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Meditazioni per le festività (di Mons.Riboldi)

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    00 19/06/2016 18:06
    XII Domenica del Tempo Ordinario

    Chi sono io … per te?



    Come è difficile ‘conoscersi’: conoscere in profondità una persona è davvero entrare nel santuario della vita, che tante volte sfugge a noi stessi, quando vogliamo sapere chi siamo. Quante volte, di fronte a scelte o atteggiamenti o reazioni incomprensibili anche a noi stessi, diciamo: ‘Non mi capisco’, che è quanto dire non mi conosco. Ma una vera amicizia si fonda sulla conoscenza reciproca, che porta a confidarsi e così sciogliere reciprocamente i dubbi e, soprattutto, se abbiamo chiara la natura della nostra vita, condividere le scelte del bene e di ciò che è giusto. Come invece è facile e dannoso dare giudizi su persone senza cogliere in profondità il loro vero ‘volto’. Da una cattiva conoscenza nascono solo giudizi e comportamenti che fanno male. Se succede così tra noi, cosa possiamo dire oggi della nostra conoscenza profonda di Chi davvero chiede di entrare nella nostra vita come amico, conoscendoLo?

    E questo è ciò che ci chiede, oggi come ieri, Gesù. Dovere di ogni credente, per essere tale, deve essere una continua ricerca della conoscenza di Gesù … diversamente come Lo si può amare e seguire?

    È davvero urgente e necessario chiederci: ‘Ma Chi è Gesù per me? Cosa conta nella mia vita? O meglio, è la guida e il senso della mia vita?

    È il Vangelo di oggi che ci provoca ed a cui siamo chiamati a dare una risposta:

    “Un giorno Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i suoi discepoli erano con lui e pose loro questa domanda: ‘Chi sono io secondo la gente?’. Ed essi risposero: ‘Per alcuni Giovanni Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto’.

    Allora domandò: ‘Ma voi chi dite che io sia?’. Pietro, prendendo la parola rispose: ‘Il Cristo di Dio’. Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno.

    ‘Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, essere messo a morte e risorgere il terzo giorno’. Poi a tutti diceva: ‘Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita la perderà e chi perderà la propria vita per me, la salverà’”. (Lc. 9, 18-24)

    Quella di Pietro è una vera professione di fede, di uno che, vivendo accanto al Maestro, ha imparato a conoscerLo e, ispirato dallo Spirito Santo, ne annuncia l’identità.

    Una confessione che viene certo dalla esperienza di stare insieme a Gesù, dell’essere stato scelto da Lui e di averne gustato l’amicizia.

    Infatti, scriveva il beato Paolo VI: “Gesù non si accontenta di essere riconosciuto per quello che è: se davvero è la via, la verità e la vita, non resta che seguirLo. Non basta fermarci alla conoscenza … Direi che conoscere e seguire sono due verbi inseparabili.”

    Certamente è per questa mancanza di conoscenza profonda di Gesù, che non si trova la gioia, il desiderio di stare con Lui, di interpretare la vita, qualunque sia, nel desiderio di seguirlo.

    Chi questo lo fa non può non conoscere speranza, verità e gioia. Non a caso il Vangelo collega la ‘confessione’ dell’identità di Gesù con l’invito a seguirlo. Deve essere la scelta di chi davvero è cristiano.

    “Quale scelta? – si chiedeva ancora Paolo VI – Quella di Cristo. State a sentire. Voi avete già scelto. Voi siete cristiani. Ma quali cristiani siete voi? … Non conta guardare a come si comportano tanti cristiani. Bisogna che ciascuno badi al proprio comportamento. Vi è una categoria di cristiani che spesso senza nemmeno pensarci sceglie un comportamento ‘zero’. Chiamiamo ‘zero’ quel comportamento che non dà alcun peso, alcuna importanza al fatto di essere cristiani … Nei Paesi di missione questo non avviene: un cristiano è cristiano e sa di dover vivere in una certa maniera, con un certo stile che lo distingue, che lo qualifica. Da noi avviene e spesso che l’essere cristiano non significa nulla, zero. Anzi spesso un cristiano è una contraddizione vivente, perché egli contraddice con la propria maniera di pensare e di vivere come figli di Dio, fratelli di Gesù Cristo, essere come lampada accesa in cui arde lo Spirito Santo, ossia un uomo che sa come vivere e dove va…. Ci sono poi anche uomini disponibili alle idee altrui, pronti a chinarsi al dominio dell’opinione pubblica, uomini dal rispetto umano, uomini, direi, ‘pecora’. Purtroppo è un fenomeno diffuso nella gioventù e si spiega: vuole mostrarsi forte e indipendente, vera, all’ambiente che conosce, la famiglia, la società. Ne vede i difetti e cerca di affrancarsi. Si intruppa con chi conduce il gioco e fa la moda, e diventa un ‘numero mediocre’ senza un proprio valore. Ma viene il momento in cui bisogna essere ‘persone’, cioè uomini, donne, che vivono secondo dati principi. Secondo idee-luce. Uomini, donne che hanno fatto la loro scelta e secondo questa scelta camminano. E questa è la categoria degna delle persone intelligenti e cristiane”. (aprile 1971)

    Parole dure, forti, ma molto chiare e, purtroppo, sempre attualissime, per chi vuole essere coerente con la fede che professa. E tutti sappiamo, o dovremmo sapere, che vivere una vita cristiana, che è un meraviglioso e necessario ‘seguire Cristo’, è fare oggi una scelta controcorrente.

    Facciamo nostra la bella questa preghiera di Newmann:

    “Mio Signore e mio Salvatore, mi sento sicuro tra le tue braccia.

    Se tu mi custodisci non ho nulla da temere,

    ma se mi abbandoni non ho più nulla da sperare.

    Non so cosa mi capiterà fino a quando morirò, ma mi affido a Te.

    Ti prego di darmi ciò che è bene per me

    e ti prego di togliermi quanto può porre in pericolo la mia salvezza.

    Non ti prego di farmi ricco, non ti prego di farmi molto povero,

    ma mi rimetto a Te interamente perché Tu sai ciò di cui ho bisogno e che io stesso ignoro.

    Concedimi di conoscerti, di credere in Te, di amarti, di servirti e di vivere per Te e con Te

    e di dare buon esempio a quelli che mi stanno intorno”.

    Antonio, Vescovo

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    00 05/07/2016 12:03
    Domenica XIV del Tempo ordinario

    Andate …



    Si rimane sconcertati dalle continue violenze che sentiamo ogni giorno, o per le guerre nel mondo o per la solitudine in cui troppi vivono, pur essendo tra tanta gente.

    Un vuoto del cuore che spesso entra nelle famiglie, rendendo, quella che dovrebbe essere ‘un’oasi d’amore’, un vero calvario senza resurrezione.

    Ci assale un’infinita tristezza nel vedere l’uomo calpestato ovunque ed in ogni modo; l’uomo che privilegia alcuni ed emargina tanti altri e con la violenza impone la sua volontà con ogni mezzo, con il disprezzo dei più elementari diritti.

    Una vera ‘mappa’ di insulti al diritto alla felicità, come frutto dell’amore, che non dovrebbe lasciare tranquilla la coscienza, poiché ognuno di noi sperimenta ogni giorno che senza l’Amore libero e gratuito, la vita non è più vita, anche se cerchiamo di mascherare questo nostro vuoto con il chiasso che ci offre il mondo: una vera evasione dalla nostra origine.

    Quante lacrime versiamo tutti, senza eccezioni, nel vederci ignorati o emarginati o non amati o dimenticati.

    Che senso ha vivere senza amare e, soprattutto, senza essere amati?

    E’ molto bello leggere l’inizio della missione che Gesù affida a ciascuno di noi, che, in quanto suoi discepoli, da Lui chiamati in forza del nostro Battesimo, desideriamo seguirlo nelle vie della nostra storia e dell’umanità intera, ossia portare la Buona Novella del Vangelo a chi ci fa incontrare lungo il nostro pellegrinaggio quaggiù.

    “Diceva loro: ‘Andate: Io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi. … In qualunque casa entriate, prima dite: ‘Pace a questa casa!’”.

    Bello questo andare per il mondo, anche di casa nostra, a portare la Buona Novella del Vangelo; terribile il rifiuto che si può incontrare: ‘Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: ‘Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi: sappiate però che il Regno di Dio è vicino’. Io vi dico che in quel giorno Sodoma sarà trattata meno duramente di quella città’. (Lc. 10, 1-20)

    È ancora necessario, nei nostri ambienti, in cui tanti si dicono cristiani – una qualifica che dovrebbe esprimersi in segni di appartenenza a Gesù nella vita quotidiana ed è già questa testimonianza una missione nel nostro mondo senza fede – portare il Vangelo!

    Che sia necessario lo dice l’incredibile ignoranza di troppi.

    Non conoscere la Parola di Gesù reca il grande danno di non poterla vivere. E allora su quale parola si fonderà la nostra vita, che ogni giorno è chiamata a dare risposte alla volontà di Dio che si esprime in mille modi?

    Bisogna sperimentare la gioia di nutrirsi della Parola e fin dove possiamo e come possiamo donarla a chi ci è vicino.

    In fondo è fare sentire a tanti che Dio ci vuole bene e chiede solo che questo Bene venga conosciuto e accolto. Perché è triste non godere di un bene, perché non lo si conosce, quando può essere a portata di mano.

    Mi permetterei di dire, a quanti sono superficiali, a quanti credono di vivere impunemente il rifiuto della Parola di Dio, trovando rimedio alla propria solitudine nella compagnia inaffidabile del mondo: carissimi ascoltate Dio che dichiara la sua amicizia, un’amicizia che è pronta a farsi piena condivisione di santità, è felicità già qui e beatitudine futura.

    Ma a chi già crede vorrei anche dire che è Notizia capace di ricreare la vita, quando ci si sente veramente bisognosi di essere infinitamente amati, trovando nell’amore l’annuncio della verità: ‘Dio ti vuole infinitamente bene, più ancora di tua madre e di qualsiasi persona’

    Solo nell’Amore divino si può vivere un senso di gioia come quella cantata dal profeta Isaia:

    “Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa quanti la amate.

    Perché così dice il Signore: ‘Ecco, io farò scorrere verso Gerusalemme, come un fiume, la prosperità; come un torrente in piena la ricchezza dei popoli; i suoi bimbi saranno portati in braccio, sulle ginocchia saranno accarezzati. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò: in Gerusalemme sarete consolati”. (Is. 66, 10-14)

    Voglio ricordare l’ultimo incontro con mia mamma, pochi giorni prima che morisse.

    Ero indeciso se starle vicino, perché gravemente ammalata, o adempiere a un impegno che avevo preso presso una parrocchia. Ho ancora negli occhi la sua volontà decisa che ritenne ‘inutile’ il mio starle vicino, dicendomi: ‘Antonio, va. La gente che ti aspetta ha bisogno di qualcosa di più, ha bisogno della Parola di Dio’.

    Mamma, che grande testimonianza di fede e di amore hai sempre saputo donarmi: Grazie.

    Antonio, Vescovo

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    00 12/07/2016 14:40
    “E chi è il mio prossimo?”



    Nel Vangelo di oggi ‘un dottore della Legge’ pone a Gesù una domanda che ognuno di noi dovrebbe fargli: ‘Maestro, che devo fare per avere la vita eterna?’. Gesù gli risponde con un’altra domanda: ‘Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?’. Il Suo interlocutore risponde: ‘Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e amerai il prossimo tuo come te stesso’. E Gesù: ‘Hai risposto bene: fa questo e vivrai’. Ma quegli volendo giustificarsi ribadì appunto: ‘E chi è il mio prossimo?’.

    Un ‘problema’, questo, che dovremmo porci tutti.

    Viviamo in un tempo in cui ci si divide tra popoli, etnie, culture, diversità di situazioni. Basta pensare a quei fratelli che clandestinamente entrano nella nostra patria, fuggendo dalla fame o addirittura dalla violenza, e approdano da noi, in cerca, se non di amore, almeno di rispetto ed accoglienza. Siamo stati anche noi, a suo tempo, emigranti in cerca delle stesse cose.

    Quando ero parroco nel Belice, tanta gente, soprattutto giovani e uomini, avevano abbandonato la loro terra in cerca di lavoro in America. Li andai a trovare negli U.S.A e stetti con loro per un mese intero, poi in Canada dove c’era, a Montreal, una zona tutta italiana ed era chiamata ‘Piccola Italia’ ed anche in Venezuela, dove avevano saputo con un poco di fortuna creare anche lì, a Caracas, un quartiere ‘italiano’ e lentamente avevano costruito aziende specializzate in calzature, che poi vendevano viaggiando all’interno dello Stato.

    Quasi tutti avevano preferito restare dove c’era possibilità di crearsi una vita dignitosa. Con l’intuito tipico della gente del Sud, che cerca il futuro, avevano saputo creare tanti modi per ‘fare industria’. Per due anni dedicai il tempo delle ferie a visitare anche i nostri in Germania e Svizzera, dove il lavoro c’era e quindi anche la possibilità di mandare a casa un guadagno per costruire casa e porre le fondamenta per un domani. È vero che per risparmiare vivevano con il minimo; a volte affittando stanze dove dormivano in tanti, oppure vivendo in baracche fatiscenti, in cui mancava anche l’indispensabile per un po’ di decoro. Vivevano ‘tollerati’, ma come braccia di lavoro necessarie e quindi accettati, seppur non accolti. Ricordo che un giorno, visitando una città svizzera con alcuni di loro, fui accompagnato allo zoo. Ma non potemmo entrare perché sull’ingresso c’era scritto: ‘Vietato ai cani e agli italiani’. Veniva spontanea la voglia di ribellarsi, in nome della dignità che è un bene di tutti, ma ciò poteva tornare a danno di chi restava.

    E non erano solo i siciliani che incontravo, ma anche lombardi, veneti.

    Forse ci siamo dimenticati, oggi, pensando a chi viene da noi, emigrando dal suo Paese, che i nostri nonni o padri ben conoscono che cosa significhi lasciare tutto per la propria famiglia e trovare… lavoro, forse, ma sfruttato e ‘condito’ di disprezzo.

    Ma quel neanche tanto sottile e inconfessato razzismo, che è tra noi, mette alle spalle le nostre stesse ‘radici’ e, considerando gli emigranti come un ‘pericolo per la sicurezza’ – salvo poi ‘usarli e sfruttarli’ quando fa comodo - , crea muri e ‘respingimenti’, violando ogni rispetto per i diritti umani tanto conclamati dai ‘democratici’ Stati dell’Occidente.

    Per fortuna, le CARITAS e tante Associazioni di Volontariato, anche laiche, non considerano i ‘presunti pericoli’, ma guardano all’uomo, in carne ed ossa, in cerca di speranza e amore.

    Siano benedette, perché mostrano il vero Volto di Gesù e del Padre.

    Gesù, infatti, alla domanda del dottore della legge: ‘Ma chi è il mio prossimo?’ risponde:

    “Un uomo – notate ‘un uomo’, senza specificare apparenze esterne, se nere o bianche, se forestiero o altro: un UOMO, come siamo tutti noi agli occhi di Dio, uguali e chiamati ad amare ed essere amati – scendeva da Gerusalemme a Gerico ed incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte della strada. Anche un levìta, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino, poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui.

    Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: ‘Abbi cura di lui e ciò che spenderai di più, te lo rifonderò al mio ritorno’. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?’. Gli rispose: ‘Chi ha avuto compassione di lui.’

    Gesù gli disse: ‘Va’ e fa anche tu altrettanto’.” (Lc. 10, 25-37)

    Stupenda parabola, che incide a caratteri d’oro quale sia la natura della carità.

    Gesù la descrive nell’‘avere compassione’ e non fermarsi lì, ma tradurre la compassione in fatti concreti, che riportino a respirare la gioia della vita e fa del samaritano – che tra l’altro non era uomo stimato dai Giudei, perché veniva dalla Samaria, i cui abitanti si differenziavano nella fede, mentre per noi potrebbe essere una qualsiasi persona di cui avere poca fiducia…. – il simbolo della compassione verso chi sta male. Quante storie potremmo raccontare di persone abbandonate sulla strada a causa dei loro simili o di situazioni difficili, che si sentono ‘mezze morte’!

    Ma è facile trovare chi abbia la bontà di fermarsi e accompagnarle con amore nella loro difficoltà, fino a ritrovare la serenità? Si ha purtroppo la sensazione che troppi, di fronte al dolore di un fratello, ‘vedano e passino oltre’, come fecero il sacerdote e il levita. C’è troppa indifferenza … questo è il grande male!

    E quando la fede non è al servizio dell’amore, davvero non ha più contenuto.

    Ormai questo nostro mondo, che pensa ai propri interessi, che è chiuso nei propri egoismi e profitti, non ha più tempo né cuore per chi soffre … ma l’individualismo imperante e ‘la globalizzazione dell’indifferenza’, come è definita da Papa Francesco, non ci onorano, ma anzi ci condannano.

    E’ invece una grazia ogni volta che sappiamo ‘farci vicino’, avere compassione di coloro che incontriamo ‘semivivi’, per mille ragioni, sulla nostra strada.

    Non è necessario fare ‘prodigi’.

    I miracoli della carità devono essere il tessuto delle nostre giornate…una sola cosa ci è chiesta: lasciare che Gesù operi attraverso di noi, nei piccoli gesti, parole gentili, un sorriso, che Lui rende ‘grandi’ per chi li riceve. Credetemi è davvero, oltre che cristiano, profondamente umanizzante per noi, conservare occhi di attenzione per chi soffre e ha bisogno di qualcuno. Riempie la vita ed è segno che l’amore, ricchezza dell’umanità, è vivo e ci rende più veri, ci rende testimoni coerenti, coma ha ricordato Papa Francesco, soffermandosi su un altro ‘personaggio’ della parabola: “A me piace pensare all’albergatore: è l’anonimo. Lui ha guardato tutto, ha visto e non ha capito nulla. “Un samaritano che aiuta un ebreo! E poi lo porta qui all’albergo e mi dice: ‘Tu prenditi cura di lui, io ti pagherò se c’è qualcosa in più …’. Io non ho mai visto una cosa simile!”. E quell’uomo ha ricevuto la Parola di Dio nella testimonianza. Di chi? … Del samaritano, un peccatore che ha compassione. … E non capiva niente, è rimasto con il dubbio, forse con la curiosità, … con l’inquietudine dentro; e questo è ciò che fa la testimonianza. La testimonianza di questo peccatore ha seminato inquietudine nel cuore di questo locandiere; e cosa è successo di lui, il Vangelo non lo dice, neppure il nome. Ma sicuramente in quest’uomo … – di sicuro, perché lo Spirito Santo quando semina, fa crescere – è cresciuta la sua inquietudine, l’ha lasciata crescere nel suo cuore e ha ricevuto il messaggio della testimonianza. Poi, giorni dopo, è passato un'altra volta da quelle parti il samaritano; sicuramente ha pagato qualcosa. Oppure l’albergatore gli ha detto: “No, lascia, lascia: questo va sul mio conto”. Forse questa è stata la sua prima reazione alla testimonianza.”

    Carissimi, non ci sentiremo per alcune settimane, ma mi viene da dirvi, permettetemelo: ‘Siate samaritani’, in famiglia, coi vicini, sul lavoro, in vacanza, con gli ‘estranei’ che incontrate, accogliendo l’invito di Gesù: ‘Va’ e anche tu fa’ lo stesso!’ perché, come ha continuato Papa Francesco: “La nostra testimonianza non si può contabilizzare …. La testimonianza è vivere in modo tale che gli altri “vedano le opere vostre e glorifichino il Padre che è nei Cieli” (cfr Mt 5,16), cioè incontrino il Padre, vadano a Lui … Sono parole di Gesù.”

    E’ l’unica via per ‘bilanciare’ le tante follie dell’odio e il sangue di tanti nostri fratelli, che ogni giorno viene sparso, contro la stessa Volontà del Padre!

    Antonio, Vescovo

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    00 03/09/2016 12:19
    Omelia del 4 settembre 2016

    La pienezza di gioia che sogniamo

     

    Gesù oggi ha una richiesta esigente per ciascuno di noi.


    Ci chiede di avere il primo posto nel nostro cuore e nella nostra vita!


    ‘Se uno viene a me e non mi ama più di suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli e le sorelle e persino più della propria vita, non può essere mio discepolo … Chi di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”. (Lc. 14, 25-33)


    Lui sa che c’è il rischio per ciascuno di noi di ‘dirsi’ di Cristo, ma senza che il Maestro sia davvero al centro della nostra vita, perché prima, come ‘valori’ sovrani, forse anche non del tutto consapevolmente, mettiamo il possesso delle cose, le tante ambizioni, i tanti interessi, il nostro io.


    Ma Gesù conosce il nostro cuore e il nostro vero Bene. Sa che solo con Lui è possibile amare senza voler possedere l’altro o ‘avere’ restando distaccati, così che le cose non diventino idoli.


    Del resto fa davvero impressione quanto oggi – ma in fondo sempre – si mettano al primo posto le creature e quanto questo sia devastante per la nostra stessa umanità.


    Non è mai una soluzione vera dividere il cuore tra l’amore di Dio e l’amore delle cose!


    Solo amando Dio sopra ogni cosa si può riuscire, anche se con fatica, ma sostenuti dalla Sua Grazia e Potenza, a donare amore a tutti, cominciando dai più vicini, e tutto acquista senso.


    Davvero amare è liberarsi da se stessi – la più terribile schiavitù. E se questo è vero tra di noi, quanto più è vero verso Dio.


    Questo Vangelo può sembrare difficile, ma è, se capito e vissuto davvero, la Buona Novella del Regno dei Cieli. E’ serenità e libertà, pienezza di vita e di cuore.


    Ne è testimonianza, proprio oggi, la canonizzazione della beata Madre Teresa di Calcutta.


    Ho dei ricordi indelebili di questa piccola e grande donna di Dio.


    Con lei ebbi il dono di parlare ai giovani e la incontrai in altre occasioni solenni.


    Ogni suo tratto era il canto della povertà in spirito, che genera la gioia più pura.


    Ricordo una volta che un ragazzo le chiese: ‘Madre Teresa, se Dio le desse la possibilità di tornare da capo a vivere, sapendo cosa voglia dire ‘seguire Gesù’, Gli direbbe ancora di sì?’.


    La Madre si raccolse un momento, come a riepilogare tutte le tappe del suo infinito Calvario di carità e, sbalordendo tutti, rispose: ‘Gli direi di no’.


    Ci fu un attimo di smarrimento nell’assemblea.


    Ma poi, come assaporando la gioia di avere condiviso l’amore di Gesù con i Suoi poveri, riprese: ‘Ma Gli voglio talmente bene, che non esiterei a seguirLo, anche se mi chiedesse maggiori sacrifici’.


