
    Agli amici, che cercavano – e cercano oggi – la bellezza di amare ed essere amati, aveva chiesto di liberarsi dal ciarpame della vita, offrendo in dono se stessi. Questi a volte si erano entusiasmati di Lui, ma non sempre erano riusciti a capire la durezza della povertà, da Lui scelta, anche se era ed è il solo terreno fertile per la totale libertà dello spirito e la piena disponibilità a farsi dono. Ma lo avevano amato, e alla fine … seguito. Non così i suoi nemici, dei quali ‘la povertà di spirito’ metteva in discussione facili ipocrisie, potenze umane che sono sempre la maschera dell’uomo che vuole primeggiare su tutti, e diventano il vero e grave impedimento per l’incontro con Lui e incapacità a gustare la bellezza del farsi dono e gioia per i fratelli. Ed erano tutti presenti, gli uni e gli altri!
    Forse in quel momento lo sguardo di Gesù si sarà posato con dolcezza e commozione sulla folla di ‘poveri in spirito e semplici di cuore’, Suoi amici, che davano prova di credere nella potenza dell’Amore, ma il suo trionfo, senza armi o eserciti, a dorso di un puledro, era un’aperta ‘sfida’ alla superbia di altri. Su quel puledro Gesù manifesta tutta la Sua mansuetudine che Lo renderà – e Lo rende ancora oggi – l’Agnello pronto ad essere umiliato, senza opporre resistenza.
    Ma negli occhi e nel cuore di Gesù, lungo tutta la Sua atroce Passione e inumana Morte, sono rimasti e rimangono i Suoi amici, che sempre ignorano lo scherno dei potenti e si fanno illuminare ed esaltare dall’unica e vera forza dell’umiltà e della povertà. I ‘grandi e potenti del mondo’ possono pensare: quale importanza può avere UNO che si presenta a dorso di un puledro? Gesù a tutti costoro, ancora oggi, risponde: ‘Grideranno le pietre!’. Quanti discepoli, dopo di Lui, hanno cavalcato e cavalcano ‘il puledro’ dell’umiltà e della povertà, fino a farsi mettere ai margini della stima umana. Il mondo li ha ritenuti e li considera ‘pazzi’, per poi forse troppo tardi accorgersi che sono essi, i santi, i cardini della civiltà vera, dell’uomo creato a immagine di Dio e non della superbia umana.
    Gesù, sia pure tra le acclamazioni della folla, era consapevole di quanto lo attendeva: dall’Ultima Cena, al tradimento di Giuda, alla fuga degli Apostoli, a quel passare da un tribunale all’altro, alla flagellazione, all’incoronazione di spine, alle percosse e agli sputi sul Suo meraviglioso Volto, la via Crucis verso il Calvario e la Crocifissione. Chissà quanto avrà pianto ‘dentro il cuore’.
    Ma sapeva che tutto questo era necessario per salvare me, voi, ogni uomo.
    Ed allora, davanti alla Passione del Signore, nasce una domanda essenziale: ‘Chi sono io?’ Prepariamoci nell’anno giubilare della Misericordia, riflettendo e pregando in sincerità di cuore con le parole di Papa Francesco: “Chi sono io, davanti al mio Signore? Sono capace di esprimere la mia gioia, di lodarlo o prendo le distanze? Chi sono io, davanti a Gesù che soffre? … I discepoli che si addormentavano mentre il Signore soffriva. La mia vita è addormentata? O sono come i discepoli, che non capivano che cosa fosse tradire Gesù? Come quell’altro discepolo che voleva risolvere tutto con la spada: sono io come loro? Sono io come Giuda, che fa finta di amare e bacia il Maestro per consegnarlo, per tradirlo? Sono io come quei dirigenti che di fretta fanno il tribunale e cercano falsi testimoni? E quando faccio queste cose, se le faccio, credo che con questo salvo il popolo? Sono io come Pilato? Quando vedo che la situazione è difficile, mi lavo le mani e non so assumere la mia responsabilità e lascio condannare – o condanno io – le persone? Sono io come quella folla che non sapeva bene se era in una riunione religiosa, in un giudizio o in un circo, e sceglie Barabba? Per loro è lo stesso: era più divertente … Sono io come quelle donne coraggiose, e come la Mamma di Gesù, che erano lì, soffrivano in silenzio o come le due Marie che rimangono davanti al Sepolcro piangendo, pregando? Sono io come quei capi che il giorno seguente sono andati da Pilato per dire: “Guarda che questo diceva che sarebbe risuscitato. Che non venga un altro inganno!”, E bloccano la vita, bloccano il sepolcro per difendere la dottrina, perché la vita non venga fuori? Dov’è il mio cuore? A quale di queste persone io assomiglio?” Che questa domanda ci accompagni durante tutta la Settimana Santa per viverla intensamente, in unione di fede e di amore, per una vera Pasqua di Resurrezione. Ne abbiamo tutti bisogno!

    Antonio, Vescovo
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    00 26/03/2016 16:23

    Gesù è risorto e noi con LuiAlleluia!


    Mi preme anzitutto porgere a tutti un grande augurio per questa divina e sublime Festa, che riguarda tutti noi ed è la vera sorgente della speranza e della felicità:


    la Santa Pasqua.


    La Gioia che Gesù ci dona raggiunga tutti e dia alla vostra vita il ‘vero respiro’ del cuore, che sgorga proprio dall’ Amore misericordioso del Padre. Auguri e vi assicuro che tutti sarete presenti nella mia preghiera e Gioia, con affetto.


    ------------------------------------------


    La Pasqua è, per noi cristiani, la più grande festa dell’anno liturgico. Vogliamo metterci per un giorno nei panni degli Apostoli, di Maria SS.ma, Sua Madre, e di quanti amavano Gesù, pronti a seguirLo fino in fondo. E Lo amavano sul serio, ‘scelto’ come ‘il Tutto della vita’.


    Per Maria SS.ma poi Gesù era ‘il figlio prediletto’. Un figlio ‘venuto dal Cielo’, è proprio il caso di dirlo: annunziato dall’arcangelo Gabriele, nato per opera dello Spirito Santo, circondato da tante profezie e fatti straordinari, ma anche il Figlio dell’uomo, ‘intessuto’ nel Suo verginale grembo, ‘sangue del suo sangue’.


    I 30 anni, vissuti ‘insieme’ a Nazareth, nella semplicità e povertà, dovevano essere stati per Lei una vera esperienza di fede del ‘vivere con Dio’, anche se l’ombra della Croce era sempre presente, a cominciare dalla Natività a Betlemme. Con il cuore sempre pronto a ricevere e conservare ciò che sentiva, vedeva ed accadeva al Figlio, chi meglio di Maria poteva affermare quanto poi anche l’apostolo Paolo dirà di sé: ‘Per me vivere è Cristo?’. Un grande Bene, un Dono celeste, come nessun altro: un vivere in pienezza, che non può avere nulla di migliore da contrapporre.


    E Maria lo aveva accolto, questo Dono, vivendolo fino in fondo, accompagnando Gesù nella Sua missione, fino a percorrere la via del Calvario, ‘stando’ sotto la Croce, completamente unita a Lui.


    Ma ora Gesù era morto, era stato sepolto. Scomparso dalla loro vista, ma non dalla loro vita.


    Quanti non amavano Gesù, forse avevano ritrovato una misera e umana tranquillità di chi non sa, ancora oggi, riconoscere il Bene che è Dio per tutti, e quindi non possono amarLo.


    Sapevano – come sappiamo – che le futilità, di cui tante volte riempiamo la nostra esistenza, ci nutriamo, sono come i fiori di cartapesta, ma si accontentavano, anzi forse preferivano questo: ‘uomini di dura cervice’, arroccati nel proprio ego.


    Per Maria e gli Apostoli deve essere stato davvero angosciante e triste quel venerdì e sabato santo.


    Sulla nostra misera terra era apparsa, in Gesù, il Figlio fatto uomo per noi e come noi, la Grazia, ossia l’Amore stesso del Padre, la Sua Misericordia.


    Gesù aveva camminato per un tratto di storia con noi e tra noi uomini. È immensamente bello anche solo sapere che Dio ‘fatto uomo’, abbia sperimentato il sapore della nostra terra, fatto di speranze, ma anche di tante tristezze. Ma quel sabato santo la terra, l’umanità si sentiva nuovamente tremendamente sola.


    Voler cancellare le impronte di Dio tra noi – anche oggi – è cancellare l’alito di Vita di Dio in noi.


    Ma non era possibile che Gesù, la Vita, fosse stato spazzato via dalla morte, dall’odio o meglio dall’ottusità degli uomini…come pare continuino a voler fare oggi, stupidamente.


    Gesù lo aveva affermato più volte: ‘Il terzo giorno risusciterò…Io sono la resurrezione e la vita’.


    Grande giorno la Pasqua… come se il passato di noi uomini, pellegrini senza patria dopo il peccato originale, orfani senza gioia, improvvisamente fosse spazzato via, facendoci entrare in un mondo nuovo, ‘nelle braccia del Padre’, aperte per sempre ad accoglierci…sempre che noi ‘rientriamo in noi stessi’ e crediamo in Lui, ‘tornando a Casa’.


    Cerchiamo di vivere insieme la Pasqua, mettendoci nei panni di Maria di Magdala, degli apostoli e di quanti non avevano cessato di sperare.


