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Serbava queste cose, meditandole... (Lc.2,19)

Ultimo Aggiornamento: 06/05/2024 09:38
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18/08/2019 12:18
 
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PAROLA DEL GIORNO



Domenica 18 agosto


Quando ci siamo incartati?
Quando abbiamo perso la bussola?
Quando è accaduto che, seduti sulle nostre piccole certezze acquisite, abbiamo abbassato la guardia così che l’ombra ha prevalso sulla luce e si è unita alle ombre della altre persone fino a diventare un drago che guardiamo indifferenti, affatto spaventati o consapevoli, come se fosse un cagnolino da compagnia?
È così da sempre, direte.
Forse è vero, forse la fragilità che portiamo nel cuore è la radice di ogni male.
Ed è inutile illudersi di combatterlo, quel male, solo con le nostre forze.
Abbiamo bisogno di un Salvatore, oggi più che mai.
Perché, sprofondati nel quotidiano, ci stiamo abituando al Male.
A quello che si manifesta con la violenza, la rabbia, la prevaricazione, la delinquenza.
E quello ancora più pericoloso di chi risponde alla violenza con santa rabbia, santa prevaricazione, santa ferocia, appellandosi alla giustizia, giustificandosi, ammantando di eroismo la bile che finalmente può uscire e avvelenare ogni parola, ogni giudizio.
Stiamo giocando col fuoco, tanto.
E i nodi vengono al pettine.
Dio non è più la via che ci porta alla verità, per donarci la vita.
Poco più di un riferimento ancestrale, brandito per sostenere le diverse posizioni.
Rabbia che deborda, che acceca, che imbarbarisce.
Finalmente possiamo essere cattivi senza sentirci in colpa.
Anche nella Chiesa.

Opinioni (legittime) che diventano divisive, esclusive.
Il Papa di prima contro quello di adesso. Quelli che sanno cosa sia davvero il cristianesimo. Chi rilascia patentini di cattolicità. Quelli che confondono la leggiadra ironia con la blasfemia (ora e sempre forza Gioba!). Che tristi i cristiani tristi!
Quelli che augurano ai migranti di annegare nel Mediterraneo e vanno tranquilli a fare la comunione, come se fosse accettabile per un discepolo un pensiero del genere.
Non ci siamo, no.
Siamo sprofondati nel fango, come Geremia.
Ma quel fango l’abbiamo creato noi, prosciugando la sorgente d’acqua viva che è Cristo.

Nato vicino a Gerusalemme, appassionato di Dio e del suo popolo, Geremia passerà la sua vita a convincere il re di Giuda e la popolazione di Gerusalemme a non opporsi alla nascente potenza di Babilonia.
Soffre duramente di questa situazione, l’inquieto profeta, che vorrebbe annunciare pace e deve redarguire, che vorrebbe profetare il bene e vede la tragedia avvicinarsi. Purtroppo le previsioni di Geremia si avvereranno; Gerusalemme cadrà sotto il re Nabucodonosor e oltre ottomila capifamiglia saranno deportati in Babilonia.
Essere discepoli porta ad amare teneramente le persone destinatarie dell’annuncio, essere discepoli significa cercare in sé la verità per poi offrirla agli altri, essere discepoli significa non essere capiti proprio dalle persone che ami.
Anche se sprofondati nel fango, siamo chiamati a gridare sui tetti l’annuncio del Vangelo.
Con la vita.
È vero: esiste una violenza insita nella vita.Ma non è quella che vi raccontano.

L’annuncio del Vangelo è segno di contraddizione, il mondo, così amato dal Padre da dare il Figlio, vive con fastidio l’ingerenza divina e preferisce le tenebre alla luce.
E l’avversario si veste di luce, di ragionevolezza, di buoni propositi.
Di santi propositi.
Anche fra di noi, forte, emerge la tentazione di impugnare la spada, di ergere muri. Atei devoti o cristiani da campagna elettorale alzano i toni, accusano i cristiani (quali?) di essere deboli. Essere buoni è diventato un insulto. Portare un cartello in cui si invita ad amare i nemici, pericoloso. Le suore sono arrestate perché sostengono la politica dell’accoglienza.
Stolti: confondo la civiltà cristiana col Vangelo, la identificano. Insegnano al Papa a fare il Papa.
Vogliono lo scontro.
Come se non fossero proprio i cristiani, quelli veri, quelli che tengono in piedi i nostri oratori, le mense per i poveri, quelli che si fanno carico delle povertà economiche ed esistenziali, quelli che si rimboccano le maniche, quelli che lavorano duramente senza fregare gli altri, a tenere in piedi questa povera Patria.
Sì, il Vangelo porta in sé una carica di violenza e di incomprensione.
Violenza subita, però.
Per amore della verità, per fedeltà al Vangelo.

Gesù lo dice, parlando di sé, immaginando l’evoluzione che avrà il suo messaggio.
Dopo la caduta di Gerusalemme ad opera dei romani e la rovinosa distruzione del Tempio, i seguaci del Nazareno saranno “scomunicati” dai rabbini e questo provocherà una frattura dolorosissima ed insanabile all’interno della neonata comunità giudeo-cristiana.
Ancora oggi molti sperimentano la contraddizione di scoprire in Cristo una nuova famiglia, nuove e durature relazioni con fratelli credenti e, nel contempo, un impoverimento di relazione e una crescente incomprensione con i famigliari di sangue.
Ho visto genitori scagliarsi con ferocia contro le scelte radicali dei propri figli che decidevano di consacrare la propria vita al Regno.
Ma, senza arrivare a questi eccessi, credo che anche a te, amico lettore, sia successo di vedere cambiare atteggiamento nei tuoi confronti in ufficio o a scuola proprio a causa della tua scelta evangelica.
Se davvero siamo discepoli mettiamo in conto qualche contrasto, qualche fatica di troppo: nessuno di noi è più grande del Maestro: se hanno perseguitato lui perseguiteranno anche noi.

Cristo è fuoco.
Fuoco che brucia, che divampa, che illumina, che riscalda, che consuma.
Cristo è fuoco e traspare dalla nostra vita.
Se è dal fuoco che si misura il discepolato, i pompieri della fede possono stare tranquilli. Purtroppo.
Lasciamolo divampare.
Incendiamo il mondo.
D’amore.


Paolo Curtaz


Buona e Santa Domenica
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