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Meditazioni per le festività (di Mons.Riboldi)

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    00 18/12/2010 19:21

    IV Domenica di Avvento (Anno A)

    Ecco la Vergine concepirà un figlio

    A pochi giorni dalla Solennità del Natale, viene da chiederci quali siano i sentimenti che ci animano. Dio non voglia che la gioia immensa di sapere che Gesù, Figlio di Dio, Dio stesso, ha rotto gli indugi e si fa tanto vicino a noi, da vestirsi della nostra umanità, tranne il peccato, ci lasci indifferenti! Ogni volta lo si pensa dovrebbe apparirci incredibile che Dio ci ami così tanto, fino a dimenticare il rifiuto del Suo Amore e prendere su di Sé la nostra miseria, per riscattarla con il solo 'mezzo' possibile, cioè farsi carico di ciò che siamo, della nostra misera povertà.

    Impossibile a noi uomini, quando subiamo qualche offesa o rifiuto, scordarli, opponendo l'amore. Di solito noi ricambiamo il rifiuto con il rifiuto, l'offesa con l'offesa, l'indifferenza con l'indifferenza, la violenza con altra violenza.

    Deve essere davvero immenso, invece, l'Amore del Padre che non dimentica mai che siamo usciti dal Suo Cuore, continua a farci dono della vita, e cerca in ogni modo di raggiungerci con il Suo Amore Misericordioso, anche quando continuiamo a respingerlo, facendoci sempre più del male. È difficile per noi uomini, o troppo istintivi o troppo razionali, ma sempre troppo poco spirituali, comprendere ed accogliere l'Amore che Dio ha per noi, e così ci priviamo di una gioia profonda e duratura... che è a portata di mano!

    Accostandosi al Natale sono tante le riflessioni che sorgono nell'animo e, più ci addentriamo, più dovrebbero crescere la meraviglia e la gioia.

    `Ma è mai possibile - dovremmo chiederci - che Dio ci voglia così tanto Bene? Ne siamo degni? Come lo ricambiamo?'.

    Sono pensieri e sentimenti che spuntano in chi ha fede e sente la sete di Dio.

    Spesso mi domando: 'Ma quando manca questa sete, di che cosa ci abbeveriamo?

    Forse è proprio questa mancanza che ci porta a cercare di riempire il bisogno di amore, con tutte quelle iniziative di auguri e doni, che possono giungere a prendere il posto del vero Dono, che viene dal Cielo, Gesù, l'Unico che può colmare il 'vuoto' delle nostre anime ed esistenze.

    C'era un tempo in cui le nostre case ci ricordavano questo Dono che stava per giungere con il presepe. Ricordo, quando ero piccolo, come in questi giorni andassimo tutti insieme in cerca di muschio per preparare il presepe. E il presepe era come un impegno a preparare la culla a Gesù che stava per nascere. Erano giorni di attesa e speranza, un tempo in cui si respirava una più intensa volontà di 'essere buoni', di amare tutti, come se il Cielo fosse già disceso su di noi e noi tutti potessimo diventare la grotta di Betlemme.

    Poi venne il consumismo, il benessere, e oggi si rischia di fare del Natale un tempo di svago, una

    pausa di vacanza, dove è assente ogni forma di fede e non si fa più spazio al Dono, Gesù... Il profeta Isaia oggi così ci richiama:

    "In quei giorni il Signore parlò ad Acaz: 'Chiedi un segno dal Signore tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure lassù in alto'. Ma Acaz rispose: 'Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore'. Allora Isaia disse: 'Ascoltate, casa di Davide! Non siete contenti di stancare la pazienza degli uomini, perché vogliate stancare anche quelle del mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno: Ecco, la Vergine concepirà un figlio, che chiamerà Emmanuele, Dio-con-noi'. (Is. 7, 10-14)

    Credo che il profeta voglia rimproverare anche noi, oggi, in cui sembra proprio che vogliamo 'stancare la pazienza di Dio’! … nche se il Padre non si stancherà mai di volerci bene!!!

    Diceva in un discorso Paolo VI, nostra guida nello scoprire la Bellezza della Parola:

    "E' interessante la questione dei segni dimostrativi della religione anche per la Chiesa discente, anche per il popolo di oggi, ma che è ancora suscettibile di vibrazioni spirituali e di richiami cristiani. Potremmo fortunatamente fare un elenco di fatti, che ancora parlano come segni del misterioso mondo religioso. Anzi alcune volte abbiamo notato che vi è gente così avida di avere segni di tale mondo religioso, che facilmente si illude di averli incontrati. Ma la storia dei convertiti – ed anche il nostro tempo registra magnifiche storie di conversioni alla fede cattolica – ci documentano l'esistenza, la verità, l'efficacia di alcuni segni, i quali hanno svelato segreti, indicato doveri, collaudato ragionamenti. Lo Spirito Santo vibra ancora nel tessuto dell'esperienza umana e di tanto in tanto ferisce con la sua amorosa Luce il cuore degli uomini, specialmente se questi sono in stato di 'buona volontà', cioè di retto ed onesto impiego delle loro facoltà spirituali". (Gen. 1962)

    Il Vangelo di oggi ci dona un esempio di 'buona volontà' in Giuseppe, messo alla prova.

    "Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua Madre, Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe, suo sposo, che era giusto, e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore, e gli disse: 'Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quello che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati'. Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco la Vergine concepirà un figlio, che si chiamerà Emmanuele, che significa 'Dio-con-noi'. Giuseppe, destatosi dal sonno, fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa". (Mt. 1, 18-24)

    Il Vangelo di oggi ci propone la figura di Giuseppe, l'uomo 'giusto', che aveva accettato che Maria fosse sua sposa: sogni che Dio modifica in modo sostanziale.

    Avendo saputo che Maria era incinta, nel suo profondo rispetto verso Colei che amava e con cui progettava il matrimonio, non se la sente di ripudiarla. Dio stesso allora manda un suo angelo a spiegargli l'origine di tale maternità e Giuseppe, prontamente, 'fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa'.

    "Cosa di lui sappiamo noi? - si chiede Paolo VI - Nessuna parola di Giuseppe è registrata nel Vangelo: il suo linguaggio è il silenzio, è l'ascolto di voci angeliche che gli parlano nel sonno, è l'obbedienza pronta e generosa a lui chiesta, è il lavoro manuale espresso nelle forme più modeste e faticose, quelle che valsero a Gesù la qualifica di 'figlio del falegname': e null'altro.

    Si direbbe la sua vita è oscura, quella di un semplice artigiano, priva di qualsiasi accenno di personale grandezza. Il Vangelo lo definisce 'giusto': e lode più densa di virtù e più alta di merito non potrebbe essere attribuita ad un uomo di umile condizione sociale. Un uomo povero, onesto, laborioso, timido forse, ma che ha una insondabile sua vita interiore, dalla quale vengono a lui ordini e conforti singolarissimi. Un uomo, come si dice ora, 'impegnato' per Maria, l'eletta fra tutte le donne della terra e della storia, sempre sua vergine sposa.

    A lui i pesi, le responsabilità, i rischi, gli affanni della piccola e singolare sacra famiglia. S. Giuseppe è il modello degli umili che il cristianesimo solleva a grandi destini: è la prova che per essere buoni e autentici seguaci di Cristo, non occorrono 'grandi cose', ma si richiedono solo virtù umane, semplici, ma vere e autentiche. Esempio per noi dunque S. Giuseppe. Cerchiamo di imitarlo: e quale patrono lo invocheremo. La Chiesa inoltre lo invoca come protettore: lo invoca per un profondo e attualissimo desiderio di rinverdire la sua secolare esistenza di vere virtù evangeliche, quali in Giuseppe rifulgono: ed infine la Chiesa lo vuole come protettore per l'incrollabile fiducia che colui, al quale Cristo volle affidata la protezione della sua fragile infanzia umana, vorrà continuare dal cielo la sua missione tutelare a guida e difesa del suo Corpo Mistico, la Chiesa, sempre debole, sempre insidiata". (19/3/'69) Quante virtù in questo semplice uomo, Giuseppe...

    Lo immaginiamo, in questi giorni che ci separano dal Natale, in viaggio da Nazareth a Betlemme, per farsi registrare, conscio di dover proteggere e custodire Maria e il Bambino che porta in grembo.

    Nulla trapela di lui nel Natale, se non la discrezione e la cura per tutto ciò che sta avvenendo in quella grotta, circondata dall'indifferenza del mondo. Sarà lui, nuovamente avvisato dall'angelo a portare in salvo la sua Famiglia, Maria e Gesù, fuggendo in Egitto, per salvarli dalla crudeltà di Erode. Lo ritroveremo a Gerusalemme, nella Pasqua, quando Gesù adolescente 'si smarrisce' nel tempio. Soffre con Maria per questa perdita - chissà forse sentendosi 'colpevole' di non aver vigilato abbastanza sul fanciullo - e sarà Maria a rimproverare Gesù: Tuo padre ed io eravamo angosciati Tornati a Nazareth, dove Gesù crescerà 'in età, sapienza e grazia', su Giuseppe cala quel silenzio adorante, che lo ha caratterizzato, rendendolo grande agli occhi di Dio... e anche ai nostri occhi.

    Che uomo, Giuseppe! Ben diverso da tanti di noi che sembra vogliamo costruire nome, fama e altro, con le parole, ma essendo dentro... `vuoti'!

    Davvero abbiamo bisogno della sua protezione su di noi, sulla Chiesa tutta, come fece con Gesù. Preghiamo il salmo 23, preghiera ispirata da Dio stesso, e che la Chiesa ci propone oggi. "Del Signore è la terra e quanto contiene

    l'universo e i suoi abitanti.

    È Lui che l'ha fondata sui mari e sui fiumi l'ha stabilita.

    Chi salirà il monte del Signore, chi starà nel suo luogo santo?

    Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non pronuncia menzogna. Questi otterrà benedizione dal Signore, giustizia da Dio sua salvezza. Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo Volto, Dio di Giacobbe. Alzatevi porte antiche ed entri il Re della gloria.

    Chi è questo Re della gloria? Il Signore degli eserciti è il Re della gloria"

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    00 01/01/2011 22:00

    Omelia del giorno 1 e 2 Gennaio 2011

    Il tempo: un dono che impegna e di cui ringraziare Dio

    Sono tanti i modi con cui celebriamo la fine dell'anno e l'inizio del nuovo.

    Ma è davvero grande la preoccupazione di 'come' si presenta il tempo, dimenticando spesso che è il dono più grande che Dio ci ha fatto.

    Lasciamo alle spalle un anno dove, credo per tutti, si sono come incrociate gioie e speranze, tristezze e angosce. La Chiesa giustamente celebra la fine dell'anno con un grande Te Deum, per dire Grazie a Dio che ci ha donato tanto tempo. E il tempo che viviamo, in quanto dono, - ricordiamocelo sempre – ci è dato per una sola ragione: quella per cui Dio ci invita a crescere in bontà e amore, come un cammino verso il momento in cui finirà 'questo' tempo e sarà l'eternità_

    La vita non è uno scherzo e neppure un gioco. É un bene che esige seria responsabilità.

    In questa prospettiva, dando uno sguardo all'anno che ormai irrimediabilmente sta alle nostre spalle, tutti sentiamo dunque l'urgenza 'personale' di dire GRAZIE a Chi ce ne ha fatto dono, ma anche il dovere di chiederci come lo abbiamo vissuto.

    Forse un pericoloso zig-zag tra bene e sbagli, impegno e superficialità.

    .È difficile capire il senso di tutto il baccano con cui si celebra la notte di Capodanno.

    Di che cosa dobbiamo rallegrarci, pensando a quanto è successo tra gli uomini, in ogni parte del mondo? Dovrebbe esserci una pausa di silenzio e riflessione, dovrebbe essere l'occasione di usare saggezza, per poter poi 'raddrizzare ciò che è storto', se solo consideriamo la serietà della vita.

    Intanto ci apprestiamo a continuare il cammino, finché Dio vorrà – siamo nelle Sue mani, non nelle nostre! - ma non all'insegna del 'vuoto', costellato dal nostro egoismo e dalla pericolosa spensieratezza, ma con la saggezza di chi sa che se c'è un bene, agli occhi di Dio che ce ne ha fatto dono, va interpretato e perseguito, seguendo la Sua Volontà.

    Fa paura come, invece di costruire ponti di pace, l'uomo costruisca ordigni di morte, capaci di annientare l'intero mondo. Occorre un vero giro di boa., affinché gli Stati dialoghino e programmino un vero piano di pace, nel rispetto vicendevole, nella collaborazione reciproca. Non possiamo restare inerti o passivi davanti a piani di distruzione.

    Quello che impoverisce la Chiesa, e quindi noi cristiani, tutti, è il progressivo distacco da Dio che è la vera saggezza dell'uomo e dell'umanità.

    Nelle Sue paterne mani c'è la pace, ma nelle nostre si annida incapacità, violenza e morte.

    Riuscirà il mondo a ritrovare pensieri di pace, riusciremo noi a lasciarci alle spalle stili di vita che nulla hanno a che fare con la saggezza della fede, essendo solo sentieri di egoismo e dolore?

    Occorre ritrovare la Pace che viene da Dio, ed è quello per cui dobbiamo pregare e impegnarci.

    A cominciare da ciascuno di noi, singolarmente, carissimi che mi leggete, là dove operiamo, con le persone che il Signore ci ha posto accanto, nelle situazioni che ci troviamo a dover affrontare.

    È dalla buona volontà di tutti, da un impegno a vivere la novità evangelica di ciascuno, che nasce la gioia di vivere.

    Sono davvero tanti gli anni che il Signore mi ha concesso di vivere – anche se paiono 'un soffio' – e anch'io sento il desiderio di ringraziarLo, perché mi ha dato l'occasione di amarLo e, come vescovo, di vivere la vita in un continuo servizio a Lui e alla gente, scoprendo, nonostante le mie povertà e limiti, quanta Grazia Dio fa 'piovere' su chi mi ha affidato.

    Provo tanta felicità e gratitudine per questo e anche tanto fervore di poter esprimere il mio amore a Dio e agli uomini con tutte le forze. Lo stesso auguro a voi tutte e tutti.

    Un grande bene da difendere: la FAMIGLIA

    Il Vangelo di oggi, posto subito dopo la solennità del Santo Natale, ci permette di entrare nel vivo della vita stessa della famiglia di Gesù.

    E così assistiamo ad un tratto della sua storia, unica per ciò che era, irripetibile per quanto rappresentava, ma nello stesso tempo tanto vicina alle nostre famiglie, per l'umanità con cui ha vissuto ciò che era chiamata ad accettare, diventando così modello per ogni famiglia, di qualsiasi tempo. Racconta l'evangelista Matteo: "I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: 'Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo. Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore, per mezzo del profeta: 'Dall'Egitto ho chiamato mio figlio'.

    Morto Frode, un angelo del Signore apparve a Giuseppe in Egitto e gli disse: 'Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nel paese di Israele, perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino. Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre ed entrò nel paese di Israele Avendo però saputo che era re della Giudea Archelao, al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi.

    Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e, appena giunto, andò ad abitare nella città chiamata Nazareth, perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta: 'Sarà chiamato Nazareno." (Mt. 2, 13-23)

    Stupisce questo farsi travolgere quasi dalla brutalità dell'uomo, che non guarda in faccia neppure alla fragilità dei bambini – ed avviene anche ai nostri tempi in modi incredibili, dall'addestramento alla guerra dei piccoli, all'usarli' nella pedofilia – ed è segno del grande degrado dell'umanità. Rispettare, amare, aiutare chi si affaccia alla vita, creatura del Signore e Sua creazione, dovrebbe essere la regola di un'umanità saggia. Quando si arriva ad usare violenza verso chi non può difendersi, come i bambini, davvero si calpesta quella dignità che dovrebbe essere il segno della nobiltà dell'uomo, di ogni uomo. Gesù, nella sua debolezza di Dio fatto uomo, non si oppone alla crudeltà, la subisce.

    Forse avrà pianto, sofferto come ogni bambino, per i disagi a cui ha dovuto essere sottoposto, ma non si è sottratto al pericolo e al dolore.

    Semmai mostra che cosa significhi 'mettersi nei nostri panni': subire quello che è assurdo, ciò che abbatte ogni livello di bontà, rispetto, soccombere alla cattiveria umana, fino in fondo, fino alla morte in Croce. Davvero Gesù si mostra fin da subito 'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo'. Gesù, sempre, davanti alla nostra cattiveria su di Lui o sull'uomo, in cui Lui abita, come a difenderlo e dargli valore, non si indigna, non usa la violenza, ma accetta.

    E di questo siamo purtroppo spettatori ogni giorno.

    Lui, Gesù, l'Innocente, il Giusto per eccellenza, cioè fedele all'Amore, per questo non apre bocca, semplicemente fa la volontà del Padre, cosciente che la potenza di Dio è altra cosa rispetto alla mascherata potenza di Erode. Verrebbe voglia di stare una vita a contemplare Giuseppe e Maria, che seguono passo passo il Figlio loro affidato, come servi, fino a considerare il loro stesso amore, la loro gioia, un mettersi al servizio del Figlio.

    Ci lamentiamo oggi che i nostri figli sono come sommersi dalla violenza, che accerchia la loro vita da ogni parte, anche fuori dalla famiglia. Ma tutto sta nel come papà e mamma vivono il grande dono del figlio, che Dio ha consegnato al loro affetto, alle loro cure.

    Quante volte mi commuovo ripensando alla mia famiglia. Oggi sono quello che sono, nella pienezza della volontà di Dio, grazie anche ai miei genitori. Mamma e papà li ho sempre visti accanto a me, soprattutto quando ho manifestato la mia vocazione e per tutto il tratto del mio apostolato. Non dimenticherò mai le lacrime di papà, quando durante l'ordinazione sacerdotale, per la commozione non riuscì, durante la cerimonia, a 'legarmi le mani' dopo l'unzione. Era la dimostrazione dì quanto mi volesse bene. Così come non dimenticherò mai quando mi recai da mamma ad annunziarle che ero stato eletto vescovo. Non fece che piangere. Ma loro mi avevano educato fin dall'infanzia, in altre parole mi avevano aperto la strada e mi furono vicini per tutta la vita.

    Aveva 99 anni, mamma, quando, sapendo che era giunta la sua ora, dopo una mia visita, mi salutò dicendo: 'Mi raccomando, Antonio, fai sempre giudizio!'. Premia la vita, davanti agli uomini e davanti a Dio, essere una famiglia come la Sacra Famiglia. Ve lo auguro.

    Così pregava Madre Teresa di Calcutta: "Padre dei cieli, ci hai dato un modello di vita nella Sacra Famiglia. Aiutaci, o Padre d'amore, a fare della nostra famiglia un'altra Nazareth, dove regnano l'amore, la pace e la gioia. Aiutaci a stare insieme nella gioia e nel dolore, grazie alla preghiera in famiglia. Che possiamo amarci come Dio ama ciascuno di noi, sempre più, ogni giorno. E perdona i nostri difetti, come Tu perdoni i nostri peccati".

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    00 06/01/2011 16:14

    Omelia del giorno 6 Gennaio 2011

    EPIFANIA: Per tutti c'è una stella in Cielo che ci attende

    Dopo la sua nascita, Dio non perde tempo a manifestare a tutti che, se Lui è venuto tra noi, è per farci dono della Salvezza. E davvero suscita grande stupore questo desiderio di chiamare tutti, senza distinzioni e subito – sempre che ciascuno senta la necessità della Sua Presenza e del Suo Amore. L'uomo – se conserva ancora la 'memoria' di essere 'creatura' di Dio – si sente profondamente chiamato a far parte del Suo Amore, ma non deve lasciarsi distrarre dal mondo, che non ha la minima luce di amore o di vero interesse per noi.

    Scriveva Paolo VI: `Se il mondo si sente estraneo al cristianesimo, il cristianesimo non si sente estraneo al mondo, qualunque sia l'aspetto che egli presenta. Sappia il mondo di essere stimato ed amato da chi rappresenta e promuove la religione cristiana, con un affetto inesauribile. Noi sappiamo che l'uomo soffre di dubbi atroci. Noi abbiamo una parola da dire che crediamo risolutiva. È quella di un UOMO all'uomo. Il Cristo che noi portiamo all'umanità è Figlio dell'uomo', così Lui chiamava se stesso. È il Primogenito, il Fratello, l'Amico per eccellenza. È il Mandato da Dio, ma non per condannare il mondo, ma per salvarlo". (6 gennaio 1960) Non resta che immergerci nel racconto che ne fa l'evangelista Matteo:

    "Nato Gesù a Betlemme, al tempo del re Erode, alcuni magi giunsero dall'Oriente a Gerusalemme e domandavano: 13ov'è il re dei Giudei? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarLo. All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: 'A Betlemme di Giuda, perché così è scritto per mezzo del profeta: 'E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo Israele. Allora Erode chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: 'Andate e informatevi accuratamente del bambino e quando l'avrete trovato fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo. Udite le parole del re essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto al suo sorgere, li precedeva finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il Bambino. A vedere la stella essi provarono una grandissima gioia e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro Paese". (Mt. 2, 1-12)

    Da questo racconto, che conserva la bellezza della semplicità evangelica, che non ha bisogno di fronzoli o parolone per descrivere i grandi eventi tra Dio e l'uomo, c'è la ragione per cui noi siamo cristiani, ossia gente che, come i Magi, sono stati invitati a quella grotta e così sono ammessi non solo alla conoscenza del Dio tra noi, ma addirittura a partecipare della Salve772 eterna.

    Ora sappiamo che Gesù è con noi e siamo destinati a seguirLo fino a che, con il Suo aiuto e in Sua compagnia, arriveremo alla Sua Casa e Gloria, che è il Paradiso.

    Davvero infinito quanto ci ami!

    Da esuli, dopo il peccato originale, ora siamo chiamati a tornare a Casa.

    tanto grande questa Festa della manifestazione di Dio, che in Oriente viene celebrata come Natività di Dio tra noi.

    Ma oggi, è ancora per noi motivo di profonda gioia, come lo fu per i Magi?

    Forse c'è una grande differenza. I Magi sentirono in loro l'invito a cercare un Dio che li chiamava tramite una stella e li guidava, interiormente ed esteriormente.

    Noi forse abbiamo perso la 'stella', che pure è sempre su di noi a indicare la strada per trovare Gesù e camminare con Lui.

    Vorremmo avere tutti quel richiamo, che sentirono i Magi, di Qualcuno che ci attende sempre, ma poi ci perdiamo `in Gerusalemme', a discutere e, Dio non voglia, a seguire i tanti Erodi, di cui è affollato il mondo, e ci 'perdiamo', fino a respingere anche l'idea che ci sia Qualcuno, che davvero è l'Emmanuele, Dio Presente, che ci ama ed offre gioia.

    Fa tanto male, anche solo pensare, che ci siano tanti di noi che non hanno più il passo della speranza, che avevano i Magi nel dirigersi a cercare, per trovare Dio.

    Cosa possono trovare alla fine del loro camminare confuso e senza mèta, che possa sostituire la vera felicità, che è il nostro 'essere' di figli di Dio? Il nulla o, in quel fatuo 'regalo della befana', un giocattolo da bambini, destinato a essere buttato subito in disparte.

    Ma valiamo cosi poco ai nostri stessi occhi? Possiamo accettare di vivere passivamente, senza la passione di ricerca del Padre, come era nei Magi?

    O vogliamo vivere sempre solo storditi dal mondo, su cui non splende nessuna 'stella divina'? Vorremmo che tutti ritrovassero la stella che è su di noi e in noi: la fede salda e sicura che ci conduce alla gioia che Dio dà a chi è ' di buona volontà'.

    Dio ci chiama, Dio ci ama, Dio ci attende, come 'impaziente', di comunicarci la stessa gioia che fu nei Magi. Ma dobbiamo uscire dal buio della vita e farci guidare dalla nostra stella.

    Se ci interroghiamo con serietà, nel silenzio del cuore, certamente anche in noi sorgerà la stella giusta, che dovremo solo seguire, perché la nostra vita diventi una continua Epifania, ossia Dio che si mostra a noi, si rivela, sotto tanti aspetti, spesso quotidiani, piccoli, come il Bambino che trovarono i Magi. Ma è proprio da questa semplicità divina, che si misura l'Amore e sgorga la Gioia. Auguri. Facciamoci il regalo dei Magi: vivere con fede ed amore... ad ogni costo!

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    Coordin.
    00 10/01/2011 21:15
    Omelia del giorno 9 Gennaio 2011

    Battesimo del Signore (Anno A)

    Con il Battesimo diventiamo figli di Dio

    La Chiesa, dedicando questo momento dopo il S. Natale, al Battesimo di Gesù, ci vuole quasi richiamare a quello che potremmo anche noi definire il nostro Natale da Cristiani, cioè il Battesimo, dove deposte le vecchie spoglie da esclusi dal Regno di Dio, torniamo ad essere il 'sogno' che il Padre aveva a cuore, quando pensò alla nostra creazione: 'SUOI FIGLI'.

    Cerchiamo di ricordare la nostra origine all'inizio della creazione, quando Dio, dopo aver creato l'universo, pensò di dare a tutto il creato 'una voce', 'un cuore', 'una presenza' che fosse in grado di essere simile a Lui nella pienezza dell'amore, della felicità.

    Era il tempo del ‘paradiso terrestre’. Ma sappiamo tutti come l'amore ha come natura propria la libertà, ossia la capacità di dire `si' all'amore o rifiutarlo con un `no'.

    Il 'si' significava entrare nella pienezza di figli, il 'no' era un mettersi contro, perdendo tutto, ma proprio tutto, quello che era nel Cuore di Dio.

    Fa sempre impressione come lo scrittore biblico evidenzia lo sconcerto che i progenitori devono aver provato dopo l'atto di superbia – è ciò che accade nel nostro allontanarci da Dio - : si sentirono `nudi e si nascosero'. nel senso che avevano perso tutta la bellezza che Dio aveva donato e voleva fosse partecipata a tutta l'umanità: essere Suoi figli amati ed eredi del Suo Regno.

    `Uomo dove sei?'. la domanda che Dio rivolge loro e, credo, spesso rivolge a noi, oggi.

    Non possiamo certamente affermare che abbiamo saputo rendere il dove e come viviamo un paradiso... anzi a volte lo rendiamo un vero inferno. Basta scorrere la storia dell'uomo per cogliere i segni di uno sbandamento che fa spazio a tanti errori e dolori.

    `Questa, – mi diceva una persona, impressionata dalle cronache nere di tutti i giorni - con lo sguardo a quanto avviene nel mondo, non è vita degna di figli di Dio, assomiglia al vomito dell'inferno'.

    Non ci vuole tanto per cogliere anche in noi i segni di ciò che 'non siamo' come creature di Dio, ma più simili a orfani sbandati in cerca della ragione della vita e della sua verità.

    E non passa giorno in cui non venga spontaneo sulle labbra, davanti alle tante cronache da brivido, la domanda: `Ma che uomini siamo?'.

    Ma la bontà e fedeltà del Padre non accetta di perderci per sempre e da qui il grande dono, inspiegabile alla nostra ragione, ma non alla nostra contemplazione: davvero il Padre desidera averci tutti a Casa, come 'figli amati', riaprendo le porte del Paradiso, ossia del Suo Cuore.

    Ma come arrivare ad essere nuovamente figli ed entrare nella santità e nella felicità, che è poi il desiderio profondo, come una nostalgia, che tutti proviamo, quando rientriamo in noi stessi?

    Da soli non avremmo mai potuto. Ma l'Amore del Padre ha riconciliato l'umanità, tramite il Dono del Figlio, perché potessimo tornare ad essere quello che davvero siamo, 'morendo a noi stessi', per `rinascere' alla vita di figli, che ci appartiene.

    La via viene indicata nel Battesimo di Gesù, che oggi celebriamo: un immergersi nelle acque totalmente, come un morire alla vecchia natura e un rinascere meravigliosamente come figli di Dio. Aveva iniziato Giovanni Battista, ad indicare la via. Lo racconta il Vangelo di oggi:

    "Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: 'Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da men E Gesù gli disse: 'Lascia fare per ora, perché conviene che così adempiamo ogni giustizia. Allora Giovanni acconsentì. Appena battezzato, Gesù uscì dall'acqua: ed ecco si aprirono i cieli e egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. Ed una voce dal cielo che disse: 'Questi é il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto". (Mt. 3, 13-17)

    Credo che tutti abbiamo assistito al Battesimo di qualche bambino, 'rivivendo' così il nostro stesso Battesimo. Prima di amministrarlo il sacerdote 'ci ha chiesto' solennemente (ai genitori, che poi sono stati chiamati a renderlo concretezza nella nostra vita): 'Rinunci a satana e a tutte le sue opere?... e, come conseguenza: 'Credi tu in Dio Padre,...?'.

    Forse senza comprendere fino in fondo la solennità dì quanto veniva chiesto, i nostri genitori hanno sempre detto – a nome nostro – 'Sì'.

    Un 'sì' che doveva essere, non la sillaba di un momento, ma una scelta che doveva o dovrebbe accompagnare i passi della vita del battezzato.

    Alla fine il sacerdote, dopo le assicurazioni, versandoci l'acqua sulla testa solennemente affermò: `Ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo'.

    In quel momento veniva cancellato il peccato di origine e si é 'rinati' a quella vita da Cielo, per cui siamo stati creati.

    UN ATTO SOLENNE, IL BATTESIMO, che non era e non è solo una bella cerimonia di un momento, MA LA PIETRA D'ANGOLO SU CUI COSTRUIRE LA NOSTRA VITA CON E VERSO DIO.

    È da quel divino e meraviglioso momento che possiamo rivolgerci a Dio e chiamarlo Padre, avendo la certezza di 'essere' figli. E questo per tutta la vita, fino alla gioia dell'eternità.

    Come a significare che eravamo 'finali a vita nuova', indossammo l'abito bianco, che deve essere `l'abito' da portare per tutta la vita.

    Non so, alla luce del Battesimo, cosa sia più dolce e rassicurante, se dire papà a chi mi ha generato e cresciuto o dire 'PAPA' a Dio che nel Battesimo mi ha fatto Suo figlio.

    Non so se sia più inebriante la tenerezza di una mamma o la tenerezza del Padre.

    So solo che vivere è dire un Grazie profondo ai miei genitori, perché facendomi battezzare hanno trasformato la mia vita in una eterna àgape con Dio e con gli uomini miei fratelli.

    So che le mani di una mamma hanno tracciato le linee del mio volto che si vede, ma so anche che le mani del Padre, con il Battesimo, hanno tracciato 'dentro di me' un volto la cui bellezza è simile alla Sua: una bellezza che a volte purtroppo, dissennatamente, sfregiamo irrazionalmente. So che il cuore dei miei genitori ha plasmato il mio, ma so anche che il Cuore di Dio, ogni giorno, cerca di plasmarlo a Sua immagine, in modo da farlo diventare un angolo di paradiso. Così affermava il grande card. Ballestrero, arcivescovo di Torino, al Sinodo sulla 'vocazione e missione dei laici nella Chiesa': "Punto di partenza per tutti, laici e ministri, è il Battesimo, fonte inesauribile che crea i nuovi figli di Dio, i nuovi fratelli in Cristo, le nuove creature...Dal Battesimo nasce poi e si sviluppa la varietà delle vocazioni, dei ministeri e dei carismi al servizio del Regno di Dio. Dal Battesimo fluiscono le ricchezze mirabili nella Chiesa". E il Concilio ha ancora parole più solenni, parlando di noi battezzati. Parole che ci danno l'ampiezza di quanto il Padre disse di Suo Figlio: 'Questo è il mio figlio nel quale mi compiaccio'. "Uno è il popolo eletto di Dio - afferma - un solo Signore, una sola fede, un solo Battesimo: comune è la dignità sui membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia di figli, comune la vocazione alla speranza e indivisa carità. Nessuna ineguaglianza quindi in Cristo e nella Chiesa per riguardo alla stirpe o nazione o condizione sociale o sesso". (L.G. 32)

    C'è allora da chiederci, e seriamente, perché sia tenuto in così poco conto questo dono da tanti battezzati, che considerano forse il Battesimo un rito o una formalità, più che la 'rinascita in e con Cristo'. Come mai non brilla sul viso la gioia di dire: 'Io sono battezzato', ossia, so di essere stato scelto da Dio e voluto come figlio, amato come nessun padre sa amare?

    Piace dire il mio — e credo anche vostro — Grazie per questo dono inestimabile, di essere diventati figli del Padre, con le parole del profeta Isaia, che la Chiesa propone:

    "Così dice il Signore: 'Ecco il servo che io sostengo,

    il mio eletto in cui mi compiaccio.