    “Il primo giorno della settimana, Maria di Magdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: ‘Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!’. Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”. (Gv. 20, 1-9)


    E’ comprensibile l’atteggiamento di smarrimento, di stupore e anche di incredulità in chi era stato vicino a Gesù e Lo aveva visto morire in croce, martoriato. Assomiglia tanto alla nostra incredulità di fronte all’annuncio che un giorno risorgeremo. Se pensassimo che verrà anche per noi la Pasqua, quando saremo noi a risorgere e – speriamo – entreremo nella gloria del Risorto, come vivremmo più intensamente la nostra esistenza quaggiù! È un pensiero che dovrebbe accompagnarci sempre, per dare alla vita quotidiana la giusta prospettiva con il senso dell’attesa di quel giorno.


    Se vivessimo in tale consapevolezza, cambierebbe tanto di noi, che a volte ci affidiamo alla vita come una situazione ‘provvisoria’ senza futuro.


    Per questo la Pasqua ci aiuta ad entrare nel Mistero della ‘vita con Cristo’. Il saluto dei primi cristiani era: ‘Gesù è risorto! Alleluia!’, e secondo l’invito del beato Paolo VI: ‘Sia l’Alleluja il canto che ci accompagni fino a quando sarà pieno in cielo con Cristo Signore!”.


     Antonio, Vescovo


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    00 02/04/2016 11:40
    Omelia della II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia

    3 aprile 2016

    Tommaso, metti qua la tua mano e credi!


    La celebrazione di questa domenica trasuda di ‘aria di Pasqua’, ossia di Resurrezione:
    “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano gli apostoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: ‘Pace a voi!’. Detto questo mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore”, racconta l’evangelista Giovanni, colui che, come Maria, la Madre, non aveva avuto dubbi sulla Parola del Maestro, pur essendo stati gli unici a vederlo crocifisso, morto e sepolto.
    Gesù è tornato, è vivo e li saluta come aveva fatto sempre, come se non si fossero mai separati, come se il tristissimo episodio della loro fuga per la grande paura, che ancora li attanaglia, non fosse mai avvenuto. Con la Sua risurrezione, inizia il tempo dell’amore, della misericordia, del Regno aperto a tutti, della testimonianza, che li porterà a dare la vita come il loro Maestro.
    “Gesù disse loro di nuovo: ‘Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi’. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: ‘Ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi’. Che stupendo quadro dell’amore di Dio per l’uomo: un amore che sembra abbia una gran fretta di togliere di mezzo dolore, dubbio, rifiuto, morte, perché tutto e tutti entrino nella luce della Resurrezione che è pace e gioia e Spirito Santo.
    Possiamo immaginare lo stupore degli apostoli nel vedere ciò che mai avrebbero potuto immaginare: Gesù è risorto, è tornato da loro, è vivo!
    Ma se vogliamo è anche il nostro stupore quando riflettiamo che la vita non finisce qui. Confusi di fronte alla prospettiva di una vita senza domani e senza sapore, quando all’improvviso scopriamo che va oltre con la resurrezione, davvero questo Mistero dà quel senso alla vita che cambia tutto in noi.
    Altro è vivacchiare, passando da un’esperienza all’altra, senza mai essere felici, altro è sapere con certezza che, se vivremo nella fede, tutto prende altra forma.
    In fondo il nostro domani è sempre quello che ci interpella ed è un domani che non ha un suo traguardo solo qui su questa terra, ma va oltre, e lo sentiamo profondamente nel cuore, anche se a volte qualcuno non vuole ammetterlo … come Tommaso! Infatti “Tommaso, uno dei dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: ‘Abbiamo visto il Signore’. Ma egli disse loro: ‘Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi, e non metto la mano nel suo costato, non crederò’.
    Il dubbio di Tommaso sembra proprio la provocazione dell’uomo che di fronte a tanto ineffabile Mistero contrappone le sue certezze, ed è accettata da Gesù, per dare una ulteriore conferma alla Resurrezione. Tommaso rappresenta molto noi. C’è troppa gente, magari battezzata e quindi chiamata alla resurrezione, che vive, ma senza pensare al domani che l’attende e neppure si dà pensiero del dopo. È triste vivere così, è riduttivo ... Spiega forse il fallimento di tanti nella vita, di tanti che si disperano interiormente perché non trovano la ragione e il senso del vivere, quasi la vita fosse una maledizione e non una meravigliosa opportunità, una vocazione alla felicità piena con Dio e con gli altri. È facile incontrare persone così, vanificate o distrutte dentro. Ma è un vivere che diventa drammatico, angosciante, quando è un vero rifiuto di ‘vedere il Signore’, di essere purificati dal Suo sangue, di sperimentare la bontà del Suo Amore nel farsi perdonare i peccati … Ce ne sono di questi poveri stolti, e tanti: una stoltezza che non è quella di Tommaso, che vorrebbe ‘vedere le piaghe del Signore’, ma quella di chi non vuole neppure sentire parlare di Dio, di Resurrezione, di Cielo, di Amore Misericordioso. Pare che questa vita senza prospettiva, che a volte sembra diventare un ‘inferno’ di violenze, sopraffazioni, con la loro scia di disumani dolori, senza un perché, sia la sola vita che vogliono. Ricordiamocelo sempre: nella vita non c’è peggior scelta di quella di chiudere la porta del cuore in faccia a Dio o di perdere la fiducia in Lui, nel dono della Sua Resurrezione, tanto da credere che parlare di Pasqua sia qualcosa che non ci appartiene.
    Ogni uomo ha in sé la nostalgia della casa del Padre: una nostalgia spesso inconfessata, a cui Dio vuole dare una risposta, sempre: “Venne Gesù, a porte chiuse … disse a Tommaso: ‘Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani, stendi la tua mano e mettila nel mio costato e non essere più incredulo, ma credente!’. Rispose Tommaso: ‘Mio Signore e mio Dio!’. Gesù gli disse: ‘Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!’. Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché credendo abbiate la vita nel Suo Nome”. (Gv. 20, 19-31)
    Se ci apriamo al ‘dubbio’ – quello vero, riguardante le nostre ‘scientifiche’ o ‘troppo terra, terra’ certezze – disposti ad accogliere la Verità, anche a noi Gesù si fa presente e mostra i segni della Sua Resurrezione e anche noi diremo: ‘Signore, mio Dio!’.
    Dove Gesù risorge inizia la resurrezione degli uomini. La gioia, la pace del Signore è estesa a tutti gli uomini, attraverso la testimonianza dei Suoi, di tutti noi, che siamo stati ‘chiamati’ da Gesù nel Battesimo, sempre che Lo seguiamo. Ecco perché il caro S. Giovanni Paolo II ha voluto che la I domenica dopo Pasqua fosse, secondo il desiderio espresso da Gesù a S. Faustina Kowalska, dedicata alla Divina Misericordia. Ne è la prova la grazia particolarissima che Gesù ha legato a questa Festa dicendo: “Desidero che la festa della Misericordia sia di riparo e rifugio per tutte le anime e specialmente per i poveri peccatori” e ad essa ha legato ‘il perdono totale delle colpe e delle pene’, aggiungendo: ‘In quel giorno sono aperti tutti i canali attraverso i quali scorrono le grazie divine’. (Diario, 699)
    Nell’Anno Giubilare della Misericordia, quante grazie ci sono donate, se solo apriamo la porta del nostro cuore e della nostra esistenza con fiducia totale e abbandono sereno all’Amore unico e irripetibile del Padre! Le braccia aperte di Gesù, sulla croce, ora sono le braccia del Risorto pronte ad accoglierci: una vera epifania della Misericordia del Padre. Lasciamoci abbracciare!

    Antonio, Vescovo
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    00 09/04/2016 07:50
    III Domenica del Tempo di Pasqua

    Simone di Giovanni, mi ami?

    Nel racconto degli Atti degli Apostoli che oggi si legge - At. 5, 27-32 - sembra siano passati centinaia di secoli, dal momento della paura e della fuga degli Apostoli alla vista della terribile fine cui andava incontro il Maestro, che li aveva chiamati, scelti e fatti suoi amici, ma che nell’ora della prova avevano abbandonato, rinnegato, lasciandolo da solo al suo destino. Con la Risurrezione di Gesù, alla paura si è sostituito il coraggio della testimonianza, fino alla gioia di essere oltraggiati per amore di Gesù!

    “‘Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha resuscitato Gesù che voi avevate ucciso appendendolo alla croce. … E di questi fatti noi siamo testimoni, noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a lui’.

    Allora li fecero fustigare e ordinarono loro di non continuare a parlare nel nome di Gesù: quindi li rimisero in libertà. Ma essi se ne andarono dal sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù.” (At. 5, 27-32)

    Ed è quanto ci è presentato anche nel Vangelo, prima e dopo la pesca miracolosa.

    Al momento dell’arresto di Gesù, Pietro, che amava Gesù e non si rassegnava a lasciarLo in mano ai nemici, Lo aveva seguito, cercando però di passare inosservato. E quando era stato scoperto, per la paura, addirittura, aveva ricorso al falso giuramento di non conoscerlo affatto, rinnegando un’amicizia e un amore che invece viveva profondamente.

    Era venuta fuori tutta, ma proprio tutta, l’incapacità, la debolezza, la fragilità dell’uomo, di ogni uomo, di ogni tempo, di fronte a prove che richiedono una forza che può solo venire da Dio, dallo Spirito Santo. Pietro, quando se ne rese conto, ‘pianse amaramente’.

    Quanto sarà stato difficile ammettere e riconoscere la vigliaccheria cui aveva ricorso per non correre pericoli! Non è facile accettare una tale umana debolezza.

    Ma Dio lo aveva permesso proprio per preparare nell’umiltà e nel coraggio colui che poi designerà per grandi cose. E capita a tutti noi.

