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Serbava queste cose, meditandole... (Lc.2,19)

Ultimo Aggiornamento: 27/04/2024 08:16
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15/08/2019 08:08
 
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L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore»

Dom Josep ALEGRE Abate di Santa Mª de Poblet
(Tarragona, Spagna)

Oggi celebriamo la solennità dell’Ascensione di Santa Maria al cielo in corpo ed anima. «Oggi —dice San Bernardo— ascende al cielo la Vergine piena di gloria, colmando di felicità la comunità celestiale». E aggiungerà queste bellissime parole «Che regalo così bello invia oggi la nostra terra al cielo! Con questo meraviglioso gesto di amicizia —che è dare e ricevere— si amalgamano l’umano e il divino, il terrenale e il celestiale, l’umile e il sublime. Il frutto più maturo della terra è lì, dal quale procedono i migliori regali e i doni di maggior valore. Elevata nell’alto dei cieli, la Vergine Santa prodigherà i suoi doni all’umanità».

Il primo dono che ti elargisce è la Parola, che Lei seppe custodire con tanta fedeltà nel cuore, che fece fruttificare dal suo profondo e accogliente silenzio. Con questa Parola nel suo spazio interiore, generando la Vita per gli uomini, nel suo ventre, «si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta» (Lc 1,39-40). La presenza di Maria sparge l’allegria «Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo» (Lc 1,44).

Soprattutto, ci regala il dono della sua lode, la sua stessa allegria fatta canto, il suo Magnificat: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore...» (Lc 1,46-47). Che regalo così bello ci restituisce oggi il cielo, con il canto di Maria, fatto parola di Dio! In questo cantico troviamo gli indizi per imparare come si uniscono l’umano e il divino, il terrenale e il celestiale, e possiamo perfino giungere a rispondere come Lei al regalo che ci fa Dio in suo Figlio, attraverso la Sua Santa Madre: per essere un regalo di Dio per il mondo, e domani un regalo della nostra umanità a Dio, seguendo l’esempio di Maria, che ci precede nella glorificazione a cui siamo destinati.
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17/08/2019 07:05
 
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«Furono portati a Gesù dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li rimproverarono»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)

Oggi, ci si propone di contemplare una scena che, sfortunatamente, è troppo attuale: «Allora gli furono portati dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li sgridavano» (Mt 19,13). Gesù ama i bambini in un modo speciale; noi, con i soliti poveri ragionamenti da “gente adulta”, impediamo loro di avvicinarsi a Gesù e al Padre: —Quando siano maggiorenni, se lo desiderano, sceglieranno loro...! Questo è un grave errore.

I poveri, cioè, quelli che soffrono di più le privazioni, i più bisognosi, sono motivo di particolare predilezione da parte del Signore. Ed i bambini, i piccoli sono molto “poveri”. Sono poveri d'età, sono poveri di formazione... Sono indifesi. Perciò la Chiesa —“Madre” di tutti noi— stabilisce che i genitori portino quanto prima i loro figli a battezzare, perché lo Spirito Santo abiti nelle loro anime ed entrino nel calore della comunità dei credenti. Così lo segnalano sia il Catechismo della Chiesa che il Codice di Diritto Canonico, che sono leggi della massima gerarchia della Chiesa (che, come ogni comunità, deve avere le proprie leggi).

Ma no!: quando siano maggiorenni! È assurda questa forma di procedere. E, se no, domandiamoci: —Che cosa mangerà questo bambino? Ciò che gli darà sua madre, senza aspettare che il bambino specifichi che cosa preferisca. —Che lingua parlerà il bambino? Quella che parlano i suoi genitori (diversamente il bambino non potrà mai sceglierne una). —A quale scuola andrà questo bambino? A quella dove i suoi genitori lo porteranno, senza attendere che il piccolo determini gli studi di sua preferenza...

—Che cosa mangiava Gesù? Quello che sua Madre Maria gli preparava. —Che lingua parlò Gesù? Quella dei suoi genitori. —Quale religione imparò e praticò Gesù Bambino? Quella dei suoi genitori, la religione israelita. Dopo, quando crebbe, ma grazie alla formazione che aveva ricevuto dai suoi genitori, fondò una nuova religione... Ma, prima, quella dei suoi genitori, com'è naturale.
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18/08/2019 10:27
 
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Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra?»

Rev. D. Isidre SALUDES i Rebull
(Alforja, Tarragona, Spagna)

Oggi, -dalle labbra di Gesù- ascoltiamo delle dichiarazioni scioccanti: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra» (Lc 12,49), «Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione» (Luca 12:51). Perché la verità crea divisione verso la bugia, la carità verso l’egoismo, la giustizia verso l'ingiustizia ...

Nel mondo -e in noi- c’è mescolanza di bene e di male, e dobbiamo prendere parte, scegliere, essendo consapevoli del fatto che la fedeltà è “scomoda”. Sembra più facile di temporeggiare, ma, allo stesso tempo, è meno evangelico.

Siamo tentati di fare un "vangelo" ed un"Gesù" a misura nostra, secondo i nostri gusti e passioni. Dobbiamo convincerci che la vita cristiana non può essere una mera routine, "arrangiarsi" senza un impegno costante per migliorare e cercare la perfezione. Benedetto XVI ha affermato che «Gesù Cristo non è una semplice convinzione privata o una dottrina astratta, ma una persona reale il cui ingresso nella storia è capace di rinnovare la vita di tutti».

Il supremo modello è Gesù (dobbiamo “avere lo sguardo fisso su di lui”, soprattutto nelle difficoltà e persecuzioni). Egli ha accettato di buon grado il supplizio della Croce per riparare la nostra libertà e recuperare la nostra felicità: «La libertà di Dio e la libertà dell'uomo si sono definitivamente incontrate nella sua carne crocifissa» (Benedetto XVI). Se ricordiamo Gesù, non ci lasceremo abbattere. Il suo sacrificio è l'opposto alla tiepidezza spirituale nella quale spesso noi ci accontentiamo.

La fedeltà esige di coraggio e di lotta ascetica. Il peccato e il male ci tentano continuamente: perciò s’impone il combattimento, lo sforzo coraggioso, la partecipazione alla Passione di Cristo. L'odio al peccato non è dunque pacifico. Il regno dei cieli richiede sforzo, lotta e la violenza su di noi stessi, e coloro che fanno questo sforzo sono quelli che lo conquistano (cfr Mt 11,12).
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18/08/2019 12:18
 
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PAROLA DEL GIORNO



Domenica 18 agosto


Quando ci siamo incartati?
Quando abbiamo perso la bussola?
Quando è accaduto che, seduti sulle nostre piccole certezze acquisite, abbiamo abbassato la guardia così che l’ombra ha prevalso sulla luce e si è unita alle ombre della altre persone fino a diventare un drago che guardiamo indifferenti, affatto spaventati o consapevoli, come se fosse un cagnolino da compagnia?
È così da sempre, direte.
Forse è vero, forse la fragilità che portiamo nel cuore è la radice di ogni male.
Ed è inutile illudersi di combatterlo, quel male, solo con le nostre forze.
Abbiamo bisogno di un Salvatore, oggi più che mai.
Perché, sprofondati nel quotidiano, ci stiamo abituando al Male.
A quello che si manifesta con la violenza, la rabbia, la prevaricazione, la delinquenza.
E quello ancora più pericoloso di chi risponde alla violenza con santa rabbia, santa prevaricazione, santa ferocia, appellandosi alla giustizia, giustificandosi, ammantando di eroismo la bile che finalmente può uscire e avvelenare ogni parola, ogni giudizio.
Stiamo giocando col fuoco, tanto.
E i nodi vengono al pettine.
Dio non è più la via che ci porta alla verità, per donarci la vita.
Poco più di un riferimento ancestrale, brandito per sostenere le diverse posizioni.
Rabbia che deborda, che acceca, che imbarbarisce.
Finalmente possiamo essere cattivi senza sentirci in colpa.
Anche nella Chiesa.

Opinioni (legittime) che diventano divisive, esclusive.
Il Papa di prima contro quello di adesso. Quelli che sanno cosa sia davvero il cristianesimo. Chi rilascia patentini di cattolicità. Quelli che confondono la leggiadra ironia con la blasfemia (ora e sempre forza Gioba!). Che tristi i cristiani tristi!
Quelli che augurano ai migranti di annegare nel Mediterraneo e vanno tranquilli a fare la comunione, come se fosse accettabile per un discepolo un pensiero del genere.
Non ci siamo, no.
Siamo sprofondati nel fango, come Geremia.
Ma quel fango l’abbiamo creato noi, prosciugando la sorgente d’acqua viva che è Cristo.