    Ho posto il mio spirito su di lui: egli porterà il diritto alle nazioni.

    Non griderà, né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce,

    non spegnerà una canna incrinata; non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta. Proclamerà il diritto con fermezza; non verrà meno e non si abbatterà

    finché non si sarà stabilito il diritto sulla terra;

    e per la sua dottrina saranno in attesa le isole

    Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano;

    ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo

    e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi

    e faccia uscire dal carcere i prigionieri,

    dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre" (Is. 12, 1-7).

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    Coordin.
    00 14/01/2011 16:16

    II Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    Giovanni Battista presenta Gesù, che inizia la Sua missione

    Vi è sempre stato - ed oggi si fa più intenso - il desiderio di conoscere più intimamente Gesù, più profondamente e personalmente. Basta incontrare i tanti che hanno, soprattutto oggi, una gran voglia, leggendo le Sacre Scritture, di andare oltre le parole, per cogliere Chi le ha pronunciate nel Vangelo: Gesù.

    un desiderio intenso, che la dice lunga sul come Dio bussi alla nostra porta e voglia far parte della nostra vita, sapendo che senza di Lui si cala nel cuore una grande oscurità, si crea un vuoto incolmabile, che nessuno e nulla possono colmare.

    Il cuore dell'uomo sembra proprio contenga la nostalgia del Padre – anche quando non ne è consapevole – e si sente come orfano senza il Suo Amore.

    A volte, ingannati dalla nostra stessa ignoranza, crediamo che basti possedere tanto, in ogni senso, per poi alla fine accorgersi che quel 'tanto' è davvero nulla.

    Dopo duemila anni di cattolicesimo, in cui tutta la civiltà occidentale, e direi mondiale, è stata immersa nel cristianesimo, tanto da dettare persino una forte espressività nell'arte, nella cultura, pensando alla fatica che ciascuno prova nel credere, si ha come l'impressione che Gesù sia appena nato, e quindi tutto da cercare.

    Ma questo non è un'assurdità, ma il lato meraviglioso che dobbiamo conservare. In ogni tempo, ogni uomo deve prendere atto che nel suo cuore vi è la nostalgia della ragione per cui vive: ognuno deve scoprire – in prima persona - Chi lo ama sinceramente, Gesù, fino al punto da farsi come noi nel Natale e nella vita, fino alla morte in croce per noi.

    Davvero questa ricerca è la grandezza mai sopita di ciascuno.

    Ci si rende conto, se non si è totalmente dominati, come schiavi, dal consumismo e dal materialismo, che ci riduce a nulla, che la nostra immagine stessa non è vera se non riporta la Sua immagine, che il nostro volto perde ogni contorno, se non riflette il Suo Volto, anche se cerchiamo di donargli una bellezza artificiale.

    La nostra gioia non può essere veramente tale, se non si attinge a piene mani nella Gioia, unica, di Dio; le nostre mani rimangono vuote di fatti autentici, se non diventano mani di Gesù, e il nostro cuore è un baratro spaventoso, anche quando crede di amare, se il nostro amore non attinge la sua forza e non è continuamente generato e alimentato dal Suo Amore.

    I nostri discorsi di pace sono un vuoto scorrere di parole, che si ripetono come un ritornello, se a riempirle non c'è Lui, Principe della Pace; la nostra stessa voglia di verità è un girare a vuoto nella nebbia del dubbio, se non ci lasciamo 'possedere' da Lui, che è la Verità.

    Il Vangelo di oggi ci dona la preziosa testimonianza di Giovanni Battista che, dopo averLo cercato per anni, vivendo nel deserto, che è il luogo dove l'uomo trova la via per incontrarLo, e si fa apertura al Suo avvento, mentre Lo annuncia, finalmente si trova a Tu per tu con il Maestro, all'inizio della Sua missione tra di noi.

    Così narra Giovanni, l'evangelista:

    "In quel tempo Giovanni Battista, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: 'Ecco l'Agnello di Dio, ecco Colui che toglie il peccato del mondo! Ecco Colui del quale io dissi: 'Dopo di me verrà un uomo che mi passa avanti, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua, perché Egli fosse fatto conoscere a Israele'.

    Giovanni rese testimonianza dicendo: 'Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di Lui. Io non Lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua, mi aveva detto: 'L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito, è Colui che battezza in Spirito Santo. E io ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio". (Gv. 1, 29-34)

    Nel pronunciare questo atto di fede o se vogliamo questa presentazione di Gesù al mondo, e quindi a noi, da parte del Profeta, Giovanni avrà provato l'intensa Gioia di chi, per dono di Dio, può contemplare il Volto del Padre, che è in Gesù, Suo Figlio.

    Ed è la stessa Gioia, che si riflette sul volto di tanti fratelli nella fede, quando parlano di Gesù; spesso non è un discorso fatto di parole, ma la Sua Presenza in loro, attraverso gli occhi, i gesti, che sono il rosario della vita, li illumina e brilla attorno a loro.

    Ma chi è davvero Gesù per noi?

    Così si interrogava Paolo VI:

    "Chi è Gesù? E il Figlio di Dio fatto uomo. Questa è l'affermazione e il fulcro della rivelazione e della nostra fede. È l'affermazione che obbliga il mondo, ogni coscienza, a prendere una posizione spirituale e morale decisiva sul valore della propria esistenza. Ha cominciato a svegliare e a mettere in moto dei poveri pastori, nel primo momento che è stata annunciata la Sua Presenza.

    Non lascerà più indifferente alcuna generazione o manifestazione di vita. Sarà l'insonnia del mondo. Sarà l'aspirazione somma della spiritualità. Sarà la forza segreta che consola, che guarisce, che nobilita l'uomo, la sua nascita, il suo amore, il suo dolore, la sua morte. Sarà la vocazione del mondo all'unità e all'amore; sarà la costante energia a perseverare in ogni secolo ed in ogni circostanza nella ricerca del bene e della pace; sarà lo spirito di pietà e di intelligenza, di santità, che solleverà a grandezza e pienezza le anime migliori di questa misera terra".

    Troppo spesso, purtroppo, se ci interroghiamo davanti a Gesù, ci accorgiamo di essere ín contraddizione: Lo vorremmo con noi, ma abbiamo paura di appartenerGli.

    Proprio in questa consapevolezza, vorrei chiedere ai miei carissimi, che mi seguono, una particolare comunione nella preghiera.

    Il giorno 16 è il mio compleanno, come molti ormai sanno. Sono tanti gli anni che Dio mi ha dato, onorandomi della Sua chiamata al sacerdozio, all'episcopato, nel servizio dei fratelli. A volte srotolo fatti grandi e piccoli e mi stupisco di quanto Dio ha compiuto 'usandomi'. Fa davvero 'cose grandi' e lo posso testimoniare guardando a quanto Dio ha operato.

    Spesso mi chiedo, ancora oggi, a 88 anni, dove trovo la salute, l'energia per servirLo con immutata forza. Guardando alla mia vita, quanta, ma quante persone ho incontrato, non solo nei luoghi dove mi aveva posto, ma in tutta Italia, invitato a portare testimonianza.

    Mi confondo — leggendo i vostri scritti — della fiducia che avete e non sento di meritare. So solo di offrire tutto l'amore possibile, cercando di darvi una mano a crescere nella santità.

    Sono davvero commosso del grande affetto che sempre mi viene manifestato. Grazie. Potete contare sul mio, che si fa servizio nel partecipare Dio che ama. Grazie, carissimi, continuiamo a volerci bene, tenendoci per mano, nella comunione dello Spirito, nel non facile cammino della vita. Oggi prego Gesù così:

    "O Gesù, sei la nostra vita. Cosa sarebbe la mia vita senza di Te?

    Eppure con tutto il desiderio che ho di lasciarmi vivere da Te,

    a volte mi aggrappo alla mia miseria.

    Fa' o Gesù che muoia a questa vita, per vivere solo di Te.

    O Gesù, molte volte, Ti grido che Tu sei il mio Tutto,

    perché nulla può chiamarsi 'qualcosa', se non ci sei Tu a dargli senso.

    Eppure poi, a volte, mi aggrappo a tanti piccoli 'niente'

    ed ho come l'impressione di una inutile corsa, che mi fa trovare sempre allo stesso posto. O Gesù, Ti ho sempre davanti, appeso ad una croce,

    con la sensazione che sia stato io ad appenderti.

    Scendi da quella croce e metti me in croce,

    perché Tu possa muoverTi liberamente nella mia vita,

    fino ad essere la mia resurrezione, il mio amore infinito per gli altri.

    Ed infine, o Gesù, ti ringrazio per avermi amato per tutta la vita,

    perché Tu possa, attraverso la mia miseria, continuare ad esprimere il Tuo Amore,

    per i tantissimi che poni sulla mia strada, con cui cerco di camminare, e guidare, verso di Te. Ma Tu continua a farmi da Guida, fino alle porte del Cielo".

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    00 22/01/2011 19:16
    III Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    Occorre cambiare mentalità, per seguire Gesù, Figlio di Dio

    A trent'anni - così è nella tradizione - Gesù lascia alle spalle il lungo silenzio della sua vita nascosta, nell'umiltà della vita quotidiana, a Nazareth.
    Una vita semplice la Sua, scandita dalle ore del lavoro e del riposo, come la viviamo tutti.
    Una vita certamente intensa interiormente, tutta tesa a capire, accogliere e vivere la missione, che il Padre Gli aveva affidato. Lui, Gesù, era ed è il segno dell'Amore di Dio per noi e tra noi.
    E Lui, con la sua vita, doveva iniziare la 'nuova creazione', dopo il disastro provocato dalla superbia dell'uomo, con il peccato originale.
    La 'nuova creazione' era ridonare all'umanità, ad ogni uomo, la sua vera immagine 'a somiglianza di Dio' e riammetterlo nel Suo Regno.
    Si ha come l'impressione che Gesù non avesse fretta - come accade invece sempre a noi - non `facesse nulla' per accelerare la novità del Regno.
    Si lascia 'smuovere' nel momento in cui Giovanni Battista, l'ultimo profeta, mandato a preparare le vie del Signore - e questa volta a indicare la presenza del Messia - grida dal deserto la Sua venuta e, in preparazione ad essa, invita tutti - ieri e oggi - a cambiare mentalità e vita, senza eccezioni, Non era e non è possibile accogliere il Cristo, seguirLo con fedeltà, calcando piste che nulla hanno a che fare con Dio.
    E Giovanni esprimeva questa volontà di cambiamento con un segno ricco di significati biblici: battesimo di penitenza ed il battesimo nell'acqua.
    Immergersi nel Giordano voleva proprio significare farsi lavare da ogni atteggiamento contrario alla volontà di. Dio. Anche Gesù, abbiamo visto domenica scorsa, si fa. battezzare.
    Intanto Giovanni viene arrestato, perché era una voce che dava fastidio, per cui conveniva che tacesse, gettandolo nel fondo di una prigione.
    Erode non sapeva, che quella voce non poteva, essere affossata, né tantomeno messa a tacere
    Anche oggi in tanti modi si tenta di mettere a tacere ogni voce di libertà: a volte semplicemente non dando spazio, ignorandola, cercando di appannarla. Sono i tanti silenzi imposti anche oggi, dando spazio a tante parole vuote, inutili, se non. dannose.
    Ma succede che più si cerca di ignorare o mettere a tacere la voce di Dio, tanto più questa diventa incisiva e forte. Non si può far tacere Dio.
    Basta pensare a tanti fratelli e sorelle che dall'inaffidabile intolleranza, dai governi autoritari si. cerca di mettere a tacere: il loro 'silenzio' grida!
    Quante volte, forse, è capitato anche a noi che, travolti dal grande rumore del mondo, nei momenti della sofferenza e della solitudine, nel silenzio, abbiamo sentito la profonda. 'sete' di udire parole vere, quelle che, se accolte, fanno ritrovare la bellezza dell'aria pulita, che ridona il respiro. È dannoso il rumore del mondo... ma ci sono sempre, e per tutti, momenti di silenzio, in cui ci si pongono i grandi problemi della vita.
    Così racconta il Vangelo oggi:
    "Gesù, avendo saputo che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, e, lasciata Nazareth, venne ad abitare a Cafarnao, presso il mare, nel territorio di Zabulon e di Nèftali, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: 'Il paese di Zabulon e il paese di Nèftali, sulla via del mare, al di là del Giordano, Galilea delle genti; il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce: su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte una luce si è levata'. Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: 'Convertitevi, perché il Regno dei Cieli è vicino". (Mt. 4, 12-17)
    Vorremmo fermare la nostra storia qui per un momento: noi ci diciamo cristiani, ossia seguaci di Gesù, ma con troppa facilità, forse, 'usiamo', sbandierando a proposito e a sproposito questa qualifica, che invece comporta grandissima responsabilità.
    Gesù inizia la sua missione tra dì noi, subito richiamando quanti avrebbe incontrato, con una parola di grande spessore nella fede: `Convertitevi!'.
    Sappiamo tutti che 'siamo figli di Adamo', ossia andiamo fuori strada facilmente.
    Con il Battesimo, che abbiamo ricevuto, dovremmo invece percorrere i sentieri che portano a Dio e sono le vie dei figli di Dio.
    Ma basta dare un'occhiata seria alla vita e ci accorgiamo che, da soli restiamo peccatori incalliti, e, quando va bene, e ci sostiene la Grazia, almeno siamo in ricerca di conversione.
    Ma quanta gente si pone questa necessità ed urgenza di ricerca?
    Non è facile uscire da questo mondo, che pure è disinteressato alla nostra vera felicità ed è tutto intento ad offrirci solo quello che poi crea in noi tanto. vuoto.
    È lo stesso mondo che ha trovato Gesù nell'iniziare la Sua missione tra di noi: un mondo con una mentalità che doveva essere cambiata, se si voleva entrare nel Suo Mondo, che è il Regno dei Cieli. Tutto questo vale anche per noi, oggi.
    Per arrivare al cambiamento non rimaneva - e non rimane - che 'convertirsi': `Convertitevi – ci chiede – perché il Regno dei Cieli è vicino'.
    Così Paolo VI spiegava il concetto di conversione:
    "C'è non poco da cambiare dentro di noi; è necessario rimodellare la nostra mentalità; avere il coraggio di entrare fin nel segreto della nostra coscienza, dei nostri pensieri, e là operare un cambiamento. Questo, inoltre, deve essere vivo e sincero, da produrre – e siamo ancora nel contenuto della parola 'conversione' – una novità. E allora ci chiediamo: che cosa fare per ottenere un tale risultato e come comportarci? La risposta è ovvia: entrare in noi stessi, riflettere sulla propria persona, acquisire una nozione chiara di quel che siamo, vogliamo e facciamo e, a un certo momento, - qui la frase drammatica e risolutiva – rompere qualcosa in noi, spezzare questo o quell'elemento che magari ci è molto caro ed a cui siamo abituati. Il termine 'conversione' allora entra in questa profondità e dimostra queste esigenze".
    Non è facile tutto questo,. Ma, con la Grazia di Dio e la buona volontà, è possibile.
    E nel mio lungo stare, come ministro della conversione e riconciliazione, ho avuto modo di vedere tante, ma tante, conversioni. Alcune di grande spessore.
    Ne ricordo in particolare due. Una, quando ero ancora giovane chierico, di un mio 'speciale' confratello: Padre Rebora, poeta e per tanti anni agnostico.
    Raggiunto dalla 'chiamata' del Signore e con l'aiuto di tanti, scelse la vita religiosa, consacrandosi totalmente al Signore. Cancellò il suo passato con un colpo di spugna_ E lo racconta in una bella poesia in cui immagina di sentire lo straccivendolo che si porta via le sue opere letterarie e gode per questo suo passato... spazzato via. Iniziava una vita totalmente nuova, al punto che noi giovani non conoscevamo nulla del suo illustre passato di poeta. Passeggiando con lui, accennando a scrittori e poeti, non rispondeva mai, lasciandoci nel buio sul suo passato, ma aveva nel presente tutti i segni delle persone "rinate a vita nuova'.
    Da parroco, nel Belice, ebbi occasione di conoscere un uomo, dichiaratamente ateo, che non lasciava passare occasione per 'dimostrarlo'. Il terremoto lo costrinse a rivolgersi a noi Padri, per un soccorso. Voleva ricostruire una piccola casa in campagna, perché per la sua salute non gli era possibile vivere nella provvisorietà delle tende. Veniva di notte, alla nostra tenda, per chiedere aiuto, che gli era dato, ma sempre ripeteva: 'Non comprate, però, le mie convinzioni!'.
    Ogni volta sempre lo stesso ritornello e noi a rispondere che la carità è donare, non chiedere rimborsi di alcuna specie. Ad un certo punto, e non saprei spiegarne le ragioni, cambiò tutto. La sua conversione fu totale, al punto da diventare testimonianza presso la comunità. Disse che era stato colpito dall'essere stato accolto senza richieste, rispettando le sue idee, ed agli amici ripeteva: `cambiate vita State sbagliando'. Incredibile.
    Ma ci sono anche tante conversioni silenziose, che mostrano come la Grazia di Dio continui ad operare salvezza senza rumore. E sempre vero: 'Fa tanto rumore l'albero che cade, è silenziosa la foresta che cresce'.
    Forse anche noi dovremmo, per un momento, ascoltare in silenzio le profondità del nostro cuore, che chiede un cambiamento di vita_ Può essere duro cambiare, ma poi Dio ricambia con una serenità e felicità incredibili. Quanta gente 'rinata' ho incontrato.
    Cosi descrive il profeta Isaia la gioia della conversione:
    "Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce:
    su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse.
    Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia.
    Gioiscono davanti a Te, come si gioisce quando si miete,
    come si esulta, quando si divide la preda.
    Poiché Tu, come al tempo di Madian, hai spezzato il giogo dell'oppressione, la sbarra che gravava sulle sue spalle e il bastone del suo aguzzino". (Is. 1, 1-4)

    E, come ad indicare la novità di vita, seguendoLo, il Vangelo di oggi riporta la chiamata di quelli che saranno i Suoi apostoli:
    "Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti, perché erano pescatori. E disse loro: 'Seguitemi, vi farò pescatori di uomini. Ed essi, subito, lasciate le reti, Lo seguirono.
    Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedeo, loro padre, riassettavano le reti e li chiamò. Ed essi, subito, lasciata la barca e il padre Lo seguirono. E percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle sinagoghe e predicando la Buona Novella del Regno e curando ogni sorta di malattie ed infermità nel popolo". (Mt. 4, 18-23)
    Cosi Gesù dà inizio alla Sua missione tra di noi, chiamando vicino a Sé, 'per poi mandarli', quelli che 'ha scelto' come Apostoli.
    E' davvero impressionante come abbiano lasciato tutto, per seguirLo.
    Una grande lezione di fiducia, di abbandono e di pronto `si' a Chi avrebbe fatto di loro, poveri pescatori, le 'colonne' della Sua Chiesa.
    Non ci resta che stupirci, ringraziare e prendere esempio.

    Antonio Riboldi – Vescovo –
    Internet: www.vescovoriboldi.it
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    00 03/02/2011 21:42
    Il segreto della felicità: le BEATITUDINI

    Ci sono parole di Gesù, che sono rimaste e rimangono nella mente di tutti, a partire da chi ha fede, come 'una traccia di Dio e del Suo pensiero', che va oltre le idee o i disegni degli uomini, che normalmente sono di breve durata e non possono essere la nostra vera storia...

    Quelle di Gesù sono le risposte che l'uomo, nel profondo del suo essere, cerca, quando si fa condurre per mano dalla sete di verità e di felicità.

    Sono parole, quelle del Maestro, simili ad un eterno arcobaleno, che non sai se parta dalla terra o dal cielo, ma sai che li unisce, infondendo serenità. Ben diverso dai 'fuochi d'artificio' che bucano per un istante il cielo con una luce abbagliante, per poi lasciarti subito e nuovamente nel buio delle illusioni.

    Si è scritto tanto sulle Beatitudini, che Gesù lasciò come 'codice' infallibile della felicità e santità, e come 'sentiero' dei passi di vita di chi crede e anche,.... se ha buona volontà, di chi dice di non credere!

    L'uomo è plasmato da Chi, per sua natura, è Beato: Dio. Lui è tutto e lo è sommamente: la più grande ed inimmaginabile ricchezza di cuore che si possa immaginare; l'Amore più grande che si possa ricevere; la Dolcezza e la Pace e la Misericordia, che tutti vorremmo avvolgesse i passi della nostra vita. Non può quindi l'uomo non sentire come 'suo', il desiderio infinito di beatitudine.

    Ecco perché il profeta Sofonìa dice:

    "Cercate il Signore voi tutti poveri della terra, che seguite i Suoi ordini; cercate la giustizia, cercate l'umiltà, per trovarvi al riparo nel giorno dell'ira del Signore". (Sof. 2,3)

    Difficile commentare o esprimere tutta la bellezza delle Beatitudini, che sono il segreto della gioia, qui, ora. Per questo lascio la parola a Paolo VI, vero maestro di santità:

    "Giorno benedetto è quello in cui la Chiesa fa riecheggiare ai nostri animi la sequenza squillante delle beatitudini evangeliche. Ancora prima di considerarne il senso, la voce che le ha proclamate ci sorprende, piena di forza e di poesia: è la voce del Maestro, che per noi le ha formulate e che ci appare nella sicurezza e nella maestà, semplice e sovrana, di chi sa parlare al mondo e guidare i destini dell'umanità. Gesù tiene cattedra sulla montagna: lo circondano i discepoli, futuri apostoli e docenti della terra; poi a circoli sempre più larghi nello spazio e nel tempo, uditori o no, gli uomini tutti: ultimi, oggi, noi stessi. É Cristo che annuncia il suo programma e condensa in sentenze limpide e scultoree tutto il Vangelo.

    Il Regno della terra e il Regno del cielo, hanno nelle beatitudini il loro codice iniziale e finale. Ascoltiamo la fine e austera sequenza:

    `Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

    Beati gli afflitti, perché saranno consolati.

    Beati i miti, perché erediteranno la terra.

    Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.

    Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

    Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

    Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

    Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

    Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.

    Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli". (Mt. 5, 1-12)

    "Chi non ha ascoltato le beatitudini – continua Paolo VI – non conosce il Vangelo. Chi non le ha meditate non conosce Cristo.

    In altre parole, Cristo ha esaltato nelle beatitudini non tanto delle misere condizioni umane, quasi queste fossero fine a se stesse, ma piuttosto ha predicato delle virtù magnifiche, che dalle misere condizioni umane prendono il nome e che mediante quelle possono fare buono e grande e pio l'uomo pellegrino.

    E perciò ha fatto scaturire dal suolo arido e sterile delle nostre deficienze e delle nostre sofferenze, stupende energie morali e spirituali; ha portato a termine la scoperta che i più alti spiriti umani avevano intuito, quella del distacco liberatore dai beni della terra, quella della nobiltà sacra e misteriosa del dolore, quella della inestimabile grandezza dei poveri e dei perseguitati, quella dell'eroismo di chi dà la vita per la giustizia e la verità, quella dell'affermazione trionfante che esistono valori, quelli del Regno di Dio, per cui la vita può essere spesa senza timore.

    Chi ha compreso questa difficile lezione e l'ha applicata alla propria vita è santo: è il beato, il perfetto. Resta che la lezione è difficile. La perfezione del Vangelo ha queste due facce, una di rinuncia e di penitenza, qui, e una di pienezza e di gioia, là. La parola di Gesù è una spada a due tagli: ferisce e guarisce, esige e regala, addolora e consola.... Purtroppo il mondo che ci circonda e che pare stia voltando le spalle a Cristo, la dimentica, la deride, facendo della felicità presente (ma possiamo chiamare 'felicità' quella momentanea soddisfazione che a volte cerchiamo tanto?) lo scopo prevalente di ogni umana fatica, mentre gli stessi credenti, partiti per portare un ordine cristiano alla nostra società, talora, sembra che non abbiano altre promesse da fare che quelle di un benessere materiale, legittimo sì, e doveroso, ma insufficiente a fare buona e felice l'umanità, e non sanno offrire agli uomini del nostro tempo, le più alte e più vere promesse, quelle dei beni morali, dei beni spirituali, dei beni religiosi.

    E allora ricordare e meditare le beatitudini, per capire che qui è l'umanesimo vero, qui il cristianesimo autentico, qui la beatitudine vera."

    Che importavano a S.Francesco d'Assisi le ricchezze del mondo, una volta che si era fatto possedere interamente dall'amore di Dio? In lui la povertà diventò totale libertà e piena accoglienza della gioia che solo Cristo sa donare. E fa esplodere la sua irrefrenabile gioia nel cantico delle creature, che sembra davvero un'aggiunta alle beatitudini di Gesù.

    E grazie a Dio, ancora oggi, ci sono cristiani che le beatitudini le vivono pienamente, da quella della povertà in spirito per farsi dono a chi davvero e povero. Quanti meravigliosi esempi quotidiani e testimonianze delle beatitudini. Quella cara e semplice donna, che venne una sera a donarmi tutto quello che aveva, perché affermava che 'possedere senza essere aperti alla carità è brutto egoismo'.

    E nel privarsi di tutto si sentiva davvero beata.

    Ma come dimenticare che la povertà di un tempo, spesso anche oggi non lontana da noi, si viveva e vive in tante famiglie: una povertà dignitosa che quasi automaticamente attirava e può attirare a sé tutte le altre beatitudini.

    E come non rimanere stupiti dei sacrifici dei martiri - di ieri e di oggi, in tante parti del mondo - che a volte cantavano mentre erano torturati:? O del coraggio degli operatori di pace che hanno dato e danno la vita per portare dignità uguale per tutti?

    Forse fa impressione l'arroganza di chi mostra il culto del benessere, senza che nemmeno lo sfiori il dubbio che tante volte il suo 'star bene' è un furto che crea poveri, non di spirito, ma di pane e di vita.... Sono comunque 'i poveri', tutti i poveri, gli umili, coloro nei quali Cristo si è identificato... Se vogliamo conoscere la sospirata felicità, che davanti a Dio diventa santità, occorre almeno `sfiorarle', le beatitudini, per capire che sono la sola via alla vera nostra realizzazione e cosi sapremo voltare le spalle alle 'beatitudini bugiarde del nostro tempo'.

    Ne avremo la forza, con l'aiuto di Dio. Ne vale la pena per non diventare schiavi del mondo e delle sue mode.

    Scriveva don Tonino Bello:

    "Noi viviamo in un mondo che purtroppo attira con i suoi fascini, inganna con le sue lusinghe. Secondo gli ideali del mondo, ogni attività dovrebbe essere in funzione dei divertimenti, della fortuna, nella ricerca e nel conseguimento del successo in tutte le varie attribuzioni della esistenza terrena. Intenti solo a questa caduca finalità, non si fa che tenere gli occhi fissi sulla terra e non si pensa a guardare il cielo. Allorché invece, si vive secondo la fede, quando al mattino al primo suono della campana dell'Angelus, si innalza il pensiero a Dio, e si invoca il patrocinio della Madre Sua, poi in tutte le altre evenienze della giornata, si è animati da quella ispirazione, allora veramente si può dire che la vita è conosciuta nella sua 'beatitudine'."

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    Credente
    00 05/02/2011 09:33
    V Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    Una grande MISSIONE per noi: `Voi siete la luce del mondo'

    Per entrare nella bellezza della missione che Gesù ci ha dato, è bello, oggi, farsi inondare dalla parola del profeta Isaia:

    "Così dice il Signore:

    `Spezza il pane all'affamato, introduci in casa i miseri senza tetto,

    vesti chi è nudo, senza distogliere gli occhi dalla tua gente.

    Allora LA TUA LUCE SORGERÀ come l'aurora, la tua ferita si rimarginerà presto.

    Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà...

    Se toglierai di mezzo a te l'oppressione, il puntare il dito e il parlare empio,

    se offrirai il pane all'affamato, e sazierai chi è digiuno,

    allora BRILLERÀ FRA LE TENEBRE LA TUA LUCE,

    e la tua oscurità sarà come il meriggio" (Is. 58, 7-10).

    Credo che abbiamo sperimentato tutti la sensazione dell'insicurezza e dello smarrimento, che a volte sconfina nella paura, quando d'improvviso se ne va la luce in casa o per le strade, in cui stiamo camminando. Tutto assume una dimensione diversa: non sai più dove sei, quale ostacolo ci sia davanti a te, dove mettere i piedi... e viene spontaneo cercare aiuto.

    Provai una volta, di fitta nebbia, a trovarmi per strada in macchina. Non si scorgeva neppure la linea bianca, che sulla strada accompagna. Riuscii a raggiungere il bordo della strada. Mi fermai, abbandonai la macchina, preferendo fare il resto della strada a piedi.

    Immersi nel buio, quando poi torna la luce, proviamo un senso di profondo sollievo e gioia, come avessimo scampato un pericolo.

    Oggi – e facciamo bene attenzione – l'umanità, e forse anche qualcuno di noi, per le più svariate ragioni, è come se avesse smarrito la luce della vita.

    Ci sentiamo avvolti da pericolose tenebre dentro e fuori.

    Sentiamo tanti discorsi sulla pace, sull'onestà, ma a volte sembrano come 'schiacciati' dalle tenebre del vivere quotidiano, tanto da non sapere più se sia il caso di ascoltarli e credervi.

    Basta uno sguardo al nostro mondo – lontano e vicino – per accorgersi che c'è troppa gente che vive brancolando, come se non riuscisse a trovare il senso stesso dell'esistere, o 'ingabbiata' in 'ideali', che di senso ne hanno ben poco, per una pienezza di umanità.

    Trovare la ragione, che riporti un poco di serenità, è come trovare la strada giusta, smarrita nelle tenebre che ci sono in noi e fuori di noi.

    Lo constatiamo tante volte, noi pastori, incontrando persone in cui lo smarrimento è visibile e si rivolgono a noi per trovare la causa di tale stato d'animo persistente e ricevere una parola che le aiuti a ritrovare il senso vero e profondo della vita: la luce che si è smarrita... in tanti, credetelo. Un dramma che a volte si cerca di ignorare, creando attorno un chiasso, che, quando finisce, altro non determina che l'aumento del buio 'dentro'.

    A volte questa oscurità diventa insopportabile, quando muore qualche persona che per noi è stata un punto di riferimento, come un raggio di luce, di cui non eravamo forse neppure del tutto consapevoli. Per chi non ha fede, difficile, in questi casi, ritrovare la serenità, la luce.

    Viene da chiederci: a chi rivolgersi, perché ce la ridoni?

    Chi si è definito 'Luce del mondo' è Gesù, il Figlio di Dio, che ci ha rivelato il Volto del Padre ed è il Vivente, sempre accanto a noi.... 'in noi'.

    Ma purtroppo, come avverte l'evangelista Giovanni, in un tempo di poca fede, 'venne la Luce e il mondo è stato fatto per Lui, ma il mondo non Lo riconobbe'.

    E, non riconoscere - sempre, ma soprattutto nei momenti difficili - che c'è una Luce in noi, che è Gesù, è scegliere di vivere nelle tenebre, ossia vivere delle vanità dell'orgoglio, la sola impossibile luce della vita.

    Dovremmo ricordare sempre che l'orgoglio, il potere, l'autosufficienza, la ricchezza, non danno mai quello che promettono e non possiedono, ossia la luce dell'anima.

    Viverci in mezzo è come essere soffocati dall'ansia e dall'angoscia.

    A tutto questo smarrimento dell'anima, che fa perdere il senso e la bellezze, della vita, risponde, oggi, Gesù: parole che sono la vera 'sfida' di Dio alla cecità dell'uomo.

    "In quel tempo – racconta Matteo – Gesù disse ai suoi discepoli: 'Voi siete il sale della terra, ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.

    Voi siete la luce del mondo: non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa.

    Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei Cieli". (Mt. 5, 13-16)

    Ed ha ragione Gesù! Chi di noi si lascia penetrare dalla Sua Luce, nella vita è come se divenisse una luce per sé e per quanti lo accostano.

    Forse non è facile incontrare fratelli e sorelle che sono 'luce e sale', ma grazie a Dio ce ne sono.

    Non hanno bisogno di parlare o spiegare le ragioni della Luce... la Luce stessa si riflette nella loro vita, dando ragione di Sé.

    Non troveremo, forse, queste meravigliose persone tra la folla di un mondo chiassoso, ma possiamo incontrarle quando meno ce lo aspettiamo.

    Chi di noi non ha avuto il dono di conoscere o incontrare persone il cui sguardo, il volto, tutto il loro essere appare come illuminato e sereno? Non sono lontane da noi.

