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MEDITIAMO LE SCRITTURE (anno A)

Ultimo Aggiornamento: 04/12/2014 07:14
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29/06/2014 07:34
 
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Wilma Chasseur
Santi Pietro e Paolo

Oggi la Chiesa celebra le colonne su cui è stata fondata: i santi Pietro e Paolo. Festa antichissima che si celebrava già quando ancora non esisteva la solennità del Natale. Già nel terzo secolo si celebrava a Roma, il 29 giugno, la memoria dei Santi Pietro e Paolo.
Ricordiamo dunque Pietro il pescatore e Paolo il persecutore. O meglio: Simone il pescatore e Saulo il persecutore perché dopo che Gesù entrò nella loro vita (per non uscirne mai più), per loro due (come per milioni di altri dopo di loro), tutto cambiò, anche il nome. Simone divenne la pietra sulla quale poggerà la Chiesa. E Saulo, dopo che le scaglie gli caddero dagli occhi, divenne Paolo il vedente, prima accecato dalla troppa luce, ma poi annunciatore instancabile di ciò che aveva visto. O meglio: di COLUI che aveva visto e non solo visto, ma incontrato in modo così sconvolgente da essere sbalzato da cavallo e dalle sue sicurezze. E poi non smise più di viaggiare per monti e mari per annunciare Gesù Cristo fino a dare la sua vita per Lui.

Sbalzati da cavallo...


Ecco cosa fa Gesù Cristo quando entra nella nostra vita: prima ci sbalza dal cavallo delle nostre baldanzose sicurezze o sicumere, e poi, quando siamo a piedi, ci manda a percorrere il mondo intero per annunciare Lui, l'unica certezza che rende sicuro il passo e dà senso alla nostra vita e a quella dei nostri fratelli. Ecco la logica di DIO! Noi crediamo di conquistare il mondo a cavallo della nostra scienza, sapienza e chissà quali altri mirabolanti virtù, ben issati sul nostro piedistallo, ma Dio - ci dice san Paolo - "ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio"
La prima lettura di questa domenica, ci presenta il bellissimo brano dove è raccontato il primo miracolo di Pietro che rispose allo storpio che gli chiedeva la carità: "Non possiedo né oro, né argento, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo il nazareno, alzati e cammina!". E questi, dopo essere stato preso per mano da Pietro, balzò in piedi e saltando e ballando per la gioia, lodava e ringraziava Dio.

L'unica vera potenza e ricchezza...


Questo miracolo di Pietro mi ha sempre commosso tantissimo; dice: non ho niente, cioè nulla di quello che passa e non serve per la vera vita (oro e argento), ma quello che ho te lo do: NEL NOME DI GESU' CRISTO alzati e cammina. Aveva dunque il massimo, aveva ciò che montagne di oro e argento non avrebbero mai potuto dare al povero storpio: aveva in sé la potenza divina che gli ridiede la salute. Potessimo dire altrettanto, noi che abbiamo tutto e il surplus di tutto, ma in realtà non abbiamo niente di quel che dà o ridona la vera vita. E il senso da dare a questa vita.
Come non pensare anche alle parole di San Paolo quando dice: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me". Ecco quale sarebbe la massima realizzazione della nostra vita, la più grandiosa e straordinaria: sentire che LUI vive in noi. Non stiamo più lì a contarci: quanti siamo, quanti non siamo, ma chiediamoci: "E' Lui che vive in noi?". Se sì cambieremo il mondo, anche se siamo in pochi, ma se no, possiamo anche essere moltitudini e non cambierà una virgola.
Non cediamo alla tentazione di contarci e di voler accaparrare gente alla "nostra" chiesa, al "nostro" movimento, ecc. perché quando facciamo così, siamo sicuri che non è LUI che vive in noi, ma il nostro io. Occupiamoci ad attirare gente a Cristo e a Lui solo, allora sì che potremo dire: non ho niente, cioè non accaparro niente, ma quello che ho te lo do: in nome di Gesù Cristo alzati e cammina.
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30/06/2014 08:50
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo

Vi è una tentazione latente che va smascherata fin da subito. Essa non risparmia nessuno. Satana non tollera la volontà di Dio nell'esercizio della propria vocazione e missione. Vuole che ognuno introduca la propria volontà e secondo essa viva, eserciti la missione, svolga il suo quotidiano lavoro. Tutti vogliono essere cristiani, ma a modo loro, seguendo loro personali vie. Tutti vogliono essere presbiteri, ma secondo il loro cuore e la loro intelligenza. Tutti vogliono essere Vescovi, ma donando al loro ministero contenuti stabiliti da essi. Tutti vogliono essere cardinali e papi, ma seguendo le linee del momento, linee di diplomazia, opportunità, convenienza. Tutti vogliono essere di Cristo, ma camminando dietro se stessi.
Questa tentazione non è per una sola volta, per un giorno. È per ogni momento, ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, ogni anno, ogni secolo, ogni millennio. Essa non muore mai. Si manifesta con sempre rinnovate modalità. Se ne supera una perché la si riconosce dopo molti anni e si cade in una nuova, anch'essa irriconoscibile, anch'essa perdurante nel tempo. Satana è astuto. Lui sa che immettendo una sua modalità nell'esercizio della missione e del ministero, è come se rendesse nullo tutto il lavoro pastorale, missionario, che viene svolto. A noi è chiesta ogni accortezza per non cadere in questa tentazione. Ognuno dovrà rivestirsi di sapienza e intelligenza di Spirito Santo per conoscere e superare questa insidia diabolica.
Oggi vi è una persona che si propone a Cristo per essere della sua sequela. Quest'uomo è bene intenzionato. Lui vuole seguire il Maestro in ogni luogo e in ogni tempo. Desidera essere un suo fedele discepolo. Gesù non respinge la richiesta. Gli espone invece quali sono le esigenze di una sequela dietro di Lui. Se vuole seguirlo deve dimenticarsi di se stesso, del suo corpo, del suo spirito, della sua anima. Deve dimenticarsi del sonno, del cibo, dell'acqua. Di ogni altra necessità vitale. Dovrà mettersi a totale disposizione del Padre. Di notte e di giorno, d'estate e d'inverno dovrà essere tutto del Padre. Mai dovrà essere del suo corpo, della sua mente, del suo spirito, della sua anima, dei suoi desideri. Mai dovrà essere da se stesso, sempre invece dovrà appartenere al Padre. Tutta la sua vita è del Padre che potrà anche orientarla verso il martirio. Seguire Cristo è spogliarsi di se stesso.
Uno è già suo discepolo. Costui chiede a Gesù il permesso di andare prima a seppellire suo padre. Poi lo avrebbe seguito. Ora vi sono degli obblighi e bisogna che vengano assolti. Ci sono cose primarie e cose secondarie. La missione è secondaria. Gli obblighi verso i genitori sono primari. Essi vanno assolti sempre. Non possono essere tralasciati. Non sarebbe giustizia. Gesù capovolge la natura stessa delle cose. L'obbligo diventa non obbligo, il non obbligo diventa obbligo. Dinanzi alla missione di salvezza muore ogni altro obbligo. Anche l'amore, la pietà verso i genitori deve cedere il posto alla missione. La missione è tutto per un discepolo di Gesù. Chi vuole seguire Gesù deve considerarsi morto al mondo, alla famiglia, alla casa, alla storia, alla vita, a se stesso. Lui diviene un dono per il suo Dio, un'offerta sacra nelle mani del suo Signore. Se è morto, se è offerta sacra, è consumato con il fuoco. Non esiste più. Con la morte finisce ogni obbligo. Questa è la verità del discepolo di Cristo Signore.
Spogliarsi di se stessi, morire a se stessi, pensarsi morti per il mondo, per tutti, è questa la verità della sequela del Signore. È la prima delle modalità che il Signore chiede a quanti vogliono seguirlo. La missione non è per la carne, è solo per lo spirito.
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01/07/2014 08:27
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?

