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Serbava queste cose, meditandole... (Lc.2,19)

Ultimo Aggiornamento: 17/04/2024 09:54
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14/05/2018 08:34
 
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Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena»

+ Rev. D. Josep VALL i Mundó
(Barcelona, Spagna)


Oggi la Chiesa ricorda il giorno in cui gli Apostoli scelsero quel discepolo di Gesù che doveva sostituire a Giuda Iscariota. Come ci narra opportunamente San Giovanni Crisostomo in una delle sue prediche, al momento di scegliere persone che usufruiranno di una certa responsabilità, possono esserci certe rivalità e discussioni. Per questo, San Pietro «si disinteressa dell’invidia che avrebbe potuto sorgere», lo lascia alla sorte, all’ispirazione divina, evitando così questa possibilità. Questo Padre della Chiesa, continua dicendo: «È certo che le decisioni importanti molte volte possono generare dispiaceri».

Nel Vangelo del giorno, il Signore parla agli Apostoli riguardo all’allegria che devono sentire: «Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena»(Gv 5,11). In effetti, il cristiano, come Mattia, vivrà felice e con una serena allegria, se assume i diversi avvenimenti della vita dalla grazia della filiazione divina. Altrimenti, finirebbe lasciandosi trasportare da falsi tormenti, da sciocche invidie o da pregiudizi di qualsiasi tipo. L’allegria e la pace sono sempre i frutti dell’esuberanza, dell’impegno apostolico e della lotta per arrivare a essere santi. È il risultato logico e soprannaturale dell’amore a Dio e dello spirito di servizio al prossimo.

Romano Guardini scriveva: «La sorgente dell’allegria, si trova nel più profondo dell’essere di una persona (...). Lì risiede Dio. Allora, l’allegria si espande e ci fa luminosi. E tutto ciò che è bello è percepito con tutto il suo splendore». Quando non siamo contenti dobbiamo saper pregare come San Tommaso Moro: «Mio Dio, concedimi il senso dell’umore affinché possa assaporare la felicità della vita e possa trasmetterla agli altri». Non dimentichiamo quello che Santa Teresa del Gesù chiedeva anche: «Dio, liberami dai santi con la faccia triste, giacché un santo triste è un triste santo».
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15/05/2018 08:33
 
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Padre, è venuta l’ora»

Rev. D. Pere OLIVA i March
(Sant Feliu de Torelló, Barcelona, Spagna)


Oggi il Vangelo di Giovanni —che da giorni stiamo leggendo— inizia parlandoci ”dell’ora”: «Padre, è giunta l’ora» (Gv 17,1). Il culmine, la glorificazione di tutte le cose, la donazione massima di Cristo per tutti... “L’ora” è ancora una realtà nascosta agli uomini. Si rivelerà man mano che la trama della vita di Gesù ci va aprendo la prospettiva della croce.

È giunta l’ora? L’ora di cosa? Ebbene, è giunta l’ora nella quale gli uomini conoscono il nome di Dio, cioè la Sua azione, il modo di dirigersi all’umanità, il modo di parlare a noi nel Figlio, in Cristo che ama.

Gli uomini e le donne di oggi, conoscendo Dio attraverso Gesù («Le parole che hai dato a me io le ho date a loro»: Gv 17,8), riusciamo ad essere testimoni della vita, della vita divina che si realizza in noi per il sacramento battesimale. In Lui viviamo, ci muoviamo e siamo, in Lui troviamo parole che alimentano e che ci fanno crescere; in Lui scopriamo quel che Dio vuole da noi: la pienezza, la realizzazione umana, una vita vissuta senza vanagloria personale ma un atteggiamento esistenziale basato su Dio e la Sua Gloria. Ci ricorda Sant Ireneo che «La Gloria di Dio è che l’uomo viva». Lode e Gloria a Dio affinché la persona umana arrivi alla sua pienezza.

Siamo segnati dal Vangelo di Gesù; lavoriamo per la Gloria di Dio, compito che si traduce in un maggior servizio alla vita di uomini e donne di oggi. Questo significa: lavorare per una vera comunicazione umana, per la vera felicità della persona, far gioire chi è triste, compatirsi con i deboli... in definitiva... aperti alla Vita (con maiuscola).

Per lo Spirito, Dio lavora in ognuno di noi e abita nel più recondito di ogni persona, e non smette di stimolare tutti noi a vivere il Vangelo e i suoi valori. La Buona Notizia è espressione della felicità liberatrice che Lui vuole dare a noi.
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16/05/2018 08:41
 
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Perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia»

Fr. Thomas LANE
(Emmitsburg, Maryland, Stati Uniti)


Oggi, viviamo in un mondo che non sa come essere veramente felice con la felicità di Gesù, un mondo che cerca la felicità di Gesù in tutti i posti sbagliati e nel modo più sbagliato possibile. Cercare la felicità senza Gesù solo può condurre a un'infelicità ancora più profonda. Fissiamoci nelle telenovelas, dove sempre si tratta di qualcuno che ha problemi. Queste serie televisive dimostrano le miserie di una vita senza Dio.

Ma noi vogliamo vivere al giorno d’oggi con l'allegria di Gesù. Lui prega a suo Padre nel Vangelo di oggi: «e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia» (Gv 17,13). Rendiamoci conto che Gesù vuole che in noi la sua allegria sia completa. Desidera colmarci della sua allegria. Questo non significa che non abbiamo la nostra croce, giacché «il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo» (Gv 17,14), ma Gesù si aspetta da noi che viviamo con la sua allegria senza preoccuparci di ciò che il mondo possa pensare di noi. L'allegria di Gesù deve impregnarci fino all’intimo del nostro essere, evitando che il fragore superficiale di un mondo senza Dio possa penetrare in noi.

Viviamo dunque, oggi, con l'allegria di Gesù. Come possiamo ottenere sempre di più da questa allegria di Gesù Signore? Ovviamente dal proprio Gesù. Gesù Cristo è l'unico che può darci la vera felicità che manca nel mondo, come lo testimoniano le citate serie televisive. Gesù disse, «se rimanete in me, e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato» (Gv 15,7). Dedichiamo perciò, ogni giorno, un po' del nostro tempo alla preghiera con la parola di Dio nelle Scritture; alimentiamoci e consumiamo le parole di Gesù nella Sacra Scrittura; lasciamo che siano il nostro alimento, per saziarci con la sua gioia: «All'inizio dell'essere umano non c'è una decisione etica o una grande idea, ma l'incontro di un avvenimento, con una Persona che da alla vita un nuovo orizzonte alla vita» (Benedetto XVI).
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17/05/2018 09:48
 
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Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me»

P. Joaquim PETIT Llimona, L.C.
(Barcelona, Spagna)


Oggi, nel Vangelo troviamo una solida base per la fiducia: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che (...) crederanno in me» (Gv 17,20). È il cuore di Gesù il quale, nella intimità con i suoi, apre loro i tesori inesauribili del Suo Amore. Vuole rassicurare i loro cuori afflitti dall’aria di congedo che hanno le parole e i gesti del Maestro durante l’Ultima Cena. È la preghiera doverosa di Gesù che va al Padre chiedendo per loro. Quanta forza e sicurezza troveranno poi in questa preghiera durante la loro missione apostolica! In mezzo a tutte le difficoltà e pericoli che dovranno affrontare, questa preghiera li accompagnerà e sarà fonte di fermezza e coraggio per testimoniare, con l’offerta della propria vita, la loro fede.

La contemplazione di questa realtà, di questa preghiera di Gesù per i suoi, deve arrivare anche alle nostre vite: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che (...) crederanno in me» (Gv 17,20). Queste parole, attraverso i secoli, arrivano a noi con la stessa forza con la quale furono pronunciate, fino al cuore di tutti e a ognuno dei credenti.