    Penso a Chiara Badano, una giovane ragazza morta di tumore osseo a 17 anni, beatificata il 25 settembre 2010. Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, le scrisse: 'Chiara Luce è il nome che ho pensato per te. E la luce di Dio che vince il mondo'.

    Nella sofferenza Chiara Luce scriveva, rivolgendosi ai tanti amici:

    "Sono uscita dalla vostra vita in un attimo. Come avrei voluto fermare quel treno in corsa che mi allontanava sempre più! Ma ancora non capivo. Ero ancora assorbita da tante ambizioni, progetti e chissà che cosa (che ora mi sembrano così insignificanti, futili, e passeggeri). Un altro mondo mi attendeva e non mi restava che abbandonarmi. Ma ora mi sento avvolta in uno splendido disegno che a poco a poco mi si svela".

    E chi non ricorda l'intensa luce che il caro Giovanni Paolo II sapeva effondere sul mondo, ovunque si recasse. Ricordo come, nelle Giornate Mondiali a cui ho partecipato, uno dei momenti più significativi fosse la veglia notturna. Gli occhi di migliaia di giovani, magari prima accecati dalle lucciole del mondo, davanti a lui era come ritrovassero la vera Luce. Più che sentire le sue parole, i giovani gioivano perché lui 'c'era'.

    Anch'io ero affascinato... era come se riuscisse a mettere in fuga le tenebre e false luci del mondo. Così come accadeva con Madre Teresa di Calcutta. La sola sua presenza emanava tanta, ma tanta luce... diventava 'Parola' che illuminava, altro non era che Gesù presente in in loro! Era davvero un dono incontrare e stare accanto a queste sorgenti di Luce.

    Ma senza fare ricorso a questi grandi dello Spirito, è facile incontrare gente semplice, il cui sguardo brilla di bontà e ridona il senso della bellezza della vita.

    Forse cominciando dalle nostre mamme o da persone che si incontrano o, ancora di più, persone da cui riceviamo il dono dell'amicizia.

    Anche le loro parole non sono mai un chiasso vuoto, ma sono pervase di quella saggezza e bontà che è la luce che cerchiamo.

    Gesù, oggi, chiama tutti noi, ciascuno di noi, ad 'essere luce e sale del mondo'.

    Occorre spogliarsi delle falsità del mondo, che fanno solo soffrire, e non avere paura di lasciarsi inondare dalla Sua Luce.

    questa che distingue ì veri discepoli di Gesù, e la loro presenza fa tanto, ma tanto, bene.

    Ci ridonano, quando li incontriamo, quella speranza che il mondo distrugge, come a dirci: Non è più solo terra quella che ci è dato vivere, ma siamo chiamati a vivere, già qui il Cielo.

    "La debolezza del mondo occidentale — affermava Paolo VI — sta appunto nella mancanza di una unica visione, diciamo meglio di un'unica fede.

    E perché a questa fede, la quale non può essere che quella di Cristo, da tante parti si contrasti la via; perché da tante guide e da tanti maestri di popoli essa sia taciuta o negata; perché quelli che aspirano a confortare la marcia della storia verso la libertà, verso la redenzione degli umili, questa luce la vogliono spenta e rinnegata e ne vogliano ripudiare i sacri e indispensabili principi, davvero non si comprende. Il rifiuto di questa fede, unica in grado di rendere il cammino faticoso del mondo più facile e più felice, proprio non lo si riesce a comprendere.

    Ma tant'è: la Luce di Cristo non si spegnerà per queste opposizioni e continuerà a splendere a salvezza di chi ne raccoglie i raggi benefici, a vantaggio anche di chi forse preferisce voltarle le spalle e pascersi tristemente della propria ombra". (21 aprile 1957)

    Quando, durante la S.Messa, proclamo la Parola di Dio, fisso sempre negli occhi chi mi ascolta e mi sorprende sempre vedere come molti occhi si riempiono di luce, come volessero farla ospite della vita. È davvero bello.

    Con il salmo 111 prego:

    "Il giusto risplende come luce. Beato l'uomo che teme il Signore:

    spunta nelle tenebre come luce per i giusti.

    Felice l'uomo pietoso che dà in prestito, amministra i suoi beni con giustizia. Egli non vacillerà in eterno: il giusto sarà sempre ricordato.

    Non temerà annunzio di sventura: saldo è il suo cuore, confida nel Signore. Sicuro è il suo cuore, non teme: egli dona largamente ai poveri,

    la sua giustizia rimane per sempre, la sua potenza si innalza nella gloria".

    Non mi resta che pregare per tutti noi, chiedendo a Dio che ci inondi della Sua Luce e che la nostra vita sia illuminata e doni sempre luce a chi ci è accanto e da Dio ci è stato affidato:

    "Voi siete la luce del mondo"

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    Coordin.
    00 10/02/2011 22:39

    VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    L’esigenza di un amore senza ‘se’ e ‘ma’

    Il Vangelo di oggi può apparire di una grande durezza, sulla bocca di Gesù. Ma non è così.

    L'amore e la giustizia devono possedere quella nettezza di verità che è nella loro stessa natura: non possono subire contraddizioni, che ne farebbero perdere la profonda e grande bellezza. Leggendo il Vangelo di oggi possiamo misurarci tutti su ciò che davvero siamo agli occhi di Dio. Credo sia bene leggere subito la Parola di Dio – ripeto – specchio di confronto per noi. Racconta Matteo: "Gesù disse ai suoi discepoli: 'Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge e i Profeti, non sono venuto per abrogarla, ma per darle compimento. In verità vi dico: Finchè non siano passati il cielo e la terra non passerà dalla legge neppure un loto, senza che tutto sia compiuto... Avete inteso che fu detto dagli antichi: 'Non uccidere, chiunque avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chi si adira con il suo fratello sarà sottoposto al Sinedrio; e chi gli dice pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna.

    Se dunque presenti la tua offerta all'altare, e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarci con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono...

    Avete inteso che fu detto: 'Non commettere adulterio', ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.

    Se il tuo occhio destro ti è di scandalo, càvalo e gettalo via da te; conviene perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna.

    E se la tua mano destra ti dà occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te; conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna.... Sia invece il vostro parlare sì, si, no, no: il più viene dal diavolo". (Mt 5,17-37)

    Possono davvero apparire dure le parole che oggi Gesù ci rivolge, ma Lui, Verità suprema, non poteva sottomettersi alle ambiguità, tante volte nostre, per cui non sappiamo rendere il nostro parlare un netto sì o no, ossia un autentico servizio alla verità.

    Oggi tira un'aria così nebbiosa di confusione e gelida di relativismo, che a volte tanti si arrogano 'il diritto' di farsi arbitri di ciò che è bene o male, a seconda della convenienza personale, travolgendo così gli eterni valori, fino a proporne altri....riduttivi o personalizzati, miseri se non scadenti, ma comunque sempre effimeri.

    E può così capitare che – anche senza l'autorevolezza che Gesù oggi manifesta – ma con il solo accennare alla necessità di essere giusti secondo Dio, operando, quindi, con coscienza retta, fedeli alla legge del Signore, si sia considerati come guardiani assurdi di un passato che, per 'essere moderni', è doveroso seppellire!

    Quante volte, forse, davanti alla nostra dimostrazione della verità della vita, ci si sente investiti dal rifiuto_ come fossimo noiosi o invadenti testimoni di ciò che non è più 'di moda'.

    E come voler mandare in soffitta la voglia di verità, l'eroismo dell'amore, la bellezza della giustizia. Quello che così facendo ci rimane... è nell'esperienza, a volte anche drammatica, di tutti: il rischio di definire buono ciò che è dannoso, tanto da considerare 'mentalità da Medioevo' la denuncia degli scandali, che troppo spesso si ripetono in mille modi tra noi.

    Ma un uomo senza fedeltà alla legge di Dio – unica via ad una piena realizzazione umana e spirituale – è come una casa tirata su senza i criteri che ne assicurino la stabilità, destinata presto o tardi a finire in rovina.

    Per capire, accogliere e vivere quanto Gesù afferma oggi, dovremmo ricordare una verità che tante volte è ignorata: Dio ci ha creati simili a Sé nella Santità, che non ammette ombre. Su questa consapevolezza di Santità – 'Chiunque è stato generato da Dio non commette peccato, perché un germe divino rimane in lui' (I Gv 3,9) - si può comprendere il linguaggio del Maestro oggi.

    Tutti sappiamo quanto costi aderire totalmente alla legge del Signore nella carità, nella giustizia, nella povertà. La nostra innata debolezza, purtroppo, a volte va esattamente contro la Parola. Gesù la conosce, perché l'ha assunta nella Sua Umanità, e così sa come venire in nostro aiuto. Non solo. Egli, il Misericordioso, sa ben distinguere tra la debolezza e l'accettazione del male come regola di vita: quest'ultima Gesù condanna!

    Nel Vangelo di oggi più volte ripete: `...Ma Io vi dico...' per sottolineare la distanza del suo modo di agire dal nostro, e ricordarci che, se davvero amiamo la Verità, è al Suo modo di pensare e vivere che dobbiamo conformare il nostro.

    Nella I Lettura di oggi, come a sottolineare quanto poi Gesù dirà, dall'Antico Testamento è tratto il brano del Siracide:

    "Se vuoi osservare i suoi comandamenti, l'essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere. Se hai fiducia in lui, anche tu vivrai. Egli ti ha posto davanti il fuoco e l'acqua: là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà. Grande infatti è la Sapienza del Signore; forte e potente, egli vede ogni cosa. I suoi occhi sono su coloro che lo temono, Egli conosce ogni azione degli uomini. A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare". (Sir. 15, 16-21)

    Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli, oggi, di fronte al dilagante permissivismo.

    Ma noi 'parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria.... Come sta scritto: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano'. (I Cor. 2, 7-9)

    E’ la logica della giustizia e dell'amore. E la ricerca della santità che deve vincere. Non quindi un'osservanza fredda, senza cuore, che rischia di scivolare nel rifiuto, ma la volontà amorosa di dire sempre 'sì' al Signore, che ci vuole bene ed è l'Unico a conoscere quale sia il 'nostro' vero Bene: diventare simili a Lui'.

    A volte seguire il Vangelo, che è seguire Gesù, chiede non solo generosità, testimonianza, ma anche eroismo, che è il segno dell'amore totale.

    Ricordo molto bene i tempi del terrorismo, quando tutti finirono la loro 'carriera' in carcere. Superando tante difficoltà, invitato da coloro che si erano dissociati, venni invitato a visitarli. Lo feci, andando in tutte le carceri italiane. Mi accompagnavano due grandi apostoli del perdono: Suor Teresilla, una consacrata incredibile, che sapeva attirare l'affetto e la stima dei terroristi, e Padre Bachelet, fratello del grande Bachelet ucciso dalle BR. Nei brigatisti che incontrai si notava il desiderio di uscire dal pericoloso tunnel dell'odio e della violenza, in cui erano sprofondati, per tornare a conoscere la bellezza di rapporti improntati alla fiducia, al perdono... alla carità. Eppure questo nostro avvicinarci a chi voleva 'risorgere' — pur accettando di scontare la giusta pena — 'scandalizzò' l'opinione pubblica, che ci accusava di un buonìsmo assurdo. Più volte venni aggredito verbalmente, come fossi un pazzo. E ricordo che, non sapendo più come comportarmi, mi rivolsi ad alcuni cari confratelli vescovi, chiedendo consiglio e aiuto nella preghiera. Il vescovo di Novara mi disse: 'Antonio, non fermarti. Tu stai cercando di bucare il grosso muro dell'odio e della diffidenza. Se riuscirai, diventerà una porta aperta al perdono anche tra la gente, ma se fallirai, preparati a pagare un duro prezzo, che sarà l'incomprensione e la condanna di molti'. Si riuscì ad aprire una porta e per essa entrarono molti volontari, ma soprattutto entrò il Vangelo che abbiamo letto: 'Se dunque presenti la tua offerta all'altare, e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarci con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono...

    Scriveva Paolo VI:

    `Tacciano un istante i nostri animi ed ascoltiamo: 'Io vi do un comandamento nuovo, amatevi gli uni gli altri come Io ho amato voi... '. Ancora si parla di amore. Ma questa volta l'amore deve partire da noi. All'amore ricevuto da Cristo, deve seguire il nostro per i nostri simili, per la comunità in cui ci troviamo e deve farsi riunione spirituale, perpetua.

    Una nuova circolazione di carità ci deve rendere da nemici amici, da estranei fratelli.

    Con questo paradossale impegno: dobbiamo amare come Lui ci ha amati. E quel 'come' dà le vertigini. Ci avverte che non avremo mai amato abbastanza. Ci avverte che il precetto della carità contiene in sé sviluppi potenziali, che nessuna filantropia potrà mai eguagliare.

    Purtroppo la carità è ancora contratta e racchiusa entro confini di costumi, di interessi, di egoismi, che crediamo essere dilatati. E, a nostro stimolo, e forse a nostro rimprovero, dalle labbra soavi e tremende di Cristo piovono queste indimenticabili parole: 'Da questo tutti conosceranno che siete miei discepoli: se vi amerete gli uni gli altri, come lo ho amato voi'.

    L'amore è così distintivo dell'autenticità cristiana, sempre, davanti ad ogni caso". (aprile 1968) Con il Salmo 118 preghiamo:

    "Beato l'uomo di integra condotta,
    che cammina nella legge del Signore.
    Beato chi custodisce i suoi insegnamenti
    e lo cerca con tutto il cuore.
    Tu hai promulgato i tuoi precetti
    perché siano osservati interamente.
    Siano stabili le mie vie,
    nel custodire i tuoi decreti.
    Sii benevolo con il tuo servo e avrò vita,
    osserverò la tua parola.
    Aprimi gli occhi perché io consideri
    le meraviglie della tua legge.
    Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti
    e la seguirò sino alla fine.
    Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge
    e la osservi con tutto il cuore."

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    00 18/02/2011 21:12

    VII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    Un amore che non conosce ostacoli

    Per natura siamo sempre pronti a 'mitigare' la profondità ed ampiezza che Dio ha dato alle virtù, a cominciare dall'amore. Per la nostra natura così debole e limitata, ci lasciamo prendere dagli eventi e seguiamo le inclinazioni della nostra sensibilità o istintività, sempre pronte a cedere. Gesù non fa sconti, e non poteva farli, per la natura stessa delle virtù, che chiedono di 'andare oltre' le nostre passioni.

    Il Vangelo di oggi offre alla nostra riflessione una delle pagine certamente più difficili da vivere, ma nello stesso tempo sono valori che distinguono noi, seguaci di Gesù, da chi non lo conosce o non lo segue.

    Già nell'Antico Testamento Dio ci avverte tramite Mosè:

    "Parla alla comunità degli Israeliti e ordina loro: 'Siate santi, poiché il Signore è Santo. Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai d'un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il prossimo tuo come te stesso. Io sono il Signore". (Lv. 1, 17-18)

    Gesù va oltre questa norma. Scrive l'evangelista Matteo:

    "Gesù disse ai suoi discepoli: 'Avete udito ciò che fu detto: 'Occhio per occhio, dente per dente: ma Io vi dico, di non opporvi al malvagio; anzi se uno vi percuote la guancia destra, tu porgigli anche la sinistra; e a chi ti vuole chiamare in giudizio, per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringe a fare un miglio, tu fanne con lui due. Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle

    Avete inteso che fu detto: 'Amerai il prossimo tuo e odierai il tuo nemico: ma Io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siete figli del Padre vostro celeste che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale merito ne avrete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date un saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli.

    Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli". (Mt. 5, 38-48)

    Specchiamoci quindi sull'esempio del Padre nostro che è nei cieli. Se c'è Uno che non si è mai sognato di fare del male agli uomini, è proprio Dio, che ci ha creati per farci partecipi della Sua stessa Beatitudine.

    E se c'è Uno che avrebbe tutte le ragioni per punire il male che riceve – le disubbidienze, le ribellioni, i rifiuti che continuamente ripetiamo con i peccati, l'indifferenza – sarebbe proprio e solo il Signore. Ma il Padre non si lascia fermare dai nostri rifiuti, resta – per nostra consolazione –fedele al Suo Amore. Non rinnega mai chi ha creato per amore, perché Lui, nella Sua Essenza, è Amore. Neppure ci abbandona quando noi Gli voltiamo le spalle. Anzi, non finisce di colmarci delle Sue tenerezze, come fa un padre – e molto più di un padre - verso un figlio che, con il suo errore, si trova maggiormente in pericolo, ossia indirizza, ogni sforzo d'amore per far capire al figlio che con le sue scelte sbagliate può perdersi e allontanandosi non potrà più godere neppure del Suo stesso Amore.

    Tutto questo Gesù lo rivela con la parabola del figlio prodigo, che dovrebbe essere sempre presente e vita al nostro cuore.

    Ma sappiamo tutti quanto siamo volubili e fragili, forse perché scambiamo la natura del vero amore con il fluttuante sentimento o con le ambigue emozioni.

    Quando si ama veramente – come ci amano le nostre mamme o i nostri veri amici – non ci si lascia mai prendere da altri sentimenti contrari o contrastanti. L'amore vero non conosce confini, limiti o avversità.

    Ricordo ancora quella mamma che, abbandonata dai figli, restò fedele all'amore per loro. Soffriva per il male che i figli le causavano ogni giorno, ma questo non la scoraggiava. Venne il giorno in cui stette davvero male. I figli lo seppero e, spinti forse da un senso di colpa, andarono a visitarla. Li accolse con tanta tenerezza e con parole che venivano dalle profondità del cuore: `Vi ringrazio di essere venuti. Non pensate che io non vì ami, anzi, sapervi contro e indifferenti, anche se non ne comprendo le ragioni, ha fatto aumentare l'amore. Ora siete qui_ É il dono più grande che potevate farmi. Mi avete fatto pregustare il paradiso che spero mi attenda'. Bastò questo a far sciogliere l'indurimento del loro cuore. Grandi cose può fare l'amore.

    Pensiamo al grande esempio di Gesù stesso. Aveva coperto di miracoli, guarigioni e verità il popolo d'Israele. Aveva dato tutto di Sé. Quando venne l'ora dell'odio non si sottrasse. Abbiamo tutti davanti agli occhi le terribili ore della Passione e Morte. Ma l'ultimo Suo insegnamento, sublime, sono le parole pronunciate dalla croce: 'Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno',

    Davvero Dio ha un Cuore grande e, creandoci, ce lo ha comunicato.

    Purtroppo però, tante volte, tra noi pare abbia la meglio il contrario.

    Ricordo, negli anni del terrorismo, con Padre Bachelet, che aveva avuto il fratello ucciso dalle Brigate rosse, quasi a volere indicare la via del perdono, fumino invitati a visitare tante carceri, dove erano detenuti i cosiddetti terroristi 'dissociati'. Era un gesto significativo, soprattutto per la presenza di Padre Bachelet, che proclamava come l'amore sa andare oltre il male ricevuto o subito.

    E ricordo lo stupore di tanti ex terroristi, che vedevano in questo atteggiamento di perdono, la via del ritorno alla vita, pur continuando, giustamente ma ora con una loro più piena consapevolezza, a scontare la propria pena.

    Avevano lasciato alle spalle la triste teoria che per cambiare l'Italia occorresse l'arma della violenza.

    Comprendevano che non era quella la via per creare una società più giusta e umana. Riconoscevano il grave errore di 'valutazione' commesso e le ingiustizie perpetrate ai danni di persone giuste e innocenti. Con Padre Bachelet e con la stupenda guida di una suora, diventata celebre per il suo stile di approccio con i detenuti, Suor Theresilla, cercavamo di aprire la via della speranza.

    `Eravamo convinti — ci dicevano — che per noi tutto fosse finito e ci consideravamo solo dei 'sepolti vivi', ma la vostra presenza ci fa sperare'. E fu così che ebbe inizio la riconciliazione.

    Ma il fatto non piacque all'opinione pubblica e ai massmedia, che vedevano questo nostro atteggiamento come una provocazione inaccettabile, solo un 'passare la spugna' su orrori che dovevano continuare ad indignare senza nessun perdono, tanto che lo chiamavano `perdonopoli'. Ricordo che un giorno, in una pubblica piazza, davanti ad un folto pubblico, cercai di spiegare la bellezza del perdono, proclamando il Vangelo di oggi.

    Alla fine del discorso mi si avvicinarono alcuni che espressero tutta la loro contrapposizione. 'Ammiriamo quello che lei ha fatto nel Belice e fa ora contro la camorra, ma non possiamo che condannare questa sua 'politica' del perdono: chi sbaglia deve pagare!'.

    `Avete ragione. Il male deve sempre essere riparato, ma questo non vieta di poter dare speranza a chi ha sbagliato'.

    Ero talmente bersagliato dalle disapprovazioni, che non riuscivo più a capire se dovevo continuare o lasciar perdere. A farlo apposta... quell'anno la Chiesa celebrava il suo convegno in Italia su `Riconciliazione e penitenza! Trovandomi a Novara, in compagnia con altri due vescovi, chiesi loro un consiglio. Uno, Mons. Magrassi, vescovo di Bari, ricordo che mi disse: 'Antonio, tu sei come una punta di acciaio che tenta di aprire uno spazio sulla via della riconciliazione e del perdono e sei davvero coraggioso e fai bene. I casi sono due: o ce la fai ad aprire uno spiraglio e allora diventerà, con il tempo, la larga via del perdono, o, se si romperà la punta,... dovrai essere pronto a pagarla!'

    Decisi di correre il rischio: la punta non si ruppe e fu aperta la porta della via della riconciliazione. Così come ricordo il grande esempio di Giovanni Paolo II che, colpito e ferito gravemente, mentre era tra la folla, una volta guarito volle incontrare il suo attentatore in carcere, offrendogli il suo perdono. Così sono fatti i veri discepoli del Signore. Non vivono, anzi, rifiutano la mentalità del `deve pagarmela' o 'me la lego al dito'.

    Noi cristiani, in famiglia, nell'ambiente di lavoro, in ogni ambito in cui viviamo, dovremmo essere coraggiosi testimoni del 'saper andare oltre' le offese e il male: questa è la via per 'piegare' i cuori duri. Non è facile, ma è la sola via della pace: una via che è dono della generosità del cuore. Cosi predicava Paolo VI nel Congresso Eucaristico internazionale di Bombay:

    "Oggi la fratellanza si impone: l'amicizia è il principio di ogni moderna convivenza umana.

    Invece di vedere nel nostro simile l'estraneo, il rivale, l'antipatico, il nemico, dobbiamo abituarci a vedere l'uomo, che vuol dire, un essere pari al nostro, degno di rispetto, di stima, di assistenza, di amore, come a noi stessi. Ritorna a risuonare al nostro spirito la parola stupenda di S_ Agostino: The i confini dell'amore si allarghino'. Bisogna che cadano le barriere dell'egoismo e che l'affermazione di legittimi interessi, particolari interessi, non sia mai offesa per gli altri.

    Bisogna che la democrazia, a cui si appella la convivenza umana, si apra ad una concezione universale, che trascenda i limiti e gli ostacoli ad una effettiva fratellanza". (dicembre 1964) Quanto sono attuali, necessari, urgenti, sempre, questi inviti.

    Con Madre Teresa leviamo una breve preghiera, perché regni l'amore tra le Nazioni e i popoli:
    "Mio Signore, possano le nazioni essere toccate dal Tuo Cuore,

    affinché lavorino per l'unità e con amore

    come strumenti per diffondere la pace su questa terra_

    Concedi ai potenti un cuore pulito, colmo di amore l'uno per l'altro.

    Fa' che ascoltino la Tua Parola di amore

    in modo da realizzare la tua pace attraverso il loro lavoro,

    perché la pace è un bisogno e deve essere un dono per tutti, senza eccezioni: un dono che ogni uomo di buona volontà sa costruire

    dove è, dove opera, a cominciare dalla famiglia"

    Antonio Riboldi – Vescovo
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    Coordin.
    00 25/02/2011 22:07

    VIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    Non affannatevi per il domani

    Fa veramente impressione la corsa affannosa dell'uomo - di sempre - alla ricerca di una sicurezza, di qualunque tipo sia il problema.

    E, se vogliamo, è innegabile che la sicurezza sia un grande bene, che dona serenità a chiunque, ma si rivela , ed è, spesso una difficile conquista.

    Penso ai precari, ai disoccupati, tanti, tantissimi, che non sanno come affrontare i tanti problemi personali o della famiglia e, a volte, dal lavoro passano alla strada.

    Così come penso a tanti ammalati che vedono sfuggire di mano quella serenità che si aveva quando si era sani o a coloro che per incidenti, si ritrovano a dover riprogettare la vita, con tanti ostacoli, che a volte possono apparire insormontabili.

    E non dimentichiamo gli anziani, con tutte le incertezze che questa condizione comporta. Difficile, insomma, che si possa vivere su questa terra una pienezza di sicurezza.

    Tante volte, per difendere la sicurezza economica, ci si barrica nelle case, circondandosi di mille allarmi, perché nessuno vi entri con cattive intenzioni.

    Si arriva a diffidare di quanti si incontrano e non si conoscono, vedendo in tutti un potenziale pericolo. Un male, questo, che purtroppo - lo scopriamo dalla cronaca - è riuscito comunque, molte volte, a raggiungerci tra le stesse pareti di casa.

    Senza contare che così facendo si perde quella serenità che si dovrebbe avere, nella consapevolezza che tutti, senza eccezioni, siamo nelle sicure mani di Dio.

    I veri fedeli non temono, ma continuano ad avere - nonostante tutto - tanta fiducia nella vita e nell'uomo.

    Così afferma il profeta Isaia oggi: 'Sion ha detto: 'Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato. Risponde Dio per tutti, anche per noi: 'Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo grembo? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, Io invece, dice Dio, non mi dimenticherò mai". (Is. 49, 14-15)

    Ma è tanto difficile entrare in questa atmosfera di serenità, per chi non ha tanta, tanta fiducia in Dio e, quindi, nell'uomo.

    L'uomo, nonostante tutta la sua ricerca di serenità, ha molte volte la sensazione di avere costruito nella vita un secchio pieno di fori sul fondo. Il difetto sta nel fatto che egli cerca la pace nelle sue forse. Ma le nostre mani sono monche, povere, sempre vuote, e riusciamo solo a riempirle di fumo, ossia di cose che spariscono con la rapidità delle ombre.

    Mani che ci illudiamo siano grandi da contenere il mondo e si rivelano capaci solo di contenere un po' di terra, rivelando il poco che umanamente sappiamo fare.

    Non è così per le anime di fede, che si affidano alla protezione e gioia di un Padre, che sa fugare le nebbie e rende i suoi figli davvero ambasciatori di serenità.

    Ricordo sempre la povertà della mia famiglia, con tanti figli. Si aveva poco, lo stretto necessario per vivere. Ma, ripensando oggi alla luce del Vangelo, comprendo la grande fiducia dei miei genitori, che erano sempre sereni, anche quando offrivano il poco che avevano, condividendolo. Sapevano che Dio non li avrebbe abbandonati. Ripenso alla sofferenza e umana preoccupazione di papà, ferito gravemente ad una gamba nelle acciaierie, che venne licenziato senza alcun risarcimento. Era il tempo del fascismo e delle poche garanzie. Appena potè, senza lamentarsi, ogni mattina partiva con la bicicletta in cerca di lavoro e tornava sempre a casa con il necessario per mantenerci. E quando scelsi di seguire la vocazione, non so come abbia fatto mamma a mettere insieme il corredo di biancheria .richiesto. Ma attraverso loro Dio mi ha insegnato quella serenità, che è poi stata la compagna della mia vita, anche quando nel Belice il terremoto mi lasciò senza nulla. Con i miei confratelli eravamo contenti del poco che ci veniva dato, anzi la gioia era di poter dare il più possibile ai tanti senza tetto. Era lì la nostra felicità.

    Un mondo - mi si dirà - irripetibile. Può darsi.

    Ma se si misura la vita con il metro della serenità, qual è il tempo, che ne manifesta di più?

    Quello di oggi, che non si accontenta mai di avere ed ha l'impressione di possedere sempre troppo poco o nulla, o il tempo delle mani vuote, ma con il cuore fiducioso e sereno?

    Gesù, oggi, vuole riportarci alla fiducia e alla serenità, quelle vere.

    Ascoltiamo la Sua preziosa Parola, che è davvero una luce per tutti:

    "In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: 'Nessuno può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro; o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di ciò che mangerete e berrete, e neanche per il vostro corpo di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito?

    Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai, eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?

    E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito?

    Osservate i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure, Io vi dico, che neanche Salomone con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.

    Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: cosa mangeremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani: il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno.

    Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la Sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena". (Mt. 6, 24-34)

    Una pagina di Vangelo che prende a schiaffi la corsa affannosa al consumismo, che crea solo disagio, irrequietezza e non accontenta mai.

    Ma, allora, Gesù vuole dirci che dobbiamo stare con le mani in mano, attendendo tutto dal Cielo? No. Ognuno deve conoscere la fatica quotidiana, come disse Dio ad Adamo, dopo il peccato: `Mangerai il pane con il sudore della tua fronte'. Ognuno deve operare affinché a se stesso, alla famiglia, all'intera comunità venga assicurata la dignità della vita.

    giusto, quindi, occuparsi del vestirsi, della casa, di tutto ciò che fa parte di questa nostra vita terrena, ma liberi da quella pre-occupazione, che fa diventare schiavi delle cose e ruba la serenità. Ogni giorno sul mio tavolo di vescovo giungono puntualmente per lettera o direttamente, le miserie del nostro tempo', e ce ne sono tante.

    Donne con il marito in carcere e i figli da mantenere, che portano sul volto il timbro inconfondibile dell'insicurezza. Uomini e donne in cerca di un lavoro, che li tolga dalla disperazione. Considero questi appelli come un appuntamento della povertà con la carità, lacrime di un'umanità che cercano due mani che le consolino, una voce che continui a ricordare la grandezza del Cuore di Dio che ripete: lo non ti dimenticherò mai'. Non è facile accogliere tutte queste lacrime nel palmo della propria mano. Si sente tutta la propria insufficienza, la povertà che si è. Ma, nello stesso tempo, la tremenda responsabilità che Dio affida.

    Noi cristiani, per quello che possiamo, siamo chiamati con la carità a colmare i tanti spazi vuoti che l'ingiustizia del mondo ha saputo creare con il benessere di pochi e la miseria di tanti. Ma bisogna che, a volte, usciamo dalla nostra sicurezza, per indossare le scomode vesti dell'insicurezza, sicuri che Dio sa come venirci in aiuto.

    Un grande esempio, ai nostri tempi, di come Dio si serva di persone 'umili e piccole' per essere Provvidenza, è certamente stata Madre Teresa di Calcutta, che ha davvero colpito il mondo per la sua immensa carità. Era una donna in cerca di diseredati, abbandonati a morire sul ciglio di un marciapiede, ma che per lei erano Gesù da pulire, rivestire, consolare, ridando loro dignità.

    Se si ragiona solo umanamente, considerando le sue forze, è impossibile capire come la sua carità abbia potuto giungere in tutto il mondo, come un ampio e caldo mantello per i poveri. Ho avuto la gioia di stare con lei per ben tre volte, durante dei Convegni.

    La sua sola presenza diventava una 'sferzata' al nostro egoismo, al nostro 'chiuderci in noi stessi', che è egoismo e negazione della carità. Ma era, la sua, una sferzata creativa, che faceva nascere in ciascuno che l'avvicinava la voglia di dare il meglio di sé.

    Con Madre Teresa preghiamo:

    "O Signore, affinché possiamo seguire il Tuo esempio,

    donaci la grazia di abbracciare la Tua povertà,

    come il più grande di tutti gli impegni umani.

    Rendici capaci di imitare nella nostra vita la povertà di Gesù

    e della Sua Santissima Madre.

    Fa' che perseveriamo su questa strada fino alla fine.

    Aiutaci ad esercitare il controllo più severo su noi stessi,

    affinché non abbandoniamo mai questo impegno,

    a causa della nostra debolezza o dei consigli altrui.

    Fa' insomma Gesù che io viva più per gli altri che per me stessa, come Tu vivesti noi più che Te."

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    Coordin.
    00 04/03/2011 22:52
    IX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    La Parola di Dio, seme di santità

    "Mosè parlò al popolo dicendo: 'Porrete nel cuore e nell'anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno, e le terrete come un pendaglio fra gli occhi.