Nato vicino a Gerusalemme, appassionato di Dio e del suo popolo, Geremia passerà la sua vita a convincere il re di Giuda e la popolazione di Gerusalemme a non opporsi alla nascente potenza di Babilonia.
Soffre duramente di questa situazione, l’inquieto profeta, che vorrebbe annunciare pace e deve redarguire, che vorrebbe profetare il bene e vede la tragedia avvicinarsi. Purtroppo le previsioni di Geremia si avvereranno; Gerusalemme cadrà sotto il re Nabucodonosor e oltre ottomila capifamiglia saranno deportati in Babilonia.
Essere discepoli porta ad amare teneramente le persone destinatarie dell’annuncio, essere discepoli significa cercare in sé la verità per poi offrirla agli altri, essere discepoli significa non essere capiti proprio dalle persone che ami.
Anche se sprofondati nel fango, siamo chiamati a gridare sui tetti l’annuncio del Vangelo.
Con la vita.
È vero: esiste una violenza insita nella vita.Ma non è quella che vi raccontano.

L’annuncio del Vangelo è segno di contraddizione, il mondo, così amato dal Padre da dare il Figlio, vive con fastidio l’ingerenza divina e preferisce le tenebre alla luce.
E l’avversario si veste di luce, di ragionevolezza, di buoni propositi.
Di santi propositi.
Anche fra di noi, forte, emerge la tentazione di impugnare la spada, di ergere muri. Atei devoti o cristiani da campagna elettorale alzano i toni, accusano i cristiani (quali?) di essere deboli. Essere buoni è diventato un insulto. Portare un cartello in cui si invita ad amare i nemici, pericoloso. Le suore sono arrestate perché sostengono la politica dell’accoglienza.
Stolti: confondo la civiltà cristiana col Vangelo, la identificano. Insegnano al Papa a fare il Papa.
Vogliono lo scontro.
Come se non fossero proprio i cristiani, quelli veri, quelli che tengono in piedi i nostri oratori, le mense per i poveri, quelli che si fanno carico delle povertà economiche ed esistenziali, quelli che si rimboccano le maniche, quelli che lavorano duramente senza fregare gli altri, a tenere in piedi questa povera Patria.
Sì, il Vangelo porta in sé una carica di violenza e di incomprensione.
Violenza subita, però.
Per amore della verità, per fedeltà al Vangelo.

Gesù lo dice, parlando di sé, immaginando l’evoluzione che avrà il suo messaggio.
Dopo la caduta di Gerusalemme ad opera dei romani e la rovinosa distruzione del Tempio, i seguaci del Nazareno saranno “scomunicati” dai rabbini e questo provocherà una frattura dolorosissima ed insanabile all’interno della neonata comunità giudeo-cristiana.
Ancora oggi molti sperimentano la contraddizione di scoprire in Cristo una nuova famiglia, nuove e durature relazioni con fratelli credenti e, nel contempo, un impoverimento di relazione e una crescente incomprensione con i famigliari di sangue.
Ho visto genitori scagliarsi con ferocia contro le scelte radicali dei propri figli che decidevano di consacrare la propria vita al Regno.
Ma, senza arrivare a questi eccessi, credo che anche a te, amico lettore, sia successo di vedere cambiare atteggiamento nei tuoi confronti in ufficio o a scuola proprio a causa della tua scelta evangelica.
Se davvero siamo discepoli mettiamo in conto qualche contrasto, qualche fatica di troppo: nessuno di noi è più grande del Maestro: se hanno perseguitato lui perseguiteranno anche noi.

Cristo è fuoco.
Fuoco che brucia, che divampa, che illumina, che riscalda, che consuma.
Cristo è fuoco e traspare dalla nostra vita.
Se è dal fuoco che si misura il discepolato, i pompieri della fede possono stare tranquilli. Purtroppo.
Lasciamolo divampare.
Incendiamo il mondo.
D’amore.


Paolo Curtaz


Buona e Santa Domenica
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19/08/2019 16:21
 
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Che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?»

Rev. D. Óscar MAIXÉ i Altés
(Roma, Italia)

Oggi, la liturgia della Parola mette davanti alla nostra considerazione il famoso passaggio del ‘giovane ricco´, di quel giovane che non seppe rispondere davanti allo sguardo d’amore che Cristo gli rivolse (cf Mc 10,21). San Giovanni Paolo II ci ricorda che in quel giovane possiamo riconoscere ogni uomo che si avvicina a Cristo e gli domanda sul senso della sua propria vita: «Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?» (Mt 19,16). Il Papa commenta che l’interlocutore di Gesù intuisce che c’è un nesso tra il bene morale e la piena realizzazione del proprio destino».

Anche oggi quante persone si rivolgono questa domanda! Se ci guardiamo attorno, possiamo, forse, pensare che sono poche le persone che vedono `più in là´, oppure che l’uomo del secolo XXI, non avverte il bisogno di rivolgersi questo tipo di domande, giacchè le risposte pensa che non gli servono.

Gesù gli risponde: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti...» (Mt 19,17). Rivolgersi domande sull’aldilà non è solo legittimo, ma... è necessario farlo! Il giovane che Gli ha chiesto che cosa deve fare per ottenere la vita eterna, Cristo gli risponde che deve essere buono.

Oggi giorno per alcuni o per molti –poco importa– può sembrare impossibile l’ ”essere buono”... Oppure può sembrare a loro un qualcosa che non ha senso, una sciocchezza! Oggi, come più di venti secoli fa, Cristo continua a ricordarci che per entrare nella vita eterna, è necessario rispettare i comandamenti della legge di Dio: non si tratta di un “ottimo”, ma che è il cammino necessario affinché l’uomo sia simile a Dio e possa così entrare nella vita eterna della mano di Padre-Dio. Infatti «Gesù mostra che i comandamenti non devono essere intesi come un limite che non bisogna oltrepassare, ma come un sentiero aperto verso un cammino morale e spirituale di perfezione, il cui impulso interno è l’amore» (San Giovanni Paolo II)
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20/08/2019 09:25
 
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«Difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli (...). Allora, chi può essere salvato?»

Rev. D. Fernando PERALES i Madueño
(Terrassa, Barcelona, Spagna)

Oggi, contempliamo la reazione che ha suscitato fra l’uditorio il dialogo del giovane ricco con Gesù: «Chi si potrà dunque salvare?» (Mt 19,25). Le parole del Signore rivolgendosi al giovane ricco sono manifestamente dure, pretendono sorprendere, risvegilarci dalla nostra sonnolenza. Non si tratta di parole isolate e accidentali nel Vangelo: ripete venti volte questo tipo di messaggio. Lo dobbiamo ricordare: Gesù avverte contro gli ostacoli che comportano le ricchezze, per entrare nella vita...

E tuttavia, Gesù amò e chiamò a uomini ricchi, senza esigere di abbandonare le loro responsabilità. La ricchezza in se stessa non è male, ma l’ origine, se fu acquisita ingiustamente, o la sua destinazione, se si utilizza egoisticamente senza prendere in considerazione i più svantaggiati, se si chiude il cuore ai veri valori spirituali (dove non c’è bisogno di Dio).

«Chi si potrà salvare?». Gesù rispose: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile» (Mt 19,26). —Signore, Tu conosci bene l’abilità degli uomini per attenuare la tua parola—. Devo dirtelo, Signore, aiutami! Converti il mio cuore!

Dopo essersene andato, il giovane ricco, afflitto per l’attaccamento alle sue ricchezze, Pietro prese la parola e disse: —Concedi, Signore alla Tua Chiesa, ai tuoi Discepoli di essere capaci di lasciare tutto per Te.

«Nella nuova creazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria...» (Mt 19,28). Il tuo pensiero si rivolge a quel “giorno”, verso quel futuro, Tu sei un uomo con tendenza verso la fine del mondo, verso la pienezza dell’uomo. In quel tempo, Signore, tutto sarà nuovo, rinnovato e bello.

Gesù Cristo, ci dice: —Voi che avete lasciato tutto per il mio Regno, vi sederò con il Figlio dell’uomo... riceverete il cento per uno di quello che avete lasciato... E sarete eredi della vita eterna... (cf. Mt 19,28-29).

Il futuro che Tu prometti ai tuoi, a quelli che ti hanno seguito rinunciando a tutti gli ostacoli... è un futuro felice, è l’abbondanza della vita, è la pienezza divina.