Nel ricordo dell’ultima visita di Giovanni Paolo II in Spagna, troviamo nelle parole del Papa l’eco di questa preghiera di Gesù per i suoi: «Con le mie braccia aperte vi porto tutti nel mio cuore –disse il Pontefice davanti a più di un milione di persone-. Il ricordo di questi giorni si farà preghiera, chiedendo per voi tutti la pace in fraterna convivenza, stimolati da una speranza cristiana che non delude». E un po' più in là nel tempo, un’altro Papa faceva una esortazione con parole che giungono ancora al nostro cuore dopo tanti secoli: «Non vi è nessun malato al quale vi sia negata la vittoria della croce, né vi è nessuno al quale non lo aiuti la preghiera di Cristo. Giacché se questa è stata di profitto per coloro i quali hanno infierito contro di Lui, quanto più lo sarà per coloro i quali si rivolgono a Lui?» (San Leone Magno).
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18/05/2018 07:25
 
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Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene". Gli rispose Gesù: "Pasci le mie pecore"»

Rev. D. Joaquim MONRÓS i Guitart
(Tarragona, Spagna)


Oggi, dobbiamo ringraziare san Giovanni che ci lascia costanza della intima conversazione tra Gesù e Pietro: «"Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?". Gli risponde: "Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene". Gli dice Gesù: "Pasci i miei agnelli"» (Gv 21,15). —Dai più piccoli, appena nati alla vita della Grazia... devi averne cura come se fossi Io stesso... Quando per la seconda volta... «gli dice Gesù: "Pasci le mie pecore"», Lui sta dicendo a Simone Pietro: —A tutti quelli che mi seguiranno, tu dovrai presiederli nel mio Amore, devi cercare che abbiano la carità ordinata. Così, tutti sapranno per mezzo tuo che seguono Me; che è mia volontà che tu presieda sempre, amministrando i meriti che —per ognuno— Io ho guadagnato.

«Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse “Mi vuoi bene?”, e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (Gv 21,17). Gli fa rettificare la sua triplice negazione e, il solo ricordo, lo rende triste. Ti amo totalmente, sebbene Ti abbia negato..., sai già quanto ho pianto il mio tradimento, sai già quanto sollievo ho trovato solo stando accanto a Tua Madre e con i fratelli.

Troviamo sollievo al ricordare che il Signore stabilì il potere di cancellare il peccato che separa, molto o poco, dal Suo Amore e dall'amore ai fratelli. —Trovo consolazione all'ammettere la verità del mio allontanamento da Te e a sentire dalle Tue labbra sacerdotali l'«Io ti assolvo» “a modo di giudizio”.

Troviamo sollievo in questo potere delle chiavi che Gesù Cristo affida a tutti i suoi sacerdoti-ministri, per riaprire le porte della Sua amicizia. —Signore, vedo che una mancanza d'amore si ripara con un atto di amore immenso. Tutto ciò, ci porta ad apprezzare il valore infinito del sacramento del perdono al confessare i nostri peccati, che realmente non sono altro che “mancanza d'amore”.
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19/05/2018 10:12
 
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Le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera»

Rev. D. Fidel CATALÁN i Catalán
(Terrassa, Barcelona, Spagna)


Oggi, leggiamo la fine del Vangelo di San Giovanni. Si tratta propriamente della fine dell’appendice che la comunità di Giovanni aggiunse al testo originale. In questo caso è un frammento volontariamente significativo. Il Signore Risuscitato compare ai suoi discepoli e li rinnova nel suo seguimento, in particolare a Pietro. A continuazione si colloca il testo che oggi proclamiamo nella liturgia.

La figura del discepolo amato è centrale in questo frammento e anche in tutto il Vangelo di san Giovanni. Può riferirsi a una persona concreta —il discepolo Giovanni— o può essere la figura dietro la quale può situarsi ogni discepolo amato dal Maestro. Qualsiasi sia il suo significato, il testo aiuta a dare un elemento di continuità all’esperienza degli apostoli. Il Signore Risuscitato assicura la sua presenza in quelli che vogliano essere i suoi seguaci.

«Se voglio che egli rimanga finché io venga» (Gv 21,22) può essere più indicativa questa continuità che un elemento cronologico nello spazio e nel tempo. Il discepolo amato si converte in testimonio di tutto ciò nella misura in cui è cosciente che il Signore rimane con lui in ogni occasione. Questa è la ragione per la quale può scrivere e la sua parola è vera, perchè glossa con la sua penna la continua esperienza di quelli che vivono la sua missione in mezzo al mondo, sperimentando la presenza di Gesucristo. Ognuno di noi può essere il discepolo amato nella misura in cui ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo, che ci aiuta a scoprire questa presenza.

Questo testo ci prepara già per celebrare domani domenica la Solennità della Pentecoste, il Dono dello Spirito: «E il Paraclito è venuto dal cielo: il custode e il santificante della Chiesa, l’amministratore delle anime, il pilota di chi naufraga, il faro degli erranti, l’arbitro di chi lotta e chi incorona ai vincitori» (San Cirillo di Gerusalemme).
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20/05/2018 09:17
 
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Ricevete lo Spirito Santo»

Mons. Josep Àngel SAIZ i Meneses Vescovo di Terrassa
(Barcelona, Spagna)


Oggi, nel giorno di Pentecoste si compie la promessa che Gesù fece agli Apostoli. Nel pomeriggio del giorno di Pasqua alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20,22). La venuta dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste rinnova e porta a termine questo dono in modo solenne e con manifestazioni esterne. Così culmina il mistero pasquale.

Lo Spirito che Gesù comunica crea, nel discepolo, una nuova condizione umana producendo unità. Quando l’orgoglio dell’uomo lo porta a sfidare Dio costruendo la Torre di Babele, Dio confonde le loro lingue così che non possano capirsi. In Pentecoste avviene l’inverso: per grazia dello Spirito Santo, gli Apostoli sono capiti per gente di provenienze e lingue diverse.

Lo Spirito Santo è il Maestro interiore che guida il discepolo verso la verità, che lo spinge ad operare bene, che lo consola nel dolore, che lo trasforma interiormente, dando forza e capacità nuove.

Il primo giorno di Pentecoste dell’era cristiana, gli Apostoli si trovavano riuniti in compagnia di Maria, raccolti in preghiera. Il raccoglimento, l’attitudine di preghiera è imprescindibile per ricevere lo Spirito. «Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro» (Atti 2,2-3).

Tutti furono pieni di Spirito Santo e si misero a predicare coraggiosamente. Quegli uomini intimoriti erano stati trasformati in coraggiosi predicatori per niente temerosi del carcere, della tortura o del martirio. Non c’è da sorprendersi: la forza dello Spirito era in loro.

Lo Spirito Santo, Terza Persona della Trinità, è l’anima della mia anima, la vita della mia vita, l’essere del mio essere; è la mia santificazione, l’ospite del mio più profondo interiore. Per raggiungere la maturità nella vita di fede è necessario che la relazione con Lui sia ogni volta più consapevole, più personale. In questa celebrazione di Pentecoste spalanchiamo le porte del nostro interiore.
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21/05/2018 09:23
 
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Credo; aiuta la mia incredulità!»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)


Oggi, contempliamo –ancora una volta!- il Signore richiesto dalla gente («accorsero a salutarlo») e, allo stesso tempo, Lui, interessandosi per le persone, sensibile ai loro bisogni. In primo luogo, quando sospetta che qualcosa succede, si preoccupa per il problema.

Interviene uno dei protagonisti, cioè, il padre di un ragazzo che è posseduto da uno spirito maligno: «Maestro, ho portato da te mio figlio, che ha uno spirito muto. Dovunque lo afferri, lo getta a terra ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce» (Mc 9,17-18).

E’ terribile il male che può arrivare a fare il Diavolo!, una creatura senza carità. Signore, -dobbiamo pregare!-: «Liberaci dal male». Non si capisce come sia possibile che ai nostri giorni , delle persone dicano che il Diavolo non esiste o altre che gli rendono qualche forma di culto... E’ assurdo! Dobbiamo ricavare una lezione da tutto questo: non si può scherzare con il fuoco!

«Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti» (Mc 9,18). Quando Gesù sente queste parole, prova un dispiacere. Se ne addolora, soprattutto, per la mancanza di fede... Manca la fede perché devono `pregare di più´ «Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera» (Mc 9,29).