San Paolo afferma che la fede nasce dall'ascolto della Parola del Signore: "Ergo fides ex auditu, auditus autem per verbum Christi". Ecco la verità della sua completa argomentazione: "Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati? Come sta scritto: Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene! Ma non tutti hanno obbedito al Vangelo. Lo dice Isaia: Signore, chi ha creduto dopo averci ascoltato? Dunque, la fede viene dall'ascolto e l'ascolto riguarda la parola di Cristo" (Rm 10,14-17). Questa è però solo una delle sue tante parole sulla nascita della fede. Nella stessa Lettera ai Romani, così completa la sua verità: "Non oserei infatti dire nulla se non di quello che Cristo ha operato per mezzo mio per condurre le genti all'obbedienza, con parole e opere, con la potenza di segni e di prodigi, con la forza dello Spirito. Così da Gerusalemme e in tutte le direzioni fino all'Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo" (Rm 15,18-19).
Per San Giovanni invece la fede nasce dall'ascolto, dalla visione, dal tatto, dalla contemplazione: "Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita - la vita infatti si manifestò, noi l'abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena" (1Gv 1,1-4). A questa sua verità dobbiamo aggiungere quanto lui scrive alla fine del suo Vangelo: "Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome" (Gv 10,30-31). La fede nasce dalla parola accompagnata dal segno. Parola e segno devono essere dati dal "predicatore" del mistero di Gesù Signore. Parola e segno devono essere intimamente connessi, mai disgiunti, mai separati.
La povertà della nostra fede oggi è data dalla sua riduzione a semplice parola e per di più incompleta, ereticale, parziale, epurata di molte verità essenziali. Gesù è sulla barca. Dorme. Non suscita alcuna fede nei discepoli. Viene l'uragano, la tempesta, il mare si agita, lo svegliano. Comanda al mare e al vento. All'istante tutto diviene una grande bonaccia. I discepoli cominciano ad interrogarsi. La fede comincia a nascere nel cuore. Nasce dall'ascolto e dalla visione, dalle parole e dalle opere intimamente congiunte poste nella storia dal Maestro. Essi ascoltano, vedono, si interrogano.
Sbagliamo quando pensiamo che la fede nasce dal solo ascolto. Così riduciamo il discepolo di Gesù ad un disco, ad un bronzo, ad un cimbalo squillante. Urge che noi diamo al processo della fede la sua complessità, universalità, globalità. In questa complessità è impegnato per intero il "predicatore" di essa. Costui dovrà essere il primo e insostituibile segno della fede. Tutta la sua persona dovrà essere questo segno assieme alla sua parola. Tutto il suo corpo dovrà parlare di fede allo stesso modo che il corpo di Cristo parlava e rivelava la sua verità. La sola parola non basta.
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02/07/2014 07:21
 
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Il Vangelo ci presenta oggi, in modo molto simbolico, l’azione liberatrice di Gesù e la sua capacità di vittoria sul male.
Il paese dei Gadareni si trova oltre le frontiere di Israele, in territorio pagano. I posseduti sono doppiamente infelici perché sono sottomessi alle forze del male e resi inumani. Vivono tra le tombe, cosa che sottolinea il loro isolamento e la loro esclusione dalla comunità dei vivi, così come la loro impurità. Alcune affermazioni così risolute come: “Nessuno poteva più passare per quella strada” indicano quale fosse il potere delle forze malefiche e come fosse difficile penetrare in quel campo.
Cristo dimostra in questo episodio che non esiste circostanza, per quanto disumana possa essere, che il Vangelo non possa raggiungere, nessuna situazione d’isolamento che non possa essere distrutta, né di sfida che non possa diventare, attraverso il potere di Dio, un dialogo salvatore. Il contrasto tra le lamentele dei demoni e il loro sproloquio, e la sola, semplice e autoritaria parola di Gesù mette in evidenza la sovranità di Dio, e l’universalità della salvezza che egli ci offre. Tutti sono raggiunti dalla gratuità del suo amore, anche coloro che sono esclusi ed emarginati. Tutte le barriere dell’incomunicabilità e le catene della schiavitù sono sormontate grazie alla bontà e alla vicinanza del nostro Dio. Il male è quindi nuovamente definito, confinato e restituito al suo luogo di origine biblico: gli abissi. E le creature, libere, sono restituite al dialogo innocente, riconoscente e vicino al loro Signore. Lo stupore impaurito dei Gadareni si oppone all’amore ricettivo dei posseduti-salvati, testimoniando quindi che l’iniziativa salvatrice di Dio ha sempre bisogno della libera risposta dell’uomo. Gesù è ancora una volta oggetto di scandalo e segno di contraddizione.
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03/07/2014 07:30
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 20,24-29

1) Preghiera

Esulti la tua Chiesa, o Dio, nostro Padre,
nella festa dell'apostolo Tommaso;
per la sua intercessione si accresca la nostra fede,
perché credendo abbiamo vita nel nome del Cristo,
che fu da lui riconosciuto suo Signore e suo Dio.
Egli vive e regna con te...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 20,24-29
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore!". Ma egli disse loro: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò".
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!" Poi disse a Tommaso: "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!"
Rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!". Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!"


3) Riflessione

? Oggi è la festa di San Tommaso e il vangelo ci parla dell'incontro di Gesù risorto con l'apostolo che voleva vedere per credere. Per questo molti lo chiamano Tommaso, l'incredulo. In realtà il messaggio di questo vangelo è ben diverso. E' molto più profondo ed attuale.
? Giovanni 20,24-25: Il dubbio di Tommaso. Tommaso, uno dei dodici, non era presente quando Gesù apparve ai discepoli la settimana prima. Non credette alla testimonianza degli altri che dicevano: "Abbiamo visto il Signore". Lui pone condizioni: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò". Tommaso è esigente. Per credere vuol vedere! Non vuole un miracolo per poter credere. No! Vuole vedere i segni nelle mani, nei piedi e nel costato! Non crede in Gesù glorioso, separato dal Gesù umano che soffrì in croce. Quando Giovanni scrive, alla fine del primo secolo, c'erano persone che non accettavano la venuta del Figlio di Dio nella carne (2 Gv 7; 1 Gv 4,2-3). Erano gli gnostici che disprezzavano la materia ed il corpo. Giovanni presenta questa preoccupazione di Tommaso per criticare gli gnostici: "vedere per credere". Il dubbio di Tommaso lascia anche emergere la difficoltà di credere alla risurrezione!
? Giovanni 20,26-27: Non essere più incredulo, ma credente. Il testo dice "sei giorni dopo". Ciò significa che Tommaso fu capace di sostenere la sua opinione durante una settimana intera contro la testimonianza degli altri apostoli. Caparbio! Grazie a Dio, per noi! Così, sei giorni dopo, nel corso della riunione della comunità, loro ebbero di nuovo un'esperienza profonda della presenza del risorto in mezzo a loro. Le porte chiuse non poterono impedire la presenza di Gesù in mezzo a coloro che credono in Lui. Anche oggi è così. Quando siamo riuniti, anche quando siamo riuniti con le porte chiuse, Gesù è in mezzo a noi. E fino ad oggi, la prima parola di Gesù è e sarà sempre: "La Pace sia con voi!" Ciò che impressiona è la bontà di Gesù. Non critica, né giudica l'incredulità di Tommaso, ma accetta la sfida e dice: "Tommaso, metti il dito nelle mie mani!". Gesù conferma la convinzione di Tommaso e delle comunità, cioè, il risorto glorioso è il crocifisso torturato! Il Gesù che sta in comunità, non è un Gesù glorioso che non ha nulla in comune con la nostra vita. E' lo stesso Gesù che visse su questa terra e nel suo corpo ha i segni della sua passione. I segni della passione si trovano oggi nelle pene della gente, nella fame, nei segni di tortura, di ingiustizia. E Gesù si rende presente in mezzo a noi nelle persone che reagiscono, che lottano per la vita e non si lasciano abbattere. Tommaso crede in questo Cristo, ed anche noi!
? Giovanni 20,28-29: Beati quelli che pur non avendo visto crederanno Con lui diciamo: "Signore mio e Dio mio!" Questo dono di Tommaso è l'atteggiamento ideale della fede. E Gesù completa con un messaggio finale: "Hai creduto perché mi hai visto. Beati coloro che senza aver visto, crederanno!" Con questa frase, Gesù dichiara beati tutti noi che ci troviamo nella stessa condizione: senza aver visto, crediamo che il Gesù che è in mezzo a noi, è lo stesso che morì crocifisso!
Il mandato: "Come il Padre mi ha mandato, anche io vi mando!" Da questo Gesù, crocifisso e risorto, riceviamo la missione, la stessa che lui ha ricevuto dal Padre (Gv 20,21). Qui, nella seconda apparizione, Gesù ripete: "La pace sia con voi!" Questa ripetizione mette l'accento sull'importanza della Pace. Costruire la pace fa parte della missione. Pace, significa molto di più che assenza di guerra. Significa costruire una convivenza umana armoniosa in cui le persone possano essere loro stesse, avendo tutte il necessario per vivere, vivendo insieme felici ed in pace. Fu questa la missione di Gesù ed anche la nostra missione. Gesù soffiò e disse: "Ricevete lo Spirito Santo" (Gv 20,22). E con l'aiuto dello Spirito Santo saremo capaci di svolgere la missione che lui ci ha affidato. Poi Gesù comunica il potere di perdonare i peccati: "Coloro a cui perdonerete i peccati saranno perdonati ed a coloro che li riterrete, saranno ritenuti!". Il punto centrale della missione di pace è la riconciliazione, nel tentativo di superare le barriere che ci separano. Questo potere di riconciliare e di perdonare è dato alla comunità (Gv 20,23; Mt 18,18). Nel vangelo di Matteo, è dato anche a Pietro (Mt 16,19). Qui si percepisce che una comunità senza perdono e senza riconciliazione non è una comunità cristiana. In una parola, la nostra missione è quella di 'formare comunità' secondo l'esempio della comunità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.


4) Per un confronto personale

? Nella società di oggi le divergenze e le tensioni di razza, di classe, di religione, di genere e di cultura sono enormi e crescono ogni giorno. Come svolgere oggi la missione di riconciliazione?
? Nella tua comunità e nella tua famiglia c'è qualche granello di senape, segno di una società riconciliata?