—Grazie, Signore. Conducimi fino a quel giorno!
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22/08/2019 14:03
 
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Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!»

Rev. D. David AMADO i Fernández
(Barcelona, Spagna)

Oggi, la parabola evangelica ci parla del banchetto del Regno. È una figura usata frequentemente nella predicazione di Gesù. Si tratta della festa di nozze che accadrà alla fine dei tempi e costituirà l'unione di Gesù con la sua Chiesa. Questa è la sposa di Cristo che cammina nel mondo, ma che si unirà alla fine col suo Amato per sempre. Dio Padre ha preparato questa festa e vuole che vi partecipino tutti gli uomini. Perciò dice a tutti: «Venite alle nozze» (Mt 22,4).

La parabola, tuttavia, ha uno sviluppo tragico, «Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari...» (Mt 22,5). Perciò la misericordia di Dio va dirigendosi a persone sempre più lontane. È come un fidanzato che va a sposarsi ed invita i suoi familiari ed amici, ma questi rifiutano di andarci; invita poi conoscenti e compagni di lavoro e vicini di casa, ma interpongono scuse; infine si dirige a chiunque trova per strada, perché ha preparato un banchetto e vuole che ci siano invitati a tavola. Un Qualcosa del genere capita a Dio.

Ma i diversi personaggi che compaiono nella parabola, possono anche essere l'immagine delle condizioni della nostra anima. Per la grazia battesimale siamo amici di Dio e coeredi con Cristo: abbiamo un posto riservato nel banchetto. Se dimentichiamo la nostra condizione di figli, Dio passa a trattarci come conoscenti e continua ad invitarci. Se lasciamo morire in noi la grazia, diventiamo gente della strada, passanti senza importanza nelle cose del Regno. Ma Dio continua a chiamare.

La chiamata può arrivare in qualsiasi momento. È per invito. Nessuno ne ha diritto. È Dio che ci dice: «Venite alle nozze!». E l'invito va accolto con le parole ed i fatti. Perciò quell'invitato venne scacciato: «Come hai potuto entrare qui senz'abito nuziale?» (Mt 22,12).
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23/08/2019 08:44
 
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Amerai il Signore tuo Dio (...). Amerai il tuo prossimo»

Rev. D. Pere CALMELL i Turet
(Barcelona, Spagna)

Oggi, il dottore della legge chiede a Gesù: «qual è il più grande comandamento della legge?» (Mt 22,36), il più importante, il primo. La risposta, invece, parla di un primo comandamento e di un secondo, che «è simile al primo» (Mt 22,39). Due anelli inseparabili che sono una stessa cosa. Inseparabili, ma uno prima e uno secondo, uno d’oro e l’altro d’argento. Il signore ci porta alla profondità della catechesi cristiana, perché «Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,40).

Ecco qui la ragione del classico commento dei due legni della Croce del Signore: quello scavato nella terra è la verticalità, che guarda verso il cielo a Dio. L’altro rappresenta l’orizzontalità, il modo di fare con i nostri simili. Anche in quest’immagine c’è un primo e un secondo. L’orizzontalità sarebbe a livello del suolo se prima non possedessimo un legno diritto verso l’alto, e quanto più vogliamo alzare il livello del nostro servizio agli altri —l’orizzontalità— più elevato dovrà essere il nostro amore a Dio. Altrimenti, è facile che sopravvenga lo scoraggiamento, l’incostanza, l’esigenza delle compensazioni in qualsiasi ordine. Dice San Giovanni della Croce: «Quanto più ama un anima, tanto più perfetta è in quello che ama; così quest’anima, che è già perfetta, tutta lei è amore e tutte le sue azioni sono amore».

Infatti, nei santi già conosciuti possiamo vedere come l’amore a Dio, che loro sanno manifestare in diversi modi, concede loro una grande iniziativa al momento di aiutare il prossimo. Chiediamo oggi alla Madonna che ci colmi col desiderio di sorprendere Nostro Signore con opere e parole di affetto. Così, il nostro cuore sarà capace di scoprire come sorprendere con qualche simpatico dettaglio quelli che vivono e lavorano accanto a noi, e non soltanto nei giorni speciali, che quello lo sa fare chiunque. Sorprendere!: forma pratica di pensare meno in noi stessi.
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24/08/2019 09:02
 
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Vieni e vedi»

Mons. Christoph BOCKAMP Vicario Regionale dell'Opus Dei in Germania
(Bonn, Germania)

Oggi celebriamo la festa di san Bartolomeo apostolo. San Giovanni evangelista racconta il suo primo incontro con il Signore con tanto realismo che ci è facile entrare nella scena. Sono dialoghi di cuori giovani, diretti, franchi… divini!

Gesù incontra Filippo per caso e gli dice «Seguimi!» (Gv 1,43). Poco dopo, Filippo, entusiasta dell’incontro con Gesù, cerca il suo amico Natanaèle per comunicagli che —finalmente— ha trovato colui che Mosè e i profeti aspettavano: «Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret» (Gv 1,45). La risposta che riceve non è entusiasta ma scettica: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?» (Gv 1,46). Quasi dappertutto succede qualcosa di simile. È normale che in ogni città, in ogni paese si pensi che dalla città, dal paese vicino non possa uscire nulla che valga la pena… lì sono quasi tutti degli inetti… e viceversa.

Ma Filippo non si scoraggia. E, siccome sono amici, non dà spiegazioni ma dice: «Vieni e vedi» (Gv 1,46). Va e il suo primo incontro con Gesù è l’inizio della sua vocazione. Quello che apparentemente è una casualità, nei piani di Dio era stato lungamente preparato. Per Gesù, Natanaèle non è uno sconosciuto: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi» (Gv 1,48). Quale albero di fichi? Forse era il luogo preferito da Natanaèle dove soleva recarsi quando voleva riposare, pensare, rimanere da solo… sempre sotto l’amoroso sguardo di Dio. Come tutti gli uomini, in ogni momento. Ma per rendermi conto di questo amore infinito di Dio per ciascuno di noi, per essere cosciente che è alla mia porta e bussa, ho bisogno di una voce esterna, di un amico, un “Filippo” che mi dica: «Vieni e vedi». Qualcuno che mi porti al cammino che san Josemaria descrive così: Cercare Cristo; incontrare Cristo, amare Cristo.
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25/08/2019 09:49
 
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Signore, sono pochi quelli che si salvano?»

Rev. D. Pedro IGLESIAS Martínez
(Rubí, Barcelona, Spagna)

Oggi, il Vangelo ci presenta la questione della salvezza delle anime. Questo è il cuore del messaggio di Cristo e la "legge suprema della Chiesa" (come lo afferma, senza andare oltre, il Codice di Diritto Canonico). La salvezza dell'anima è una realtà dono di Dio, ma per coloro che non hanno ancora varcato i confini della morte è solo una possibilità. Salvarci o condannarci!, cioè accettare o rifiutare l'offerta di amore di Dio per tutta l'eternità.

Sant'Agostino manifestava che «è diventato degno di punizione eterna l'uomo che distrusse il bene che poteva essere eterno». In questa vita ci sono solo due possibilità: o con Dio, o il vuoto, perché senza Dio nulla ha senso. Visto in questo modo, la vita, la morte, la gioia, il dolore, l'amore, ecc. sono privi di concetti logici quando non partecipano dell'essere di Dio. Quando l'uomo pecca, evita lo sguardo del Creatore e centra l'attenzione su di sé. Dio guarda incessantemente con amore il peccatore, e non forzando la sua libertà, aspetta un gesto minimo di volontà di ritorno.

«Signore, sono pochi quelli che si salvano?» (Lc 13,23). Cristo non risponde alla citazione. Restò dunque una domanda senza risposta, e ancora oggi, per «Questo è un mistero, veramente inscrutabile, tra la santità di Dio e la coscienza dell’uomo. Il silenzio della Chiesa è, dunque, l’unica posizione opportuna del cristiano» (Giovanni Paolo II). La Chiesa tace su quelli che abitano l'inferno, ma, sulla base delle parole di Gesù Cristo, sì si pronuncia sulla loro esistenza e il fatto che ci saranno condannati nel giudizio finale. E chi nega questo, sia chierici che laici, senza ulteriori indugi commette eresia.