    Vedete, io pongo oggi davanti a voi una benedizione e una maledizione: la benedizione se obbedite ai comandi del Signore vostro Dio, che oggi vi do; la maledizione se non obbedite ai comandi del Signore vostro Dio e se vi allontanate dalla via che oggi vi prescrivo, per seguire dèi stranieri, che voi non avete conosciuto". (Dt. 11. 18-28)

    Sappiamo tutti che il Signore ci ha concesso l'uso della parola, ma anche la libertà di scegliere se comunicare il bene o il male, l'amore o l'odio, la verità o l'errore. Lascia a noi, alla nostra libertà, la scelta, che dipende, quindi, dallo stato della nostra coscienza.

    I Santi, che avevano davvero la regola del buon uso della parola, la usavano in abbondanza per parlare con Dio e, se chiamati dall'amore, per comunicare verità e bontà al prossimo. Vediamo tutti come oggi il mondo sia sommerso dalle parole: un chiasso che tante volte infastidisce. Dalle TV che ne sono un fiume ininterrotto, giorno e notte, al nostro chiacchierare che il più delle volte contiene poco o nulla che faccia bene.

    Basta assistere, tante volte, ai dibattiti: un tale intersecarsi di parole che alla fine non capisci neppure quello che viene detto... tanto meno se porta con sé qualcosa di buono, senza considerare quando arrivano solo le invettive di chi urla di più.

    Credo che sì parli troppo e, di buono, si comunichi poco, in famiglia e tanto meno nella società, dove ci augureremmo tutti – penso - che i nostri politici parlassero di meno e operassero di più il bene della comunità. Ma, purtroppo, non è così. Abbiamo assistito ad alterchi infiniti, su fatti di singole persone, mettendo in disparte il bene pubblico.

    In famiglia, un tempo, quando non c'era la TV, trovava molto spazio la discussione, il parlarsi, e tutti sappiamo che il dialogo è il sale che dà senso allo stare insieme. C'era spazio anche per la preghiera. Come non ricordare le sere in cui tutti ci si riuniva per il S.Rosario?

    Un tempo che oggi è riempito dalla TV, da Internet, strumenti di comunicazione di massa importanti, sicuramente, ma di poco aiuto per lo sviluppo sano delle relazioni interpersonali o come crescita di civiltà e bene dell'anima, che è la cosa più necessaria per la vita.

    Quasi a sfuggire da questo chiasso pericoloso – ma è una vocazione particolare – alcuni scelgono una vita di contemplazione e silenzio, per fare spazio solo a Dio nella preghiera, nello studio, nel lavoro manuale. Sono una testimonianza ed un richiamo per tutti.

    Si parla troppo e si combina poco per la vita: proviamo dunque a dare più spazio al silenzio e ad avere il controllo della parola, in modo che nulla sfugga di inutile e tantomeno di offensivo, ma se possibile, tutto contenga verità e amore.

    Come farebbe bene tanta gente a tacere... e d'altra parte, come sarebbe necessario che chi ha del bene da comunicare parlasse! Così dice il Vangelo di oggi:

    "In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 'Non chiunque mi dice: Signore, Signore entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.

    Molti mi diranno in quel giorno: 'Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e caccialo demoni nel tuo nome, e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti, allontanatevi da me, operatori di iniquità.

    Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, e simile ad un uomo saggio che ha costruito la casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti, e si abbatterono su quella casa ed essa non cadde, perché era fondata sulla roccia.

    Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile ad un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande". (Mt. 7, 24-27)

    Sono due gli aggettivi che Gesù usa per distinguere chi sa veramente ascoltare la Parola, seminarla come buon seme perché porti frutto, e chi invece l'affida alla superficialità: saggio e stolto.

    compito di ciascuno di noi decidere, in coscienza, dove schierarsi.

    La regola giusta è sapere, a volte, nel silenzio, ascoltare e coltivare.

    Ho un ricordo che desidero raccontare ai miei diletti lettori: l'esempio di un 'grande' che seppe ascoltarmi. Avevo incontrato, da vescovo, a Pian di Pezze, Giovanni Paolo II, venuto ad incontrare i l5mila scouts convenuti per il loro incontro. Al termine della S.Messa, volendo rivolgere loro poche parole, mi chiese quale tono usare. Mi permisi di dirgli: 'Santità, usi parole di incoraggiamento, perché questi ragazzi sono come una grande cordata: in cima i convinti nella fede, a metà gli incerti, in fondo ragazzi in ricerca. Se usa toni duri, scuotendo la cordata, il rischio è che tanti cadano'. Part per quasi un'ora, con accenti da vero papà, che si rivolge ai figli, amandoli immensamente, senza distinzioni. Fu un trionfo.

    Pochi giorni dopo mi chiamò a quella che noi vescovi definiamo 'visita ad limina', in cui si presenta lo stato della diocesi che ci è stata affidata.

    Il ricordo è vivido ancora oggi: era di fronte a me, con gli occhi fissi su di me, come volesse leggermi 'dentro'. Gli raccontai la storia dei miei anni da vescovo in Acerra. Poi il discorso si allargò alla Chiesa, ai suoi slanci e al suo torpore. Tutto con sincerità. Non parlò. Ascoltò, come bevendo ogni mia osservazione. Dopo più di un'ora così, cuore a cuore, nel congedarmi mi disse:

    `Grazie, tornate ancora, mi fa bene la vostra schiettezza, che non ha paura di mettere a nudo la nostra amata Chiesa'. E da quel momento si creò una vicinanza spirituale ed un bene grande, ma tanto grande... al punto che, una settimana prima della sua morte scrissi al suo segretario Padre Stanislao, pregandolo, se era possibile, di comunicare al Santo Padre la mia vicinanza e preghiera. Mi fece rispondere subito con una lettera, che conservo gelosamente, in cui mi ringraziava 'con sentimenti di gratitudine e riconoscenza per tutto'. Ora so che quel grande e prezioso amico è in Cielo a pregare per me e presto sarà proclamato beato. Confesso che mi dà tanta gioia saperlo Beato, sicuro che sta preparandomi un posto vicino a lui.

    Davvero Giovanni Paolo II era un 'saggio' del Vangelo, perché non solo ascoltava la Parola, ma sapeva donarla a noi. Ma ci vuole coraggio.

    E voglio anche ricordare il per.. me carissimo Paolo VI. Seguiva la mia lotta nel Belice per la ricostruzione. Per svegliare 'il sonno della politica' nel dare corso alla ricostruzione del Belice, distrutto dal terremoto, usavo parole forti... e, a volte, avevo il timore di 'uscire dalle righe'! Portando un giorno 50 bambini a Roma, perché fossero loro la voce del Belice, dopo la visita all'On.le Moro, Presidente della Camera, al Sen. Spagnoli, Presidente del Senato, e al Presidente della Repubblica, On.le Leone, chiedemmo di essere ricevuti dal Santo Padre.

    Nonostante le difficoltà, da parte di alcuni, lui volle riceverci un mercoledì, dopo l'udienza pubblica. Fu incredibile la dolcezza con cui ci accolse. Quando accennai a mettermi in ginocchio, per portare il mio saluto, mi alzò in piedi, mi abbracciò con forza e con commozione mi disse: `La ringrazio a nome della Chiesa per quanto state facendo. Coraggio, io sarò vostro avvocato presso le Autorità'. Provai una grande gioia nel constatare che ero in piena sintonia con la Chiesa, nonostante, o forse proprio grazie a quello che stavo facendo per i terremotati. É davvero bello.

    Del resto 'la linea evangelica' del Papa era chiara. Mi piace riportare le sue stesse parole:

    "Se la mia predicazione dovesse dire: è preferibile essere furbi, deboli, possibilisti, accomodanti, inclini al compromesso, e mascherare la nostra volontà con dei complimenti, come sarebbe brutta la mia parola, cercando di sminuire la belle772 della natura cristiana.

    Ma, al contrario, la mia voce - anche se la debolezza non conforta quanto dovrebbe questo Vangelo del Signore - dice: se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere forti. Bisogna vivere il cristianesimo con fortezza; è necessario sostenere qualche sacrificio, per custodire intatta la nostra fede. Non abbiate timore ad essere forti. Avete Cristo con voi". (7.3.1967)

    Preghiamo con il Salmista: "In Te, Signore, mi sono rifugiato,, mai sarò deluso. Per la tua giustizia salvami, volgi a me il Tuo sguardo. Fa' splendere il Tuo Volto sul tuo serv©,

    salvami per la Tua Misericordia.

    Siate forti, riprendete coraggio,

    o voi tutti, che sperate nel Signore" (Salmo 30)

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    00 12/03/2011 13:33

    I Domenica di Quaresima (Anno A)


    Sull’onda delle risposte di Gesù

     

     

    Confesso che ogni volta annuncio, con la Chiesa, che entriamo nella santa Quaresima, provo come un senso di smarrimento e di timore, che nasce dal pensare che un Mistero di infinito Amore, come è la Passione, Morte e Resurrezione di Gesù, nostro Signore, sostanza della nostra fede cristiana, possa disperdersi nel nulla delle notizie di poco conto, quelle che si sentono spesso di sfuggita da un giornale o dalla TV e che, dopo pochi minuti, non ricordi più, a meno che non si riferiscano a fatti gravi che feriscono profondamente.

    “Mistero pasquale - avverte la Chiesa - risplende al vertice dell'anno liturgico. Il tempo di Quaresima ha lo scopo di preparare la Pasqua: la liturgia quaresimale guida alla celebrazione del Mistero pasquale sia i catecumeni, attraverso i diversi gradi dell'iniziazione cristiana, sia i fedeli per mezzo del ricordo del Battesimo e della Penitenza” (dal Messale)

    E allora anch'io mi faccio condurre dallo Spirito nel deserto con Gesù.

    Lui vi stette per quaranta giorni, senza mangiare, in continua e profonda preghiera, come a farsi modellare dal Padre su Chi Lui era veramente, su come fondare la Sua Chiesa, annunciare il Suo Regno, sul come fare la volontà del Padre suo, fino in fondo, senza mai tradirla, a costo di finire sulla croce, se così a Lui fosse stato gradito.

    Forse può sgomentarci, in un primo momento, questo 'stare con Gesù nel deserto': storditi come siamo dai tanti rumori che continuamente ci intossicano: non riusciamo più a capire la nostra bellezza interiore, la gioia che Dio ci offre; non abbiamo più la sensibilità spirituale, per 'percepire' il nostro essere 'fasciati' dalla Sua tenerezza e cura e comprendere il Suo desiderio intenso di coprirci con il manto della santità, che poi è il manto della Sua Gloria.

    Di conseguenza interpretiamo la nostra esistenza da sbandati, vivendo molte volte un'insicurezza, un'ansia ed un pericoloso isolamento, che altro non sono che il vagare senza silenzio, senza consapevolezza e verità, per le vie del mondo.

    Allora occorre davvero pregare che Dio ci aiuti a sentirlo vicino, a dialogare nella preghiera con Lui, ad essere capaci di penitenza, togliendoci di dosso tante cose inutili, se non dannose, trasformando il nostro esistere in gesti concreti di bontà, che ci scrostino l'egoismo, vera patina di morte, e facciano trasparire così la nostra vera realtà di 'figli adottivi' di Dio, che vogliono essere 'buoni come il loro Padre, che è nei Cieli'.

    Sentiamo tante volte, e con fastidio, la frase: 'Ma sai chi sono io?'. Ancora peggio, molte volte siamo costretti a vivere con persone dagli atteggiamenti che sanno di superbia, di una potenza che è solo strafottenza, inconciliabili con la bontà di un cristiano santificato dalla Grazia del Battesimo.

    Il primo uomo, che `Dio aveva plasmato con polvere della terra e nelle cui narici aveva soffiato un alito di vita' (Gen. 2,7) era stato posto nell'Eden, come un bimbo infinitamente bello, amato, che altro non doveva fare che accettare di essere amato e amare.

    L'Eden era lo 'stato di felicità', quella dell'amore. Ma l'amore ha origine dalla libertà: liberamente si ama, liberamente si accetta di essere amati.

    Dio mise alla prova l'uomo e la donna: voleva il loro 'sì' libero!

    I nostri progenitori – come noi – dovevano solo dire `si' oppure no'.

    Incredibile, ma necessaria scelta, quando c'è di mezzo l'amore, la libertà.

    Quel frutto azzannato con la convinzione, su suggerimento di satana, di poter far da soli, rifiutando l'amore che Dio offriva, è ancora oggi il veleno che sperimentiamo ogni giorno.

    È, nello stesso tempo, lo scenario del dolore, che si consuma da sempre, con l'amarezza di una solitudine profonda e, nello stesso tempo, la disperata ricerca di un cuore che ci riempia di felicità: è la nostalgia dell'Eden perduto.

    Ed ancora una volta Dio, fedele al Suo Amore per noi, vuole ricreare l'Eden. Lo fa con Gesù, Suo Figlio, che accetta di diventare uno di noi, non sottraendosi neppure alle tentazioni dell'uomo. Racconta il Vangelo: "In quel tempo Gesù fu condotto nel deserto per essere tentato dal diavolo. E, dopo aver digiunato per quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: 'Se sei il Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane. Ma Egli rispose: 'Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio'.

    Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: `Se sei il Figlio di Dio, gèttati giù, poiché sta scritto: 'Ai Suoi angeli darà ordine a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia ad urtare contro un sasso il tuo piede'. Gesù gli rispose: 'Sta anche scritto: 'Non tentare il Signore Dio tuo'.

    Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: 'Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai. Ma Gesù gli rispose: `Vàttene, satana! Sta scritto: 'Adora il Signore tuo Dio e a Lui rendi culto'. Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servirono". (Mt. 4, 1-11) Sono davvero, se le consideriamo bene, le tre grandi tentazioni dell'uomo di tutti i tempi: fame di successo, sete di potere, voglia di prestigio.

    Sono i grandi mali che la Quaresima invita ad allontanare da noi, come fece Gesù, e che tutti i Santi e quanti aspirano alla santità hanno calpestato, con la stessa decisione di Gesù.

    Sono e possono essere i grandi mali che dominano il mondo e a cui tutti siamo tentati.

    La Quaresima con la preghiera, la penitenza, la Parola di Dio, invita a smascherarli, per liberarsi.

    "L'uomo moderno - affermava Paolo VI - si adatta ad ogni cosa: è capace di farsi l'avvocato delle cose cattive, pur di sostenere la libertà del proprio piacimento e che tutto può e deve manifestarsi senza alcuna preclusione nei confronti del male: una libertà indiscriminata per tutto ciò che è illecito. Si finisce così per autorizzare tutte le espressioni di vita inferiore; l'istinto prende il sopravvento sulla ragione, l'interesse sul dovere, il vantaggio personale sul benessere comune. L'egoismo diviene perciò sovrano nella vita dell'individuo e in quella sociale. Perché tutto questo?

    Perché si è dimenticato ciò che è bene e ciò che è male. Non si conosce più la norma assoluta per tale distinzione, vale a dire la legge di Dio. Chi non tiene più conto della legge di Dio, dei Suoi comandamenti, e non li sente più riflessi nella propria coscienza, vive una grande confusione e diventa nemico di se stesso. Bisogna dunque rinnovare e rinvigorire la nostra capacità di giudicare il bene dal male. Questo è il modo per respingere e superare le tentazioni.

    Può un cristiano, ci chiediamo seriamente, un cristiano vero, essere debole, pauroso, vile, traditore del proprio nome, della propria coscienza, del proprio dovere? Certamente no.

    L'autentico cristiano è forte, coraggioso, leale, coerente, eroico se occorre. La vita cristiana, non dimentichiamolo mai, è combattimento e noi dobbiamo essere sempre in grado di distinguere il bene dal male. La vita cristiana, ripetiamo, è lotta: noi dobbiamo essere sempre all'erta in grado di distinguere il bene dal male e decidere. La grande lezione di vita cristiana di questa pagina del Vangelo esige espliciti impegni. Essere anzitutto saggi, cioè riflettere e tenere sempre accesa la lampada dinanzi a noi. Non dobbiamo camminare nell'oscurità, ma portare alto quello splendore che Iddio ha deposto nelle nostre anime e che si chiama coscienza. E il Signore, mercé l'insegnamento di questo dramma delle sue tentazioni, indica un luminoso epilogo: la tentazione e la malvagità, che insidia i nostri passi, si può vincere. Con che cosa?

    Seguendo la Parola di Dio, con la Sua Grazia, il dominio di sé, che non mancano mai a chi le desidera e cerca. Non dobbiamo avere paura di essere forti. Abbiamo Cristo con noi e per noi". (marzo 1965) La Quaresima, allora, dovrebbe essere, per tutti i cristiani, lo stesso 'deserto', vissuto da Gesù. Anche noi veniamo corteggiati ogni giorno da Satana, in mille modi, e può persino accadere che mascheriamo il nostro subdolo egoismo con una presunta 'volontà di Dio'.

    11 'deserto' quaresimale deve far nascere dei salutari dubbi:

    Siamo sicuri di vivere secondo Dio?

    Siamo certi di percorrere le vie sulle quali il Signore ci chiede di camminare, per vivere il nostro 'si' a Lui? ... E’ il primo passo per la conversione...

    C'è in giro un gran desiderio e bisogno di cambiamento, non fuori di noi soltanto, ma 'dentro di noi', seguendo le piste di Gesù: il silenzio, la preghiera, la penitenza, uniche vie capaci di strapparci di dosso i troppi stracci che impediscono di camminare nella verità, libertà, carità, santità!

    La Quaresima, se vissuta con Grazia ed impegno, ci aiuta, e molto, in questo meraviglioso stile di vita. BUONA QUARESIMA, dunque! ... e, insieme, preghiamo:

    "Pietà di me, o Dio, secondo la Tua Misericordia:

    nella Tua grande bontà, cancella il mio peccato.

    Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre davanti.

    Contro di Te, contro Te solo ho peccato: quello che è male ai Tuoi occhi io l'ho fatto.

    Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo.

    Rendimi la gioia di essere salvato

    e sostieni in me un animo generoso." (Salmo 30)

     

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    00 18/03/2011 08:11

    II Domenica di Quaresima (Anno A)

    Gesù si trasfigura davanti agli Apostoli

    Chi di noi ha fatto l'esperienza di un pellegrinaggio in Terra Santa, ricorderà molto bene, credo, il fascino che coinvolge il pellegrino, quando si reca sul monte Tabor, il monte della Trasfigurazione di Gesù. Un monte che pare creato apposta, nella immensa e meravigliosa pianura di Esdrelon, come fosse un tabernacolo posto in alto, vicino a Dio, per accogliere la Sua Gloria, ricevere quelli che Lui invia a trasmettere la Sua Volontà.

    A volte, nel silenzio della preghiera, che pare suggerisca questo monte, battuto dal vento che solitamente sibila fuori della Chiesa, posta in cima, a ricordare la Trasfigurazione, il creato stesso sembra un canto interiore, il a.° che si possa udire.

    E si ha come la sensazione di trovarsi sul Monte 'a faccia a faccia con Dio', a ricevere le parole dell'Alleanza, ossia il patto di amore sancito tra Dio e noi.

    Si avverte quasi la compagnia di Abramo, sul colle dove Dio lo aveva chiamato per immolare suo figlio, Isacco, come prova di fede e di amore.

    O ci si sente inondati della luce con cui Gesù venne trasfigurato davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni: "Il Suo volto brillò – narra il Vangelo – come il sole e le sue vesti divennero bianche come la neve'.

    Senti che da quelle colline di Dio, nascono le grandi vie dell'amore del Padre verso gli uomini, che Egli tanto ama, anche oggi, anche noi, fino a dare Suo Figlio.

    Sono sempre vie meravigliose, ma difficili, se vogliamo, estremamente difficili a volte da accettare. Noi conosciamo lo sbigottimento che provò Mosè di fronte al roveto ardente e soprattutto di fronte alla voce di Dio, che lo mandava al suo popolo: una missione rischiosa, che tutti conosciamo, ma necessaria, come tutte le vie della volontà di Dio.

    Dio, quasi per proteggerlo, per dargli autorità, lo fascerà di luce, segno della Sua Presenza e potenza ìn lui. Cosi come è facile intuire il senso dì 'povertà interiore', che avrà sperimentato Abramo quando Dio gli chiese di abbandonare ogni affetto, sicurezza: tutto!

    Leggiamo il racconto che ci dona la liturgia oggi:

    "In quei giorni il Signore disse ad Abramo: 'Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò.

    Farò di te un grande popolo e ti benedirò; renderò grande il tuo nome e diventerai benedizione Benedirò coloro che ti benedicono e maledirò coloro che ti maledicono e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra'.

    Allora Abramo parti, come gli aveva ordinato il Signore". .(Gen. 12, 1-4)

    Attraverso la risposta di Abramo sappiamo che la nostra obbedienza è oggi la nostra redenzione e la nostra storia di salvezza.

    Ma Gesù, conoscendo la nostra debolezza, di fronte ad eventi piccoli o grandi, che formano il tessuto della vita di ciascuno, sa dare ciò che genera fiducia illimitata, in modo che, fondando la nostra speranza su una fiducia totale in Lui, non ci lasciamo spaventare.

    Così come è da stolti chiedere che la nostra vita sia priva di momenti difficili, che fanno parte della condizione umana di tutti, è anche vero che, se osserviamo bene la nostra storia, troviamo accanto ai momenti difficili, come quelli di Abramo, momenti di gioia profonda, come la provarono i discepoli sul monte Tabor.

    Il racconto della Trasfigurazione mette in evidenza la potenza di Dio e la debolezza dell'uomo. Leggiamolo: "Gesù prese con tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in luogo solitario. Là di fronte a loro cambiò aspetto: il suo volto si fece splendente come il sole, e i suoi abiti diventarono bianchissimi come la luce. Poi i discepoli videro anche Mosè e il profeta Elia: essi stavano accanto a Gesù e parlavano con lui. Allora Pietro disse a Gesù: 'Signore è bello stare qui per noi. Se vuoi preparerò tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia. Stava ancora parlando quando apparve una nube luminosa che li avvolse con la sua ombra. Poi dalla nube venne una voce che diceva: 'Questo è il mio Figlio, che io amo. Io l'ho mandato, ascoltatelo. A queste parole i discepoli furono talmente spaventati, che si buttarono con la faccia a terra. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: 'Non abbiate paura!: Alzarono gli occhi e non videro più nessuno; c'era infatti Gesù solo. E mentre scendevano dal monte Gesù ordinò loro: 'Non parlate a nessuno di questa visione, finchè il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti". (Mt. 17, 1-9)

    Poco prima il Vangelo di Matteo racconta lo scontro tra Pietro e Gesù, riguardo alla sua prossima morte. "Gesù da quel momento cominciò a spiegare ai discepoli ciò che doveva capitare. Diceva: `Io devo andare a Gerusalemme. È necessario. Gli anziani del popolo, i capi dei sacerdoti e i ministri della Legge, mi faranno soffrire molto, poi sarò ucciso, ma al terzo giorno risusciterò'. Allora Pietro prese in disparte Gesù e si mise a rimproverarlo. 'Dio non voglia, Signore! Questo non ti accadrà mai!: Ma Gesù si voltò verso Pietro e disse: 'Va' lontano da me, Satana. Tu sei di ostacolo per me, perché tu ragioni come gli uomini e non pensi come Dio". (Mt 16, 22-24)

    davvero dura la risposta di Gesù a Pietro, che pretendeva di impedire il prezzo della nostra redenzione. Lo chiama `satana'... come a farci capire che la vita non può essere una passerella di piacere continuo, ma si realizza avendo il coraggio di abbracciare il costo della sofferenza per amore. Basta pensare ai martiri o a tanti, ma tanti, che nella vita hanno accolto la sofferenza come un meraviglioso prezzo per entrare nella gloria.

    E’ vero, guardandoci attorno, scopriamo tanti che 'scomunicano' la sofferenza come 'maledizione', inneggiando al piacere e ad un'allegria smodata — che non è gioia — e... hanno tanto seguito! Ma sono altrettanti coloro che, nella fede, non si sottraggono al dolore, come prezzo dell'amore. Dio non gode e non vuole la nostra sofferenza, anzi ha mandato su di noi il Consolatore, lo Spirito Santo, per infonderci coraggio e donarci la forza che fa superare dolore e contrarietà.

    Così Calvario e Paradiso si incontrano sul Monte Tabor, dove poco prima della Trasfigurazione, Gesù aveva preannunciato la Sua Passione e duramente risposto a Pietro, che pretendeva di impedirla, ma sul Tabor è scritta anche la nostra storia di credenti:, che non si sottraggono al dolore, ma lo vivono come prezzo dell'amore, nella fede in Gesù, nostro Redentore.

    Così commentava Paolo VI la Trasfigurazione:

    "Ecco il senso del racconto evangelico della trasfigurazione. Bisogna che gli occhi della nostra anima siano come rischiarati, abbagliati, da tanta luce, così che la nostra anima prorompa nell'esclamazione di Pietro. Come bello stare davanti a Te, o Signore, e conoscerti!

    Gesù ha due aspetti: quello ordinario che il Vangelo presenta e la gente del tempo vedeva: un uomo vero. Ma, pur a guardarlo sotto questo aspetto umano, c'è qualche cosa, in Lui, di singolare, unico, caratteristico, dolce, misterioso: al punto che — come racconta il Vangelo — coloro che hanno visto Gesù hanno dovuto confessare 'nessuno è come Lui, e nessuno si è mai espresso nella sua maniera'.

    unico, c'è nessuno che può paragonarsi a Lui per candore, purità, sapienza, carità, grandezza d'animo, eroismo, per capacità di arrivare ai cuori.

    I tre apostoli sono rimasti a fissare la visione ed hanno notato la trasparenza: nella Sua Persona c'è un'altra natura, oltre quella umana.

    Davvero Gesù è come un tabernacolo in moto: è l'uomo che porta dentro di sé l'ampiezza del cielo: è il Figlio di Dio fatto uomo; è il miracolo che passa sui sentieri della nostra storia.

    E tutti sappiamo che non si tratta di un uomo che passa e si spegne: è la mia vita, il mio destino, la mia definizione, perché anch'io sono cristiano, anch'io sono figlio di Dio". (aprile 1965) Non resta, in questa Quaresima, come fece la Veronica, saper imprimere nel velo della nostra anima la Sua immagine e farla nostra.

    Con Madre Teresa di Calcutta rivolgiamoci a Gesù con questa semplice preghiera:

    "O Signore, non parlare che di Te e di Te crocifisso;

    che non cerchi cose grandi,

    fa' solo che possa compiere piccoli gesti,

    ma trasfigurati da un grande amore'.

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    00 25/03/2011 22:45

    III Domenica di Quaresima (Anno A)

    La sete che tutti dovremmo avere

    Il racconto dell'incontro di Gesù con la Samaritana, accanto al pozzo di Giacobbe, che Giovanni Evangelista presenta con particolari quasi da cronista, non facendosi sfuggire neppure una briciola della bellezza che contiene, è una perla del Vangelo estremamente significativa per il nostro cammino quaresimale, verso la Pasqua.

    Lei è una donna samaritana, appartenente cioè ad un gruppo ritenuto eretico, e quindi maledetta, ai suoi tempi, e, inoltre, è una donna, per dì più notoriamente peccatrice....

    Ce n'è abbastanza per farci ritrovare in lei tutti i pezzi di stracci che volano per aria e che sono le storie delle nostre debolezze umane. La possiamo realisticamente immaginare tutta presa dai suoi pensieri, forse dalle sue preoccupazioni o, addirittura, nauseata – essendo una pubblica peccatrice -nel percorrere le tristi vicende della sua vita di donna che si deve vendere al piacere dell'uomo.

    Una donna, insomma, con la nausea in bocca e l'amarezza nel cuore, che avrebbe voluto per sé un'altra vita e si ritrova, Dio solo sa perché e come, tra le mani un'esistenza che ha il sapore dell'acqua amara delle cisterne screpolate.

    Gesù, stanco del viaggio attraverso la Samaria, ha sete. Si ferma vicino al pozzo anche Lui, • • _ 'sola sorgente di acqua viva che dà vita'. Gesù non bada alle differenze, sociali, culturali, alle divisioni etniche o religiose o altro: fa finta di non accorgersi di essere di fronte ad una donna samaritana, per di più peccatrice. Per Lui è una creatura bisognosa di acqua... 'acqua viva'.

    Ma la provoca, chiedendole dell'acqua da bere. A Lui basta poco per dissetarsi e, a lei, con molta affabilità, senza alcun pregiudizio, chiede tanto poco: una coppa d'acqua, un gesto di bontà, un piccolo dono.

    bene dare spazio al racconto di Giovanni, che chiede di essere gustato e meditato totalmente. Un racconto in cui all'acqua del pozzo si sostituisce per la donna un'acqua che ridona la bellezza della vita con Parole di Amore e Vita.

    giusto non farsi sfuggire neppure un particolare del lungo racconto, che diviene una efficace occasione per immedesimarci nella donna e incontrare Gesù, perché anche noi, oggi, tante volte siamo simili a lei: 'assetati di vera vita' fuori e, soprattutto, dentro l'anima.

    "Gesù giunse ad una città della Samaria, chiamata Sicar, vicina al terreno di Giacobbe.

    Gesù, dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo di Giacobbe. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samara ad attingere acqua".

    E qui inizia il dialogo, in cui Gesù, assetato, chiede da bere: un dialogo occasionale di una semplicità quotidiana, ma che è per Lui la strada per entrare nel cuore della donna. E la meravigliosa 'tattica' della Grazia, che sa insinuarsi nella nostra quotidianità, con spiragli incredibili.

    “Le disse Gesù: 'Dammi da bere!: I suoi discepoli, infatti, erano andati in città a fare provvista di cibo. Ma la Samaritana gli disse: 'Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me che sono una donna samaritana?. I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani". Gesù, 'il Primogenito fra molti fratelli', subito scardina' le nostre logiche relazionali, basate su differenze e contrapposizioni, e, partendo proprio dalla distanza che si era creata tra Giudei e Samaritani, fa il grande salto della Grazia, avanzando la sua incredibile, divina e inaspettata proposta.

    "Gesù le rispose: 'Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è Colui che ti dice 'dammi da bere! tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva. Gli disse la donna: 'Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo, da dove dunque hai questa acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?".

    Difficile per ciascuno di noi uscire dai nostri ridotti e limitati confini umani, ma Gesù svela la potenza della Grazia che cambia nel profondo l'uomo, che si crede sufficiente a se stesso, ma se è onesto con se stesso, sa riconoscere di mancare nel cuore..... del necessario.

    "Rispose Gesù: 'Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete, ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna. 'Signore, gli disse la donna: 'dammi di quest'acqua perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua'.

    Quanto ci è difficile staccarci dal materiale, per assurgere ai valori dello spirito! Quanta dolce pazienza e comprensione nel Maestro!

    "Le disse: 'Va' a chiamare tuo marito e poi ritorna qui. Le rispose la donna: 'Non ho marito'. Le disse Gesù: 'Hai detto bene 'non ho marito', infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito: in questo hai detto il vero. Con Gesù non possiamo bluffare! "Gli rispose la donna: 'Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare. Gesù le disse: `Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quello che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori, adoreranno il Padre in spirito e verità, perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito e verità e quelli che lo adorano devono adorarLo in spirito e verità'.

    Gli rispose la donna: `So che deve venire il Messia (cioè il Cristo); quando Egli verrà, ci annuncerà ogni cosa. Gesù le disse: 'Sono io che ti parlo'.

    In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discutere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: 'Che cosa cerchi?' o "Di che cosa parli con lei?: La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: 'Venite e vedete un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?:

    Uscirono allora dalla città ed andavano da Lui.

    Intanto i discepoli lo pregavano: "Rabbi, mangia. Ma egli rispose: 'Ho da mangiare un cibo, che voi non conoscete. E i discepoli si domandavano l'un l'altro: 'Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?: Gesù disse loro: 'Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e compiere la Sua opera...'

    Molti Samaritani di quella città credettero in Lui per le parole della donna che dichiarava: `Mi ha detto quello che ho fatto. E quando i Samaritani giunsero da Lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed Egli vi rimase due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: 'Non è per la tua parola che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo. (Gv. 4, 5-42)

    È davvero commovente e rassicurante come Gesù sappia sempre entrare nel nostro cuore, a volte assetato di verità, sapendo trovare l'occasione giusta per mostrarci il Suo Volto e il Suo Cuore. Il racconto della samaritana rivela una delicatezza divina, che è ben lontana dai nostri modi di accostarci a chi sbaglia o, semplicemente, la pensa diversamente da noi!

    Dio non si lascia impressionare da quello che possiamo essere ai Suoi occhi.