5) Preghiera finale

Lodate il Signore, popoli tutti,
voi tutte, nazioni, dategli gloria.
Forte è il suo amore per noi
e la fedeltà del Signore dura in eterno. (Sal 116)
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04/07/2014 09:18
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Dal banco delle imposte alla mensa con Cristo

È lo stesso autore del Vangelo a narrare con stile semplice e scarno la storia della sua chiamata e della sua conversione. C'è un imperativo da parte di Gesù: «Seguimi!» e una risposta immediata: «Ed egli si alzò e lo seguì». Il proseguo è, almeno inizialmente, un festoso convivio in casa di Matteo con amici del suo rango, pubblicani e peccatori. I soliti guastafeste intervengono ancora una volta a contestare l'operato del Signore rivolgendosi ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Lo scandalo derivava da una falsa convinzione che faceva loro credere che certe categorie di persone dovessero restare emarginati perché impuri e peccatori e il mangiare con loro significava contrarre la loro stesso impurità. Di ben altro pensiero è il Signore. Egli, che ha chiamato e distolto Matteo dalle imposte, un mestiere che spesso degenerava in latrocinio, ora vuole gioire con lui, essere un suo commensale e far partecipi dello stesso gaudio anche altri convenuti per l'occasione. Lo stesso Gesù sintetizza così il suo pensiero e la sua missione: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori». È consolante per ciascuno di noi, è consolante per la nostra umanità peccatrice. Così evitiamo il bàratro e la morte eterna. Così la risurrezione ci affascina e la speranza di un mondo migliore, di una vita migliore non si spegne mai in noi.
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05/07/2014 08:02
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Il digiuno e le nozze

La privazione temporanea e volontaria del cibo e delle bevande faceva parte dei sacrifici antichi e, con accezioni diverse, mirava alla purificazione dell'uomo per avere poi un approccio più facile ed intimo con i diversi riti in onore della divinità. L'ha praticato lo stesso Gesù per quaranta giorni, lontano dal consorzio umano, nel deserto, prima di intraprendere la sua missione pubblica e chiamare a se i suoi discepoli. Nella concezione cristiana tale significato ha assunto un valore più teologico e profondo: è principalmente la volontaria partecipazione al sacrificio di Cristo, è praticata come pena, come penitenza, come preparazione ai grandi eventi della salvezza, come la quaresima. I discepoli di Giovanni entrano in conflitto con quelli del Signore e gli domandano: «Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?». L'appunto è rivolto direttamente ai discepoli, ma va a colpire lo stesso Cristo, che è il loro maestro e responsabile dei loro comportamenti. Gesù non esita a dare la spiegazione: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno». Il Signore vuole sublimare il significato e il valore del digiuno e nel contempo indicarne i momenti più opportuni. Gesù si autodefinisce "sposo" e annuncia che l'avvento del Regno che egli annuncia ed incarna con la sua presenza è motivo di gioia e di festa. Si sta quindi celebrando un banchetto nuovo e gli uomini, tutti gli uomini, i discepoli in prima persona sono gli invitati alle nozze. Non è pensabile pensare e proporre il digiuno mentre si celebrano le nozze e si è nel pieno della festa. Solo quando lo sposo non sarà più presente, perché violentemente tolto e condannato alla crudele passione, anche gli apostoli digiuneranno. Allora ecco la nuova concezione del digiuno, è determinato da un'assenza, da un lutto, da un distacco, da una forzata privazione e dall'attesa di un ritorno dello sposo. La gioia cristiana muore con Cristo e risorge con Lui. Ora fin quando non entreremo alle nozze finali nel banchetto celeste, viviamo nell'attesa della beata speranza e il digiuno diventa l'alimento necessario della fede e la testimonianza doverosa della nostra gratitudine verso colui che l'ha praticato ininterrottamente per trentatré anni, restando tra noi nell'umiliazione della carne.
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06/07/2014 09:13
 
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dom Luigi Gioia
O sono mite e umile di cuore

Nella seconda lettura della liturgia di questa XIV domenica del tempo ordinario troviamo questa frase di Paolo nella lettera ai Romani: Fratelli, voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi.
"Carne" nel linguaggio paolino indica non solo ne? prima di tutto la sessualita?, ma tutto quello che e? disordinato nei nostri sentimenti, tutta la negativita? che abbiamo in noi: l'invidia, la gelosia, la tristezza, la depressione, i risentimenti, cioe? tutto quello che c'e? in noi quando siamo lasciati a noi stessi e sperimentiamo quanto siamo in balia di forze interiori che non controlliamo e vittime di circostanze esteriori che ci soffocano e a volte ci stritolano.
Secondo Paolo i cristiani non sono sotto il dominio di questa negativita? interiore ed esteriore, ma sono sotto l'influenza dello Spirito - e i frutti dello Spirito, i segni della presenza dello Spirito, sono l'amore, la gioia, la pace, la pazienza, la benevolenza, la bonta?, la fedelta?, la mitezza, il dominio di se? - come si legge nella lettera ai Galati.
Perche? allora, invece di questi sentimenti di amore, gioia, pace, dominio di se?, continuano a perdurare in noi sentimenti negativi, continua a prevalere il dominio della carne? Perche? continuiamo a fare la dolorosa esperienza della nostra vulnerabilita? nei confronti della negativita? che e? in noi e di quella che ci condiziona dall'esterno? Vuol forse dire che non siamo dei buoni cristiani? Vuol forse dire che non corrispondiamo veramente alla grazia, alla vita dello Spirito in noi? Se questa fosse la verita?, ci sarebbe di che scoraggiarsi.
Il peggior modo di interpretare questa frase di Paolo sarebbe quello che possiamo chiamare "angelismo", cioe? credere di poter diventare ?spirituali' al punto da riuscire a soggiogare completamente questa negativita? che c'e? in noi. C'e? un proverbio in francese che dice: Qui fait l'ange, fait la be?te ("Chi fa l'angelo diventa una belva"). Sembra che a livello psicologico gravissime patologie come ad esempio l'anoressia siano delle forme di angelismo, vale a dire l'espressione di una volonta? di controllare completamente il proprio corpo, di soggiogare completamente una parte di se stessi.
Il senso della frase di Paolo e? un altro. Il dramma della condizione umana non e? tanto ne? prima di tutto quello di fare cose sbagliate, di peccare, ma la divisione interiore, la presenza in noi di una parte di tenebra che ci sfuggira? sempre, fino alla fine, e contro la quale non possiamo nulla.
Nella stessa lettera ai Romani Paolo parla della drammatica esperienza di questa divisione interiore quando afferma Non riesco a capire cio? che faccio, infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto. In me, cioe? nella mia carne, non abita il bene. Poi aggiunge: In me c'e? il desiderio del bene, ma non la capacita? di attuarlo, infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra (nella mia carne) vedo un'altra legge che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo. E conclude questa costatazione con la frase: Me infelice, chi mi liberera? da questo corpo di morte?
Dobbiamo lasciarci ricordare queste cose da Paolo non per autogiustificarci, non per compiacerci nel peccato, ma semplicemente perche? si tratta di una verita? di cui non cessiamo di fare l'esperienza. Chi di noi non ha desiderato e non desidera diventare migliore? Chi di noi non ha cercato di lottare contro aspetti della propria negativita? interiore per superarla sperimentando la propria impotenza? Si tratta di una verita? di cui non cessiamo di fare l'esperienza. Questo non vuol dire che la santita? sia impossibile, ma che e? necessario farsi la giusta idea della santita?.
Infatti santita? non vuol dire perfezione, cioe? totale eliminazione della parte di ombra che c'e? in noi. Questa non solo non sarebbe santita?, ma potrebbe diventare una forma di orgoglio che pretende di renderci migliori, ma che in realta? ci rende semplicemente piu? ipocriti, oppure vuole condurci ad essere autosufficienti ed in un certo senso superiori agli altri, a non avere piu? bisogno di nessuno, nemmeno del Signore.
Questa e? una caricatura della santita? che ci rende come i sapienti e i dotti di cui parla Gesu? nel vangelo di oggi quando dice: Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perche? hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti. I "sapienti" e i "dotti" sono coloro i quali, per la loro scienza o la loro presunta perfezione morale, raggiungono uno stato che li fa sentire al di sopra degli altri, li fa sentire autosufficienti. Ma riguardo a costoro Gesu? dice che le cose del regno dei cieli sono loro nascoste. La loro perfezione li fa infatti diventare come impermeabili.
Invece, paradossalmente, a chi e? promessa questa conoscenza? Chi e? che Gesu? chiama a se?? Chi e? che Gesu? vuole consolare? A chi vuole dare ristoro? Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perche? hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. E' ai piccoli, e? a coloro che sono affaticati e oppressi che Gesu? promette questa conoscenza. Sono questi che Gesu? chiama a se?, cioe? coloro i quali con Paolo, nella quotidiana esperienza della loro poverta?, della loro miseria, della loro incapacita?, della loro tristezza, gridano: me infelice, chi mi liberera? da questo corpo di morte.
Qui risiede il segreto della vita cristiana che ci rivela il vangelo di oggi. Questa divisione interiore, questa parte di tenebra che e? in noi, questa quotidiana esperienza della nostra debolezza non solo non ci allontana dal Signore, non solo non e? un ostacolo per la vita dello Spirito in noi, ma anzi, in un certo senso, e? la condizione per una vita spirituale autentica, per accedere ad una santita? autentica.
Nessuno meglio di Paolo ha espresso questa verita? che nella seconda lettera ai Corinzi afferma: Affinche? io non monti in superbia, e? stata data alla mia carne una spina. A causa di questo tre volte ho pregato il Signore che la allontanasse da me, ma egli mi ha risposto: «Ti basta la mia grazia. La mia forza, infatti, si manifesta pienamente nella debolezza».
Paolo capisce questa lezione e a partire da questo momento non vuole cerca piu? la perfezione, non aspira piu? a vedere scomparire tutte le spine che ha nella sua carne, ma comincia a dire, a predicare, a ripetere costantemente: Mi vantero? delle mie debolezze.
Paolo arriva a vantarsi della sua debolezza, della sua poverta?, dell'esperienza quotidiana della negativita? che e? in lui, perche? dimori in me la potenza di Cristo.
Arriva anzi a dire: io mi compiaccio nelle mie debolezze, infatti e? quando sono debole che sono forte. Solo se siamo deboli, o piuttosto, solo se siamo coscienti della nostra debolezza, della nostra poverta?, della nostra miseria, possiamo lasciarci raggiungere dall'appello, dalla chiamata di Gesu? nel vangelo di oggi: Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi e io vi daro? ristoro.
Chi non e? stanco, non e? oppresso, non percepisce questa chiamata di Gesu?, non ha bisogno di Gesu?, va per la propria strada. E questo non perche? sia realmente buono, realmente perfetto, ma perche? in fondo e? ipocrita, non conosce se stesso, non ha consapevolezza della negativita?, della poverta?, della debolezza, della tristezza che ha dentro di se.
Gesu? non ci promette la perfezione in questa vita, non ci promette che non ci saranno piu? sofferenze interiori ed esteriori, non ci libera neanche dalla dolorosa esperienza di non riuscire a corrispondere al suo amore per noi, ma ci chiama a se?: Venite a me!
Rispetto alla nostra fatica e oppressione quello che ci offre e? la condivisione, e? il prendere il nostro peso su di se?, non per dispensarci dal portarlo noi, ma per portarlo con noi.
Il vero peccato, infatti, non e? in questa miseria che ci portiamo dentro, anche quando ci conduce a fare dei gesti di cui poi ci pentiamo. Il vero peccato e? nell'orgoglio, nel credere di non aver bisogno del Signore. Per questo, ben venga l'esperienza della nostra debolezza e della nostra miseria, se con essa viene anche la capacita? di sentire il Signore che ci chiama e se con essa viene il ristoro che Gesu? vuole darci con la sua misericordia, con il suo amore e con il suo perdono.
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07/07/2014 07:27
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
La tenerezza di Dio