Siamo liberi di girare gli occhi dell'anima al Salvatore, e siamo anche liberi di essere ostinati nel suo rifiuto. La morte pietrificarà questa opzione per tutta l'eternità ...
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26/08/2019 09:03
 
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Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente»

P. Raimondo M. SORGIA Mannai OP
(San Domenico di Fiesole, Florencia, Italia)

Oggi, il Signore ci vuole illuminare su un concetto elementare in se stesso, però sul quale pochi approfondiscono: guidare verso un disastro non è guidare verso la vita, ma alla morte. Chi insegna a morire o a uccidere gli altri non è un maestro di vita, ma un “assassino”.

Il Signore oggi è —diciamo— di malumore, è giustamente dispiaciuto con le guide che fanno smarrire il prossimo e gli tolgono il piacere di vivere, e finalmente la vita: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi» (Mt 23,15).

C’è gente che si sforza per entrare nel Regno dei Cieli, e togliere questa illusione è una colpa veramente grave. Si sono appropriati delle chiavi dell’ingresso, però per loro rappresentano un “giocattolo”, qualcosa di vistoso per appendere alla cintura e basta. I farisei perseguitano le persone, “vanno alla loro caccia” per portarli alla propria convinzione religiosa; non a quella di Dio, ma alla propria; per convertirli, non in figli di Dio, ma dell’inferno. Il loro orgoglio non eleva al cielo, non conduce alla vita ma alla perdizione. Che grave errore!

«Guide —li chiama Gesù— cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!» (Mt 23,24). È tutto scambiato, sconvolto; il Signore ripetutamente ha cercato di stappare le orecchie e ad aprire gli occhi ai farisei, però dice il profeta Zaccaria: «Ma essi hanno rifiutato di ascoltarmi, mi hanno voltato le spalle, hanno indurito gli orecchi per non sentire» (Za 7,11). Allora, al momento del giudizio, il giudice emetterà una sentenza severa: «Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità» (Mt 7,23). Non è sufficente saperne di più: bisogna sapere la verità ed insegnarla con umile fedeltà. Ricordiamoci del detto di un vero maestro di sapienza, San Tommaso d’Aquino: «Mentre esaltano la loro propria bravura, i superbi avviliscono l’eccellenza della verità!».
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27/08/2019 08:26
 
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Pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi pulito!»

Fr. Austin NORRIS
(Mumbai, India)

Oggi abbiamo l' impressione di "catturare" Gesù in un impeto di rabbia, -qualcuno è riuscito ad infastidirlo. Gesù Cristo è a disagio con la falsa religiosità, le richieste pompose e la pietà egoista. Ha notato un vuoto d' amore, cioè manca «la giustizia, la misericordia e la fedeltà» (Mt 23,23), dopo le azioni superficiali con cui cercano di adempiere la Legge. Gesù incarna queste qualità nella sua persona e ministero. Lui era la giustizia, la misericordia e la fede. Le loro azioni, miracoli, guarigioni e parole trasudavano questi veri fondamenti, che gli derivano dal suo cuore amorevole. Per Gesù Cristo non era una questione di "Legge", piuttosto una questione di cuore ...

Anche nelle parole di punizione si vede in Dio un tocco d' amore, importante per chi vuole tornare alle origini: «Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio» (Mich 6,8). Papa Francesco ha detto: «Un po di pietà rende il mondo meno freddo e più giusto. Abbiamo bisogno di capire questa misericordia di Dio, questo Padre misericordioso che ha tanta pazienza ... Ricordate il profeta Isaia quando dice che, anche se i nostri peccati fossero scarlatto, l'amore di Dio li renderà bianchi come la neve. E 'bello, è la misericordia.

«Pulisci prima l' interno del bicchiere, perché anche l' esterno diventi netto!» (Mt 23,26). Come è vero questo per ciascuno di noi! Sappiamo come la pulizia personale ci fa sentire freschi e vibranti dentro e fuori. Inoltre, in quello spirituale e morale al nostro interno, il nostro spirito, se è pulito e sano brillarà in buone opere e azioni che onorano Dio e lo rendono un vero e proprio tributo (cfr Gv 5,23). Guardiamo il contesto più ampio dell'amore, della giustizia e della fede, e non andiamo persi in minuzie che consumano il nostro tempo, ci fanno diminuire e ci rendono schizzinosi. Tuffiamoci al vasto oceano dell'amore di Dio e non ci accontentiamo con fiumicelli di cattiveria!
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28/08/2019 09:26
 
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Guai a voi, scribi e farisei ipocriti»

+ Rev. D. Lluís ROQUÉ i Roqué
(Manresa, Barcelona, Spagna)

Oggi, come nei giorni scorsi ed in quelli seguenti, vediamo Gesù, fuori di sé, condannando atteggiamenti incompatibili con una vita degna, non solo da cristiani ma per fino da esseri umani: «All’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità» (Mt 23,28). Queste parole vengono a confermare che la sincerità, l’onestà, la lealtà, la nobiltà, sono virtù amate da Dio e, pure, molto apprezzate dagli esseri umani.

Per non cadere, quindi, nell’ipocrisia, devo essere assai sincero. In primo luogo, con Dio perché vuole che sia puro di cuore e che detesti ogni classe di bugia perchè Egli è assolutamente puro, è la Verità assoluta. In secondo luogo, con me stesso, perché non sia proprio io il primo ad essere ingannato all’espormi a peccare contro lo Spirito Santo, non riconoscendo i miei peccati ne manifestandoli con chiarezza nel sacramento della Penitenza, o al non aver sufficiente fiducia in Dio, che non condanna mai a chi fa da figlio prodigo, ne condanna nessuno per il solo fatto di essere peccatore, ma perché no si riconosce come tale. In terzo luogo, poi, con gli altri, perché –come Gesù- a noi tutti, fa rabbia la bugia, l’inganno, la mancanza di sincerità, di onestà, di lealtà, di nobiltà…, e, precisamente per questo, dobbiamo applicarci il principio: «Quello che non vuoi per te, non farlo agli altri».

Questi tre atteggiamenti – che possono essere considerati di buon senso- dobbiamo farli nostri per non cadere nell’ipocrisia e renderci conto che abbiamo bisogno della grazia santificante, a causa del peccato originale provocato dal “padre della bugia”: il demonio. Perciò terremo presente l’esortazione di san Giuseppemaria Scrivà: «Al momento dell'esame sta' in guardia contro il demonio muto»; avremo presente anche Origene, che dice: «Ogni falsa santità resta morta perchè non viene impulsata da Dio», e ci faremo guidare sempre dal principio elementare e semplice proposto da Gesù :«Sia…il vostro parlare:”Sì, sì”; “No, no”» (Mt 5,37).

Maria non spreca parole, ma il suo “Sì” al bene, alla grazia, fu unico e verace; il suo “No” al peccato fu chiaro e sincero
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30/08/2019 07:40
 
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«In verità io vi dico: non vi conosco»

Rev. D. Joan Ant. MATEO i García
(La Fuliola, Lleida, Spagna)

Oggi, Venerdì XXl del tempo ordinario, il Signore ci ricorda nel Vangelo che bisogna essere sempre vigilanti e preparati ad incontrarci con Lui. A mezza notte, in qualunque momento, possono chiamare alla porta ed invitarci ad uscire per ricevere il Signore. La morte non chiede un appuntamento previo. Veramente, «non conoscete né il giorno né l'ora» (Mt 25,13).

Vigilare non significa vivere con paura ed angoscia. Significa vivere in un modo responsabile la nostra vita di figli di Dio, la nostra vita di fede, speranza e carità. Il Signore aspetta continuamente la nostra risposta di fede ed amore, costanti e pazienti, tra le occupazioni e preoccupazioni che vanno tessendo il nostro vivere.

E questa risposta solamente la possiamo dare noi, tu ed io. Nessuno può farlo in nostra vece. Questo è ciò che significa il negarsi delle vergini prudenti a cedere parte del loro olio per le lampade spente delle vergini stolte: «andate piuttosto dai venditori e compratevene» (Mt 25,9). Così la nostra risposta a Dio è personale ed intrasferibile.

Non aspettiamo un “domani” —che forse non verrà— per accendere la lampada del nostro amore per lo Sposo. Carpe diem! Bisogna vivere in ogni istante della nostra vita tutta la passione che un cristiano deve sentire per il suo Signore. È una frase conosciuta, ma che vale la pena ricordarla nuovamente: «Vivi ogni giorno della tua vita come se fosse il primo della tua esistenza, come se fosse l'unico giorno di cui disponiamo, come se fosse l'ultimo giorno della nostra vita». Un richiamo realista alla necessaria e ragionevole conversione che dobbiamo portare a buon fine.

