Serbava queste cose, meditandole... (Lc.2,19)

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Coordin.
00sabato 14 luglio 2018 06:03
Un discepolo non è più grande del maestro»

P. Raimondo M. SORGIA Mannai OP
(San Domenico di Fiesole, Florencia, Italia)


Oggi, il Vangelo ci invita a riflettere sulla relazione maestro-discepolo: «Un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone» (Mt 10,24). Nel campo umano non è impossibile che l’alunno possa superare a chi lo inizia in una disciplina. Esistono nella storia esempi come Giotto, che supera il suo maestro Cimabue, o come Manzoni l’abate Pieri. Però la chiave della grande saggezza sta solamente nelle mani dell’Uomo-Dio, tutti gli altri ne possono partecipare, fino a capirla a diversi livelli: dal grande teologo San Tommaso D’Aquino fino al bambino che si prepara per la sua Prima Comunione. Potremmo aggiungere vari stili ed accessori, però non saranno mai nulla di essenziale che arricchiscano il valore intrinseco della dottrina. Al contrario, esiste la possibilità di sfiorare l’eresia.

Dobbiamo essere cauti nel cercare di fare combinazioni che possano falsare e non arricchire per nulla la sostanza della Buona Novella. «Dobbiamo astenerci dalle ghiottonerie, pero soprattutto dobbiamo digiunare dagli errori», dice Sant’Agostino. In una occasione mi passarono un libro sugli Angeli Custodi, nel quale appaiono elementi di dottrine esoteriche, come la metempsicosi, e una incomprensibile necessità di redenzione che perturberebbe questi spiriti buoni e confermati nel bene.

Il Vangelo di oggi ci apre gli occhi rispetto al fatto ineludibile che il discepolo sia a volte incompreso, trovi ostacoli o sia addirittura perseguitato per dichiararsi seguace di Cristo. La vita di Gesù fu un servizio ininterrotto in difesa della verità. Se a Lui lo appellarono come “Belzebu”, non è strano che in un dibattito, in un confronto culturale o nei faccia a faccia che vediamo in televisione, ci dicano di essere retrogradi. La fedeltà a Cristo Maestro è il massimo riconoscimento del quale possiamo vanagloriarci: «Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli» (Mt 10,32).
Coordin.
00domenica 15 luglio 2018 08:11
Gesù chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due»

Rev. D. Jordi SOTORRA i Garriga
(Sabadell, Barcelona, Spagna)


Oggi, Domenica XV (B) del Tempo Ordinario, leggiamo sul Vangelo che Gesù manda i Dodici, a due a due, a predicare. Finora hanno accompagnato il Maestro lungo i cammini della Galilea, ma ora è giunto il momento di iniziare la diffusione del Vangelo, la Buona Novella: la notizia che il nostro Padre Dio ci ama con amore infinito e che ci ha portato alla vita per renderci felici per l’intera eternità. Questa notizia è per tutti. Nessuno deve essere escluso dall'insegnamento liberatrice di Gesù. Nessuno è escluso dall'amore di Dio. E’ necessario raggiungere l’ultimo angolo del mondo. Dobbiamo proclamare la gioia della salvezza piena e universale, per mezzo di Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo per noi, è morto e risorto e attivamente presente nella Chiesa.

Dotati «con potere sugli spiriti immondi» (Mc 6,7) e con uno sfondo quasi inesistente -«E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa» (Mc 6,8)- iniziano la missione della Chiesa. L'efficacia della sua predicazione evangelica, non provenirà dunque da influenze umane o materiali, ma del potere di Dio e della sincerità, la fede e la testimonianza di vita del predicatore. «Tutto lo slancio, l'energia e la consegna dei missionari proviene dalla sorgente che è l'amore di Dio riversato nei nostri cuori con il dono dello Spirito Santo» (Giovanni Paolo II).

In questi giorni la buona notizia non è ancora raggiunta ovunque, né con l'intensità necessaria. C’è da predicare la conversione, si deve sconfiggere gli spiriti maligni.

Quelli che abbiamo ricevuto la Buona Novella, la sappiamo valorare? Siamo coscienti di essa? Siamo grati? Sentiamoci inviati, missionari, invitati a predicare con il buon esempio e, se necessario, con la parola per far che la Buona Novella non manchi a coloro che Dio ha posto sul nostro cammino.
Coordin.
00lunedì 16 luglio 2018 07:40
Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me»

Rev. D. Valentí ALONSO i Roig
(Barcelona, Spagna)


Oggi, Gesù ci offre una miscela esplosiva di raccomandazioni; è come uno di quei banchetti di moda dove i piatti sono piccole “razioni” da assaggiare. Si tratta di consigli profondi e duri da digerire, destinati ai suoi discepoli nel bel mezzo di un processo di formazione e preparazione missionaria (cf. Mt 11,1). Per degustarli, dobbiamo contemplare il testo in gruppi separati.

Gesù incomincia facendo conoscere l’effetto del suo insegnamento. Oltre agli effetti positivi, evidenti nella azione del Signore, il Vangelo evoca i contrattempi e gli effetti secondari della sua predicazione: «i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa» (Mt 10,36). Questo è il paradosso di vivere nella fede: la possibilità di affrontarsi gli uni contro gli altri, compresi quelli più vicini a noi, quando non capiamo chi é Gesù, il Signore, e non lo capiamo come il Maestro della comunione.

In un secondo momento, Gesù ci chiede di occupare il massimo grado nella scala dell’amore: «chi ama padre o madre più di me...» (Mt 10,37), «chi ama figlio o figlia più di me...» (Mt 10,37). Così, ci propone lasciarci accompagnare da Lui come in presenza di Dio, poiché «chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato» (Mt 10,40). L’effetto di vivere accompagnati dal Signore, accolto nella nostra casa, è godere della ricompensa dei profeti e dei giusti, perché abbiamo ricevuto a un profeta e un giusto.

La raccomandazione del Maestro finisce per dar valore ai piccoli gesti di aiuto e di appoggio per chi vive nella compagnia del Signore, ai suoi discepoli, che siamo tutti i cristiani. «E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo...» (Mt 10,42). Da questo consiglio nasce una responsabilità: riguardo al prossimo, dobbiamo essere coscienti del fatto che chi vive con il Signore, chiunque essi sia, deve essere trattato come tratteremmo il Signore. Dice San Giovanni Crisostomo: «se l’amore fosse sparso dappertutto, nascerebbero da lui un’infinità di beni».
Coordin.
00martedì 17 luglio 2018 08:49
Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida»

Fr. Damien LIN Yuanheng
(Singapore, Singapore)


Oggi, Cristo rimprovera due città di Galilea, Corozain e Betsaida per la loro incredulità:« Guai a te, Corozain! Guai a te, Betsaida! Perché se a Tiro ed a Sidone fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, (…) si sarebbero convertite» Mt 11,21). Lo stesso Gesù dà testimonio favorevole per le città fenicie di Tiro e Sidone: queste avrebbero fatto penitenza, con grande umiltà, se avessero visto le meraviglie del potere divino.

Nessuno si sente felice al ricevere un solenne rimprovero. Dev’essere, infatti, particolarmente doloroso essere rimproverati da Cristo; Egli che ci ama con un cuore infinitamente misericordioso. Semplicemente non c’è scusa, non c’è scappatoia quando uno è rimproverato dalla stessa Verità. Riceviamo, dunque, con umiltà e responsabilità l’invito che Dio ci fa alla conversione.

Notiamo anche che Cristo non usa raggiri. Egli situò i Suoi ascoltatori dinanzi alla verità. Dobbiamo esaminarci su come parliamo di Cristo agli altri. Spesso, anche noi dobbiamo lottare contro i nostri rispetti umani per porre i nostri amici di fronte alle verità eterne, tale come la morte ed il giudizio. Il Papa Francesco, con piena coscienza, ha descritto San Paolo come un “provocatore” Il Signore vuole che andiamo sempre più lontano… Che non cerchiamo rifugio in una vita tranquilla e nemmeno nelle strutture effimere (…). E Paolo, molestava predicando il Signore. Ma lui andava avanti, perché aveva in sé stesso quell’atteggiamento cristiano che è lo zelo apostolico. Non era un “uomo da compromessi”. Non eludiamo il nostro dovere di carità!