La liturgia della Parola ci introduce nel cuore stesso di Dio. Egli si mostra sposo anche quando l'uomo gli volta le spalle. La testimonianza di un amore così intimo e proclamato con insistenza fa meraviglia trovarlo proprio nei profeti dell'Antico Testamento. Eppure questa intensa intimità di vita tra Dio e la sua creatura, quale corre tra sposo e sposa, è una realtà sorprendente per noi così avari nel rispondere all'amore del Padre. E il Vangelo sembra confermare quanto viene annunziato dal profeta. Gesù si presenta pieno di misericordia verso la donna affetta da emorragia e verso la figlia di Giaìro, capo della sinagoga. Sono due miracoli strappati dalla fede della donna: "Basta che tocchi il suo mantello..." e di Giaìro: "Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la mano sopra di lei e essa vivrà." E' lo sposo annunziato da Osèa che è "in azione". Egli è lo sposo della donna inferma che viene guarita per la sua fede, del padre disperato per la perdita della figlia alla quale Gesù ordina di alzarsi, prendendola con singolare benevolenza per mano, quale gesto di infinito amore. La riflessione ci induce a considerare il nostro Dio non lontano dalla nostra vicenda umana con tutte le sue complicazioni. La potenza dell'Altissimo e la misericordia di Gesù non si sono esaurite. In ogni circostanza, la piena fiducia in Lui, nostro sposo e la assoluta confidenza nel suo amore, saranno capaci di liberarci da situazioni di imbarazzo.
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08/07/2014 07:31
 
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Il segno di Dio

Gesù riorienta la nostra vita.

Ogni suo passaggio suscita ammirazione o opposizione.
Ma non si può rimanere indifferenti a Lui, al suo passare nella storia.

Tutto viene messo in discussione dallo stupore di fronte ai segni che fa.
Tutto viene messo in discussione anche da chi non gli crede e afferma il contrario di quello che Gesù annuncia.
Ma l'indifferenza non può sussistere.

OGNI SEGNO METTE IN RELAZIONE DIO CON L'UMANITA' DI OGGI.

Ogni segno continua la provocazione di Dio nel mondo, proponendo alla storia un cambiamento e un orientamento che solo in Lui può trovare la forza del confronto.

Ogni confronto con Gesù, in approvazione o disappunto, diventa storia della salvezza in atto nell'oggi e nel farsi dell'umanità in ognuno di noi.
Stare dalla parte di Gesù o al suo opposto, non importa molto.
Sta di fatto, invece, che Gesù diventa orientamento nella revisione della storia di chi lo incontra, e diventa in quel momento il metro di misura e il parametro del valore della fede, della speranza e della carità.

OGNI SEGNO POSTO IN ATTO DA GESU' PORTA ALLA REVISIONE DELLA COSCIENZA IN CAMMINO VERSO LA CRESCITA IN VERITA'
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09/07/2014 07:14
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino

Quando San Pietro annunzia a Cornelio chi è Gesù, così parla di Lui: "Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome»" (At 10,37-43).
Gesù non diceva solo parole, non annunziava un regno lontano, fuori di Lui, non predicava la conversione, lasciando l'uomo nella sua miseria spirituale e fisica, del corpo e dell'anima. Egli il regno lo costruiva visibilmente. Tutti notavano la differenza tra Lui e gli scribi e farisei, questi ultimi persone dalla parola vuota, senza efficacia. Essi erano distanti dalla miseria umana, lontani dalla loro condizione morale e spirituale assai precaria. Cristo no! Lui la miseria l'ha presa sulle sue spalle per toglierla, abolirla, allontanarla dalla vista dell'uomo. San Matteo all'inizio del Vangelo ci rivela lo stile e il metodo missionario efficace di Gesù: "Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. La sua fama si diffuse per tutta la Siria e conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guarì. Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano" (Mt 4,23-25). Gesù vuole che il suo stile sia di tutti i suoi discepoli. Costoro dovranno andare in mezzo ai loro fratelli per edificare efficacemente, realmente il regno di Dio.
Ogni discepolo di Gesù è chiamato ad edificare in modo concreto, storico, visibile, nei cuori, nei corpo, nella vita di ogni giorno il regno di Dio. Gli strumenti per questa edificazione sono tre: la fede, la speranza, la carità. Con la fede smuoverà le montagne e attesterà al mondo intero che nulla è impossibile a Dio. Con la speranza si libererà da ogni vizio e peccato, si adornerà delle sante virtù, e manifesterà ai cuori come si vive nel regno che verrà, nel paradiso di Dio. Il paradiso è libertà dalle cose del mondo e piena santità, cioè perfetta imitazione di Dio che opera solo il bene. Con la carità rivelerà alle genti come è possibile vincere ogni egoismo, particolarismo, come si può consacrare la vita al servizio della verità di Dio e dell'amore verso il prossimo. Sono sufficienti queste tre sole virtù per mostrare al mondo intero la bellezza del regno di Dio operante oggi nella storia. Queste tre virtù tutti le possiamo vivere in modo eroico.
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10/07/2014 08:10
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Matteo 10,7-15

1) Preghiera

O Dio, che nell'umiliazione del tuo Figlio
hai risollevato l'umanità dalla sua caduta,
donaci una rinnovata gioia pasquale,
perché, liberi dall'oppressione della colpa,
partecipiamo alla felicità eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 10,7-15
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Andate, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni.
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l'operaio ha diritto al suo nutrimento.
In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza.
Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi. In verità vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sodoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città".