    Chiediamole oggi, che fa festa in Cielo, di donarci la capacità di amare davvero Dio, che lei ora contempla ‘faccia a faccia’, imparando a ‘incontrarlo’ quaggiù in ogni nostro fratello.


    E soprattutto in questi giorni in cui un’altra parte della nostra gente italiana è stata devastata dal terremoto, sono tanti i fratelli che attendono da noi solidarietà … a lungo termine.


    Anche se non sempre la memoria mi sostiene … vi sono ricordi molto profondi, indelebili, che permangono in me, ricordando il terremoto devastante, che colpì la valle del Belice, e la grande fatica intrapresa con tutte le Comunità, per poter avviare la ricostruzione!


    Erano anni in cui si era impreparati di fronte a tali catastrofi. Oggi non è più così, ma la ferita nei cuori, negli affetti più cari e in tutto rimane. Occorre continuare, sulle esperienze vissute da allora fino ad oggi, a credere nel futuro di speranza, che può rinascere sulle macerie del cuore e delle case!


    Ma questo sarà possibile solo se mettiamo Dio e i fratelli al primo posto nel nostro cuore.


    Madre Teresa in un’altra occasione raccontò:


    Una volta mi capitò di prendere un uomo coperto di vermi (oggi possiamo dire di macerie!). Mi ci vollero delle ore per lavarlo e togliergli uno a uno tutti i vermi dalla carne. Alla fine disse: ‘Son vissuto come un animale per le strade, ma ora muoio come un angelo’ e morendo mi fece un bellissimo sorriso. Tutto qui.


    Questo è il nostro lavoro: amore in azione. Semplice”.


    Semplice? Sì, se il nostro cuore è rivolto là ‘dove è la Verità e la Vita, l’Amore’!


    Solo così, alla fine del nostro ‘pellegrinare terreno’, potremo dire con cuore sincero, come scrisse in una preghiera:“Quando le cose finite si dissolveranno e tutto sarà chiaro, che io possa essere stato il debole, ma costante riflesso del Tuo amore”.


    Antonio Riboldi, Vescovo


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    00 11/09/2016 22:47
    XXIV Domenica Tempo Ordinario



    Il grande Dono di Dio: la Sua Misericordia



    Oggi Gesù ci svela la grande, incredibile, fedeltà di Dio nell’amore per il suo popolo – che siamo noi – in un modo che ha dell’inaudito e che dovrebbe annullare la tentazione della sfiducia in chi ha peccato.

    Il Vangelo racconta che Gesù viene rimproverato, perché si avvicinava facilmente ai peccatori: ‘Costui riceve i peccatori e mangia con loro’

    Ecco allora che il Maestro fa un ‘primo passo’ per introdurci nel divino mondo del Padre.

    Così racconta il Vangelo: “Allora Gesù disse loro questa parabola: ‘Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finchè non la ritrova? Ritrovatala se la mette sulle spalle tutto contento e va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: ‘Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora perduta. Così vi dico: ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”.

    Davvero incredibile questa Gioia. Non è nella nostra mentalità avere lo stesso comportamento verso chi agisce male… anzi, prendiamo subito le distanze, preoccupati forse che ‘la nostra immagine ne risenta’! E per chi ha sbagliato è difficile cercare la via per recuperare… ‘l’immagine perduta’.

    Forse è una sorte toccata a qualcuno di noi.

    Ed è veramente doloroso vedere tutte le dita puntate contro, ogni stima allontanata, e poca voglia di farsi vicini per aiutare a riprendersi…anche da parte degli ‘amici’!

    Gesù, volendo andare ancor più in profondità, per farci comprendere la differenza sostanziale tra noi e il Padre, a questo punto svela la grandezza insondabile della Sua Misericordia, che cerca la dracma smarrita, accoglie il figlio prodigo che ha sperperato ogni bene offertogli!

    Dio è fatto così! Ci dà tutto il Suo Amore, la gioia della vita, tanti doni che formano la nostra personalità, insomma tutto ciò che siamo è Suo, tanto che possiamo raggiungere la nostra piena realizzazione solo se impariamo a vivere ‘nella casa del Padre’, ossia sottomessi alla Sua volontà, che è la nostra sola e possibile vera felicità… anche se non vogliamo crederlo o, per arroganza, pensiamo di poter ‘fare tutto da soli’.

    E quando così è, Dio si preoccupa per noi, perché sa che è ‘una strada senza uscite’.

    Così è l’Amore. Vuole donare il senso vero della vita: siamo figli del Padre, che ci ama, sempre, incondizionatamente, con fedeltà, nonostante …. noi stessi!!!

    Egli sa benissimo, anche se noi spesso lo dimentichiamo, che un figlio senza casa, senza più amore, perché ha preferito il nulla del mondo, senza regole, alla fine può ridursi a ‘rubare le ghiande ai porci’. È la triste vicenda di tanti, ma tanti, troppi!

    È davvero una grande grazia quando si ritorna alla riflessione, per poi affidarsi alla bontà del Padre. Si ritorna a sperare, ad avere fiducia in Dio … ma, a volte, consci del nostro rifiuto assurdo, non osiamo credere di poter avere ancora un posto nel Cuore del Padre.

    Oggi la Parola di Gesù ci infonde fiducia piena: ‘Quando era ancora lontano, il Padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò’.

    Incredibile per noi, che siamo abituati a ben altro modo di accogliere, se accade, chi sbaglia. Noi recriminiamo, giudichiamo, condanniamo, poniamo limiti… per questo ci è così difficile ‘comprendere’ Dio, la Sua Paternità.

    Dio non è un giudice, alla maniera umana, ma è Misericordia, sempre e comunque. Va oltre le offese. Gli importa solo che si torni da Lui, perché sa che è l’unica via per ritrovare noi stessi e la nostra pace profonda.

    Ma lo capiamo questo dono?

    Chiediamo di comprenderlo e viverlo con gioia, attraverso l’intercessione della nostra Madre Teresa, ora Santa.

    Lei ha scritto: ”Se mai diventerò santa, sarò certamente una santa del nascondimento: mi assenterò in continuazione dal Paradiso per recarmi sulla terra ad accendere la luce di quelli che si trovano nell’oscurità” … la Luce, che solo la certezza della Misericordia del Padre per ciascuno di noi, può far brillare nei nostri cuori, perché poi si diffonda nei cuori dei nostri fratelli, vicini e lontani.

    Abbiamo tanto bisogno di sentirci amati e tutti dobbiamo sapere che lo siamo, infinitamente, eternamente!

    Antonio Riboldi, Vescovo

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    00 18/09/2016 09:46
    Omelia del giorno 18 settembre 2016

    Nessun servo può servire a due padroni



    Tutti sappiamo che è un inganno alla coscienza ‘mettere un piede in due scarpe’! Eppure succede.

    Ma la Parola di Dio non ammette distorsioni: comprende la nostra debolezza umana, pronta a deviare, ma stimola costantemente al ritorno sulla retta via con il Suo aiuto.

    Noi, confessiamolo senza paure, che sono spesso pericolose ipocrisie, siamo talmente abituati a tanti piccoli o grandi compromessi con il male, da non riuscire, il più delle volte, neppure a vedere ciò che è bene e ciò che è male in ciò che pensiamo, diciamo o facciamo … soprattutto oggi!

    Siamo ricchi, viviamo ‘da ricchi’ (e qui per ricchezza intendo non solo il possedere realmente, ma il chiuderci nell’’amore’, nel desiderio del denaro, dei tanti capricci: anche se non possiamo forse permetterceli viviamo nel rimpianto o nell’invidia per chi li può ‘godere’!) e ci diciamo a posto con la coscienza e con Dio.

    Quello che Dio, Bene supremo, non può accettare assolutamente è il vivere nell’ambiguità, pensando di poter seguire e servire Lui e contemporaneamente il nostro egoismo, il mondo.

    Siamo un poco come quella gente che sta sulla soglia di una chiesa, con un piede dentro e uno fuori, e la pretesa di credersi fedeli a Dio, restando servi del mondo.

    Ma Gesù chiude oggi ogni nostra velleità, che ciò sia possibile, con parole dure, ma vere, che dovrebbero portarci a scelte diverse da quelle che, forse, facciamo … Nel Vangelo ci propone una parabola un po’ difficile e sconcertante, in cui è di scena uno dei tanti personaggi corrotti e furbi che popolano troppo spesso anche le cronache dei nostri giorni.

    Si tratta di un amministratore che aveva mal gestito il patrimonio di un’azienda e che viene alla fine scoperto, rischiando il licenziamento. Di fronte all’incubo di perdere lo status sociale acquisito, egli ricorre a un meccanismo finanziario che lo penalizza temporaneamente, ma che gli permette di sanare i bilanci e di mantenere l’incarico.

    “Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: ‘Tu quanto devi al mio padrone?’. Quello rispose: ‘Cento barili d’olio’. Gli disse: ‘Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta’. Poi disse ad un altro: ‘Tu quanto devi?’. Rispose: ‘Cento misure di grano’. Gli disse: ‘Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta’. Vedendo la mossa del suo intendente: Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza’.

    Ed è proprio qui che scatta l’applicazione fatta da Gesù. È indubbio che quell’amministratore è un mascalzone – e questo non può certo essere oggetto di imitazione –, ma egli rivela che, quando si è in una situazione estrema e grave, si deve afferrare l’unica tavola di salvezza, anche a costo di una penalizzazione dei propri interessi. Ecco, allora, l’amara conclusione di Cristo: “I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari, sono più scaltri dei figli della luce… Chi è fedele nel poco è fedele anche nel molto, e chi è disonesto nel poco è disonesto anche nel molto …

    Purtroppo – fa capire Gesù – “i figli della luce”, cioè le persone normali e oneste, sono spesso più lenti e meno pronti a compiere il bene e soprattutto a cogliere le occasioni che Dio presenta sulla loro strada. Cristo in particolare pensa al fatto di tanti suoi uditori che non capiscono l’urgenza di una decisione netta e forte nel seguire la sua parola. L’amore al denaro, alla ‘poltrona’, schiavizza troppa gente, può depredarci di tutto quanto veramente ha valore, fino a renderci pagliacci in mano di quel tremendo burattinaio che è appunto la ricchezza ‘disonesta’

    Ma anche l’omissione e l’inerzia sono un peccato: peccare non è solo non fare il male, ma anche non fare il bene.

    “Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà a uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a due padroni: a Dio e a mammona”. (Lc. 16, 1-15)

    Quanto è stupenda invece la libertà di Gesù, povero e umile, Lui che ‘da ricco che era si fece povero per arricchire noi della sua povertà’.

    È grande, profonda e vera gioia, quella di poter dire: ‘Non mi inchino a nulla’, ma di mia scelta, per fare posto all’amore, voglio mettermi al servizio del Padre e di ogni uomo. Questa è la vera libertà.

    Una scelta che ci aiuta ad uscire da ogni compromesso, per non rischiare di cadere nella situazione che, con durezza, il profeta Amos stigmatizza:

    “Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese, voi che dite: ‘Quando sarà il prossimo plenilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo le misure e aumentando il siclo e usando bilance false, per comprare con il denaro gli indigenti e il povero con un paio di sandali’. Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: certo non dimenticherò mai le loro opere”. (Amos 8, 4-7)

    È davvero difficile, ma necessaria, la fedeltà a Dio e al Suo amore, come del resto lo è anche tra di noi uomini. E’ l’unica via sicura per realizzare le parole che l’apostolo Paolo scrive, oggi, nella lettera a Timoteo: “Carissimo, ti raccomando prima di tutto che si facciano domande, suppliche e preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità. Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro Salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità”. (Tim. 2, 1-8)

    Quanta necessità abbiamo oggi di poter trascorrere giorni ‘tranquilli e calmi’ tra di noi!

    Accogliamo l’esortazione di Gesù: imitiamo la determinazione con cui agisce l’amministratore disonesto, ma impegnandoci con risolutezza nel bene, così da ‘farci degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi ci accolgano nelle dimore eterne”

    Antonio Riboldi - Vescovo
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    00 25/09/2016 09:46
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    Omelia del 25 settembre 2016

    XXVI Domenica Tempo Ordinario

     

    Poveri in spirito oggi, per diventare ‘ricchi’ eternamente!

     

    Oggi, ‘diventare ricchi’,da quanto possiamo capire attraverso i massmedia e l’opinione pubblica, è diventata la ‘favola’ degli adulti, che ha i suoi giornali specializzati, con tanti servizi su ‘cosa fanno’, ‘come e dove vivono i paperoni o i vip’, coloro che sono classificati come gli ‘idoli’ del nostro tempo, con tanta gente che cerca di imitarli o di vivere almeno nella loro ombra, senza minimamente pensare che dietro queste facciate di lusso, spesso vi è una grande povertà di mente e di cuore ed un senso di solitudine e di vuoto che a volte li porta alla disperazione, magari con il rimorso (e questa sarebbe una grazia!) di avere depredato tanta gente che, a causa della loro sfrenata ricchezza, è costretta a vivere sul marciapiede delle città.

    A costoro e a quanti vorrebbero essere come loro, così parla oggi il profeta Amos:

    “Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! … andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l’orgia dei buontemponi’. (Amos 6, 4-7)

    Dura la descrizione del ricco: una ricchezza che nulla ha a che fare con la vera ricchezza del cuore, che appartiene a quelli che Gesù chiama ‘beati, voi, poveri in spirito’!

    In contrapposizione ai ‘paperoni’, oggi, nel mondo, la povertà, fino alle necessità più semplici, è di tanti. Ma è anche duro, causa la crisi economica che non ha fine, per tanti dovere rinunciare ad una vita da benestanti – almeno così sembrava – ed accontentarsi del poco… se basta. Ma… è vera felicità quella del ricco? O la felicità è del povero Lazzaro di cui parla il Vangelo?

    Per costruire una vera felicità, che poi è ricchezza di valori nella e per la famiglia e nella società, occorre la ricchezza materiale o la ricchezza del cuore?

    A volte, osservando la voglia di benessere, che cerca di circondarsi di tutti i capricci che il commercio offre, un mercato senza anima, che si chiama moda, ci si rende conto che prende molti, li rende forse per un momento soddisfatti, ma non fa mai felici… è troppo poco!!

    Ricordo la dignitosa povertà della mia famiglia, dove si viveva del necessario e non c’era posto per mode o capricci. Ma al loro posto c’era tanta pace, tanto amore, tanta moralità che era il dono della povertà, diremmo oggi della sobrietà. Si era felici del poco.

    Altri tempi si dirà, ma anche altra felicità e giustizia e moralità. Davvero ‘beati i poveri in spirito, vostro è il regno dei cieli’… ieri, oggi e sempre.

    È peccato possedere poco o tanto?

    Quando è esibizione sciocca del tanto che si possiede ha del grottesco, è solo una tragica e dolorosa farsa.

    Ma possedere più del necessario, ossia essere in qualche modo ricco, diventa un bene quando è frutto di giustizia e fatica e, soprattutto, la ricchezza non è un ‘dio’ del cuore, ma un mezzo di amore. Il pericolo non è possedere, ma ‘farsi possedere’, diventando schiavi delle cose che passano.

    Possedere da ‘distaccati’, da ‘poveri in spirito’, con il cuore libero, diventa occasione di colmare i tanti vuoti dei miseri. Diventa un bene per chi non ha. Ricordiamocelo: la ricchezza, qualunque sia, non è il bene che si deve cercare a tutti i costi, ma un mezzo per amare.

    Nel Vangelo di oggi si ha la sensazione che Gesù si prenda gioco della stoltezza del ricco, che non ha saputo ‘incontrarlo quaggiù’, sostenendo la fatica del vivere del povero Lazzaro, e così non potrà vivere in comunione con Dio lassù!

    E Gesù ci avverte, attraverso le parole di Abramo, il padre della nostra fede:‘Hanno Mosè e i Profeti, ascoltino loro’. E lui (il ricco): ‘No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno’. Abramo rispose: ‘Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi’. (Mc. 16, 19-31)

    Una chiara e dura lezione di quanto sia difficile liberarsi dalla schiavitù dell’avere, del benessere a tutti i costi, per fare strada alla libertà e all’amore.

    Nella mia lunga vita, nel Belice e qui, ho toccato con mano come vi siano davvero persone che hanno possibilità e sanno condividerle per alleggerire il peso delle tante povertà incontrate.

    Donne e uomini di una generosità incredibile, che hanno dimostrato come a volte il possedere diventa motivo di carità, tanto da dover a volte frenare la generosità. Le ho sempre considerate ‘la Provvidenza di Dio’, che riempiva le mie mani, perché io riempissi le mani vuote di tanti.

    Anche oggi, ne sono certo, c’è ancora tanta generosità che non ha paura di farsi povera per dare speranza a chi non ha, ma la ritrova proprio nella loro carità.

    Prego perché nessuno di noi si trovi nei panni del ricco epulone che dall’inferno invoca una goccia di acqua, quando qui ne aveva in abbondanza da dissetare tanti…ma nei panni del povero Lazzaro, che riposa nelle braccia di Dio, qui e dopo.

    Così pregava don Tonino Bello:

    “Cari cristiani fate un digiuno che sia profezia. Astenetevi … dall’ingordigia, dal sopruso, dalla smania di accaparrarsi, dalle collusioni disoneste con certe forme di potere. … privatevi del lusso, dello spreco, del superfluo: ci vuole coraggio …. dividete il pane: il pane delle situazioni penose dei disoccupati, degli sfruttati, dei disperati che ci stanno attorno ….”.

    Seguiamo l’esempio di vita del nostro caro confratello e di tanti, forse nascosti, ma che vivono da veri discepoli di Gesù, fattosi povero per arricchirci. Tutti, un giorno, ‘arricchiti’ dalla e nella carità, ci ritroveremo eternamente felici.

    Antonio Riboldi, Vescovo


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    00 30/09/2016 13:15
    XXVII Domenica del Tempo Ordinario

    Accresci la nostra fede …. Siamo servi inutili



    Deve essere stata una straordinaria esperienza quella degli Apostoli con il Maestro.

    La Sua parola non aveva nulla di nebuloso, come sono a volte le nostre che diciamo o sentiamo ogni giorno.

    Era ed è una Parola che conteneva, e contiene per ogni generazione umana, tutta la tenerezza del Cuore del Padre, che si manifesta agli uomini, invitandoli ad entrare nel Suo ‘mondo’, nella Sua Vita, con una forza e dolcezza prorompenti, ma a volte con l’energia e la severità di chi invita perentoriamente alla conversione, dà orientamenti, propone vere vie di vita e sempre chiede a noi creature di accoglierle nella libertà dell’amore, il più grande dei doni.

    Così dice il profeta Abacuc:

    “Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: ‘Violenza!’ e non salvi? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione? Ho davanti a me rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese. Il Signore rispose e mi disse: ‘… Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede’. “ (Ab. 1,2-3; 2, 2-4)

    Sì, un invito pressante ad aver fede in Dio, sempre, in qualsiasi situazione!

    Viene allora spontanea l’affermazione degli Apostoli, citata nel Vangelo di oggi, che ha l’aria di appassionata preghiera:

    “Gli Apostoli dissero al Signore: ‘Accresci in noi la fede!’. Il Signore rispose: ‘Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: ‘Sradicati e vai a piantarti nel mare’ ed esso vi obbedirebbe’”. (Lc. 17, 5-10)

    Dio non chiede mai nulla che non voglia compiere, anche i miracoli più grandi, sempre che questo rientri nella sua ineffabile volontà di bene per noi, che è sapienza del cuore.

    Ma siamo davvero convinti e interiormente sicuri che il Padre vuole la nostra vera felicità?

    Forse dovremmo chiedercelo più spesso, in piena sincerità di cuore.

    Tutto può essere dato da Lui, se lo chiederemo nel Nome di Gesù, ma occorre almeno un ‘granellino’ di fede: fede come fiducia nel Padre, che sa sempre quello che è bene per la vita eterna e quello che non lo è… ma in ogni caso renderà sempre la sua volontà efficace per il nostro bene.

    Ma dobbiamo stare attenti: la fede non può essere solo un’idea astratta, ma deve ‘incarnarsi’!

    Infatti Gesù parla della forza della fede, ma subito spiega che questa va ‘incarnata’ nel servizio.

    E’ un avvertimento di Gesù, da non dimenticare: ‘Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: ‘Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare’”.

    Il legame tra la fede e il servizio è vitale: si ravvivano e rafforzano a vicenda.

    Un cristiano, che riceve il dono della fede nel Battesimo, ha dichiarato Papa Francesco, in un’omelia a S. Marta, ma “non porta avanti questo dono sulla strada del servizio, diventa un cristiano senza forza, senza fecondità”… diventa “un cristiano per se stesso, per servire se stesso”. La sua è una “vita triste”, “tante cose grandi del Signore” vengono “sprecate”.

    Noi, ha proseguito, possiamo allontanarci da questo “atteggiamento del servizio, primo, per un po’ di pigrizia, che fa tiepido il cuore, la pigrizia ti rende comodo … Tanti cristiani così … sono buoni, vanno a Messa, ma il servizio fino a qua … Ma quando dico servizio, dico tutto: servizio a Dio nell’adorazione, nella preghiera, nelle lodi; servizio al prossimo, quando devo farlo; servizio fino alla fine .... Servizio gratuito, senza chiedere niente”.

    L’altra possibilità di allontanarsi dall’atteggiamento di servizio, ha soggiunto, “è un po’ l’impadronirsi delle situazioni … quando i cristiani diventano padroni: padroni della fede, padroni del Regno, padroni della Salvezza: è una tentazione per tutti i cristiani”.

    Invece, il Signore ci parla di “servizio in umiltà, servizio in speranza, e questa è la gioia del servizio cristiano”, che nasce da una fede salda e fiduciosa!

    Ma concludiamo questa riflessione con le parole di Papa Francesco:

    “Nella vita dobbiamo lottare tanto contro le tentazioni che cercano di allontanarci dall’atteggiamento di servizio.

    La pigrizia porta alla comodità: servizio a metà; e l’impadronirsi della situazione, e da servo diventare padrone, porta alla superbia, all’orgoglio, a trattare male la gente, a sentirsi importanti ‘perché sono cristiano, ho la salvezza’, e tante cose così.

    Il Signore ci dia queste due grazie grandi: l’umiltà nel servizio, al fine di poterci dire: ‘Siamo servi inutili’, ma servi fino alla fine; e la speranza nell’attesa della manifestazione, quando venga il Signore a trovarci”.