La preghiera è il dialogo “intimista” con Dio. Giovanni Paolo II ha affermato che «la preghiera implica sempre una specie di “ricettacolo” con Cristo in Dio. Solamente in simile`nascondiglio´agisce lo Spirito Santo. In un ambiente intimo di ricettacolo si pratica l’assiduità amichevole con Gesù; partendo dalla quale, prende origine lo sviluppo della fiducia in Lui, cioè, l’aumento della fede.

Questa fede, però, che muove montagne ed espulsa gli spiriti maligni («tutto è possibile per chi crede!») è soprattutto un dono di Dio. La nostra preghiera, in ogni caso, ci predispone a ricevere il dono. Questo dono, però, dobbiamo chiederlo con insistenza: «Credo; aiuta la mia incredulità!» (Mc 9,24). La risposta di Cristo non si farà supplicare!
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22/05/2018 07:55
 
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Il Figlio dell’uomo viene consegnato»

Rev. D. Jordi PASCUAL i Bancells
(Salt, Girona, Spagna)


Oggi, il Vangelo ci offre due insegnamenti di Gesù, che sono strettamente legati tra di loro. Da una parte, il Signore annuncia agli Apostoli che «lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà» (Mt 9,31). E’ la volontà del Padre per Lui: per questo è venuto al mondo; così vuole liberarci dalla schiavitù del peccato e dalla morte eterna; in questo modo Gesù ci renderà figli di Dio. La consacrazione di Gesù fino all’estremo di dare la propria vita per noi, ci dimostra l’infinito Amore di Dio: un Amore assoluto un Amore al quale non importa ribassarsi fino alla pazzia e allo scandalo della Croce.

Risulta terribile ascoltare la reazione degli Apostoli, ancora troppo presi nel pensare a sé stessi dimenticandosi di imparare dal Maestro: «non capivano queste parole» (Mc 9,32), poiché cammin facendo discutevano chi di loro sarebbe il più grande e per evitare di essere rimproverati non avevano il coraggio di rivolgerGli domande.

Con delicata pazienza, Gesù aggiunge: bisogna diventare l’ultimo ed essere servo degli altri. Bisogna accogliere chi è semplice e piccolo, perché il Signore ha voluto identificarsi con lui. Dobbiamo accogliere Gesù nella nostra vita, perché così staremo aprendo le porte allo stesso Dio. E’ come un programma di vita per continuare a camminare.

Così lo spiega con chiarezza il Santo parroco di Ars, Giovanni Battista Maria Vianney: «Ogni volta che possiamo rinunciare alla nostra volontà per fare quella degli altri, sempre che questa non vada contro la legge di Dio, otterremo grandi meriti, che solo Dio conosce». Gesù insegna con le Sue parole ma soprattutto con le Sue opere. Quegli Apostoli, inizialmente caparbi, dopo la Croce e la Risurrezione, seguiranno le stesse orme del loro Signore e del loro Dio. Accompagnati da Maria Santissima, vorranno diventare sempre più piccoli perché Gesù cresca in essi e nel mondo.
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23/05/2018 06:33
 
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Chi non è contro di noi è per noi»

Rev. D. David CODINA i Pérez
(Puigcerdà, Gerona, Spagna)


Oggi sentiamo un rimprovero all'apostolo Giovanni, che vede persone fare del bene nel nome di Cristo, senza far parte del gruppo dei suoi discepoli: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva» (Mc 9,38). Gesù ci dà la corretta visione che dobbiamo avere verso queste persone: accoglierle ed ampliare il nostro punto di vista, con umiltà verso noi stessi, compartendo sempre un comune legame di comunione, una stessa fede, la stessa orientazione, cioè camminare insieme verso la perfezione dell'amore a Dio e al prossimo.

Questo modo di vivere la nostra vocazione di "Chiesa" ci invita a rivedere con pace e serietà la coerenza con cui viviamo questa apertura di Gesù Cristo. Mentre ci siano "altri" che ci “molestano” perché fanno le nostre stesse cose, questo è un chiaro indizio che l'amore di Cristo non ci impregna in tutta la sua profondità, e ci richiederà la "umiltà" di accettare che non esauriamo "tutta la saggezza e l'amore di Dio ". In definitiva, accettare che siamo coloro che Cristo sceglie per annunciare tutti come l'umiltà è la via per avvicinarci a Dio.

Gesù operò così dalla sua Incarnazione, quando ci avvicina al massimo la maestà di Dio nella piccolezza dei poveri. Crisostomo dice: "Cristo non si accontentò di soffrire la croce e la morte, ma volle anche diventare povero e pellegrino, vagare errante e nudo, volle essere buttato in carcere e subirne le debolezze, per ottenere da te la conversione». Se Cristo non ha lasciato passare nessuna occasione affinché viviamo l'amore con gli altri, cerchiamo di non perdere l'occasione di accettare colui che è diverso da noi nel modo di vivere la propria vocazione nel formar parte della Chiesa, perché «chi non è contro noi è per noi» (Mc 9,40).
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24/05/2018 08:44
 
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Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa»

Rev. D. Xavier PARÉS i Saltor
(La Seu d'Urgell, Lleida, Spagna)


Oggi, il Vangelo proclamato, diventa un po`difficile da capire dovuto alla durezza delle parole di Gesù: «Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala (...).se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via» Mc 9,43.47). È che Gesù è molto esigente con quelli che sono i suoi seguaci. Semplicemente Gesù vuole ribadire che dobbiamo saper rinunciare alle cose che ci danneggiano, anche se sono cose molto piacevoli, ma che possono essere motivo di peccato e vizio. San Gregorio lascerà scritto «che non dobbiamo desiderare le cose che soddisfanno solo le necessità materiali e peccaminose». Gesù esige radicalità. Altrove nel Vangelo dice anche: «Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà» (Mt 10,39).

D'altra parte, questa esigenza di Gesù vuole essere una esigenza di amore e di crescita. Non resteremo senza la sua ricompensa. Ciò che darà senso alla nostre cose deve essere sempre l'amore: dobbiamo arrivare a saper dare un bicchiere d'acqua a chi ne ha bisogno, e non per interesse personale, ma per amore. Dobbiamo scoprire Gesù Cristo nei più bisognosi e poveri. Gesù solo denuncia severamente e condanna coloro che fanno il male e scandalizzano, quelli che allontanano i più piccoli dal bene e dalla grazia di Dio.

Finalmente, tutti noi dobbiamo superare la prova del fuoco. È il fuoco della carità e dell’amore che ci purifica dai nostri peccati, per poter essere il sale che dà il buon sapore dell’amore, del servizio e della carità. Nella preghiera e nell'Eucaristia è dove i cristiani troviamo la forza della fede e del buon gusto del sale di Cristo. Non rimarremo senza ricompensa!
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25/05/2018 07:57
 
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Egli insegnava loro, come era solito fare»

Rev. D. Miquel VENQUE i To
(Barcelona, Spagna)


Oggi, Signore, vorrei pregare un momento per ringraziarTi per il Tuo insegnamento. Insegnavi con autorità e lo facevi sempre che ti lasciavamo, approfittavi tutte le occasioni: è chiaro!, lo capisco Signore, la tua missione fondamentale era trasmettere la Parola del Padre. E lo facesti.

-Oggi, usando Internet ti dico: Parlami, perché voglio fare un momento di preghiera, come un discepolo fedele. In primo luogo, vorrei chiederti di aiutarmi a essere capace di imparare ciò che insegni e, in secondo luogo, sapere insegnarlo. Riconosco che è molto facile cadere nella trappola di farti dire cose che Tu non hai detto, e con malefico coraggio, cerco di farti dire ciò che mi piace. Ammetto che forse sono più duro di cuore di quelli che ascoltavano.

-Conosco il tuo Vangelo, il Magistero della Chiesa, il Catechismo, e ricordo le parole di Giovanni Paolo II nella Lettera alle famiglie: " Il progetto dell'utilitarismo, fondato su di una libertà orientata in senso individualistico, ossia una libertà senza responsabilità, costituisce l'antitesi dell'amore ". Signore, spezza il mio cuore ansioso di felicità utilitaristica e fammi entrare nella tua verità divina, della quale ho tanto bisogno.