Forse, come me, troverai chiarificatrice queste parole di san Giuseppemaria Escrivà: « (…) si tratta di parlare saggiamente e cristianamente, ma in un modo comprensibile per tutti». Non possiamo dormire sugli allori –adagiarci- per essere compresi da molti, ma dobbiamo chiedere la grazia di essere umili strumenti dello Spirito Santo, per poter situare pienamente ogni uomo e ogni donna davanti alla Verità divina.
Coordin.
00mercoledì 18 luglio 2018 00:08
Perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli»

P. Raimondo M. SORGIA Mannai OP
(San Domenico di Fiesole, Florencia, Italia)


Oggi, il Vangelo ci offre la opportunità di penetrare, per così dire, nella struttura della stessa divina sapienza. Chi fra di noi non desidera conoscere svelati i misteri di questa vita? Però ci sono enigmi che nemmeno i migliori investigatori del mondo, arriveranno nemmeno a detettare. Tuttavia, ce ne Uno davanti; al quale «Non c'è nulla infatti di nascosto (...), e nulla di segreto che non debba essere messo in luce» (Mc 4,22). Questo è quello che si dà a se stesso il nome di “Figlio dell’uomo”, e afferma di se stesso: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio» (Mt 11,27). La sua natura umana —per mezzo della unione ipostatica— è stata assunta per la persona del Verbo di Dio: è in una parola, la seconda persona della Santissima Trinità, davanti alla quale non ci sono tenebre e per la quale la notte è più luminosa che il pieno giorno.

Un proverbio arabo cita così: «Se in una notte nera, una formica nera sale su un muro nero, Dio la sta osservando». Per Dio non ci sono segreti né misteri. Ci sono misteri per noi, ma non per Dio, davanti al quale il passato, il presente e il futuro sono aperti ed esplorati fino all’ultima virgola.

Dice, compiaciuto, oggi il Signore: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli (Mt 11,25)». Sì, perché nessuno può pretendere di conoscere questi o simili segreti nascosti nemmeno portandoli fuori dal buio con gli studi più intensi, né in maniera voluta dalla sapienza. Dei segreti profondi della vita, ne saprà sempre di più la vecchietta senza esperienza scolastica che il pretenzioso scientifico che ha dedicato anni di studio in prestigiose università. C’è la scienza che si ottiene con fede, semplicità e povertà interiore. Ha detto bene Clemente Alessandrino: «La notte è propizia per i misteri: è dunque quando l’anima —attenta e umile— si volge verso se stessa, riflettendo sulle sue condizioni; è allora quando si trova Dio».
Coordin.
00giovedì 19 luglio 2018 07:40
Venite a me, voi tutti che siete affaticati (...), e io vi ristorerò»

P. Julio César RAMOS González SDB
(Mendoza, Argentina)


Oggi, d’innanzi a un mondo che ha deciso di voltare le spalle a Dio, di fronte a un mondo ostile al cristianesimo e ai cristiani, ascoltare Gesù (che è chi ci parla nella liturgia o nella lettura personale della Parola), ci da conforto, allegria e speranza nel bel mezzo della lotta quotidiana «Venite a me, voi tutti che siete affaticati (...), e io vi ristorerò» (Mt 11,28-29).

Conforto, perché queste parole contengono la promessa del sollievo che proviene dall’amore di Dio. Allegria, per far sì che il cuore manifesti nella vita, la certezza nella fede di questa promessa. Speranza, perché camminando in un mondo così avverso a Dio, noi, che crediamo in Cristo, sappiamo che non tutto termina con un fine, ma che molti “finali” furono “gli inizi” di cose molto migliori, come lo dimostrò la sua risurrezione.

Il nostro fine, come inizio di una trasformazione nell’amore di Dio, è quello di rimanere sempre con Cristo. La nostra meta è quella di andare inevitabilmente verso l’amore di Cristo, “giogo” di una legge che non si basa nella limitata capacità della volontà umana, bensì nell’eterna volontà salvatrice di Dio.

In questo senso Benedetto XVI in una delle sue Catechesi ci dice: «Dio ha un proposito con noi e per noi, e questo proposito si deve trasformare in ciò che desideriamo e che siamo. L’essenza del cielo si fondamenta in che la volontà divina si compia senza riserve, o per esprimerlo in altro modo dove si compie la volontà di Dio, c’è la salvezza. Gesù stesso è il, “cielo” nel senso più vero e profondo della parola, in Lui è chi e attraverso di chi si compie pienamente la volontà di Dio. I nostri propositi ci allontanano dalla volontà di Dio e ci convertono in pura “terra”. Però Lui ci accetta, ci attrae verso di Sé e, in comunione con Lui, conosciamo la volontà di Dio». Che così sia, allora
Coordin.
00venerdì 20 luglio 2018 08:38
Misericordia io voglio e non sacrifici»

Rev. D. Josep RIBOT i Margarit
(Tarragona, Spagna)


Oggi, il Signore si avvicina al seminato della tua vita, per raccogliere frutti di santità. Troverà carità, amore a Dio e amore agli altri?. Gesù, che corregge la casistica meticolosa dei rabbini, che faceva insopportabile la legge del riposo sabatico: dovrà ricordarti che a Lui solo interessa il tuo cuore, la tua capacità di amare?

«Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare in giorno di sabato» (Mt 12,2). Lo dissero convinti, questo è l’incredibile. Come si può proibire di fare il bene, sempre? Qualcosa ti ricorda che non ci sono scuse per non aiutare agli altri. La carità vera rispetta le esigenze della giustizia, evitando l’arbitrarietà o il capriccio, ma impedisce la rigorosità, che uccide lo spirito della legge di Dio, che è un invito costante ad amare, a darsi agli altri.

«Misericordia io voglio e non sacrificio» (Mt 12,7). Ripetilo molte volte, per inciderlo nel tuo cuore: Dio, ricco in misericordia, ci vuole misericordiosi. «Quanto vicino è Dio a chi confessa la sua misericordia! Si; Dio non va lontano dai contriti di cuore» (Sant’Agostino). E che lontano sei da Dio quando permetti che il tuo cuore si indurisca come una pietra!

Gesù Cristo accusò i farisei di condannare gli innocenti. Grave accusa. E tu? Ti interessi davvero per le cose degli altri? Li giudichi con affetto, con simpatia, come chi giudica a un amico o a un fratello? Cerca di non perdere l’orizzonte nella tua vita.

Chiedi alla Madonna che ti faccia misericordioso, che tu sappia perdonare. Sii benevolo. E se scopri nella tua vita qualche particolare discordante in questa disposizione di fondo, adesso è il momento per rettificare, esprimendo qualche proposito efficace.
Coordin.
00sabato 21 luglio 2018 09:02
Egli li guarì tutti»

Fray Josep Mª MASSANA i Mola OFM
(Barcelona, Spagna)


Oggi, troviamo un doppio messaggio. Da un lato, Gesù ci chiama invitandoci a seguirlo: «Molti lo seguirono ed egli guarì tutti» (Mt 12,15). Se lo seguiamo, troveremo rimedio alle difficoltà del cammino, così come ci veniva ricordato recentemente: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11,28). Dall’altro lato, ci viene mostrato il valore dell’amore mansueto: «Non contenderà, né griderà» (Mt 12,19).

Lui sa che siamo sopraffatti e stanchi dal peso delle nostre debolezze fisiche e caratteriali... e per questa croce inaspettata che ci ha visitato in tutta la sua crudezza, per i disaccordi, le disillusioni, i dolori. Infatti, «tennero consiglio contro di lui per toglierlo di mezzo» (Mt 12,14) e... noi che sappiamo che il discepolo non è superiore al maestro (cf. Mt 10,24), dobbiamo essere consapevoli che anche dovremo sopportare incomprensioni e persecuzioni.