    Facile sentire a volte persone, che, in un momento di verità, pensando alla loro vita, esclamano: 'Mi faccio schifo!'. E quel che è peggio non sanno neppure a chi rivolgersi per liberarsi da una così opprimente e paralizzante sensazione e in chi porre la fiducia di poter ritrovare bellezza e innocenza di vita.

    Sono i momenti in cui dovremmo ricordare che 'Dio è più grande del nostro cuore!'

    Ogni istante, oggi stesso, può essere il momento – solo che lo vogliamo – vicino ad un 'pozzo qualunque', di permettere alla Grazia, all'azione dello Spirito di operare in noi, così che, incontrando Gesù, possiamo trovare l'acqua che purifica, disseta, appaga la nostra sete di amore, bellezza e santità.

    Lì possiamo farci fissare negli occhi da Gesù: far sfogliare' da Lui ogni lato nascosto della nostra vita, così come è, senza vergogna – come avviene nel sacramento della Penitenza – alla luce del Suo Amore Misericordioso.

    Possiamo oggi, ora, sempre, avere il coraggio di voltare le spalle alla nostra solitudine interiore, che fa male, e aprirci all'Amore che redime.

    In fondo che cosa significa 'convertirsi'?

    Non è solo un atto della nostra volontà, ma è una risposta all'Amore di Dio che si è fatto strada nel nostro spesso complicato, confuso o disordinato modo di vivere.

    Paolo VI a questa domanda rispondeva:

    `Convertirsi significa dirigere la propria esistenza a Dio: cercare di compiere ciò che fanno i piloti delle navi, che ad un certo punto controllano se la loro rotta è realmente rivolta al porto o, se, al contrario, le onde della burrasca incombente non hanno fatto deviare il percorso.

    Ma ci chiediamo: Non ho forse bisogno di convertirmi? cioè di dirigermi sul disegno che il Signore prefigge al mio passaggio sulla terra? Interpreto bene le disposizioni di Dio? Non perdo forse tempo prezioso?". (Quaresima 1964)

    Con il Salmista preghiamo:

    "Venite, prostràti adoriamo,

    in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati.

    Egli è il nostro Dio e noi il popolo del suo pascolo,

    il gregge che Egli conduce.

    Ascoltate OGGI la Sua voce: 'Non indurite il cuore,

    come a Mèriba, come nel giorno di Massa nel deserto,

    dove mi tentarono i vostri padri, mi misero alla prova,

    pur avendo visto le mie opere". (Salmo 94)

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    Credente
    00 01/04/2011 18:51

    IV Domenica di Quaresima (Anno A)

    Va’, lavati gli occhi alla piscina

    La Chiesa in questa Quaresima - ripeto: 'tempo di conversione e santità' - ci presenta brani di Vangelo che davvero ci aiutano a meditare e, se possibile, convertirci.

    Sappiamo tutti come i nostri occhi siano davvero una parte necessaria del nostro corpo e della nostra vita. con gli occhi possiamo cogliere l'affetto di chi ci ama, ma ancora di più trasmettere un'intensità dì amore che non ha confini.

    Così come da occhi che si incontrano e si comunicano amore si genera una felicità senza fine. Quante volte capita a chi ama di dire: 'Ho una voglia matta di vederti!'.

    E sappiamo tutti come tante volté, lontani o vicini, si vorrebbe 'vedere' chi davvero ci ama...

    Dopo il terremoto del 1968 nel Belice, nulla si sapeva allora di noi terremotati, anche perché non vi erano i tanti mezzi dí comunicazione di oggi. Mamma moriva di ansia per questo. Dopo alcuni giorni, potendo, ritenni opportuno fare una scappata da lei. Come mi vide pianse e, per la gioia intensa, non riuscendo ad esprimerla mi dette uno schiaffetto: 'Non so la ragione - mi disse - ma sono stata talmente in ansia... non sapevo niente.... E desideravo così tanto vederti!'.

    Ma gli occhi, a volte, sanno anche esprimere tanto disprezzo e odio, che assomigliano ad una fucilata e fanno tanto male. Quanto male si può provocare con una sola occhiata!

    Così come con gli occhi si può peccare, ponendo le 'basi' per commettere, per esempio, adulterio o inimicizia oppure, se guidati dalla fede e dalla carità, possono 'illuminarsi' nella contemplazione di Dio, colmandoci di gioia, come se Lo vedessimo.

    Davvero l'occhio é 'il linguaggio del cuore', che può trasmettere serenità e gioia, ma anche male e cattiveria.

    Così come l'occhio può esprimere indifferenza a tutto: vede per vedere, ma senza guardare, comunicare sentimenti, emozioni, diventando lo specchio di un'anima arida o vuota o superficiale.

    Abbiamo davvero bisogno di una 'sentinella' che vigili sui nostri occhi, pronta a chiuderli, come facevano i santi, per non essere corrotti dal male e farsene attrarre, ma li spalanchi, invece, quando ci troviamo di fronte ai capolavori di Dio, come la bellezza della natura, dell'arte e della santità, e tanto più di fronte alle necessità e sofferenze dei nostri fratelli.

    Ho voluto fare questa premessa al commento del meraviglioso brano del Vangelo di Giovanni sul 'cieco dalla nascita', che incontra Gesù. Gesù lo guarisce, ma la sua guarigione, per la miopia dei farisei, diventa motivo di un processo, che lo fa espellere dalla sinagoga come bugiardo o peggio.

    Facciamoci inondare dalla bellezza di questa pagina evangelica, lasciandoci 'interpellare' dalle dure, ma spesso vere, anche per noi, parole di Gesù: 'Se foste ciechi non avreste alcun peccato: ma siccome dite: 'Noi vediamo', il vostro peccato rimane'.

    Gesù si riferisce a quanti non avevano voluto vedere e gioire per la guarigione del cieco nato, ma anzi lo avevano cacciato dal tempio, denunciandolo come 'uno che bestemmiava'.

    Narra infatti il Vangelo:

    "Gesù, passando, vide un uomo cieco dalla nascita… Sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: 'Va' a lavarti nella piscina di Siloe (che significa `Inviato). Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che li avevano visti prima, perché era un mendicante, dicevano: 'Non era egli quello che sedeva a chiedere l'elemosina?: Alcuni dicevano: 'E' lui. Altri dicevano: 'No, gli assomiglia.' Ed egli diceva: 'Sono io!

    Intanto condussero dai farisei quello che era stato cieco: era infatti sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei gli chiesero come avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: 'Mi ha posto del fango sopra gli occhi, mi sono lavato e vedo'.

    Alcuni dei farisei dicevano: 'Questo uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato'.

    Altri dicevano: 'Come può un peccatore compiere tali prodigi?. E c'era dissenso tra di loro. Allora dissero di nuovo al cieco: 'Tu, che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?: Egli rispose: `E' un profeta.' Gli replicarono: 'Sei nato nei peccati e vuoi insegnare a noi?: E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che lo avevano cacciato fuori e incontrandolo disse: 'Tu credi nel Figlio dell'uomo?: Egli rispose: 'E chi è, Signore, perché io creda in lui?:

    Gli disse Gesù: 'Tu l'hai visto: colui che parla con te è proprio Lui.' Ed egli disse: 'Io credo, Signore. E gli si prostrò innanzi." (Gv. 9, 1-41)

    Al cieco nato non è neppure consentito di gioire per la vista riacquistata, infatti s'imbatte subito nella cecità dei farisei, che si professano credenti, osservanti, ma non riescono a vedere la presenza di Dio ed il Suo Amore, che vince le miserie umane e compie prodigi.

    E questo può accadere anche a noi, quando non riusciamo a contemplare e ringraziare per il bello che Dio realizza e diffonde tra di noi; anzi, a volte, arriviamo a rendere difficile la vita di chi, forse ci aveva tenuto compagnia nel male, ma, convertitosi è diventato un'altra persona, mentre dovremmo non solo ringraziare, ma cogliere l'invito a percorrere con lui la stessa strada per ritrovare la bellezza della vita.

    Ma d'altra parte l'uomo che non ha fede, che non conosce Gesù, - sola verità che illumina l'uomo e il mondo, che dà senso ai fatti della vita, fa spazio all'intelligenza, alla profondità dell'amore vero e fedele, dà gusto a tutto ciò che siamo e facciamo, affetti compresi – che ne sa della luce che l'occhio buono può trasmettere? Meglio, dietro quale 'luce', magari oscura, cammina? Alla luce di quale 'verità', forse tutta personale, gioca fatti e vita?

    Li conosciamo tutti, tra di noi, questi 'ciechi', che non sanno né 'vedere' né apprezzare coloro che spendono la vita perché altri l'abbiano 'in abbondanza' con la carità, che è l'occhio del cuore.

    Sono 'ciechi' che annaspano, è il caso di dirlo, tra mute ricchezze, che ci attorniano come fantasmi, pronti a rubarci serenità e, ancor peggio, la capacità di rendere la vita un dono. E così, come accadde per i farisei, non comprendono la gioia di chi ha ritrovato la vista del cuore, chiusi come sono nel loro egoismo ed egocentrismo.

    Ho sempre davanti agli occhi l'incredibile luminosità di tanti che, nella loro semplicità e bellezza di cuore, con uno sguardo, sapevano donare serenità e, alzando gli occhi al Cielo, far scomparire le nubi dell'anima.

    Così come mi ha sempre stupito come i veri santi del nostro tempo sanno camminare tra la gente, ad occhi bassi, come 'chiusi', per ripararli dal fango che spesso ci circonda. Sono meravigliosi.

    Ho avuto modo di stare a colloquio con Giovanni Paolo II, presto beato, per un'ora, e non dimenticherò mai i suoi occhi sereni, attenti, eppur discreti, come volessero entrare nelle pieghe della mia vita, con la vigilanza e delicatezza della carità.

    incredibile quanto bene si riceva, sentendosi 'abitati', seppur per poco, da chi ti vuol bene.

    È, del resto, quello che accade a due persone che si amano veramente, senza egoismi, unite solo dall'amore vero e fedele. Si vorrebbe che lo sguardo scambievole fosse infinito, come lo sarà in Cielo. Così come ricordo gli occhi carichi di odio e rabbia di un camorrista: sembravano mitraglie puntate. Abbiamo bisogno della luce in cui fissare il nostro sguardo: come fu per il cieco nato.

    Dopo la guarigione, fissando lo sguardo negli occhi di Gesù, si riempì di una tale luminosità da poter esclamare, in tutta verità: 'Io credo, Signore!

    Ascoltiamo il profeta Ezechiele:

    "Così dice il Signore Dio: 'Ecco io apro i vostri sepolcri, vi resuscito dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nel paese di Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi risusciterò dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio Spirito e rivivrete: vi farò riposare nel vostro paese. Saprete che io sono il Signore. L'ho detto e lo farò". (Ez. 37, 12-14)

    Con Madre Teresa preghiamo:

    "Gesù mio, aiutami a diffondere la tua fragranza, ovunque vada.

    Infondi il tuo Spirito nella mia anima e riempila del tuo Amore.

    Resta con me, e io comincerò a brillare della tua Luce. A brillare per essere luce per gli altri.

    La luce, Gesù mio, sarà la tua: non verrà da me, ma sarà la tua Luce che brilla negli altri attraverso me. Lascia che io ti rivolga la mia preghiera nel mondo che ami, spargendo la luce su quelli che mi circondano. Lasciami predicare senza predicare, non con le parole ma con l'esempio. Con la forza che attrae e l'influsso di quello che io faccio. Con la pienezza dell'amore che io ho per Te, nel mio cuore."

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    00 08/04/2011 19:23

    V Domenica di Quaresima (Anno A)

    La resurrezione di Lazzaro, segno della nostra resurrezione

    C'era un tempo in cui la Chiesa, per affermare l'avvicinarsi del prezioso tempo della morte e resurrezione di Gesù, per invitarci a 'entrare' in questo grande, terribile, divino momento, con la massima serietà, copriva nelle chiese crocifissi, statue, come invito alla riflessione sull'essenziale. Ora non più. Ma resta sempre la necessità, per chi veramente vive la fede e sa che la sua vita dovrà conoscere questo stesso tempo di morte e resurrezione, di accostarsi a questo tempo con fede più viva e consapevole, con una partecipazione attiva.

    È il tempo più prezioso della presenza di Gesù tra noi: un tempo in cui Lui ha davvero tracciato le orme per la nostra esistenza. Camminare, non vedendo e non seguendo le Sue orme, è vivere spensieratamente, forse, ma restando in superficie, rischiando di perdere il senso di tutto. Per nessuno deve essere così.

    Abbiamo vissuto e viviamo tempi di paure per gli sconvolgimenti politici nel Mediterraneo, che hanno cambiato e stanno cambiando la storia di tanti Paesi. Per molti è in gioco soprattutto l'economia di tutti, ma lo è soprattutto la pace per tutti. Non si può ignorare il peso storico degli avvenimenti, vivendo da spettatori. Siamo stati invitati ad accogliere migliaia di profughi, che fuggivano dalla loro terra, per non essere vittime della violenza. Li abbiamo accolti. Ma avremo il cuore di ospitarli con amore?

    Davvero questo tempo di Quaresima, in preparazione alla Pasqua, ci invita ad un atto di responsabilità e carità, che potrebbe diventare 'una nostra resurrezione'.

    Saremo capaci di essere uomini autentici, che sanno anche dare un volto umano alla nostra terra?

    O vivremo con indifferenza, e magari un senso di paura o, peggio, di ostilità, il dramma di tanti che si affidano alla nostra accoglienza?

    Ci auguriamo vi sia una Pasqua di pace per tutti e non un dramma senza soluzioni.

    Il Vangelo di oggi sembra proprio un ammonimento di Gesù sulla nostra vita. E' la vicenda della morte di Lazzaro, grande amico di Gesù, e delle sue sorelle Maria e Marta.

    Proviamo a viverla con fede.

    "In quel tempo un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta, sua sorella, era malato. Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli. Suo fratello Lazzaro era malato. Mandarono a dire a Gesù: 'Signore, ecco, colui che tu ami è malato'. Gesù pare non scomporsi, anzi assume un atteggiamento quasi di distacco. ? ' All'udire questo Gesù disse: 'Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato'.

    L'evangelista, che ben conosceva Gesù, a questo punto afferma: 'Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro'. Appare dunque strano il comportamento del Maestro e può sembrare indifferenza, perché `quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava'.

    Noi ci saremmo precipitati presso l'amico, colpiti dalla preoccupazione e sperando con ogni nostra forza dì poter fare qualcosa.

    Ma Gesù certamente sapeva la grandezza dell'annuncio che Lui avrebbe trasmesso a noi, attraverso la malattia dell'amico. Noi, infatti, quando andiamo da una persona cara gravemente ammalata abbiamo solo la paura e ci aggrappiamo alla speranza. Gesù è la potenza di Dio, che sa quando è bene intervenire e quando è necessario attendere.

    Non vi è nessun interesse nell'agire di Gesù, solo il vero Amore lo spinge. Nonostante le resistenze dei discepoli, che temono per la sua vita - 'Poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?' -quando è giunto il tempo di Dio, è deciso: 'Andiamo di nuovo in Giudea.'....'Lazzaro, il nostro amico, s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo. Il 'nostro' amico... chi ama Gesù, ama anche ogni creatura, da Lui amata.

    "Venne Gesù e trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel sepolcro. Marta, come seppe che veniva Gesù gli andò incontro. Maria invece stava seduta a casa. Marta disse a Gesù: 'Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! . Ed esprime una speranza che è in lei certezza: `Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, Egli te lo concederà. Gesù le disse: Tuo fratello risorgerà. Gli rispose Marta: 'So che risusciterà nell'ultimo giorno'.

    E Gesù dà il solenne annuncio, non solo riguardo la sorte dì Lazzaro, ma di tutti noi: l'annuncio che dà senso alla vita, che sappiamo tutti non ha grande durata sulla terra, per la sua stessa fragile natura. Un annuncio che è il grande Evento della Pasqua, quando Gesù stesso, Figlio di Dio, per toglierci dal castigo della morte senza domani, dopo il peccato originale, mettendosi nei nostri panni di creature, come Figlio dell'uomo subisce la passione e, per dare piena conferma della sua morte, non solo si fa crocifiggere, ma permette che un soldato gli apra il costato con la lancia. Verrà poi sepolto. Ma il terzo giorno fa dono a tutta l'umanità di una vita che ha recuperato la ragione per cui era stata donata, ossia l'eternità con il Padre: la Sua resurrezione, che diviene la nostra resurrezione!

    Veramente qui Dio svela quanto sia grande il Suo Amore, quanto sia importante la Pasqua di Gesù e nostra.

    Ma sappiamo entrare in questo amore e accoglierlo, o inconsciamente viviamo senza pensare che anche per noi ci sarà sicuramente la nostra resurrezione, la nostra pasqua?

    Pare che tanti vivano come se tutto dovesse avere un termine con la morte: una vita senza futuro!

    Una follia per chi sa che la vita è dono di Dio e non può dunque avere fine. Finirà il nostro corpo - così come lo sperimentiamo - ma non la vita, che con la risurrezione 'recupererà' lo stesso corpo.

    Gesù risorto è il Vivente: '... non sono un fantasma' dirà ai discepoli: 'Sono proprio io!'.

    Se ci pensassimo, quanto diverse sarebbero le nostre decisioni, le scelte... per lo meno forse più prudenti!!!

    Ed ecco l'annuncio di Gesù a Marta, a noi: 'Io sono la resurrezione e la vita: chi crede in me, anche se muore, vivrà, e CHIUNQUE CREDE IN ME NON MORIRÀ IN ETERNO. Credi tu questo?

    La risposta di Marta è immediata, per la totale fiducia che pone in Gesù: 'Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo. E noi... crediamo questo?

    Marta manda a chiamare Maria... "Gesù, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei, che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: 'Dove lo avete posto?'. Gesù, il Figlio dell'uomo, si lascia immergere nel loro dolore, come uno di noi, e non nasconde la sua commozione, non si vergogna di rivelare la profondità dei suoi sentimenti.

    "Gli dissero: 'Signore, vieni a vedere!: Gesù scoppiò in pianto".

    Egli rivela tutta la sua umanità, che non si sottrae al dolore, come a volte accade a noi. Che preziosa lezione ci dà Gesù e di questo Lo ringraziamo.

    Una lezione che fa dire ai presenti: 'Guarda come lo amava!: Ma vi sono anche sempre altri, più `realisti' o, speriamo di no, cinici: 'Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?'.

    Intanto Gesù 'profondamente commosso, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: 'Togliete la pietra!: Gli rispose Marta, la sorella del morto: 'Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni. Le disse Gesù: 'Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?: Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: 'Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato. Detto questo, gridò a gran voce: `Lazzaro, vieni fuori!: Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: 'Liberatelo e lasciatelo andare. Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in Lui". (Gv. 11, 1-45)

    E' un fatto evangelico che, ripeto, costringe tutti a ripensare alla nostra vita troppo terrena, con troppa superficialità e distrazioni, che ci impediscono di pensare al 'domani' che ci sarà, per ciascuno! Del resto, se siamo onesti, dovremmo chiederci: Che senso ha questa vita racchiusa in un corpo così fragile che, se va bene, può conoscere solo le brevi stagioni della nascita, giovinezza, maturità e tramonto? Perché morire? Ma soprattutto che senso ha questa stessa vita che ci sentiamo 'dentro', e che rifiuta ogni idea di fine, che aspira a vivere per sempre, oltre la morte?

    Sono le domande che evidenziano la maturità di ciascuno di noi e, le risposte che diamo, qualificano anche tutto il nostro modo di vivere.

    Si può, anzi si deve vivere intensamente, consumando giorno dopo giorno il tempo che ci è dato, nell'attesa di entrare nell'eternità che ci attende nella resurrezione,

    Ma purtroppo si può - Dio non voglia - vivere svuotati da ogni senso di eternità, tanto da avere la sensazione di morire giorno dopo giorno, per il nulla che contengono le scelte e i fatti che sono la nostra quotidianità.

    Non resta, in questo ultimo scorcio di Quaresima, che rientrare in noi stessi, chiedere allo Spirito di Dio, di raddrizzare ciò che è storto e di aiutarci a vivere come Lui vuole:

    `Piega ciò che è rigido, drizza ciò che è sviato.

    Dona ai tuoi fedeli, che solo in Te confidano, i Tuoi santi doni.

    Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna'.

    Facciamo nostra la preghiera elaborata da Mons. A. Maggiolini, chiedendo a Dio di poter vivere con Lui la gioia di essere risorti:

    "Signore, non ho pretese da accampare, né meriti da far valere,
    perché tu mi conceda il tuo perdono.
    La tua misericordia è soltanto grazia.
    Grazia che non si arresta davanti a nessuna colpa,
    davanti a rivolte o dimenticanze,
    davanti ad una vita aggrovigliata che ti fronteggia,
    deturpata e poi affondata nelle tenebre angoscianti,
    poggiata sul nulla.
    Non c'è peccato che tu non possa rimettere.
    Le tue parole rendono il cuore puro e affidato a te,
    come nei giorni della verità.
    Fra me a tradirti e tu a perdonarmi,
    sarò io il primo a desistere,
    ma tu vuoi avere - per grande grazia -l'ultima parola:
    "Ti sono rimessi ì tuoi peccati.
    Va' in pace e non peccare più.
    Grazie, o Gesù, per questo tuo gran Cuore. Amen."

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    00 13/05/2011 21:45

    IV Domenica di Pasqua (Anno A)

    Un dono di Dio agli uomini: il sacerdote

    Oggi la Chiesa celebra la festa del sacerdote. Un grande dono, che Dio ha fatto agli uomini: Gesù ha voluto che il sacerdote continuasse la Sua Opera tra gli uomini, scegliendo giovani, come fece con gli Apostoli, secondo un 'criterio', che Lui solo conosce.

    Non è facile neppure per noi sacerdoti, scelti da Dio, capire le ragioni della 'nostra' dignità: COMPIERE IL BENE PER GLI UOMINI, CON POTERI CHE DAVVERO SONO DIVINI, È DAVVERO QUALCOSA CHE SFUGGE AL NOSTRO PENSIERO .... Sappiamo tutti che non si è sacerdoti per una scelta umana della vita, ma per una scelta vocazionale di Dio.

    Viene da chiedersi: 'Perché io e non altri? Cosa ho di particolare per essere stato scelto?'

    Ricordo l'inizio del mio cammino vocazionale. Ero chierichetto nella mia parrocchia. Un giorno, come era solito fare, il Cardo Schuster era presente in parrocchia per 1'amministrazione delle cresime e per rendersi conto dello stato di fede della comunità, a cominciare dai sacerdoti.

    Avevo 10 anni. Improvvisamente mi chiese se sarei stato contento di diventare sacerdote. Non seppi rispondere. Ma quella domanda divenne un interrogativo persistente, che non lasciava pace.

    Come saperlo? Mi affidai alla cura e alla saggezza del mio parroco, che alla fine mi incoraggiò e così mi decisi.

    Oggi guardo ai tanti anni del mio sacerdozio e del mio vescovado e non finisco di stupirmi nel contemplare ciò che Dio ha saputo operare nelle Comunità affidatemi dall'obbedienza.

    Come seguendo un disegno, mi furono sempre affidate Comunità in difficoltà.

    L'Istituto a cui appartengo, avendo avuto l'invito di accettare una parrocchia nel Belice, a S. Ninfa, dove il parroco aveva abbandonato per sposarsi, la Comunità si era così tanto scandalizzata da rifiutare sacerdoti diocesani e voleva preti 'continentali'. Il vescovo di Mazara, da cui dipendeva la parrocchia, si rivolse al mio superiore, che, vedendo la grande povertà spirituale, accettò la Parrocchia e scelse tre Padri, tra cui io come parroco. Giungemmo in un vero deserto di fiducia ... e senza neppure una casa canonica, per cui alloggiavamo in qualche modo. La gente, che era buona, presto tornò e dopo qualche anno la Parrocchia mostrò la sua vitalità ... al punto che un giorno a fare testa vollero presenziare sia il Vescovo della Diocesi che il mio Superiore generale. Ricordo ancora la meraviglia del Vescovo che disse: 'Questa parrocchia era la mia spina, ora è la mia rosa'.

    Sentendo questo intervento il mio superiore subito disse: 'Il prossimo anno tornerete nella nostra Comunità rosminiana per insegnare ai sacerdoti come si fa pastorale'.

    Ma il terremoto del 1968 scompigliò tutto e fui costretto a esprimere tutta la mia passione di pastore per accelerare la ricostruzione. Dopo quasi dieci anni, terminato, o quasi, questo compito, ancora una volta intervenne il mio superiore, perché tornassi al Nord .... E subito, come ad intralciare la volontà degli uomini, Dio, attraverso Paolo VI mi affidò la diocesi di Acerra, che mancava di un vescovo residenziale da 12 anni. Una comunità da ricostruire. E, ancora una volta, la Grazia sostenne lo zelo, tanto da dare un volto nuovo e meraviglioso a questa Chiesa, al punto che il S. Padre, in due anni, scelse tra i suoi sacerdoti due vescovi.

    Ogni volta ripenso e ricordo, sempre più scorgo 1'opera della Grazia, che si serve della nostra 'buona volontà' e del nostro fervore: ricordi e pensieri che fanno sgorgare dal cuore un ringraziamento di lode, in questa festa di oggi così vicina al cuore di ogni sacerdote.

    Quando ero parroco, la Comunità celebrava la Festa del Buon Pastore, di oggi, donando un agnello, come a commentare il Vangelo che la liturgia ci propone.

    "Gesù disse: 'In verità, in verità vi dico: Chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale per un'altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce; egli chiama le pecore una per una e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui. perché non conoscono la voce degli estranei.'

    Questa similitudine disse loro Gesù, ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: 'In verità, in verità, vi dico: lo sono la porta delle pecore. Tutti coloro, che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti, ma le pecore non li hanno ascoltati. lo sono la porta: se uno entra attraverso di me sarà salvo: entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere. lo sono venuto, perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza". (Gv. L0, 1-10)

    Gesù, con la parabola del pastore e il rapporto con le pecore, mostra il grande amore che ha per tutti noi. In un altro brano descrive poi la sua cura in modo stupendo, incredibile e particolareggiato, parlando di una pecora che si smarrisce e che Lui si preoccupa di cercare, incurante delle difficoltà e dei pericoli in cui lei si è cacciata. E non si dà pace fin a che non l'ha trovata! Se la mette sulle spalle, torna a casa e chiama gli amici per fare festa, “perché era perduta ed è stata ritrovata”… le stesse parole che Gesù mette sulla bocca del Padre, nel ritorno del figlio prodigo.

    È davvero grande la passione di Gesù per noi, la stessa che dovrebbe essere nel sacerdote o nel vescovo per la gente loro affidata. Se da una parte “la messe è molta" davvero richiede tutta la nostra passione di pastori il coltivarla, con la testimonianza della vita, che rispecchi la Presenza di Gesù, la preghiera e tanto, ma tanto, amore.

    Affermava il pontefice Giovanni XXIII, Pastore dal cuore davvero grande:

    "Ogni bravo sacerdote deve poter rendere testimonianza la più fedele. Ed è in questo compito che si misura il buon giudizio ed il valore di ciascuno ... Inoltre il sacerdote è un uomo di cure: questa è la

    nota felice che inizia un elogio a cui ordinariamente molta gente facilmente si unisce. E si unisce sovente a tal punto da perdonare anche qualche esuberanza di moti della testa meno opportuni. Il cure del sacerdote deve essere riempito di amore, come la testa deve essere splendente di verità e di dottrina. Amore di Gesù ardente, vibrante e aperto a tutte quelle effusioni di mistica intimità che rendono così attraente l'esercizio della pietà sacerdotale: un esercizio di pietà che è sorgente perenne di coraggio, di conforto, fra le inevitabili difficoltà. Amore alla Santa Chiesa e alle anime, specialmente quelle affidate alle nostre cure: anime appartenenti a tutti i ceti sociali, ma con particolare interesse e sollecitudine alle anime di peccatori e dei poveri. (Giovanni XXIII)

    Oggi, di fronte a tanta scarsezza di sacerdoti, viene da pregare:

    Chiama, Signore, quanti nel tuo misterioso piano di amore hai scelto. Chiamali, Signore!

    Guarda i nostri seminari che ora hanno tanto spazio per accoglierli, ma a volte sembrano braccia di padri aperte, ma senza figli. Ti prenda compassione di questo mondo che Tu tanto ami da mandare tuo Figlio, perché si salvi: un mondo che attende, forse come non mai, la Buona Novella del Vangelo, un mondo che, anche se non lo dimostra, è stanco dei tanti 'ladri e briganti' che rubano letteralmente la gioia, ogni senso della vita, quasi a voler cancellare la realtà che Tu sei il solo nostro Padre.

    In Te solo c'è l'Amore che desideriamo; un mondo che tende le mani disperatamente verso qualcuno che sia disposto ad amarlo fino a dare la vita, come ha fatto tuo Figlio, Gesù.

    Ed allora ti preghiamo: suscita, chiama sacerdoti santi e zelanti.

    Copri con il loro amore e il loro zelo apostolico tutta la faccia della terra.

    Fa sentire alle famiglie quasi … l'orgoglio di sapere che un figlio è stato scelto da Te, per essere totalmente Tuo, e così essere mandato verso i fratelli per prenderli per mano ed indicare la Tua salvezza.

    Fa provare al cuore delle mamme la stessa grande gioia che ebbe Maria, quando seppe che sarebbe stata la Mamma di tuo Figlio.

    E fa capire ai nostri giovani, aperti a volte incredibilmente alla generosità, come fosse nel loro DNA la voglia di fare del bene, il desiderio quasi di donare la vita perché altri l'abbiano, che non c'è nulla di più grande che essere scelti da Te, per essere sempre con Te, operando il Bene a Nome Tuo e con la Tua potenza, il Tuo Amore.

    Metti in chi chiami lo stupore e la meraviglia nello scoprire che sono chiamati a “essere - addirittura - tuo Figlio Gesù, presente ed operante in mezzo ai fratelli, come quando era tra noi.

    Sono tanti anni che la mia vita è stata scelta da Te, Padre, che davvero mi hai 'usato' per attuare il progetto di amore che era nel Tuo Cuore. Ora so che tanti, ma tanti, per Te e in Te ho amati, e tanti, ma tanti, mi hanno amato e tanti già hanno conosciuto la gioia del Cielo .. Tutto è Grazia!

    Per il Tuo Amore, chiamali i giovani, Signore e ... Ti seguano.

    Antonio Riboldi - Vescovo –
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    00 19/05/2011 21:41

    V Domenica di Pasqua (Anno A)

    Pasqua. Mistero di Morte e Resurrezione

    Mi è caro farvi dono di un pensiero del grande Papa del sorriso, che fu Giovanni XXIII.

    Così descrive il tempo di speranza che ci ha donato la Pasqua di Resurrezione di Gesù:

    "Il cristianesimo non è quel complesso di fattori opprimenti di cui favoleggia chi non ha fede, ma è pace, è letizia, è amore, è vita, che sempre si rinnova come il segreto pulsare della natura all'inizio della primavera. Dobbiamo affermarlo con la stessa sicurezza degli apostoli e voi dovete essere convinti come del più bel tesoro, che solo può impreziosire e rasserenare la nostra quotidiana esistenza. La fonte di questa gioia è nel Cristo Risorto, che affranca gli uomini dalla schiavitù del peccato e li invita a essere con Lui creatura nuova, nell'attesa dell'eternità beata. La Pasqua è per tutti un mistero di morte e di vita. In tutto questo tempo la Chiesa farà risuonare il festoso annunzio: 'Il Signore è veramente risorto!'. Questo si deve dire anche di ciascuno dei suoi fratelli. 'E' veramente risorto' per chi era in peccato! Sono risorti i dubbiosi, i diffidenti, i paurosi, i tiepidi. Sono risorti i tribolati, i dolenti, gli oppressi, i miseri. Sappiamo tutti come con l'arresto e la crocifissione del Maestro, gli apostoli si fossero nascosti per evitare il pericolo di subire la stessa sorte di Gesù, in quanto discepoli Suoi. Certamente in loro vi era smarrimento. Scelti e chiamati da Gesù lo avevano seguito per tre anni, notte e giorno, sperando, forse, umanamente, in un risultato stupendo per il loro immediato futuro. Non immaginavano che il Mistero della Salvezza si sarebbe attuato proprio là dove non erano i loro sogni: sulla croce.

    L'unica scelta, dopo la morte di Gesù, era di restare insieme, condividendo ricordi, amarezze e, forse, in fondo al cuore ... qualche speranza! Insieme lasciamoci prendere per mano dal racconto del Vangelo di oggi, in cui è evidente come Gesù li avesse 'preparati' e preavvertiti.