Che Dio ci conceda la grazia nella sua grande misericordia di non sentire nell´ora suprema: «In verità vi dico: non vi conosco» (Mt 25,12), vuol dire, «non avete avuto nessun rapporto né tratto con me». Trattiamo il Signore in questa vita in modo tale da essere conosciuti ed amici suoi nel tempo e nell'eternità.
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01/09/2019 07:08
 
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Sceglievano i primi posti»

Rev. D. Enric PRAT i Jordana
(Sort, Lleida, Spagna)

Oggi, Gesù ci dà una masterclass: non cercate il primo posto: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto» (Lc 14,8). Gesù sa che ci piace essere al primo luogo: in occasione di eventi pubblici, nelle riunioni, a casa, a tavola ... Egli conosce la nostra tendenza a sopravvalutarci nella vanità o, peggio ancora, per un malcelato orgoglio. Cerchiamo di essere prevenuti con le lode! E che «il cuore resta incatenato lì dove trova possibilità di fruizione» ( san Leone Magno ).

Chi ci ha detto, infatti, che non ci sono colleghi più meritevoli o con più categoria personale? Non si tratta, quindi, del fatto sporadico, ma dell' atteggiamento di tenerci per i più intelligenti, i più importanti, quelli con più meriti, quelli che abbiamo più ragione. Una affermazione che è una visione ristretta di noi stessi e di ciò che è intorno a noi. Infatti, Gesù ci invita a praticare l' umiltà perfetta, che consiste nel non giudicarci ne giudicare gli altri, e diventare consapevoli della nostra insignificanza individuale nel concerto globale del cosmo e della vita.

Allora, il Signore, ci propone che per precauzione, scegliamo l' ultimo posto perché, sebbene sconosciamo l' intima realtà degli altri, sappiamo bene che siamo irrilevanti nel grande spettacolo dell' universo. Pertanto, situarci all' ultimo posto è andare sul sicuro. Non succedesse che, conoscendo il Signore tutti noi dalle nostre intimità, ci dovesse dire: «Cedigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ ultimo posto» ( Lc 14,9).

Nella stessa linea di pensiero, il Maestro ci invita a unirci umilmente accanto i favoriti di Dio: poveri, storpi, zoppi e ciechi, e ad essere uguali con loro fino a trovarci in mezzo a uomini che Dio ama con speciale tenerezza, e superare ogni disgusto e vergogna per condividere tavolo ed amicizia con loro.
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02/09/2019 08:17
 
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Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi»

Rev. D. David AMADO i Fernández
(Barcelona, Spagna)

Oggi, «si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Lc 4,21). Con queste parole, Gesù commenta nella sinagoga di Nazareth un testo del profeta Isaia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me;» (Lc 4,18). Queste parole hanno un significato specifico al di là del momento storico in cui sono state pronunciate. Lo Spirito Santo abita in pienezza in Gesù Cristo, ed è Lui chi lo manda i credenti.

Ma anche, tutte le parole del Vangelo hanno un’eterna attualità. Esse sono eterne perché sono state pronunciate dall’Eterno, e sono attuali perché Dio fa che si compiano in tutti tempi. Quando ascoltiamo la Parola di Dio, dobbiamo riceverla non come un discorso umano, ma come una parola che ha un potere di trasformazione in noi. Dio non parla alle nostre orecchie, ma i nostri cuori. Tutto ciò che dice è profondamente pieno di significato e di amore. La Parola di Dio è una fonte inesauribile di vita: «È molto più ciò che ci sfugge di quanto riusciamo a comprendere. Siamo proprio come gli assetati che bevono ad una fonte.» (S. Efrem). Le sue parole vengono dal cuore di Dio. E da quel cuore, il cuore della Trinità, è venuto Gesù –la Parola del Padre- agli uomini.

Così, ogni giorno, quando sentiamo il Vangelo, dobbiamo essere in grado di dire con Maria: «avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38), e Dio ci risponderà: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita». Ora, per che la Parola possa essere efficace in noi dobbiamo scartare ogni pregiudizio. I contemporanei di Gesù con lo capissero, perché solo guardavano con occhi umani: «Non è costui il figlio di Giuseppe?» (Lc 4,22). Hanno visto l'umanità di Cristo, ma non hanno capito la sua divinità. Ogni volta che sentiamo la Parola di Dio, al di là dello stile letterario, della bellezza delle espressioni o l'unicità della situazione, dobbiamo sapere che è Dio che ci parla.
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03/09/2019 07:30
 
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«Erano stupiti del suo insegnamento perché la sua parola aveva autorità»

Rev. D. Joan BLADÉ i Piñol
(Barcelona, Spagna)

Oggi, vediamo come l’insegnamento fu per Gesù la missione centrale della sua vita pubblica. La predica di Gesù però era molto differente a quella degli altri maestri e questo fece sì che la gente si sorprendesse e si ammirasse. Certamente, anche se il Signore non aveva studiato (cf. Gv 7,15), sorprendeva con il suo insegnamento, perché «parlava con autorità» (Lc 4,32). Il suo stile nel parlare aveva l’autorità di chi si sa il “Santo di Dio”.

Precisamente, l’autorità della sua parola era quello che dava forza al suo linguaggio. Utilizzava immagini vive e concrete, senza sillogismi ne definizioni; parole e immagini che estraeva dalla natura stessa quando non dalla Sacra Scrittura. Non c’è dubbio che Gesù era un osservatore, uomo vicino alle situazioni umane: allo stesso tempo che lo vediamo insegnando, lo contempliamo anche vicino alle persone facendo del bene (sia con guarigioni di malattie, sia espellendo demoni, ecc.). Leggeva nel libro della vita di ogni giorno esperienze che dopo le erano utili per insegnare. Anche se questa materia era elementare e rudimentale, la parola del Signore era sempre profonda, turbante, radicalmente nuova, definitiva.

La cosa più grandiosa di Gesù Cristo nell’esprimersi era il concatenare l’autorità divina con la più incredibile semplicità umana. Autorità e semplicità erano possibili in Gesù grazie alla conoscenza che aveva del Padre e alla sua relazione di amorosa obbedienza con Lui (cf. Mt 11,25-27). È questo legame con il Padre ciò che spiega l’armonia unica tra la grandezza e l’umiltà. L’autorità della sua parola non era in consonanza con i criteri umani; non c’era concorrenza, ne interesse personale o desiderio di emergere. Era un’autorità che si manifestava tanto nella sublimità della parola o dell’azione come nell’umiltà e semplicità. Non c’era nelle sue labbra ne lode personale, ne arroganza, ne gridi. Mansuetudine, dolcezza, comprensione, pace, serenità, misericordia, verità, luce, giustizia… furono il profumo che circondava l’autorità dei suoi insegnamenti.
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04/09/2019 09:08
 
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«Imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)

Oggi, ci troviamo di fronte a una chiara controversia: la gente che cerca Gesù e Colui che cura tutte le “malattie” (cominciando dalla suocera di Simon Pietro); e allo stesso tempo «Da molti uscivano demoni gridando» (Lc 4,41). Come dire: pace e bene da una parte; malignità e disperazione dall’altra.

Non è la prima volta che appare il diavolo “uscendo”, per meglio dire, scappando dalla presenza di Dio, tra grida e esclamazioni. Ricordiamoci anche dell’indemoniato di Gerasa (cf. Lc 8,26-39). Sorprende che sia il proprio diavolo che “riconoscendo ” a Gesù, come nel caso di Gerasa, sia lui stesso ad andargli incontro (certamente con rabbia e irritato perché la presenza di Dio perturbava la sua vergognosa tranquillità).

Molte volte anche noi pensiamo che l’incontro con Gesù è un fastidio? ! Ci disturba dover andare a Messa la Domenica; ci irrita pensare che da molto non dedichiamo un tempo alla preghiera; ci vergognamo dei nostri errori, invece di andare dal Dottore della nostra anima e chiedergli semplicemente perdono... Pensiamo se non è il Signore che deve venire al nostro incontro, giacché ci facciamo pregare per lasciare la nostra piccola “grotta” e uscire all’incontro di chi è il Pastore delle nostre vite! Questo si chiama, semplicemente, tiepidezza.