Tutto ciò costituisce un fardello che pesa su di noi, un fardello che ci soggioga. E ci sentiamo come se Gesù ci dicesse: «Lascia il tuo fardello ai miei piedi, io me ne occuperò; dammi questo peso che ti travolge, io lo porterò per te; scaricati delle tue preoccupazioni e dammele...».

E’ curioso: Gesù ci invita a lasciare il nostro fardello, pero ce ne offre un’altro: il suo giogo, con la promessa però che è soave e leggero. Ci vuole insegnare che non è possibile andare per il mondo senza portare nessun peso. Un carico o l’altro lo dobbiamo portare. Ma che non sia il nostro fardello pieno di materialità; che sia piuttosto il suo un peso che non opprime.

In Africa, madri e sorelle maggiori portano i piccoli sulle spalle. Una volta, un missionario vide una bambina che portava suo fratello... Le disse: «Non credi che sia un peso troppo grande per te?». Lei rispose senza pensarci: «Non è un peso, è il mio fratellino e lo amo». L’amore, il giogo di Gesù, non solo non è pesante, ma ci libera da tutto quello che ci opprime.
Coordin.
00domenica 22 luglio 2018 08:39
Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’»

Rev. D. David AMADO i Fernández
(Barcelona, Spagna)


Oggi, il Vangelo ci invita a scoprire l'importanza di ritrovare riposo nel Signore. Gli Apostoli erano tornati dalla missione che Gesù aveva dato loro. Avevano scacciato i demoni, guarito i malati e predicato il Vangelo. Erano stanchi e Gesù dice: «Venite in disparte in un luogo solitario e riposatevi un po'» (Mc 6,31).

Una delle tentazioni alla quale può soccombere qualsiasi cristiano è quella di voler fare molte cose trascurando il tratto con il Signore. Il Catechismo ci ricorda che, quando è l’ora di pregare, uno dei maggiori pericoli è quello di pensare che ci sono delle cose più urgenti e, quindi, si finisce per trascurare il rapporto con Dio. Così Gesù, ai suoi apostoli, che hanno lavorato duro, sono esausti e euforici per tutto quello che è riuscito bene, dice che devono riposare. E, secondo il Vangelo «partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte» (Mc 6,32). Per pregare bene sono necessarie almeno due cose: una è quella di stare con Gesù, perché è la persona con la quale si parla. Avere la certezza che siamo con Lui. Per questa ragione tutta preghiera inizia, di solito, ed è la parte più difficile, con un atto di presenza di Dio. Essere consapevoli del fatto che noi siamo con Lui. Il secondo è la solitudine necessaria. Se vogliamo parlare con qualcuno e vogliamo avere una conversazione intima e profonda, scegliamo la solitudine.

San Pier Giuliano Eymard consigliava riposo in Gesù dopo la comunione. Ed avvertiva del pericolo di riempire il momento del ringraziamento con molte parole pronunciate a memoria. Diceva che dopo aver ricevuto il Corpo di Cristo, era meglio restare in silenzio per ricuperare forze e lasciare Gesù parlare nel silenzio dei nostri cuori. A volte piuttosto che spiegarGli i nostri progetti, è opportuno che Gesù ci istruisca e incoraggi.
Coordin.
00lunedì 23 luglio 2018 07:11
Maestro, vorremmo che tu ci facessi vedere un segno»

P. Joel PIRES Teixeira
(Faro, Portogallo)


Oggi, Gesù è posto a prova da "alcuni scribi e farisei" (Mt 12,38; Mc 10,12), che si sentono minacciati dalla persona di Gesù, non per ragioni di fede, ma di potere. Per la paura di perdere il loro potere, cercano di screditare Gesù, provocandolo. Questi "alcuni" spesso siamo noi stessi quando siamo portati via dal nostro egoismo e gli interessi individuali. Oppure, quando guardiamo la Chiesa come una realtà meramente umana e non come un progetto d'amore di Dio per ciascuno di noi.

La risposta di Gesù 'è chiara: «Nessun segno sarà dato loro» (cfr Mt 12,39), non per paura, ma per sottolineare e ricordare che i “segni” sono il rapporto di comunicazione e di amore tra Dio e l'umanità; Questo non è un rapporto tra interessi e poteri individuali. Gesù ricorda che ci sono molti segnali dati da Dio; e non è con la provocazione o il ricatto che si arriva a Lui.

Gesù è il segno più grande. In questo giorno la Parola è un invito per ciascuno di noi a capire, con umiltà, che solo un cuore convertito, rivolto a Dio, è in grado di ricevere, interpretare e vedere questo segnale che è Gesù. L'umiltà è la realtà che ci porta non solo a Dio, ma anche all'umanità. Per l’umiltà riconosciamo i nostri limiti e virtù, ma soprattutto vediamo gli altri come fratelli e Dio come Padre.

Come ricordava Papa Francesco, «Il Signore è veramente paziente con noi! Non si stanca mai di riricominciare dall'inizio ogni volta che cadiamo». Così, nonostante i nostri difetti e le provocazioni, il Signore è con le braccia aperte per accogliere e ricominciare. Cerchiamo dunque che la nostra vita, e oggi particolarmente, questa parola si faccia realtà in noi. La gioia del cristiano è nell’essere riconosciuto dall'amore che si vede nella sua vita, l'amore che sgorga da Gesù.
Coordin.
00martedì 24 luglio 2018 09:35
Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre»

P. Pere SUÑER i Puig SJ
(Barcelona, Spagna)


Oggi, il Vangelo si presenta, dall’inizio, sorprendente: «Chi è mia madre (...)?» (Mt 12,48), si domanda Gesù. Sembra che Gesù abbia un’attitudine irriverente verso Maria. Non è così. Ciò che Gesù vuole chiarire adesso è che per i suoi occhi —occhi di Dio!— il valore decisivo di una persona non risiede nell’evento della carne e del sangue, ma nella disposizione spirituale di accettare la volonta di Dio: «Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: "Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre"» (Mt 12,49-50). In quel momento la volontà di Dio era che Lui evangelizzasse coloro che lo stavano ascoltando e che questi lo seguissero. Ciò era più importante di qualsiasi altro valore, per intimo che fosse. Per obbedire alla volontà del Padre Gesù aveva lasciato Maria e ora stava predicando lontano dalla dimora.

Però, chi è stato più disponibile di Maria nell’accettare e compiere la volontà di Dio? «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38). Per questo Sant’Agostino dice che Maria, prima accolse la parola di Dio nello spirito, per obbedienza, e solo dopo la concepì nel suo grembo per l’Incarnazione.

In altre parole: Dio ci ama nella misura della nostra santità. Maria è santissima e quindi è amatissima. Orbene, essere santi, non è la causa per la quale Dio ci ama. Al contrario, poiché Lui ci ama, ci fa santi. Il primo ad amare è sempre il Signore (cf. 1Jn 4,10). Maria ci insegna quando dice: «perché ha guardato l'umiltà della sua serva» (Lc 1,48). Agli occhi di Dio siamo piccoli; però Lui vuole innalzarci, santificarci.
Coordin.
00mercoledì 25 luglio 2018 07:22
Potete bere il calice che io sto per bere?»

Mons. Octavio RUIZ Arenas Segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione
(Città del Vaticano, Vaticano)


Oggi, l’episodio che ci narra questo frammento del Vangelo ci colloca di fronte ad una situazione che si ripete con molta frequenza nelle diverse comunitá cristiane. Infatti Giovanni e Giacomo sono stati molto generosi nell’abbandonare la loro casa e le loro reti per seguire Gesú.Hanno ascoltato che il Signore annuncia un Regno e che offre la vita eterna; non riescono, però, a capire ancora quello che realmente promette il Signore e, perció, la loro madre va a chiedere qualcosa di buono, ma resta nelle semplici aspirazioni umane: «Dí che questi miei figli siedano uno alla tua destra ed uno alla tua sinistra nel tuo regno» (Mt 20,21).