    Quante volte ci sentiamo pronti ad affrontare chissà cosa – parlo nel campo della fede, dell’amicizia, della virtù, della dignità – e poi al momento del confronto con la mentalità del mondo, che chiede a volte ‘martirio’ nel confessare ciò che siamo e crediamo, si manifesta tutta la nostra debolezza. Quanta gente generosa, che avrebbe, a parole, data la vita per il Regno di Dio, di fronte alla virulenza della mentalità che vuole dominare le persone, annullando i grandi valori, si china per paura. Non c’è da spaventarsi: è ciò che siamo senza la Grazia di Dio che ci sostiene.

    Essere davvero cristiani, fino in fondo, con naturalezza, senza venir mai meno a ciò che veramente siamo ‘dentro’, non è facile. Più facile piegare la testa al mondo, per evitare, come Pietro, di fare, seguendoLo, la fine di Gesù nella passione. Ma ora Gesù è nuovamente con loro, è Risorto! E’ ciò che ci testimoniano, oggi, nel nostro mondo, tanti fratelli nella fede, perseguitati, ma che restano fedeli, perdendo tutto, a volte, anche la vita! E’ giunta, dopo la dolorosa e totale morte ‘dell’uomo’, l’ora del ‘totalmente diverso’, che Gesù vuole partecipare a noi, se solo lo accogliamo.

    Come appare nel Vangelo di oggi, la fragilità non sempre va insieme al non amore e soprattutto la fiducia illimitata di Gesù non viene meno, perché Lui ‘conosce i nostri cuori’, impastati di miseria e di slanci di generosità e continua a ‘credere’ in noi … come se nulla fosse accaduto. E’ la tua alta espressione della Misericordia del nostro Dio! E’ però necessario che il nostro amore per Lui sia, nella consapevolezza della nostra fragilità di peccatori, fondato su una profonda e sincera umiltà, che si apra ad accogliere con totale fiducia l’amore di Gesù, che mai viene meno.

    “Gesù si manifestò di nuovo agli apostoli sul mare di Tiberiade … - nella II pesca miracolosa, dopo la quale - Gesù disse a Simon Pietro: ‘Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?’. Gli rispose: ‘Certo, Signore, tu lo sai che io ti amo’. Gli disse: ‘Pasci i miei agnelli’. Gli disse di nuovo: ‘Simone di Giovanni, mi ami?. Gli rispose: ‘Certo, Signore, lo sai che ti amo’. Gli disse: ‘Pasci le mie pecorelle’. Gli disse per la terza volta: ‘Simone di Giovanni mi ami?’. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: ‘Mi ami?’e gli disse: ‘Signore, tu sai tutto: tu sai che ti amo’. Gli rispose: ‘Pasci le mie pecorelle. In verità in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi’. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo disse: ‘Seguimi’.” (Gv. 21, 1-19)

    La storia di Pietro è un poco la nostra vita cristiana: può essere grande la nostra fragilità, ma quando si ama, con la fiducia in Gesù possiamo andare oltre. A volte possiamo essere vittime della nostra miseria, che ci porta quasi a negare Gesù, ma poi al giusto momento, diventiamo capaci di affermare un amore grande. Ricordo quando nel Belice mi giunsero assolutamente inaspettati, attraverso la comunicazione del Santo Padre Paolo VI, oggi beato, che mi voleva davvero un grande bene, la richiesta e l’invito di Gesù: ‘Mi ami tu? Pasci le mie pecorelle’, ossia la nomina a vescovo.

    Non nego, che grande fu la mia sorpresa: ‘Impossibile – mi dicevo – che Dio si fidi della mia povertà e mi affidi ‘il Suo gregge’. Mi sentivo smarrito, come Pietro. Ma qualcosa dentro mi invitava a rispondere come Lui, perché era la verità: ‘Signore, tu sai che io ti amo’.

    che si affida. Chissà quante volte queste due realtà, fragilità umana e amore, si sono alternate nella nostra vita. L’amore ha bisogno, per trionfare, di questa nostra debolezza, che si affida alla Presenza di Gesù nella nostra vita. Se Gesù ci domandasse oggi: ‘Mi ami tu?’, guardando alla quotidianità del nostro vivere, quale sarebbe la nostra risposta? L’augurio e la preghiera è che sia sempre, nonostante tutto: ‘Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene’.

    Antonio, Vescovo
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    00 15/04/2016 21:50

    IV Domenica del Tempo di Pasqua


     Ascoltiamo e seguiamo Gesù


     


    Il Vangelo di oggi ci presenta un brano che con due pennellate dipinge ed esprime tutta la tenerezza e l’amore del Padre e di Gesù per ciascuno di noi.“In quel tempo Gesù disse: ‘Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola’. (Gv 10, 27-30)


    In questo piccolo racconto c’è soprattutto Lui, Gesù, mandato dal Padre a dare la vita, perché noi l’avessimo e in abbondanza, ciascuno di noi, conosciuto per nome, con tutti i propri travagli e difficoltà, a cui dice: sei ‘mio’, non nel senso del possesso, ma dell’attenzione e cura che vuole dedicarci.


    Nello sguardo di Gesù c’è lo sguardo di Dio: uno sguardo, che ci segue nel cammino, a volte tortuoso delle nostre giornate, incredibilmente e meravigliosamente compassionevole, di chi con noi patisce, per poterci dare la Sua stessa forza. Gesù sa bene quanto la sofferenza e le difficoltà possano prostrarci: ha provato tutto, eccetto il peccato, e ‘ci conosce’ fino in fondo.


    Sa benissimo, che nei momenti di dubbio, di oscurità, anche di male, dentro di noi ‘stanchi e sfiniti’, vi è il desiderio spasmodico di trovare Qualcuno a cui aggrapparci come l’ultima speranza. Quando non si spera più giustizia, amore, verità; non si ha più neppure la voglia di ‘camminare’ e, soprattutto, si è perso anche il senso e il gusto al cammino, che si è costretti a compiere, è una grande Grazia riuscire a percepire e credere che Lui non accetta facilmente che ci ‘perdiamo’: ‘nessuno le strapperà dalla mia mano’. E quando anche qualche volta, per dabbenaggine o per altre ragioni, siamo noi stessi che ci allontaniamo, sappiamo che Gesù non smette mai di cercarci e ci rassicura: ‘non andranno perdute in eterno’!


    Ma una cosa chiede, ieri, oggi e sempre ai Suoi, a noi: ‘ascoltare la Sua voce’!


    E’ questo il primo compito del cristiano: ascoltare Gesù che ci parla, ci salva con la Sua Parola, fa più robusta e forte la nostra fede, trasforma la nostra vita. Più volte anche Papa Francesco ci ha già richiamati su questo aspetto. Ma oggi lo sentiamo ancora più impellente. Durante la giornata’, ha osservato il Santo Padre, durante una visita pastorale in una parrocchia romana, ‘si ascoltano spesso altre voci: la radio, la televisione, le chiacchiere delle persone. Ma vi faccio una domanda: Prendiamo un po’ di tempo ogni giorno per ascoltare la Parola di Gesù? A casa abbiamo il Vangelo e ogni giorno ne leggiamo un brano o abbiamo paura, non siamo abituati? … Ascoltare la Parola di Gesù nutre l’anima, la fede. La Sua Parola entra nel nostro cuore e ci fa più forti nella fede’


    Solo così possiamo ‘rimanere nel Suo amore’ e diventare, nonostante le nostre debolezze, comunicatori di gioia evangelica, di speranza e felicità di essere con Dio e nel Cuore di Dio, ‘una cosa sola con Gesù e con il Padre suo’.


    Antonio, Vescovo


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    00 23/04/2016 23:06
    V Domenica del Tempo di Pasqua



    Fratelli amatevi gli uni gli altri, come Io vi ho amati



    Sentiamo tutti la tristezza di vivere in una famiglia, in una società, che troppo spesso pare abbia perso il senso della propria umanità. Ha ragione Papa Francesco quando, riferendosi ai profughi che stava per visitare nell’isola di Lesbo, sabato scorso, ha scritto in un tweet:

    “I profughi non sono numeri, sono persone: sono volti, nomi, storie, e come tali vanno trattati”.

    In questo mondo così autoreferenziale, ripiegato sopra i propri diritti, che ha trasformato in privilegi solo per se stesso, l’altro ormai è solo un numero, o un fastidio, o un pericolo, o un ostacolo, o un oggetto da sfruttare! Non sappiamo più guardarci e non ci rendiamo conto che, lentamente, è come se non vivessimo più e ci stessimo distruggendo in quello che di più bello il Signore ci ha donato, ‘essere a Sua immagine’, quindi essere ‘per natura’ portati a riconoscerci e farci dono reciproco del nostro amore.

    La vita non ha nessun senso se nei rapporti, a cominciare dalla famiglia, fino all’umanità tutta, non viviamo la bellezza dell’amare ed essere amati.

    C’era un tempo, di povertà, il tempo in cui i nostri padri erano costretti ad emigrare, per sostenere le proprie famiglie: quanti italiani si sparsero in altre parti del mondo! Quanta sofferenza nei distacchi, nelle incomprensioni, ma anche quanta solidarietà, amicizia, aiuto vicendevole.

    Oggi questi valori sembra siano stati spazzati via dall’egoismo del benessere che, per fare posto alla cura delle cose senza vita, non fa più posto all’accoglienza. È un vero peccato ed è per questo che risuona forte e urgente il richiamo di Gesù, nel Vangelo di oggi:

    “Fratelli, ancora un poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato, così amatevi gli uni gli altri. Da questo sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”. (Gv. 13, 31-35)

    È il grande testamento che Gesù ha consegnato alla Chiesa; il comandamento che distingue il cristiano dal mondo dominato dalla superbia, che porta non solo a isolarci in noi stessi, a essere indifferenti verso chi ci sta vicino, come non esistesse, ma anche a giudicarlo o fargli del male, per prevalere su di lui.