3) Riflessione

? Il vangelo di oggi presenta la seconda parte dell'invio dei discepoli. Ieri abbiamo visto che Gesù insiste nel rivolgersi prima alle pecore perdute di Israele. Oggi vediamo le istruzioni concrete per svolgere la missione.
? Matteo 10,7: L'obiettivo della missione: rivelare la presenza del Regno. "Andate ed annunciate: Il Regno dei cieli è vicino". L'obiettivo principale è quello di annunciare che il Regno è vicino. Ecco la novità che Gesù ci porta. Per gli altri giudei mancava ancora molto per la venuta del Regno. Sarebbe avvenuto dopo che loro avessero svolto la loro parte. La venuta del Regno dipendeva, secondo loro, dal loro sforzo. Per i farisei, per esempio, il Regno sarebbe giunto solo dopo l'osservanza perfetta della Legge. Per gli esseni, quando il paese si fosse purificato. Ma Gesù pensa in un modo diverso. Ha un modo diverso di leggere i fatti della vita. Dice che è già giunta l'ora (Mc 1,15). Quando lui dice che il Regno è vicino o che il Regno è già in mezzo a noi non vuol dire che il Regno stava giungendo solo in quel momento, ma che era già lì, indipendentemente dallo sforzo fatto dalla gente. Ciò che tutti aspettavano, era già in mezzo alla gente, gratuitamente, ma la gente non lo sapeva, né lo percepiva (cf. Lc 17,21). Gesù se ne rese conto! Perché lui guarda la realtà con occhi diversi. Lui rivela ed annuncia ai poveri della sua terra questa presenza nascosta del Regno in mezzo a noi (Lc 4,18). E' il granello di senape che riceverà la pioggia della sua parola ed il calore del suo amore.
? Matteo 10,8: I segni della presenza del Regno: accogliere gli esclusi. Come annunciare la presenza del Regno? Solo mediante parole e discorsi? No! I segni della presenza del Regno sono innanzitutto gesti concreti, fatti gratuitamente: "Guarire gli infermi, risuscitare i morti, sanare i lebbrosi, scacciare i demoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date". Ciò significa che i discepoli devono accogliere dentro la comunità coloro che ne sono stati esclusi. Questa pratica solidale critica sia la religione che la società che esclude, ed indica soluzioni concrete.
? Matteo 10,9-10: Non procuratevi nulla per il cammino. Al contrario degli altri missionari, i discepoli e le discepole di Gesù non devono portare nulla: "Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l'operaio ha diritto al suo nutrimento". Ciò significa che devono aver fiducia nell'ospitalità della gente. Poiché il discepolo che va senza nulla, portando solo la pace (Mc 10,13), mostra che ha fiducia nella gente. E' sicuro che sarà accolto, che potrà partecipare alla vita e al lavoro della gente del luogo e che potrà sopravvivere con ciò che riceverà in cambio, poiché l'operaio ha diritto al suo nutrimento. Ciò significa che i discepoli devono aver fiducia nella condivisione. Per mezzo di questa pratica loro criticano le leggi di esclusione e riscattano gli antichi valori della convivenza comunitaria.
? Matteo 10,11-13: Condividere la pace in comunità. I discepoli non devono andare di casa in casa, ma devono cercare persone di pace e rimanere nella casa. Cioè devono convivere in modo stabile. Così, per mezzo di questa nuova pratica, criticano la cultura dell'accumulazione che distingueva la politica dell'Impero Romano, ed annunciavano un nuovo modello di convivenza. Una volta rispettate tutte queste esigenze, i discepoli potevano gridare: Il Regno di Dio è giunto! Annunciare il Regno non vuol dire, in primo luogo, insegnare verità e dottrine, ma spingere verso una nuova maniera fraterna di vivere e di condividere partendo dalla Buona Novella che Gesù ci ha portato: Dio è Padre e Madre di tutti e di tutte.
? Matteo 10,14-15: La severità della minaccia. Come capire questa minaccia così severa? Gesù ci porta qualcosa di totalmente nuovo. Lui è venuto a riscattare i valori comunitari del passato: l'ospitalità, la condivisione, la comunione attorno al tavolo, l'accoglienza agli esclusi. Ciò spiega la severità contro coloro che rifiutano il messaggio. Poiché non rifiutano qualcosa di nuovo, ma il proprio passato, la propria cultura e saggezza! La pedagogia di Gesù ha come obiettivo scavare nella memoria, riscattare la saggezza della gente, ricostruire la comunità, rinnovare l'Alleanza, ricostruire la vita.


4) Per un confronto personale

? Come attuare oggi la raccomandazione di non portare nulla per il cammino quando si va in missione?
? Gesù ordina di cercare persone di pace, per poter rimanere a casa sua. Chi sarebbe oggi una persona di pace a cui rivolgerci nell'annuncio della Buona Novella?


5) Preghiera finale

Dio degli eserciti, volgiti,
guarda dal cielo e vedi
e visita questa vigna,
proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato,
il germoglio che ti sei coltivato. (Sal 79)
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12/07/2014 07:09
 
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Nel Vangelo di oggi troviamo la meravigliosa parola di Gesù sull’attenzione che porta Dio ai discepoli (Mt 10,29-31).
Ma non contiene qualche cosa di ingenuo, di diverso dalla realtà?
Innanzitutto: Gesù stesso ha vissuto nella fiducia assoluta. Egli era profondamente colmo di questa certezza: il Padre mi accompagna, sa cosa mi succede, è molto vicino a me. Gesù stesso ha dovuto lottare per conservare la fiducia: sul monte degli Ulivi e sulla croce dove Dio sembrava essere molto lontano da lui. La comunità che ci ha trasmesso le parole di Gesù che menzionano i passeri e i capelli e l’evangelista che le ha trascritte per noi conoscono la fine fatta da Gesù sulla croce. San Matteo e la sua comunità sono essi stessi perseguitati, attaccati, rifiutati. Vivono amaramente i difficili conflitti dove li porta la loro professione di fede per Gesù. Ma, in mezzo a queste esperienze deprimenti, si attaccano a questa parola di Gesù: “Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate quindi timore”. Non è una parola credula ed estranea alla realtà, è una parola di fiducia profonda che ha passato le sue prove, proprio nel periodo della crisi delle persecuzioni, è la professione di fede e l’esperienza stessa di una comunità che viene martirizzata. Può contare sulla presenza di Dio. E noi, lo ascoltiamo quando ci invita ad avere tale fiducia?
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13/07/2014 07:27
 
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padre Ermes Ronchi
Ogni giorno su di noi una pioggia di semi di Dio

Egli parlò loro di molte cose con pa­rabole. Magia delle parabole: un linguaggio che contiene di più di quel che dice. Un racconto minimo, che funziona come un carburante: lo leggi e accende idee, evoca immagini, suscita e­mozioni, avvia un viaggio. Gesù amava i campi di grano, le distese di spighe, di papaveri, di fiordalisi, osservava la vita e nascevano parabole. Oggi osserva un se­minatore e nel suo gesto intuisce qual­cosa di Dio.
Il seminatore uscì a seminare: la parabola non perde tempo in preamboli o analisi, racconta un fatto o una esperienza. Il se­minatore, non un; il Seminatore per eccel­lenza, Colui che con il seminare si identifica, perché non fa altro che questo: dare vita, fecondare. Seminatore: uno dei più belli nomi di Dio. E subito l'immagine d'un tempo antico ci riempie gli occhi della mente: un uomo con una sacca al collo che percorre un campo, con un gesto largo del­la mano, sapiente e solenne. Ma il quadro collima solo fin qui. Il semi­natore della parabola è diverso, eccessivo, illogico: lancia manciate generose anche sulla strada e sui rovi. È uno che spera an­che nei sassi, un prodigo inguaribile, im­prudente e fiducioso. Un sognatore che ve­de vita e futuro ovunque. Una pioggia continua di semi di Dio cade tutti i giorni sopra di noi. Semi di Vangelo riempiono l'aria. Si staccano dalle pagine della Scrittura, dalle parole degli uomini, dalle loro azioni, da ogni incontro. Ma per quanto il seme sia buono, se non trova ac­qua, luce e protezione, la giovane vita che ne nasce morirà presto. Il Seminatore get­ta il seme, ma è il terreno che permette di crescere. Allora io voglio farmi terra buo­na, terra madre, culla accogliente per il pic­colo germoglio. Come una madre, che sa quanto tenace e desideroso di vivere sia il seme che porta in grembo, ma anche quanto fragile, vulnerabile e bisognoso di cure, dipendente quasi in tutto da lei.
Essere madri della parola di Dio, madri di ogni parola d'amore. Accoglierle dentro sé con tenerezza, custodirle e difenderle con energia, allevarle con sapienza. Ognuno di noi è una zolla di terra, ognuno è anche un seminatore che cammina nel mondo get­tando semi. Ogni parola, ogni gesto che si stacca da me, se ne va per il mondo e pro­durrà qualcosa. Che cosa vorrei produrre? Tristezza o germogli di sorrisi? Paura, sco­raggiamento o forza di vivere?
«Il cristiano è uno ben consapevole che la sua vita darà frutto, ma senza pretendere di sapere come, né dove, né quando. Ha però la sicurezza che non va perduto nes­sun atto d'amore per Dio, non va perduta nessuna generosa fatica, nessuna doloro­sa pazienza. Tutto ciò circola nel mondo come una forza di vita». (E.G. 278-279).
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14/07/2014 07:57
 
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Movimento Apostolico - rito romano
In verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa

Il Vangelo è separazione, divisione, distacco dell'uomo dall'uomo perché è scelta di vita. Chi sceglie il Vangelo, lo deve scegliere per sempre, senza più ritorno indietro, senza compromessi, senza sconti, senza vie di fuga, senza alcun'altra alternativa. Il Vangelo è la perfezione del bene sulla terra, perché è la scelta del sommo bene che è Dio, la sua volontà, la sua divina ed eterna carità, la sua verità, che è il fondamento di ogni altra verità creata, compresa la verità della nostra natura umana.
Chi sceglie il Vangelo è in tutto simile ad un uomo che prende una via per recarsi in un luogo. Se l'altro prende una via opposta e contraria, necessariamente deve avvenire la separazione, la divisione, il distacco. Le due vie non sono percorribili allo stesso tempo, simultaneamente dalla stessa persona. Chi sceglie la via del bene non può percorrere la via del male e chi sceglie la via del male non può camminare sulla strada del bene. La scelta è di ogni singola persona. È il mistero della volontà dell'uomo, della sua saggezza, intelligenza, sapienza, razionalità, discernimento, responsabilità.
Dinanzi alla scelta di Cristo Gesù viene meno ogni altra possibile scelta di affetto, relazione, comunione di vita, parentela, nazionalità, tribù, popolo, lingua, affinità spirituale. Scelto Cristo, ogni altra realtà la si deve scegliere in Cristo, con Cristo, per Cristo, nella sua volontà, carità, speranza, verità, sapienza, Parola. Ogni altra realtà la si deve amare nel suo amore e secondo il suo comandamento.
Scelto Cristo Gesù, anche la nostra vita deve essere amata in Cristo, con Cristo, per Cristo, secondo la sua volontà, la sua Parola, il comandamento del suo amore. Neanche la propria vita potrà essere amata in una linea parallela o di uguaglianza all'amore per Cristo Gesù. L'amore per Lui deve essere il principio, il fondamento, la razionalità, l'intelligenza, la sapienza dell'amore per noi stessi. Questo amore esige anche l'annientamento, l'abbassamento, il rinnegamento della nostra stessa vita.
Si ama Cristo Gesù e ogni altro amore terreno, per noi stessi o per gli altri, deve essere offerto al Signore in sacrificio. Di ogni altro amore se ne deve fare un olocausto per Lui. Anche Gesù fece dell'amore per la sua persona un olocausto al Padre suo sull'altare della croce. Fu il suo un olocausto reale, vero, puntuale, fino all'ultima goccia di sangue, con il dono dell'intero suo corpo che fu immolato e consumato.
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15/07/2014 07:19
 
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a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

O Dio, che mostri agli erranti la luce della tua verità,
perché possano tornare sulla retta via,
concedi a tutti coloro che si professano cristiani
di respingere ciò che è contrario a questo nome
e di seguire ciò che gli è conforme.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...



2) Lettura

Dal Vangelo secondo Matteo 11,20-24
In quel tempo, Gesù si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli, perché non si erano convertite: ?Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida. Perché, se a Tiro e a Sidóne fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza, ravvolte nel cilicio e nella cenere. Ebbene io ve lo dico: Tiro e Sidóne nel giorno del giudizio avranno una sorte meno dura della vostra.
E tu, Cafarnao, ??sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!??. Perché, se in Sodoma fossero avvenuti i miracoli compiuti in te, oggi ancora essa esisterebbe! Ebbene io vi dico: Nel giorno del giudizio avrà una sorte meno dura della tua!?



3) Riflessione

? Il Discorso della Missione occupa il capitolo 10. I capitoli 11 e 12 descrivono la Missione che Gesù svolgeva e come la svolgeva. Nei due capitoli si parla di come la gente ha aderito, ha dubitato dell?azione evangelizzatrice di Gesù, o la ha rifiutato. Giovanni Battista, che guardava Gesù con gli occhi del passato, non riesce a capirlo (Mt 11,1-15). La gente, che guardava Gesù per interesse, non fu in grado di capirlo (Mt 11,16-19). Le grandi città attorno al lago, che ascoltarono la predicazione di Gesù e videro i suoi miracoli, non vollero aprirsi al suo messaggio (è il testo del vangelo di oggi). I saggi ed i dottori, che apprezzavano tutto a partire dalla loro propria scienza, non furono capaci di capire la predicazione di Gesù (Mt 11,25). I farisei che confidavano solo nell?osservanza della legge, criticavano Gesù (Mt 12,1-8) e decisero di ucciderlo (Mt 12,9-14). Dicevano che Gesù agiva a nome di Belzebù (Mt 12,22-37). Volevano una prova per poter credere in lui (Mt 12,38-45). Nemmeno i parenti di Gesù lo appoggiavano (Mt 12,46-50). Solo i piccoli e la gente malata capiva ed accettava la Buona Novella del Regno (Mt 11,25-30). Andavano dietro a lui (Mt 12,15-16) e vedevano in lui il Servo annunciato da Isaia (Mt 12,17-21).
? Questo modo di descrivere l?azione missionaria di Gesù era un?avvertenza chiara per i discepoli e le discepole che con Gesù percorrevano la Galilea. Non potevano aspettarsi ricompense o elogi per il fatto di essere missionari/e di Gesù. L?avvertenza vale anche per noi che oggi leggiamo e meditiamo questo Discorso della Missione, poiché i vangeli sono scritti per tutti i tempi. Ci invitano a confrontare l?atteggiamento che abbiamo con Gesù con l?atteggiamento dei personaggi che appaiono nel vangelo e a chiederci se siamo come Giovanni Battista (Mt 11,1-15), come la gente interessata (Mt 11,16-19), come le città incredule (Mt 11,20-24), come i dottori che pensavano di sapere tutto e non capivano nulla (Mt 11,25), come i farisei che sapevano solo criticare (Mt 12,1-45) o come la gente piccola che andava alla ricerca di Gesù (Mt 12,15) e che, con la sua saggezza, sapeva capire ed accettare il messaggio del Regno (Mt 11,25-30).
? Matteo 11,20: La parola contro le città che non lo riceveranno. Lo spazio in cui Gesù si mosse durante quei tre anni della sua vita missionaria era piccolo. Solo pochi chilometri quadrati lungo il Mare di Galilea attorno alle città di Cafarnao, Betzaida e Corazin. Solamente! Orbene, fu in questo spazio così ridotto dove Gesù fece la maggior parte dei suoi discorsi e miracoli. Venne a salvare tutta l?umanità, e quasi non uscì dallo spazio limitato della sua terra. Tragicamente, Gesù dovette constatare che la gente di quelle città non volle accettare il messaggio del Regno e non si convertì. Le città si irrigidirono nelle loro credenze, tradizioni e costumi e non accettarono l?invito di Gesù a cambiare vita.
? Matteo 11,21-24: Corazin, Betzaida e Cafarnao sono peggiori di Tiro e Sidone. Nel passato, Tiro e Sidone, nemici ferrei di Israele, maltrattarono il popolo di Dio. Per questo furono maledette dai profeti (Is 23,1; Jr 25,22; 47,4; Ez 26,3; 27,2; 28,2; Jl 4,4; Am 1,10). Ed ora Gesù dice che queste città, simboli di tutta la malvagità, si sarebbero già convertite se in esse si fossero realizzati tutti i miracoli avvenuti a Corazin ed a Betzaida. La città di Sodomia, simbolo della peggiore perversione, fu distrutta dall?ira di Dio (Gen 18,16 a 19,29). Ed ora, Gesù dice che Sodomia esisterebbe fino ad oggi, poiché si sarebbe convertita se avesse visto i miracoli che Gesù fece a Cafarnao. Oggi ancora viviamo questo stesso paradosso. Molti di noi, che siamo cattolici fin da bambini, abbiamo molte solide convinzioni, tanto che nessuno è capaci di convertirci. E in alcuni luoghi, il cristianesimo, invece di essere fonte di cambiamento e di conversione, diventa il rifugio delle forze più reazionarie della politica del paese.



4) Per un confronto personale

? Come mi pongo dinanzi alla Buona Novella di Gesù: come Giovanni Battista, come la gente interessata, come i dottori, come i farisei o come la gente piccola e povera?
? La mia città, il mio paese meritano l?avvertenza di Gesù contro Cafarnao, Corazin e Betzaida?



5) Preghiera finale

Grande è il Signore e degno di ogni lode
nella città del nostro Dio.
Il suo monte santo, altura stupenda,
è la gioia di tutta la terra. (Sal 47)
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16/07/2014 09:14
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
I grandi e i piccoli

Benedico te Padre, perché hai rivelato tutte queste cose ai piccoli. Dio non è impressionato dalla grandezza, dall?intelligenza, dalla sapienza umana. Quelli che li fanno tenerezza sono i più piccoli, gli ultimi, gli emarginati. A loro tutta la sua attenzione. Gesù, durante la sua vita terrena, ha sempre cercato quegli ultimi, è andato in cerca dei malati per sanarli, in cerca degli indemoniati per liberarli, in cerca degli afflitti per annunziare loro la speranza che lui stesso ha portato sulla terra. Anche noi, se vogliamo chiamarci cristiani, se vogliamo veramente esserli dobbiamo comportarci in tutto come si è comportato il Signore. Certo, non sempre questo sarà facile, non sempre ci aiuterà la nostra società, la nostra formazione, i nostri vicini. Ma proprio in questi momenti difficili il Signore è particolarmente con noi. Dobbiamo sforzarci sempre più di conoscerlo, anche se, come ci dice il Vangelo odierno, non lo conosceremo mai abbastanza. Solo il Padre conosce il Figlio e il Figlio conosce il Padre. Conoscere ma non per sentito dire, non dai racconti degli altri, quanto dalle nostre personali esperienze, dalla nostra con lui intimità. Egli conosce ciascuno di noi, ci conosce come il pastore conosce le sue pecorelle. Se noi lo vorremo egli ci si svelerà, ci apparirà, ci si comunicherà perché il Signore è sempre vicino a chi lo cerca con cuore sincero.
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17/07/2014 07:33
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Imparate da me, che sono mite e umile di cuore