La diagnosi per tutto questo è: atonia, mancanza di tensione nell’anima, angustia, curiosità disordinata, stress, pigrizia spirituale con le cose della fede, pusillanimità, voglia di stare da soli con noi stessi... E c’è anche un antidoto: smettere di guardare se stesso e mettersi al lavoro. Impegnarsi a dedicare un momento ogni giorno per guardare ed ascoltare Gesù (ciò che chiamiamo preghiera): Gesù lo faceva, visto che «Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto» (Lc 4,42). Fare un piccolo sforzo per vincere l’egoismo in una piccola cosa ogni giorno per il bene degli altri (questo si chiama amare). Fare un piccolo–grande accordo con noi stessi, per vivere ogni giorno coerentemente la nostra vita cristiana.
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05/09/2019 11:12
 
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Prendi il largo»

Rev. D. Pedro IGLESIAS Martínez
(Rubí, Barcelona, Spagna)

Oggi ancora ci risulta sorprendente comprovare come quei pescatori furono capaci di lasciare il loro lavoro le loro famiglie e seguire Gesù: «Lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5,11), precisamente quando Egli si manifesta dinnanzi a loro come un collaboratore eccezionale per l’attività che proporziona loro il sostentamento. Se Gesù di Nazareth facesse la proposta a noi, nel nostro secolo XXI..., avremmo il coraggio di quei uomini? Saremmo capaci di intuire quale sia il vero beneficio?

I cristiani crediamo che Gesù è eternamente presente; quindi questo Cristo Risorto ci chiede, non a Pietro a Giovanni o a Giacomo, ma a te, a me e a tutti coloro che lo confessiamo come il Signore, ripeto, ci chiede, partendo dal testo di Luca, di accoglierlo nella barca della nostra vita perché vuol riposare con noi; ci chiede servirsi di noi, che gli permettiamo di indicarci dove orientare la nostra vita per essere fecondi in mezzo ad una società ogni volta più allontanata e bisognosa della Buona Nuova. La proposta è allettante, e solo ci manca volere e saper spogliarci delle nostre paure, dei nostri “chissà cosa diranno” e fissare il corso verso acque più profonde o, in altre parole, verso orizzonti più lontani di quelli che limitano la nostra mediocre quotidianità di ansie e scoraggiamenti. «Colui che inciampa sulla strada, per poco che avanzi, si avvicina al traguardo; colui che corre fuori, quanto più corre, più si allontana» (Cf. San Tommaso d’Aquino).

«Duc in altum»; «Prendi il largo» (Lc 5,4): non stabiliamoci sulle rive di un mondo che vive guardandosi l’ombelico! La nostra navigazione per i mari della vita deve condurci ad attraccare nella terra promessa, fine del nostro percorso in questo Cielo sperato, che è regalo del Padre, pero indivisibilmente, anche lavoro dell’uomo –tuo, mio- al servizio degli altri a nella barca della Chiesa. Cristo conosce bene le zone di pesca, e dipende da noi: o il porto dei nostri egoismi, o verso i suoi orizzonti.
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06/09/2019 09:38
 
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«Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro?»

Rev. D. Frederic RÀFOLS i Vidal
(Barcelona, Spagna)

Oggi, nella nostra riflessione sul Vangelo, vediamo la trappola che tendono i farisei ed i maestri della Legge, quando tergiversano una questione importante: semplicemente, essi contrappongono il digiunare ed il pregare dei discepoli di Giovanni e dei farisei col mangiare e bere dei discepoli di Gesù.

Gesù Cristo ci dice che nella vita c'è un tempo per digiunare e pregare, e che c'è un tempo per mangiare e bere. Vuol dire che: la stessa persona che prega e digiuna è quella che mangia e beve. Lo vediamo nella vita giornaliera: contempliamo la semplice allegria di una famiglia, forse della nostra stessa famiglia. E vediamo che, in un altro momento, la tribolazione visita quella famiglia. I soggetti sono gli stessi, ma ogni cosa a suo tempo: «Potete far digiunare gli invitati a nozze, mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni...» (Lc 5,34).

Tutto ha il suo momento; sotto il cielo c'è un tempo per ogni cosa: «Un tempo per sdrucire e un tempo per cucire» (Qo 3,7). Queste parole dette da un saggio dell'Antico Testamento, non precisamente dei più ottimisti, quasi coincidono con la semplice parabola del vestito rammendato. E sicuramente coincidono in qualche modo con la nostra propria esperienza. L'errore è che quando è tempo di cucire, sdruciamo; e che quando bisogna sdrucire, cuciamo. Ed è allora quando nulla riesce bene.

Noi sappiamo che, come Gesù Cristo, per la passione e morte, arriveremo alla gloria della Risurrezione. E che qualunque altro cammino non è il cammino di Dio. Precisamente, Simone Pietro viene rimproverato quando vuole allontanare il Signore dall'unico cammino: «perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt 16,23). Se possiamo godere di alcuni momenti di pace e di allegria, approfittiamoli. Certamente ci arriveranno momenti di duro digiuno. L'unica differenza è che, per fortuna, sempre avremo lo sposo con noi. Ed era questo che non sapevano i farisei e, forse per ciò, nel Vangelo quasi sempre ci vengono presentati come persone di malumore. Ammirando la dolce ironia del Signore che s'intravvede nel Vangelo di oggi, soprattutto, cerchiamo di non essere persone malumorate.
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08/09/2019 07:30
 
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«Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo»

Rev. D. Joaquim MESEGUER García
(Rubí, Barcelona, Spagna)

Oggi, Gesù ci mostra il luogo per essere occupato dagli altri nella nostra gerarchia dell'amore e ci parla del seguimento che deve caratterizzare la vita cristiana, un percorso che passa attraverso varie fasi e nel quale accompagniamo con la nostra croce Gesù Cristo: «Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo» (Lc 14,27).

Entra Gesù in conflitto con la legge di Dio, che ci comanda di onorare i nostri genitori ed amare il prossimo, quando dice: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Luca 14:26)? Naturalmente no. Gesù ha detto che Egli non è venuto per abolire la Legge, ma per portarla a compimento, perciò dà la giusta interpretazione. Richiedendo un'amore incondizionato proprio da Dio stesso, dichiara che Egli è Dio, che noi dobbiamo amarlo sopra ogni cosa e tutto ordinarlo nel suo amore. Nell'amore di Dio, che ci porta a consegnarci con fiducia a Gesù Cristo, ameremo il prossimo con un amore sincero e giusto. Sant'Agostino dice: «Ecco che ti trascina il desiderio per la verità di Dio e di percipire la sua volontà nelle Scritture Sacre».

La vita cristiana è un viaggio continuo con Gesù. Oggi, molti sono attirati, in teoria, ad essere cristiani, ma in realtà non viaggiano con Gesù, restano nel punto di partenza e nemmeno cominciano il cammino, o abbandonano appena cominciano, o imprendono un altro viaggio con altri compagni. Il bagaglio per camminare in questa vita con Gesù è la croce, ciascuno la sua, ma insieme alla quota di dolore che ci colpisce a noi, seguaci di Cristo, si aggiunge anche la consolazione con la quale Dio conforta i suoi testimoni in qualsiasi classe di prova. Dio è la nostra speranza ed in Egli vi è la sorgente della vita.
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10/09/2019 09:41
 
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Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio»

Fray Lluc TORCAL Monje del Monasterio de Sta. Mª de Poblet
(Santa Maria de Poblet, Tarragona, Spagna)

Oggi, vorrei centrare la nostra riflessione sulle prime parole di questo Vangelo: «In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione» (Lc 6,12). Introduzioni come questa possono passare inosservate nella nostra quotidiana lettura del Vangelo, però –in effetti- sono di massima importanza. In particolare oggi ci viene chiaramente detto che la scelta dei dodici apostoli —decisione centrale per la futura vita della Chiesa— fu preceduta da un’intera notte di preghiera di Gesù, in solitudine, davanti a Dio, suo Padre.

Quale è stata la preghiera del Signore? Da ciò che si evince dalla sua vita, doveva essere una preghiera di piena fiducia al Padre, e di totale abbandono alla sua volontà —«Non cerco la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato» (Gv 5,30)— manifestamente unita alla sua opera salvifica. Solo da questa profonda, lunga e costante preghiera, sostenuta sempre dall’azione dello Spirito Santo che, presente fin dal momento dell’Incarnazione, era disceso su Gesù al momento del suo Battesimo; solo così, dicevamo, il Signore poteva ottenere forza e luce necessaria per continuare la sua missione di obbedienza al Padre per compiere la Sua opera vicaria di salvezza degli uomini. La successiva elezione degli Apostoli che, come ci ricorda San Cirillo di Alessandria, «Cristo stesso afferma di aver dato loro la stessa missione ricevuta dal Padre», ci dimostra come la Chiesa nascente è stato il frutto di questa preghiera di Gesù al Padre nello Spirito e che, quindi, è opera della Santissima Trinità stessa. «Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli» (Lc 6,13).