    "Gesù disse ai suoi discepoli: 'Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. lo vado a prepararvi un posto: quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove vado voi conoscete la via". Gli disse Tommaso: 'Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?' .Gli disse Gesù: 'Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre; fin da ora lo avete conosciuto e lo avete veduto'. Gli disse Filippo: 'Signore, mostraci il Padre e ci basta. 'Gli rispose Gesù: 'Da tanto tempo sono con voi e non mi avete conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me, ma il Padre che è in me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro credetelo per le opere stesse. In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che compio io e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre". (Gv. 14, 1-12)

    Devono essere state, per gli apostoli, parole difficili da accogliere, anche se contenevano il grande annuncio della gioia nella fede in Lui e nel seguirLo con docilità, come poi dovrà essere la nostra vita. Ed è proprio a questo che la Pasqua cerca di educarci: vivere con i piedi per terra in questo mondo avaro di vera felicità, con molte prove. Ma, se si vive con fede - come quella che Gesù chiedeva agli apostoli e chiede a ciascuno di noi, a tutti - lo smarrimento cede il posto alla speranza. E Dio solo sa quanto abbiamo bisogno di speranza!

    Ed è proprio questa speranza - intesa come certezza nella fede che i progetti di Dio comunque si realizzeranno - che ci guida a vivere una vita di gioia. Lo avevano compreso i primi nostri fratelli nella fede, come raccontano gli Atti degli Apostoli.

    C'è nel racconto di oggi un ammonimento che può riguardare tutti. "In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli, sorse il malcontento fra gli ellenisti, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: Non è giusto che noi trascuriamo la Parola di Dio per il servizio delle mense. Cercate, dunque, fratelli, tra voi, sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito Santo e di saggezza, ai quali affideremo questo incarico. Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della Parola.

    (At. 6, 1-7)

    Siamo ai primi passi della Chiesa, che inizia proprio da Gerusalemme, la città testimone dei grandi eventi dell'amore di Dio tra gli uomini e per gh uomini. Lì era stato crocifisso Gesù, il Messia, il Figlio di Dio. Lì, il terzo giorno, era risuscitato dai morti. Lì era asceso al Cielo e aveva mandato lo Spirito Santo, che continuasse negli Apostoli e poi nella Chiesa la missione della salvezza. E lì la Chiesa ha iniziato il suo cammino nel mondo, fino ai nostri giorni.

    Noi oggi, dobbiamo confessarcelo con tanta umiltà, sembra abbiamo perso la bellezza della Chiesa di Dio, come è narrata negli Atti degli Apostoli.

    La Comunità dei cristiani pare essersi come appannata, e non certo per colpa di Dio, che continua, nonostante tutto, a far risplendere il Suo fulgore, in figure grandi e piccole della Sua Comunità, basti pensare a S. Teresa di Calcutta o al caro beato, Giovanni Paolo II.

    Di fatto, in generale, siamo a volte troppo attenti agli avvenimenti del nostro tempo, che sembra voglia oscurare la speranza ed iniettarci un senso di smarrimento così diffuso ... Non solo, ma un'esagerata pre­occupazione per il benessere, che è la negazione della bellezza delle prime Comunità cristiane, favorisce un atteggiamento di radicato egoismo. Siamo come assediati dai mass-media e diventati incapaci di raccontarci il bene, che pure esiste, ed è l'unico 'stimolo' positivo per voler diventare migliori. Ma basterebbe avere occhi di fede per riscoprire il bello che si realizza, anche se senza rumore e senza trovare spazio nella comunicazione di massa. Basterebbe pensare a come vivono la fede i nostri fratelli in tante parti del mondo: in Cina, dove professandosi cristiani si rischia il carcere; in molti Paesi islamici dove si è perseguitati e uccisi.

    Nella mia vita di vescovo, che ha gli occhi rivolti all'opera che Dio compie nella Chiesa, nmango sempre stupito dal bene che incontro e leggo nel mondo, E ce n'è tanto.

    Alle volte anche noi vescovi si sentiamo come sommersi dai bisogni che si affollano, Ma ci sostengono la fede e la carità, che sono il segno che Dio è tra noi. Quante volte verrebbe quasi da piangere di fronte ai tanti problemi che non ci lasciano respiro e che cercano risposta, come la cura dei poveri di ogni tipo, ossia non solo della povertà materiale - a volte davvero grave, anche nei nostri Paesi del benessere! - ma soprattutto della povertà di amore, che è davvero la più terribile, fatta di isolamento, sconforto, paure ed ansie, depressione .... C'è da sentirsi davvero impotenti, poi ci consola la realtà di tante aggregazioni piccole o grandi, che sono Cristo che si fa vicino, per mezzo di tanti cristiani, pronti ad asciugare lacrime, che diventano, con la carità, sorriso. E ci consola la fede in Dio che sa farsi vicino a chi si trova in difficoltà, sostenendolo - a volte davvero miracolosamente - con la Sua Presenza.

    Il mio pensiero di gratitudine va a tutti i fratelli e sorelle, che hanno il cuore grande come una casa che sa accogliere chi non ha amici o conforto.

    Mi ha commosso una donna anziana, piena di acciacchi, che, venendo a farmi gli auguri di Pasqua, non chiese alcun aiuto materiale, ma desiderava solo un momento di ascolto e di comunione di fede. Non dimenticherò mai il suo sorriso, pieno di dolcezza, che chiedeva una preghiera ed una benedizione. Chiedendole se avesse necessità di un aiuto materiale, mi rispose: 'No, Padre, mi basta che lei preghi per me. Mi basta sapere che un giorno risusciterò e con Dio avrò tutto'.

    Questa è la vera Pasqua che vivono tanti cristiani, oggi .... Lontano dai clamori o rumori del mondo!

    Così come in questi tempi mi sono commosso dalle tantissime e-mail, tutte esprimenti un grande affetto - immeritato - e con profonde riflessioni sul Risorto, che davano la misura di come la Pasqua sia stata per molti davvero la festa della speranza e della vita. Non avrò mai abbastanza riconoscenza per questi preziosi dialoghi con voi, che non contengono banalità, ma la fede semplice, eppur forte e sincera, di chi - tanti - vuole proseguire il suo cammino con il Risorto e verso il Risorto. Grazie!

    Signore Gesù, non ho pretese da accampare né meriti da far valere.

    La Tua Misericordia è soltanto Grazia.

    È Grazia che non si arresta davanti ad alcuna colpa,

    né davanti ad una vita aggrovigliata.

    Non c'è peccato che Tu non voglia rimettere.

    Le Tue parole - pronunciate dal sacerdote: lo ti assolvo -

    ­rendono il cuore puro e affidato a Te.

    E non ti stanchi di aspettarmi, per gettarmi le braccia al collo.

    Fra me a tradirti e Tu a perdonarmi, sarò io il primo a desistere.

    Tu - per mia fortuna - vuoi avere l'ultima parola:

    'Ti sono rimessi i tuoi peccati: va' in pace e non peccare più'.

    Antonio Riboldi – Vescovo –

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    00 26/05/2011 14:33

    VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    Voi conoscete il Padre

    Noi, che conosciamo la nostra debolezza di fronte ai compiti che tante volte la vita ci pone, sappiamo quanto sia difficile affrontarli.

    È vero che tanti, oggi, - e non torna ad onore - gli impegni e le sofferenze cercano di evitarli, come se questo nella vita fosse 'possibile' o come se fosse la soluzione migliore.

    Potremmo dire che oggi l'obiettivo del mondo e l'impostazione della sua 'moda' sia quella di cancellare anche solo l'idea di sofferenza, facendo prevalere la filosofia dello star bene ad ogni costo: una corsa alla felicità che, quando non si incontra con i nostri desideri, può continuare, come impazzita, verso paradisi artificiali, quali la droga o altro, che si rivelano alla fine come anticamere della morte.

    Del resto viene per tutti, in qualunque condizione sociale, l'impatto con il dolore o con la necessità di scelte radicali o con le asprezze dei compiti da realizzare. Guardare in faccia la propria 'croce' è da gente forte, da gente di autentica fede e di grande ed indiscutibile amore: ed è già un sentirsi verso la vetta.

    Avere paura è come gettare le armi, ancor prima che inizi la 'battaglia': è rinunciare a vivere, prima ancora di essersi assunti un impegno, è lasciare un discorso in sospeso, quando per sua natura dovrebbe essere finito.

    Affrontare le difficoltà nella vita, le piccole o grandi scelte, fa parte della natura umana, e, molto di più, di chi vive di fede, sapendo che Dio 'mette alla prova' il nostro amore, ma nello stesso tempo si fa nostro Cireneo.

    A volte si rimane stupiti di fronte a fratelli e sorelle che affrontano nella vita difficoltà, scelte, sofferenze, che per i più sembrerebbero insormontabili. Ma sono la testimonianza di quanto un credente vero può vivere con coraggio e serenità e la 'dimostrazione' concreta di come solo da Dio ricevano la forza di vivere.

    D'altra parte noi sappiamo che la nostra vita non è un disegno uscito dalla nostra fantasia, ma è sin dall'inizio un percorso che il Padre ha tracciato per noi, e solo a noi spetta di decidere se seguirlo con amore e libertà.

    Troviamo nel Vangelo di oggi, come Gesù, prima ancora della Pentecoste, avesse tracciato per gli Apostoli il cammino che li attendeva, assicurandoli che non li avrebbe lasciati soli.

    È quello che, del resto, riserva per ciascuno di noi. Così, oggi, Gesù ci parla:

    "Gesù disse ai suoi discepoli (noi!): 'Se mi amate osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore, perché rimanga con voi per sempre: lo Spirito di verità, che il mondo non può ricevere, perché non crede e non Lo conosce. Voi lo conoscete, perché Egli dimora presso di voi e sarà in voi.

    Non vi lascerò orfani, ritornerò a voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più: voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io Sono nel Padre e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui". (Gv. 14, 15-21)

    Queste parole Gesù le rivolgeva ai Suoi prima della sua passione, morte e resurrezione. Conosceva molto bene la loro - e nostra - debolezza e li voleva rassicurare: con la Pentecoste, la Presenza dello Spirito 'annulla' ogni debolezza umana.

    Quella stessa debolezza, manifestatasi subito dopo la Sua morte, quelle ore di smarrimento, ... di tradimento! ... da parte dei Dodici, sono in fondo la nostra stessa fragilità di fronte alle difficoltà o alle grandi scelte.

    Ma c'è la promessa del Consolatore!

    Ricordo il mio smarrimento quando improvvisamente ed inaspettatamente mi giunse la nomina, da parte di Paolo VI - che mi conosceva e mi amava - ad essere vescovo della Chiesa. La mia confusione era simile a quella dei Dodici. Confesso che provai un senso di 'paura' di fronte a quella chiamata: una 'paura' che non dovrebbe assolutamente essere nostra! Quando il beato Giovanni Paolo II fu eletto Papa, le prime parole che rivolse al mondo, ma soprattutto alla Chiesa, furono: 'Non abbiate paura!' ... perché dietro ad ogni volontà del Padre, c'è Lui stesso a sostenerci!

    'Non vi lascerò orfani' - ripete Gesù a noi - 'Tornerò da voi'.

    Ed è quello che ho sperimentato nella mia vita da vescovo. Ci furono momenti molto difficili, per tante ragioni e per tante scelte. Volendo liberare la mia terra dalla criminalità organizzata, sentivo come mio dovere di Pastore di dover 'liberare' il territorio affidato alla mia cura pastorale, fronteggiandola. Fu una lotta dura, in cui si doveva mettere in conto anche la possibilità di essere ucciso. Lo dissi una volta, in visita, al Papa, il beato Giovanni Paolo II, che comprese il mio animo e con forza mi ripeté le parole: 'Non abbiate paura. Vi sarò vicino'. E fu così.

    Impressiona oggi la solitudine di tanta gente nel momento della prova.

    Basta saper guardare per incontrare volti che sembra chiedano una parola di conforto, di non sentirsi soli nella sofferenza, di incontrare qualcuno che dica loro: 'Non sei solo, siamo insieme con le nostre sofferenze e speranze: tutto è un racconto di comunione'.

    E, a volte, basta un sorriso, un nulla per rompere la solitudine. Non è nemmeno necessario 'fare' tanto: nella nostra società così dispersiva, distratta, così abituata a consumare persone e cose, ciò che la gente tutti i giorni desidera è un orecchio disponibile ad ascoltare, una mano pronta a sorreggere, una voce che, con pazienza, tatto, bontà, narri la buona notizia che Gesù è venuto a dirci: 'Non abbiate paura. Il Padre vi darà un altro Consolatore, perché rimanga con voi, per sempre'.

    Ricevo ogni settimana tante vostre lettere che con semplicità a volte mi dicono un grazie, che è amicizia, per il nostro camminare insieme nella luce del Vangelo.

    Alle volte è un raccontare ansie, difficoltà, desideri, che chiedono solo una parola di incoraggiamento per non sentirsi 'orfani'.

    E voi sapete che rispondo sempre e per me è un 'dovere-premio' alla mia missione.

    Così affermava il Santo Padre, Benedetto XVI, a Verona, nel Convegno ecclesiale, durante l'omelia della S, Messa, il 19 ottobre 2006:

    'Noi siamo eredi di quei testimoni, di tanti santi, martiri. Ed è da questa constatazione che nasce la domanda: che ne è della nostra fede? In che misura sappiamo oggi comunicarla? La certezza che Cristo è risorto ci assicura che nessuna forza avversa può distruggere la Chiesa. Ci anima anche la consapevolezza che soltanto Cristo può pienamente soddisfare le profonde attese del cuore umano e rispondere agii interrogativi più inquietanti sul dolore, l'ingiustizia, il male, la morte e l'aldilà. C'è allora un vasto e capillare sforzo da compiere perché ogni cristiano si trasformi in 'testimone' capace e pronto ad assumere l'impegno di rendere conto a tutti e sempre della speranza che lo anima. Per questo occorre tornare ad annunciare con vigore e gioia l'evento della Morte e Resurrezione, cuore del cristianesimo, fulcro della nostra fede, vento impetuoso che spazza via ogni paura ed indecisione, ogni dubbio e calcolo umano. Solo da Dio può venire il cambiamento decisivo del mondo.

    Con Giovanni XXXIII, il Papa del sorriso, preghiamo:

    'O Principe della Pace, Gesù Risorto, guarda benigno all'umanità intera. Da Te solo aspetta l'aiuto e il conforto alle sue ferite.

    Tu sempre prediligi i piccoli, gli umili, i doloranti,

    sempre vai a cercare i peccatori.

    Fà che tutti Ti invochino e Ti trovino per avere in Te, la Via, la Verità, la Vita.

    Allontana dal cuore degli uomini ciò che può mettere in pericolo la pace e confermali nella verità, nella giustizia, nell' amore per i fratelli. Accendi la volontà di tutti a superare le barriere che dividono, a rinsaldare i vincoli della mutua carità, ad essere pronti a compatire, comprendere e perdonare, affinché nel Tuo Nome le genti si uniscano e trionfi nei cuori, nelle famiglie, nel mondo, la Pace, la Tua Pace'.

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    Coordin.
    00 04/06/2011 09:25
    Omelia del giorno 5 Giugno 2011

    Ascensione del Signore (Anno A)

    Solennità dell'ASCENSIONE di Gesù al Cielo

    In una manciata di 40 giorni - ben piccola cosa di fronte alla storia che conosce i tempi lunghi - si è come ripetuta la bellezza e la sofferenza della creazione, ma questa volta con un nome, che suona eternità: Resurrezione. E c'è voluta la Presenza e l'Opera di Dio, per compiere un miracolo del genere, che esce dalle leggi della natura, il Miracolo dei miracoli, impensabile all'uomo. Quest'uomo che, per un tragico 'no' all'amore, nel momento della sua creazione, si era condannato irrimediabilmente alla morte. In possesso della vita, aveva perso il senso stesso del dono ricevuto, rifiutando l'amore del Padre da cui era stato creato e per Cui solo poteva trovare la ragione del suo esistere. Un uomo, ripeto, che senza Dio sarebbe stato destinato a brancolare eternamente nel buio del 'non senso', guardando verso l'alto, ma senza ricevere risposta.

    Ma ora, con Gesù, il Cielo si era riaperto, pronto ad accogliere l'uomo: un Cielo che possiede la fedeltà dell' Amore di Dio che, creandoci, aspetta da noi solo amore, vero senso e stupore della vita. Un Cielo che si fa mèta e strada sicura per chi vuole indirizzare i suoi passi verso la vera Vita e non camminare a testa bassa, verso il nulla. Il Cielo che ci ha aperto Gesù, salendovi, al termine di una storia, chiusa in una manciata di giorni!

    I giorni dell'obbedienza al disegno del Padre, per riconciliare a Sé tutta l'umanità, nella umiliazione e sofferenza della passione e del sacrificio con la morte in croce.

    I giorni della Resurrezione, con l'incredibile stupore degli Apostoli nel vedere vinta la morte, nel constatare che, di fronte all'amore che si immola, chi ha la peggio è sempre la cattiveria, il peccato. 'L'Amore è più forte', ripete da sempre la Chiesa, come a stamparlo nella mente e nel cuore, fino a diventare l'unica esperienza che conosciamo e viviamo, il centro stupendo della vita.

    ed è in Gesù risorto che diciamo anche noi, assediati a volte da violenze ed assurdità: 'L'Amore è più forte'.

    Oggi la Chiesa fa festa per il trionfo dell'Amore in Gesù che, dopo 40 giorni dalla Sua Resurrezione, rassicurando i suoi della Sua continua Presenza, torna al Padre: ascende in Cielo, dove sappiamo che ha la Sua sede, ma restando sempre con noi ogni istante, fino a farsi compagno nel cammino per risorgere anche noi e con Lui, un giorno, salire al Cielo.

    Il segreto della vita è tutto qui: una vita dataci come dono, perché possa realizzarsi in pienezza nel ritorno a Casa, in Cielo.

    E verrà quel giorno, in cui, dopo il tempo che il Padre ha concesso a ciascuno di noi, torneremo da Lui, per l'eternità, se avremo fatto della vita un cammino di ricerca della verità e di amore.

    Così gli Atti raccontano il giorno di Gesù, che ascende al Cielo: Nel mio primo libro - così inizia S. Luca, riferendosi al suo Vangelo - ho già trattato, Teofilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio fìno al giorno in cui, dopo avere dato istruzione agli apostoli, che si era scelto nello Spirito Santo, egli fu assunto in cielo.

    Gesù si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del Regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre 'quella'­disse - 'che avete udita da me: Giovanni fu battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo'.

    Così, venutisi a trovare insieme, gli domandarono: 'Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?'. Ma egli rispose: 'Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra'. Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse ai loro sguardi.

    E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, ecco due uomini in vesti bianche si presentarono a loro e dissero: 'Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù che è stato tra voi assunto al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo'." (At. l, l-Il)

    Ora i discepoli sanno che Gesù non è più soggetto alla miseria e fragilità della nostra natura umana: continua ad essere tra noi, non in forma provvisoria, ma per sempre, nella pienezza della Sua potenza, pronto a farci partecipi di tale 'potenza' (e lo dimostra la vita di tutti i Santi, a volte in modo sbalorditivo).

    Ma ancora di più, gli Apostoli ora sanno che anche per loro il Cielo è aperto e Gesù li ha solo preceduti. L'importante sarà tenere fisso lo sguardo - e non è facile per noi, distratti dal 'mondo', che proprio nulla ha a che fare con il Cielo - verso l'Alto, per 'interpretare' tutto attraverso quella Luce, che dall'Alto discende, vivendo, quindi, in qualche modo, già da ora come 'cittadini del Cielo'.

    Dovremmo seguire l'invito, pregando perché si realizzi, dell'apostolo Paolo:

    "Possa davvero Dio illuminare gli occhi della nostra mente, per farci comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la Sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti ..”. (Ef. 1, 17-23)

    Il difficile, adesso, (ma è la somma sapienza cristiana, dono dello Spirito Santo) è vivere, dunque, con lo sguardo fisso alla mèta, il Cielo: non è avere 'la testa fra le nuvole', ma vivere con i piedi ben piantati sulle realtà terrene, che sono la nostra vita quotidiana, nella Luce della Volontà d'amore del Padre.

    Nessuno può nascondersi i rischi e le paure che ci prendono tutti, percorrendo i giorni della nostra vita terrena: soprattutto le velenose insidie, che ci vengono dalla nostra superbia e da tutti gli altri vizi che ci si appiccicano addosso come velenose sanguisughe.

    È necessario, carissimi, corazzarci di una continua e salda fede, per non perdere mai di vista la mèta che ci attende, il Cielo. Abbiamo fiducia!

    Dio non ci lascia mai soli, nessuno .... siamo noi, purtroppo, che Lo dimentichiamo!

    Dovremmo abituarci a vivere quotidianamente nella consapevolezza di essere alla Sua Presenza, con la fede dei santi, veri interpreti della vita eterna, già quaggiù, con Dio.

    "Sarebbe troppo lungo - afferma Paolo VI, il prezioso compagno nelle nostre riflessioni - indagare: comprendiamo che le cose di questo mondo cambiano assai di valore. Sentiremo in un primo momento, quasi uno strappo da quella madre terra da cui nasce la nostra vita naturale, a cui dobbiamo riconsegnare tutto all'ultimo giorno; ci sembrava che essa potesse soddisfare i nostri desideri e darci quell' ora di felicità che bastava alle nostre modeste pretese di esseri mortali, invece la speranza cristiana ci distacca e ci sospinge senza riposo al di là del tempo, dopo la morte, fuori dei nostri consueti modi di percepire e di pensare. 'L'universo - dice lo scrittore Zendel - non è chiuso. Tutte le linee si prolungano all'infinito e orientano lo sguardo verso il polo invisibile donde ogni cosa è misteriosamente attratta. Il mondo è aperto in un 'immensa aspirazione verso la pienezza alla quale è sospeso tutto il suo avvenire'. Là sentiranno questa consolazione quelli a cui la terra non ha dato la felicità, e siamo tutti noi. Quelli specialmente i cui desideri furono ingiustamente delusi.

    La speranza cristiana è il grande conforto per il dolore del mondo: guai a quelli che la spengono nel cuore del popolo che lavora, che soffre.

    La speranza cristiana è la grande certezza per coloro che combattono per un giusto ideale.

    L'inno della speranza dovrebbe echeggiare verso il Cristo che scompare ascendendo al Cielo, e dovrebbe tornare come forza ai rimasti in terra, per seguire i Suoi esempi e aspettarne il ritorno". Siamo noi i 'rimasti a terra', che ogni giorno dovremmo 'tessere' la preziosa speranza!

    Non riesco a capire come possano essere davvero felici e guardare con speranza il futuro che ci attende, quanti tra di noi hanno occhi e cuore rivolti solo su questo mondo, che sa donare pochi sorrisi e tante lacrime.

    Se ci interrogassimo seriamente - e questa Solennità dovrebbe aiutare - non potremmo non renderci conto che questa terra non è che un provvisorio asilo, non le apparteniamo per sempre, e quindi ogni passo dovrebbe essere come un'ascendere verso il Cielo', con la semplicità e profondità di una vita di fede, di bontà e di generosità nei sacrifici, che appartengono alla nostra condizione umana.

    Dona sempre tanto conforto pensare e sapere che questa vita non è un camminare senza senso e verso il nulla, ma è un accostarsi al giorno del nostro ritorno a Dio ... come una vigilia, vivendo, in ogni momento, lo stupore degli Apostoli, che assistono all'ascensione di Gesù, che li lascia, salendo al Cielo, ma promettendo che sarà sempre con loro.

    È davvero da 'saggi' vivere guardando verso un futuro, che non è la fine di tutto, ma il principio della vera vita, nella pienezza della felicità in Dio.

    Forse per troppi questo discorso dell'attesa del Cielo può sembrare utopia. Forse non comprendono l'inganno del mondo.

    Che non sia così per voi, per noi.

    Con il salmista preghiamo:

    "Applaudite, popoli tutti; acclamate Dio con voci di gioia,

    perché terribile è il Signore, l'Altissimo, e grande su tutta la terra. Ascende Dio tra le acclamazioni, il Signore al suono di tromba. Cantate inni a Dio, cantate inni,

    cantate inni al nostro Re, cantate inni.

    Dio è re di tutta la terra. Dio regna sui popoli, Dio siede sul suo trono santo". (Salmo 16)

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    Coordin.
    00 12/06/2011 10:29

    PENTECOSTE: il dono dello Spirito Santo

    È grande la solennità della Pentecoste: Dio si fa ancora più vicino con la discesa dello Spirito Santo. È davvero il natale della Chiesa. Uno scrittore affermava: 'Benchè Gesù Cristo dopo la resurrezione si è fatto vivo ai nostri occhi, nondimeno sentiamo che Egli vive con noi, perché sentiamo il Suo Respiro. Chiamo 'respiro di Gesù Cristo' l'effusione dello Spirito Santo. La prima volta, che il genere umano sentì questo potente respiro, fu il giorno della Pentecoste. (Fornari)

    Sembra di assistere con questo dono del 'respiro di Dio', al racconto biblico della stessa nostra creazione, quando Dio, dopo avere composto con il fango l'incredibile frutto del Suo Cuore, che siamo noi, lo rese partecipe della Sua stessa Vita, infondendogli il Suo 'respiro'.

    L'uomo non può stare da solo: da solo è come fosse 'morto'.

    Creato da Chi è la stessa natura dell'Amore, che è Dio, l'uomo ha bisogno, come dell'aria che respira, di essere amato e di amare. Senza amore si sente come 'paralizzato': non riesce a capire e vivere la sua grande vocazione e realtà: 'il respiro dell' Amore'.

    'Senza di Me - ha detto Gesù - non potete fare nulla", Io sono la vite, voi i tralci '.

    E per dare quasi un'immagine comprensibile, ci definisce 'dimora" in cui sceglie di 'abitare' lo Spirito Santo.

    Ma così gli Atti raccontano la cronaca di questa grande Solennità della Pentecoste:

    "Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso un rombo dal cielo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano gli Apostoli. Apparvero loro lingue di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno di loro ed essi furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito Santo dava loro di potere esprimersi. Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore e dicevano: 'Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E come mai li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?

    Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e della Libia, vicino a Curne, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio". (At. 2, 1-11)

    E così, come 'nati da nuova creazione" gli Apostoli, non solo comprendono chiaramente in loro quanto era accaduto e quanto avevano ascoltato da Gesù, ma, con la conferma che Lui è veramente il Figlio di Dio, grazie a questa manifestazione e dono, a cui si accompagna una straordinaria potenza, a loro sconosciuta, iniziano a proclamare la Parola di Dio con coraggio, sulle stesse piazze da cui pochi giorni prima erano fuggiti per la paura.

    Lo Spirito Santo era ora in loro 'come di casa', le loro voci erano la voce dello Spirito, che diffondeva la Buona Novella, il Vangelo per tutti gli uomini; le loro mani erano le mani dello Spirito che compiva prodigi, per confermare quanto la voce proclamava.

    Con la discesa dello Spirito Santo, la Chiesa aveva un 'Ospite', che assicurava parola e coraggio di vita.

    "L'anima della Chiesa - afferma Paolo VI - è lo Spirito Santo. Il Principio, cioè, invisibile e soprannaturale che fa vivere la Chiesa di Cristo, diffondendo in essi la grazia abituale, che percorre le sue membra, che conferisce alla Chiesa la sua natura di umanità collegata con Cristo e le infonde poteri e carismi, ne crea la coscienza e ne guida la storia".

    È consuetudine che ogni cristiano, ad una certa età, riceva il sacramento della Cresima: è il giorno della nostra Pentecoste.

    Non so, da vescovo, a quanti fratelli nella fede, ho fatto dono della Cresima o Confermazione. Credo che tutti almeno abbiate il ricordo dell'unzione sulla fronte e del piccolo schiaffo, come a confermare la forza che si deve avere nella vita, da cristiani.

    Confesso che, a volte, forse per una non appropriata formazione, ho avuto - ed ho - come l'impressione di offrire un Dono non compreso, che per troppi si riduce ad una festa esterna. Eppure lo Spirito è quella Presenza e Forza interiore che guida tanti a dare alla vita veramente un senso carismatico, fino a farli capaci di gesti grandi, fino ad accettare di vivere e morire da martiri.

    Chi infatti dona la forza di essere cristiani, come tanti nel mondo, dove esserlo è rischiare il carcere o la morte? O chi non scorge in tante nostre famiglie quel 'respiro dello Spirito', che rende i genitori veri testimoni del Vangelo?

    È davvero immensa l'opera dello Spirito, in tutto il mondo: la Pentecoste è un 'oggi' ovunque. Basterebbe leggere ciò che avviene in tanti Paesi, dove cristiano è sinonimo di emarginazione o

    martirio. O basterebbe, a volte, ascoltare persone che fanno esclamare: 'Davvero è ispirata'. È davvero grande l'azione dello Spirito, 'vero respiro' di tanti.

    L'apostolo Paolo, scrivendo ai Corinzi, descrive i tanti modi con cui lo Spirito Santo si dona, che

    poi sono l' esperienza nella vita.

    Fratelli, nessuno può dire: 'Gesù è il Signore', se non sotto l'azione dello Spirito Santo.

    Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito. Vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità di tutti. Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un solo corpo, così anche Cristo. E in realtà tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito, per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi, e tutti siamo abbeverati a un solo Spirito". (Cor. 12,3-13)

    Chiunque di noi può chiedersi, anzi deve, che posto abbia lo Spirito Santo nella sua vita quotidiana, nel ruolo che siamo stati chiamati a vivere, nella testimonianza, come quella degli Apostoli, che è - o non è - la nostra vita.

    Ogni giorno, anche ora che scrivo a voi queste riflessioni, mi chiedo quale sia 1'azione che permetto allo Spirito di esercitare sul mio agire e, scrivendo, mi interrogo se ogni parola 'esce dalla bocca dello Spirito' ... perché non posso permettermi di donare parole mie, che possono essere solo vuoto, e sarebbero solo una mancanza di rispetto nei confronti di chi mi legge.

    Tutti hanno diritto di poter cogliere 'il respiro' dello Spirito in ciò che scrivo.

    Ho sempre davanti a me i tanti Suoi doni. Da ragazzo, preparato da un sacerdote santo, mi fu comunicato lo Spirito nella Confermazione, che invitava ad essere forti nella fede.

    Più grande ancora quando, ordinato sacerdote, mi furono unte le mani, che sono lo strumento del ministero pastorale, dall'Eucarestia all'Unzione degli Infermi.

    Da vescovo, solennemente, mi fu donata la pienezza dello Spirito e fu unto tutto il capo. Che responsabilità. È dunque giusto, non solo davanti a Dio, ma verso tutti coloro che incontro nel ministero, che attraverso l'annuncio della Parola o la celebrazione Eucaristica, si 'senta il respiro dello Spirito'. Non è possibile essere vescovi e neppure cristiani, senza dare un segno, anche se piccolo, dello Spirito che è in noi. Questa Presenza operante dello Spirito non può che suscitare in noi, nella Chiesa, lo stupore di sentire la Sua opera in noi.

    Tornano le parole, piene di commozione e gratitudine, di Paolo VI:

    "Grande ora è questa che offre ai fedeli la sorte di concepire la vita cattolica come una dignità e una fortuna, come una nobiltà e una vocazione.

    Grande ora è questa che sveglia la coscienza cristiana dall'assopimento indolente in cui per moltissimi era caduta, e la illumina di nuovi diritti e doveri.

    Grande ora è questa che non ammette che uno possa dirsi cristiano e conduca una vita moralmente mediocre, caratterizzata dall'osservanza stentata di qualche precetto religioso e non trasfigurata dalla volontà positiva, umile e tenace sempre, di vivere la propria fede in pienezza di propositi.

    Grande ora è questa che bandisce dal popolo cristiano il senso della timidezza e della paura, il demone della discordia, la viltà degli interessi soverchianti quelli spirituali.

    Grande ora è questa in cui la Pentecoste invade di Spirito Santo il Corpo Mistico della Chiesa e gli ridà un rinato senso profetico". (Paolo VI giugno 1957)

    Preghiamo con la Chiesa:

    "Vieni Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce. Vieni Padre dei poveri, vieni Datore dei doni, vieni Luce dei cuori. Consolatore perfetto, Ospite dolce dell’anima, dolcissimo Sollievo.

    Nella fatica riposo, nella calura riparo, nel pianto conforto.

    O Luce beatissima, invadi nell'intimo il cuore dei tuoi fedeli.

    Senza la tua forza nulla è nell'uomo, nulla senza colpa.

    Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato. Dona ai tuoi fedeli, che sono in te confidano, i tuoi santi doni.

    Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna".

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    Coordin.
    00 16/06/2011 23:02

    Santissima Trinità (Anno A)

    Solennità della SS.MA TRINITÀ

    Un tempo nelle famiglie si iniziava la giornata, come ogni azione, compresa quella del mettersi a tavola, con il 'segno della Croce', che è davvero il simbolo della nostra fede, come a confermare la consapevolezza che tutto era fatto nel Suo Nome.

    Un 'segno' davvero tanto semplice, ma accompagnato dalla professione della nostra fede, ossia, ciò che sto iniziando si compia 'nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo', nel ricordo della morte e resurrezione di Gesù, che sulla Croce ci ha salvati.

    È un semplice, ma profondo modo di proclamare la nostra fede ed anche di dare senso alle nostre azioni, oltre che metterle nelle sicure mani della Trinità.

    Normalmente al segno della croce si aggiungeva la lode alla Trinità: 'Sia gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo'. La Chiesa stessa, ogni volta che prega, come a dare gloria e ragione a ciò che chiede nella preghiera, conclude: 'Per il nostro Signore Gesù Cristo, che è Dio e vive e regna nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

    Una realtà di vita con il nostro Dio, che confermiamo nel Credo, riconoscendo quanto Dio ha realizzato per noi, cominciando dal Padre: 'Credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra', per poi contemplare Gesù: 'Credo in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nato da Maria Vergine, fattosi uomo, fu crocifisso per noi, morì e fu sepolto, è asceso al cielo e siede alla destra del Padre'. Infine: 'Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa Cattolica', di cui lo Spirito è l'Anima. Un credo che è davvero non solo la nostra carta d'identità davanti a Dio, ma è anche la certezza del divino e stupendo Suo vivere ora vicino, tanto vicino a noi, per condividere, rispettando la nostra libertà, il cammino di fede della nostra breve esperienza terrena, per domani renderci partecipi della Sua Gloria in Cielo.

    La liturgia di oggi ci presenta l'apparizione di Dio a Mosé.

    "Mosé si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano. Allora il Signore scese nella nube, si fermò presso di lui e proclamò il nome del Signore. il Signore passò davanti a lui proclamando: 'Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e fedeltà.

    Mosé si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: 'Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mio Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato:fa “di noi la tua eredità”. (Es. 34,4-9)

    Pensando all'incredibile amore che la Trinità svolge in modo sorprendente in mezzo a noi, facendosi vicina e partecipe della nostra vicenda, non si può non essere assaliti dallo stupore.

    Accanto a ciascuno di noi veglia il Padre, che davvero non solo ci ha fatto dono della vita, ma ci ha affidato un compito che noi dobbiamo svolgere, che dipenderà dalle nostre scelte. Lui ci traccia la strada, mostrandoci la Sua Volontà - che è la nostra stessa piena realizzazione - e ci sta vicino come solo un padre sa fare.

    Ed è proprio il Figlio Gesù, che ci ha insegnato come sentirlo vicino, con la preghiera unica, ineffabile, che è il 'Padre nostro', un vero riassunto dell'amore del Padre per noi.

    Gesù, Suo Figlio, incarnandosi, non solo ha assunto la nostra natura, ma l'ha purificata dopo il peccato originale, restituendoci la possibilità di tornare con fiducia a Dio come figli prodighi, riassaporando ogni giorno la dolcezza e bellezza del Suo abbraccio. Il Padre, appena vide il figlio, che aveva abbandonato la Sua casa, per scegliere altro, 'commosso gli corse incontro, lo abbracciò e gridò: 'Facciamo festa!'.

    È una continua storia d'amore, che tutti conosciamo: la storia di un Padre, che conosce le nostre debolezze, eppure ha sempre le braccia aperte al perdono.

    Un Padre che, come tale, presiede la grande famiglia, che è l'umanità.

    Un'umanità che, come possiamo constatare ogni giorno, non sempre comprende e gioisce di essere tanto amata dal Padre, ma pare ami l'infelicità del figlio prodigo, non trovando il coraggio di 'rientrare in se stessa' e dire: 'Tornerò da mio Padre'.

    Così afferma Gesù a questo proposito:

    "Gesù disse a Nicodemo: 'Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui".

    E poi Gesù avverte ciascuno di noi:

    "Chi crede in Lui non è condannato, ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'Unigenito Figlio di Dio'. (Gv, 3, 16-18)

    Ed è Gesù che, interpellato dai suoi discepoli - 'Maestro, insegnaci a pregare.' - ci ha trasmesso la più bella preghiera, uscita dal Cuore del Figlio, per noi figli prodighi: 'Padre nostro, che sei nei cieli ... '. La più preziosa preghiera, che tutti dovremmo avere sulle labbra e nel cuore, perché, non solo è il programma della vita di ciascuno di noi, ma, quello che più conta, è un meraviglioso dialogo tra noi e il nostro Padre.

    Ed infine Gesù ci ha donato il Suo stesso Spirito, perché 'restasse con noi, fino alla fine dei tempi', ispirando le nostre scelte e donando la forza di compierle.

    Quante volte, incontrando o vedendo fratelli o sorelle di fede, si rimane come stupiti nell' ammirare come in loro davvero vive Dio. E quante volte udendo la Parola del S. Padre, di sacerdoti o di semplici credenti, si coglie 'l'ispirazione' dello Spirito Santo che li guida.

    Abbiamo ancora nel ricordo, vivissima, la vita del beato Giovanni Paolo II, e più passa il tempo e più si ha la certezza che in lui davvero agiva lo Spirito Santo. Affrontava tutto, compresa la malattia, con la forza che è dono dello Spirito. Ho sempre nella mente la sua visita ad Agrigento. Si rivolse con forza, 'improvvisando', e scuotendo tutti, agli uomini della mafia: 'Non uccidete ... '. Uno spettacolo divino della Presenza dello Spirito, che appare tante volte nella storia degli uomini. E dovrebbe essere anche in noi.

    Davanti a questo stupendo quadro del rapporto che la SS.ma Trinità ha con ciascuno di noi, viene da pregare:

    "Credo in Te, Dio, mi fai scoprire il senso della vita; mi inviti a rimanere con te, a rimanere in tua compagnia, per scoprirti amore che si dona.

    Credo, mio Dio, che Tu sei Santo ed io ti adoro. Spesso mi chiudo nella mia fragilità, mi lascio imprigionare dalle mie paure, mi ancoro a tante mie certezze, e tu mi sussurri poche parole: 'Non temere, ti amo'.

    Credo, mio Dio, che tu mi hai dato tutto: ti ringrazio. Ti rendo grazie per la bellezza della creazione, per avermi pensato, desiderato e amato da sempre. Ti ringrazio per avermi dato la tua vita e aver offerto il tuo amore per me e per la mia salvezza.

    Credo, mio Dio, che tu sei pieno di misericordia. Le mie paure, i miei limiti, il mio peccato aprono le braccia della tua bontà. Tu sei qui, dentro di me, pronto ad accogliermi. Mi proponi la tua amicizia e mi sveli i desideri del tuo Cuore. Sii per me Luce che rischiara la strada, Parola viva che mi sostiene nelle scelte di ogni giorno.

    Grazie, o Dio, perché ci sei e bussi alla mia porta, anche quando la sbarro davanti a Te, finché io la apra, perché senza di Te la vita non ha futuro.

    È davvero una grande gioia, anche solo pensare che c'è Dio tanto vicino a noi, con amore.

    "Un maestro di spirito - affermava Paolo VI - diceva: 'Nella vita spirituale c'è una sola tristezza legittima, ed è quella che ci sorprende e ci deve prendere quando abbiamo peccato: i nostri peccati sono la vera e grande tristezza. E per questo c'è il rimedio: la misericordia di Dio'. Perciò la vita del cristiano deve sempre avere accesa sopra di sé la gioia. Tutto deve svolgersi nel clima di una semplice ma serena pace, che parte dalla grazia di Dio.

    Vorrei domandarvi: avete mai incontrato un santo? E se l'avete incontrato, qual è la nota che avete

    trovato in quell'anima? Sarà una gioia, una letizia così composta, così profonda, così semplice, ma così vera. Ed è questa trasparenza di letizia che ci fa dire: quella è davvero un'anima buona, perché ha la gioia nel cuore, ebbene, io auguro che voi tutti, che siete uniti a Cristo, abbiate sempre la letizia dell'anima". (Paolo VI, 1961)

    Ed è la gioia che oggi, nella solennità della SS.ma Trinità, che è in noi, faccio a voi. Gioia: il più grande dono della fede.

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    00 25/06/2011 08:05

    Santissimo Corpo e Sangue di Cristo

    CORPUS DOMINI: “Io sono il pane della vita”

    "Io sono il pane vivo disceso dal Cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che Io darò è la mia carne per la vita del mondo". (Gv. 6. 51)

    Nella solenne affermazione di Gesù c'è una profonda e grande verità, che non ammette discussioni. Lui 'è il pane disceso dal cielo': mangiarne è conoscere la vera Vita, che non si limita a quella materiale, ma va ben oltre, come conviene ad un uomo - noi, usciti da sempre dalle mani di Dio ­che per 'vivere' ha un gran bisogno di Dio. Un bisogno che Gesù concretizza del 'suo pane'.

    Siamo abituati ad un'infinità di proposte, che nulla hanno a che fare con la vita eterna - nostro vero destino - ma si limitano a questo momento del1'esistenza, qui sulla terra, e quindi le proposte sono, se tutto va bene, limitate e passeggere.

    Sono proposte che si concludono sempre in piccoli progetti per 'migliorare la vita', ma, spesso, neppure sappiamo cosa voglia veramente dire 'migliorare la vita' per una persona.

    Se per 'vita migliore' intendiamo pane, lavoro, ricchezza, potremmo rispondere che tanti, fra noi, oggi possono avere un pezzo di pane, una casa e fanno gridare allo stupore di sentirsi 'ricchi'. Tanto che uno scrittore ha detto che noi italiani facciamo fatica a 'vivere da ricchi'!

    Forse si può essere ricchi di cose materiali, ma coloro che le possiedono sono davvero felici? Migliori? O non ci ritroviamo con tanta infelicità addosso, che fa discutere su questa proclamata ricchezza? Quella fatta di cose materiali è davvero la vera ricchezza di cui abbiamo bisogno: cose che non hanno voce e cuore?

    È altro 'il pane' che dà la vera felicità, che dura sempre: Gesù tra di noi.

    Fatti per il cielo non potevamo assolutamente accontentarci di cose di piccola portata, che non hanno il domani dei figli di Dio. Tutto ciò che c'è attorno a noi, dal pane alla casa non ha eternità e non può essere la vera vita dell'uomo. 'Il Padre sa di quello che avete bisogno" voi ... 'Cercate il Regno dei Cieli ed il resto vi sarà dato in sovrappiù '. Gesù ci vuole dare qualcosa che vada oltre e che solo Dio sa indicare e donare. Ed ecco allora il dono dell'Eucarestia.

    "Gesù disse alle folle dei Giudei: 'Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo'. Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: 'Come può costui darci la sua carne da mangiare?'. Gesù disse: 'In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è il vero cibo e il mio sangue la vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui". (Gv. 6, 51-59)

    Parole difficili forse a capire, ma sono la descrizione dell' Amore, che 'si fa a pezzi' per l'uomo, divenendo suo cibo.

    Questo stupendo evento, in cui il pane diventa 'carne di Gesù' e il vino 'Suo sangue', avviene sempre nella S. Messa. Gesù si serve di noi sacerdoti o vescovi per attuare questo prodigio, proprio nella celebrazione Eucaristica.

    Sono tanti anni che celebro la S. Messa, ma confesso che ogni volta che arrivo al momento in cui avviene questo incredibile miracolo, mi riempio di stupore. Mi chiedo se Dio poteva fare un dono più grande a noi uomini ... per mezzo nostro?!

    Fin dove arriva 1'Amore di Dio!... mentre noi siamo abituati a vedere solo nelle cose materiali il nostro pane quotidiano! ! !

    A volte quasi mi attendo che quell'Ostia sanguini, come è avvenuto in qualche luogo.

    Di certo è che in quel momento riconosco il grande Dono di Dio. E' uno stupore che trasborda in gratitudine, in amore, ed è come intuire e vedere il Cielo.

    E quanto più ammirabile il dono di Dio, che mi fa 'essere Gesù', che trasforma il pane nel Suo Corpo e il vino nel Suo Sangue. Tenere l'Ostia tra le dita è 'tenere' Lui stesso, Gesù. Mistero d'Amore.

    E quando Lo riceviamo in noi, Egli diventa 'una cosa sola in noi'.

    Com'è possibile che tanti, che si dichiarano cristiani, possano concepire la S. Messa come una 'cosa da poco', tanto che alla domenica preferiscono una gita o una fermata al bar alla partecipazione della Celebrazione Eucaristica. Non è una consuetudine, tanto meno un peso e neppure uno spettacolo da vedere la S. Messa, ma un partecipare all'Evento.

    Ogni cristiano, nel battesimo, partecipa al sacerdozio di Gesù e quindi nella Messa partecipa attivamente all'azione eucaristica.

    Occorrerebbe avere la fede dei cristiani di Abilene che, di fronte ai loro carnefici, che chiedevano loro di non celebrare più la S. Messa, risposero: 'Senza Messa non possiamo esistere'.

    E così è per tanti - o forse pochi? - oggi.

    Mamma da giovane, con le sorelle, ogni giorno d'estate o d'inverno, di prima mattina, percorreva 3 Km, per partecipare alla Messa. È troppo grande questo Dono che Gesù ci fa per esservi indifferenti o tradirlo, perché lo si trascura o lo si sente come un peso. Essere tanto amati può essere considerato un peso o non piuttosto una grande gioia?

    Ricordo la letizia che traspariva sul volto di un mio confratello, il famoso poeta Clemente Rebora, quando ogni giorno, alla Sacra di S. Michele, celebrava la Messa e io la servivo. Era indescrivibile come si trasformasse, anche fisicamente, poiché viveva ciò che celebrava.

    Così S. Paolo scriveva agli Efesini: "Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c'è un pane per noi, pur essendo molti, noi siamo un solo corpo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane". (Cor. 10, 16-17)

    Penso a tanti nostri fratelli nella fede, in Cina, che devono celebrare clandestinamente la S. Messa, rischiando la vita o al vescovo del Vietnam, che per la sua fede conobbe tanti anni di carcere. Si faceva dare dai carcerieri un poco di vino 'per la sua salute' e poi, alla sera, quando la sorveglianza veniva meno, con poche briciole di pane della mensa e con quel vino celebrava la S. Messa.

    Me lo raccontava una volta, viaggiando insieme, quando, liberato, venne in Italia, e mi diceva: 'Quanta gioia durante quelle Messe! Quella cella, in cui ero rinchiuso, diventava la più bella cattedrale' .

    "Quale tesoro - affermava Giovanni XXIII - nella S. Messa! Ma come spesso è lasciato, si direbbe, in disparte: sembra che molti, passandovi accanto, non si accorgano di questa mirabile sorgente di luce e di grazia, di santità. È proprio la Messa a suscitare invece la più intima familiarità dell'uomo con il suo Signore, con Colui che l'ha creato e redento.

    Grazie a Dio, molti invece sanno ancora apprezzare la ricchezza infinita dell'Eucarestia. Ai piedi dell'altare accorrono umile gente e grandi della terra. Le anime sono come rapite da questa unità col Salvatore, da cui sorgono infinite grazie. È la Comunione ad infondere la risolutezza e il coraggio che nessun intervento o scienza dell'uomo può riuscire ad ottenere fra noi.

    La Comunione dona incomparabili energie, che occorrono per il compimento del proprio dovere, per avere pazienza, per operare contro tutto e tutti, non certo in battaglia, ma resistendo, conquistando, diffondendo lo spirito di santificazione e di apostolato sociale".

    Con la Chiesa cantiamo e ringraziamo Dio, per il dono dell'Eucarestia, che è la continua Sua Presenza tra di noi.

    Quante volte, passando accanto ad una chiesa, penso a Gesù che è lì, mi vede passare, e Lo saluto affettuosamente?

    È davvero bello sapere che Gesù è, non solo in noi nella Comunione, ma tra noi, nelle tante chiese, rinchiuso nei tabernacoli.

    Lo ringraziamo con l'inno della Messa:

    "Ecco il Pane degli angeli, Pane dei pellegrini, vero Pane dei figli: non deve essere gettato.

    Buon Pastore, vero Pane, o Gesù, abbi pietà di noi.

    Nutrici e difendici, portaci ai beni eterni, nella terra dei viventi. Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra,

    conduci i tuoi fratelli alla tavola del Cielo, nella gioia dei tuoi Santi".

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    Coordin.
    00 02/07/2011 08:08

    XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    Venite a me, voi tutti affaticati

    "Così dice il Signore: 'Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco a te viene il tuo Re. Egli è giusto e vittorioso; umile, cavalca un asino,

    un puledro, figlio di asina.

    Farà sparire i carri di Efraim e i cavalli di Gerusalemme, l'arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare,

    e dal fìume ai confini della terra". (Zaccaria 9,9-10)

    Le parole del profeta Zaccaria fanno corona a quelle di Gesù, che oggi la liturgia ci invita ad ascoltare e fare nostre.

    Ci sono brani del Vangelo, che si staccano talmente dal nostro comune modo di pensare e anche di vivere, che sembrano davvero uno 'spaccato' di Cielo, che si apre sul capo degli uomini, come a mostrarci una dolcezza, una tenerezza di Dio, che difficilmente possiamo sperimentare tra noi uomini.

    Siamo abituati troppo spesso all'esperienza 'delle spalle curve', per il dolore o la croce che ci accompagna tutti, senza distinzioni, nella vita.

    Basterebbe pensare alla grande sofferenza del beato Giovanni Paolo II, che, negli ultimi giorni della vita, appariva la domenica alle folle di piazza S, Pietro: era visibile a tutti noi la sua pena di non riuscire a dire una parola. Un quadro agghiacciante e di profondo dolore, non solo suo, ma di tutti noi che, in quei momenti, e fino alla sua morte, abbiamo sofferto con lui, come fosse una croce uguale e comune.

    Per alcuni, forse, la sofferenza può apparire come una maledizione, che non ci si riesce a togliere di dosso, tanto da pensare di liberarsene definitivamente con stupefacenti o con la via larga dei divertimenti a tutti i costi, a volte giungendo alla soluzione estrema ed inaccettabile, che è il suicidio o la volontà di eutanasia.

    Per altri, invece, la sofferenza è vivere nella verità della fede e dell'amore, che ha il suo fondamento nel dolore donato: la Croce è il segno inconfondibile dell'amore, quando questi è quello che deve essere, per sua stessa natura, cioè dono di sé, fino al sacrificio.

    La vita di Gesù che si dona totalmente, fino alla Croce, è l'esempio vivo dell'Amore che si fa dono … meraviglioso Amore!

    Gesù, infatti, per tutto il tempo che visse tra noi, attraversando le vie della storia, vedendo la passione degli uomini, suoi contemporanei - simile in tutto alla nostra passione - fissava le folle che incontrava e lo attorniavano. Quelle folle vedevano in Lui l'ultima sponda della speranza e, quindi, della felicità. Davanti a queste folle, in cerca di qualcosa che desse ragione alla loro vita, Gesù esprime la Sua compassione, che non è un superficiale sentimento, che lascia tutto come prima, ma è condivisione totale con la passione dell'uomo.

    Anzi, Gesù fa della nostra passione la Sua passione, accomunandosi con noi nel portare quella croce quotidiana e multiforme, che tutti portiamo.

    E si rimane con lo stupore sul volto e nel cuore, con il fiato trattenuto dalla meraviglia a pensare che le spalle di Dio sono vicine alle nostre spalle, quando si piegano per il forte dolore. E ciò dà al dolore il valore della dolcezza che viene da quell'Amore fattosi compassione – il patire.

    Così nasce spontaneo il nostro Grazie. Grazie non per la croce in sé, ma perché la nostra croce, portata insieme, ci fa sperimentare dal vivo, quanto Dio si prenda cura di noi e ci voglia bene. Quante volte, incontrando i malati, scopro che sanno fare della loro malattia un modo di amare ed hanno il sorriso che brilla negli occhi, perché sono consapevoli di soffrire con Lui e per Lui.

    Anime davvero preziose, che sanno interpretare il Vangelo, che la Chiesa ci offre oggi.

    "In quel tempo, disse Gesù: 'Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a Te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a Me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi e Io vi ristorerò.

    Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da Me che sono mite ed umile di cuore e troverete ristoro per le anime vostre. Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero". (Mt. 11,25-30)

    Quante perle dentro queste poche parole!

    Anzitutto un Dio che invita con amore accorato, come sa fare una madre, che conosce nella vita solo la dolcezza, che non tiene mai conto della fatica di essere sempre disponibile ad accogliere i figli che tornano affaticati e stanchi.

    La tenerezza di un Dio che vuole cancellare stanchezza ed oppressione, facendole proprie, ed in cambio dona la serenità del proprio stesso Cuore. Il Cuore e le braccia aperte di Dio, che invitano, dovrebbero commuovere ed attirare tutti ... questo solo Egli attende da noi.

    "Venite a Me, voi tutti, che siete affaticati ed oppressi ed Io vi ristorerò".

    Sono tanto grandi le braccia e il Cuore di Dio, che l'immensità dei dolori di miliardi di uomini, là, in quelle braccia e in quel Cuore, diventano poca cosa ... Immenso il Cuore di Dio.

    Ogni persona si vanta di avere un cuore. Quanti lo dicono e lo esaltano!

    Eppure è proprio lì che l'uomo viene a mancare. Non conosce le vie della bontà, che sono il frutto dell'umiltà di cuore. Un'umiltà che genera dolcezza, sa mettersi all'ultimo posto, per fare posto a tutti, che sa essere così grande e, nel silenzio, donarsi a tutti.

    Ma bisogna ritornare umili. Diceva il nostro sempre caro maestro, Paolo VI:

    Tante volte vengono allo scoperto due malanni capitali della psicologia umana, colpevoli delle rovine più estese: l'egoismo e l'orgoglio. L'uomo allora fa centro su se stesso nella estimazione dei valori della vita: si fa primo, si fa unico.

    “La sua arte di vivere consiste nel pensare a se stesso e nel sottomettere gli altri. Tutti i grandi disordini sociali e politici hanno, nell' egoismo e nell' orgoglio, il loro bacino di cultura, dove tanti istinti umani e tante capacità di azione trovano il loro profondo alimento, ma dove l'amore non c'è più. Ed anche dove questo sovrano sentimento ancora sopravvive, ma intriso di egoismo ed orgoglio, si deforma e deprava; diventa egoismo collettivo, diventa orgoglio di prestigio comunitario. L'amore va perduto ... Questa parentela tra l'umiltà e l'amore, fra l'umiltà e la fortezza d'animo, fra l'umiltà e l'esercizio dell'autorità, indispensabile alla giustizia e al bene comune e infine tra l'umiltà e la preghiera, dovrebbe essere oggetto di continue riflessioni”. (febbraio 1975)

    È tanto difficile questo amore all'umiltà e dolcezza di cuore, in un mondo che sembra impazzito nella corsa ad essere 'grande', anche se poi la sua 'grandezza' è un momentaneo fruscio di gloria, che spesso non è assolutamente tale, anzi, poiché crea ancora ... tanti poveri!

    Il grande Papa del sorriso, Giovanni XXIII, scrivendo ai suoi fratelli, raccomandava loro:

    "La mia tranquillità personale, che fa tanta impressione nel mondo, è tutta qui.

    Stare nell'obbedienza, come ho sempre fatto, e non desiderare o pregare di vivere di più, oltre il tempo in cui l'angelo della morte mi verrà a chiamare e prendere per il Paradiso ...

    E voi fate bene a tenervi in umiltà, come mi studio di fare anch'io, e a non lasciarvi prendere dalle insinuazioni e dalle ciance del mondo. Il mondo non si interessa che di fare soldi, godere la vita ed imporsi ad ogni costo, anche con prepotenza"

    E' davvero l'umiltà che si esprimeva nel meraviglioso sorriso di Giovanni XXIII e dava ali all'intera umanità. Ce lo ricordiamo tutti il suo saluto, quando, dalla finestra del palazzo apostolico, con la semplicità e bontà, che inondarono l'umanità di serenità, rivolgendosi a tutti gli uomini, disse le memorabili parole:

    Stasera, tornando a casa, date una carezza ai vostri bambini: è la carezza del Papa. Credo che tanti di noi vorrebbero possedere questa umiltà e mitezza, per ridare a chi ci è vicino l'ottimismo della vita. E' possibile? Non solo possibile, ma, credo, necessario ... con l'aiuto di Dio!

    Antonio Riboldi – Vescovo
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    Coordin.
    00 08/07/2011 14:50

    XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    Una preziosa lezione sull’ASCOLTO DELLA PAROLA

    L'impressione che si ha, leggendo il Vangelo, è una preziosa lezione su come ci si deve accostare alla Parola di Dio. Tanti di noi, almeno alla domenica - ma è poco - hanno la possibilità di ascoltare tre brani della Parola: la I lettura dall'Antico Testamento, la II lettura dalle lettere degli Apostoli ed infine il Vangelo.

    Noi ministri siamo incaricati di dare una mano ai fedeli nell'accogliere la Parola.

    Sono tanti anni, che compio questa missione, di portare al maggior numero di persone la Parola: nelle Liturgie, nei tanti luoghi in cui sono invitato, ma anche alla spicciolata, negli incontri personali, perché la Parola di Dio, è per tutti il solo modo di entrare nella verità, che è la luce della vita.

    È davvero grande la nostra missione. Non si tratta di parlare bene, ma di suscitare, in chi ci ascolta, un desiderio, una passione, per entrare nella verità, in un mondo tanto confuso.

    E che ci sia bisogno della Parola di Dio, tutti lo sappiamo e, forse, desideriamo.

    Voglio ricordare un fatto, che mi ha commosso e mostrato la sete di verità, che è nelle persone. Invitato a tenere una conferenza, in una cittadina, in cui ogni anno si celebra per una settimana la festa, arrivando, chi mi aveva invitato mi disse subito la grande difficoltà di fare posto, nel calendario degli intrattenimenti, alla Parola.

    A sera, nonostante gli inviti, alle ore 21, recandomi puntualmente nella grande sala, trovai 20 persone: le solite - mi dissero. Attardandomi a dialogare con qualcuno, mi chiesero di iniziare, 'tanto, come sempre, saremo sempre solo i soliti'. Chiesi di attendere, perché non mi rassegnavo, di fronte a tanta delusione degli organizzatori. In un quarto d'ora - non riesco ancora, oggi, a capirne le ragioni, se non in un soffio dello Spirito - la grande sala si riempì; non solo, ma tanti per ascoltare rimasero fuori attorno all'edificio e dalle finestre seguirono l'intervento.

    Il tema era provocatorio: "Solo Gesù è il centro della vera festa dell'uomo'. Parlai per un'ora, in un silenzio di ascolto... irreale. Quando feci cenno che era giunto il momento di lasciarci, mi pregarono in coro di continuare: 'Fuori è buio - dissero - qui è la luce'. E si continuò, dialogando, fino a mezzanotte. Un vero miracolo della Parola.

    Fui invitato l'anno seguente e, dopo l'esperienza vissuta, l'incontro avvenne nel grande teatro con le balconate. Mi faceva compagnia il Prof. Zichichi. Il teatro venne chiuso mezz'ora prima, perché ogni posto era occupato e così molte persone dovettero stare fuori, in attesa che qualcuno uscisse.

    Ormai la Parola aveva conquistato l'attenzione della gente.

    Successe un'altra volta, in un'altra località, con il teatro pieno, che dopo l'ascolto, qualcuno chiese con commozione: 'Ci dica: ma chi può, oggi, in un mondo chiassoso, senza offerta di verità, donarci speranza nella vita?'. La mia risposta fu ed è sicura: 'Solo Gesù e la Sua Parola'.

    Davvero lo dico con la mia lunga esperienza: tutti abbiamo bisogno della Parola di Dio, anche se non sempre - come narra il Vangelo - per le troppe altre parole che ci sommergono, riesce a mettere radici profonde.

    "Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare. Si cominciò a raccogliere attorno a Lui tanta folla, che dovette salire sulla barca; si pose a sedere, mentre la folla rimaneva sulla spiaggia. Egli parlò di molte cose in parabole. E disse: 'Ecco il seminatore uscì a seminare. E mentre seminava, parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un'altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c'era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. Ma spuntato il sole, restò bruciata e, non avendo radici, si seccò. Un'altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. Un'altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove li trenta. Chi ha orecchi intenda'.

    Una parabola che gli apostoli non capirono, tanto da chiederGli: 'Perché parli in parabole?'. Allora Gesù spiegò loro - e a noi - la parabola del seminatore.

    'Tutte le volte che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada.

    Quello che è stato seminato in un luogo sassoso è l'uomo che ascolta la parola e subito l'accoglie con gioia, ma non ha radici in sé ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o persecuzione del mondo, a causa della Parola, egli ne resta scandalizzato.

    Quello seminato tra le spine, è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e l'inganno della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto.

    Quello seminato nella terra buona, è colui che ascolta la Parola e la comprende: questi dà frutto e produce, ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta'. (Mt 13, 1-23)

    Una parabola che impegna tutti noi nell'esaminare che fine fa la Parola di Dio, che leggiamo o ascoltiamo. Ricordo, da ragazzo, tutti sentivano l'impegno di andare a Messa la domenica, ma, gli uomini, avevano l'abitudine di attardarsi sul sagrato a raccontarsi i fatti della settimana, in attesa che il sacrista li avvertisse della fine della predica!!! Per loro, quindi, la Parola non faceva parte della Messa. Una cattiva abitudine.

    Sono passati quei tempi, ma ancora tanti vedono la Messa o l'omelia come un 'perditempo'.

    Grazie a Dio, dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, che ha fatto della Parola il centro della fede e della vita della Chiesa, questa ha riconquistato il suo vero posto.

    Si sono moltiplicati i centri di ascolto, che sono quegli incontri, in cui i fedeli cercano di 'entrare' nella bellezza della Parola, perché diventi efficace, luce della vita.

    È facile, oggi, incontrare cristiani che portano con sé, ovunque, il Vangelo. Ma occorre fare ancora tanto lavoro, da parte di noi sacerdoti, perché la Parola, che è Cristo, sia messa al centro della vita

    delle Comunità ecclesiali, curandone la predicazione.

    Ricordo sempre, a Torino, - ero studente - una sera mi recai a sentire un grande conferenziere, sacerdote, con tanta gente ad ascoltarlo. Vi furono tanti battimani, per l'eloquenza del predicatore. Tornando a casa, mi imbattei in una chiesa avvolta nel raccoglimento. Vi erano molti fedeli presenti, incollati all'ascolto del celebrante che, con estrema semplicità - quale si addice alla predica, per mettere al primo posto Gesù e non la nostra arte oratoria - spiegava la Parola. Mi incantò la sua semplicità, che faceva filtrare il bello della Parola, come fosse pronunciata direttamente da Gesù.

    Un poco come era abitudine del S. Curato d'Ars, che con la sua umiltà e profondità, scuoteva i cuori dei suoi fedeli.

    Scriveva il caro Giovanni XXIII: "La saggezza si esprime nella scelta accurata dei tempi della predicazione sia ordinaria di tutto l'anno ... sia straordinaria o caratteristica della Quaresima e della preparazione alle maggiori feste del calendario liturgico. La tentazione non manca di fare della poesia e della letteratura su argomenti più piacevoli, oppure di specializzarsi in apologetica, forse affidandosi a vecchie forme, senza tener conto delle necessità, qualche volta tremende, del tempo presente. Facciamo attenzione: il popolo ci domanda pane sostanzioso di verità, non diamogli piccoli tratti o racconti più o meno edificanti, che non hanno presa profonda sullo spirito. L'ideale è nel sapere così bene inquadrare la dottrina, in debite proporzioni, da niente dimenticare e tutto volgere ad incrementare di solida formazione intellettuale. La semplicità è il grande dono del predicatore, la via sicura per toccare il fondo delle coscienze. Semplicità non è parlare a vanvera o a braccio; essa richiede seria preparazione di preghiera e di studio. La semplicità non accarezza la preoccupazione di fare bella figura, né di cercare la parola tornita, che fa scattare l'applauso: essa rende anzi timorosi di ciò che può arrestare il moto della grazia nelle anime".