    E in questi modi non solo è come se si cancellasse la presenza del fratello, ma si rischia di cancellare la Presenza e l’Amore di Dio dalla nostra vita: questa è la vera dannazione del nostro tempo!

    Una delle mie preoccupazioni pastorali, sia come parroco nel Belice, sia come vescovo, era quella di amare con tutte le forze chi il Signore mi consegnava da amare, non badando alle difficoltà.

    Tanto che un giorno, dopo il terremoto, ai fedeli che si chiedevano la ragione di quanto facevo, durante una Messa festiva, sentii il bisogno di esplicitarla: ‘Tutto quello che faccio ha una sola ragione, quella di amarvi con tutte le forze, perché so che per noi sacerdoti, e potrei dire per tutti, per ciascuno di voi, il sale della gioia è l’amore’. Era come se avessi dato sfogo al cuore e mi venne da piangere, tanto che, non riuscendo a frenarmi, mi riaccompagnarono nella mia baracca. Lo stesso mi fu chiesto da vescovo. Vedendomi impegnato con tutte le forze su tutti i fronti, compresa la guerra alla malavita, tanti si chiedevano la ragione: ‘E’ solo perché so che il cuore della gente si lascia condurre dall’amore e per noi pastori amare con tutte le forze, in nome e con la grazia di Dio, come fece Gesù, è la sola strada’.

    E non c’è opera più grande nelle famiglie, nelle parrocchie, nella società, che l’amore dato.

    Ma è necessario che, come è scritto oggi nella I lettura, noi pastori, come sta facendo Papa Francesco, confermiamo i discepoli e li esortiamo a restare saldi nella fede ‘perché – dicevano Paolo e Barnaba – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni’.(At 14, 21-27).

    Non possiamo mai dissociare l’amore dal dolore, la resurrezione dalla Croce!

    Ogni Pastore, che ama il popolo che gli è affidato, non può che richiamarlo continuamente agli insegnamenti dell’unico Maestro, Gesù. Per questo il beato Paolo VI, così proclamava l’urgenza del vivere come fratelli in comunità: “Il progresso civile viene scoprendo come esigenza, come conquista, ciò che Cristo, fattosi uomo come noi e nostro Maestro, già ci aveva insegnato dalle pagine, ma non pienamente comprese, non ancora universalmente applicate, del Suo Vangelo: ‘Voi siete tutti fratelli’, cioè uguali, solidali, cioè obbligati a riconoscere che in ciascuno di voi è riflessa l’immagine dello stesso Padre celeste…Oggi la fratellanza si impone, l’amicizia è il principio di ogni moderna convivenza umana.

    Invece di vedere nel nostro simile l’estraneo, il rivale, l’antipatico, l’avversario, il nemico, dobbiamo abituarci a vedere l’uomo, che vuol dire un essere pari al nostro, degno di rispetto, stima, assistenza, amore, come a noi stessi … Bisogna che cadano le barriere dell’egoismo e che l’affermazione di legittimi interessi personali non sia mai offesa per gli altri”. La persona sempre innanzi tutto!!!

    Del resto il Concilio stesso ha richiesto con forza, in ogni ambito, di passare al dialogo e alla collaborazione: un atteggiamento positivo che prelude ad un rovesciamento di mentalità, oggi più che mai necessaria. Inoltre il Concilio mette in relazione la paternità divina e la fratellanza umana, richiamando all’unità del genere umano e affermando con forza l’uguaglianza di tutti gli uomini.

    È lo spirito conciliare e profetico che continua ad animare Papa Francesco, non sempre compreso.

    Come ha detto nell’udienza generale del 13 aprile, parlando della contestazione rivolta direttamente a Gesù e ai suoi discepoli, ‘per il fatto che questi condividono la mensa con i pubblicani e i peccatori.’, Papa Francesco ha precisato: ‘Chiamando Matteo, Gesù mostra ai peccatori che non guarda al loro passato, alla condizione sociale, alle convenzioni esteriori, ma piuttosto apre loro un futuro nuovo. “Non c’è santo senza passato e non c’è peccatore senza futuro”. Questo è quello che fa Gesù … La Chiesa non è una comunità di perfetti, ma di discepoli in cammino, che seguono il Signore perché si riconoscono peccatori e bisognosi del suo perdono. La vita cristiana quindi è scuola di umiltà che ci apre alla grazia.”.

    La Grazia di imparare, camminando, ad amarci come Gesù ci ha amati, per essere riconosciuti come suoi discepoli: preghiamo per ricevere questo incomparabile dono dello Spirito.

    Antonio, Vescovo
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    00 30/04/2016 18:46
    VI Domenica del Tempo di Pasqua

    NON SIA MAI TURBATO IL VOSTRO CUORE



    Il lungo, ed insieme breve periodo, che Gesù fa intercorrere tra la sua resurrezione fino all’ascensione al Cielo, deve essere stato denso di attese tra gli Apostoli e quanti erano rimasti fedeli al Maestro: tempo di incertezze e di attesa di certezze, di domande sul da farsi, soprattutto del timore di restare soli, senza il loro Maestro, punto di riferimento assoluto e vitale. Gesù andava e veniva, apparendo in continuità, rassicurandoli, come volesse guidare i passi di un lungo cammino verso il Regno, che Lui aveva iniziato in terra: un Regno a cui anche noi siamo chiamati a partecipare e costruire, giorno per giorno.
    Se la bellezza e la profondità della Buona Novella era stata così poco capita, se i confini dove farla giungere erano immensi, se tutto questo era apparso difficile stando vicino a Gesù, doveva apparire quasi una follìa per gli Apostoli ‘andare’. ‘Andare’, ma da chi? E dicendo che cosa? Con quali mezzi persuasivi? Bastava annunciare, come faranno poi gli Apostoli e siamo chiamati noi, la morte e la resurrezione di Gesù, figlio di Dio? Bastava e basta dire agli uomini, sempre malati di scetticismo, che Gesù è la Verità e non ha certamente bisogno di fatti eclatanti, di potenza umana, ma solo di un’autentica ricerca, per poter diventare ‘Luce che illumina le nostre tenebre’?
    Gesù poi li mandava – e ci manda – raccomandando di andare in totale povertà, ossia non ricorrendo a strategie, a fatti miracolosi, rifuggendo così i metodi del mondo, che quando annunciano qualcosa di ‘grande’ usano una tale forza di mezzi e di pubblicità, da non far più capire se quanto si proclama sia vero o nasconda altro, che nulla ha a che fare con la bellezza e il valore dell’ evento stesso.
    Tutti interrogativi e perplessità ‘umane’, che spesso inondano la nostra anima, come del resto accadeva nelle prime comunità. Così oggi leggiamo dagli Atti degli Apostoli, che “alcuni venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli questa dottrina: ‘Se non vi fate circoncidere, secondo l’uso di Mosè, non potete essere salvi!’. Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente chiesero l’intervento degli Apostoli, i quali inviarono prontamente una lettera ai cristiani di Antiochia: ‘Abbiamo saputo che alcuni da parte nostra ai quali avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con i loro discorsi sconvolgendo i vostri animi …. Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenervi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue e dalla impudicizia. State bene’”. (At. 15, 1-22-29)
    Quanta autorevolezza e decisione, così differente dalla paura che, subito dopo la morte del Maestro, aveva invaso gli Apostoli, la stessa debolezza o timore che tante volte si nota tra di noi: paura di testimoniare la nostra fede. Troppe volte siamo superficiali e, davanti alla prova, mostriamo la nostra titubanza e debolezza. Non pregheremo mai abbastanza perché lo Spirito possa operare in noi, donandoci la pienezza di fede, che ci fa andare oltre l’umano e la mediocrità, a cui gli uomini del nostro tempo sembrano invitarci, senza forse neanche saperlo, attendendo da chi è credente e chiamato alla santità, una coerenza di vita, che assume tutte le istanze dell’uomo e del creato.
    Ma forse trova ancora in troppi quella che possiamo definire ‘incertezza’, spesso frutto anche di un individualismo imperante, che intacca anche il nostro vivere la fede, in forme ‘intimistiche’ o personalistiche. Il credente fedele non può mai chiudersi in se stesso, isolandosi spiritualmente dalla comunità, ma è chiamato a vivere in un continuo scambio con gli altri, con vivo senso di fraternità, nella gioia e nel rispetto della uguale dignità e nell’impegno di fare fruttificare insieme l’immenso tesoro ricevuto in dono. Fanno tanto pensare le parole che Gesù rivolge ai suoi discepoli, che oggi siamo noi:
    “Gesù disse ai suoi discepoli: ‘Se uno mi ama, osserverà la mia Parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui … Queste cose vi ho detto quando ancora ero tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà a mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, Io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito ciò che vi ho detto. Vado e tornerò a voi: se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto adesso, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate”. (Gv. 14, 23-29)
    Parole che Gesù pronunciò nell’Ultima Cena, prima di affrontare il supremo dono della sua vita con la passione e crocifissione. Conosceva bene la debolezza umana dei suoi discepoli. Sapeva che per un poco avrebbero messo in dubbio la loro totale fiducia, fino a rinnegarLo. Sapeva tutto di loro. Ma volle rinfrancarli con queste parole, che abbiamo letto: hanno tutto il sapore di un testamento da non dimenticare. Tutto è in quella stupenda espressione, che ripeterà all’infinito nell’Ultima Cena: CHI MI AMA. L’amore, in e con Gesù, non conosce i limiti della morte, ma anzi è la chiave che apre il Cielo.
    Occorre partire dalla convinzione che la vitalità nella fede è nella comunione fraterna: ‘… come Io ho amato voi: così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo conosceranno che siete miei discepoli’.
    C’è stata e c’è una pericolosa diffidenza verso gli altri, che porta all’indifferenza, come se non ci appartenessero, e peggio ancora al rifiuto. Fa tanto soffrire. Gesù ha affidato il comandamento di amarci gli uni gli altri, all’intera Chiesa. Il che vuol dire che tutti, ma proprio tutti, hanno il dovere di fare dono di sé con quella manifestazione dello Spirito che è data a ciascuno, come direbbe S. Paolo, ‘per l’utilità comune’. E Dio solo sa quanto sia necessaria questa carità, per dare respiro a tanti che si sentono soli, o soffrono, o sono poveri. Amarsi, come ci dice Gesù, è costruire un piccolo o grande segno di speranza in tanti, oggi…ed è il miglior modo per essere e fare felici, perché ‘non sia turbato il nostro cuore e non abbia timore’. Ricordiamocelo sempre, per sconfiggere la tentazione dell’indifferenza e della solitudine:
    “Chi mi ama, osserverà la mia Parola e il Padre mio lo amerà
    e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”.
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    00 07/05/2016 10:35
    Omelia del giorno 8 maggio 2016