    Signore, oggi ti preghiamo: “Accresci la nostra fede!” per diventare testimoni credibili, ‘servi’ dei fratelli che poni sul nostro cammino quaggiù, e il cuore sempre rivolto ai beni eterni che ci riservi nel Tuo Regno, un cuore pacificato in Te.

    Antonio Riboldi, Vescovo

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    00 15/10/2016 14:46
    XXIX Domenica del Tempo Ordinario

    Pregate sempre, senza stancarvi!



    Sappiamo tutti che la preghiera è davvero il modo di dialogare addirittura con Dio. Incredibile solo a pensarci! … Noi che conosciamo per esperienza quanto sia difficile trovare ‘un potente’ che ci ascolti. Non hanno mai tempo o, forse, siamo poca cosa ai loro occhi … contiamo niente.

    Non così per Dio, l’Onnipotente! Quello che ci offre la Chiesa, oggi, da meditare, per dare ‘senso’ alla nostra vita, è proprio la preghiera.

    La preghiera è, a volte, contemplare e ascoltare Dio, a volte aprire il nostro cuore a Lui, a volte depositare nel Suo Cuore chi o ciò che ci sta davvero a cuore …. è, insomma, un ‘vivere insieme a Dio’ la nostra esperienza di vita.

    Per pregare non intendo certamente un ‘ripetere’ formule o parole, senza la partecipazione della fede e dell’amore. Quando il nostro è solo un ‘parlare a Dio’ senza confidenza e amore, sentendoci davvero alla Sua Presenza, non possiamo sicuramente ritenere di pregare, nel senso più vero e profondo del termine. Una vera preghiera è un ‘modo di essere’, di ‘stare davanti a Dio’ e richiede anzitutto silenzio interiore, che faccia strada alla parola e ancor più all’ascolto.

    Lo sanno bene le persone di fede quanto sia importante la preghiera, per vivere alla Presenza di Dio

    in continuità … come se non ci fosse stacco tra la vita concreta e i ‘momenti’ propri della preghiera, tanto che tutto diventa preghiera, anche il lavoro.

    Così oggi Gesù parla a noi “… sulla necessità di pregare sempre, senza stancarci. ‘C’era in una città un giudice che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c’era anche una vedova che andava da lui e gli diceva: ‘Fammi giustizia contro il mio avversario’. Per un certo tempo, egli non volle, ma poi disse tra sé: ‘Anche se non temo Dio e non ho rispetto per nessuno, poiché questa vedova è così molesta, le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi’. E il Signore soggiunse: ‘Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano ogni giorno verso di Lui e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. (Lc. 19, 1-8)

    Il Signore ci offre un’indicazione di vita: ‘Pregate sempre, senza stancarvi!’ e un richiamo, che ci fa meditare, se diamo uno sguardo a come oggi si vive, per lo più con poca o nessuna fede e rapporto con il Padre: ‘Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?’.

    Dobbiamo interrogarci: Preghiamo? Quanto preghiamo? Quale contenuto ha la nostra preghiera?

    Mi ricordo che un giorno, incontrando quel grande vescovo di Torino, che era il Cardinal Ballestrero, mi chiese a bruciapelo: ‘Quanto tempo date alla preghiera?’.‘Abbastanza’ risposi. ‘Un vescovo, se vuole davvero fare bene la sua missione deve dare alla preghiera almeno tre ore al giorno’.

    Può sembrare un tempo lungo, ma, quando si esperimenta il valore dello stare davanti a Dio e dialogare o lodare o intercedere o, semplicemente, ‘stare’, il tempo scorre veloce.

    “Naturalmente non si può giungere a Dio fisicamente, ma rivolgendogli le forze dell’anima: la mente, la volontà e le percezioni del cuore, mediante la purificazione della coscienza e la pratica dell’incessante preghiera, senza la quale non esiste nessun altro mezzo e nessun’altra possibilità reale per entrare nella regione della luce di Dio”. (Schimonaco Ilarion)

    Chi ama non conta mai il tempo che ha per stare insieme alla persona cara e trasmettere il suo cuore. Non pesano, non danno fastidio le ore che si trascorrono insieme, anzi. Quando ci si lascia, pare sia trascorso un minuto e si prova con la gioia anche un poco di tristezza e il desiderio di incontrarsi di nuovo presto. È quello che vivono non solo i santi, ma quanti hanno imparato a pregare e sanno contemplare o parlare con Dio.

    Madre Teresa di Calcutta, per esempio, nonostante la grande fatica che affrontava ogni giorno nel recuperare i moribondi nelle vie di Calcutta, per portarli a casa, pulirli e curarli, dava ampio spazio alla preghiera e chiese alle consorelle di dedicare ogni giorno almeno un’ora di adorazione a Gesù Eucaristia, perché solo così … la fedeltà agli ultimi era assicurata!

    Pregare è davvero l’arte di chi ‘vede’, ‘incontra’ Dio nella vita, non si stancherebbe mai dal trovare felicità, forza di sperare di fronte ad ogni ostacolo, nel fissare gli occhi sul Suo Volto, come facciamo noi quando vogliamo bene, ma veramente bene a qualcuno.

    Tante volte mi chiedo quale potrebbe essere il senso della vita quotidiana senza preghiera, senza la Presenza del Padre. Penso sia l’infelicità o l’amarezza di troppi.

    Dobbiamo, ripeto, imparare non tanto e solo le formule delle preghiere, ma vivere la preghiera con parole nostre, con le nostre emozioni, pensieri, preoccupazioni: lasciare che il nostro cuore parli a Dio. Proviamo a rispondere con tutta sincerità alle domande che poneva il beato Paolo VI:

    “Si avverte quale significato abbia l’orazione nella nostra vita? Se ne sente il dovere? Il bisogno? La consolazione? La funzione nel quadro del pensiero e dell’azione? Quali sono i sentimenti spontanei che accompagnano i nostri momenti di preghiera? La fretta? La noia? La fiducia? L’interiorità? L’energia morale? Ovvero anche il senso del mistero? Luci e tenebre? L’amore finalmente? … Il nostro è un atteggiamento come quello di un cieco che non vede ma sa di essere davanti a un Essere reale, personale, infinito, vivo, che osserva, ascolta, ama l’orante. Allora la conversazione nasce. Un Altro è qui e quest’altro è Dio … noi sappiamo che la preghiera è l’incontro con Dio, una comunicazione possibile ed autentica”. (14.02.1973)

    Ma è davvero così? Restano infatti da meditare le dure e dolorose parole di Gesù: ‘Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?’. Se guardiamo all’ondata di materialismo oggi trionfante, ci viene da pensare che forse ne troverebbe poca. Ed è naturale, logico: quando tutta la nostra ‘fede’ è riposta nelle cose senza vita, nei beni materiali, è molto difficile lasciare ‘spazio’ a Dio.

    Che non sia così per noi!

    Papa Francesco, proprio commentando questa parabola, in un’Udienza Generale, disse:

    “Da questa parabola Gesù trae una duplice conclusione: se la vedova è riuscita a piegare il giudice disonesto con le sue richieste insistenti, quanto più Dio, che è Padre buono e giusto, ‘farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui’; e inoltre non ‘li farà aspettare a lungo, ma agirà ‘prontamente’”. Per questo Gesù esorta a pregare “senza stancarsi” perché, a differenza del giudice disonesto, “Dio esaudisce prontamente i suoi figli”, anche se ciò non significa che lo faccia nei tempi e nei modi che noi vorremmo. La preghiera non è una bacchetta magica! Essa aiuta a conservare la fede in Dio, ad affidarci a Lui … ciò che importa prima di tutto è la relazione con il Padre. Ecco cosa fa la preghiera: trasforma il desiderio e lo modella secondo la volontà di Dio, qualunque essa sia, perché chi prega aspira prima di tutto all’unione con Dio, che è Amore misericordioso. La parabola termina con una domanda: ‘Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?’ E con questa domanda siamo tutti messi in guardia: non dobbiamo desistere dalla preghiera anche se non è corrisposta. E’ la preghiera che conserva la fede, senza di essa la fede vacilla! Chiediamo al Signore una fede che si fa preghiera incessante, perseverante, una fede che si nutre del desiderio della sua venuta. E nella preghiera sperimentiamo la compassione di Dio, che come un Padre viene incontro ai suoi figli pieno di amore misericordioso. Grazie!”

    Antonio Riboldi - Vescovo

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    00 22/10/2016 18:39
    XXX Domenica del Tempo Ordinario

    Chi si umilia sarà esaltato

    Ottobre è il mese che la Chiesa dedica alla missione: è necessario continuare ad evangelizzare, ripetendo che ogni uomo, nessuno escluso, non è ‘totalmente uomo’, creatura di Dio, se non è illuminato e sostenuto dalla stupenda verità che Gesù ha condiviso con i Suoi, cioè la Buona Novella del Vangelo: siamo tutti amati dal Padre e Lui attende il nostro amore, una verità che deve diventare esperienza di vita. In questo mese è doveroso pensare ai tanti nostri missionari che senza badare ai sacrifici, condividendo la povertà di tanti,, mettendo in conto il pericolo di sacrificare la vita, portano l’amore di Dio in terre lontane e spesso pericolose. Ma proprio il ricordarli ci deve spingere ad altrettanta generosità, iniziando la missione evangelizzatrice nelle nostre famiglie, nelle comunità, ovunque…. senza false paure, ma anche seguendo la via maestra per diventare portatori della Gioia del Vangelo, facendone partecipi i nostri fratelli - vera essenza della missione – e cioè l’umiltà: “Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”


    La Parola di Gesù nel Vangelo di questa domenica è diretta a noi, Suoi discepoli, che viviamo in un


    tempo in cui si assiste alla voglia sfrenata  di mettersi in mostra, di ‘contare’, senza più la capacità di ‘guardarsi dentro’ e riconoscere il ‘poco’ che siamo. Sembra ripetersi all’infinito, nella storia dell’uomo, la tentazione che in origine portò i nostri progenitori a disobbedire a Dio, per … diventare come Lui. Si è persa in troppi la misura della propria condizione di semplice creatura, per cui si fa di tutto per ‘sentirsi onnipotenti’…. senza più pensare che è ben altra la ‘vera immagine divina’, che dobbiamo coltivare dentro di noi e davanti agli occhi di Dio.


    Così oggi Dio ci parla attraverso il Libro del Siracide:


    “Il Signore è giudice e per Lui non c’è preferenza di persone. Non è parziale a danno del povero e ascolta la preghiera dell’oppresso. Non trascura la supplica dell’orfano, né della vedova, quando si sfoga nel lamento. Chi la soccorre è accolto con benevolenza, la sua preghiera arriva fino alle nubi. La preghiera del povero attraversa le nubi né si quieta finché non sia arrivata; non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità”. (Sir. 35, 15b-17.20-22a)


    Più una persona è davvero interiormente ‘grande’ e più è davvero umile, non si dà arie, ma anzi ha la netta percezione di essere l’ultimo … e per questo il Cuore del Padre ha ‘un debole’ per lei! Quanta gente umile, che non ha ‘mostrato’ la sua importanza o posizione, ho avuto modo di conoscere ed ammirare. La loro modestia, questo quasi sentirsi ‘inferiori’ a tutti, li corazzava di un grande silenzio, che però illuminava, senza che loro stessi se ne accorgessero.


    Gesù, oggi, evidenzia con chiarezza i due atteggiamenti dell’umile e del superbo.


    “In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: ‘Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: ‘O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo’.


    Il pubblicano, invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: ‘O Dio, abbi pietà di me peccatore’.


    Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”. (Lc. 18, 9-14)


    Tutto nel fariseo indica una sorta di colloquio alla pari con Dio: la posizione eretta del corpo, e soprattutto la preghiera snocciolata tra sé e sé, come incensasse…se stesso! Quest’uomo non solo non sta pregando Dio, ma potremmo dire che… non sta proprio pregando!!!


    Semplicemente sta esaltando se stesso a se stesso, s’inchina all’idolo della sua presunta giustizia: il suo io. Si autoconvince della propria ‘superiorità’. Un quadro che sa di molto narcisismo.


    Ben diverso è l’atteggiamento del pubblicano: il suo quasi non osare di alzare gli occhi al cielo e le scarne parole, in cui vi è tutta la consapevolezza di essere peccatore, quindi… nessuno!


    Ma è proprio questa preghiera che commuove il Cuore di Dio.


    Diceva il nostro caro e beato Paolo VI:


    Non abbiamo la sapienza – e si chiama umiltà – di chiamarci creature. Perciò manchiamo di capacità e spesso di volontà di riconoscere la trascendenza divina che darebbe a tutto il nostro pensiero la visione della proporzione, dei valori, la voglia di pregar e sperare, la gioia vera di vivere. Noi parliamo di noi stessi come fossimo padroni della nostra vita e non soltanto responsabili del suo impegno ... Siamo egoisti e perciò orgogliosi e presuntuosi. Se avessimo il senso delle proporzioni vere e totali del nostro essere, avremmo maggiore entusiasmo di ciò che siamo realmente. La piccolezza nostra e la grandezza di Dio formerebbero i poli del nostro pensiero e, sospesi tra il nulla della nostra origine e il tutto del nostro fine, comprenderemmo qualche cosa del grande e drammatico poema della nostra vita”. (15-08-1957)


    Meditando sulla grande virtù dell’umiltà, sfilano nei ricordi della mia vita tanti esempi di ‘grandi santi’, la cui grandezza appariva proprio dalla loro semplicità.


    Voglio solo ricordare uno degli incontri con Santa Madre Teresa di Calcutta.


    Un giovane, ammirato dalla sua ‘notorietà’, le chiese press’a poco così: ‘Madre, cosa si sente nel vedersi ammirata per la sua grandezza spirituale?’.


    ‘Mi sento quello che veramente sono davanti a Dio, un nulla. Quello che opero non sono mie opere, ma Sue. Io sono solo la matita tra le mani di Dio, di cui Lui si serve per compiere grandi cose’.


    Era come risentire il cantico di Maria SS.ma, nella sua visita a S. Elisabetta, dopo l’annuncio dell’Angelo, chiamata a essere madre del Figlio di Dio: ‘Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente, perché ha guardato all’umiltà della Sua serva, Santo è il Suo Nome’.


    Come ha detto Papa Francesco in un’Udienza Generale, spiegando proprio questa parabola, ricordiamo che “non basta domandarci quanto preghiamo, dobbiamo anche chiederci come preghiamo, o meglio, com’è il nostro cuore: è importante esaminarlo per valutare i pensieri, i sentimenti, ed estirpare arroganza e ipocrisia … dobbiamo pregare ponendoci davanti a Dio così come siamo. Siamo tutti presi dalla frenesia del ritmo quotidiano, spesso in balìa di sensazioni, frastornati, confusi.


    È necessario imparare a ritrovare il cammino verso il nostro cuore, recuperare il valore dell’intimità e del silenzio, perché è lì che Dio ci incontra e ci parla. Soltanto a partire da lì possiamo a nostra volta incontrare gli altri e parlare con loro …


    Nella vita chi si crede giusto e giudica gli altri e li disprezza è un corrotto e un ipocrita.


    La superbia compromette ogni azione buona, svuota la preghiera, allontana da Dio e dagli altri.


    Se Dio predilige l’umiltà non è per avvilirci: l’umiltà è piuttosto condizione necessaria per essere rialzati da Lui, così da sperimentare la misericordia che viene a colmare i nostri vuoti.


    Se la preghiera del superbo non raggiunge il cuore di Dio, l’umiltà del misero lo spalanca.


    Dio ha una debolezza: la debolezza per gli umili. Davanti a un cuore umile, Dio apre totalmente il suo cuore … Ci aiuti lei, la nostra Madre, a pregare con cuore umile. E noi, ripetiamo per tre volte, quella bella preghiera: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.


    Così sia!


     


    Antonio Riboldi, Vescovo


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    00 01/11/2016 07:05
    XXXI Domenica Tempo Ord. e Festività dei Santi



    ‘Oggi devo fermarmi a casa tua’, perché tu possa essere un giorno con Me in Paradiso!



    Alla luce della infinita ricchezza della misericordia del Padre è bello, in questa domenica, contemplare il racconto della conversione di Zaccheo, ‘un uomo ricco, capo dei pubblicani’ lo dipinge il Vangelo.

    La sua è una ricchezza non del tutto ‘pulita e giusta’. Ma Zaccheo era da tempo rincorso, cercato dalla grazia, anche se lui non lo sapeva.

    Quando sente dire che Gesù passa per Gerico, non vuole privarsi della possibilità ‘di vedere chi fosse Gesù’. È ricco, ma troppo piccolo, tanto che è impedito dalla folla in questo suo desiderio.

    I soldi non comprano tutto, anzi! Ma non si arrende, a costo di rendersi ridicolo.

    Non sa che è atteso da Gesù: ‘Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua’: una vocazione vera e propria, un incontro che stravolge tutta la sua vita.

    Zaccheo diviene discepolo di Gesù e le sue ricchezze dono ai poveri. ‘Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri: e se ho frodato qualcuno restituisco quattro volte tanto’. (Lc 19, 1-10)

    È certamente, quella di Zaccheo una delle più belle esperienze di misericordia raccontate nel Vangelo. Ci sono tanti Zaccheo, in ogni tempo, che passano stancamente la propria vita nel pensare alle cose di questo mondo, pericolosamente distratti verso l’Unico necessario.

    Occorre ritrovare, noi per primi, Suoi discepoli, il desiderio che ebbe Zaccheo, di lasciare tutto per incontrare il Tutto. Il resto sarà solo racconto di una resurrezione o della gioia ritrovata quaggiù, per preparare quella definitiva, entrando a far parte della ‘moltitudine immensa che nessuno poteva contare’, la visione che l’Apostolo Giovanni usa per descrivere quanti popolano il Paradiso, ossia la moltitudine dei Santi, di cui celebreremo la Festa martedì.

    Per tanti, anzi, per troppi, lacerati nel dubbio o semplicemente ingoiati dal materialismo provvisorio considerano il Paradiso una favola per bambini …. inesistente! Salvo poi crearsene di ‘artificiali’.

    Ma anche per noi, che ci diciamo cristiani, spesso, quando ci fermiamo superficialmente sulla realtà che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, quella ‘moltitudine’ può sembrarci un’affermazione esagerata.

    È così raro ammirare ‘i tratti di santità’ nella gente comune, che ci sta intorno, e soprattutto siamo così consapevoli della grande fatica che facciamo per trapiantare in noi il ‘divino’, che è poi la santità, che, a volte, pensiamo al Paradiso come una mèta irraggiungibile.

    Chiediamo al Padre continuamente misericordia per il nostro stato di peccatori e, dopo un attimo, ripetiamo le stesse mancanze fino a dubitare di essere sinceri nella nostra richiesta di perdono … e in aggiunta, dimentichiamo quasi sempre l’essenziale: ‘come noi li perdoniamo ai nostri debitori’.

    Viene da chiederci: ‘La santità, a cui non si può rinunciare senza negare noi stessi e la ragione della nostra vita, è solo un atto eroico di qualcuno o è mèta di tutti?’.

    È doveroso chiedercelo, in questo mese di novembre, in cui la nostra riflessione si affaccia sulla ‘grande moltitudine’ di santi e defunti. Tutti abbiamo parenti, amici, che sono già presso Dio.

    Ognuno ha giocato la propria vita: chi certamente in modo santo, magari soffrendo tanto, e chi non ci ha nemmeno pensato, da vero incosciente. Si presenta la riflessione sulla morte, che vorremmo a volte scacciare, ma che è per tutti. Fermandoci presso il sepolcro dei nostri cari viene spontaneo, nel profondo del cuore, affermare: ‘Non è possibile che il grande dono della vita, uscito da Dio immortale, che ci ha creati a Sua immagine, finisca in un pugno di terra. Così come non è possibile che l’amore che ci univa, qui in terra, sia finito, sapendo che l’amore non conosce fine e partecipa dell’eternità.’

    La vita – e lo sentiamo tutti nell’esperienza quotidiana – è il valore fondamentale e il più serio da noi posseduto. Pensiamo alla vita di una mamma in casa, la vita di un giovane o una giovane nella sua fatica di crescere bene, la fatica di un padre di famiglia sul lavoro, di un missionario o di un sacerdote nella cura delle anime, di una consacrata che, scelta e chiamata da Dio, si consuma nel silenzio e nell’amore, di un ammalato costretto a fare i conti ogni istante con la sofferenza o di un anziano privato di tutti i suoi affetti, che continua ad amare nella solitudine…….

    È infinita la lista…. Sulla vita investiamo tutto di noi: fede, dignità, felicità, amore, onestà, sofferenze. Almeno nella volontà – spero per tutti senza eccezioni – si vorrebbe fare della vita un ‘racconto’ che splenda agli occhi del mondo per la testimonianza data – ‘siate una lucerna sul monte’, dice Gesù -.

    Per chi vive la sua fede, appare chiaro che la vita è innanzitutto la storia meravigliosa di un Padre che ci ama e, attraverso il compimento della Sua volontà, stende su di noi la veste di santità, che è il Suo abito, tanto da poter giungere ad affermare, nella verità, come S. Paolo: ‘Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me’. Lungo il cammino, alle volte questo ‘abito’ è lacerato dalle nostre infedeltà, forse dimenticato per la nostra insana voglia di metterci addosso ‘altro’, che è rifiuto di bellezza e di amore. Ma la sincerità della nostra continua conversione – il ‘rientrare in se stesso’ del figlio prodigo – dà a Dio la possibilità di ricucire gli strappi e togliere le macchie o, ancor più divinamente, darci ‘il vestito nuovo’: questa è la santità, la vocazione di tutti, senza eccezioni, come afferma il Concilio Vaticano secondo: “Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità”(LG. 41)

    Ho sempre nel cuore l’esempio della famiglia a cui Dio mi ha affidato. Mi impressionava la fede di mamma che, ogni giorno, iniziava la sua giornata con la S. Comunione. Papà, prima di recarsi al lavoro, accettava volentieri di pregare con mamma, e alla sera era lui che conduceva il S. Rosario, recitato da tutta la famiglia. Questo è santità: guardare al Cielo come la mèta della vita e la vita come un cammino insieme verso quella mèta, sapendo che siamo amati dal Padre, confortati dallo Spirito, redenti dal Figlio e sostenuti dalla Comunione con tutti i fratelli e sorelle che ci hanno preceduto e ‘tifano’ per noi!

    Solo così la vita quaggiù può diventare gioia e servizio, solidale e vissuta nella pace.



    Antonio Riboldi, Vescovo
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    00 05/11/2016 19:02
    XXXII Domenica del Tempo Ordinario

    Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi

    Che senso avrebbe, nascendo, sperimentare la vita, se tutto, ma proprio tutto, finisse con la nostra morte? Che senso la bontà, la gioia, le fatiche e le ansie, il nostro ‘affannarci’, se poi tutto si rivelasse solo una breve, molto breve, e tante volte infelice esperienza su questa terra?