-In questo luogo di visione, come dalla cima della cordigliera, capisco che Tu dica che l’amore matrimoniale è definitivo, che l'adulterio -oltre ad essere peccato come tutto reato grave fatto a te, che sei il Signore della Vita e dell’Amore- è un cammino sbagliato verso la felicità: « Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei " (Marco 10,11).

Mi ricordo di un giovane che diceva, "Padre, il peccato promette molto, no da nulla e ruba tutto." Che ti capisca, buon Gesù, e che lo sappia spiegare: Ciò che Tu hai unito, l'uomo non lo può separare (cfr Mc 10,9). Fuori da qui, fuori dalle tue traiettorie, non troverò la vera felicità. Gesù, insegnami di nuovo!

Grazie, Gesù, sono duro di cuore, ma so che hai ragione.
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26/05/2018 08:44
 
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Lasciate che i bambini vengano a me»

Rev. D. Josep Lluís SOCÍAS i Bruguera
(Badalona, Barcelona, Spagna)


Oggi, i bambini sono notizia. Più che mai, i bambini hanno molto da dire, malgrado che la parola “bambino” significhi “colui che non parla”. Lo vediamo nei mezzi tecnologici: essi sono capaci di farli funzionare, di usarli e, finanche, di insegnare agli adulti il loro uso corretto. Diceva l’autore di un articolo che,«sebbene i bambini non parlano, ciò non vuol dire che non pensino».

Nel passaggio del Vangelo di Marco troviamo diverse considerazioni. «Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono» (Mc 10,13). Il Signore, però, nel Vangelo che abbiamo letto in questi ultimi giorni, L’abbiamo visto farsi tutto per tutti, a maggior ragione, si fa con i bambini. Così, «Al vedere questo s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio» (Mc 10,14).

La carità rispetta un ordine: comincia dal più bisognoso. Chi è, dunque, più bisognoso, più “povero” di un bambino? Tutti hanno diritto ad avvicinarsi a Gesù e il bambino è uno dei primi che deve godere di questo diritto: «Lasciate che i bambini vengano a me» (Mc 10,14).

Badiamo, però, che all’accogliere i più bisognosi, i primi beneficiati siamo noi stessi. Perciò il Maestro avverte: «In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso» (Mc 10,15). E corrispondendo al modo di fare semplice ed aperto dei bambini, «Egli prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro» (Mc 10,16).

Bisogna imparare l’arte di accogliere il Regno di Dio. Chi è come un bambino –come gli antichi “poveri di Jahvè”- si accorge facilmente che ogni cosa è dono, tutto è una grazia. E, per “ricevere” il favore di Dio, bisogna ascoltare e contemplare con “silenzio ricettivo”. Secondo Sant’Ignazio di Antiochia: «E’ meglio star zitti ed essere, che parlare e non essere (...). Colui che possiede la parola di Gesù, può pure, in verità, ascoltare il silenzio di Gesù».
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27/05/2018 09:06
 
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Fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo»

Mons. F. Xavier CIURANETA i Aymí Vescovo Emerito di Lleida
(Lleida, Spagna)


Oggi, la liturgia ci invita ad adorare la Santissima Trinità, nostro Dio, che è Padre, Figlio e Spirito Santo. Un solo Dio in tre persone, nel nome del quale siamo stati battezzati. Attraverso la grazia del Battesimo siamo chiamati a formar parte nella vita della Santissima Trinità qui in basso, nell'oscurità della fede, e, dopo la morte, nella vita eterna. Per il Sacramento del battesimo siamo stati fatti partecipi della vita divina, arrivando ad essere figli del Padre Dio, fratelli in Cristo e templi dello Spirito Santo. Nel Battesimo è iniziata la nostra vita cristiana, ricevendo la vocazione alla santità. Il Battesimo ci fa appartenere a Quello che è per eccellenza il Santo, il «tre volte santo» (cf. Is 6,3).

Il dono della santità ricevuto nel Battesimo richiede la fedeltà a un lavoro di conversione evangelica che dovrà dirigere sempre tutta la vita dei figli di Dio: «Questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione» (1Tes 4,3). È un impegno che compromette tutti i battezzati. «È dunque evidente per tutti, che tutti coloro che credono nel Cristo di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità» (Concilio Vaticano II, Lumen gentium, n. 40).

Se il nostro Battesimo fu una vera entrata nella santità di Dio, non possiamo accontentarci con una vita cristiana magra, abitudinaria e superficiale. Siamo chiamati alla perfezione nell’amore, perché il Battesimo ci ha introdotto nella vita e nell’intimità dell’amore di Dio.

Con profonda gratitudine per il progetto benevolo di nostro Dio, che ci ha chiamato a partecipare nella sua vita di amore, rendiamogli adorazione e lode oggi e sempre. «Benedetto sia Dio Padre, e suo Figlio unico, e lo Spirito Santo, perche ha avuto misericordia di noi» (Antifona d’inizio della messa).
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28/05/2018 08:41
 
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Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri (...); e vieni! Seguimi!»

P. Joaquim PETIT Llimona, L.C.
(Barcelona, Spagna)


Oggi, la liturgia ci presenta un vangelo sul quale è difficile rimanere indifferenti se viene affrontato con sincerità di cuore.

Nessuno può mettere in dubbio le buone intenzioni di quel giovane che si avvicinò a Gesù per porGli una domanda: "Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?" (Mc 10,17). Per quello che ci riferisce Marco, è chiaro che quel cuore aveva bisogno di qualcos'altro, infatti è facile supporre che –buon israelita- conosceva bene la legge, ma dentro di lui c'era un’inquietudine, un bisogno di andare oltre e, quindi, chiede una spiegazione a Gesù.

Nella nostra vita cristiana, dobbiamo imparare a superare questa visione che riduce la fede a una mera questione di compimento. La nostra fede è molto di più. Si tratta di un impegno di cuore verso Qualcuno, che è Dio. Quando si mette il cuore in qualcosa, ci mettiamo anche la vita e, nel caso della fede, superiamo così il conformismo che sembra oggi condizionare l’esistenza di tanti credenti. Chi ama non si conforma con dare qualsiasi cosa. Chi ama cerca un rapporto personale, stretto, approfitta i dettagli e sa scoprire in tutto un’occasione per crescere nell'amore. Chi ama si dà.

In realtà, la risposta di Gesù alla domanda del giovane è una porta aperta alla donazione totale per amore: "Va, vendi quello che hai e dallo ai poveri (...), poi vieni e seguimi" (Mc 10,21). Non si tratta di lasciare senza motivo. È un lasciare che è dare se stesso e un dare se stesso che è una genuina espressione dell’amore. Apriamo, quindi, i nostri cuori all'amore-dono. Viviamo il nostro rapporto con Dio in questa chiave. Orare, servire, lavorare, superarsi, sacrificarsi... sono tutti modi di donarsi e pertanto cammini d'amore. Che il Signore trovi in noi non solo un cuore sincero, ma anche un cuore generoso e aperto alle esigenze dell'amore. Perché -con parole di Giovanni Paolo II- "l'amore che viene da Dio, amore tenero e sponsale, è fonte di esigenze profonde e radicali".
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29/05/2018 06:48
 
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Non c’è nessuno che abbia lasciato casa (...) per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva (...) cento volte tanto (...) e la vita eterna nel tempo che verrà»

Rev. D. Jordi SOTORRA i Garriga
(Sabadell, Barcelona, Spagna)


Oggi, come quel padrone che andava in piazza ogni mattina a cercare lavoratori per la sua vigna, il Signore cerca discepoli, seguaci, amici. Il Suo invito è universale. E’ un’offerta affascinante! Il Signore ci dà fiducia. Pone, però, una condizione per essere Suoi discepoli, condizione che può scoraggiarci; bisogna lasciare «casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo»(Mc 10,29).