Il mondo è stanco, si trascina di oppressione in oppressione. Stanchezza, affaticamento, oppressione sono il frutto del suo peccato, della sua trasgressione, della sua grande disobbedienza alla Parola, al Comandamento, alle Beatitudini, al Vangelo. La stanchezza dell'uomo è perché il suo spirito non è fortificato dal suo Dio che non è più in lui, con lui, per lui, ma fuori di lui. È Dio la vera forza. Dio dona ogni forza nel suo Santo Spirito che è anche Spirito di fortezza. Dove l'uomo potrà trovare ristoro, riposo, conforto, gioia, pace per il suo corpo, salute per la sua anima, nuovo slancio per il suo spirito, nuovo sviluppo per il suo cuore? Dove l'uomo potrà ritrovarsi e ritrovare tutte le forze che sono la ricchezza della sua umanità?
Gesù lo afferma senza alcuna ombra di dubbio, senza lasciare spazio ad alcuna incertezza. Chi vuole il ristoro deve recarsi da Lui, deve andare a Lui. La stanchezza dell'uomo non è solo del suo corpo, ma anche soprattutto del suo spirito e della sua anima. Andare a Cristo per trovare il vero ristoro, vuol dire anche in parole povere, che da Lui dobbiamo lasciarci lavare l'anima e purificare il cuore. Lui deve dare una spazzolata ai nostri sentimenti e una spuntatina ai nostri molti pensieri vani che affogano la nostra mente e il nostro cuore. Deve prendere la nostra anima e immergerla nella sua verità. Anche il nostro corpo deve lavare con la sua Parola.
Andare a Cristo non significa presentarsi a Lui, chiedere qualche grazia e poi ritirarsi in buon ordine, eclissarsi, sparire. Significa invece accostarsi come il bue si accosta al carro per lasciarsi aggiogare, divenire una cosa sola con il carro, in modo che tutta la sua forza motoria diventi forza del carro ed esso si metta in cammino. Gesù chiede a chi ricorre a Lui si lasciarsi aggiogare al suo Vangelo, in modo che il Vangelo ci trasmetta tutta la sua forza divina e noi cominciamo a muoverci dietro di esso, con esso, per esso. È questo il vero significato dell'invito a prendere il suo giogo.
Prendere il suo giogo vuol dire divenire una cosa sola con Lui. Lui ci chiede di imparare da Lui come si porta il giogo del Vangelo sulle proprie spalle. E Lui chi è? Il mite e l'umile di cuore. Lui è mite e umile perché interamente consegnato al Vangelo del Padre. Lui non si chiede dove è condotto dal giogo, cui è inscindibilmente legato. È questa la mitezza e l'umiltà del cuore. Lui sa che il Padre suo lo condurrà alla più alta gloria del cielo. Lui si consegna interamente a Lui, a Lui si affida, in Lui confida. È questo l'annullamento che il Signore chiede a tutti coloro che vogliono lasciarsi aggiogare al suo Vangelo, alla sua Parola, alla sua verità, alla sua grazia.
Quando l'uomo è aggiogato a Cristo Signore, subito trova pace per la sua vita. Questa entra nella sua verità. È la verità la pace della vita. Dove non vi è verità non vi è nemmeno pace, perché la vita è fuori di se stessa, trascorre i suoi giorni nella falsità, nell'errore, nella menzogna. La falsità trasforma la natura, la rende inquieta, sorda, stolta, insipiente ed essa soffre perché priva del suo ossigeno di vita. Gesù viene, dona alla vita il suo vero ossigeno che è Lui, nel quale vive tutto il Padre e lo Spirito Santo, e la vita risorge, rinasce, trova il suo riposo nella sua vera vita.
Gesù rassicura quanti si lasciano aggiogare a Lui. Il suo giogo non è pesante. È leggero. Neanche il peso che essi portano è gravoso. Esso è soave. Questa sua Parola è più che vera. Basta osservare il mondo. Il peccato, il vizio, la trasgressione impongono un giogo pesantissimo sulle spalle dell'uomo. Questo peso così gravoso spesso anche uccide, sovente compie vere stragi, impoverisce i popoli e le nazioni. Invece il giogo di Gesù arricchisce, dona vitalità sempre nuova, dona gioia e pace. Niente pesa più del peccato e niente è più gravoso del vizio. Essi distruggono.
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18/07/2014 08:09
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Ora io vi dico che qui vi è uno più grande del tempio

È giusto che oggi ci domandiamo: Cosa è la vera religione? In cosa essa consiste? Qual è il cuore della sua verità? Quali le vie che sempre dobbiamo percorrere per conservarla pura, santa, incontaminata? Cosa la rende impura? Cosa la trasforma in una cosa immonda? La mia, la tua, la nostra possiamo affermare che sia la vera religione nella quale ci troviamo a vivere? A queste domande urge dare risposte con coscienza illuminata dalla sapienza dello Spirito Santo, ma anche con un cuore libero da ogni condizionamento storico, frutto quasi sempre di peccato o personale o comunitario. Ma è sempre il peccato che oscura la verità della religione in noi.
La vera religione ha un solo nome: santità. La santità ha un solo significato: amore concreto. L'amore concreto è sempre un amore che si vive in una storia particolare irripetibile, che è solo di questo momento, questo istante. È questa la vera religione: sapere in ogni momento, in ogni ora, in ogni giorno, qual è l'amore concreto da vivere verso ogni nostro fratello che Dio pone dinanzi ai nostri occhi perché noi lo vediamo nella luce dello Spirito Santo e lo amiamo con il suo cuore, ricco di purissimo amore di misericordia, compassione, pietà, grande commiserazione.
La vera religione esige, domanda, chiede che si viva in perfetta unità con lo Spirito Santo e con il Padre dei Cieli, dal momento che siamo chiamati a vedere con la sapienza dello Spirito tutta la realtà storica e ad amarla con il cuore del Padre. Questa perfetta unità non può essere stabilita, costruita, governata se non si diviene corpo santo di Cristo Signore. Non però un Cristo Signore qualsiasi, ma il Cristo Signore ecclesiale, per intenderci il Cristo della Chiesa una, santa, cattolica, apostolica. È questo il vero Cristo con il quale dobbiamo formare un solo corpo ecclesiale, se vogliamo vivere di vera religione. Essa è pertanto una relazione perfetta con la Santissima Trinità, nella Chiesa, con la Chiesa, per la Chiesa.
Entrati nella verità di questa relazione, innalzando per essa verso il Padre e lo Spirito Santo, attingendo la luce dal Corpo di Cristo, possiamo in ogni momento sapere come amare concretamente, possiamo santificare ogni nostro momento. Qualsiasi cosa vediamo non la valutiamo partendo dai nostri occhi e dal nostro cuore, ma dagli occhi dello Spirito Santo e dal cuore del Padre. Questa visione deve essere perenne. Se anche per una sola circostanza ci distacchiamo da questa visione, all'istante passiamo dalla vera religione alla falsa. Da Dio immediatamente entriamo nel nostro cuore ed è un vero disastro spirituale. Dal nostro cuore esce ogni pensiero cattivo e ogni parola di giudizio e di condanna. Il nostro cuore non ama. Sa solo odiare, invidiare, allontanare.
L'amore vero, la santità vera, è trovare sempre una via per confortare, dare vita, creare speranza, sostenere i nostri fratelli che sono in difficoltà. È questa la vera misericordia, la vera carità, l'autentica santità. Dinanzi ad un uomo che ha fame, finiscono le nostre leggi umane e anche ogni altra legge rituale, non morale, di Dio. Dobbiamo metterci a servizio della fame dei fratelli. Dobbiamo trovare loro una via di salvezza. Ignorare la loro fame è passare all'istante nella falsa religione. Chi ignora non ama. Mentre è proprio della vera religione amare sempre in pienezza di verità e di misericordia.
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19/07/2014 08:07
 