    A queste domande solo Gesù, il Figlio di Dio, ha dato una risposta: è la resurrezione, ossia la certezza che, in virtù della Sua Resurrezione, tutti a suo tempo, risorgeremo.

    È una risposta davvero ‘dell’altro mondo’, come qualcuno afferma, purtroppo con scetticismo o, come può accadere anche tra di noi, suoi discepoli, avendo una certa resistenza interiore a crederci fino in fondo o una verità a cui forse anche noi pensiamo poco, ma che è il grande valore e senso della vita.

    Infatti, se affrontiamo la vita, sicuri che un giorno, con la morte, non solo non finirà, ma finalmente ne conosceremo in pienezza la ragione, entrando nella vita eterna, che sarà veramente la verità del nostro ‘essere venuti al mondo’, non possiamo non viverla già ‘qui’ con consapevolezza, responsabilità e serietà. Ma chi ci pensa?

    Si ha come la sensazione che si viva spesso alla giornata, come se un ‘domani’ non esistesse.

    Almeno una volta, sinceramente, ce lo siamo chiesto che sarà di noi dopo la morte?

    Soprattutto noi cristiani dovremmo possedere la certezza che in virtù della resurrezione di Gesù risorgeremo. Lo professiamo nel ‘Credo nella resurrezione della carne e nella vita eterna’.

    È una verità che ha anche un riscontro ‘umano’ e possiamo quasi ‘toccare con mano’ nelle visite ai nostri morti, al Cimitero: si ha come l’impressione che i nostri defunti possano sentirci e noi dialoghiamo con loro, con sicurezza, così come ogni giorno li pensiamo, continuiamo ad amarli, come facessero ancora parte della nostra vita.

    Ma se non ci fosse la certezza e la verità della resurrezione, che senso avrebbe dialogare con loro? Non sono ‘impressioni’, ‘sensazioni’, ‘fantasie’: è la verità! I nostri cari sono vivi.

    Questo ci conferma oggi Gesù rispondendo alle stesse nostre domande, che alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la resurrezione, gli posero: ‘Maestro, Mosè ci ha prescritto: se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano dunque sette fratelli: il primo dopo avere preso moglie morì, senza figli. Allora la prese il secondo, poi il terzo e così tutti e sette, e morirono senza lasciare figli. Da ultimo anche la donna morì. Questa donna, nella resurrezione di chi sarà moglie, poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie?’. Gesù rispose: ‘I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito, ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo, non prendono moglie o marito e nemmeno possono più morire, poiché sono simili agli angeli e, essendo figli della resurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgono, lo ha indicato Mosè a proposito del roveto quando chiama il Signore Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi, perché tutti vivono in Lui”. (Lc. 20, 27-38)

    Il quesito posto a Gesù fila se si ragiona con il metro di questo mondo, ossia quando si inquadra la vita di un uomo come qualcosa che viene solo da questa terra e, quindi, non può avere più senso al di fuori di essa. Questo ragionare mostra tutta la ‘piccolezza’ del nostro pensiero, che giunge a porre dei limiti terribili alla nostra stessa vita, privandola del futuro. Ma se così fosse che senso ha il lavoro che facciamo, la politica, la ricerca scientifica, lo sport e tutto ciò che, in sé, non può condurre alla resurrezione, ma dovrebbero essere - per chi ha fede – ‘dei passi’ verso il vero senso di un dono grande, immenso, che è la vita? Se riflettiamo in profondità e se viviamo bene, la vita è un forziere di doni e anche di difficoltà, ma non può certamente concludersi con la morte.

    La morte, per noi cristiani, è ‘un transito’, … e, perché questo ‘passaggio’ di chi ci lascia sia un ingresso nella felicità del Paradiso, offriamo tanta, ma tanta preghiera. Quale grande dono è la fede nella resurrezione! Abbiamo mai ringraziato il Padre per questo dono?

    Penso che sia davvero necessario che tutti abbiamo consapevolezza, non solo del valore della vita, ma della sua ragione, del modo di ‘usarla’, come ‘strumento’ per la resurrezione.

    Papa Francesco in un’Udienza ci ha ricordato che credere nella resurrezione della carne non cambia solo il momento della nostra morte, ma ci cambia tutta la vita: «Se riuscissimo ad avere più presente questa realtà, saremmo meno affaticati dal quotidiano, meno prigionieri dell’effimero e più disposti a camminare con cuore misericordioso sulla via della salvezza». E alla domanda, che tutti ci poniamo, su cosa significhi resuscitare, ha insistito sul fatto che veramente Dio «restituirà la vita al nostro corpo riunendolo all’anima … I nostri corpi saranno trasfigurati in corpi gloriosi. Questa non è una bugia! Noi crediamo che Gesù è risorto, che Gesù è vivo in questo momento. E se Gesù è vivo, voi pensate che ci lascerà morire e non ci risusciterà? No! Lui ci aspetta, e perché Lui è risorto, la forza della sua risurrezione risusciterà tutti noi». E ha aggiunto: «La trasfigurazione del nostro corpo viene preparata in questa vita dal rapporto con Gesù, nei Sacramenti, specialmente l’Eucaristia. Noi che in questa vita ci siamo nutriti del suo Corpo e del suo Sangue risusciteremo come Lui, con Lui e per mezzo di Lui». E bellezza ultima: «mediante il Battesimo … già partecipiamo alla vita nuova, che è la sua vita …. Abbiamo in noi stessi un seme di risurrezione, quale anticipo della risurrezione piena che riceveremo in eredità … Il corpo di ciascuno di noi è risonanza di eternità, quindi va sempre rispettato». Queste considerazioni ci richiamano alla responsabilità, ma insieme ci danno speranza: «Siamo in cammino verso la risurrezione. Vedere Gesù, incontrare Gesù: questa è la nostra gioia! Saremo tutti insieme – non qui in piazza, da un’altra parte – ma gioiosi con Gesù. Questo è il nostro destino!».

    Sia questa la fede viva e vissuta che dà sapore alla nostra vita.

    Antonio Riboldi - Vescovo

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    00 16/11/2016 13:36
    XXXIII Domenica del Tempo Ordinario



    Il giorno della verità



    In questi ultimi tempi assistiamo ad un ripetersi drammatico di catastrofi, che ci fanno chiedere se non stia giungendo ‘la fine del mondo’. Sappiamo tutti che il nostro pianeta è in continuo movimento e trasformazione e ormai è un dato di fatto, scientificamente dimostrato, che l’uomo sta facendo di tutto per squilibrare ulteriormente l’ordine insito nella natura: danni ecologici, per i veleni che le opere dell’uomo emettono nell’atmosfera, nelle acque e sulla terra; arsenali che, in tante nazioni, custodiscono bombe dai potenziali altamente distruttivi. Una ‘fine del mondo’, quasi programmata, insensatamente… Ma ci sono tante altre manifestazioni da ‘fine del mondo’: frane, alluvioni, incendi, terremoti… anche questi molte volte causati, più che dalla natura, dall’incuria dell’uomo. Si fatica a pensare che forse il futuro può dipendere anche dalla nostra capacità di ‘abbandonare’, o forse gestire meglio, i traguardi che si sono raggiunti nella scienza e nella tecnica.

    Per molti è inconcepibile immaginare o progettare un futuro con una vita più semplice e sobria, quasi fosse un ‘tornare indietro’: sarebbe come un dover confessare che, quello che si credeva progresso, era di fatto un camminare fuori strada!

    Eppure è come quando si sta aggredendo una montagna… dovrebbe essere saggezza sapersi porre un limite, prima che …. ci frani addosso tutto!

    Credo valga la pena di fermarci tutti un momento per capire se la strada che questa nostra umanità sta percorrendo o sta progettando è davvero, da un lato, ‘a misura d’uomo’ e, soprattutto, se porta davvero alla salvezza. Perché si possa definire davvero una strada giusta, un progetto sano e salutare dovrebbe far progredire l’intera umanità, senza alcuna esclusione, senza divisioni, ma in pienezza di giustizia e nel rispetto verso il creato e soprattutto verso l’uomo.

    Deve essere un progetto che aiuti l’uomo ad essere più uomo e, per noi cristiani, più vicino e ‘simile’ al Maestro Gesù. Un progetto che promuova il rispetto e la salvaguardia del creato, senza dimenticare che tutto su questa terra è fragile: ha il fine di ospitarci per un attimo, ma non è la ‘nostra vera Casa’, che verrà solo dopo la morte. Giustamente la Chiesa, chiudendo l’anno liturgico, ci richiama alla nostra provvisorietà ‘qui’ e alla provvisorietà della terra, che ci è pur stata affidata perché ‘la custodissimo’, ma sempre resta ‘straniera’ e noi solo suoi ‘ospiti’.

    Ecco dunque che la Parola di Dio ci addita la vera mèta, quell’ultimo giorno, che sarà la fine di questo mondo. Racconta S. Luca: “In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, Gesù disse: ‘Verranno giorni in cui di tutto quello che ammirate non resterà pietra su pietra, che non venga distrutta’. Gli domandarono: ‘Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?’. Rispose: ‘Guardate di non farvi ingannare. Molti verranno nel Mio Nome e dicendo: -Sono io- e – Il tempo è prossimo – non seguiteli. Quando sentirete di guerre e rivoluzioni non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine.’ E poi disse: ‘Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno fatti terrificanti e segni grandi nel cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi nelle sinagoghe e nelle prigioni, e trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del Mio Nome. Questo vi darà occasione di rendere testimonianza. Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò lingua e sapienza a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime”. (Lc. 21, 5-19)

    Sono parole dure, ma perché vogliono svegliare le nostre anime dal sonno, che a volte assopisce il cuore e non permette di camminare con fedeltà nella nostra fede.

    Ed è giusto che queste parole ‘dure’ ci vengano dette da Gesù, alla fine di un percorso, nell’anno liturgico, in cui dobbiamo riflettere su quanto cammino abbiamo compiuto verso il Cielo e quanto invece ci siamo lasciati prendere dalla pigrizia, dalla superficialità, o altro…

    Così come dovremmo vigilare su chi ci inganna con falsi discorsi: ‘Guardate di non lasciarvi ingannare’. Sappiano come troppi ormai, nella nostra ‘moderna’ società, tentano di allontanarci da Dio, offrendoci ‘veleni’… molto peggiori degli agenti inquinanti!

    Di Paradiso ce n’è uno solo, quello di Dio; quelli degli uomini sono momenti effimeri, che hanno solo il potere di diventare droga per la dannazione.

    Dobbiamo essere capaci, alla luce della Parola di Dio, nella fiducia della fede, nella potenza della carità, guidati dallo Spirito, di entrare nella ‘Storia di Dio’, che non conosce ‘catastrofi’, ma sa solo progettare la civiltà dell’amore…. E, se necessario, con la forza, dono della Grazia, saper tornare indietro sui nostri passi, su quanto abbiamo fatto o progettato, credendolo progresso-modernità, ed era invece un ‘essere fuori strada’: benessere, forse, ma non salvezza!

    Rivediamo anzitutto i nostri rapporti con Dio nella preghiera, nei sacramenti e nelle scelte quotidiane… il nostro cammino con i fratelli, a cominciare dai più vicini… Difficile esame, ma necessario, per entrare davvero nella Storia che Dio ha progettato per noi; pronti anche a cambiare il nostro attuale orientamento – conversione – se scoprissimo di essere ‘fuori strada’.

    Ricordo, anni fa, in un convegno incontrai una ragazza con tanto amore alla vita, non disposta ad accettare con rassegnazione lo ‘sfacelo’ generale: voleva trovare la via della verità e della speranza. Vendette la sua macchina, diede il ricavato ai poveri e si comprò una bicicletta. Incontrandomi disse: ‘Padre, che gioia provo! E’ come avere le ali! Questo è proiettarsi al domani, non come prima in cui avevo sempre la sensazione di avere i piedi incatenati’.

    È proprio così che si va incontro alla vita, guardando al domani con la serenità di chi ha i piedi per terra, ma liberi, e il volto al Cielo.

    Antonio Riboldi - Vescovo
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    00 17/11/2016 22:44
    XXXIX Domenica del Tempo Ordinario

    Regalità di Gesù: un potere che si fa dono



    L’anno liturgico, che segna la Storia di Dio con e per l’uomo, inizia con l’attesa del Messia, ossia con l’Avvento, che porta al Natale, e si chiude con la Solennità di oggi: Gesù Cristo, Re dell’universo.

    E’ tempo che, per noi credenti, dovrebbe essere vissuto ‘per Cristo, con Cristo e in Cristo’.

    Dovrebbe farci riflettere e soprattutto riempire il nostro cuore di gratitudine verso il Padre, come ci ricorda S. Paolo: “Fratelli, ringraziamo con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È Lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre, e ci ha trasferiti nel regno del Suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati.’, ricordandoci come Cristo deve diventare l’Unico, il Centro della nostra vita, poiché ‘Egli è l’immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura: perché per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, … Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui. Egli è anche il Capo del Corpo che è la Chiesa, il principio, il Primogenito di coloro che resuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Perciò piacque a Dio di fare abitare in Lui ogni pienezza e per mezzo di Lui riconciliare a Sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della Sua croce, cioè per mezzo di Lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli”.(Col. 1, 12-20)

    Parole di un Apostolo veramente innamorato di Gesù, che riassumeva il senso della sua vita e missione proclamando: ‘Per me vivere è Cristo’.

    E per noi? Gesù è davvero il Re dei nostri cuori?

    Se così fosse quanta più pace vivremmo, anche in mezzo alle difficoltà e drammi della vita, perché la potenza di Gesù, la Sua regalità, è l’Amore, che non è mai imposizione, ma solo dono, incredibile dono, che non ha paura di andare incontro ad ogni conseguenza per essere tale. L’Amore, quando è vero, non si ferma davanti alle difficoltà, ma va fino in fondo… pagando di persona.

    Questo Amore che si dona, oggi viene raccontato dall’Evangelista Luca:

    “In quel tempo, il popolo stava a vedere, i capi invece schernivano Gesù dicendo: ‘Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il Suo eletto’. Anche i soldati lo schernivano e Gli si accostavano per porgerGli l’aceto, e dicevano: ‘Se tu sei il re dei Giudei salva te stesso’.

    C’era anche una scritta sopra il suo capo: ‘Questi è il re dei Giudei’.

    A questo punto, proprio nel momento più drammatico, più difficile e incomprensibile per noi uomini, sollecitati dalla superbia ad affermarci sempre sugli altri, Gesù offre una meravigliosa prova della natura del Suo Amore, della Sua Regalità.

    “Uno dei malfattori – continua il Vangelo – appeso alla croce, Lo insultava: ‘Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!’. Ma l’altro lo rimproverava: ‘Neanche tu hai timore di Dio, benché sia condannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, Egli invece non ha fatto nulla di male’. E aggiunse: ‘Gesù, ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno’. Gli rispose: ‘In verità in verità ti dico: oggi sarai con me in Paradiso’. (Lc. 23, 35-43)

    La vicenda del ‘buon ladrone’ fa nascere un profondo stupore interiore.

    Ecco un uomo che ammette i suoi errori, riconosce quello che ha fatto di male e, di fronte all’innocenza di Gesù, che dà la vita per salvare chi è perduto, comprendendone misteriosamente il senso e il valore, Gli rivolge quella stupenda preghiera: ‘Ricordati di me nel tuo Regno’: una preghiera che compendia una conversione e che subito riceve la risposta, che giunge a ciascuno di noi, quando imitiamo il buon ladrone: ‘Oggi sarai con me in Paradiso’.

    Meraviglioso e fedele Amore di Dio che non si fa deviare, ridurre, bloccare, consumare – come il nostro povero amore umano – dalle nostre negligenze o peccati, ma diviene tenerezza e calore, quando Lo riconosciamo, accogliamo, e a Lui ci affidiamo.

    Appartenere al Regno di Dio, e quindi accettare la Sua regalità, è quello che i martiri desideravano e per cui davanti alla morte gioivano, come se questa, subita per amore a Lui, fosse un premio e non una pena.

    Lo comprendono tanti che, per rispondere all’Amore di Gesù che ‘chiama’, si lasciano affascinare e donano totalmente se stessi, consacrandosi a Lui.

    Un giorno, una persona consacrata, a cui chiesi come considerava la sua vita da ‘esclusa da questo mondo’, mi rispose: ‘Sono felice perché non esisto più per me, ma per Gesù’.

    Lo comprendono tanti laici cristiani, che pur essendo immersi nelle tante forme di vita attiva sulla terra, non mettono in un angolo l’amore a Dio, ma lo vivono e rendono la loro vita ‘normale’, ‘quotidiana’ un continuo: ‘Ti amo e mi dono’.

    È davvero inconcepibile pensare di definirsi cristiani, vivendo come se Gesù non esistesse, solo concentrati sul nostro ego. Che senso ha?

    Se davvero Lo si ama, sperimentando la gioia che si riceve da Lui che ci ama, si dà alla vita, già ora, la pace e fecondità di appartenere alla Sua regalità. E poiché la regalità di Gesù è amare, non si può non partecipare i doni che si ricevono, diventando dono di amore a Lui e ai fratelli.

    È vero che noi a Gesù possiamo donare solo un ‘sì’, come è nello stile dell’amore, ma poi è un farsi portare sulle Sue braccia, anche se qualche volta ci invita a distenderle con le sue sulla croce.

    Ma, se ci pensiamo bene, con Lui o senza di Lui, nella vita le croci sono inevitabili… meglio allora, con Lui! Non dobbiamo avere paura di amare e farci amare da Gesù. Dobbiamo temere di metterLo in un angolo, come non esistesse…perché è come mettere in un angolo il dono che Dio fa del Suo Amore, unica nostra forza, speranza e senso della vita.

    Abbiamo bisogno, e tanto, di Lui, carissimi. Accogliamolo nella nostra vita e ogni giorno sperimenteremo la gioia di una ‘piccola resurrezione’ per noi e per i fratelli che ci affida, preparandoci così in un’attesa serena di quella definitiva, ritornando nella Casa del Padre.

    Antonio Riboldi, Vescovo
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    00 04/12/2016 18:04

    II Domenica di Avvento


    Convertitevi, perché Dio è vicino


     


     


    Nel cammino verso il Natale, Dio ci chiede un cambiamento totale. Conosciamo tutti per esperienza come è facile oscurare Dio in noi, fino quasi ad ignorarne la Presenza.


    A volte la nostra debolezza, che si manifesta nel peccato o in uno stile di vita puramente umana, ma senza la fede che ci eleva a Dio, è simile ad un oscuramento dell’anima.


    E tutti dovremmo sapere che questa ‘tenebra’ ci rende insoddisfatti: sentiamo la nostalgia del vero bene e della felicità, ma rischiamo di cercarla là dove c’è solo un pericoloso effimero.


    Credo che nessuno di noi senta una vocazione all’infelicità. Noi cerchiamo la felicità e la sentiamo come il solo senso del vivere, ma poi ci affidiamo a quello che felice non è.


    La vera Gioia, profonda e duratura, dono che Dio ci ha dato creandoci e a cui aspiriamo, chiede che prendiamo le distanze dal male, ogni male, e ci facciamo autori di bene, che non scende mai a compromessi. È questo compromesso con il male - tante volte presente anche in chi ama la gioia di Dio e vorrebbe ricrearla in sé – che la Chiesa oggi con Giovanni Battista ci invita a rompere.


    Il suo invito è perentorio: ‘Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino’. Ed aveva ed ha ragione.


    Non si può entrare nello stile di chi aspira al Regno, portandosi addosso realtà e storture che nulla hanno a che fare con il Cielo.


    Lo sappiamo tutti come il ‘mondo’ cerchi di ingannarci, proponendoci ‘cose’ che ci allontanano dal Regno. Per il nostro bene è urgente e necessario un cambiamento interiore ed è realizzabile se seguiamo la Parola di Dio, volendola accogliere con Gioia, per fare verità.


    Scrive il nostro caro e beato Paolo VI: Sappiamo tutti che la parola ‘conversione’ indica un senso di cambiamento, di rinnovamento interiore. Ora – ed è ciò che più conta – tale cambiamento non tocca tanto le cose esteriori, le abitudini, le vicende a cui è legata la nostra esistenza, bensì la cosa tanto nostra: il CUORE … E allora ci chiediamo, per ottenere tale risultato, cosa fare?


    Entrare in noi stessi, riflettere sulla nostra persona, acquisire una nozione chiara di quello che siamo, vogliamo e facciamo e alla fine rompere qualche cosa di noi, spezzare questo o quell’elemento, che magari ci è molto caro ed a cui siamo abituati. Ma come si fa a convertirci? Il primo passo consiste nell’ascoltare il richiamo e orientare la nostra mente là da dove parte la voce. La voce è la Parola di Dio, quale eco personale che il Signore suscita nelle nostre anime”… - ed aggiunge un desiderio che ogni sacerdote o vescovo condividerebbe – “Come piacerebbe sostare in conversazione con ciascuna delle persone presenti e chiedere se hanno questa capacità di udito, se ascoltano la Parola di Dio, e con essa quella sete di bontà che è il sospiro che il Padre ci fa udire”. (Marzo 1965)


    Tutto questo potrebbe sembrare difficile, eppure, se siamo onesti con noi stessi, sentiamo davvero una grande nostalgia o desiderio di essere buoni, di spogliarci da tutto ciò che inquina la nostra felicità ed è il male, che ci fa davvero … ’stare male’!


    “In quel giorno – sembra risponderci il profeta Isaia – un germoglio spunterà dal tronco di Jesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo Spirito del Signore, Spirito di sapienza e di intelligenza, Spirito di consiglio e di fortezza, Spirito di conoscenza e di timore del Signore”. (Is. 11, 1)


    L’Avvento, questo Santo Tempo, che ci accosta al Natale, può essere il momento in cui Dio si fa vicino, se lo vogliamo, e ci prende per mano, per ritrovare la Sua Luce, che è Lui stesso, per ‘ricrearci’ a Sua immagine! Non resta che, non solo desiderare, ma incamminarci … Ce lo auguriamo tutti.


     


    8 dicembre 2016


    In questa settimana la Chiesa celebra la Solennità dell’Immacolata Concezione ossia di come avremmo potuto essere tutti dal concepimento se… i nostri progenitori non avessero ceduto alla tentazione della superbia. Facile cadere nella trappola.


    Preferendo l’orgoglio all’amore, persero le ‘prerogative’ di innocenza che Dio, creandoli, aveva loro donato. La fugace illusione di aver scelto la ‘loro libertà’, di essere autosufficienti, li ha portati a doversi allontanare dalla Giustizia suprema, resi ormai orfani di Padre, e quindi senza Casa, che era il Paradiso.