Non c’è contropartita? Non c’è compenso? Questo ci apporterà dei benefici? Pietro a nome degli Apostoli, ricorda al Maestro: «Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (Mc 10,28), quasi volesse dire: che beneficio otterremo da tutto questo?

La promessa del Signore è generosa; «già al presente cento volte (...) e nel futuro la vita eterna» (Mc 10,30). Lui non si lascia vincere in generosità. Però aggiunge: “Con persecuzioni”. Gesù è realista e non vuole ingannarci. Essere Suoi discepoli, se lo siamo veramente, ci porterà difficoltà, problemi. Ma Gesù considera le persecuzioni e le difficoltà come un premio, giacchè ci aiutano a crescere, se le sappiamo accettare e vivere come un’occasione per guadagnare in maturità e in responsabilità. Tutto quello che è motivo di sacrificio ci fa rassomigliare a Gesù che ci salva con la sua morte sulla Croce.

Stiamo sempre in tempo per rivedere la nostra vita ed avvicinarci di più a Gesù. Questi tempi, e tutto il tempo, ci permettono –per mezzo della preghiera e dei sacramenti- di verificare se, tra i discepoli che Lui cerca, ci siamo noi, e vedremo pure quale deve essere la nostra risposta a questa chiamata. Accanto alle risposte radicali (come quella degli Apostoli) ve ne sono altre. Per molti, lasciare “casa, fratelli, sorelle, madre, padre...”vorrà dire tutto quello che ci impediva di vivere in profondità l’amicizia verso Gesù e, conseguentemente, essere Suoi testimoni di fronte al mondo. E questo è urgente, non ti sembra?
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30/05/2018 08:16
 
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Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti»

Rev. D. René PARADA Menéndez
(San Salvador, El Salvador)


Oggi, il Signore ci insegna quale dev’essere il nostro atteggiamento davanti alla Croce. L’amore ardente alla volontà di Suo Padre, per consumare la salvazione del genero umano –di ogni uomo e di ogni donna- Lo muove ad andare in fretta verso Gerusalemme, dove «sarà consegnato (...), lo condanneranno a morte (...), lo flagelleranno e l’uccideranno (cf. Mc 10,33-34). Anche se non comprendiamo, o incluso, abbiamo paura di fronte al dolore, la sofferenza o le contraddizioni di ogni giorno, cerchiamo di restare uniti –per amore alla volontà salvifica di Dio- all’offerta della croce di ogni giorno.

L’esercizio assiduo della preghiera e dei sacramenti, specialmente quello della Confessione personale dei peccati e quello dell’Eucaristia, aumenteranno in noi l’amore verso Dio e degli altri per Dio, in tal modo che ci renderemo capaci di dire: «Lo possiamo» (Mc 10,39), nonostante le nostre miserie, paure e peccati. Sì, possiamo abbracciare la croce di ogni giorno (cf.Lc 9,23) per amore, con un sorriso; questa croce che si svela in ciò che è ordinario e quotidiano: la stanchezza nel lavoro, le normali difficoltà nella vita familiare e nelle relazioni sociali, etc.

Solamente se abbracciamo la croce di ogni giorno, negando le nostre preferenze per servire gli altri, riusciremo a identificarci con Cristo, che venne «per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). Giovanni Paolo II spiegava che «il servizio di Gesù arriva alla Sua pienezza con la morte sulla Croce, cioè con il dono totale di sè stesso». Imitiamo, dunque, Gesù, trasformando costantemente il nostro amore a Lui con atti di servizio a tutte le persone: ricchi o poveri, con grande o poca cultura, giovani o anziani, senza nessuna distinzione. Atti di servizio per avvicinarli a Dio e liberarli dal peccato.
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31/05/2018 09:08
 
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Il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo»

Mons. F. Xavier CIURANETA i Aymí Vescovo Emerito di Lleida
(Lleida, Spagna)


Oggi contempliamo il fatto della Visita della Vergine Maria a sua cugina Elisabetta. Appena le è stato comunicato di essere stata scelta da Dio Padre per essere Madre del Figlio di Dio, e che sua cugina Elisabetta ha ricevuto anche lei il dono della maternità, marcia decisa verso la montagna per felicitare la sua propria cugina, e condividere con lei la gioia di essere state favorite dal dono della maternità e per servirla.

Il saluto della Madre di Dio provoca che il bambino, che Elisabetta porta nel suo grembo salti di entusiasmo fra le entraglie di sua madre: La Madre di Dio, che porta Gesù nel suo grembo è causa di gioia. La maternità è un dono di Dio che genera gioia. Le famiglie gioiscono quando si annunzia una vita nuova. La nascita di Cristo produce certamente «una grande gioia» (Lc 2,10).

Malgrado tutto, oggi la maternità non è valorizzata dovutamente. Frequentemente si prepongono altri interessi superficiali che sono manifestazioni di comodità e di egoismo. Le possibili rinuncie che comporta l’amore paterno e materno, spaventano a tanti matrimoni che chissà per i mezzi che hanno ricevuto da Dio, dovrebbero essere più generosi e dire di “Sì” in maniera più responsabile alle nuove vite. Tante famiglie smettono di essere “santuari della vita”. Il Papa San Giovanni Paolo II fa constatare che la contraccezione e l’aborto «hanno le loro radici nella mentalità edonistica e irresponsabile, rispetto alla sessualità e presuppongono un concetto egoista della libertà, che vede nella procreazione un ostacolo allo sviluppo della propria personalità».

Elisabetta, durante cinque mesi, non usciva di casa e meditava: «Ecco che cosa ha fatto per me il Signore» (Lc 1,25). E Maria disse: «L'anima mia magnifica il Signore (...) perché ha guardato l'umiltà della sua serva» (Lc 1,46.48). La Vergine Maria e Elisabetta valorizzano e ingrandiscono l’opera di Dio in loro: la maternità! È necessario che i cattolici ritrovino il significato della vita come un dono di Dio agli esseri umani.
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01/06/2018 07:54
 
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Tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto»

Fra. Agustí BOADAS Llavat OFM
(Barcelona, Spagna)


Oggi, “frutto” e “petizione” sono parole chiavi nel Vangelo. Il Signore si avvicina a un fico e non trova frutti: soltanto fogliame caduto e reagisce maledicendolo. Secondo San Isidro de Sevilla, “fico’’, e “frutto” hanno la stessa radice. Al giorno dopo, perplessi, gli apostoli gli dicono: «Maestro, guarda: l’albero di fichi che hai maledetto è seccato» (Mc 11,21). Rispose loro Gesù: «Abbiate fede in Dio! (Mc 11,22).

C’è gente che quasi non prega, e cuando lo fa, è con il proposito che Dio gli risolva un problema cosi complicato del quale non vedono una soluzione. Lo argomentano le parole di Gesù che abbiamo appena ascoltato: Per questo vi dico: «Tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà» (Mc 11,24). Hanno ragione ed è molto umano, comprensibile e lecito che difronte a problemi che ci superano, ci affidiamo a Dio, in qualche forza superiore a noi.

Però bisogna aggiungere che ogni preghiera è “inutile’’ («vostro Padre sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate») nella misura in cui non ha una utilità pratica diretta, —ad esempio— accendere una luce. Non riceviamo nulla a cambio di pregare, perche tutto ciò che abbiamo da Dio è grazia su grazia.

Pertanto, non è necessario pregare? Al contrario già che ora sappiamo che non è se non grazia, è allora quando la preghiera ha più valore: perchè è “inutile” ed è “gratuita”. Anche così, ci sono tre benefici che ci da la preghiera di petizione: Pace interiore (incontrare l’amico Gesù e affidarsi a Dio rilassa). Riflettere su un problema, ragionarlo e saperlo esporre è averlo averlo già mezzo risolto, e in terzo luogo, ci aiuta a discèrnere fra quello che è buono e quello che chissà per capriccio vogliamo nelle nostre intenzioni di preghiera. Quindi, a posteriori capiamo con gli occhi della fede cio che Gesù dice: «E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perchè il Padre sia glorificato nel figlio» (Gv 14,13).
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02/06/2018 07:25
 
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Con quale autorità fai queste cose?»