Il mio augurio è che tutta la nostra vita di cristiani —come discepoli di Cristo— sia sempre immersa nella preghiera e da essa sostenuta.
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12/09/2019 16:38
 
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«Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso»

Rev. D. Jaume AYMAR i Ragolta
(Badalona, Barcelona, Spagna)

Oggi, nel Vangelo, il Signore ci chiede per ben due volte di amare i nemici. E dà poi tre concrezioni positive su questo comando: fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. Si tratta di una direttiva che sembra difficile da raggiungere: come non amare coloro che ci amano? Inoltre, come possiamo amare coloro che conosciamo con certezza che ci vogliono male? Venire ad amare in questo modo è un dono di Dio, ma dobbiamo essere pronti a esso. Certamente, amare i nostri nemici è la cosa umanamente più saggia: il nemico amato sarà disarmato, l'amore può essere la condizione che dia possibilità per non essere più nemico. Allo stesso modo, Gesù continua: «A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l'altra» (Lc 6:29). Potrebbe sembrare eccessiva mansuetudine. Ma, cosa fece Gesù dopo essere schiaffeggiato nella sua passione? Certamente non decise di contrattaccare, ma rispose con fermezza tale, piena di carità, che sicuramente fece riflettere quel servo inbestialito: «Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». ( Gv 18,22-23).

In tutte le religioni esiste una massima d'oro: «Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso». Gesù è l'unico che formula in modo positivo: «Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Lc 6,31). Questa regola d’oro è il fondamento di ogni morale. Commentando questo versetto, San Giovanni Crisostomo ci istruisce: «C'è di più, perché Gesù non ha detto solo: 'Desiderate tutto il bene per gli altri' ma 'fate del bene agli altri'»; Così la massima d'oro proposta da Gesù non può diventare un semplice desiderio, ma deve tradursi in opere.
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16/09/2019 08:32
 
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«Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!»

Fr. John A. SISTARE
(Cumberland, Rhode Island, Stati Uniti)

Oggi, siamo di fronte a una questione interessante. Per quale ragione il centurione del Vangelo non andò personalmente all’incontro di Gesù e, invece, mandò avanti alcune autorità dei Giudei, richiedendo che fossero a salvare il suo servo? Lo stesso centurione risponde per noi nel brano evangelico: Signore, «per questo non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te, ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito» (Lc 7,7).

Quel centurione possedeva la virtù della fede credendo che Gesù potesse fare il miracolo —se così lo avesse voluto— solamente con la sua divina volontà. La fede gli fece credere che, a prescindere da dove Gesù potesse trovarsi, Egli poteva guarire il servo malato. Quel centurione era assolutamente convinto che nessuna distanza poteva impedire o frenare Cristo, se voleva portare a buon termine il suo lavoro di salvezza.

Anche noi a volte, nella nostra vita, siamo chiamati ad avere la stessa fede. Ci sono occasioni in cui possiamo essere tentati a credere che Gesù è lontano e che non ascolta le nostre richieste. Tuttavia, la fede illumina le nostre menti e i nostri cuori, facendoci credere che Gesù è sempre vicino per aiutarci. Infatti, la presenza salvifica di Gesù nell’Eucarestia deve essere il nostro memorandum permanente che Gesù è sempre vicino a noi. Sant’Agostino, con occhi di fede credeva in questa realtà «Ciò che vediamo nel pane e nel calice; è quello che i tuoi occhi vedono. Però ciò che la tua fede ti obbliga ad accettare è che il pane è il Corpo di Cristo e che nel calice c’è il Sangue di Cristo».

La fede illumina le nostre menti per farci vedere la presenza di Gesù in mezzo a noi. E, come quel centurione, diremo. « Signore, non stare a disturbarti, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto» (Lc 7,6). Quindi, se ci umiliamo di fronte a nostro Signore e Salvatore, Lui viene a curarci. Lasciamo quindi che Gesù penetri nel nostro spirito, nella nostra casa, per curare e rafforzare la nostra fede e condurci verso la vita eterna.
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17/09/2019 08:31
 
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Giovinetto, dico a te, alzati!»

+ Rev. D. Joan SERRA i Fontanet
(Barcelona, Spagna)

Oggi, due comitive si trovano. Una comitiva che accompagna la morte e l’altra che accompagna la vita. Una povera vedova, seguita dalla famiglia e dagli amici, portava suo figlio al cimitero e all’improvviso, vede la folla che andava con Gesù. Le due comitive si incrociano e si fermano, e Gesù dice alla madre che andava a seppellire suo figlio: « Non piangere!» (Lc 7,13). Tutti rimangono a guardare Gesù, che non resta indifferente al dolore e alla sofferenza di quella povera madre, ma, al contrario, sente compassione e ridà la vita a suo figlio. È che trovare Gesù è trovare la vita, poiché Gesù disse di se stesso: «Io sono la risurrezione e la vita» (Gv 11,25). San Braulio di Zaragoza scrive: «La speranza della risurrezione deve confortarci, perché ritorneremo a vedere nel cielo quelli che abbiamo perso qui».

Con la lettura del brano del Vangelo che ci parla della risurrezione del giovane di Nain, si potrebbe rimarcare la divinità di Gesù e insistere nella stessa, dicendo che soltanto Dio può ritornare un giovane alla vita; ma oggi preferirei porre in rilievo la sua umanità, per non vedere Gesù come un essere distante, come un personaggio molto diverso da noi, o come qualcuno così importante da non suscitare la fiducia che può ispirarci un buon amico.

I cristiani dobbiamo sapere imitare Gesù. Dobbiamo chiedere a Dio la grazia di essere Cristo per gli altri. ¡Magari se ognuno che ci veda, potesse contemplare un’immagine di Gesù nella terra! Quelli che vedevano San Francesco di Assisi, per esempio, vedevano l’immagine viva di Gesù. Santi sono quelli che portano Gesù nelle proprie parole e opere e imitano il suo modo di attuare e la sua bontà. La nostra società ha bisogno di santi e tu puoi essere uno di loro nel tuo ambiente.
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18/09/2019 07:51
 
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«A chi posso paragonare la gente di questa generazione?»

Rev. D. Xavier SERRA i Permanyer
(Sabadell, Barcelona, Spagna)

Oggi, Gesù constata la durezza di cuore della gente del Suo tempo, almeno dei farisei che si sentivano così sicuri di sè stessi che non c’era chi potesse convertirli. Non si immutano né davanti a Giovanni Battista, «Non mangiava pane né beveva vino» (Lc 7,33), e lo accusavano di essere posseduto da un demonio; né si immutano davanti al Figlio dell’uomo che «mangia e beve», e Lo accusano di “mangione” e “ubriacone” e di essere, inoltre, amico di «pubblicani e di peccatori» (Lc 7,34). Dietro queste accuse occultano il loro orgoglio e la loro superbia: nessuno deve pretendere di voler dar loro lezioni; non accettano Dio ma si attribuiscono arbitrariamente il posto di Dio,ma di un Dio che non li smuova dalle loro comodità, privilegi e interessi.

Anche noi corriamo questo pericolo. Quante volte critichiamo tutto: se la Chiesa dice questo…, perché dice quello…, si dice tutto il contrario…, e la stessa cosa facciamo con Dio e con gli altri. In fondo, in fondo, forse incoscientemente, vogliamo giustificare la nostra pigrizia e l’assenza del desiderio di un’autentica conversione o giustificare la nostra comodità e la nostra mancanza di docilità. Dice san Bernardo: «Che cosa c’è di più logico che non voler vedere le proprie piaghe specialmente se uno le cela per non vederle? Da questo si deduce che, ulteriormente anche se le scopre un altro, quegli ostinatamente dirà che non sono piaghe e lascerà che il suo cuore si abbandoni a parole false.

Dobbiamo permettere che la Parola di Dio arrivi al nostro cuore e ci converta: dobbiamo permettere che ci cambi, che ci trasformi con il Suo potere. Per questo, però, dobbiamo chiedere il dono dell’umiltà. Solo l’umile può accettare Dio, per cui, dobbiamo lasciare che si avvicini a noi, che, come “pubblicani” e “peccatori”, abbiamo bisogno che ci guarisca. Guai a chi crede di non aver bisogno del medico! La cosa peggiore per un ammalato è credere di star bene, perché allora il male si aggraverà e non vi porrà mai rimedio. Tutti siamo ammalati di morte, e solo Cristo può salvarci, ne siamo cosapevoli o no. Ringraziamo il Signore, accogliendolo, com’è, quale nostro Salvatore!
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20/09/2019 08:44
 
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Gesù se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio»

Rev. D. Jordi PASCUAL i Bancells
(Salt, Girona, Spagna)

Oggi, ci fissiamo sul Vangelo in cui si narra quella che potrebbe essere una giornata abituale dei tre anni della vita pubblica di Gesù. San Luca lo narra con poche parole: «Gesù se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio» (Lc 8,1). È ciò che contempliamo nel terzo mistero luminoso del Santo Rosario.