Allo stesso modo, noi ascoltiamo e seguiamo il Signore, come fecero i primi discepoli di Gesú, ma non sempre riusciamo a capire perfettamente il Suo messaggio e ci lasciamo trascinare da interessi personali o ambizioni nella Chiesa. Dimentichiamo che all’accettare il Signore, dobbiamo affidarci fiduciosamente e pienamente in Lui, che non possiamo pensare di raggiungere la gloria senza aver accettato prima la croce.

La risposta che dá loro Gesú mette precisamente l’accento su quest’aspetto:per essere partecipi del Suo Regno, quello che importa è accettare di bere dal Suo stesso «calice» (cf.Mt 20,22), essere, cioè, disposti a dare la propria vita per amore a Dio e dedicarci a servire i nostri fratelli, con lo stesso atteggiamento misericordioso che ebbe Gesú. Il Papa Francesco, nella sua prima omelia, ricalcava che per seguire Gesú, bisogna camminare con la croce, perché, «quando camminiamo senza croce, quando confessiamo un Cristo senza croce, non siamo discepoli del Signore».

Quindi, seguire Gesú, esige, da parte nostra, una grande umiltá. Fin dal battesimo, siamo stati chiamati ad essere testimoni Suoi per trasformare il mondo. Questa trasformazione, però, l’otterremo solo se siamo capaci di servire gli altri con spirito di grande generositá e slancio, ma sempre colmi di gioia perché stiamo seguendo il Signore e lo rendiamo presente con la nostra vita.
Coordin.
00giovedì 26 luglio 2018 06:10
Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono»

Rev. D. Manel MALLOL Pratginestós
(Terrassa, Barcelona, Spagna)


Oggi, ricordiamo “l’elogio” di Gesù a tutti quelli che si raggruppavano intorno a Lui: «Ma beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono!» (Mt 13,16). E ci chiediamo: sono dirette anche a noi queste parole di Gesù, o sono unicamente per coloro che lo videro e ascoltarono personalmente? Sembra che i fortunati siano loro, visto che ebbero la fortuna di convivere con Gesù, di restare fisicamente e sensibilmente al suo fianco. Invece noi ci annovereremo piuttosto con i giusti e i profeti —senza essere ne giusti ne profeti!— che avremmo voluto vedere e udire.

Non dimentichiamo, tuttavia, che il Signore si riferisce ai giusti e ai profeti anteriori alla sua venuta, alla sua rivelazione: «In verità vi dico: molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro» (Mt 13,17). Con Lui arriva la pienezza dei tempi, e noi stiamo in questa pienezza, siamo già nell’epoca di Cristo, nel tempo della salvezza. È vero che non abbiamo visto Gesù con i nostri occhi, però si lo abbiamo conosciuto e lo conosciamo. Non abbiamo ascoltato la sua voce con le nostre orecchie, però si abbiamo ascoltato e ascoltiamo la sua parola. La conoscenza che ci dà la fede, anche se non è sensibile, è un’autentica conoscenza, ci mette in contatto con la verità e, per questo, ci dà la felicità e l’allegria.

Riconoscenti della nostra fede cristiana, ne siamo risarciti. Procuriamo che il nostro contatto con Gesù sia da vicino e non da lontano, così come lo trattavano quei discepoli che stavano vicino a Lui, che lo videro e lo udirono. Non contempliamo Gesù passando dal presente al passato, ma dal presente al presente, permaniamo nel suo tempo, un tempo che non finisce. La preghiera —parlare con Dio— e la Comunione —riceverLo— ci assicurano questa intimità con Lui e ci fanno sentire realmente fortunati al guardarlo con gli occhi e gli orecchi della fede. «Ricevi, dunque, l’immagine di Dio, che perdesti per le tue cattive azioni» (Sant' Agostino).
Coordin.
00venerdì 27 luglio 2018 08:28
Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore»

P. Josep LAPLANA OSB Monje de Montserrat
(Montserrat, Barcelona, Spagna)


Oggi, contempliamo Dio come un contadino buono e magnanimo, che semina a mani piene. Non è stata avaro nella redenzione dell'uomo, ma ha speso tutto nel suo Figlio Gesù Cristo, che come grano sepolto (morte e sepoltura) è diventato vita e risurrezione nostra grazie alla sua santa Risurrezione.

Dio è un contadino paziente. I tempi appartengono al Padre, perché solo Egli conosce il giorno e l'ora (cf. Mc 13,32), del raccolto e la trebbiatura. Dio aspetta. E anche noi dobbiamo aspettare sincronizzando l'orologio della nostra speranza col piano salvifico di Dio. Dice Giacomo: «Guardate l'agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge» (Gc 5,7). Dio aspetta la coltivazione e la fa crescere con la sua grazia. Noi non possiamo nemmeno addormentarci, ma dobbiamo collaborare con la grazia di Dio prestando la nostra collaborazione, senza presentare ostacoli all’azione trasformante di Dio.

La coltivazione di Dio che nasce e cresce qui sulla terra è reso visibile nei suoi effetti, possiamo vederli in veri e propri miracoli ed esempi clamorosi di santità di vita. Sono in molti quelli che, dopo aver ascoltato tutte le parole e i rumori di questo mondo, hanno fame e sete della Parola di Dio, vera, li dove è viva e incarnata. Ci sono migliaia di persone che vivono la sua appartenenza a Gesù Cristo e alla Chiesa con lo stesso entusiasmo che all'inizio del Vangelo, perché la parola di Dio "trova la terra dove germinare e portare frutto" (S. Agostino), quindi dobbiamo alzare la nostra morale e affrontare il futuro con occhi di fede.

Il successo della coltura non è nelle nostre strategie umane o di marketing, ma nell'opera salvifica di Dio "ricco di misericordia" e nell'efficacia dello Spirito Santo che può trasformare la nostra vita in modo che siamo capaci di dare gustosi frutti di amore e di gioia contagiosa.
Coordin.
00sabato 28 luglio 2018 09:20
Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme»

Rev. D. Manuel SÁNCHEZ Sánchez
(Sevilla, Spagna)


Oggi, consideriamo una parabola che è l’occasione per riferirsi alla vita della comunità nella quale si mischiano continuamente il bene e il male, il Vangelo e il peccato. L’atteggiamento logico sarebbe quello di mettere fine a questa situazione, così come pretendono i domestici: «Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla?» (Mt 13,28). Però la pazienza di Dio è infinita, aspetta fino all’ultimo momento —come un buon Padre— la possibilità del cambiamento: «Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura» (Mt 13,30).

Una realtà ambigua e mediocre, però in essa cresce il Regno. Si tratta di sentirsi chiamati a scoprire i segni del Regno di Dio per potenziarlo. E, dall’altro lato, di non favorire nulla che porti ad accontentarsi della mediocrità. Ciò nonostante, il fatto di vivere in un miscuglio di bene e male non deve impedirci di avanzare nella nostra vita spirituale; il contrario sarebbe convertire il nostro grano in zizzania. «Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania?» (Mt 13,27). È impossibile crescere in un altro modo, né possiamo cercare il Regno in nessun altro luogo al di fuori di questa società nella quale viviamo. Il nostro compito sarà quello di far sì che nasca il Regno di Dio.

Il Vangelo ci chiama a non dar credito ai “puri’’, a superare gli aspetti del puritanismo e dell’intolleranza che si possano trovare nella comunità Cristiana. Si trovano facilmente atteggiamenti di questo tipo in tutti i gruppi, per quanto cerchino di essere sani. Messi di fronte ad un ideale, tutti abbiamo la sensazione di pensare che alcuni lo abbiano raggiunto, e che altri ancora siano lontani. Gesù constata che tutti quanti siamo in cammino, assolutamente tutti.

Vigiliamo per non lasciare che il maligno si intrometta nelle nostre vite, cosa che succede quando ci adeguiamo al mondo. Sant’ Angela della Croce diceva che «non bisogna dare ascolto alle voci del mondo, che in tutti i luoghi si fa questo o quello; noi sempre lo stesso, senza inventare variazioni e seguendo la maniera di fare le cose che sono un tesoro nascosto; sono queste che ci apriranno le porte del Cielo». Che la Santissima Vergine Maria ci conceda adeguarci solamente all’amore.
Coordin.
00domenica 29 luglio 2018 08:02
Lo seguiva una grande folla»

Rev. D. Pere CALMELL i Turet
(Barcelona, Spagna)


Oggi, possiamo contemplare come si forgia dentro di noi tanto l'amore umano come l'amore soprannaturale, giacché abbiamo uno stesso cuore per amare Dio e gli altri.