Mn. Antoni BALLESTER i Díaz
(Camarasa, Lleida, Spagna)


Oggi, il Vangelo ci chiede di pensare con quali intenzioni andiamo a vedere Gesù. Ci sono persone che vanno senza fede, senza riconoscere la sua autorità: per questo, «vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero: “Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?”» (Mc 11,27-28).

Se non trattiamo a Dio nella preghiera, non avremo fede. Ma, come dice San Gregorio Magno: “quando insistiamo nella preghiera con molta veemenza, Dio si detiene nei nostri cuori e ricuperiamo la vista perduta”. Se abbiamo una buona disposizione, anche se siamo nell’errore, vedendo che l’altro ha ragione, accoglieremo le sue parole. Se abbiamo buone intenzioni, anche se trasciniamo il peso del peccato, nell’orazione Dio ci farà capire la nostra miseria, per riconciliarci con Lui, chiedendo perdono con tutto il cuore e attraverso il sacramento della penitenza.

La fede e la preghiera vanno insieme. Dice San Agostino che, “se ti manca la fede, la preghiera è inutile. Poi, quando preghiamo, crediamo e preghiamo perché non ci manchi la fede. La fede provoca la preghiera, e la preghiera produce a sua volta la forza della fede”. Se disponiamo di buone intenzioni, e accorriamo a Gesù, scopriremo chi è e capiremo la sua parola, quando ci chieda: «Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini?» (Mc 11, 30). Per fede, sappiamo che veniva dal cielo, e che la sua autorità viene dal Padre che è Dio, e da Lui stesso perché è la seconda persona della Santissima Trinità.

Poiché sappiamo che Gesù è l’unico salvatore del mondo, ci rivolgiamo a sua Madre che è anche Madre nostra, affinché con il desiderio di accogliere la parola e la vita di Gesù, con buone intenzioni e buona volontà, abbiamo la pace e la gioia dei figli di Dio.
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03/06/2018 08:31
 
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Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue»

Mons. Josep Àngel SAIZ i Meneses Vescovo di Terrassa
(Barcelona, Spagna)


Oggi, celebriamo solennemente la presenza eucaristica di Cristo tra noi, il “dono per eccellenza”: «Questo è il mio corpo (...) Questo è il mio sangue» (Mc 14,22-24). Prepariamoci a suscitare nella nostra anima lo “stupore eucaristico” (San Giovanni Paolo II).

Il popolo giudeo, nella sua cena pasquale, commemorava la storia della salvezza, le meraviglie di Dio per il Suo popolo, specialmente la liberazione dalla schiavitù d’Egitto. In questa commemorazione, ogni famiglia mangiava l’agnello pasquale. Gesù diventa il nuovo e definitivo agnello pasquale, sacrificato sulla croce e mangiato nel pane Eucaristico.

L’Eucaristia è sacrificio: è il sacrificio del corpo immolato di Cristo e del Suo sangue sparso per tutti noi. Nell’Ultima Cena questo venne anticipato. Lungo la storia sarà attualizzato in ogni Eucaristia. In Essa abbiamo l’alimento: è il nuovo alimento che da vita e forza al cristiano mentre cammina verso il Padre.

L’Eucaristia è presenza di Cristo tra noi. Cristo, risuscitato e glorioso resta fra noi, in un modo misterioso ma reale, nell’Eucaristia. Questa presenza implica un atteggiamento di adorazione da parte nostra ed un atteggiamento di comunione personale con Lui. La presenza eucaristica ci garantisce che Lui resta tra noi e continua a svolgere l’opera della salvezza.

L’Eucaristia è mistero di fede. E’ il centro e la chiave della vita della Chiesa. E’ la fonte e radice dell’esistenza cristiana. Senza la vivenza eucaristica, la fede cristiana si riduce ad una filosofia.

Gesù ci dà il comandamento dell’amore di carità, nell’istituzione dell’Eucaristia. Non si tratta dell’ultima raccomandazione dell’amico che parte e va lontano o del padre che vede prossima la sua morte. E’ la conferma del dinamismo che Lui mette tra noi. Con il Battesimo cominciamo una vita nuova, che viene alimentata per mezzo dell’Eucaristia. Il dinamismo di questa vita porta ad amare gli altri, ed è un dinamismo che va crescendo fino a dare la vita: in questo scorgeranno gli altri che siamo cristiani.

Cristo ci ama perchè riceve la vita dal Padre. Noi ameremo, ricevendo dal Padre la vita, specialmente attraverso il cibo eucaristico.
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04/06/2018 08:50
 
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Al momento opportuno mandò un servo dai contadini a ritirare da loro la sua parte del raccolto della vigna»

Fr. Alphonse DIAZ
(Nairobi, Kenya)


Oggi, il Signore ci invita a passeggiare nella Sua vigna: «Un uomo piantò una vigna (e...) la diede in affitto a dei contadini» (Mc 12,1).Tutti siamo locatari di questo vigneto. Il vigneto è il nostro proprio spirito, la Chiesa ed il mondo intero. Iddio ci chiede frutti. In primo luogo, la nostra santità personale; poi un apostolato costante tra i nostri amici, affinché il nostro esempio e la nostra parola li incoraggi ad avvicinarsi sempre di più a Cristo; infine, il mondo, che si trasformerà in un miglior luogo per viverci, se santifichiamo il nostro lavoro professionale, le nostre relazioni sociali e il nostro dovere verso il benessere comune.

Che classe di locatari siamo? Di quelli che lavorano sodo, o di quelli che s’infastidiscono quando il padrone manda i suoi servi a riscuotere l’affitto? Possiamo opporci a quelli che hanno la responsabilità di aiutarci a produrre i frutti che Dio aspetta da noi. Possiamo opporre obiezioni a quanto insegnano la Santa Madre Chiesa ed il Papa, i vescovi, o forse, più modestamente, i nostri genitori, il nostro direttore spirituale o quel buon amico che sta cercando di aiutarci. Possiamo, finanche, diventare aggressivi e cercare di aggredirli o di ferirli o persino di “ucciderli” mediante la nostra critica e commenti negativi. Dovremmo esaminare noi stessi sui motivi reali di quest’atteggiamento. Forse abbiamo bisogno di conoscere più profondamente la nostra fede; forse dobbiamo imparare a conoscerci meglio, a realizzare un miglior esame di coscienza, per poter scoprire le ragioni per le quali non vogliamo produrre frutti.

Chiediamo alla nostra Madre Maria il Suo aiuto per poter lavorare con amore, sotto la guida del Papa. Tutti possiamo essere “buoni pastori” e “pescatori” di uomini. «Allora andiamo e chiediamo al Signore che ci aiuti a produrre frutto, un frutto che perduri. Solo così questa valle di lacrime, verrà trasformata in un giardino di Dio» (Benedetto XVI). Potremmo avvicinare a Gesù il nostro spirito, quello dei nostri amici, o quello di tutto il mondo, se semplicemente leggessimo e meditassimo quanto ci insegna il Santo Padre e cercassimo di metterlo in pratica.
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05/06/2018 10:07
 
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Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio»

Rev. D. Manuel SÁNCHEZ Sánchez
(Sevilla, Spagna)


Oggi, di nuovo ci meravigliamo dell’ingegno e della saggezza di Cristo. Egli con la Sua magistrale risposta segnala direttamente la giusta autonomia delle realtà terrene: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare» (Mc 12,17).

Ma la Parola di oggi è molto di più che uscire da un affanno; è un fatto che risulta attuale in tutti i momenti della nostra vita: che cosa sto dando a Dio? E’ realmente la cosa più importante nella mia vita? Dove ho posto il cuore? Perché... «dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (Lc 12,34).

Infatti, secondo San Geronimo, «dovete dare per forza al Cesare la moneta che porta impressa la sua effigie; ma voi consegnate con piacere tutto il vostro essere a Dio, perché è impressa in noi la Sua immagine e non quella del Cesare». Lungo la Sua vita Gesù propone costantemente la questione dell’elezione. Siamo noi che siamo chiamati a scegliere, e le opzioni sono chiare: vivere secondo i valori di questo mondo, o vivere d’accordo ai valori del Vangelo.