    Ricorderò sempre la testimonianza di mamma. La domenica era una festa partecipare tutti alla S. Messa. Poi mamma, prima di sederci a tavola, ci chiedeva una frase della predica, senza la quale si rischiava di saltare il pranzo. Una saggezza perduta.

    C'è un modo per capire se le persone a cui rivolgi la Parola, ti stanno seguendo. Quando predico, ho l'abitudine di guardare negli occhi delle persone più vicine, facendo della predica un dialogo della Parola con loro. Mi accorgo sempre quando la Parola non giunge e quando, invece, diventa dono.

    Noi sacerdoti e vescovi dobbiamo veramente imparare la semplicità di un Vangelo donato con amore, come voce di Cristo, e lasciare sempre impronte incancellabili della Parola di Dio.

    Ne saremo capaci?

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    00 15/07/2011 21:06

    XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    VIGILIAMO, perché in noi non attecchisca la zizzania

    È facile per noi sacerdoti incontrare genitori che, con molta sofferenza, non sanno spiegarsi come mai un figlio o una figlia, dopo essere cresciuti in un ambiente sano ed educativo, improvvisamente sembra voltino le spalle alla buona educazione nella crescita, adottando uno stile di vita esattamente contrario a quello ricevuto. Difficile trovare le cause, perché sono troppe.

    E lo stesso accade ad alcune persone che, fino ad un certo punto irreprensibili nella loro vita cristiana, senza una spiegazione apparentemente plausibile - se possono essercene - sposano una vita che è esattamente il contrario di quanto avevano con gioia professato.

    E sono tante le storie dolorose, che tutti credo possiamo raccontare in proposito: amici, con cui condividevamo la bellezza della fede; persone che ci prendevano quasi per mano nella dura, ma necessaria, scalata alla santità ...

    Mi ha fatto impressione trovare in carcere una persona che ammiravo tanto per la sua onestà e testimonianza. Incontrandolo e chiedendogli una spiegazione, se voleva, mi disse: 'Mi sono lasciato attrarre dal denaro, da certe amicizie. Ho creduto che lì e solo lì ci fosse la vera ragione di vita e, in un batter d'occhio, mi sono trovato qui. Ma mi è rimasta la nostalgia di quello che ero; ora sto cercando giorno per giorno di ricostruire quella pista di bontà, che mi accorgo era la sola che donava la gioia'. E Con voce commossa e occhi pieni di pianto, continuò: 'Ma come si fa a voltare le spalle al Padre, che è il solo amico che ti dà gioia? Ma che senso ha perdersi in disonestà, che ti conducono dove sono? E ora il prezzo da pagare è tanto. Ci riuscirò? Non mi resta che ricostruire ciò che ero, anche se l'ambiente non aiuta. Ma l'aiuto lo aspetto dalla grazia e da chi, come lei, mi farà da guida a cercare la strada giusta della vita'.

    Non dovrebbe essere un mistero per alcuno che 1'atmosfera che si respira oggi non è quella che aiuta a difendere il 'buon grano" che Dio cerca di seminare ogni giorno in noi.

    Tutto, anche se con toni di festival, sembra indicarci altre strade.

    Oggi dovremmo leggere bene la parabola di Gesù, che può farci da guida nella vita, imparando a discernere se ciò che scegliamo o facciamo è 'grano buono' o se 'di notte" ossia senza che ce ne accorgiamo, perché questa è l'arte dell' inganno, ciò che riteniamo 'grano' non sia diventato 'zizzania '.

    Ci avverte S. Paolo: "Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili: colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio". (Rom. 8, 26-27)

    C'era un tempo in cui tutti, ma proprio tutti, si andava a Messa alla domenica. Ma c'era anche l'abitudine che gli uomini stessero fuori della chiesa, in attesa che il sacerdote finisse la predica.

    Per loro la celebrazione iniziava dall'Offertorio. Ed era il sacrista che si incaricava di avvertirli. Non era così per mamma e papà che, a pranzo, volevano sapere da qualcuno di noi, scelti volta per volta, cosa avesse detto il Parroco. Non avere la risposta significava rischiare ... il pranzo!

    Così come i nostri vecchi sapevano tanto della Parola, al punto che un giorno, un grande dello spirito, il beato Contini, passeggiando per i campi si fermò a dialogare con una donna, che lavorava. Ed alla fine il suo stupore, per la conoscenza della Parola, da parte di questa cristiana, fu tale che esclamò: 'Ne sa più e meglio di un sacerdote!'.

    Ma tutto questo, purtroppo, sembra sparito, con grande danno della fede.

    E a questo punto non dobbiamo più stupirci che, nel mondo, anche della Chiesa, ci sia tanta, troppa 'zizzania', che impedisce che la Grazia operi in noi.

    Meditiamo il breve, ma denso, Vangelo di oggi:

    "Il Regno dei cieli si può paragonare ad un uomo che ha seminato il buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico. seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania.

    Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: 'Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?'. Ed egli rispose loro: 'Un nemico ha fatto questo.' E i servi gli dissero: 'Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla?'. 'No' rispose, 'perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori:

    Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio. (Mt. 13, 24-30)

    Fa impressione quello che afferma Gesù, ma è la verità dei fatti: chi semina 'zizzania " ossia il male, lo fa in modo subdolo. Quando nelle nostre coscienze a volte 'è notte" con parole persuasive semina 'zizzania" che a volte si trasforma in dissidi, in mezze parole, che rischiano di rovinare i buoni rapporti tra noi ... tanto che diciamo: 'Non gettare zizzania!', perché il volersi bene ha bisogno di un campo, in cui ci sia solo grano, ossia verità, bontà.

    Quante volte nel dialogo tra di noi, come a giustificare la 'zizzania" sentiamo affermare: 'Che male c'è?' Nascondendo che dal male ci si difende non con l'oscurare il bene e la verità, ma con più amore al bene e alla verità.

    Sono tantissimi anni, come quelli del S. Padre - 60 anni - che cerco di seminare il 'buon grano' non solo nella celebrazione della S. Messa, ma anche in ogni circostanza che la Provvidenza mi offre Ogni volta medito a lungo, prima di 'predicare' - come faccio con internet - per fare in modo di dare via libera alla Parola di Dio, senza fronzoli.

    Ma quante prediche sarebbe meglio non si tenessero per il nulla che contengono. È urgente che, a cominciare dai sacerdoti, vediamo e trasmettiamo quella immensa luce di verità che Dio dona per fare luce ai fedeli.

    E così dovrebbe essere nella famiglia. Ma quante volte, nonostante lo sforzo esemplare dei catechisti, già nella preparazione alla Prima Comunione o alla Cresima, ci si accorge che alle spalle c'è un gran vuoto educativo e cristiano, che difficilmente i sacramenti riusciranno a riempire, riducendo così tutto ad una festa esterna, con poco o nulla di spirituale ed interiore.

    Scriveva il caro Giovanni XXIII:

    "Permettete alcune brevi considerazioni, a direzione ed a luce del ministero della Parola. Esse concernono tutto il complesso del vostro parlare: verbo et exemplo. Viviamo in tempi arruffati ed angolosi di complicazioni spesso febbrili, di smanie divenute insaziabili e prepotenti, nel rigurgito dei rapporti, anche tra cristiani, nella vita civile.

    L'esercizio della sacra predicazione, messa a servizio dell'azione sacerdotale, vuole essere particolarmente segnato di un triplice decoro: di saggezza, di semplicità, di carità ....

    La carità va di pari passo con la verità .... Dio ci ha chiamati ad illuminare le coscienze, non a confonderle e a forzarle; ci ha chiamati a parlare con la stessa semplicità con cui si enunciano gli articoli del Credo apostolico, non a complicare il ragionamento, né ad accarezzare gli uditori; ci ha chiamati a risanare i fratelli, non a terrorizzarli ... "

    Come già vi ho detto, perché la Parola non sia un parlare, estraneo all'ascolto dell'altro, ma lo faccia partecipe, come in un dialogo - come era lo stile di Gesù - quando parlo istintivamente cerco gli occhi di chi mi sta ascoltando. Parlo fissandone gli occhi, senza che forse se ne accorgano, e così la Parola è un bene che va diritto al cuore.

    È dunque necessario che tutti noi, chi parla e chi ascolta, scorga nella Parola lo Spirito di Gesù, che cerca di trovare spazio nei nostri cuori.

    E’ urgente per non svuotare la nostra anima della conoscenza della Parola di Dio, farci riempire con la nostra attenzione consapevole e amante, rendendo la programma di vita.

    Diversamente il parlare e l'ascoltare diventa solo un noioso rumore ... e il nostro 'campo' pronto solo ad accogliere 'zizzania',

    Che non avvenga mai né in chi predica, né in chi ascolta.

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    Coordin.
    00 22/07/2011 10:50
    Omelia del giorno 24 luglio 2011

    XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    Perché viviamo e per chi?

    Se c'è una cosa insopportabile nella vita, almeno per chi senta la necessità e l'amore per la verità, è il non riuscire a capire perché si vive o, se vogliamo, per chi si vive.

    Guardando tante persone, che vivono accanto a noi o che incontriamo, scorgiamo come dipinto sul loro volto - se si ha un buon senso di osservazione - un certo smarrimento, che viene appunto dal non capire il senso della loro vita e quindi la pista da seguire.

    Fanno pietà quanti cercano di soffocare questo disagio, questa domanda del perché e del per chi si vive, abbandonandosi alle creature, che sono quelle che valgono.

    Se sul momento può affascinarci la bellezza del corpo, sappiamo che inesorabilmente viene la decadenza. Se ci affidiamo a creature-oggetto, come il denaro, o ancora peggio la ricerca del protagonismo, la celebrità, sappiamo, o dovremmo sapere, che tutto questo svanisce, non solo, ma tante volte, quando siamo soli con noi stessi, sorge una smorfia, di fronte all'evidente finzione della vita, che tutto ciò è, svanendo come la luce delle lucciole.

    L'uomo - se siamo onesti, e dovremmo esserlo, per il dono della saggezza che Dio ci ha donato ­trova la sua definizione nell'osservare e riconoscere la sua origine.

    Torna alla mente il giorno in cui il Padre ci trasse dal nulla e - come esprime la Bibbia simbolicamente, ma in modo tanto efficace - 'con un poco di fango' ci donò non solo la dignità di uomini, quali siamo, ma è andato oltre, facendoci 'simili a Sé', destinandoci alla vita felice con Lui, per l'eternità.

    A volte ci pare impossibile che Dio, nella Sua infinita grandezza, ci abbia amato così tanto, da giungere poi a sacrificare Suo Figlio per riaverci in cielo, come aveva pensato fin dalla creazione. Davvero a volte viene da chiedersi: ma chi sono io, che a volte mi apprezzo fuori luogo ed altre mi disprezzo, eppure sono tanto amato da Dio? Ma chi siamo? Possibile che Dio si abbassi tanto per comunicarci amore? E come non commuoverci sapendo che, anche se per ignoranza o cattiveria a volte preferiamo altro, Lui non smette di amarci, fino al punto che se, dopo aver sbagliato, ci pentiamo, è pronto a gettarci le braccia al collo?

    Viene in soccorso a tante nostre domande quanto si chiede il Salmista:

    "O Signore, quanto è grande il tuo Nome su tutta la terra!

    Se guardo il cielo,. opera delle tue dita, la luna e le stelle che vi hai posto,

    chi è mai l'uomo, o Dio, perché ti ricordi di lui? Chi è mai perché tu ne abbia cura? L'hai fatto di poco inferiore a un dio, coronato di forza ed onore,

    signore dell'opera delle tue mani. Tutto hai messo sotto il suo dominio.

    O Signore, nostro Dio, grande è il tuo Nome su tutta la terra". (Salmo 8)

    Dio certamente non fissa il suo sguardo sulle apparenze momentanee, di cui ci fregiamo, ma va oltre, guarda il cuore, per cui il Padre sa riempire di amore tutti, anche e soprattutto quelli che hanno poco, ma Gli fanno spazio: coloro che sanno rendersi conto che senza di Lui la vita è vuota.

    Una domanda che si fa soprattutto ai piccoli e agli adolescenti è: 'Cosa credi che sia il bello della vita? In che modo ti impegneresti per averlo e che cosa vale la pena di 'sacrificare' per averlo?'. Sappiamo tutti che tante volte l'educazione dei piccoli e degli adolescenti mira a tutto ciò che è futile nel mondo e nella vita: dal successo, alla notorietà, alla ricchezza. Basta vedere l'assurdo interesse per attrici o attori, che si mostrano in video, con scene di incredibile adulazione, voglia di essere come loro, anche se dovremmo sapere quanto vuoto, spesso vi è dietro a tanto luccichio, e quanto possa durare poco: basta nulla e tutto svanisce ...

    Dovremmo tutti tornare a scoprire il grande valore della vita, di chi siamo, pensando appunto che, essendo 'fatti ad immagine di Dio', siamo chiamati a vivere con Lui e per Lui, e che ciò che vale in questa breve parentesi della vita quaggiù è spenderla per essere degni di poterlo incontrare.

    C'è una bella lettura oggi, nel libro dei Re, molto istruttiva al riguardo:

    "Il Signore apparve a Salomone in sogno, durante la notte e gli disse: 'Chiedimi ciò che io devo concederti. E Salomone disse: 'Signore Dio, che hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide mio padre. Ebbene io sono un ragazzo, non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che ti sei scelto, popolo così numeroso che non si può calcolare o contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male, perché chi potrebbe governare questo tuo popolo così numeroso?”

    Al Signore piacque che Salomone avesse domandato la saggezza nel governare.

    Dio gli disse: 'Perché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te né una lunga vita, né la ricchezza, né la morte dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, io faccio come tu hai detto. Ecco ti concedo un cuore saggio e intelligente. Come te non ci fu alcuno prima di te, né sorgerà dopo di te” (1 Re 3,5-7-12)

    Una testimonianza, quella di Salomone, che resta una grande lezione di vita per tutti.

    Se esaminiamo quello che noi, a volte, chiediamo a Dio, forse possiamo trovare grandi differenze dalla richiesta di Salomone!

    Gesù, nel Vangelo, come a ricalcare le parole di Salomone, torna sulla necessità di dare il primo posto alla ricerca quotidiana del Regno, che è poi il solo grande Bene, immenso Bene, che dà il vero senso alla vita, davanti a cui, tante volte, ciò che cerchiamo si rivela per quello che è: dannose sciocchezze.

    Gesù torna ad invitarci a guardare al vero tesoro della vita: la santità.

    "Gesù disse alla folla: 'Il Regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto in un campo. Un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il Regno dei cieli è simile ad un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.

    Il Regno dei cieli è simile anche ad una rete gettata in mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete capito tutte queste cose?'. Gli risposero: 'Sì'. (Mt. 13,44-52)

    E verrebbe la voglia di chiederci: e noi lo abbiamo capito? Sono queste le linee guida della nostra vita?

    Non dovremmo mai dimenticare quello che siamo: uomini e donne usciti dal Cuore del Padre, che ci ama e desidera una cosa sola: che viviamo a Sua immagine!

    Difficile, forse, oggi, in un mondo che rincorre altri idoli, ma necessario, se davvero vogliamo dare alla nostra vita la giusta direzione.

    Cerchiamo di seguire le sagge parole di quel grande Papa del sorriso, Giovanni XXIII, che a proposito di santità diceva:

    "Basta un semplice pensiero di amor proprio a mandare in rovina per sempre un'infinità di spiriti nobilissimi. Una debolezza di Eva, nel lasciarsi incantare dal serpente, fu l'occasione di tutti i mali dell'umanità. Quale lezione!

    Se è vero che, se ad ogni piccolo atto virtuoso corrisponde un cumulo di grazie, deve essere vero altresì che il trascurare anche per un poco questi atti, può essere il principio della mancanza di tante grazie, senza di cui io non posso fare nulla. Non è questione di maggiore o minore degnazione o benevolenza da parte di Dio, ma è questione di corrispondenza da parte dell'uomo.

    Le grazie sono sempre pronte, sono le nostre mancanze che ne impediscono l'applicazione. Ricordiamoci: la santità dei santi non è fondata sopra fatti strepitosi, ma sopra piccole cose che forse all'occhio del mondo sembrano inezie".

    Quanta saggezza e semplicità in queste parole. Le stesse virtù che abbiamo potuto tutti ammirare nel Suo pontificato.

    Non resta che chiedere a Maria SS.ma quello che chiedeva S. Francesco di Sales:

    "Per l'amore e per la gloria del Tuo Figlio divino, accettami come tuo figlio, senza considerare i miei peccati e le mie miserie.

    Libera l'anima mia e il mio corpo da ogni male, donami tutte le virtù.

    Infine arricchiscimi di tutti i beni e di tutte le grazie, che fanno lieta la SS.ma Trinità".

    Antonio Riboldi – Vescovo
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    Coordin.
    00 30/07/2011 19:46
    XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    La meravigliosa compassione di Gesù

    È nello stile del Vangelo, e di tutta la Sacra Scrittura in genere, con poche pennellate, presentare un fatto che immette in dimensioni, che poco hanno a che fare e vedere con le cronache, che siamo abituati a leggere o narrare noi uomini.

    E nel Vangelo il punto focale è sempre Gesù, Figlio di Dio tra noi uomini, ieri e oggi. Attorno a Lui vi è 'la folla', che interpreta le genti di tutti i tempi.

    "In quel tempo - narra Matteo - quando Gesù udì della morte di Giovanni Battista, partì su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto".

    Deve essere stato profondo il dolore di Gesù, per la morte di chi Lo aveva annunciato.

    Tra Gesù e Giovanni s’intreccia l’inizio della nostra storia: Giovanni, che annuncia, finalmente, l'avvento di Dio, tanto atteso, tra di noi, e Gesù che inizia la Sua missione di Dio tra noi uomini.

    Mi vengono alla mente tanti missionari, ma oggi anche semplici cristiani, tra di noi, che, spinti dallo Spirito Santo, in mezzo alla folla cercano di fare conoscere Gesù e non sempre con successo.

    Ecco il perché della profondità del dolore del Maestro, che sceglie il silenzio, salendo solo sulla barca. È una testimonianza di come il dolore ami il silenzio. Il vero dolore trova il suo rifugio nel silenzio, che è un interrogarsi su quanto è accaduto, per 'scoprire' i segreti del Padre.

    Noi spesso diamo sfogo al dolore, manifestandolo in modo a volte chiassoso, che non aiuta a capirne ed accettarne la grande ragione.

    Ricordo, da ragazzo, la morte della mia sorellina più piccola, curata da mamma. Era domenica. Mia sorella stava molto male. Non era come oggi, in cui è possibile trovare chi aiuti. Comprendevo che quelle erano le sue ultime ore di vita. Ma mamma preferì che noi tutti andassimo in parrocchia per la catechesi festiva. Quando tornai, mia sorella, che si chiamava Redenta; in ricordo dell'anno della Redenzione, era morta. Mamma volle deporla in mezzo all'unica camera da letto, tra di noi, come a dire la sua fede nella resurrezione. Ero stupito di come mamma non desse segno di disperazione. 'Questa notte - ci disse - Redenta dorme ancora tra di noi, poi sarà in Cielo'.

    Scoprii il suo dolore il giorno dopo, durante la sepoltura. Nel pomeriggio, senza farmi accorgere, seguii mamma, che si recava nel cimitero, chiuso. La ricordo abbracciata al cancello, che piangendo chiamava la sua bambina. Tornata a casa disse solo: 'E' vero che Redenta ci manca, ma è qui dal Cielo'.

    È tanto simile al dolore di Gesù, quando seppe della morte di Giovanni Battista. Possiamo immaginarlo sulla barca, solo, come a nascondere, per vivere ancor più intensamente il dolore.

    Che magnifico Gesù, Dio-Uomo: come ci assomiglia!

    Commenta S. Paolo: "Fratelli, chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori in virtù di Colui che ci ha amati. Io infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né avvenire, né potenze, né altezze, né profondità, né alcun altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore". (Rom. 8,35-39)

    Nel Vangelo si evidenzia poi un fatto sorprendente, che è una grande lezione per tutti.

    "La folla, saputolo, lo seguì a piedi dalla città. Gesù, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì molti malati.

    Sul far della sera gli si accostarono i discepoli e gli dissero: 'Il luogo è deserto ed è ormai tardi: congeda la folla, perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare. Ma Gesù rispose: 'Non occorre che vadano, date loro voi stessi da mangiare'. Gli risposero: 'Non abbiamo che cinque pani e due pesci!'. Ed egli disse: 'Portatemeli qua'. E dopo avere ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci e alzati gli occhi al cielo, pronunciò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e li distribuirono alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini". (Mt. 14, 13-21)

    Il Vangelo di oggi non può che suscitare tanta commozione: Gesù, addolorato per la perdita di Giovanni, lascia in disparte il suo dolore e va incontro e si fa vicino alla folla che Lo cerca e desidera forse qualche miracolo, ma soprattutto il pane della Parola, che non sia vuota come a volte sono le nostre, ma contenga quella luce che fa bene al cuore.

    Commuove quella folla che insegue Gesù, fino a raggiungerlo e commuove la compassione di Gesù, che ne intuisce anche il bisogno di un pezzo di pane e lo moltiplica.

    Quella folla rappresenta, oggi, le moltitudini che non riescono ad avere voce e si affidano a Qualcuno che sia la loro Voce, che sia il compimento dei loro inespressi desideri.

    Gesù era diventano allora - e spero diventi anche oggi - l'unico punto di riferimento: Uno da cui ci si aspetta tanto, forse non sapendo neppure cosa sia quel 'tanto'.

    Possiamo dire che Gesù, ieri per quella folla, e speriamo oggi per noi, era ed è la speranza per chi era malato e, forse desiderava tornare alla salute, ma soprattutto, per chi sentiva il vuoto della vita, era il Senso ritrovato. Quanta gente soffre, si dibatte nei dubbi ... ma non vive la ricerca di Gesù, come la folla di allora!

    Gesù era allora - e speriamo oggi - per chi vuole ritrovare se stesso, stanco delle tante contraddizioni, la sua verità, il senso pieno della vita.

    Gesù, in apparenza, non aveva nulla che potesse soddisfare le attese materiali.

    La sua forza era tutta lì, in quello che era: 'povero' al punto che la sua stessa esistenza era affidata alla bontà di chi Gli era attorno, Lo amava. Eppure appariva anche chiaro che in Lui c'era ciò che supera le stesse attese degli uomini: Lui era 'il Tutto' necessario e Legge per ogni uomo.

    È in questa ottica che comprendiamo la felicità dei santi, a cominciare dal 'poverello' S. Francesco, che nella sua estrema povertà contemplava le meraviglie di Dio, lodandolo: 'Laudato sii, mio

    Signore ... '

    Dalla vita di Gesù e dalla sua parola, allora, come oggi, per i veri suoi seguaci, si comprendeva che i Cieli si erano aperti e che solo a Dio tutto è possibile, ma soprattutto si avvertiva il Suo Amore totale e fedele verso ciascuno, tanto da sentirsi in Lui e con Lui al sicuro.

    Si creava tra la folla e Lui un'autentica empatia.

    Così il profeta Isaia esprimeva questo stato d'animo:

    "O voi tutti. assetati, venite all'acqua: chi non ha denaro venga ugualmente. Comprate, mangiate senza denaro, senza spese, vino e latte. Perché spendere denaro per ciò che non è pane, il vostro patrimonio per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi, e mangiate cose buone e gusterete cibi succulenti. Porgete l'orecchio e venite a Me, ascoltate e voi vivrete. Io stabilirò per voi un'alleanza eterna". (Is. 35, 1-3)

    Ho l'impressione che oggi 'la folla' - soprattutto nei Paesi del benessere!! - stia cercando chi dia speranza, chi sia capace di farla uscire dal ghetto di cose che non donano serenità.

    Ma Gesù è sempre lì ad attenderci, pronto a confermare anche con 'segni', se fosse necessario, quanto ci vuole bene e quanto Gli stiamo a cuore.

    Ma lo cerchiamo?

    Così pregava il grande S. Agostino:

    "Signore Gesù, conoscermi, conoscerti, non desiderare altro che te; odiarmi ed amarti; agire solo per amor tuo,

    abbassarmi per farti grande e non avere altri che Te nella mente. Rinunciare a me stesso per seguirti, fuggire da me stesso per essere difeso. Diffidare di me stesso, confidare solo in Te;

    non attaccarmi a null'altro che a Te, essere povero per Te.

    Guariscimi e ti amerò: chiamami, perché ti veda e goda di Te eternamente"

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    Coordin.
    00 06/08/2011 11:17
    XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    Uomini di poca fede, perché dubitate?

    Facile immaginarvi, carissimi, in giro un poco ovunque, per un giusto momento di riposo - almeno dovrebbe essere così. Un riposo a volte strappato davvero con le unghie, data la difficoltà economica che il mondo sta attraversando. Un riposo che purtroppo non è di tutti o per tutti.

    Ogni volta, vi confesso, che anch'io mi accingo a programmare un breve periodo di riposo, mi viene quasi il rimorso, pensando a tanti che non possono godere di questa piccola gioia e non nascondo che, a volte, verrebbe voglia di rinunciarvi, per vivere fino in fondo la condivisione con chi non può. L'unica giustificazione che mi do è quella di spendere il riposo in modo da essere poi più fresco nel farmi dono a tutti ... anche se, ovunque vado, vengo richiesto per presenze nelle varie comunità, per fare dono della S. Messa o di una buona Parola.

    Ma lo faccio volentieri, perché è bello anche solo vedere come tanti, ma tanti, in un tempo di riposo, desiderino ascoltare la Parola ... senza contare i numerosi incontri, camminando sui sentieri dei monti, che sono un arricchimento nella comunione.

    Ci furono delle estati - ben dieci - in cui ebbi in dono da una comunità alpina una struttura per poter alloggiare i miei scugnizzi: ragazzini a cui era stato concesso poco e, a volte, un po' allo sbando, senza troppe regole: erano una trentina. Per loro la montagna era una favola mai vista.

    La prima volta che arrivarono - ed il rifugio cappella era a 1.200 metri, vennero con poco ed una sola maglietta addosso. Erano l'immagine dell'abbandono e della povertà. Ci volle tanta pazienza, da parte dei volontari che li accompagnavano, per rivestirli e, soprattutto, lentamente educarli alle regole del vivere insieme. Ancora oggi ringrazio Dio, che in dieci anni non solo non successero incidenti, ma anzi fu loro data la possibilità di un cammino, al punto da diventare di esempio ai loro coetanei del luogo, fino ad essere stupendi chierichetti, nel servizio delle S. Messe nelle comunità.

    Ricordo che un giorno chiesi ospitalità ad un caro gestore di una baita, per avere un piatto di pastasciutta per loro. Il giudizio finale fu: 'Padre, i suoi ragazzi sono molto più educati dei nostri: sono meravigliosi'. Questa è stata la mia più bella vacanza ... per anni!

    Una vacanza che somiglia al riposo di Gesù, narrato dal Vangelo di oggi:

    "Dopo che la folla fu saziata, subito ordinò ai suoi discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. Congedata la folla, Gesù salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora lassù a pregare".

    C'è tanta gente che, durante questo periodo di riposo, sceglie luoghi di solitudine e preghiera, come a volersi staccare dal frastuono esteriore ed interiore della vita e così ritrovare ciò che è il Bene della vita e su questo reimpostarla. Sono tanti, più di quanto pensiamo: giovani, coppie, adulti.

    E sono quel 'sale della terra', che poi diventa davvero la testimonianza di quello che dovremmo essere agli occhi del Padre.

    Ma, racconta il Vangelo, Gesù, tornando dai suoi, viene chiamato a mostrare la Sua onnipotenza. È facile nella vita quotidiana conoscere momenti difficili, che creano un senso di disagio e paura.

    "La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. Verso la fine della notte, Gesù venne verso di loro camminando sul mare. I discepoli, al vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: 'E' un fantasma' e si misero a gridare dalla paura. Pietro gli disse: 'Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque”. Ed egli disse:

    'Vieni!'. Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: 'Signore, salvami!'. E Gesù subito stese la mano, lo afferrò e gli disse: 'Uomo di poca fede, perché hai dubitato?'. Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono dinanzi, esclamando: 'Tu sei veramente il Figlio di Dio'. (Mt. 14,22-33)

    L'esperienza di Pietro, che chiede di camminare anche lui sulle acque, per poi spaventarsi - ossia l'impossibile per l'uomo, che diviene facile solo per chi ha forte fede - mette a nudo la nostra debolezza e mancanza di fiducia ed abbandono totale in Dio.

    Quante volte ci troviamo in difficoltà tali, che crediamo di non poterle superare. È raro che la nostra vita quotidiana sia come un mare calmo.

    Quando va bene, per le piccole spine che incontriamo, è un mare increspato che non deve far paura. Il difficile viene quando il mare è talmente agitato, che rende impossibile camminarci sopra.

    Sono quei momenti che, credo, proviamo tutti e in cui mostriamo la qualità della nostra fede.

    Il più delle volte, forse, assomigliamo a Pietro che, pur invitato da Gesù, si lascia prendere la mano dalla sua fragilità umana.

    Solo chi ha fede radicale e profonda trova davvero la forza di 'camminare sulle acque'. Ma ci vuole tanta, ma tanta, fede e abbandono. Spesso chiediamo l'impossibile, ma poi manchiamo di fiducia, abbiamo paura di 'camminare sulle acque' e non comprendiamo che è il momento di affidarci alla potenza di Gesù, che non manca mai di manifestarsi, sostenendoci e guidandoci nella via che conduce al nostro vero bene, anche se, forse, non nelle forme che noi vorremmo.

    Quante persone ho incontrato che, davanti ad una difficoltà, anche grave, in famiglia o nella vita personale, non trovano più la forza di reagire, andando così sempre più a fondo.

    Quanta gente ho incontrato, nella mia vita di ministro di Dio, che si è arresa a difficoltà apparentemente insormontabili, fino a diffidare di tutto.

    Altre volte è bastato, facendomi vicino, cercando di capire l'origine dello smarrimento e trovando accoglienza, insieme cercare la via della speranza: ed è stato come imparare a 'camminare sulle acque'.

    Come Pietro, però, occorre avere fiducia in Gesù e rivolgersi a Lui, mostrando la nostra debolezza. Rimanere soli nella sofferenza o nella difficoltà, altro non è che un affogare sempre più. È urgente e necessario affidarsi a Gesù, abbandonarsi a Lui, un po' come è accaduto ad Elia:

    "In quei giorni - racconta il libro dei Re - essendo giunto Elia al monte di Dio, l'Oreb, entrò in una caverna, per passarvi la notte, quand'ecco, il Signore gli disse: 'Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore'. Ecco, il Signore passò.

    Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco.

    Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna. 'Che fai qui, Elia?' Disse il Signore. Elia rispose: 'Signore, Re dell'universo, sono stato preso da un'ardente passione per te, quando ho visto che gli Israeliti hanno violato il tuo patto ... Sono rimasto l'unico, ma cercano di togliermi la vita". (1 Re 19,9-15)

    La Parola di Dio insegna ad avere fiducia in Lui, soprattutto nei momenti difficili, come quello di Pietro che rischiava di affogare e di Elia che era in fuga: Pietro viene afferrato da Gesù ed Elia è invitato a tornare, senza paura, tra la gente che gli vuole male, sostenuto dalla Presenza stessa di Dio.

    È bello, allora, pensare, la risposta alla nostra fede, così.

    Tutti sentiamo l'asprezza della vita che, a volte, è più di una burrascosa traversata sul lago. La famiglia con le sue tensioni, il lavoro che manca, le malattie, le incomprensioni ci fanno sentire le ossa rotte. Ed è proprio in questi momenti che deve tornarci in mente Gesù che, se da una parte ci invita a salire sulla barca, dall'altra se ne sta in disparte a vegliare su di noi, con il cuore rivolto al Padre e lo sguardo su di noi, pronto ad intervenire dicendoci: 'Coraggio, non temere, Io sono vicino a te' ... sempre che dentro di noi custodiamo un angolo di ascolto e fiducia in Lui.

    Non facciamoci sommergere dalle difficoltà, come chi non ha fede, ma immergiamoci nella fiducia in CHI HA CURA DI NOI, sempre: DIO.

    "Signore Gesù, donami un'anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri, i lamenti,

    e non permettere che mi crucci eccessivamente

    per quella cosa troppo invadente che si chiama 'io'.

    Donami, Signore, il senso dell'umorismo.

    Concedimi la grazia di comprendere uno scherzo

    affinché conosca nella vita un pò di gioia

    e possa farne parte anche agli altri". (S. Tommaso Moro)

    Antonio Riboldi - Vescovo –
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