Generalmente, l'amore si fa strada nel cuore umano quando si scopre il fascino dell’altro: la sua simpatia, la sua bontà. Questo è il caso del «ragazzo con cinque pani d'orzo e due pesci» (Gv 6,9). A Gesù dà tutto quello che serve, i pani e i pesci, perché si he lasciato conquistare per il fascino di Gesù. -Ho scoperto il fascino del Signore?

Poi, l’innamoramento, frutto di essere corrisposto. Dice che «lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi» (Giovanni 6,2). Gesù ascoltava, gli faceva caso, perché sapeva che ne avevano bisogno.

Gesù sente una forte attrazione per me e vuole la mia realizzazione umana e soprannaturale. Lui mi ama così come sono, con le mie miserie, perché gli chiedo perdono, e con il suo aiuto, continuo a sforzarmi.

«Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo.» (Gv 6,15). Gli dirà il giorno dopo: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati.» (Gv 6,26). San Agostino scrive: «Tanti sono alla ricerca di Gesù, guidati soltanto da interessi temporali! (...) Appena si cerca Gesù per Gesù».

La pienezza dell'amore è amore oblativo; quando cerchiamo il bene della persona amata, senza aspettarsi nulla in cambio, anche a costo del sacrificio personale.

Oggi, io Gli posso dire: «Signore, che ci fai partecipare al miracolo dell'Eucaristia: ti chiediamo di non nasconderti, di vivere con noi, di poterti vedere, toccare, sentire, di voler stare sempre vicino a Te, di essere il Re delle nostre vite e del nostro lavoro.» (san Josemaría).
Coordin.
00lunedì 30 luglio 2018 03:42
Non parlava ad essa se non in parabole»

Rev. D. Josep Mª MANRESA Lamarca
(Valldoreix, Barcelona, Spagna)


Oggi, il Vangelo ci presenta Gesù predicando ai Suoi discepoli. E lo fa nella Sua forma abituale con parabole, impiegando, cioè, immagini semplici e comuni per spiegare i grandi misteri occulti del Regno. Così potevano capire tutti, da quelli più preparati fino a quelli che avevano meno talento.

«Il Regno dei cieli è simile a un granello di senape...» (Mt 31,31). I chicchi di senape sono così piccoli che quasi non si vedono, ma se si ha cura di loro e si innaffiano... finiscono col diventare un grande albero. «Il Regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina...» (Mt 13,33): Il lievito non si vede, ma se non stesse lì, la pasta non crescerebbe. Così pure è la vita cristiana, la vita della grazia: esternamente non si vede, non fa rumore, ma... se la lasciamo che si introduca nel nostro cuore, la grazia divina fa fruttificare il chicco e trasforma le persone da peccatrici in sante.

Questa grazia divina ci vien data dalla fede, dalla preghiera, dai sacramenti, dalla carità. Ma questa vita di grazia è soprattutto un dono che bisogna aspettare e desiderare con umiltà. Un dono che i sapienti e gl’intellettuali di questo mondo non sanno apprezzare, ma che Dio Nostro Signore vuole far arrivare agli umili ed ai semplici.

Voglia il Cielo che quando Dio cerchi noi, non ci trovi nel gruppo degli orgogliosi, ma in quello degli umili che si riconoscono deboli e peccatori, ma molto riconoscenti e fiduciosi nella bontà del Signore. Così il granello di senape diventerà un albero grande; così il lievito della Parola di Dio produrrà in noi frutti di vita eterna. Perché, «quanto più si ribassa il cuore per l’umiltà, più s’innalza verso la perfezione». Sant’Agostino.
Coordin.
00martedì 31 luglio 2018 08:36
Spiegaci la parabola della zizzania nel campo»

Rev. D. Iñaki BALLBÉ i Turu
(Terrassa, Barcelona, Spagna)


Oggi, per mezzo della parabola della zizzania e del grano, la Chiesa ci invita a meditare sulla convivenza del bene e del male. Il bene e il male nel nostro cuore; il bene e il male che vediamo negli altri e quello che vediamo nel mondo.

«Spiegaci la parabola» (Mt 13,36), chiedono a Gesù i suoi discepoli. E noi, oggi, possiamo fare il proposito di prestare più attenzione alla preghiera personale, al rapporto quotidiano con Dio. —Signore, possiamo dirGli, spiegami perché non progredisco sufficientemente nella mia vita interiore. Spiegami come posso esserti più fedele, come posso cercarti nel mio lavoro, o attraverso questa circostanza che non capisco, o non voglio. Come posso essere un valido apostolo. La preghiera è questo, chiedere “spiegazioni” a Dio. Com’è la mia preghiera? E`sincera? E`costante? E`fiduciosa?

Gesù Cristo ci invita ad avere gli occhi fissi nel cielo, la nostra dimora eterna. Spesso viviamo come impazziti per la fretta e non ci fermiamo quasi mai a pensare che un giorno —lontano o no, non lo sappiamo— dovremo render conto a Dio della nostra vita, di come abbiamo fatto fruttare le qualità che ci ha dato. E il Signore ci dice che alla fine dei tempi ci sarà una scelta. Il Cielo ce lo dobbiamo guadagnare sulla terra, nel tran tran quotidiano, senza aspettare situazioni che forse non arriveranno mai. Dobbiamo vivere eroicamente la consuetudine, ciò che apparentemente non ha nessuna trascendenza. Vivere pensando all’ eternità e aiutare gli altri a pensarci: paradossalmente, «si sforza per non morire l’uomo che deve morire; e non si sforza per non peccare l’uomo che deve vivere eternamente» (San Giuliano di Toledo).

Raccoglieremo ciò che abbiamo seminato. Bisogna lottare per dare il 100%. E che quando Dio ci chiami al Suo cospetto possiamo presentarGli le mani piene: di atti di fede, di speranza, di amore. Che si concretizzano in cose molto piccole e in piccole vittorie, che vissute quotidianamente, ci fanno più cristiani, più santi, più umani.
Coordin.
00mercoledì 1 agosto 2018 06:46
Vende tutti i suoi averi e compra quel campo»

Rev. D. Enric CASES i Martín
(Barcelona, Spagna)


Oggi, Matteo sottopone alla nostra considerazione due parabole sul Regno dei Cieli. L'annunzio del Regno è essenziale nella predicazione di Gesù e nella speranza del popolo eletto. Ma è notorio come la natura di questo Regno non sia stata compresa dalla maggioranza. Non la capì il sinedrio che Lo condannò a morte, non la compresero ne Pilato ne Erode, ma neppure la capirono inizialmente gli stessi discepoli. Solo c’è costanza di una comprensione come quella che Gesù chiede al buon ladrone, inchiodato anche lui sulla Croce, e Gli dice: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,42). Tutti e due erano stati condannati quali malfattori e stavano agonizzando; per una ragione che ignoriamo, il buon ladrone riconosce Gesù quale Sovrano di un Regno che verrà dopo quella terribile morte. Solo poteva essere un Regno spirituale.

Gesù nella sua prima predica, parla del Regno come di un tesoro nascosto la cui scoperta è motivo di allegria e stimola all’acquisto del campo e potersi beneficiare per sempre: «pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo» (Mt 13,44). Ma, allo stesso tempo,per raggiungere il Regno, bisogna cercarlo con interesse e sforzo, fino al punto di vendere tutto ciò che possiede: «trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra» (Mt 13,46). «Perché si dice cercate e chi cerca trova? Azzardo l'idea che si tratta delle perle e la perla, perla che acquista chi ha dato tutto ed ha accettato di perdere tutto» (Origene).