E’ sempre tempo di scelta, tempo di conversione, tempo per tornare a risistemare la nostra vita nella dinamica di Dio. Sarà la preghiera e specialmente quella fatta con la Parola di Dio, quella che ci vada scoprendo ciò che Dio vuole da noi. Chi sa scegliere Dio si converte in dimora di Dio, giacché «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). E’ la preghiera che si trasforma in una autentica scuola, dove, come afferma Tertulliano, «Cristo va insegnandoci qual’è la volontà del Padre che Lui realizzava nel mondo e quale deve essere la condotta dell’uomo affinché sia conforme a questo stesso progetto». Sappiamo scegliere, perciò, quello che ci conviene!
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06/06/2018 06:27
 
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Non è Dio dei morti, ma dei viventi!»

Pbro. D. Federico Elías ALCAMÁN Riffo
(Puchuncaví - Valparaíso, Cile)


Oggi, la Santa Chiesa sottopone alla nostra considerazione –per mezzo della parola di Cristo- la realtà della risurrezione e le proprietà dei corpi risuscitati. Infatti, il Vangelo ci narra l’incontro di Gesù con i sadducei, che –per mezzo di un caso ipotetico subdolo- Gli presentano una difficoltà circa la risurrezione dei morti, verità in cui essi non credevano.

Gli dicono che, se una donna sette volte vedova, «Di quale di loro [dei sette mariti] sarà moglie?» (Mc 12,23). Cercano, così, di ridicolizzare la dottrina di Gesù. Ma il Signore disfa questa difficoltà all’esporre che «Quando risusciteranno dai morti, infatti, non prenderanno moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli.» (Mc 12,26-27).

E, vista l’occasione, Nostro Signore approfitta la circostanza per affermare la realtà della risurrezione, citando quello che disse Dio a Mosè nell’episodio del rovo: «Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isaac e il Dio di Giacobbe» e aggiunge «Non è Dio dei morti, ma dei viventi» (Mc 12,26-27) Lì Gesù li rimprovera per l’equivoco in cui si trovano, perché non capiscono ne le Scritture ne il potere di Dio; non solo ma questa verità era già stata rivelata nell’Antico Testamento: così lo insegnarono Isaia, la madre dei Maccabei, Giobbe ed altri.

Sant’Agostino descriveva così la vita di eterna e amorosa comunione: «Lì non soffrirai limiti ne angustie perché avrai tutto, e tuo fratello anche lui avrà tutto; perché voi due, tu e lui, sarete una sola cosa e questa unicità possederà pure Colui che possederà ambidue».

Noialtri lungi dal dubitare delle Sacre Scritture e del potere misericordioso di Dio, aderiti, con tutta la mente ed il cuore a questa verità che infonde speranza, ci rallegriamo al non vedere frustrata la nostra sete di vita, piena ed eterna, la quale ci viene rassicurata nello stesso Dio, nella Sua gloria e felicità. Davanti a questo invito divino, non ci resta che accrescere il nostro desiderio di vedere Dio, il desiderio di trovarci per sempre regnando accanto a Lui.
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07/06/2018 10:08
 
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«Non c’è altro comandamento più grande di questi»

P. Rodolf PUIGDOLLERS i Noblom SchP
(La Roca del Vallès, Barcelona, Spagna)


Oggi, un maestro della Legge domanda a Gesù: «Qual’è il primo di tutti i comandamenti?» (Mc 12,28). La domanda è insidiosa. In primo luogo perché cerca di stabilire una gerarchia tra i vari comandamenti; e, in secondo luogo, perché la sua domanda si limita alla Legge. E’ normale, si tratta di una domanda di un maestro della Legge.

La risposta del Signore smonta la spiritualità di quel «maestro della Legge». Ogni atteggiamento di un discepolo di Gesù riguardo a Dio si sintetizza in un doppio punto: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore» e «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Mc 12,31). Il comportamento religioso viene definito nella sua relazione verso Dio e verso il prossimo, e il comportamento umano viene stabilito nella sua relazione con gli altri e verso Dio. In altre parole, dice Sant’Agostino: «Ama e fa quello che vuoi». Ama Dio e ama gli altri, e, tutto il resto sarà conseguenza di questo amore integrale.

Il maestro della Legge lo capisce perfettamente e indica che amare Dio con tutto il cuore e amare gli altri come sé stessi «Vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici» (Mc 12,33). Dio sta aspettando la risposta di ogni persona, la donazione totale «con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutta la tua forza» (Mc 12,30) a Lui che è la Verità e la Bontà ed e il donarsi generosamente agli altri. I «sacrifici e le offerte» hanno senso solo nella misura in cui siano espressione vera di questo doppio amore. E pensare che a volte usiamo i “piccoli comandamenti” ed “i sacrifici e le offerte” come una pietra per criticare o ferire il prossimo!

Gesù commenta la risposta del maestro della Legge con un «Non sei lontano dal regno di Dio» (Mc12,34). Per Gesù, nessuno, che ami il suo prossimo al di sopra di tutto, è lontano dal regno di
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08/06/2018 07:44
 
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Uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco»

P. Raimondo M. SORGIA Mannai OP
(San Domenico di Fiesole, Florencia, Italia)


Oggi, ci viene offerto davanti agli occhi corporali –o meglio ancora davanti agli “occhi interiori”, illuminati dalla fede- l’immagine di Cristo, che, appena morto sulla Croce, ebbe il fianco aperto da una lancia scagliata dal centurione. «Subito ne uscì sangue ed acqua» (Gv 19,34). Spettacolo angosciante e allo stesso tempo, eloquentissimo! Non esiste nessuna possibilità per sostenere la tesi di qualcuno che afferma trattarsi di una morte apparente: Gesù è certamente morto, al cento per cento. Non solo, quell’ “acqua” misteriosa, che non uscirebbe da un corpo sano, normale, ci indica, secondo la medicina moderna, che la morte di Cristo avvenne a causa di un infarto o, come dicevano alcuni antenati, Gesù ebbe il cuore spaccato. Solamente in questo caso avviene la separazione del siero dai globuli rossi. Questo spiega quell’anomalo “sangue ed acqua”.

Quindi, Cristo è morto davvero, ed è morto sia a causa dei nostri peccati, sia per il Suo più ardente e principale desiderio: poter cancellare i nostri peccati. «Con la mia morte, ho vinto la morte ed ho innalzato l’uomo alla sublimità del cielo» (Melitón de Sardis). Dio, che ha sostenuto la promessa di risuscitare Suo Figlio, sosterrà anche la seconda promessa: risusciterà anche noi e ci innalzerà alla propria destra. Mette, però, una condizione minima: credere in Lui e lasciarci salvare da Lui. Dio non impone a nessuno il Suo amore a scapito della libertà umana.

Infine, su quell’Uomo che ha sofferto il colpo di lancia nel Suo cuore, «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37), ce lo conferma pure l’Apocalissi: «Ecco, viene con le nubi ed ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero» (Ap 1,7). Questa è una sacra esigenza della giustizia divina: dopo tutto, anche quelli che Lo hanno ostinatamente rifiutato dovranno riconoscerLo.. Anzi, il tiranno che si venera, l’assassino spietato, il superbo ateo..., tutti senza eccezione, si vedranno forzati ad inginocchiarsi davanti a Lui, riconoscendoLo quale vero, unico Dio. Non sarà meglio, allora, esserGli amici fin d’ora?
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09/06/2018 06:22
 
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Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore»

Rev. D. Jordi PASCUAL i Bancells
(Salt, Girona, Spagna)


Oggi, celebriamo la festa del Cuore Immacolato di Maria. Un cuore senza macchia, pieno di Dio, totalmente disposto ad ascoltarLo e ad ubbidirGli. Il cuore, nel linguaggio della Bibbia, si riferisce alla parte più profonda della persona da dove derivano tutti i suoi pensieri, parole ed opere. Che cosa emana dal cuore di Maria? Fede, obbedienza, tenerezza, disponibilità, spirito di servizio, fortezza, umiltà, semplicità, gratitudine, e tutta una scia interminabile di virtù.