    GESÙ ASCENDE AL CIELO


    Oggi facciamo memoria della Festa dell’Ascensione di Gesù al Cielo. Forse ci saremmo aspettati, alla fine del breve racconto dell’Ascensione, che si evidenziasse l’afflizione degli Apostoli per la partenza ormai definitiva del Maestro. Ma non è così, perché non vi fu tristezza, come racconta Luca, nel suo Vangelo: “Poi li condusse fuori verso Betania, e alzate le mani li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. E gli apostoli, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio, lodando Dio”. (Lc. 24, 46-53)
    C’è una bella differenza rispetto al Venerdì santo, quando erano stati lasciati nella paura e nello smarrimento … come se tutto avesse avuto una fine inaspettata.
    Non si erano resi conto, e a volte non ce ne rendiamo conto, profondamente, neanche noi, che ‘quella’ era stata la scelta dello stesso Gesù: non era stato crocifisso, ma si era lasciato crocifiggere, dando di propria volontà la vita, estremo atto di amore per noi.
    Era difficile, per gli Apostoli, capire il trionfo di Gesù sulla croce e la sconfitta dei crocifissori.
    Ma Gesù, con la sua resurrezione, ha messo fine, ai loro e nostri dubbi: ha cambiato completamente la verità della fragilità nella nostra vita, chiamata ad una gloria, che solo Dio, il Figlio di Dio, poteva conquistare per noi. La resurrezione ha ormai tracciato strade, che possono conoscere l’infinito di Dio.
    Gesù ‘passa le pareti’, non conosce più spazio né tempo: ci ha aperto la porta della vita eterna.
    I discepoli ormai sanno che ora il Maestro sarà sempre con loro … e dovremmo saperlo anche noi!
    L’Ascensione chiude solo l’esperienza terrena di Dio tra noi, ma continua la più grande storia di amore mai scritta o immaginata. E’ il ritorno del Figlio al Padre che, in altro modo, assicura la Sua Presenza, attraverso il dono del Consolatore, lo Spirito Santo. Afferma Papa Francesco: ‘L’Ascensione non indica l’assenza di Gesù, ma ci dice che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo; non è più in un preciso posto del mondo come lo era prima dell’Ascensione; ora è nella signoria di Dio, presente in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di noi. Nella nostra vita non siamo mai soli: abbiamo questo avvocato che ci attende, che ci difende. Non siamo mai soli”.
    Adesso sappiamo che la nostra vita non è un’esperienza di poco conto, senza alcuna speranza nel dopo …. al contrario, anche se può essere o apparire un Calvario, ci conduce ad ascendere con Gesù.
    Così presentava l’Ascensione di Gesù al Cielo il nostro sempre caro e beato Paolo VI:
    “L’avvenimento finale della vita di Cristo sulla scena della storia umana, è la sua ammirabile ascensione al Cielo, il suo passaggio da questa terra, da questo nostro mondo, a noi conoscibile, in cui noi siamo immersi come pesci nell’oceano, ad un altro mondo, ad un altro universo, ad un’altra forma di esistenza, della quale abbiamo la certezza, ma ancora scarsa notizia e, forse, nessuna esperienza ...
    Il nostro ricordo di tale avvenimento misterioso e storico ad un tempo, ci fa sentire la nostra solitudine, la nostra condizione di seguaci di Cristo, di credenti in Cristo, di legati a Cristo, rimasti in terra senza la sua visibile presenza. Nasce nei fedeli, privi del rapporto sensibile con Gesù, lo sforzo di comunicare ugualmente con Lui; nasce cioè la ricerca di vincoli che tuttora ci uniscono a Lui; una ricerca che sarà subito ricca di risultati, fino a darci la prova della promessa realizzata di una sua dolcissima parola di commiato: ‘Non vi lascerò orfani, verrò da voi’ e di quell’altra parola solenne, che proclama Cristo presente nei secoli: ‘Ecco io sono con voi fino alla fine del mondo’. E noi vogliamo metterci nei panni degli apostoli, che scomparso Gesù dai loro occhi, se ne tornarono a Gerusalemme, si raccolsero con Maria nel cenacolo in attesa dello Spirito Santo.” (maggio 1963)
    Dovremmo anche noi ritrovare quanto hanno provato gli Apostoli il giorno in cui Gesù salì al Cielo: ‘Tornarono a Gerusalemme con grande gioia’, una gioia che diverrà, con la Pentecoste, forza e capacità di trasmetterla a tutti.
    Il giorno dell’Ascensione, gli Apostoli sanno ormai – e dovremmo esserne certi anche noi – che Gesù sarà dovunque essi si troveranno. Quando parleranno diranno ‘Parole Sue’; Lo troveranno nel cuore, riempito dalla Sua pace, anche quando saranno arrestati; i loro gesti saranno i ‘Suoi gesti’, per continuare la Sua opera, segno del grande bene che il Padre ci vuole, quella carezza che quotidianamente Dio, se abbiamo fede, ci fa, perché dimentichiamo le frustate dell’indifferenza, della cattiveria e violenza cieca. E per sentirseLo ancora più vicino, ogni volta parteciperanno, parteciperemo, all’Eucarestia, lasceranno il posto principale libero, perché a presiedere sia sempre Lui.
    Con passo deciso, illuminati dalla certezza del nostro futuro con Lui, camminiamo per le strade del mondo, testimoni del Risorto, a ‘predicare’ Lui, salvezza di tutti.
    Sono venti secoli che questa Presenza divina nella Chiesa si fa strada nella storia, tessendo la vera nostra storia, che non conoscerà più tramonto.
    Oggi davvero tutti noi, che crediamo, alzando le mani al cielo, indichiamo il Maestro che si eleva su di noi ed è assiso alla destra del Padre, eppure continua a camminare al nostro fianco!
    Questa è davvero la gioia dell’Ascensione di Gesù al Cielo per noi.
    Con madre Teresa di Calcutta preghiamo:
    “Signore, nostro Dio, tu hai dato te stesso per noi.
    Noi vogliamo essere a tua disposizione per essere tuoi, affinché un giorno possiamo possederti
    e per ricevere tutto ciò che dai e dare tutto ciò che chiedi, con un sorriso.
    Prendi ora tutto di noi, perché ti serva di noi come ti piace, senza tentennamenti.
    Prenditi la nostra volontà e tutta la vita
    affinché tu possa compiere le tue opere con le nostre mani,
    e così un giorno possiamo ascendere in cielo con te. Per sempre.”
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    00 14/05/2016 18:08
    Omelia del 15 maggio 2016

    Pentecoste – grande ora della Chiesa



    ‘Grande ora della Chiesa’, così definisce Paolo VI la Solennità della Pentecoste.

    Per la sua natura spirituale, che viene direttamente da Dio, l’uomo non può stare solo. Ha profondamente bisogno di essere amato e di amare. Senza amore si sente paralizzato … menomato.

    Gli Apostoli, che conoscevano molto bene le debolezze e paure della natura umana, e ne avevano dato prova piena il giorno della passione di Gesù, il giorno di Pentecoste è come fossero rinati, riscoprendo e ritrovando in se stessi, per azione dello Spirito, la stessa energia di Dio, così da potersi esprimere ormai senza più paure, dando vita alla comunità cristiana.

    Basta leggere gli Atti per toccare con mano il grande cambiamento interiore avvenuto in loro. Non era più il tempo di nascondersi, di temere, ma di testimoniare alla luce del sole: ‘cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito Santo dava loro di potere esprimersi’ (At. 2, 1-11)

    Lo Spirito Santo ormai li aveva trasformati, fino al punto da non temere più opposizioni, ma addirittura gioire, ogni volta venivano perseguitati, messi in carcere, flagellati, tornando sempre sulla piazza e nel tempio a ‘lodare Dio’ e continuare l’opera di evangelizzazione, che era stata loro affidata dal Maestro, la stessa a cui siamo chiamati tutti noi cristiani, oggi, sia pure in modi diversi.

    C’è un giorno nella nostra vita in cui anche per noi accade l’Evento della Pentecoste, ossia il giorno in cui riceviamo il grande sacramento della Cresima: lo Spirito Santo diviene l’anima del nostro coraggio nel vivere e diffondere il Vangelo. Ma è così?

    La mia vocazione alla vita religiosa è nata proprio il giorno della mia Cresima, quando il Cardinal Schuster mi ‘lesse negli occhi’ (ero chierichetto) forse il segno di una particolare vocazione.