Il Regno è pace, amore, giustizia e libertà. Raggiungerlo è contemporaneamente, dono di Dio e responsabilità umana. Davanti alla grandezza del dono divino constatiamo l´imperfezione e l'inestabilità dei nostri sforzi, che a volte rimangono distrutti dal peccato, dalle guerre e dalla malizia che sembrano insuperabili. Tuttavia, dobbiamo aver fiducia, giacché ciò che pare impossibile agli uomini, è possibile a Dio.
Coordin.
00giovedì 2 agosto 2018 10:33
Raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi»

Rev. D. Ferran JARABO i Carbonell
(Agullana, Girona, Spagna)


Oggi, il Vangelo rappresenta un richiamo vitale alla conversione. Gesù non ci risparmia la cruda realtà: «Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente» (Mt 13,49-50). L’avvertimento è chiaro! Non possiamo rimanere indifferenti.

Ora dobbiamo scegliere liberamente: o cerchiamo Dio e il bene con tutte le nostre forze, o mettiamo la nostra vita sull’orlo del precipizio della morte. O stiamo con Cristo o stiamo contro di Lui. Convertirsi, significa, in questo caso, scegliere liberamente di far parte dei giusti e condurre una vita degna come figli. Tuttavia, incorporiamo , la esperienza del peccato: vediamo il bene che dovremmo fare e contrariamente procediamo nel male; come possiamo dare una vera unità alle nostre vite? Noi da soli non possiamo far molto. Solamente se ci mettiamo nelle mani di Dio possiamo riuscire a compiere il bene e far parte dei giusti.

«Per il fatto di non essere sicuri di quando verrà il nostro giudice, dobbiamo vivere ogni giorno come se ci dovessero giudicare il giorno dopo» (San Geronimo). Questa frase è un invito a vivere con intensità e responsabilità l’essere cristiano. Non si tratta di aver paura, ma di vivere nella speranza questo tempo che è di grazia, elogio e gloria.

Cristo ci insegna il cammino verso la nostra propria glorificazione. Cristo è il cammino dell’uomo, quindi, la nostra salvezza, la nostra felicità e tutto quello che possiamo immaginare avviene attraverso di Lui. E se tutto lo abbiamo in Cristo, non possiamo non amare la Chiesa che lo rappresenta nel suo corpo mistico. Contro le visioni puramente umane di questa realtà è necessario recuperare la visione divino-spirituale: e nulla meglio di Cristo e il compimento della sua volonta!
Coordin.
00venerdì 3 agosto 2018 07:15
Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua»

Rev. D. Jordi POU i Sabater
(Sant Jordi Desvalls, Girona, Spagna)


Oggi, come ieri, parlare di Dio a chi ci conosce da sempre è difficile. Nel caso di Gesù, san Giovanni Crisostomo dice: «Quelli di Nazareth lo ammirano, ma questa ammirazione non li porta a credere ma ad essere gelosi, è come se dicessero: 'Perché lui e non io?'». Gesù conosceva bene quelli che, piuttosto che ascoltarlo, si scandalizzavano. Erano parenti, amici, vicini di casa che stimava, ma sono proprio loro quelli che non riceveranno il suo messaggio di salvezza.

Noi, -che non possiamo fare miracoli e non abbiamo la santità di Cristo-, non provocheremo l'invidia (anche se a volte può accadere se davvero cerchiamo di vivere cristianamente). In ogni modo, succede spesso, come a Gesù, che coloro che amiamo e apprezziamo sono quelli che meno ci ascoltano. In questo senso, dobbiamo ricordare anche che i difetti si vedono di più che le virtù, e che coloro che sono stati con noi per anni possono dire nel suo interno: -Tu che stavi facendo (o fai) questo o quello, che cosa vuoi insegnare a me?

Predicare o parlare di Dio tra la gente del nostro paese o famiglia è difficile, ma necessario. Inutile dire che quando Gesù va a casa sua è preceduto dalla fama dei suoi miracoli e della sua parola. Forse abbiamo bisogno anche noi, un po', di stabilire una certa fama di santità al di fuori (e dentro) di casa prima di "predicare" quelli di casa nostra.

San Giovanni Crisostomo aggiunge nel suo commento: «Guarda, ti prego, nella gentilezza del Maestro; non li punisce per no ascoltarlo, piuttosto dice con dolcezza: Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua» ( Mt 13,57). E' chiaro che Gesù sarebbe partito triste, ma continuerebbe a pregare affinché la sua parola di salvezza fosse ben accolta da i suoi. E noi (che niente avremo da perdonare o ignorare), chissà se dovremmo pregare affinché la parola di Gesù venga a coloro che amiamo, ma che non vogliono ascoltare.
Coordin.
00sabato 4 agosto 2018 07:26
Al tetrarca Erode giunse notizia della fama di Gesù»

Rev. D. Joan Pere PULIDO i Gutiérrez
(Sant Feliu de Llobregat, Spagna)


Oggi, la liturgia ci invita a contemplare un’ingiustizia: la morte di Giovanni il Battista; e allo stesso tempo, scoprire nella parola di Dio la necessità di una testimonianza chiara e concreta della nostra fede per colmare di speranza il mondo.

Vi invito a riflettere sul personaggio del tetrarca Erode. Realmente per noi, è un controtestimone, però ci aiuterà a rivelare alcuni aspetti importanti per la nostra testimonianza di fede nel mondo. «il tetrarca Erode ebbe notizia della fama di Gesù» (Mt 14,1). Questa affermazione indica un’attitudine apparentemente corretta, però poco sincera. È la realtà che oggi possiamo trovare in tante persone e chissà anche in noi stessi. Molti hanno sentito parlare di Gesù, però chi è Lui realmente?; che implicazione personale ci unisce a Lui?

Per primo, è necessario dare una risposta corretta; quella del tetrarca Erode non è che un’informazione vaga: «Costui è Giovanni il Battista risuscitato dai morti» (Mt 14,2). Indubbiamente ci manca la affermazione di Pietro davanti alla domanda di Gesù: «Voi chi dite che io sia? Rispose Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,15-16). E questa affermazione non da luogo alla paura o all’indifferenza, ma apre la porta ad una testimonianza fondamentata nel Vangelo della speranza. Cosi è stato definito da San Giovanni Paolo II nella sua Esortazione apostolica La Chiesa in Europa: «Con tutta la Chiesa, invito ai miei fratelli e sorelle nella fede ad aprirsi in maniera constante e fiduciosa a Cristo e a lasciarsi lasciarsi rinnovare da Egli, annunciando col vigore della pace e l’amore a tutte le persone di buona volontà: chi incontra il Signore, incontra la verità, scopre la vita e riconosce il Cammino che conduce a questa».
Coordin.
00domenica 5 agosto 2018 07:47
Signore, dacci sempre questo pane. «Io sono il pane della vita»»

+ Rev. D. Joaquim FONT i Gassol
(Igualada, Barcelona, Spagna)


Oggi, troviamo atteggiamenti diversi nelle persone che cercano Gesù: alcuni hanno mangiato del pane materiale, altri chiedono un segno quando il Signore ha appena fatto uno grande, degli altri si sono affrettati a incontrarlo e fanno in buona fede -potremmo dire- una comunione spirituale: «Signore, dacci sempre questo pane» (Gv 6,34).

Gesù doveva essere molto felice dello sforzo per cercarlo e seguirlo. Insegnava tutti e interpellava in diversi modi. Ad alcuno gli dice: «Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna» (Gv 6,27). Quelli che domandano: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?» (Gv 6,28) avranno un consiglio specifico in quella sinagoga di Cafarnao, dove il Signore promette la Santa Comunione, «Credete».

Tu ed io, che cerchiamo di entrare nelle pagine di questo Vangelo, vediamo riflesso il nostro atteggiamento? A noi, che vogliamo rivivere questa scena, quali espressioni ci pungono di più? Siamo pronti nello sforzo di trovare Gesù dopo tante grazie, dottrina, esempi e insegnamenti che abbiamo ricevuto? Sappiamo fare una buona comunione spirituale: 'Signore, dacci sempre questo pane, che calma tutta la nostra fame'?