    Ma Dio non smentisce se stesso e continua ad amarci sempre e così concepisce il grande disegno del nostro riscatto, programmando di inviarci il Figlio Suo, Gesù, per riportarci a Casa.


    Ma Gesù, per poter essere tra di noi, condividendo tutto della nostra umanità, a cominciare dal concepimento, aveva bisogno di una donna. Non poteva essere una creatura macchiata dal peccato originale, doveva essere una degna dimora per il Figlio e così il Padre ‘creò’ Maria, redenta prima del concepimento: da qui il titolo di Concezione immacolata…


    “La purezza di Maria – commenta Paolo VI – è una purezza concepita nel primo istante, profondamente inserita nell’essere e nella storia di questa creatura eccezionale. Dobbiamo portare la nostra purezza, il nostro amore alla virtù nel cuore, dove nascono i nostri pensieri, dove veramente siamo noi stessi, nel cenacolo dei nostri pensieri. Lì dobbiamo essere amorosi di Dio, lì desiderosi di essere buoni e puri, lì cercare di filtrare le impressioni cattive, che nascono dentro e fuori di noi e cercare che lì la fiamma del proposito cristiano sia pura. E se non riusciamo da noi, ecco che il Mistero di purezza e di vittoria che abbiamo contemplato, ci mette sulle labbra ancora questa invocazione: Madonna, dacci la forza, dacci la virtù. Dacci tu ciò che ci manca. E Maria, che non è un essere a noi lontano ed estraneo, ma è nostra Mamma, meravigliosa ed infallibile Mamma, a chi la invoca darà questa forza e questa purezza”.


    Chiediamo insieme, con forza e fiducia, sicuri di essere esauditi, che ci guidi e accompagni, ogni istante della vita, fino all’Incontro definitivo con Suo Figlio, Gesù.


    Antonio, Vescovo


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    00 12/12/2016 10:34
    III Domenica di Avvento

    Il Natale si avvicina, rallegriamoci!



    In un mondo che non crea posto alla speranza, non crede che ci sia Qualcuno che sa e può donarla, e quindi la considera solo un’utopia che non ha radici nella realtà, e così ne cerca solo i ‘surrogati’, la Chiesa, oggi, terza domenica di Avvento, ci invita alla Gioia:

    “Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto, rallegratevi.

    Il Signore è vicino”. (Fil. 4,4)

    Del resto quale valore può essere dato alla vita se si esclude o ignora il grande dono che Dio ci dà con Gesù? Si può fare a meno di Gesù, considerato non solo come un concetto astratto che non ha posto nel cuore, ma come Uno, il Figlio di Dio, che si rende partecipe delle nostre gioie e speranze, sofferenze ed ansie?

    Il caro e beato Paolo VI era convinto di no, quando scriveva: “Oggi l’ansia di Cristo pervade anche il mondo dei lontani quando in essi vibra qualche autentico movimento spirituale. Il mondo, dopo avere dimenticato e negato Cristo, Lo cerca. Ma non lo vuole cercare quale è e dove è. Lo cerca tra gli uomini mortali: ricusa di adorare il Dio che si è fatto uomo, e non teme di prostrarsi servilmente davanti all’uomo che si fa dio. … È’ una strana sinfonia di nostalgici che sospirano a Cristo perduto; di pensosi, che intravedono qualche evanescenza di Cristo; di generosi, che da Lui imparano il vero eroismo; di sofferenti, che sentono la simpatia per l’Uomo dei dolori; di delusi, che cercano una parola ferma, una pace sicura; di onesti, che riconoscono la saggezza del vero Maestro; di convertiti, che confidano la loro avventura spirituale e dicono la loro felicità per averLo trovato”.(1955)

    E forse in questa lunga categoria di cercatori o indifferenti a Gesù ci siamo noi, anche noi.

    Ecco perché l’Avvento ci educa ad entrare con forza nel Mistero del Natale, di Dio che si fa vicino e con noi raddrizza il senso della vita.

    Forse anche noi cerchiamo conferme, come Giovanni Battista. Ha detto Papa Francesco in un’udienza generale “Il Battista attendeva con ansia il Messia e nella sua predicazione lo aveva descritto a tinte forti, come un giudice che finalmente avrebbe instaurato il regno di Dio e purificato il suo popolo, premiando i buoni e castigando i cattivi … Ora che Gesù ha iniziato la sua missione pubblica con uno stile diverso; Giovanni soffre perché si trova in un doppio buio: nel buio del carcere e di una cella, e nel buio del cuore. Non capisce questo stile di Gesù e vuole sapere se è proprio Lui il Messia, oppure se si deve aspettare un altro.”

    “In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere di Cristo, mandò a dirGli per mezzo dei suoi discepoli: ‘Sei colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?’.

    E Gesù dà testimonianza di Se stesso: ‘Andate e riferite a Giovanni ciò che avete udito e vedete: i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano; ai poveri è predicata la buona novella e beato colui che non si scandalizza di me’. Una risposta netta: il Suo agire è la rivelazione del Volto Misericordioso del Padre.

    Scrive Papa Francesco: “Il messaggio che la Chiesa riceve da questo racconto della vita di Cristo è molto chiaro. Dio non ha mandato il suo Figlio nel mondo per punire i peccatori né per annientare i malvagi. A loro è invece rivolto l’invito alla conversione affinché, vedendo i segni della bontà divina, possano ritrovare la strada del ritorno … La giustizia che il Battista poneva al centro della sua predicazione, in Gesù si manifesta in primo luogo come misericordia. E i dubbi del Precursore non fanno che anticipare lo sconcerto che Gesù susciterà in seguito con le sue azioni e con le sue parole.”

    Poi Gesù chiede a chi lo ascolta quale sia la verità di un profeta, che nulla ha a che fare con le mode e stravaganze o la speculazione sul bisogno umano di sicurezza di tanti … anche oggi:

    ‘Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo vestito in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re! E allora che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, anche più di un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco io mando davanti a te il mio messaggero, che preparerà la tua via davanti a te’. In verità vi dico: tra i nati di donna non ne è sorto uno più grande di Giovanni Battista, tuttavia il più piccolo del Regno dei cieli è più grande di lui’”. (Mt. 11, 2-11)

    I profeti additano e manifestano la Presenza di Gesù: una missione che è di ogni discepolo, ma se vogliamo abbia successo, deve avere alle spalle una vita che conosca il distacco dalla terra, per mostrare il Cielo. Non è facile voltare le spalle alle tante sirene, alle cose di quaggiù, come in Giovanni Battista, per innamorarsi delle bellezze dell’anima, ma è la ‘via stretta’, che è necessaria.

    Come ha detto spesso Papa Francesco, dobbiamo infatti mettere in conto che i profeti “sono tutti perseguitati o non compresi, lasciati da parte. Non gli danno posto!. Tutto ciò non è finito con la morte e resurrezione di Gesù: è continuato nella Chiesa! Perseguitati da fuori e perseguitati da dentro! ... quante incomprensioni, quante persecuzioni hanno subito i Santi … perché erano profeti”.

    Solo in quella ‘via stretta’ possiamo capire come il Natale è grande gioia e pace, che sorge da una povertà-libertà dalle cose, che sconfina con il nulla di quaggiù.

    Occorre farsi coinvolgere pienamente dalla lezione del Battista, per entrare nella gioia vera.

    “Egli è uno che non annunzia se stesso ma prepara il cammino ad un Altro, discerne i tempi e i segni fino a riconoscere il Messia che è arrivato, diminuisce perché sia il Signore a crescere.”

    E si può … si deve! Chiediamo al Signore la grazia dell’umiltà che aveva Giovanni e, soprattutto, la grazia che nella nostra vita sempre ci sia il posto perché Gesù cresca, ci trasformi e così possiamo testimoniarlo nella verità.

    Antonio Riboldi - Vescovo

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    00 17/12/2016 22:35
    IV Domenica di Avvento

    Giuseppe ‘uomo giusto’ e la grande attesa di Dio-tra-noi



    Per chi davvero ha fede e vive di gioia, perché Dio si fa uno di noi, per stare con noi, questi giorni, che ci accostano al Natale, sono giorni di meravigliosa attesa: un’attesa piena di stupore, che si prova quando si riceve la notizia che una persona molto cara sta per arrivare. ‘Al solo pensare – mi diceva una mamma che attendeva il figlio a lungo lontano – è tanta la gioia che provo che mi sembra di ‘morire di felicità’’.

    Ma è così la nostra attesa del Natale?

    Tutti vogliamo ‘fare’ Natale e, a volte, non badiamo a spese. Di fatto troppi‘usano’ il Natale di Gesù, che viene direttamente e divinamente a rivelare quanto Dio ci ami, fino a farsi uno di noi, ‘figlio dell’uomo’, come pretesto per ‘celebrare’ un natale pagano.

    Il primato delle cose, dell’abbondanza materiale – anche quando ci si lamenta dei rincari o della crisi – a volte con ostentazioni sfacciate, sprechi incalcolabili, frutto di ingiustizie sociali - le tante povertà anche vicinissime - la quasi dimenticanza della condivisione fraterna, in effetti sono ‘una bestemmia’ al Natale di Gesù. Cerchiamo, carissimi, di evitare simili sbagli!

    Tuffiamoci nella solenne liturgia del Santo Natale, che diventa ‘liturgia della carità’ verso chi soffre, ed entreremo nel mistero della grande Gioia della grotta di Betlemme.

    Proviamo, questi giorni che ci separano dal Natale, a ‘viverli’ con Maria e Giuseppe.

    Ricordiamo tutti l’episodio dell’Annunciazione. Maria, un’adolescente, viene visitata dall’Arcangelo Gabriele, che le espone il disegno del Padre: la riconciliazione con noi, Sue creature, che avevamo drammaticamente rifiutato la Sua amicizia, sola ragione della nostra creazione e vita. Dio non poteva e non vuole mai abbandonarci! Occorreva riportare l’uomo a quel ‘sì’, mancato dai nostri primogenitori. Un ‘sì’ preparato da quello di Abramo, che lascia tutto per seguire il suo Dio, di Isacco, pronto ad essere sacrificato, di Mosè, che affronta il faraone per salvare il popolo del suo Dio, di Giobbe nella prova della sofferenza, di tanti profeti nella persecuzione, per giungere al ‘sì’ di una donna, preservata dal peccato originale, Maria di Nazareth: un ‘sì’ da cui sarebbe dipesa la salvezza dell’umanità, la nostra salvezza!

    Il Padre attende quel ‘sì’ proprio nell’evento dell’Annunciazione, quando l’Arcangelo si fa portavoce del Suo disegno. E, sia pure dopo un giusto e umano turbamento davanti all’incredibile richiesta, quel ‘sì’ è pronunciato: ‘Si compia in me la Sua Parola’. ‘E il Verbo si fece carne’, ossia in quel momento è iniziato, come nell’Eden, il cammino di Dio tra gli uomini, percorrendo la ‘stessa via dell’uomo’ fino alla morte in croce. Ma, tante volte, non è facile, anche per noi, capire tanti fratelli e sorelle che, per fare spazio totale a Dio, fanno della loro vita un ‘sì’ totale.

    L’avventura di Gesù incomincia così con una profonda sofferenza della mamma, Maria, che non può né sa spiegare il mistero dell’Incarnazione del Figlio. Chi potrebbe mai credere che è nato dallo Spirito Santo? La ragione dell’uomo non sa e non può ‘capire’ le ‘imperscrutabili’ e spesso ‘diverse’ vie di Dio! Dio, per venire tra di noi, non usa gli schemi ‘normali’ e tanto meno quelli trionfalistici, che nella nostra superbia ci aspetteremmo...da un Dio! Difficile capire la sublimità del Mistero e dell’umiltà, che è la sola vera via che conosce l’Amore quando si dona.

    Così, la Presenza di Dio, annunciata e germinata nel seno di Maria, in modo misterioso – come sono tutti i ‘segni dell’amore di Dio’ – incontra subito l’incomprensione in Giuseppe. Scrive l’evangelista Matteo, nel Vangelo di oggi: “Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo. Sua Madre, Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe, suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto.”

    Giuseppe è comunque un ‘uomo giusto’, - così lo definisce il Vangelo. Pur nel tormento interiore ed intimo che vive, con un sentimento dominante di tradimento che lo soffoca, non usa la giustizia come condanna, ma come misericordia, come è la natura di Dio Padre. Amando profondamente Maria, si arrende, non discute sulle cause di quella gravidanza, e sceglie la via umanamente più misericordiosa: difende la dignità di Maria, rinunciando ad un pubblico rifiuto, – usanza di allora che sarebbe stato un condannare Maria al disprezzo di tutti – e la congeda ‘in silenzio’. Qui è la grandezza umana di Giuseppe.

    Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un Angelo del Signore che gli disse: ‘Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù. Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati’. Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: ‘Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio-con-noi’.

    Dio non viola la nostra libertà, la rispetta, ma, di fronte alla sincerità ed onestà della nostra ricerca, nel travaglio del dubbio, che ci può soffocare, sa e vuole sempre ‘illuminarci’, se solo Gli lasciamo un varco, se lo invochiamo. È la via del discernimento spirituale, che ci consente di ‘camminare alla Sua Presenza, nelle Sue vie’. Ed in questo S. Giuseppe è maestro e modello: “Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa”. (Mt. 1, 18-24)

    E qui vi è la grandezza di Giuseppe, uomo di fede.

    Fa davvero riflettere questa ‘via’ che Dio sceglie per venire: via del Mistero e dell’umiltà, che è quella dell’amore che si dona, si abbandona con fiducia, nella docilità ed obbedienza alla Volontà del Padre, sapendo che solo Lui conosce sempre il nostro vero Bene e desidera ardentemente realizzarlo per noi, ma mai senza di noi. Una ‘via’ che tante volte incontra la nostra incomprensione.

    È questo l’Amore che cerchiamo, anche se poi tante volte non lo capiamo. Oggi chiediamo a Giuseppe e alla Vergine Maria, che ci guidino ad entrare nel grande Mistero del ‘Dono’ del Padre, che è il Natale di Gesù, con un cuore docile e disponibile nell’umiltà, da ‘giusti’ e ‘credenti’, come sono stati loro.

    Antonio Riboldi - Vescovo

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    00 24/12/2016 13:09
    Vi annuncio una grande gioia: è NATALE



    Il Natale di Gesù è sempre stato un giorno di particolare festa, dolcezza e voglia di pace, come se quella notte di Betlemme, con tutto il suo divino fascino, non avesse perso nulla dell’incommensurabile Evento, che vedeva Dio in persona ‘gridarci’ qui, ora, sempre, quanto è profondo, fedele ed immenso il Suo Amore per noi.

    È tanta la dolcezza del Natale che quasi la si tocca con mano: è come avere riscoperto in noi la bellezza di essere amati da Chi è Amore ed origine di amore, Dio.

    E risuona, come fosse un presente, il canto degli Angeli:

    ‘Gloria a Dio nel cielo e pace in terra a tutti gli uomini che Dio ama’.

    Accostarsi al Natale con fede, meglio ancora ‘vivere’ il S. Natale, è provare la grandissima gioia dei pastori, che obbedirono all’invito dell’Angelo di andare alla grotta, perché là era nato il Salvatore del mondo, Gesù, il Figlio di Dio.

    E Dio sa come il nostro tempo abbia davvero bisogno di tornare ad avere fiducia e credere nell’incredibile e meraviglioso Dono, che è Gesù, l’Amore donato, nato tra noi, per stare per sempre con noi.

    Sappiamo tutti come nella mente del Padre la creazione dell’uomo avesse un solo scopo: riempire il Cielo di noi, Sue creature e figli, formati a Sua immagine e somiglianza.

    Creature che, secondo il progetto del Padre, avrebbero dovuto partecipare alla Sua stessa gioia ed immortalità. E così fece. Ma l’amore è sempre, per sua natura, un dono che viene dato gratuitamente, ma accoglierlo è esercizio di libertà – non può essere che così.

    Non si ama né si corrisponde all’amore per forza. Mai. Non sarebbe più amore.

    Ed è l’amore – questa vera somiglianza con Dio, se abbiamo conservato l’immagine della nostra creazione, senza farla distruggere dalla superbia, come i nostri progenitori – la grande ed inestinguibile sete di ogni uomo.

    Possiamo avere poco o nulla, ma quando si è amati e si ama ci si sente davvero ricchi.

    Ma l’amore è anche una ‘conquista’: ha sempre bisogno di ‘fare pulizia’ della nostra grettezza, che si perde in tante cose, che amore non sono.

    Il Natale è una grande occasione: è la scoperta sorprendente dell’Evento più stupendo per noi uomini. È Dio che, di fronte all’uomo, che si rende per superbia ‘esule’, privo della vera sua ragione di esistere, l’amore del Padre, fa il primo passo, scioglie la nostra solitudine venendo tra noi, condividendo tutto della nostra povertà senza di Lui, ma ci chiede di incontrare suo Figlio, venuto nella nostra povertà.

    C’è nel Vangelo, che tutti conosciamo, una breve frase, che descrive il rischio, che tutti corriamo, di rifiutare Gesù, che continua a venire tra noi, nel povero: ‘Non c’era posto per loro in albergo’.

    Come si vorrebbe fosse sempre evitato questo atteggiamento, che causa sofferenza, ma anche ‘impoverisce’ e danneggia chi vive il rifiuto dei fratelli!

    Credo sia necessario che Gesù, presentatosi povero tra noi, ritrovi tra noi ‘gli angeli’ che annunziano a chi soffre che Lui è venuto anche per loro.

    Dobbiamo davvero riappropriarci del Natale come una rivelazione dell’amore di Dio per tutti e per ciascuno e diventare così ambasciatori di giustizia, di solidarietà, perché nessuno sia escluso dalla gioia di Dio.

    Lasciamoci coinvolgere e sorprendere dalla Sua visita!

    Quella notte santa, il Natale, non è un fatto storico irrepetibile, come di altri tempi.

    È l’Evento divino destinato oggi a noi, forse increduli o forse assetati di una gioia che cerchiamo là dove non può essere, o di cui troviamo un assaggio, quando incontriamo qualcuno o tanti che ci amano ed amiamo, perché si può vivere con poco, ma mai senza amore.

    Un segno della necessità di amare, facendosi vicini a chi non è amato.

    E’ la grande diffusione di gesti di carità verso i poveri, in tutte le città e chiese.

    Più che un augurio, vi auguro, fratelli e sorelle carissimi, che il Natale sia per ciascuno di noi un segno, una certezza di fede, che ogni persona che incontriamo ci è affidata: è Gesù che ci attende.

    Voglio assicurare tutti voi, ma proprio tutti, che mi seguite nella ricerca di Gesù, che vi avrò vicini nella preghiera, perché a ciascuno Dio doni la Sua Gioia e tanta Pace.

    E grazie di cuore per la vostra amicizia, così a me tanto cara e preziosa!

    Antonio Riboldi, Vescovo




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    00 02/01/2017 17:59
    Maria SS.ma Madre di Dio



    Sono tanti i modi con cui celebriamo la fine dell’anno e l’inizio del nuovo.

    Ma è davvero grande la preoccupazione di ‘come’ si presenta il tempo, dimenticando spesso che è il dono più grande che Dio ci ha fatto. Lasciamo alle spalle un anno dove, credo per tutti, si sono come incrociate gioie e speranze, tristezze e angosce. La Chiesa giustamente celebra la fine dell’anno con un grande Te Deum, per dire Grazie a Dio che ci ha donato tanto tempo. E il tempo che viviamo, in quanto dono, - ricordiamocelo sempre – ci è dato per una sola ragione: quella per cui Dio ci invita a crescere in bontà e amore, come un cammino verso il momento in cui finirà ‘questo’ tempo e sarà l’eternità.

    La vita non è uno scherzo e neppure un gioco. È un bene che esige seria responsabilità.

    In questa prospettiva, dando uno sguardo all’anno che ormai irrimediabilmente sta alle nostre spalle, tutti sentiamo dunque l’urgenza ‘personale’ di dire GRAZIE a Chi ce ne ha fatto dono, ma anche il dovere di chiederci come lo abbiamo vissuto.

    Forse un pericoloso zig-zag tra bene e sbagli, impegno e superficialità.

    È difficile capire il senso di tutto il baccano con cui si celebra la notte di Capodanno.

    Di che cosa dobbiamo rallegrarci, pensando a quanto è successo tra gli uomini, in ogni parte del mondo? Dovrebbe esserci una pausa di silenzio e riflessione, dovrebbe essere l’occasione di usare saggezza, per poter poi ‘raddrizzare ciò che è storto’, se solo consideriamo la serietà della vita.

    Intanto ci apprestiamo a continuare il cammino, finchè Dio vorrà – siamo nelle Sue mani, non nelle nostre! - ma non all’insegna del ‘vuoto’, costellato dal nostro egoismo e dalla pericolosa spensieratezza, ma con la saggezza di chi sa che se c’è un bene, agli occhi di Dio che ce ne ha fatto dono, va interpretato e perseguito, seguendo la Sua Volontà.

    La solennità di Maria, Madre di Dio, Colei che ha saputo dire un ‘sì’ totale e fedele e ci è stata donata dal Figlio, nel momento più tragico della Passione, ci rassicura e consola e aiuta a riflettere su quanto sia importante la vicinanza della Mamma celeste nella nostra vita. Gesù bambino, ma anche uomo sofferente nella Passione, ha avuto bisogno della Sua presenza materna.

    Noi possiamo forse farne a meno? Affidiamoci a Lei e lasciamoci guidare.

    Lei sa bene che cosa significhi vivere di fede, diventare discepola del Signore.

    Oggi ci indica la strada maestra: “In quel tempo i pastori andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. … Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. (Lc 2, 16-21)

    Impariamo l’arte di meditare, cioè ‘fare memoria di quanto Dio ha fatto e non dimenticare i tanti suoi

    benefici’ (Benedetto XVI). La Mamma ci assista e aiuti a riconoscere la presenza di Gesù, che si manifesta nella nostra quotidianità, rendendola straordinaria!

    Antonio Riboldi - Vescovo
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    00 07/01/2017 17:34
    Lasciamoci guidare dalla ‘stella’ e viviamo da ‘figli del Padre’



    Dopo la sua nascita, Dio non perde tempo a manifestare a tutti che, se Lui è venuto tra noi, è per farci dono della Salvezza. E davvero suscita grande stupore questo desiderio di chiamare tutti, senza distinzioni e subito – sempre che ciascuno senta la necessità della Sua Presenza e del Suo Amore.