    La forza dello Spirito mi aiutò a dire ‘sì’ e così ho potuto conoscere una discesa ancora più potente dello Spirito Santo, il giorno in cui ricevetti il sacramento dell’Ordine, quando il mio Vescovo stese le mani sopra di me, invocando lo Spirito Santo. Ma fui come sconvolto quando, circondato da circa 30 vescovi, in piazza a Santa Ninfa, rispondendo alla chiamata di Paolo VI, che mi aveva voluto vescovo, sentii le mani del Cardinal Pappalardo stese sul mio capo, e poi fui unto dall’olio crismatico. Compresi che qualcosa di nuovo, tutto interiore, sorprendente, avveniva in me, come vescovo, pastore delle anime, affidatemi dal Maestro.

    A distanza di anni, ogni volta do uno sguardo al mio servizio di parroco nel Belice e ancora di più agli anni da vescovo nella non facile diocesi in cui vivo, mi è chiara ‘la presenza dello Spirito Santo’ al punto da chiedermi: chi ha agito? Chi ha dato energia e discernimento?

    La risposta è sempre la stessa: lo Spirito ha operato ed io sono stato uno strumento.

    Anche se in modi diversi, ogni cristiano, se solo resta docile alla Sua azione, può essere illuminato, fortificato e guidato dallo Spirito Santo, Spirito Consolatore, che Gesù ci ha lasciato, perché non ci sentissimo mai soli nel testimoniarlo. A volte Lo si costringe a restare ininfluente, per impreparazione, - poiché lo Spirito opera sempre attraverso la nostra libera volontà – a volte rende davvero la nostra azione profetica.

    Penso ai grandi Pontefici che ci hanno accompagnato nel secolo scorso.

    Chi non ricorda Giovanni XXIII? Non è forse stata ispirazione dello Spirito l’aver indetto il Concilio Vaticano II, da parte di questo Papa buono, considerato da molti, all’inizio, ‘solo un Papa di transizione’? La sua stessa presenza sorridente e affabile, come se nulla fosse impossibile, non ha forse suscitato meraviglia, infuso ottimismo e coraggio?

    E che dire di Paolo VI, vero apostolo delle genti, che soffrendo seppe guidare il Concilio e la Chiesa in tempi tanto difficili? E del coraggio di Giovanni Paolo II, che fino alla fine ha testimoniato ‘il vento gagliardo’ dello Spirito? Ed oggi ci è stato dato Papa Francesco, davvero uomo del discernimento, che si lascia guidare dal ‘vento’ dello Spirito.

    Così come possiamo ricordare tanti che hanno lasciato la loro impronta di uomini e donne dello Spirito, cristiani che abbiamo ammirato per la loro profonda spiritualità e zelo apostolico.

    Ma il pensiero corre anche ai tanti martiri, non temono di andare incontro alla morte, a volte dopo tanti tormenti…anche oggi, in tante parti del mondo.

    E viene da chiedersi: ‘Ma chi dà la forza del martirio?’. Vi è una sola risposta: lo Spirito Santo.

    Sono davvero tanti i testimoni, oggi, dell’opera dello Spirito Santo. Anche tra la nostra gente:

    giovani, uomini e donne, che sono stupendi testimoni che lo Spirito opera in modo incredibile e non ha certamente paura delle tante mode o contrasti del mondo.

    Qualcuno ha detto che è difficile essere cristiani coerenti, ossia testimoni veri dello Spirito, oggi.

    Credo invece che siano ancora tanti e ovunque ed in ogni categoria.

    Come a dare ragione a quanto, scrisse S. Paolo ai Corinzi: “Fratelli, nessuno può dire ‘Gesù è il Signore’ se non sotto l’azione dello Spirito Santo ... E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune.”. (Cor. 12, 12)

    Davvero grande il Dono dello Spirito Santo. Sapere che Lui è forza e luce dona coraggio nelle vicende della vita. Per questo la Pentecoste è la ‘grande ora’ della Chiesa, che deve mostrare il suo vero volto, il Volto Misericordioso del suo Signore e Maestro, che ci ha invitati a diventare ‘misericordiosi come il Padre’. Tocca ora a noi lasciarci invadere dallo Spirito Santo. Papa Francesco in un’omelia a Santa Marta ci ha ricordato che il Padre “darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono … Questo è il di più di Dio … il vero dono del Padre è quello che la preghiera non osa sperare. ‘Io chiedo questa grazia; chiedo questo, busso e prego tanto … Soltanto spero che mi dia questo’. E Lui che è Padre, mi dà quello e di più: il Dono, lo Spirito Santo”.

    Chiediamo insieme, di cuore, questo Dono incomparabile, che ci è più necessario della stessa vita.

    Antonio, Vescovo
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    00 26/05/2016 14:17
    Nel Cuore della SS.ma Trinità



    Oggi facciamo ‘memoria’, cioè riviviamo, perché Dio è l’Eterno Presente, il grande Mistero di Amore, in cui ha voluto coinvolgerci, se solo lo accogliamo: la SS.ma Trinità. L’uomo di oggi difficilmente sa riferirsi alla grandezza, che gli viene dalla Santissima Trinità. Difficilmente sappiamo volgere la nostra attenzione sul grande Amore, di cui siamo onorati e circondati.

    Così Gesù ha annunciato e continua ad annunciare questo grande Amore:

    “In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: ‘Molte cose ho da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito, e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio: per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”. (Gv. 16, 12-15)

    È tanto grande la verità contenuta nel Mistero della Santissima Trinità, da rimanere sbalorditi, non solo per ciò che è, ma per il Suo divino degnarsi di abbassarsi fino a farsi dono per noi!

    Viene proprio da chiedersi quanto prega il Salmista:

    “O Signore, nostro Dio, quanto è grande il Tuo Nome su tutta la terra.

    Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,

    la luna e le stelle che tu hai fissato,

    che cosa è mai l’uomo, perché di lui ti ricordi,

    il figlio dell’uomo, perché te ne curi?”. (Salmo 8)

    Dobbiamo ritrovare l’innocenza e la fiducia che ci caratterizzava da bambini, per accogliere con cuore aperto e puro, quello che - si spera – sia stato per tanti il primo insegnamento uscito dal cuore delle nostre mamme, cioè di educare la nostra mano ed il nostro cuore a farsi il segno della croce.

    Era il ‘segno’ che apriva e chiudeva la giornata, vissuta così nell’amore della SS.ma Trinità.

    Eravamo ancora incapaci di camminare sicuri, ma la nostra manina si lasciava condurre da quella sicura di chi ci aveva donato la vita, e tracciava sulla nostra fronte, sul cuore e sulle spalle, fino a disegnarla con chiarezza, come segno di tutta l’esistenza, la croce, quella di Gesù, il Vivente, accompagnando il segno con le parole ‘Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo’.

    Una brevissima professione di fede che avrebbe dovuto segnare ogni passo del nostro pellegrinare: ogni inizio di giornata, di lavoro, di sacrificio, di riposo, vero distintivo e professione di ciò che siamo diventati con il Battesimo: figli di Dio, figli di un Padre, che si è donato gratuitamente e da cui siamo creati e a cui apparteniamo; fratelli del Figlio di Dio, Gesù, mandato dal Padre per salvarci e talmente vicino a noi da essere ‘pane di vita’, ‘abitati’ dall’ Amore stesso di Dio , lo Spirito Santo, ricevuto nel Battesimo, effuso su di noi nella Cresima, che ci assiste e dà forza nella difficile nostra vita.

    Tracciando il segno della croce, se siamo attenti, professiamo le principali verità di fede: Dio Uno e Trino, Padre, Figlio e Spirito Santo e la morte e resurrezione di Gesù, espressione concreta di quanto sia infinito l’Amore.

    Come ha detto Papa Francesco, la solennità liturgica di oggi “mentre ci fa contemplare il mistero stupendo da cui proveniamo e verso il quale andiamo, ci rinnova la missione di vivere la comunione con Dio e tra noi sul modello di quella trinitaria. Siamo chiamati a vivere non gli uni senza gli altri, sopra o contro gli altri, ma gli uni con gli altri, per gli altri, e negli altri …”. La Trinità, ha aggiunto Francesco, “è anche il fine ultimo verso cui è orientato il nostro pellegrinaggio terreno: lo Spirito Santo ci guida alla piena conoscenza degli insegnamenti di Cristo, del suo Vangelo; e Gesù, a sua volta, è venuto nel mondo per farci conoscere il Padre, per guidarci a Lui, per riconciliarci con Lui … Cerchiamo, pertanto, di tenere sempre alto il “tono” della nostra vita, ricordandoci per quale fine, per quale gloria noi esistiamo, lavoriamo, lottiamo, soffriamo; e a quale immenso premio siamo chiamati”.

    C’è da confondersi! Eppure troppi sono come sul lastrico della vita a mendicare gioie che non ci sono, con nel cuore voglia di ricchezza, di gloria, svendita di vita, dignità e tentazione di violenza: ‘Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno’. Purtroppo sembra difficile vedere oggi gli uomini farsi il segno della croce, accompagnandolo con una vera professione di fede, di vita: o non lo sanno più fare o, ancora più triste, non ne conoscono il contenuto.

    Il ‘segno della croce’ raccoglie le tante lacrime, che in Gesù acquistano il sapore dell’amore e ci ‘innesta’ nella Vita stessa del nostro Dio Trinità.

    Nella lunga vita della mia mamma, durata 99 anni, non si potevano contare i segni di croce che aveva fatto ed aveva aiutato i figli a fare. Tanti come i passi della sua vita, così come sono diventati l’alfabeto della mia vita su cui Dio ha composto la mia esperienza. Ed ogni segno di croce esprimeva tanta fede, che era come dire, anche in situazioni, che avrebbero fatto gridare di disperazione: ‘Io ti amo, Signore, si faccia di me secondo il Tuo Cuore’. Anche quando vide morire – allora non vi erano le cure di oggi – un figlio piccolo, che si chiamava Francesco, e mi aveva preceduto nella nascita; o quando morì un’altra figlia, una bambina a cui aveva dato il nome di Maria Redenta, in onore dell’anno della Redenzione, il 1933; o quando seppe del terremoto nel Belice ed io ero là, senza poter comunicare con lei, per rassicurarla; o nominato vescovo ad Acerra, sotto scorta. Era sempre lo stesso abbandono all’amore del Padre, che la guidava, anche se spesso … faceva un gran male.