Commentando questo mistero Papa Giovanni Paolo II dice: «Mistero di luce è la predicazione con la quale Gesù annuncia l'avvento del Regno di Dio e invita alla conversione, perdonando i peccati di chi si accosta a Lui con umile fiducia, inizio del ministero di misericordia che Egli continuerà ad esercitare fino alla fine del mondo, specie attraverso il sacramento della Riconciliazione affidato alla sua Chiesa».

Gesù continua a passare vicino a noi offrendoci i suoi beni soprannaturali: quando preghiamo, quando leggiamo e meditiamo il Vangelo per conoscerlo e amarlo di più e imitare la sua vita, quando riceviamo un sacramento, specialmente l’Eucaristia e la Penitenza, quando ci impegnamo con sforzo e costanza nel lavoro quotidiano, quando ci rapportiamo con la famiglia, con gli amici o i vicini, quando aiutiamo una persona bisognosa materialmente o spiritualmente, quando riposiamo o ci divertiamo… In ogni circostanza possiamo incontrare Gesù e seguirlo come quei dodici e le sante donne.

Non solo, ognuno di noi è chiamato da Dio a diventare “Gesù che passa”, per parlare – con le nostre opere e con le nostre parole – a quelli che frequentiamo della fede che riempie il senso della nostra esistenza, della speranza che ci spinge a continuare per i cammini della vita fiduciosi nel Signore e della carità che guida tutto il nostro procedere.

La prima a seguire Gesù e ad “essere Gesù” è Maria. Che Lei ci aiuti con il suo esempio e la sua intercessione!
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21/09/2019 08:34
 
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«Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori»

Rev. D. Joan PUJOL i Balcells
(La Seu d'Urgell, Lleida, Spagna)

Oggi celebriamo la festa dell’apostolo evangelista San Matteo. Lui stesso ci racconta nel suo Vangelo la sua conversione. Era seduto nel posto dove riscuotevano le tasse e Gesù lo invitò a seguirlo. Matteo —dice il Vangelo— «Si alzò e lo seguì» (Mt 9,9). Con Matteo arriva nel gruppo dei dodici, un uomo totalmente diverso dagli altri apostoli, tanto per la sua cultura così come per la sua posizione sociale e ricchezza. Suo padre gli aveva fatto studiare economia per poter fissare il prezzo del grano e del vino, dei pesci che gli avrebbe portato Pietro, Andrea e i figli di Zebedeo e anche il prezzo delle perle preziose di cui parla il Vangelo.

Il suo mestiere di esattore delle tasse era mal visto. Quelli che lo esercitavano erano considerati pubblicani e peccatori. Era al servizio del Re Erode signore di Galilea, un Re odiato dal suo popolo e il nuovo testamento ce lo presenta come un adultero, l’assassino di Giovanni Battista e lo stesso che vilipendiò Gesù il Venerdì Santo. Cosa starebbe pensando Matteo quando andò a render conto al Re Erode? La conversione di Matteo doveva supporre una vera liberazione come lo dimostra il banchetto al quale invitò pubblicani e peccatori. Fu la forma di dimostrare il suo ringraziamento al Maestro per aver potuto uscire da una situazione miserabile e trovare la vera felicità. San Beda il Venerabile, commentando la conversione di Matteo, scrisse: «La conversione di un esattore di tasse dà esempio di penitenza e di indulgenza ad altri esattori di tasse e peccatori (...). Al primo istante della sua conversione attira verso Egli, che è tanto come dire la Salvezza, a un nutrito numero di peccatori».

Nella sua conversione si fa presente la misericordia di Dio come lo manifestano le parole di Gesù davanti alla critica dei farisei: «Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,3).
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22/09/2019 08:59
 
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Non potete servire Dio e la ricchezza»

Rev. D. Joan MARQUÉS i Suriñach
(Vilamarí, Girona, Spagna)

Oggi, il Vangelo ci presenta la figura dell’amministratore infedele, un uomo che ha approfittato il proprio mestiere per rubare il suo padrone. E 'stato un semplice amministratore, ed ha agito come padrone. Dovremmo aver presente questo:

1) I beni materiali sono buoni per se stessi perché provengono dalle mani di Dio. Pertanto, dobbiamo amarle.

2) Ma non possiamo "adorarle", come se fossero Dio e lo scopo della nostra esistenza. Dobbiamo essere staccati da loro. Le ricchezze sono al servizio di Dio e del nostro prossimo, non devono servire a detronizzare Dio nei nostri cuori e nelle nostre azioni: «Non potete servire Dio e la ricchezza» (Lc 16,13).

3) Non siamo i padroni dei beni materiali, ma semplici amministratori, quindi non solo dobbiamo averne cura, ma anche renderli il più produttivi possibile, d’accordo con le nostre possibilità. La parabola dei talenti lo insegna chiaramente (cfr Mt 25,14-30).

4) Non possiamo cadere nella avarizia, dobbiamo praticare la liberalità, che è una virtù cristiana che dobbiamo vivere tutti, ricchi e poveri, ciascuno secondo le proprie circostanze. Dobbiamo dare agli altri!

Che cosa succede se ho abbastanza beni per coprire le mie spese? Sì, uno si deve anche sforzare per cercare di moltiplicarli e dare di più (parrocchia, diocesi, carità, apostolato). Ricorda le parole di S. Ambrogio: «Non è una parte del tuo patrimonio che si dà ai poveri, ciò che si dà già appartiene loro. Perché quello che ci è stato dato per l' uso di tutti, te lo fai tuo. La terra ci è stata donata a tutti, non solo ai ricchi».

Sei un egoista che solo pensa a accumulare beni materiali per te, come l'amministratore del Vangelo, diciendo delle bugie, rubando, praticando la cattiveria e la durezza di cuore, impedendo di essere commosso dalle necessità degli altri? Non pensi spesso alle parole di san Paolo: «Dio ama chi dona con gioia» (2Cor 9,7)? Sia generoso!
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23/09/2019 08:22
 
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Pone [la lampada] su un candelabro, perché chi entra veda la luce»

+ Rev. D. Joaquim FONT i Gassol
(Igualada, Barcelona, Spagna)

Oggi, questo Vangelo così breve, è ricco di tematiche che attirano la nostra attenzione. In primo luogo, “dare luce”: tutto è evidente d’innanzi agli occhi di Dio! Secondo grande tema: le Grazie sono concatenate, la fedeltà a una, attrae le altre: «gratiam pro gratia» (Gv 1,16). Infine , è un linguaggio umano per cose divine e permanenti.

Luce per coloro che entrano nella Chiesa! Da secoli le madri cristiane hanno insegnato nell’intimità, ai loro figli con parole espressive, però soprattutto con la “luce” del loro buon esempio. Hanno insegnato anche con la tipica saggezza popolare e evangelica, raccolta in molti proverbi, pieni di sapienza e di fede allo stesso tempo. Uno di questi è: “illuminare ma non diffuminare”. San Matteo ci dice: «(...) perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5,15-16).

Il nostro esame di coscienza alla fine della giornata è paragonabile al negoziante che controlla l’incasso per vedere il frutto del suo lavoro. Non inizia chiedendosi: -Quanto ho perso?- Al contrario: -Cosa ho guadagnato? E subito dopo –Como potrò guadagnare di più domani, cosa posso fare per migliorare? Il ripasso della nostra giornata finisce con un ringraziamento e, per contrasto, con un amorevole atto di dolore. –Mi spiace non aver amato di più e spero, con ardore, iniziare domani il nuovo giorno per gradire di più a Nostro Signore, che sempre mi vede, mi accompagna e mi ama tanto. –Desidero procurare più luce e diminuire il fumo del fuoco del mio amore.

Durante le serate familiari, i genitori e i nonni hanno forgiato –e forgiano- la personalità e la pietà dei ragazzi di oggi e uomini del domani. Vale la pena! È urgente! Maria Stella mattutina, Vergine dell’alba che precede la Luce del Sole-Gesù, ci guida e da la mano. «Oh Vergine gioiosa! È impossibile che si perda colui nel quale tu hai posto il tuo sguardo» (Sant’ Anselmo).
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