    L’uomo – se conserva ancora la ‘memoria’ di essere ‘creatura’ di Dio – si sente profondamente chiamato a far parte del Suo Amore, ma non deve lasciarsi distrarre dal mondo, che non ha la minima luce di amore o di vero interesse per noi.

    Scriveva Paolo VI: ‘Noi sappiamo che l’uomo soffre di dubbi atroci. Noi abbiamo una parola da dire che crediamo risolutiva. È quella di un UOMO all’uomo. Il Cristo che noi portiamo all’umanità è ‘il Figlio dell’uomo’, così Lui chiamava se stesso. È il Primogenito, il Fratello, l’Amico per eccellenza. È il Mandato da Dio, ma non per condannare il mondo, ma per salvarlo”. (6 /1/ 1960)

    Non resta che immergerci nel racconto che ne fa l’evangelista Matteo:

    “Nato Gesù a Betlemme, al tempo del re Erode, alcuni magi giunsero dall’Oriente a Gerusalemme e domandavano: ‘Dov’è il re dei Giudei? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarLo’. All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: ‘A Betlemme di Giuda, perché così è scritto per mezzo del profeta: ‘E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo Israele’. Allora Erode chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: ‘Andate e informatevi accuratamente del bambino e quando l’avrete trovato fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo’. Udite le parole del re essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto al suo sorgere, li precedeva finchè giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il Bambino. A vedere la stella essi provarono una grandissima gioia e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro Paese”. (Mt. 2, 1-12)

    Da questo racconto, che conserva la bellezza della semplicità evangelica, che non ha bisogno di fronzoli o parolone per descrivere i grandi eventi tra Dio e l’uomo, c’è la ragione per cui noi siamo cristiani, ossia gente che, come i Magi, sono stati invitati a quella grotta e così sono ammessi non solo alla conoscenza del Dio tra noi, ma addirittura a partecipare della Salvezza eterna.

    Ora sappiamo che Gesù è con noi e siamo destinati a seguirLo fino a che, con il Suo aiuto e in Sua compagnia, arriveremo alla Sua Casa e Gloria, che è il Paradiso.

    Davvero infinito quanto ci ami!

    Da esuli, dopo il peccato originale, ora siamo chiamati a tornare a Casa.

    È tanto grande questa Festa della manifestazione di Dio, che in Oriente viene celebrata come Natività di Dio tra noi.

    Ma oggi, è ancora per noi motivo di profonda gioia, come lo fu per i Magi?

    Forse c’è una grande differenza. I Magi sentirono in loro l’invito a cercare un Dio che li chiamava tramite una stella e li guidava, interiormente ed esteriormente.

    Noi forse abbiamo perso la ‘stella’, che pure è sempre su di noi a indicare la strada per trovare Gesù e camminare con Lui.

    Vorremmo avere tutti quel richiamo, che sentirono i Magi, di Qualcuno che ci attende sempre, ma poi ci perdiamo ‘in Gerusalemme’, a discutere e, Dio non voglia, a seguire i tanti Erodi, di cui è affollato il mondo, e ci ‘perdiamo’, fino a respingere anche l’idea che ci sia Qualcuno, che davvero è l’Emmanuele, Dio Presente, che ci ama ed offre gioia.

    Fa tanto male, anche solo pensare, che ci siano tanti di noi che non hanno più il passo della speranza, che avevano i Magi nel dirigersi a cercare, per trovare Dio.

    Cosa possono trovare alla fine del loro camminare confuso e senza mèta, che possa sostituire la vera felicità, che è il nostro ‘essere’ di figli di Dio? Il nulla o, in quel fatuo ‘regalo della befana’, un giocattolo da bambini, destinato a essere buttato subito in disparte.

    Ma valiamo così poco ai nostri stessi occhi? Possiamo accettare di vivere passivamente, senza la passione di ricerca del Padre, come era nei Magi?

    O vogliamo vivere sempre solo storditi dal mondo, su cui non splende nessuna ‘stella divina’?

    Vorremmo che tutti ritrovassero la stella che è su di noi e in noi: la fede salda e sicura che ci conduce alla gioia che Dio dà a chi è ‘di buona volontà’.

    Dio ci chiama, Dio ci ama, Dio ci attende, ‘impaziente’ di comunicarci la stessa gioia che fu nei Magi. Ma dobbiamo uscire dal buio della vita e farci guidare dalla nostra stella.

    Se ci interroghiamo con serietà, nel silenzio del cuore, certamente anche in noi sorgerà la stella giusta, che dovremo solo seguire, perché la nostra vita diventi una continua Epifania, ossia Dio che si mostra a noi, si rivela, sotto tanti aspetti, spesso quotidiani, piccoli, come il Bambino che trovarono i Magi. Ma è proprio da questa semplicità divina, che si misura l’Amore e sgorga la Gioia. Auguri. Facciamoci il regalo dei Magi: vivere con fede ed amore … ad ogni costo, da figli del Padre!

    Per il Battesimo siamo figli di Dio. L’Amore del Padre ha riconciliato l’umanità, tramite il Dono del Figlio, perché potessimo tornare ad essere quello che davvero siamo, ‘morendo a noi stessi’, per ‘rinascere’ alla vita di figli, che ci appartiene.

    La via viene indicata nel Battesimo di Gesù, che celebreremo domenica: un immergersi nelle acque totalmente, come un morire alla vecchia natura e un rinascere meravigliosamente come figli di Dio.

    Aveva iniziato Giovanni Battista, ad indicare la via. Lo racconta il Vangelo di oggi:

    “Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: ‘Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?’. E Gesù gli disse: ‘Lascia fare per ora, perché conviene che così adempiamo ogni giustizia’. Allora Giovanni acconsentì. Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco si aprirono i cieli e egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. Ed una voce dal cielo che disse: ‘Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto’”. (Mt. 3, 13-17)

    Il giorno in cui siamo stati battezzati, forse senza comprendere fino in fondo quanto veniva chiesto, i nostri genitori hanno sempre detto – a nome nostro – ‘Sì’.

    Un atto solenne il Battesimo, che non era e non è solo una bella cerimonia di un momento, ma la pietra d’angolo su cui costruire la nostra vita con e verso Dio.

    È da quel divino e meraviglioso momento che possiamo rivolgerci a Dio e chiamarlo Padre, avendo la certezza di ‘essere’ figli. E questo per tutta la vita, fino alla gioia dell’eternità.

    Come a significare che eravamo ‘rinati a vita nuova’, indossammo l’abito bianco, che deve essere ‘l’abito’ da portare per tutta la vita.

    Non so, alla luce del Battesimo, cosa sia più dolce e rassicurante, se dire papà a chi mi ha generato e cresciuto o dire ‘PAPA’ a Dio che nel Battesimo mi ha fatto Suo figlio.

    Non so se sia più inebriante la tenerezza di una mamma o la tenerezza del Padre.

    So solo che vivere è dire un Grazie profondo ai miei genitori, perché facendomi battezzare hanno trasformato la mia vita in una eterna àgape con Dio e con gli uomini miei fratelli.

    So che le mani di mia mamma hanno tracciato le linee del mio volto che si vede, ma so anche che le mani del Padre, con il Battesimo, hanno tracciato ‘dentro di me’ un volto la cui bellezza è simile alla Sua: una bellezza che a volte purtroppo, dissennatamente, sfregiamo irrazionalmente.

    So che il cuore dei miei genitori ha plasmato il mio, ma so anche che il Cuore di Dio, ogni giorno, cerca di plasmarlo a Sua immagine, in modo da farlo diventare misericordioso come è Lui.

    C’è allora da chiederci, e seriamente, perché sia tenuto in così poco conto questo dono da tanti battezzati, che considerano forse il Battesimo un rito o una formalità, più che la ‘rinascita in e con Cristo’. Possa brillare nel cuore e sul nostro volto la gioia di dire: ‘Io sono battezzato’, ossia, so di essere stato scelto da Dio e voluto come figlio, amato come nessun padre sa amare!

    Antonio Riboldi - Vescovo
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    00 15/01/2017 08:53
    II Domenica del Tempo Ordinario

    Giovanni Battista testimone fedele e gioioso di Gesù



    Vi è un desiderio intenso, che la dice lunga sul come Dio bussi alla nostra porta, ed è quello di conoscere più intimamente e personalmente Gesù. Vi sono tanti, anche non credenti, che hanno, soprattutto oggi, una gran voglia, leggendo le Sacre Scritture, di andare oltre le parole, per cogliere Chi le ha pronunciate nel Vangelo: Gesù.


    Si percepisce, consapevolmente o meno, che senza di Lui cala nel cuore una grande oscurità, si crea un vuoto incolmabile, che nessuno e nulla possono colmare.

    Il cuore dell’uomo sembra proprio contenga la nostalgia del Padre – anche quando non ne è consapevole – e si sente come orfano senza il Suo Amore, manifestatosi visibilmente nel Figlio, che ‘beneficava tutti’.

    Ma è anche vero che a volte, ingannati dalla nostra stessa ignoranza, crediamo che basti possedere tanto, in ogni senso, per poi alla fine accorgersi che quel ‘tanto’ è davvero nulla.

    Dopo duemila anni di cattolicesimo, in cui tutta la civiltà occidentale, e direi mondiale, è stata immersa nel cristianesimo, tanto da dettare persino una forte espressività nell’arte, nella cultura, pensando alla fatica che ciascuno prova nel credere, si ha come l’impressione che Gesù sia appena nato, e quindi tutto da cercare.

    Ma questo non è un’assurdità: in ogni tempo e generazione di uomini, deve prendere atto che nel suo cuore vi è la nostalgia della ragione per cui vive: ognuno deve scoprire – in prima persona - Chi lo ama sinceramente, Gesù, fino al punto da ‘farsi come noi’ nel Natale e nella vita, fino alla morte in croce per noi. Davvero questa ricerca è la grandezza mai sopita di ciascuno.

    Di questa ricerca del Volto del Padre nel Suo Messia ci dà testimonianza Giovanni il Battista nel Vangelo di oggi.

    Giovanni Battista, dopo averLo cercato per anni, vivendo nel deserto, che è il luogo dove l’uomo trova la via per incontrarLo, mentre Lo annuncia, finalmente si trova a Tu per tu con il Maestro, all’inizio della Sua missione tra di noi.

    Così narra Giovanni, l’evangelista:

    “In quel tempo Giovanni Battista, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: ‘Ecco l’Agnello di Dio, ecco Colui che toglie il peccato del mondo! Ecco Colui del quale io dissi: ‘Dopo di me verrà un uomo che mi passa avanti, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua, perché Egli fosse fatto conoscere a Israele’.

    Giovanni rese testimonianza dicendo: ‘Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di Lui. Io non Lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua, mi aveva detto: ‘L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito, è Colui che battezza in Spirito Santo. E io ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio”. (Gv. 1, 29-34)

    Il Figlio di Dio è il cugino che, quando Maria SS.ma ed Elisabetta, mamma di Giovanni il Battista, si erano incontrate, lo aveva ‘fatto esultare’: la prima chiamata di Giovanni!

    Nel Giordano, pronunciando questo atto di fede o se vogliamo questa presentazione di Gesù al mondo, e quindi a noi, Giovanni ha provato la stessa intensa Gioia di chi, per dono di Dio, può contemplare il Volto del Padre, che è in Gesù, Suo Figlio.

    Ed è la stessa Gioia, che si riflette sul volto di tanti fratelli nella fede, quando parlano di Gesù; spesso non è un discorso fatto di parole, ma la Sua Presenza in loro, attraverso gli occhi, i gesti, che sono il rosario della vita, li illumina e brilla attorno a loro.

    Ma chi è davvero Gesù per noi?

    E’ il Figlio di Dio fatto uomo, questo lo crediamo, ma davvero per lui sappiamo, come chiedeva il beato e caro Paolo VI ‘prendere una posizione spirituale e morale decisiva sul valore della nostra esistenza’ per Lui e con Lui?.

    Gesù per l’uomo, per noi, è ‘la forza segreta che consola, che guarisce, che nobilita l’uomo, la sua nascita, il suo amore, il suo dolore, la sua morte … la costante energia a perseverare in ogni circostanza nella ricerca del bene e della pace; … lo spirito di pietà e di intelligenza, di santità, che solleverà a grandezza e pienezza le anime migliori di questa misera terra”?.

    La nostra gioia non può essere veramente tale, se non si attinge a piene mani nella Gioia, unica, di Dio; le nostre mani rimangono vuote di fatti autentici, se non diventano mani di Gesù, e il nostro cuore è un baratro spaventoso, anche quando crede di amare, se il nostro amore non attinge la sua forza e non è continuamente generato e alimentato dal Suo Amore.

    I nostri discorsi di pace sono un vuoto scorrere di parole, che si ripetono come un ritornello, se a riempirle non c’è Lui, Principe della Pace; la nostra stessa voglia di verità è un girare a vuoto nella nebbia del dubbio, se non ci lasciamo ‘possedere’ da Lui, che è la Verità.

    Giovanni il Battista questo lo ha capito e lo ha testimoniato con tutta la sua vita.

    Chiediamo nella preghiera umile e sincera che accada anche per noi di poterlo amare e testimoniare con gioia e verità: O Gesù, sei la nostra vita e, molte volte, Ti gridiamo che Tu sei il nostro Tutto, perché nulla può chiamarsi ‘qualcosa’, se non ci sei Tu a dargli senso. Eppure con tutto il desiderio che abbiamo di vivere di Te, a volte ci aggrappiamo a tanti piccoli ‘niente’ e alla fine abbiamo come l’impressione di una inutile corsa, che ci fa trovare sempre allo stesso posto. Grazie, Gesù, della tua infinita pazienza verso di noi. Grazie per averci amato donando la tua vita per ciascuno di noi. Realizza Tu, attraverso la nostra stessa miseria, il bene che vuoi per i nostri fratelli e continua a guidarci tutti insieme fino alle porte del Cielo.

    Antonio Riboldi

    Vescovo

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    00 20/01/2017 19:37
    III Domenica del Tempo Ordinario

    Occorre cambiare mentalità, per seguire Gesù, Figlio di Dio


    A trent’anni – così è nella tradizione – Gesù lascia alle spalle il lungo silenzio della sua vita nascosta, nell’umiltà della vita quotidiana, a Nazareth.


    Una vita semplice la Sua, scandita dalle ore del lavoro e del riposo, come la viviamo tutti.

    Una vita certamente intensa interiormente, tutta tesa a capire, accogliere e vivere la missione, che il Padre Gli aveva affidato. Lui, Gesù, era ed è il segno dell’Amore di Dio per noi e tra noi.

    E Lui, con la sua vita, doveva iniziare la ‘nuova creazione’, dopo il disastro provocato dalla superbia dell’uomo, con il peccato originale. La ‘nuova creazione’ era ridonare all’umanità, ad ogni uomo, la sua vera immagine ‘a somiglianza di Dio’ e riammetterlo nel Suo Regno. Si ha come l’impressione che Gesù non avesse fretta – come accade invece sempre a noi – non ‘facesse nulla’ per accelerare la novità del Regno.

    Si lascia ‘smuovere’ nel momento in cui Giovanni Battista, l’ultimo profeta, grida dal deserto la Sua venuta e, in preparazione ad essa, invita tutti – ieri e oggi – a cambiare mentalità e vita, senza eccezioni. Non era e non è possibile accogliere il Cristo, seguirLo con fedeltà, calcando piste che nulla hanno a che fare con Dio. E Giovanni esprimeva questa volontà di cambiamento con un segno ricco di significati biblici: il battesimo di penitenza ed il battesimo nell’acqua. Gesù viene a sapere che ‘Giovanni era stato arrestato’. Erode non sapeva che quella voce non poteva essere affossata, né tantomeno messa a tacere. Anche oggi in tanti modi si tenta di mettere a tacere ogni voce di libertà: a volte semplicemente non dando spazio, ignorandola, cercando di appannarla. Sono i tanti silenzi imposti, dando spazio a tante parole vuote, inutili, se non dannose. Basta pensare a tanti fratelli e sorelle che dall’inaffidabile intolleranza, dai governi autoritari si cerca di mettere a tacere: il loro ‘silenzio’ grida! Più si cerca di ignorare o mettere a tacere la voce di Dio, tanto più questa diventa incisiva e forte. Non si può far tacere Dio.

    Quante volte, forse, è capitato anche a noi che, travolti dal grande rumore del mondo, nei momenti della sofferenza e della solitudine, nel silenzio, abbiamo sentito la profonda ‘sete’ di udire parole vere, quelle che, se accolte, fanno ritrovare la bellezza dell’aria pulita, che ridona il respiro.

    È dannoso il rumore del mondo … ma ci sono sempre, e per tutti, momenti di silenzio, o di sofferenza, in cui ci si pongono i grandi problemi della vita.

    Il Vangelo oggi prosegue:”Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: ‘Convertitevi, perché il Regno dei Cieli è vicino’”. (Mt. 4, 12-17)

    Gesù inizia la sua missione tra di noi, subito richiamando quanti avrebbe incontrato, con una parola di grande spessore nella fede: ‘Convertitevi!’.

    Con il Battesimo, che abbiamo ricevuto, dovremmo percorrere le vie dei figli di Dio. Ma basta dare un’occhiata seria alla vita e ci accorgiamo che, da soli restiamo peccatori incalliti, e, quando va bene, e ci sostiene la Grazia, almeno siamo in ricerca di conversione. Ma quanti si pongono questa necessità ed urgenza di ricerca? Non è facile uscire da questo mondo, che pure è disinteressato alla nostra vera felicità ed è tutto intento ad offrirci solo quello che poi crea in noi tanto vuoto.

    È lo stesso mondo che ha trovato Gesù nell’iniziare la Sua missione tra di noi, ecco perché chiedeva e ci chiede: ‘Convertitevi perché il Regno dei Cieli è vicino’.

    Così il caro e beato Paolo VI spiegava il concetto di conversione:

    “E’ necessario rimodellare la nostra mentalità; avere il coraggio di entrare fin nel segreto della nostra coscienza, dei nostri pensieri, e là operare un cambiamento vivo e sincero, da produrre una novità. Che cosa fare e come comportarci? La risposta è entrare in noi stessi, riflettere sulla propria persona, acquisire una nozione chiara di quel che siamo, vogliamo e facciamo e, a un certo momento, - qui la frase drammatica e risolutiva – rompere qualcosa in noi, spezzare questo o quell’elemento che magari ci è molto caro ed a cui siamo abituati.”

    Non è facile, ma, con la Grazia di Dio e la buona volontà, è possibile. Nella mia vita ho avuto modo di vedere tante, ma tante, conversioni. Alcune di grande spessore. Ne ricordo in particolare una, quando ero ancora giovane chierico, di un mio ‘speciale’ confratello: Padre Rebora, poeta e per tanti anni agnostico.

    Raggiunto dalla ‘chiamata’ del Signore e con l’aiuto di tanti, scelse la vita religiosa, consacrandosi totalmente al Signore tra i Rosminiani. Cancellò il suo passato con un colpo di spugna. E lo racconta in una bella poesia in cui immagina di sentire lo straccivendolo che si porta via le sue opere letterarie e gode per questo suo passato … spazzato via! Iniziava una vita totalmente nuova, al punto che noi giovani non conoscevamo nulla del suo illustre passato di poeta. Passeggiando con lui, accennando a scrittori e poeti, non rispondeva mai, lasciandoci nel buio sul suo passato, ma aveva nel presente tutti i segni delle persone ‘rinate a vita nuova’.

    Ma ci sono anche tante conversioni silenziose, che mostrano come la Grazia di Dio continui ad operare salvezza senza rumore. Forse anche noi dovremmo, per un momento, ascoltare in silenzio le profondità del nostro cuore, che chiede un cambiamento di vita. Può essere duro cambiare, ma poi Dio ricambia con una serenità e felicità incredibili. Seguirlo è la novità della vita, come è accaduto per “… Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello … Giacomo e Giovanni suo fratello, … li chiamò. Ed essi, subito, lasciata la barca e il padre Lo seguirono ….”. (Mt. 4, 18-23)

    È davvero impressionante come abbiano lasciato tutto, per seguirLo, ‘subito’. Una grande lezione di fiducia, di abbandono e di pronto ‘sì’ a Chi avrebbe fatto di loro, poveri pescatori, le ‘colonne’ della Sua Chiesa. Non ci resta che stupirci, ringraziare e prendere esempio.

    Antonio Riboldi, Vescovo

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    00 02/02/2017 14:28
    V Domenica del Tempo Ordinario

    Una grande missione per noi: ‘Voi siete la luce del mondo’



    Credo che abbiamo sperimentato tutti la sensazione dell’insicurezza e dello smarrimento, che a volte sconfina nella paura, quando d’improvviso se ne va la luce in casa o per le strade, in cui stiamo camminando. Tutto assume una dimensione diversa: non sai più dove sei, quale ostacolo ci sia davanti a te, dove mettere i piedi … e viene spontaneo cercare aiuto. Quando poi torna la luce, proviamo un senso di profondo sollievo e gioia, come avessimo scampato un pericolo.

    Oggi l’umanità, e forse anche qualcuno di noi, per le più svariate ragioni, è come se avesse smarrito la luce della vita. Ci sentiamo avvolti da pericolose tenebre dentro e fuori.

    Sentiamo tanti discorsi sulla pace, sull’onestà, ma a volte sembrano come ‘schiacciati’ dalle tenebre del vivere quotidiano, tanto da non sapere più se sia il caso di ascoltarli e credervi.

    Basta uno sguardo al nostro mondo – lontano e vicino – per accorgersi che c’è troppa gente che vive brancolando, come se non riuscisse a trovare il senso stesso dell’esistere, o ‘ingabbiata’ in ‘ideali’, che di senso ne hanno ben poco, per una pienezza di umanità.

    Trovare la ragione, che riporti un poco di serenità, è come trovare la strada giusta, smarrita nelle tenebre che ci sono in noi e fuori di noi. A volte questa oscurità diventa insopportabile, quando muore qualche persona che per noi è stata un punto di riferimento, come un raggio di luce, di cui non eravamo forse neppure del tutto consapevoli. Per chi non ha fede, difficile, in questi casi, ritrovare la serenità, la luce. Viene da chiederci: a chi rivolgersi, perché ce la ridoni?

    Chi si è definito ‘Luce del mondo’ è Gesù, il Figlio di Dio, che ci ha rivelato il Volto del Padre ed è il Vivente, sempre accanto a noi….’in noi’.

    A tutto lo smarrimento dell’anima, che fa perdere il senso e la bellezza della vita, risponde, oggi, Gesù: parole che sono la vera ‘sfida’ di Dio alla cecità dell’uomo.

    “In quel tempo – racconta Matteo – Gesù disse ai suoi discepoli: ‘Voi siete il sale della terra, ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo: non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa.

    Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei Cieli”. (Mt. 5, 13-16)

    Ed ha ragione Gesù! Chi di noi si lascia penetrare dalla Sua Luce, nella vita è come se divenisse una luce per sé e per quanti lo accostano.

    Forse non è facile incontrare fratelli e sorelle che sono ‘luce e sale’, ma grazie a Dio ce ne sono.

    Non hanno bisogno di parlare o spiegare le ragioni della Luce … la Luce stessa si riflette nella loro vita, dando ragione di Sé. Penso a Chiara Badano, una giovane ragazza morta di tumore osseo a 17 anni, beatificata il 25 settembre 2010. Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, le scrisse: ‘Chiara Luce è il nome che ho pensato per te. È la luce di Dio che vince il mondo’. Nella sofferenza Chiara Luce scriveva, rivolgendosi ai tanti amici: “Sono uscita dalla vostra vita in un attimo. Come avrei voluto fermare quel treno in corsa che mi allontanava sempre più! Ma ancora non capivo. Ero ancora assorbita da tante ambizioni, progetti e chissà che cosa (che ora mi sembrano così insignificanti, futili, e passeggeri). Un altro mondo mi attendeva e non mi restava che abbandonarmi. Ma ora mi sento avvolta in uno splendido disegno che a poco a poco mi si svela”.

    E chi non ricorda l’intensa luce che il caro Giovanni Paolo II sapeva effondere sul mondo, ovunque si recasse. Ricordo come, nelle Giornate Mondiali, gli occhi di migliaia di giovani, magari prima accecati dalle lucciole del mondo, davanti a lui era come ritrovassero la vera Luce. Più che sentire le sue parole, i giovani gioivano perché lui ‘c’era’. Così come accadeva con Madre Teresa di Calcutta. La sola sua presenza emanava tanta, ma tanta luce … diventava ‘Parola’ che illuminava, altro non era che Gesù presente in lei …. in loro!

    Era davvero un dono incontrare e stare accanto a queste sorgenti di Luce. Ma senza fare ricorso a questi grandi dello Spirito, è facile incontrare gente semplice, il cui sguardo brilla di bontà e ridona il senso della bellezza della vita. Forse cominciando dalle nostre mamme o da persone che si incontrano o, ancora di più, persone da cui riceviamo il dono dell’amicizia. Anche le loro parole non sono mai un chiasso vuoto, ma sono pervase di quella saggezza e bontà che è la luce che cerchiamo.

    Gesù, oggi, chiama tutti noi, ciascuno di noi, ad ‘essere luce e sale del mondo’ e il Signore, attraverso le parole del profeta Isaia ci indica con chiarezza e concretezza, non solo ‘come restare’, ma ‘come diventare luce’!

    “Così dice il Signore:

    ‘Spezza il pane all’affamato, introduci in casa i miseri senza tetto,

    vesti chi è nudo, senza distogliere gli occhi dalla tua gente.

    Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto.

    Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà…

    Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio,

    se offrirai il pane all’affamato, e sazierai chi è digiuno,

    allora brillerà fra le tenebre la tua luce,

    e la tua oscurità sarà come il meriggio”. (Is. 58, 7-10)

    Inutile cercare scappatoie intellettualistiche! È ‘questa Luce di carità’, che distingue i veri discepoli di Gesù, e la loro presenza fa tanto, ma tanto, bene.

    Antonio Riboldi, Vescovo
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    00 11/02/2017 08:57
    VI Domenica del Tempo Ordinario


    L’esigenza di un amore senza ‘se’ e ‘ma’

    Domenica scorsa siamo stati invitati a diventare ‘sale e luce del mondo’, seguendo Gesù nostro unico Signore. Ma cosa comporta la ‘sequela’? La ‘via stretta’, ma bellissima, dell’Amore: un Amore che sa incarnarsi in parole di verità e comportamenti di carità.

    Nel Vangelo di oggi Gesù ce li indica, con l’autorevolezza di chi ha vissuto in pienezza l’Amore, fino a dare la vita! Credo sia bene leggere subito la Parola di Dio, specchio di confronto per noi, invocando la Luce dello Spirito che ‘apra i nostri occhi e il nostro cuore per comprendere’.

    Racconta Matteo: “Gesù disse ai suoi discepoli: ‘Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge e i Profeti, non sono venuto per abrogarla, ma per darle compimento. In verità vi dico: Finchè non siano passati il cielo e la terra non passerà dalla legge neppure un iota, senza che tutto sia compiuto… Avete inteso che fu detto dagli antichi: ‘Non uccidere, chiunque avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio’. Ma io vi dico: chi si adìra con il suo fratello sarà sottoposto al Sinedrio; e chi gli dice pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna. Se dunque presenti la tua offerta all’altare, e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarci con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono…

    Avete inteso che fu detto: ‘Non commettere adulterio’, ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.

    Se il tuo occhio destro ti è di scandalo, càvalo e gettalo via da te; conviene perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna.

    E se la tua mano destra ti dà occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te; conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna….

    Sia invece il vostro parlare sì, sì, no, no: il più viene dal diavolo”. (Mt 5,17-37)

    Oggi tira un’aria così nebbiosa di confusione e gelida di relativismo, che a volte tanti si arrogano ‘il diritto’ di farsi arbitri di ciò che è bene o male, a seconda della convenienza personale, travolgendo così gli eterni valori, fino a proporne altri….riduttivi o personalizzati, miseri se non scadenti, ma comunque sempre effimeri.

    E può così capitare che – anche senza l’autorevolezza che Gesù oggi manifesta – ma con il solo accennare alla necessità di essere giusti secondo Dio, operando, quindi, con coscienza retta, fedeli alla legge del Signore, si sia considerati come guardiani assurdi di un passato che, per ‘essere moderni’, è doveroso seppellire!

    Quante volte, forse, davanti alla nostra dimostrazione della verità della vita, ci si sente investiti dal rifiuto, come fossimo noiosi o invadenti testimoni di ciò che non è più ‘di moda’.

    È come voler mandare in soffitta la voglia di verità, l’eroismo dell’amore, la bellezza della giustizia.

    Quello che così facendo ci rimane è, nell’esperienza, a volte anche drammatica, di tutti, il rischio di definire buono ciò che è dannoso, tanto da considerare ‘mentalità da Medioevo’ la denuncia degli scandali, che troppo spesso si ripetono in mille modi tra noi.

    Ma un uomo senza fedeltà alla legge di Dio – unica via ad una piena realizzazione umana e spirituale – è come una casa tirata su senza i criteri che ne assicurino la stabilità, destinata presto o tardi a finire in rovina. Per capire, accogliere e vivere quanto Gesù afferma oggi, dovremmo ricordare una verità che tante volte è ignorata: Dio ci ha creati simili a Sé nella Santità, che non ammette ombre. Su questa consapevolezza di Santità – ‘Chiunque è stato generato da Dio non commette peccato, perché un germe divino rimane in lui’ (I Gv 3,9) - si può comprendere il linguaggio del Maestro oggi.

    La nostra innata debolezza, purtroppo, a volte va esattamente contro la Parola.

    Gesù la conosce, la nostra debolezza, perché l’ha assunta nella Sua Umanità, e così sa come venire in nostro aiuto. Non solo. Egli, il Misericordioso, sa ben distinguere tra la debolezza e l’accettazione del male come regola di vita: quest’ultima Gesù condanna! Nel Vangelo di oggi più volte ripete: ‘… Ma Io vi dico…’ per sottolineare la distanza del suo modo di agire dal nostro, e ricordarci che, se davvero amiamo la Verità, è al Suo modo di pensare e vivere che dobbiamo conformare il nostro, secondo la ‘logica di Dio’, che è amore giusto e giustizia d’amore!

    Ricordo molto bene i tempi del terrorismo, quando tutti finirono la loro ‘carriera’ in carcere.

    Superando tante difficoltà, invitato da coloro che si erano dissociati, venni invitato a visitarli. Lo feci, andando in tutte le carceri italiane. Mi accompagnavano due grandi apostoli del perdono: Suor Teresilla, una consacrata incredibile, che sapeva attirare l’affetto e la stima dei terroristi, e Padre Bachelet, fratello del grande Bachelet ucciso dalle BR. Nei brigatisti che incontrai si notava il desiderio di uscire dal pericoloso tunnel dell’odio e della violenza, in cui erano sprofondati, per tornare a conoscere la bellezza di rapporti improntati alla fiducia, al perdono … alla carità.

    Eppure questo nostro avvicinarci a chi voleva ‘risorgere’ – pur accettando di scontare la giusta pena – scandalizzò l’opinione pubblica, che ci accusava di un buonismo assurdo. Più volte venni aggredito verbalmente, come fossi un pazzo. E ricordo che, non sapendo più come comportarmi, mi rivolsi ad alcuni cari confratelli vescovi, chiedendo consiglio e aiuto nella preghiera.

    Il vescovo di Novara mi disse: ‘Antonio, non fermarti. Tu stai cercando di bucare il grosso muro dell’odio e della diffidenza. Se riuscirai, diventerà una porta aperta al perdono anche tra la gente, ma se fallirai, preparati a pagare un duro prezzo, che sarà l’incomprensione e la condanna di molti’.

    A volte seguire il Vangelo, che è seguire Gesù, chiede non solo generosità, testimonianza, ma anche capacità di accettare l’incomprensione, e non ultimo l’eroismo, che è il segno dell’amore totale. Quanti martiri cristiani, oggi, sono ‘semi di nuovi cristiani’ dando la vita! Preghiamo per loro e ringraziamoli di cuore, perché sono sostegno e stimolo alla nostra povertà di giustizia e amore.

    Antonio Riboldi - Vescovo

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    00 18/02/2017 12:12
    VII Domenica del Tempo Ordinario

    Un Amore che non conosce limiti



    Il Vangelo di oggi offre alla nostra riflessione una delle pagine certamente più difficili da vivere, ma nello stesso tempo sono valori che distinguono noi, seguaci di Gesù, da chi non lo conosce o non lo segue. Gesù, che, la scorsa settimana, ci chiedeva una giustizia nell’amore, oggi davvero porta a compimento la Legge di Mosè che pure poteva sembrare già molto esigente:

    ‘Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il prossimo tuo come te stesso. Io sono il Signore’”. (Lv. 1, 17-18)

    Scrive l’evangelista Matteo:

    “Gesù disse ai suoi discepoli: ‘Avete udito ciò che fu detto: ‘Occhio per occhio, dente per dente: ma Io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno vi percuote la guancia destra, tu porgigli anche la sinistra; e a chi ti vuole chiamare in giudizio, per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringe a fare un miglio, tu fanne con lui due. Da’ a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.

    Avete inteso che fu detto: ‘Amerai il prossimo tuo e odierai il tuo nemico: ma Io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siete figli del Padre vostro celeste che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale merito ne avrete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date un saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli.

    Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”. (Mt. 5, 38-48)

    Per natura siamo sempre pronti a ‘mitigare’ la profondità ed ampiezza che Dio ha dato alle virtù, a cominciare dall’amore.

    Per la nostra natura così debole e limitata, ci lasciamo prendere dagli eventi e seguiamo le inclinazioni della nostra sensibilità o istintività, sempre pronte a cedere.

    Gesù non fa sconti, e non poteva farli, per la natura stessa delle virtù, che chiedono di ‘andare oltre’ le nostre passioni. Seguiamo il suo invito: specchiamoci sull’esempio del Padre nostro che è nei cieli.

    Se c’è Uno, che non si è mai sognato di fare del male agli uomini, è proprio Dio, che ci ha creati per farci partecipi della Sua stessa Beatitudine.

    E se c’è Uno che avrebbe tutte le ragioni per punire il male che riceve – le disubbidienze, le ribellioni, i rifiuti che continuamente ripetiamo con i peccati, l’indifferenza – sarebbe proprio e solo il Signore. Ma il Padre non si lascia fermare dai nostri rifiuti, resta – per nostra consolazione – fedele al Suo Amore. Non rinnega mai chi ha creato per amore, perché Lui, nella Sua Essenza, è Amore.

    Neppure ci abbandona quando noi Gli voltiamo le spalle. Anzi, non finisce di colmarci delle Sue tenerezze, come fa un padre – e molto più di un padre - verso un figlio che, con il suo errore, si trova maggiormente in pericolo, ossia indirizza ogni sforzo d’amore per far capire al figlio che con le sue scelte sbagliate può perdersi e allontanandosi non potrà più godere neppure del Suo stesso Amore.

    Ma sappiamo tutti quanto siamo volubili e fragili, forse perché scambiamo la natura del vero amore con il fluttuante sentimento o con le ambigue emozioni.

    Quando si ama veramente – come ci amano le nostre mamme o i nostri veri amici – non ci si lascia mai prendere da altri sentimenti contrari o contrastanti.

    L’amore vero non conosce confini, limiti o avversità.

    Ricordo ancora quella mamma che, abbandonata dai figli, restò fedele all’amore per loro.

    Soffriva per il male che i figli le causavano ogni giorno, ma questo non la scoraggiava.

    Venne il giorno in cui stette davvero male. I figli lo seppero e, spinti forse da un senso di colpa, andarono a visitarla. Li accolse con tanta tenerezza e con parole che venivano dalle profondità del cuore: ‘Vi ringrazio di essere venuti. Non pensate che io non vi ami, anzi, sapervi contro e indifferenti, anche se non ne comprendo le ragioni, ha fatto aumentare l’amore. Ora siete qui. È il dono più grande che potevate farmi. Mi avete fatto pregustare il paradiso che spero mi attenda’.

    Bastò questo a far sciogliere l’indurimento del loro cuore. Grandi cose può fare l’amore.

    Pensiamo al grande esempio di Gesù stesso.

    Aveva coperto di miracoli, guarigioni e verità il popolo d’Israele. Aveva dato tutto di Sé. Quando venne l’ora dell’odio non si sottrasse. Abbiamo tutti davanti agli occhi le terribili ore della Passione e Morte. Ma l’ultimo Suo insegnamento, sublime, sono le parole pronunciate dalla croce: ‘Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno’.

    Davvero Dio ha un Cuore grande e, creandoci, ce lo ha comunicato.

    Ricordiamo tutti il grande esempio del caro e Santo Giovanni Paolo II che, colpito e ferito gravemente, mentre era tra la folla, una volta guarito, volle incontrare il suo attentatore in carcere, offrendogli il suo perdono. Così sono fatti i veri discepoli del Signore.

    Non vivono, anzi, rifiutano la mentalità del ‘deve pagarmela’ o ‘me la lego al dito’.

    Noi cristiani, in famiglia, nell’ambiente di lavoro, in ogni ambito in cui viviamo, dovremmo essere coraggiosi testimoni del ‘saper andare oltre’ le offese e il male: questa è l’unica via per ‘piegare’ i cuori duri e trovare noi stessi la pace vera.

    Non è facile, ma è la sola via della pace: una via che è dono della docilità del cuore, che si apre al dono della Grazia, effusa dallo Spirito Santo.

    InvochiamoLo gli uni per gli altri, poiché ogni giorno abbiamo bisogno di lasciarci perdonare e saper perdonare: ‘Vieni Padre dei poveri, vieni datore dei Doni’.

    Antonio, Vescovo
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    00 07/03/2017 16:12
    I Domenica di Quaresima

    Quaresima: nel ‘deserto’ con Gesù!




    Siamo entrati nel tempo di Quaresima e la Chiesa ci avverte che ‘la liturgia quaresimale guida alla celebrazione del Mistero pasquale: la Passione, Morte e Resurrezione di Gesù, nostro Signore, è la sostanza della nostra fede cristiana, un Mistero di infinito Amore.

    Non permettiamo che possa essere disperso nel nulla delle notizie, da cui siamo sommersi ogni giorno, che, dopo comunque dopo pochi minuti, non si ricordano più, a meno che non si riferiscano a fatti gravi che feriscono profondamente o ci toccano direttamente.

    L’umanità oggi è spesso stordita dalle tante parole, che sono solo rumori, e continuamente ci intossicano. Dalle TV che ne sono un fiume ininterrotto, giorno e notte, al nostro chiacchierare che il più delle volte contiene poco o nulla che faccia bene. Basta assistere, tante volte, ai dibattiti: un tale intersecarsi di parole che alla fine non capisci neppure quello che viene detto … tanto meno se porta con sé qualcosa di buono, senza considerare quando arrivano solo le invettive di chi urla di più. Credo che si parli troppo e, di buono, si comunichi poco, in famiglia e tanto meno nella società, dove ci augureremmo tutti – penso - che i nostri politici parlassero di meno e operassero di più il bene della comunità. Ma, purtroppo, non è così. Continuiamo ad assistere ad alterchi infiniti, su fatti o meglio interessi di singole persone, mettendo in disparte il bene pubblico.

    Di conseguenza interpretiamo la nostra esistenza da sbandati, vivendo molte volte un’insicurezza, un’ansia ed un pericoloso isolamento, che altro non sono che il vagare senza silenzio, senza consapevolezza e verità, per le vie del mondo.

    Si parla troppo e si combina poco per la vita: proviamo dunque a dare più spazio al silenzio e ad avere il controllo della parola, in modo che nulla sfugga di inutile e tantomeno di offensivo, ma se possibile, tutto contenga verità e amore. Come farebbe bene tanta gente a tacere … e d’altra parte, come sarebbe necessario che chi ha del bene da comunicare parlasse!

    Allora occorre davvero pregare che Dio ci aiuti a sentirlo vicino, a dialogare nella preghiera con Lui, ad essere capaci di penitenza, togliendoci di dosso tante cose inutili, se non dannose, trasformando il nostro esistere in gesti concreti di bontà, che ci scrostino l’egoismo, vera patina di morte, e facciano trasparire così la nostra vera realtà di ‘figli adottivi’ di Dio, che vogliono essere ‘buoni come il loro Padre, che è nei Cieli’.

    Il Vangelo di oggi ci ricorda che occorre lasciarci condurre dallo Spirito nel deserto con Gesù.

    Lui vi stette per quaranta giorni, senza mangiare, in continua e profonda preghiera, come a farsi modellare dal Padre su Chi Lui era veramente, su come fondare la Sua Chiesa, annunciare il Suo Regno, sul come fare la volontà del Padre suo, fino in fondo, senza mai tradirla, a costo di finire sulla croce, se così a Lui fosse stato gradito.

    Racconta il Vangelo: “In quel tempo Gesù fu condotto nel deserto per essere tentato dal diavolo. E, dopo aver digiunato per quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: ‘Se sei il Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane’. Ma Egli rispose: ‘Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio’.

    Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: ‘Se sei il Figlio di Dio, gèttati giù, poiché sta scritto: ‘Ai Suoi angeli darà ordine a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia ad urtare contro un sasso il tuo piede’. Gesù gli rispose: ‘Sta anche scritto: ‘Non tentare il Signore Dio tuo’.

    Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: ‘Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai’. Ma Gesù gli rispose: ‘Vàttene, satana! Sta scritto: ‘Adora il Signore tuo Dio e a Lui rendi culto’.

    Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servirono”. (Mt. 4, 1-11)

    Sono davvero, se le consideriamo bene, le tre grandi tentazioni dell’uomo di tutti i tempi: fame di successo, sete di potere, voglia di prestigio.

    Sono i grandi mali che la Quaresima invita ad allontanare da noi, come fece Gesù, e che tutti i Santi e quanti aspirano alla santità hanno calpestato, con la stessa decisione di Gesù. Sono e possono essere i grandi mali che dominano il mondo e a cui tutti siamo tentati.

    Anche noi veniamo corteggiati ogni giorno da Satana, in mille modi, e può persino accadere che mascheriamo il nostro subdolo egoismo con una presunta ‘volontà di Dio’.

    Il ‘deserto’ quaresimale deve far nascere dei salutari dubbi:

    Siamo sicuri di vivere secondo Dio? Siamo certi di percorrere le vie sulle quali il Signore ci chiede di camminare, per vivere il nostro ‘sì’ a Lui? ………È il primo passo per la conversione…

    C’è in giro un gran desiderio e bisogno di cambiamento, non fuori di noi soltanto, ma ‘dentro di noi’, seguendo le piste di Gesù: il silenzio, la preghiera, la penitenza, uniche vie capaci di strapparci di dosso i troppi stracci che impediscono di camminare nella verità, libertà, carità, santità!

    La Quaresima, se vissuta con Grazia ed impegno, con la preghiera, la penitenza, la Parola di Dio, invita a smascherarli, per essere liberati. Santa Quaresima, dunque! … e, insieme, preghiamo:

    “Pietà di me, o Dio, secondo la Tua Misericordia:

    nella Tua grande bontà, cancella il mio peccato.

    Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre davanti.

    Crea in me, o Dio, un cuore puro,rinnova in me uno spirito saldo.

    Rendimi la gioia di essere salvato e sostieni in me un animo generoso.” (Salmo 30)

    Antonio Riboldi - Vescovo

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    00 10/03/2017 08:43
    II Domenica di Quaresima

    Gesù si trasfigura davanti agli Apostoli




    A volte, nel silenzio della preghiera, intuiamo le grandi vie dell’amore del Padre verso gli uomini, verso di noi, che Egli tanto ama, anche oggi, fino a dare Suo Figlio. Sono sempre vie meravigliose, ma difficili, se vogliamo, estremamente difficili a volte da accettare.

    E si ha come la sensazione di trovarsi sul Monte ‘a faccia a faccia con Dio’, a ricevere, come Mosè, le parole dell’Alleanza, ossia il patto di amore sancito tra Dio e noi o si avverte quasi la compagnia di Abramo, quando Dio gli chiese di abbandonare ogni affetto, sicurezza: ‘Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò.’

    O ci si sente inondati della luce con cui Gesù venne trasfigurato davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni: ‘Il Suo volto brillò – narra il Vangelo oggi – come il sole e le sue vesti divennero bianche come la neve’.

    Noi conosciamo lo sbigottimento che provò Mosè di fronte alla voce di Dio, che lo mandava al suo popolo: una missione rischiosa, che tutti conosciamo, ma necessaria, come tutte le vie della volontà di Dio. E Dio, quasi per proteggerlo, per dargli autorità, lo fascerà di luce, segno della Sua Presenza e potenza in lui.

    Così come comprendiamo il senso di insicurezza di Abramo, a cui Dio offre come sostegno la Sua benedizione: “Farò di te un grande popolo e ti benedirò; … diventerai benedizione … Allora Abramo partì, come gli aveva ordinato il Signore”. Attraverso la risposta di Abramo sappiamo che la sua e nostra obbedienza è oggi la nostra redenzione e la nostra storia di salvezza.