    Conservo nel cuore l’ultima benedizione e la stessa solennità nel fare il segno di croce, l’ultimo giorno della vita, quando mi chiese di benedirla. Era la croce il suo incessante credo, che ornava e sosteneva la sua vita. Quanto amore contiene la Trinità, quando la lasciamo ‘incarnare’ nel nostro vissuto!

    E’ così rassicurante e bello sapere di essere amati da Dio: è il vero senso di tutto ciò che viviamo in ‘questo esilio di lacrime’, attendendo di incontrarlo nella ‘pienezza della Vita’.

    Antonio, Vescovo
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    00 30/05/2016 11:19
    Omelia del giorno 29 maggio 2016



    SS. CORPO e SANGUE di CRISTO



    Celebrando la Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, credo sia necessario in tutti noi risvegliare la bellezza dell’incredibile dono che Gesù ci ha fatto, non un dono qualsiasi, ma un Dono sublime, divino: ‘il Suo Corpo e il Suo Sangue’.

    Ed è lo stesso Gesù che si incarica di introdurci nella grandezza del dono, partendo da una realtà che è vita quotidiana, ossia la necessità del pane come nutrimento per questa vita terrena.

    Ascoltiamo tutti un’infinità di discorsi su proposte che hanno il solo fine di migliorare la vita qui … ed è troppo poco – per dire nulla – se si pensa all’eternità. È già difficile sapere cosa veramente può migliorare la vita di una persona. Se poi per vita intendiamo lavoro, ricchezza, benessere, possiamo rispondere che oggi, per molti, non solo è molto difficile, data la crisi, avere il giusto per vivere … ma anche ci troviamo tante infelicità addosso, che fanno discutere sul tanto conclamato benessere.

    Ed in secondo luogo, esiste veramente un miglioramento per tutti? Quanta gente vive una povertà che non appare più sui giornali, perché pare non si voglia la si conosca … ma c’è!

    Gesù era sempre circondato dalla povera gente, da chi aveva veramente SETE e FAME di Chi dicesse parole di speranza, che desse un volto alla vita, che fosse Verità e felicità. Gesù percepiva perfettamente la voce dell’uomo, quella senza veli o maschere, che si faceva implorazione … soprattutto quando il nostro cuore è confuso, non sa cosa dire, come esprimere la profondità dei suoi desideri. E Gesù ci prende per mano, partendo dalle cose semplici, che si capiscono di più.

    Come ci narra Luca, nel Vangelo di oggi, il Maestro come sempre era circondato da tanta gente che si lasciava affascinare dalla Sua Parola di vita, al punto da non preoccuparsi delle necessità immediate.

    L’attenzione di Gesù, apparentemente sollecitata dalla ‘praticità’ dei Dodici: ‘Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in zona deserta’ interpreta i bisogni, anche materiali, e invita gli apostoli a farsene carico: ‘Voi stessi date loro da mangiare’ e, davanti alla loro impotenza, ‘cinque pani e due pesci’, per ‘cinquemila uomini’ è Lui a provvedere, moltiplicando pani e pesci! ‘Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste’. (Lc 9,11-17)

    Gesù sa molto bene che senza ‘pane’ l’uomo non può vivere. È sempre davanti al nostro cuore la dura realtà di milioni di uomini, donne e bambini, nei Paesi poveri – ma che ora con un eufemismo sono diventati Paesi in via di sviluppo - .

    E sappiamo tutti che se la giustizia, lo sviluppo non si fermassero alle sole nazioni ricche, ci sarebbe cibo per tutti. Lo dicono le statistiche. È davvero una grande responsabilità che grava sulle coscienze, se pensiamo che Gesù è arrivato ad affermare: ‘Avevo fame e non mi avete dato da mangiare … Andate, maledetti!’.

    Ma Gesù, nel Suo immenso amore per noi, poteva fermarsi al pane che nutre il corpo?

    Sarebbe stato un tradire la Sua missione di salvarci e la stessa nostra grandezza di figli, chiamati a condividere con Lui la bellezza e felicità del Cielo.

    Dio ci ama veramente ‘alla grande’, come è nella natura di Dio.

    Gesù sa che, anche quando vi è il pane terreno, occorre qualcosa di più per la vita dello spirito, che certamente è un valore superiore a quello del corpo.

    Per questo Gesù, dopo la moltiplicazione dei pani, continua, possiamo dire, a manifestarci tutta la verità, cioè qual è la vera forza dell’uomo: la salute e vita del cuore.

    Ed è in questa dimensione che c’è bisogno del ‘pane’, che Dio offre dal Cielo: il grande dono dell’Eucarestia, che allora come oggi, non tutti sanno accogliere con fede.

    Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci ha un chiaro riferimento all’Eucarestia: un dono gratuito, frutto della compassione nei confronti di un’umanità ‘affamata’ di divino!

    È il cuore del Vangelo e della nostra vita da cristiani, che dovrebbe suscitare gioia, meraviglia, sapendo che nella vita ora non dobbiamo solo più contare sulle nostre deboli forze, quando vogliamo essere buoni discepoli di Gesù, perché il Signore si fa una cosa sola con noi nell’Eucarestia.

    Mistero della fede, che dovrebbe sempre fermarci in adorazione, eppure spesso troppo grande per la nostra corta intelligenza e piccolo cuore. Scriveva il beato e caro Paolo VI:

    ‘La mente si perde, perché ha difficoltà a capire, i sensi dubitano, perché si trovano dinnanzi a realtà note, il pane e il vino, i due elementi più semplici del nostro vivere quotidiano … Se l’Eucarestia è un grande mistero che la mente non comprende, possiamo almeno capire l’amore che vi risplende. Possiamo almeno riflettere sull’intimità che Gesù vuole avere con noi”.

    Senza il sostegno dello Spirito, impossibile ‘credere’ che Dio non solo abita in noi, ma si fa ‘pane di vita’ con la nostra vita. Sono tanti gli anni del mio sacerdozio e da vescovo, e posso confessarvi che mai e poi mai ho rinunciato alla Messa quotidiana. Troppo necessaria l’Energia divina di Gesù per affrontare la vita con i suoi impegni e sopperire ai nostri limiti e alle nostre contraddizioni.

    E davvero non riesco a capire come troppi, che si dicono cristiani, guardino alla S. Messa come un obbligo o, peggio ancora, una formalità che si può tralasciare con estrema facilità.

    Che cosa è più importante di Gesù? Forse la gita, le cose da sbrigare, chissà… Di fatto per un nulla troppi sacrificano il Tutto che dà la vita: il vero Pane della Vita.

    Mamma non badava a sacrifici, pur di ricevere la S. Comunione ‘perché senza di Lui, come affrontare serenamente i problemi della famiglia?’. E voleva che anche noi facessimo la comunione ogni mattina, digiuni, così era un tempo, dicendo sempre: ‘Meglio una buona Comunione che una buona colazione!’.

    Che Gesù ci faccia innamorare tutti, fino a non lasciarLo mai fuori della porta della nostra vita.

    Antonio, Vescovo
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    00 06/06/2016 08:15
    X Domenica del Tempo Ordinario

    La compassione di Dio per noi

    Quando venne chiesto a Gesù quale era il più grande dei comandamenti, quello cioè che non si può eludere con facilità e senza compromettere seriamente il rapporto di amicizia con Dio (quindi la propria onestà interiore), Lui ripropose la legge dell’amore verso Dio e, allo stesso modo, verso il prossimo. Mai si possono disgiungere.

    Come ha detto, e continua a dire con forza Papa Francesco, l’amore per Dio e l'amore per il prossimo "sono inseparabili e complementari, sono le due facce di una stessa medaglia … Non possiamo più dividere la preghiera, l'incontro con Dio nei Sacramenti, dall'ascolto dell'altro, dalla prossimità alla sua vita, specialmente alle sue ferite … In mezzo alla fitta selva di precetti e prescrizioni ai legalismi di ieri e di oggi, Gesù opera uno squarcio che permette di scorgere due volti: il volto del Padre e quello del fratello. Non ci consegna due formule o due precetti, ma due volti, anzi un solo volto, quello di Dio che si riflette in tanti volti, perché nel volto di ogni fratello, specialmente il più piccolo, fragile e indifeso, è presente l'immagine stessa di Dio"

    Leggendo il Vangelo di oggi, si ha la stupenda visione di un Dio che in Gesù, nostro Maestro, non sta fermo a badare a se stesso, indifferente agli uomini, ma è sempre in cammino, circondato dai suoi Discepoli, che Lui ha chiamato per mandarli nel mondo in Suo nome.

    La strada diventa la Sua casa, il luogo dove è certo di incontrare ogni creatura, affidatagli dal Padre. Fa esperienza delle gioie e delle speranze, delle sofferenze e delle ansie di tutti.

    Sente profondamente che il Padre ama tanto il mondo da mandarlo tra gli uomini, perché tornino ad essere Suoi figli, Suo popolo. E si protende verso ogni povertà con cuore ineffabile e irripetibile, pronto a rispondere ad ogni situazione di miseria e di sofferenza, che affiora e si fa incontro a Lui, con tutto il Suo Amore.