Perché? La risposta la troviamo nelle parole di Gesù: «Dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21). Il tesoro di Maria è suo Figlio, e in Lui tiene riposto tutto il Suo cuore; i pensieri, le parole e le opere di Maria hanno come origine e fine contemplare e aggradare al Signore.

Il Vangelo di oggi ci offre una buona prova di ciò. Dopo averci narrato la scena di Gesù adolescente smarrito e ritrovato nel tempio, ci dice che «Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (Lc 2,51). San Gregorio di Nissa commenta: «Dio si lascia contemplare da quelli che hanno il cuore purificato». Cosa serba Maria nel Suo cuore? Dall'incarnazione fino all’Ascensione di Gesù al Cielo, passando per le ore amare del Calvario, sono tanti e tanti i ricordi meditati e approfonditi: l’allegria della visita dell’angelo Gabriele che Le manifesta il piano di Dio per Lei, il primo bacio ed il primo abbraccio a Gesù appena nato, i primi passi di suo Figlio sulla terra, vedere come cresceva in sapienza ed in grazia, la sua “complicità” alle nozze di Cana, gli insegnamenti di Gesù nella Sua predicazione, il dolore salvifico della Croce, la speranza nel trionfo della Risurrezione...

Chiediamo a Dio di avere la gioia di amarLo ogni giorno in modo sempre più perfetto, di tutto cuore, come bravi figli della Vergine Maria.
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10/06/2018 08:28
 
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Chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non avrà perdono in eterno»

Rev. D. Vicenç GUINOT i Gómez
(Sant Feliu de Llobregat, Spagna)


Oggi, leggendo il Vangelo del giorno, non finiamo di stupirci –“È allucinante” come si direbbe in gergo popolare-, «Gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme», vedono la compassione di Gesù verso la gente ed il Suo potere con cui favorisce gli oppressi, e, nonostante tutto, Gli dicono che «Costui è posseduto da Belzebu e scaccia i demoni per mezzo del capo dei demoni» (Mc 3,22). Realmente si rimane sorpresi vedendo fino a che punto può arrivare la cecità e la malizia umana e in questo caso, da persone dotte. Hanno davanti a loro la Bontà personificata, Gesù, l’umile di cuore, l’unico Innocente, e non se ne accorgono. Si suppone che loro sono gli esperti, quelli che conoscono le cose di Dio per aiutare il popolo e, invece non solo non Lo riconoscono, ma addirittura Lo accusano di diabolico.

Con questo panorama, verrebbe voglia di voltargli le spalle dicendo: «Addio per sempre!». Ma il Signore sopporta con pazienza questo giudizio temerario nei Suoi riguardi. Come ha affermato Giovanni Paolo II, Lui «è un testimone insuperabile di amore paziente e di umile mansuetudine». La Sua condiscendenza senza limiti Lo muove, perfino, a cercare di scuotere i loro cuori per mezzo di parabole e di argomenti ragionevoli. Sebbene, alla fine, nota, con la Sua autorità divina, che questa cecità di cuore è una ribellione contro lo Spirito Santo e che non troverà perdono (cf. Mc 3,39). E non perché Iddio non voglia perdonare, ma perchè, per essere perdonati, bisogna riconoscere prima il proprio peccato.

Come annunciò il Maestro, è lunga la lista dei discepoli che anche hanno sofferto l’incomprensione quando agivano con le migliori intenzioni. Pensiamo, per esempio, a santa Teresa di Gesù, quando cercava di avviare ad una maggior perfezione le sue suore.

Non ci meravigliamo, perciò, se, nella nostra vita, si presentano queste contraddizioni. E’ un indizio che stiamo sulla buona strada. Preghiamo per queste persone e chiediamo al Signore che ci dia pazienza.
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11/06/2018 08:45
 
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Beati i poveri in spirito»

Rev. D. Àngel CALDAS i Bosch
(Salt, Girona, Spagna)


Oggi, con la proclamazione delle Beatitudini, Gesù ci fa notare che spesso siamo degli smemorati e agiamo come bambini, perché il gioco ci fa perdere il ricordo. Gesù temeva che l’abbondanza di “buone notizie” che ci ha comunicato –cioè parole, gesti e silenzi– si diluisse nei nostri peccati e preoccupazioni. Ricordate, nella parabola del seminatore, l’immagine del chicco di grano soffocato dalle spine? Per questo san Matteo ci riporta le Beatitudini come dei principi fondamentali, per non farcele dimenticare mai. Sono un compendio della Nuova Legge presentata da Gesù, come dei punti base che ci aiutano a vivere cristianamente.

Le Beatitudini sono destinate a tutti. Il Maestro non insegna solo ai discepoli che lo circondano, non esclude nessun gruppo di persone, ma presenta un messaggio universale. Certamente puntualizza sulle disposizioni che dobbiamo avere e sulla condotta morale che ci chiede. Anche se la salvezza definitiva non esiste in questo mondo ma nell’altro, mentre viviamo nella terra dobbiamo cambiare la mentalità e trasformare la nostra valutazione delle cose. Dobbiamo abituarci a vedere il volto di Cristo che piange in quelli che piangono, in coloro che vogliono vivere staccati dalle cose a parole e nei fatti, nei miti di cuore, in coloro che fomentano aneli di santità, in coloro che hanno preso una “determinata determinazione”, come diceva santa Teresa d’Avila di essere seminatori di pace e gioia.

Le Beatitudini sono il profumo del Signore che partecipa alla storia umana. Anche nella tua e nella mia. I due ultimi versetti includono la presenza della Croce, dal momento che invitano alla gioia quando le cose diventano difficili dal punto di vista umano a causa di Gesù e del Vangelo. È evidente che quando la coerenza della vita cristiana sia solida e convinta, allora più facilmente verrà la persecuzione sotto mille forme, tra difficoltà e contrarietà inaspettate. Il testo di san Matteo è chiaro: allora «rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. » (Mt 5,12).
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12/06/2018 06:02
 
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Voi siete il sale della terra (...)Voi siete la luce del mondo»

Rev. D. Francesc PERARNAU i Cañellas
(Girona, Spagna)


Oggi, San Matteo ci ricorda quelle parole con le quali Gesù parla della missione dei cristiani: essere sale e luce del mondo. Il sale, da una parte, è quel condimento necessario che da sapore ai cibi: senza sale, le vivande sono insipide! D’altra parte, per molti secoli, il sale è stato l’elemento fondamentale per la conservazione degli alimenti, per la sua capacità di evitare la decomposizione. Gesù ci dice: Dovete essere sale nel vostro mondo, e come il sale dar gusto onde evitare la corruzione.

Ai nostri tempi, molti hanno perso il senso della loro vita e dicono che non ne vale la pena; che è piena di dispiaceri, di difficoltà e di sofferenze; che passa troppo in fretta e che ha come prospettiva finale –assai triste- la morte.

«Voi siete il sale della terra» (Mt 5,13). Il cristiano deve metterci il sapore: mostrare con la gioia e l’ottimismo sereno, di chi sa di essere figlio di Dio, che, in questa vita tutto è un cammino di santità; che le difficoltà, le sofferenze e i dolori aiutano a purificarci; e che poi ci aspetta la vita della Gloria, la felicità eterna.

E, anche come il sale, il discepolo di Cristo deve preservare dalla corruzione: dove c’è un cristiano di fede viva, non vi può esserci ingiustizia, violenza, abusi verso i più deboli... Anzi deve risplendere la virtù della carità con pieno vigore: l’interesse per gli altri, la solidarietà, la generosità...

E, così, il cristiano diventa luce del mondo (cf.Mt 5,14). Il cristiano è quella fiaccola che, con l’esempio della sua vita, porta la luce della verità fino all’ultimo angolo della terra, segnalando il cammino della salvezza... Là, dove prima c’erano solamente tenebre, incertezze e dubbi, nasce la luce, la certezza e la fiducia assoluta.
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