La migliore scorciatoia per andare a Gesù e trovare Maria. Lei è la Madre di Famiglia che offre il pane bianco per i bambini al calore della casa paterna. La Madre della Chiesa che vuole alimentare i propri figli affinché crescano, abbiano le forze, siano contenti, conducano un'opera santa e comunicativa. Sant'Ambrogio, nel suo trattato sui misteri, scrive: «Ebbene, quello che noi ripresentiamo è il corpo nato dalla Vergine. Perché cerchi qui il corso della natura nel corpo di Cristo, mentre lo stesso Signore Gesù Cristo è stato generato dalla Vergine all'infuori del corso della natura?».

La Chiesa madre e maestra, ci insegna che l'Eucaristia è "sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l’anima viene ricolmata di grazia e viene dato il pegno della gloria futura"(Vaticano II).
Coordin.
00lunedì 6 agosto 2018 08:45
Rabbì, è bello per noi essere qui»

Rev. D. Ignasi NAVARRI i Benet
(La Seu d'Urgell, Lleida, Spagna)


Oggi, celebriamo la festa della Trasfigurazione del Signore. La montagna del Tabor, come quella del Sinai, è il luogo della vicinanza con Dio. È lo spazio elevato, rispetto all'esistenza quotidiana dove si respira l'aria pura della creazione. E 'il luogo di preghiera dove si sta in presenza del Signore, come Mosè ed Elia che fanno la sua apparizione con Gesù trasfigurato e stanno a parlare con Lui circa l'Esodo che lo attendeva a Gerusalemme (cioè, la loro Pasqua).

«Le sue vesti "divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche» (Mc 9,3). Questo simboleggia la purificazione della Chiesa. E Pietro disse a Gesù: «facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!» (Mc 9,5). Sant'Agostino commenta in bel modo che Pietro ha cercato tre tende perché non conoseva ancora l'unità tra la legge, la profezia ed il Vangelo.

«Mentre egli parlava ancora, una nuvola luminosa li coprì con la sua ombra, ed ecco una voce dalla nuvola che diceva: “Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo» (Mc 9,7). La Trasfigurazione non è un cambiamento in Gesù, ma la rivelazione della sua Divinità. Pietro, Giacomo e Giovanni contemplano la divinità del Signore, si preparano ad affrontare lo scandalo della croce. La trasfigurazione è anticipo della Risurrezione!

«Maestro, è bello per noi stare qui» (Mc 9,5). La Trasfigurazione ci ricorda che le gioie seminate da Dio nella vita non sono punti di arrivo, ma luci che Egli ci dona nel pellegrinaggio terreno in modo che "Gesù solo" sia la nostra Legge e la sua Parola sia il criterio, la gioia e la beatitudine della nostra esistenza.

Che la Vergine Maria ci aiuti a vivere intensamente i nostri momenti di incontro con il Signore in modo da poter seguirLo ogni giorno con gioia, e ci aiuti ad ascoltare e seguire sempre il Signore Gesù, fino alla passione e la Cruz con vista a partecipare anceh della Sua Gloria.
Coordin.
00martedì 7 agosto 2018 07:11
Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque»

Fray Lluc TORCAL Monje del Monasterio de Sta. Mª de Poblet
(Santa Maria de Poblet, Tarragona, Spagna)


Oggi, non vedremo Gesù dormendo nella barca mentre questa si affonda, ne acquietando la tormenta con un’unica parola di ammonizione, suscitando così l’ammirazione dei discepoli (cf. Mt 8,22-23). Ma l’atto di oggi non è meno sconvolgente: tanto per i primi discepoli come per noi.

Gesù aveva costretto i discepoli a salire sulla barca e navigare per raggiungere l’altra sponda; aveva congedato tutta la gente dopo aver sfamato la moltitudine famelica ed era rimasto nella montagna Lui solo, profondamente immerso nell’orazione (cf. Mt 14,22-23). I discepoli, senza il Maestro, vanno avanti con difficoltà. Fu allora quando Gesù si avvicinò alla loro barca camminando sulle acque.

Come succederebbe a persone normali e sensate, i discepoli si spaventano al vederlo: gli uomini di solito non camminano sulle acque e, pertanto, credevano di star vedendo uno spettro. Sbagliavano: non era un’illusione, davanti a loro c’era proprio il Signore, che li invitava –come in tante altre occasioni- a non avere paura e a fidarsi di Lui per svelare in loro la fede. Questa fede si richiese, per primo, a Pietro, che disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque» (Mt 14,28). Con questa risposta, Pietro dimostrò che la fede consiste nell’obbedienza alla parola di Cristo: non disse «fai che cammini sulle acque», piuttosto voleva seguire quello che lo stesso e unico Signore le ordinasse per poter credere nella veracità delle parole del Maestro.

I suoi dubbi lo fecero vacillare nella incipiente fede, ma persuasero gli altri discepoli a confessare, presente il Maestro: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!» (Mt 14,33). «Il gruppo di quelli che erano già apostoli, pero ancora non credevano, poiché videro che le acque giocavano sotto i piedi del Signore e che nell’agitato movimento delle onde i passi del Signore erano sicuri, (…) credettero che Gesù era il vero Figlio di Dio, confessandolo in quanto tale (Sant’Ambrogio).
Coordin.
00mercoledì 8 agosto 2018 07:23
Donna, grande è la tua fede!»

Rev. D. Jordi CASTELLET i Sala
(Sant Hipòlit de Voltregà, Barcelona, Spagna)


Oggi, sentiamo spesso espressioni come “non c’è più fede”, e si esprimono così persone che richiedono di ricevere nelle nostre comunità il battesimo per i loro figli o la catechesi dei bambini o il sacramento del matrimonio. Questo modo di esprimersi denuncia una visione negativa del mondo, indica la convizione che qualsiasi tempo passato fù migliore dell’attuale e che siamo alla fine di una epoca nella quale non c’è niente di nuovo da dire, e nemmeno niente di nuovo da fare. Evidentemente, si tratta di persone giovani che, in maggioranza, vedono con un po’ di tristezza che il mondo è molto cambiato in comparazione alla generazione dei loro genitori, che chissà vivevano una fede più popolare, alla quale questi giovani non hanno saputo adattarsi. Questa esperienza li lascia insoddisfatti e senza capacità di reazione quando, in effetto, forse sono all’inizio di una nuova era della quale sarebbe conveniente approfittarne.

Questo brano del vangelo cita l’attenzione di quella madre cananea che chiede una grazia per sua figlia, riconoscendo in Gesù il Figlio di Davide: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio» (Mt 15,22). Il Maestro rimane sorpreso: «Donna, grande è la tua fede!», e non può fare altro che agire in suffragio di quelle persone: «Ti sia fatto come desideri» (Mt 15,28), anche se sembra che loro non entrino nei suoi progetti. Nonostante tutto, nella realtà umana si manifesta la grazia di Dio.

La fede non è patrimonio di alcuni, e non è neppure proprietà di quelli che si credono buoni o di quelli che lo sono stati, che esibiscono una etichetta sociale o ecclesiale. L’azione di Dio precede l’azione della Chiesa e lo Spirito Santo sta già attuando in persone dalle quali non avremmo mai sospettato che ci potessero portare un messaggio da parte di Dio, una richiesta in beneficio dei più bisognosi. Dice San Leone: «Amati miei, la virtù e la saggezza della fede cristiana sono l’amore a Dio e al prossimo: non trasgredisce nessun obbligo di pietà chi cerca di dare gloria a Dio e aiuta suo fratello».
Coordin.
00giovedì 9 agosto 2018 08:24
Non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!»

Rev. D. Joaquim MESEGUER García
(Sant Quirze del Vallès, Barcelona, Spagna)


Oggi, Gesù proclama Pietro beato per la sua saggia dichiarazione di fede: «Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. E Gesù: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (Mt 16,16-17). Con questo encomio Gesù preannuncia a Pietro il primato nella sua Chiesa; ma poco dopo lo rimprovera per aver manifestato un’idea troppo umana ed erronea del Messia: «Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: "Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai". Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: "Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!"» (Mt 16,22-23).