    In questo camminare sulle vie della nostra storia - ‘Io sarò con voi fino alla fine dei tempi’ – un giorno si reca in una città chiamata Nain. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che vide portare al sepolcro il figlio unico di una madre vedova. Una situazione di estrema fragilità, unita ad una profonda angoscia. “Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: ‘Non piangere!’. Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: ‘Ragazzo, dico a te, alzati!’. Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: ‘Un grande profeta è sorto tra noi’, e: ‘Dio ha visitato il suo popolo ”. (Lc 7, 11-17)

    Anche oggi non è raro vedere portare alla sepoltura giovani vite. O per malattia che stronca inesorabilmente senza contare gli anni, o per sempre più irragionevoli morti cercate nella follia della droga o della ‘febbre del sabato sera’ o per incidenti stradali causati dall’irresponsabilità di altri. Nessuno si abitua a questi drammi.

    Ogni morte di giovane, per qualunque motivo, scuote la coscienza di tutti. Giovinezza ha il significato di pienezza di vita, di possibilità di utopie e sogni, di fantasia creativa, di meraviglie da costruire: vocazioni tutte da spendere.

    Si nota nei funerali dei giovani una partecipazione che difficilmente si ha per altre età. E su tutti cala una tristezza che sconfina nella disperazione. Difficile dire parole in quella circostanza.

    Mai come in questi momenti, di fronte alla morte di un giovane, la vita viene esaltata, considerata preziosa.

    A Nain si incontrano due folle: quella che accompagna Gesù, che cerca la sofferenza dell’uomo per farla Sua, fino a dare un perché non solo alla sofferenza, ma a tutto ciò che è l’uomo nella mente e nel cuore del Padre. E la folla che accompagna il feretro, che sembra la somma di tante disgrazie, diremmo noi, che si sono date appuntamento sulla stessa famiglia: ‘la madre vedova’, ‘il figlio unico’ e la morte.

    Il dolore qui si era fatto abisso che chiudeva anche il minimo spiraglio alla parola amore.

    Gesù intuisce – sempre – che lì, dove si fa esperienza della terribile e insopportabile angoscia di vedersi tutto contro, persino il Cielo, occorre confermare solidamente la Presenza del Padre, che è tra gli uomini, anche quando pare che tutto sia contro.

    E realizza l’incredibile: compie gesti che appartengono a Dio con la semplicità della potenza di Dio. ‘Ferma il corteo’. Ordina al giovinetto di alzarsi e lo riconsegna alla mamma.

    Così la speranza dell’uomo ritrova il suo posto e ognuno dal profondo di questa ‘valle di lacrime’ può guardare ad un Cielo che non è contro, ma è aperto. E non per una volta sola, ma sempre perché ‘un grande profeta è sorto tra noi’, e: ‘Dio ha visitato il suo popolo’.

    E Dio cammina ancora oggi, più che mai, sulle nostre strade. Nel profondo dolore personale, nelle immani tragedie della nostra storia, non conosciamo le ‘ragioni’ dell’Amore, ma abbiamo la certezza che nulla è senza Amore. Il Cielo è sempre aperto e crediamo che Dio, il Padre, ‘ha cura di noi’, soprattutto quando, affidandoci al Suo Amore, dobbiamo ‘sperare contro ogni speranza’, continuando a credere. Come ha detto Papa Francesco, nell’udienza del 25 maggio: “Tutti proviamo momenti di stanchezza e di scoraggiamento, soprattutto quando la nostra preghiera sembra inefficace. Ma Gesù ci assicura: … Dio esaudisce prontamente i suoi figli, anche se ciò non significa che lo faccia nei tempi e nei modi che noi vorremmo. La preghiera non è una bacchetta magica! Essa aiuta a conservare la fede in Dio ad affidarci a Lui anche quando non ne comprendiamo la volontà. In questo, Gesù stesso – che pregava tanto! – ci è di esempio.”

    Antonio, Vescovo

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    Credente
    00 12/06/2016 16:14

    Omelia del 12 Giugno 2016


    XI Domenica del Tempo Ordinario


     


    Gesù e il Suo respiro d’amore per noi, nonostante tutto ….


     


    Mai come oggi si sbandiera come certa l’opinione che ‘sono tutti corrotti o cattivi’ – gli altri, naturalmente! – al punto di dubitare di tutti e non trovare più motivi per mettere in luce il bello, tanto, che invece esiste, dando ragione al proverbio che dice: ‘fa sempre molto rumore un albero che cade, ma non la foresta che cresce’.


    Eppure il nostro cuore cerca di essere disperatamente capito, rispettato, amato, ossia cerca sempre di trovare qualcuno che lo abiti per aiutarlo a vivere, e ancora di più a risorgere, se è ammalato. Per questo teme la curiosità che è come avere migliaia di occhi sempre puntati addosso, più a sottolineare gli sbagli che a dare una mano di aiuto; teme l’indiscrezione, quel voler sapere a tutti i costi tutto di noi, ma per poi ignorare il bene e sottolineare il difetto o il male.


    Il vizio di ‘confessare la gente’, di abbattere il santuario della persona, dove vive il segreto della vita, nella sua bellezza e a volte nella sua profonda miseria, oggi è diventato una moda.


    E così domina lo scetticismo, la sfiducia proprio quando si avrebbe più bisogno di essere risollevati, sostenuti nelle nostre fragilità e debolezze – che sono di tutti - perché si teme di trovare un impietoso indice puntato e nessun spazio per l’amore, perché, di fatto, spesso è la situazione che si realizza nei nostri poveri e miopi rapporti umani.


    Se non si può vivere nel sospetto o nella disistima, neppure è vita il perenne scetticismo, il giudizio a priori, che inaridisce il cuore: l’uomo ha bisogno del respiro dell’amore e della stima, ma anche di dare amore e stima nonostante tutto …


    La Parola di Dio, oggi, giunge come divina lezione di misericordia, che è il ‘come’ Dio ci ama, soprattutto quando abbiamo sbagliato. È un racconto che svela come il Cuore di Gesù accolga senza fare processi, e perdona, a differenza di chi vede e si scandalizza.


    Ed è un grande dono ‘entrare’ nella bellezza del racconto del Vangelo di oggi, perché, non solo mostra quanto Dio sia davvero buono e misericordioso, ma ci mette in guardia contro le nostre miopie.


    Un racconto ‘da incorniciare’ nella nostra vita, per saper sperare quando ci si sente dispersi e si cerca la via della pienezza della vita e della gioia, ma anche quando ci ergiamo inesorabilmente a giudici!


    È bene leggerlo, abbandonandosi a tutta la sua dolcezza:


    “In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco una donna peccatrice di quella città, saputo che Gesù era nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato, e stando dietro, presso i suoi piedi, piangendo, cominciò a bagnarli delle sue lacrime, poi li asciugava con i propri capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato. A quella vista, il fariseo che lo aveva invitato, pensò tra sé: ‘Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice’.


    Ed ecco la stupenda risposta di Gesù, che legge nei cuori, anche nei nostri, sempre.


    Gesù allora gli disse: ‘Simone, ho una cosa da dirti’. Ed egli: ‘Maestro dì pure’. ‘Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva 500 denari, l’altro 50. Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?’. Simone rispose: ‘Suppongo quello a cui ha condonato di più’. Gesù gli disse: ‘Hai giudicato bene’.


    E volgendosi verso la donna, disse a Simone: ‘Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai cosparso il mio capo di olio profumato, ma lei ha cosparso di profumo i miei piedi. Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, perché molto ha amato. Invece quello a cui si perdona poco è perché ama poco. Poi disse alla donna: ‘Ti sono perdonati i tuoi peccati’. Allora i commensali cominciarono a dire tra di loro: ‘Chi è questo uomo che perdona anche i peccati?’. Ma Gesù disse alla donna: ‘La tua fede ti ha salvata: va’ in pace’.” (Lc. 7, 36  /8, 3)


    Si rimane come immersi nello stupore dell’amore che Gesù ha per noi, cominciando da quelli che forse si considerano persi per le proprie colpe. Un vero mistero è il nostro convivere a volte nel male, fino ad abituarci, mentre forse nel profondo sentiamo il bisogno di incontrare Chi abbia il potere di riportarci alla gioia di una vita diversa, giusta, perché è un vero sbaglio l’adattarsi al male, senza neppure cercare di guarire, come è altrettanto pericoloso il ‘sentirsi giusti’, inaridendo il nostro cuore. Per entrambi, Simone e la peccatrice, solo l’Amore di Gesù salva e libera.


    Così scriveva il sempre caro nostro beato Paolo VI:


    Gesù ci conforta: Se lo vuoi io ti ridono l’integrità, l’innocenza, la grazia di sentirti veramente quello che devi essere, restituito alla tua statura, alla tua bellezza originaria, e come il Signore ti ha creato, a Sua immagine e somiglianza. Gesù è il divino artefice dell’ineffabile riscatto: si comprende allora il Vangelo … Perché? Ma perché non solo è parola di verità, ma è pure luce di speranza che gli uomini non possono dare a se stessi … Ognuno potrà affermare col gemito del dolore: non saprei guarirmi da me, ma se Tu vuoi, o Signore, basta una Tua parola”.


    Non resta a noi che affidarci all’Amore Misericordioso di Dio, con l’umiltà della peccatrice o la cecità di Simone. Ci aiuti il Signore a rompere quel ghiaccio nella coscienza, quel ‘sentirci a posto’, o quel senso di vergogna e disperazione, che ci impediscono di conoscere l’amore. Con Madre Teresa di Calcutta preghiamo: “Signore, ti prego, dacci la luce per vedere, a volte, la cupa profondità della tentazione e del male. Infondici lo Spirito Santo affinché possa vedere che ho bisogno di Te, e mi ami e ho ancora uno scopo nella vita: quello di trasmettere l’amore e la misericordia che hai per noi”.


    Antonio, Vescovo


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