    Gesù, Figlio di Dio, confermato, dopo le tentazioni di satana, come unico Volto e Cuore visibile del Padre, conoscendo la nostra debolezza, di fronte ad eventi piccoli o grandi, che formano il tessuto della vita di ciascuno, sa dare ciò che genera fiducia illimitata, in modo che, fondando la nostra speranza su una fiducia totale in Lui, non ci lasciamo spaventare.

    Così come è da stolti chiedere che la nostra vita sia priva di momenti difficili, che fanno parte della condizione umana di tutti, è anche vero che, se osserviamo bene la nostra storia, troviamo accanto ai momenti difficili, come quelli di Mosè, di Abramo, momenti di gioia profonda, la stessa che provarono i discepoli sul monte Tabor. Il racconto della Trasfigurazione, nel Vangelo di oggi, mette in evidenza la potenza di Dio a servizio della debolezza dell’uomo.

    Leggiamolo: “Gesù prese con sé tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in luogo solitario. Là di fronte a loro cambiò aspetto: il suo volto si fece splendente come il sole, e i suoi abiti diventarono bianchissimi come la luce. Poi i discepoli videro anche Mosè e il profeta Elia: essi stavano accanto a Gesù e parlavano con lui. Allora Pietro disse a Gesù: ‘Signore è bello stare qui per noi. Se vuoi preparerò tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia’. Stava ancora parlando quando apparve una nube luminosa che li avvolse con la sua ombra. Poi dalla nube venne una voce che diceva: ‘Questo è il mio Figlio, che io amo. Io l’ho mandato, ascoltatelo’. A queste parole i discepoli furono talmente spaventati, che si buttarono con la faccia a terra.

    Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: ‘Non abbiate paura!’.

    Alzarono gli occhi e non videro più nessuno; c’era infatti Gesù solo.

    E mentre scendevano dal monte Gesù ordinò loro: ‘Non parlate a nessuno di questa visione, finchè il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti’”. (Mt. 17, 1-9)

    Poco prima il Vangelo di Matteo racconta lo scontro tra Pietro e Gesù, riguardo alla sua prossima morte. E al riguardo la risposta di Gesù a Pietro era stata davvero dura: ‘Va’ lontano da me, Satana. Tu sei di ostacolo per me, perché tu ragioni come gli uomini e non pensi come Dio’.

    Lo chiama ‘satana’… come a farci capire che la vita non può essere una passerella di piacere continuo, ma si realizza avendo il coraggio di abbracciare il costo della sofferenza per amore, sostenuti da Lui.

    È vero, guardandoci attorno, scopriamo tanti che ‘scomunicano’ la sofferenza come ‘maledizione’, inneggiando al piacere e ad un’allegria smodata – che non è gioia – e … hanno tanto seguito!

    Ma sono altrettanti coloro che, nella fede, non si sottraggono al dolore, come prezzo dell’amore.

    Basta pensare ai martiri o a tanti, ma tanti, che nella vita hanno accolto e continuano ad accogliere la sofferenza come il prezzo dell’amore, che ci trasfigura per entrare nella gloria.

    Dio non gode e non vuole la nostra sofferenza, anzi ha mandato su di noi il Consolatore, lo Spirito Santo, per infonderci coraggio e donarci la forza che fa superare dolore e contrarietà.

    Così Calvario e Paradiso si incontrano sul Monte Tabor.

    Sul Tabor è scritta la nostra storia di credenti, che non si sottraggono al dolore, ma lo vivono come prezzo dell’amore, nella fede in Gesù, nostro Redentore.

    Così commentava Paolo VI la Trasfigurazione:

    “Gesù ha due aspetti: quello ordinario che il Vangelo presenta e la gente del tempo vedeva: un uomo vero … ma i tre apostoli sono rimasti a fissare la visione ed hanno notato la trasparenza: nella Sua Persona c’è un’altra natura, oltre quella umana. Davvero Gesù è l’uomo che porta dentro di sé l’ampiezza del cielo: è il Figlio di Dio fatto uomo; è il miracolo che passa sui sentieri della nostra storia. E tutti sappiamo che non si tratta di un uomo che passa e si spegne: è la mia vita, il mio destino, la mia definizione, perché anch’io sono cristiano, anch’io sono figlio di Dio”. (aprile 1965)

    Chiediamo in questa Quaresima di imprimere nella nostra vita la Sua immagine, per operare con Lui e come Lui: “O Signore, che non cerchi cose grandi, fa’ solo che possa compiere piccoli gesti, ma trasfigurati da un grande amore’. (S. Madre Teresa di Calcutta)

    Antonio Riboldi - Vescovo

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    00 17/03/2017 12:54

    III Domenica di Quaresima


    La sete che tutti dovremmo avere


     


    Il racconto dell’incontro di Gesù con la Samaritana, in questa III tappa della nostra Quaresima, ci porta ad approfondire con una semplice domanda il cammino che stiamo percorrendo: che cosa significa ‘convertirsi’?


    Il caro e beato Paolo VI a questa domanda rispondeva: ‘Convertirsi significa dirigere la propria esistenza a Dio: cercare di compiere ciò che fanno i piloti delle navi, che ad un certo punto controllano se la loro rotta è realmente rivolta al porto o, se, al contrario, le onde della burrasca incombente non hanno fatto deviare il percorso.” (Quaresima 1964)


    Non è solo un atto della nostra volontà, ma è una risposta all’Amore di Dio che si fa strada nel nostro spesso complicato, confuso o disordinato modo di vivere, come è ben testimoniato dalla perla di Vangelo che è l’incontro di Gesù con la Samaritana, una donna ‘eretica’ per appartenenza religiosa e nota a tutti come peccatrice; una donna con la nausea in bocca e l’amarezza nel cuore, che avrebbe voluto per sé un’altra vita e si ritrova tra le mani, Dio solo sa perché e come, un’esistenza che ha il sapore dell’acqua amara delle ‘cisterne screpolate’, quasi ‘simbolo’ di tutte le nostre debolezze umane.


    Il lungo racconto del loro incontro è una efficace occasione per immedesimarci nella donna e incontrare Gesù, perché anche noi, oggi, tante volte siamo simili a lei: ‘assetati di vera vita’ fuori e, soprattutto, dentro l’anima.


    Gesù le chiede da bere e inizia un dialogo: è per Lui la strada per entrare nel cuore della donna ed è la meravigliosa ‘tattica’ della Sua Grazia, che sa insinuarsi nella nostra quotidianità, con spiragli incredibili. “Le disse Gesù: ‘Dammi da bere!’… Ma la Samaritana gli disse: ‘Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me che sono una donna samaritana?’.


    Quando il Signore interviene subito scardina le nostre logiche relazionali basate su contrapposizioni e differenze, avanzando la sua incredibile, divina e inaspettata proposta


    ‘Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è Colui che ti dice ‘dammi da bere!’, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva’.


    Difficile per ciascuno di noi uscire dai nostri ridotti e limitati confini umani, ma Gesù svela la potenza della Grazia che cambia nel profondo l’uomo, che si crede sufficiente a se stesso, ma se è onesto, sa riconoscere di mancare nel cuore… del necessario.


    ‘Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete, ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna’. ‘Signore’, gli disse la donna: ‘dammi di quest’acqua perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua’.


    Quanto ci è difficile staccarci dal materiale, per assurgere ai valori dello spirito!


    Quanta dolce pazienza e comprensione nel Maestro!


    “Le disse: ‘Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui’. Le rispose la donna: ‘Non ho marito’. Le disse Gesù: ‘Hai detto bene ‘non ho marito’, infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito: in questo hai detto il vero’. (Gv. 4, 5-42) Con Gesù non possiamo bleffare! Ma è davvero commovente e rassicurante come Gesù sappia sempre entrare nel nostro cuore confuso e spesso disorientato od oscurato, eppure assetato di verità, sapendo trovare l’occasione giusta per mostrarci il Suo Volto e il Suo Cuore.


    Il racconto della samaritana rivela una delicatezza divina, che è ben lontana dai nostri modi di accostarci a chi sbaglia o, semplicemente, la pensa diversamente da noi!


    Dio non si lascia impressionare da quello che possiamo essere ai Suoi occhi.


    Facile sentire a volte persone, che, in un momento di verità, pensando alla loro vita, esclamano: ‘Mi faccio schifo!’. E quel che è peggio non sanno neppure a chi rivolgersi per liberarsi da una così opprimente e paralizzante sensazione e in chi porre la fiducia di poter ritrovare bellezza e innocenza di vita.


    Sono i momenti in cui dovremmo ricordare che ‘Dio è più grande del nostro cuore!’


    Ogni istante, oggi stesso, può essere il momento – solo che lo vogliamo – vicino ad un ‘pozzo qualunque’, di permettere alla Grazia, all’azione dello Spirito di operare in noi, così che, incontrando Gesù, possiamo trovare l’acqua che purifica, disseta, appaga la nostra sete di amore, bellezza e santità.


    Lì possiamo farci fissare negli occhi da Gesù: far ‘sfogliare’ da Lui ogni lato nascosto della nostra vita, così come è, senza vergogna – come avviene nel sacramento della Penitenza – alla luce del Suo Amore Misericordioso. Possiamo oggi, ora, sempre, avere il coraggio di voltare le spalle alla nostra solitudine interiore, che fa male, e aprirci all’Amore che redime.


    Ha scritto Papa Francesco che la samaritana è rimasta ‘toccata’ dall’incontro, tanto da rivolgere a Gesù ‘domande profonde che tutti abbiamo dentro, ma che spesso ignoriamo’


    E ha aggiunto: ‘La Quaresima, cari fratelli e sorelle, è il tempo opportuno per guardarci dentro, per far emergere i nostri bisogni spirituali più veri, e chiedere l’aiuto del Signore nella preghiera’, chiedere, sull’esempio della Samaritana, ‘l’acqua che ci disseterà in eterno’. Perché Gesù, ha spiegato papa Francesco, è ‘Uno che alla Samaritana ha cambiato la vita, perché ogni incontro con Gesù ci cambia la vita. Sempre. È un passo più avanti, un passo più vicino a Dio’.


    Antonio, Vescovo.


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    00 25/03/2017 07:44
    IV Domenica di Quaresima

    Lasciamoci guarire dalle nostre cecità


    Dopo il terremoto del 1968 nel Belice, nulla si sapeva allora di noi terremotati, anche perché non vi erano i tanti mezzi di comunicazione di oggi. Mamma moriva di ansia per questo. Dopo alcuni giorni, potendo, ritenni opportuno fare una scappata da lei. Come mi vide pianse e, per la gioia intensa, non riuscendo ad esprimerla mi dette uno schiaffetto: ‘Non so la ragione – mi disse – ma sono stata talmente in ansia … non sapevo niente …. E desideravo così tanto vederti!’.


    Sappiamo tutti come tante volte, lontani o vicini, si vorrebbe ‘vedere’ chi davvero ci ama …

    Così come l’occhio può esprimere indifferenza a tutto: vede per vedere, ma senza guardare, comunicare sentimenti, emozioni, diventando lo specchio di un’anima arida o vuota o superficiale o, peggio ancora,

    gli occhi, a volte, sanno anche esprimere tanto disprezzo e odio, che assomigliano ad una fucilata e fanno tanto male. Quanto male si può provocare con una sola occhiata!

    Ho avuto modo di stare a colloquio con S. Giovanni Paolo II, per un’ora, e non dimenticherò mai i suoi occhi sereni, attenti, eppur discreti, come volessero entrare nelle pieghe della mia vita, con la vigilanza e delicatezza della carità. Così come ricordo gli occhi carichi di odio e rabbia di un camorrista: sembravano mitraglie puntate. Davvero l’occhio è ‘il linguaggio del cuore’, che può trasmettere serenità e gioia, ma anche male e cattiveria!

    Nel meraviglioso brano di questa domenica,del Vangelo di Giovanni, sul ‘cieco dalla nascita’, ben si evidenziano questi modi di guardare i fratelli. ‘Gesù, passando, vide un uomo cieco dalla nascita ….. Sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: ‘Va’ a lavarti nella piscina di Siloe (che significa ‘Inviato’). Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.’

    Abbiamo bisogno della luce in cui fissare il nostro sguardo: come fu per il cieco nato.

    Dovrebbe essere spontanea la gioia di tutti di fronte alla guarigione di un fratello ed invece: ‘I farisei gli chiesero come avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: ‘Mi ha posto del fango sopra gli occhi, mi sono lavato e vedo’. Alcuni dei farisei dicevano: ‘Questo uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato’. Altri dicevano: ‘Come può un peccatore compiere tali prodigi?’.

    Gesù guarisce, ma al cieco nato non è neppure consentito di gioire per la vista riacquistata, infatti s’imbatte subito nella cecità dei farisei, che si professano credenti, osservanti, ma non riescono a vedere la presenza di Dio ed il Suo Amore, che vince le miserie umane e compie prodigi.

    E questo può accadere anche a noi, quando non riusciamo a contemplare e ringraziare per il bello che Dio realizza e diffonde tra di noi; anzi, a volte, arriviamo a rendere difficile la vita di chi, forse ci aveva tenuto compagnia nel male, ma, convertitosi è diventato un’altra persona, mentre dovremmo non solo ringraziare, ma cogliere l’invito a percorrere con lui la stessa strada per ritrovare la bellezza della vita.

    Li conosciamo tutti, tra di noi, questi ‘ciechi’, che non sanno né ‘vedere’ né apprezzare coloro che spendono la vita perché altri l’abbiano ‘in abbondanza’ con la carità, che è l’occhio del cuore.

    Sono ‘ciechi’ che annaspano, è il caso di dirlo, tra mute ricchezze, che ci attorniano come fantasmi, pronti a rubarci serenità e, ancor peggio, la capacità di rendere la vita un dono. E così, come accadde per i farisei, non comprendono la gioia di chi ha ritrovato la vista del cuore, chiusi come sono nel loro egoismo ed egocentrismo. Ma d’altra parte l’uomo che non ha fede, che non conosce Gesù, - sola verità che illumina l’uomo e il mondo, che dà senso ai fatti della vita, fa spazio all’intelligenza, alla profondità dell’amore vero e fedele, dà gusto a tutto ciò che siamo e facciamo, affetti compresi – che ne sa della luce che l’occhio buono può trasmettere? Meglio, dietro quale ‘luce’, magari oscura, cammina? Alla luce di quale ‘verità’, forse tutta personale, gioca fatti e vita?

    Dopo la guarigione e il processo intentatogli dai ‘miopi’ farisei, ‘Gesù seppe che lo avevano cacciato fuori e incontrandolo disse: ‘Tu credi nel Figlio dell’uomo?’. Egli rispose: ‘E chi è, Signore, perché io creda in lui? Gli disse Gesù: ‘Tu l’hai visto: colui che parla con te è proprio Lui.’…. e il cieco, che aveva riacquistato pienamente la vista degli occhi e del cuore, fissando lo sguardo negli occhi di Gesù, si riempì di una tale luminosità da poter esclamare, in tutta verità: ‘Io credo, Signore’. E gli si prostrò innanzi.” (Gv. 9, 1-41)

    Facciamoci inondare dalla bellezza di questa pagina evangelica e riflettiamo anche con Papa Francesco, seguendo il consiglio che ci offre:

    “La nostra vita a volte è simile a quella del cieco che si è aperto alla luce, che si è aperto a Dio, che si è aperto alla sua grazia. A volte purtroppo è un po’ come quella dei dottori della legge: dall’alto del nostro orgoglio giudichiamo gli altri, e perfino il Signore! Oggi, siamo invitati ad aprirci alla luce di Cristo per portare frutto nella nostra vita, per eliminare i comportamenti che non sono cristiani. Dobbiamo pentirci di questo, eliminare questi comportamenti per camminare decisamente sulla via della santità. Noi infatti siamo stati “illuminati” da Cristo nel Battesimo, affinché, come ci ricorda san Paolo, possiamo comportarci come «figli della luce» (Ef 5,8), con umiltà, pazienza, misericordia. Questi dottori della legge non avevano né umiltà, né pazienza, né misericordia!

    Io vi suggerisco, oggi, quando tornate a casa, prendete il Vangelo di Giovanni e leggete questo brano del capitolo 9. Vi farà bene, perché così vedrete questa strada dalla cecità alla luce e l’altra strada cattiva verso una più profonda cecità. Domandiamoci come è il nostro cuore? Aperto o chiuso verso Dio, verso il prossimo? … Non dobbiamo avere paura! Apriamoci alla luce del Signore, Lui ci aspetta sempre per farci vedere meglio, per darci più luce, per perdonarci. Non dimentichiamo questo! Alla Vergine Maria affidiamo il cammino quaresimale, perché anche noi, come il cieco guarito, con la grazia di Cristo possiamo “venire alla luce”, andare più avanti verso la luce e rinascere a una vita nuova.”

    Antonio Riboldi - Vescovo

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    00 01/04/2017 21:03
    V Domenica di Quaresima

    La resurrezione di Lazzaro, segno della nostra resurrezione



    Abbiamo vissuto e viviamo tempi di paure per gli sconvolgimenti politici nel Mediterraneo, in Siria, per gli attacchi terroristici nei nostri stessi Paesi come la Francia, il Belgio e ultimamente il Regno Unito. Violenze che hanno cambiato e pare vogliamo cambiare la storia o il nostro stesso stile di vita, inculcando insicurezza e paura! Per molti è in gioco l’economia e il benessere nostro, ma lo è soprattutto la libertà e la pace per tutti. Non si può ignorare il peso storico degli avvenimenti, vivendo da spettatori. Siamo invitati ad accogliere migliaia di profughi, che fuggono dalla loro terra, per non essere vittime della violenza. Tanti già li abbiamo accolti, ma quante inutili e non cristiane polemiche al riguardo. Avremo il cuore di continuare ad accoglierli ed ospitarli con amore?

    Davvero questo tempo di Quaresima, in preparazione alla Pasqua, ci invita ad atti di consapevole libertà e di responsabile carità, che potrebbe diventare ‘una nostra resurrezione’. Saremo capaci?

    Ci auguriamo vi sia una Pasqua di pace per tutti e non paure e drammi senza soluzioni.

    Il Vangelo di oggi sembra proprio un ammonimento di Gesù sulla nostra vita. E’ la vicenda della morte di Lazzaro, grande amico di Gesù, e delle sue sorelle Maria e Marta. Proviamo a viverla con fede. “In quel tempo un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta, sua sorella, era malato … Mandarono a dire a Gesù: ‘Signore, ecco, colui che tu ami è malato’. Gesù pare non scomporsi, anzi assume un atteggiamento quasi di distacco: ‘quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava’. Gesù sapeva la grandezza dell’annuncio che Lui avrebbe trasmesso a noi, attraverso la malattia dell’amico, infatti ‘Gesù disse: ‘Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato’.

    L’evangelista, che ben conosceva Gesù, a questo punto afferma: ‘Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro’. Gesù è la potenza di Dio, che sa quando è bene intervenire e quando è necessario attendere.

    Non vi è nessun interesse nell’agire di Gesù, solo il vero Amore lo spinge. Nonostante le resistenze dei discepoli, che temono per la sua vita - ‘Poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?’ - quando è giunto il tempo di Dio, è deciso: ‘Andiamo di nuovo in Giudea.’….’Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo’.

    Il ‘nostro’ amico… chi ama Gesù, ama anche ogni creatura, da Lui amata!

    “Venne Gesù e trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel sepolcro … Marta disse a Gesù: ‘Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!’. Ed esprime una speranza che è in lei certezza: ‘Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, Egli te lo concederà’. Gesù le disse: ‘Tuo fratello risorgerà’. Gli rispose Marta: ‘So che risusciterà nell’ultimo giorno’.

    E Gesù dà il solenne annuncio, non solo riguardo la sorte di Lazzaro, ma di tutti noi: l’annuncio che dà senso alla vita, che sappiamo tutti non ha grande durata sulla terra, per la sua stessa fragile natura.

    Un annuncio che è il grande Evento della Pasqua, poiché, dopo il dono di sé nella Passione e Morte, la Sua ormai vicina resurrezione, sarà la nostra resurrezione!

    ‘Io sono la resurrezione e la vita: chi crede in me, anche se muore, vivrà,

    e chiunque crede in me non morirà in eterno. Credi tu questo?’.

    Sappiamo entrare in questo amore e accoglierlo, o inconsciamente viviamo senza pensare che anche per noi ci sarà sicuramente la nostra resurrezione, la nostra pasqua?

    Pare che tanti vivano come se tutto dovesse avere un termine con la morte: una vita senza futuro!

    Una follia per chi sa che la vita è dono di Dio e non può dunque avere fine. Finirà il nostro corpo – così come lo sperimentiamo – ma non la vita, che con la risurrezione ‘recupererà’ lo stesso corpo.

    Gesù risorto è il Vivente: ‘…non sono un fantasma’ dirà ai discepoli: ‘Sono proprio io!’.

    Se ci pensassimo, quanto diverse sarebbero molte nostre decisioni e scelte!!!

    La risposta di Marta è immediata, per la totale fiducia che pone in Gesù: ‘Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo’. E noi… crediamo questo?

    Gesù, dopo essersi fatto condurre al sepolcro, non nasconde la sua commozione, non si vergogna di rivelare la profondità dei suoi sentimenti: ‘Gesù scoppiò in pianto’. Egli rivela tutta la sua umanità, che non si sottrae al dolore, come a volte accade a noi.

    Che preziosa lezione ci dà Gesù e di questo Lo ringraziamo.

    La fede opera miracoli: ‘Disse Gesù a Marta: ‘Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?’… Gesù allora alzò gli occhi e disse: ‘Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato’. Detto questo, gridò a gran voce: ‘Lazzaro, vieni fuori!’. Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: ‘Liberatelo e lasciatelo andare’. Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in Lui’”. (Gv. 11, 1-45)

    E’ un fatto evangelico che, ripeto, costringe tutti a ripensare alla nostra vita troppo terrena, con troppa superficialità e distrazioni, che ci impediscono di pensare al ‘domani’ che ci sarà, per ciascuno!

    Del resto: Che senso ha questa vita racchiusa in un corpo così fragile che, se va bene, può conoscere solo le brevi stagioni della nascita, giovinezza, maturità e tramonto? Ma soprattutto che senso ha questa stessa vita che ci sentiamo ‘dentro’, che aspira a vivere per sempre, oltre la morte?

    Sono le domande che evidenziano la maturità di ciascuno di noi e, le risposte che diamo, qualificano anche tutto il nostro modo di vivere. Non resta, in questo ultimo scorcio di Quaresima, che rientrare in noi stessi, chiedere allo Spirito di Dio ‘un raggio della Sua Luce’ per vivere intensamente e bene il tempo che ci è donato, grazie alla certezza della ‘gioia eterna’ che ci attende.

    Antonio Riboldi
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