Bisogna ringraziare gli evangelisti per averci presentato i primi discepoli di Gesù così come erano: non come personaggi idealizzati, ma come persone in carne ed ossa, come noi, con le loro virtù e i loro difetti; questa circostanza li avvicina a noi e ci aiuta a capire che la perfezione nella vita cristiana è una strada che tutti dobbiamo percorrere, poiché nessuno nasce saggio.

Visto che conosciamo già la storia accettiamo che Gesù Cristo sia stato il Messia sofferente profetizzato da Isaia e che abbia offerto la sua vita sulla croce. Quello che ci è più difficile da accettare è che noi dobbiamo continuare a far conoscere la sua opera attraverso lo stesso cammino di servizio, rinuncia e sacrificio. Immersi come siamo in una società che promuove il rapido successo, imparare senza sforzo e in modo divertente ed ottenere il massimo profitto con il minimo sforzo, è facile che finiamo col vedere le cose più come uomini che come Dio. Una volta ricevuto lo Spirito Santo, Pietro apprese la via del sentiero dove procedere e visse nella speranza. «Le tribolazioni del mondo sono piene di tristezza e vuote di premio; però quelle che si soffrono per Dio si mitigano con la speranza di un premio eterno» (San Efrem).
Coordin.
00venerdì 10 agosto 2018 08:30
Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)


Oggi la Chiesa —mediante la liturgia eucaristica che celebra il martire romano San Lorenzo— ci ricorda che «c’è una testimonianza di coerenza che ogni cristiano deve essere disposto a dare ogni giorno, anche a costo di sofferenze e di grandi sacrifici» (S. Giovanni Paolo II).

La legge morale è santa e inviolabile. Questa affermazione, certamente, contrasta con l’ambiente relativista che impera nei nostri giorni, dove con facilità ognuno di noi adatta le esigenze etiche alla propria comodità personale o alle proprie debolezze. Non sentiamo nessuno che dica: —Io sono immorale; —Io sono incosciente; —Io sono un bugiardo... Qualsiasi persona che dicesse ciò si squalificherebbe immediatamente.

Ma la domanda definitiva sarebbe: di quale morale, di quale coscienza e di quale verità stiamo parlando? È evidente che la pace e la sana coesistenza sociale non possono basarsi su una “morale alla carta”, dove ognuno va dove gli pare, senza tener conto delle inclinazioni e delle aspirazioni che il Creatore ha disposto nella nostra natura. Questa “morale”, lontano dal condurci per «il giusto cammino» verso i «pascoli erbosi» che il Buon Pastore desidera per noi (cf. Sal 23,1-3), ci spingerebbe inevitabilmente verso le sabbie mobili del “relativismo morale”, dove assolutamente tutto si può negoziare e giustificare.

I martiri sono testimoni inappellabili della santità della legge morale: ci sono esigenze di amore fondamentali che non ammetteranno mai eccezioni né adattamenti. Infatti, «nella Nuova Alleanza si trovano numerose testimonianze di seguaci di Cristo che (...) accettarono le persecuzioni e la morte anziché fare il gesto idolatrico di bruciare incenso davanti alla statua dell’Imperatore» (S. Giovanni Paolo II).

Nell’ambiente della città di Roma sotto l’imperatore Valeriano, il diacono «san Lorenzo amò Cristo nella vita, imitò Cristo nella morte» (Sant’Agostino). Ed è successo sempre più spesso che «chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,25). La memoria di san Lorenzo, fortunatamente per noi, rimarrà per sempre come un esempio che per seguire Cristo vale la pena dare la vita, anziché ammettere frivole interpretazioni del suo cammino.
Coordin.
00sabato 11 agosto 2018 09:45
Se avrete fede pari a un granello di senape (...) nulla vi sarà impossibile»

Rev. D. Fidel CATALÁN i Catalán
(Terrassa, Barcelona, Spagna)


Oggi, ancora una volta, Gesù ci fa capire che la dimensione dei miracoli è in proporzione alla nostra fede: «In verità io vi dico: se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: “Spòstati da qui a là”, ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile» (Mt 17,20). Infatti, come fanno notare San Geronimo e Sant’Agostino, nel cammino verso la nostra santità (qualcosa che chiaramente supera le nostre forze) si realizza questo “spostamento della montagna”. Quindi, i miracoli avvengono, e se non ne vediamo di più è perché non permettiamo che accadano, dovuto alla nostra poca fede.

D’innanzi a questa situazione sconcertante e inspiegabile, l’essere umano reagisce in modi diversi. L’epilessia era considerata come una malattia incurabile sofferta da persone possedute da uno spirito maligno.

Il padre di quella creatura dimostra il suo amore verso il figlio cercando la cura totale, e si rivolge a Gesù. La sua azione è dimostrata come un vero atto di fede. Si inginocchia di fronte a Gesù e lo supplica direttamente, con la convinzione intima, che la sua richiesta sarà ascoltata favorevolmente. La forma in cui esprime la sua richiesta, dimostra, l’accettazione della propria condizione e allo stesso tempo il riconoscimento della misericordia di Colui che può avere compassione verso gli altri.

Quel padre si riferisce al fatto che i discepoli non poterono scacciare quel demonio. Questo elemento ci introduce all’insegnamento di Gesù, facendoci notare la poca fede dei discepoli. Seguirlo, farsi discepolo, collaborare con la Sua missione esige una fede profonda e ben fondata, capace di sopportare le avversità, i contrattempi, le difficoltà e le incomprensioni. Una fede che diventa tangibile perché è solidamente radicata. In altri brani del Vangelo, lo stesso Gesù si lamenta della mancanza di fede dei suoi seguaci. L’espressione «nulla vi sarà impossibile» (Mt 17,20) esprime con tutta la sua forza l’importanza della fede per seguire il Maestro.

La Parola di Dio ci pone d’innanzi a una riflessione sulla qualità della nostra fede e la forma in cui la approfondiamo, ricordandoci il comportamento di quel padre di famiglia che si avvicina a Gesù e lo supplica con la profondità dell’amore del suo cuore.
Coordin.
00domenica 12 agosto 2018 07:51
Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato»

Fray Lluc TORCAL Monje del Monasterio de Sta. Mª de Poblet
(Santa Maria de Poblet, Tarragona, Spagna)


Oggi, il Vangelo ci presenta la perplessità che provavano i concittadini di Gesù in sua presenza «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?» (Gn 6,42). La vita di Gesù in mezzo ai suoi fu così normale che, iniziando la proclamazione del Regno, chi lo conosceva si scandalizzava di ciò che diceva.

Di quale Padre parlava loro Gesù, che nessuno aveva visto? Chi era questo pane disceso dal cielo, che chi lo mangiava sarebbe vissuto per sempre? Lui negava che fosse la manna del deserto, perché chi l’avesse mangiata sarebbe morto. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». (Gn 6,51). La sua carne poteva essere un’alimento per noi? Lo sconcerto che Gesù provocò nei giudei potrebbe estendersi tra noi se non rispondiamo a una domanda centrale per la nostra vita cristiana: Chi è Gesù?

Molti uomini e donne prima di noi si sono fatti questa domanda, hanno risposto personalmente, sono andati verso Gesù, lo hanno seguito ed ora godono di una vita senza fine e piena d’amore. E a coloro che vadano verso Gesù, Lui li risuscitarà nell’ultimo giorno (cf. Gn 6,44). Giovanni Cassiano esortava i suoi monaci dicendo loro: « “Avvicinatevi a Dio e Dio si avvicinerà a voi”, perché “nessuno può andare a Gesù se il Padre che lo ha inviato non lo attira”(...) ». Nel Vangelo ascoltiamo il Signore che ci invita ad andare verso di Lui: “Venite a me tutti quelli che siete stanchi e affaticati, ed io vi farò riposare”. Accogliamo la Parola del Vangelo che ci avvicina a Gesù ogni giorno; accogliamo l’invito dello stesso Vangelo ad entrare in comunione con Lui, cibandoci della sua carne, perché «questo è il vero alimento, la carne di Cristo, il quale, essendo la Parola, si è fatto carne per noi». (Origene).
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