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Il Vangelo di oggi ci dice che Dio vuole la nostra felicità. Capisco veramente che cosa significa ciò? Dio vuole la felicità di noi tutti, qualunque siano i nostri limiti. Ciò che è straordinario è che tutto ciò che costituisce la nostra sofferenza o la nostra felicità si trova espresso nella Bibbia. Noi vi ci ritroviamo interamente: noi e le nostre esperienze. È in Gesù che la parola decisiva di Dio ci è rivelata, ed è in lui che ci è rivelato il “Sì” di Dio. Dio non può dirci di più, e con maggiore insistenza, che attraverso Gesù, suo Figlio, nostro Salvatore. Gesù ci ha detto prima di tutto questo: siamo accettati nella nostra vita. Ecco ciò che esprime la parola di Dio. Lo capiamo? Gesù dice: “Voglio la tua felicità infinita. Nella tua vita l’afflizione non avrà l’ultima parola quando sarai a pezzi, il tuo lume di speranza si sarà spento, e tu dirai: ‘‘Io sono cattivo’’”. Colui che accoglie le parole di Dio imparerà che, al di là di queste parole che gli sfuggono, la vita rinasce. La Chiesa non vive, se la Bibbia non raggiunge la vita nel cuore delle comunità. E la nostra vita è così spesso gelata! Le cose che escono dal congelatore sembrano spesso scipite, senza gusto, riconoscibili solo dalla loro etichetta. Ma è sufficiente che siano riscaldate perché riprendano gusto. Anche la nostra vita è spesso gelata, come pure le nostre relazioni.
Ma la parola di Dio riscalda. La Bibbia ci dice: per quanto la sua situazione sia disperata, ciascuno di noi può ripartire da zero. Perché è chiamato, e può cominciare a sentire che cos’è la vita, la sapienza, la capacità d’amare. Troverà un senso nella sua vita, se questa sarà impregnata d’amore per la parola che l’ha raggiunto e l’ha reso capace di aprirsi sempre più a se stesso. Egli non ha niente di meglio da dire su ciò che può essere la vita.
Metti la tua vita sotto il segno della parola, e vedrai tu stesso il risultato.
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20/07/2014 07:30
 
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don Luca Garbinetto
Vincere il male con il bene

Il male esiste. Chiunque, guardandosi intorno con sincerità, percepisce il dramma dell'esistenza del male. A meno che non si sia nascosto dentro fantasie e illusioni fasulle, che mascherano l'esistenza di pericoloso romanticismo. Anche nelle favole dei bambini esiste il male, ed è bene che sia così. Perché le favole educano alla vita, e sono spesso più reali dei racconti manovrati di tanti programmi televisivi per adulti.
E il male fa male. Ma forse fa ancora più male l'esperienza di non poter fare nulla contro il male. Forse è ancora più doloroso, quando si constata che nel campo della vita sono germogliati semi di zizzania, sperimentare la propria impotenza di fronte a una simile tragedia. Forse è motivo di maggiore sofferenza l'incapacità di fare giustizia, perché la giustizia è vincere il male e far crescere il bene.
Nelle favole dei bambini, quelle più belle, il male viene sconfitto. É il bene a trionfare. E forse i discepoli di Gesù, nell'ascoltare le sue parabole, avevano negli orecchi e nel cuore i racconti dei nonni, impastati di Parola di Dio, ma per certi versi molto simili alle favole che fanno crescere. Conoscevano un Dio vincitore, più forte di ogni malvagità, un Dio potente che fa' giustizia e che promette di cancellare definitivamente il male dalla faccia della terra. E da Gesù, probabilmente, si aspettavano la conferma di questo Dio, di questa giustizia, di questa attesa: il bene deve trionfare debellando senza mezze misure il male fin dalle sue radici.
?E vissero tutti felici e contenti': a volte, di fronte all'esperienza del male, nel nostro cuore riaffiora la speranza di questo finale idilliaco, come nelle favole. Chissà sia questo l'unico vero limite delle favole: l'idea che quanto è raccontato ai bambini si realizzi già, qui e ora, nella sua totalità. I bambini, in realtà, sanno cogliere quella dimensione simbolica che rimanda a un poi, che alimenta l'attesa più che l'immediato, che suscita speranza più che delusione.
Ecco allora che il campo della vita, il campo del mondo, che poi è anche il campo di ogni cuore, ha diritto, proprio per questioni di giustizia, di sperimentare tutto il paradosso di una convivenza inaspettata. Il male convive con il bene. É mistero racchiuso fin dalle origini nella storia dell'uomo. Qualcuno, che non ha sopportato il tanto amore di Dio nei suoi confronti, ha preteso di svincolarsene facendosi seminatore anche lui al pari del Creatore. Ha sbagliato semente cattiva, purtroppo. Ma Dio, che di agricoltura se ne intende, sa che non si può buttare tutto per un errore di selezione dei semi: il rischio è di ?gettare il bambino con l'acqua sporca' - oggi la sapienza del popolo fa da sostegno alla luce del Vangelo.
La giustizia, allora, si rivela in una luce nuova. Ha caratteristiche in realtà profondamente umane: è pazienza, perseveranza, attesa, prudenza. ?Il tempo è gentiluomo', mi ha confortato l'altro giorno un amico, di fronte alle mie inquietudini sulla vita. E Dio è...un buon Uomo! In Lui non ha casa il male. La radice uscita da Dio è solamente buona, il seme da Lui sparso è unicamente buono. E il tempo lo ha creato Dio, per cui la capacità di attendere e accompagnare significa fidarsi della bontà di Dio.
La parabola del grano e della zizzania ci parla di questa premurosa giustizia di Dio, che penetra ogni ambiente di uno spirito nuovo. O meglio, dei doni dello Spirito (cfr. Gal 5, 22): sono i componenti di un prodotto innovativo, capace di sperare anche nella conversione del peccatore (cfr. Sap 12, 19). Ma la parabola va letta in sinfonia con le altre due: il granello di senape e il lievito. Sono immagini di ordinaria amministrazione, che garantiscono l'antidoto al rischio della rassegnazione. L'attesa, nella logica di Dio, non è passiva remissività. Non si sta a guardare il male attendendo semplicemente che i giorni e le stagioni facciano il proprio corso. La nostra non è la religione naturale e cosmica, che alimenta fatalistiche illusioni secondo i chiari di luna.
C'è invece da immettere la vitalità del lievito nella massa. C'è da innescare processi di crescita nella piccolezza del grano di senape. Si tratta, come auspica papa Francesco, di ?occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci' (cfr. Evangelii Gaudium, n. 223).
C'è insomma da occuparsi più di semina che di mietitura. Se infatti agli angeli di Dio, nel giorno della giustizia definitiva, spetterà di tirare le somme del corso del tempo, a noi, come piccoli semi contagiosi di bene, tocca... spargere il seme! Seminare bontà, ?vincere il male con il bene'. L'efficacia dell'agire di Dio, di cui l'uomo, sua creatura ?molto buona', è continuatore e custode, sta nell'instancabile semina, nell'innesto coraggioso di batteri di bontà anche laddove un contadino di corte vedute potrebbe immaginare al massimo un rogo distruttivo.
Dove c'è il male, insomma, a noi spetta seminare germi di bene. Con un infinito atto di fede nell'intima bellezza di ogni creatura, che è al mondo non per merito del Nemico contadino, ma per grazia gratis data da parte dell'unico Agricoltore. In ogni uomo c'è uno spicchio di bene, una possibilità di conversione, uno spazio libero per il pentimento. Chissà che, investendo le nostre energie nella giustizia d'amore, non generiamo sorprese, toccando le vene di chi, fino a quel momento, si è considerato soltanto a immagine e somiglianza del Maligno?
Questo vale per ogni campo della vita. Anche per le grandi questioni della pace nel mondo. Ciò che uccide definitivamente la giustizia, più ancora che le bombe, è l'indifferenza e la rassegnazione dei popoli verso il possibile cambiamento della storia. ?Chi ha orecchi, ascolti!'.
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21/07/2014 07:39
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Una generazione malvagia e adultera pretende un segno!

La generazione è malvagia perché il suo cuore è rivolto verso il male, anziché verso il bene. La verità dell'uomo è il bene non il male, l'amore non l'odio, il perdono non la vendetta, la giustizia non l'ingiustizia, la verità non la falsità, la pace non la guerra, l'unione non la divisione. Gesù non parla di un solo uomo, parla di una generazione, di un'epoca, di un tempo. Non vi è chi si possa salvare. È come se un'ombra di morte spirituale si fosse abbattuta sugli uomini a lui contemporanei.
Possiamo comprendere le parole di Gesù, riferite ad una universalità, piuttosto che ad una particolarità, se ci ricordiamo di ciò che dice il Salmo: "Non c'è nessun giusto, nemmeno uno, non c'è chi comprenda, non c'è nessuno che cerchi Dio! Tutti hanno smarrito la via, insieme si sono corrotti; non c'è chi compia il bene, non ce n'è neppure uno. La loro gola è un sepolcro spalancato, tramavano inganni con la loro lingua, veleno di serpenti è sotto le loro labbra, la loro bocca è piena di maledizione e di amarezza. I loro piedi corrono a versare sangue; rovina e sciagura è sul loro cammino e la via della pace non l'hanno conosciuta. Non c'è timore di Dio davanti ai loro occhi" (Rm 3,10-18). Quando questo succede, e succede spesso, è come se le tenebre avvolgessero il mondo intero. È una condizione di vero disastro spirituale. Non c'è spazio per la luce. La verità scompare, il bene si eclissa, Dio si spegne nei cuori, rimane luogo solo per la malvagità, la cattiveria, la volontà distruttrice del bene.
Non solo la generazione è malvagia, è anche adultera. L'adulterio è rinnegamento della fede coniugale, per costruire una sola carne con ciò che non è nostra carne, nostro sangue, nostro corpo, nostro soffio vitale. L'uomo è stato sposato con uno sposalizio eterno con la verità, l'amore, la giustizia, la carità, la santità. È stato sposato anche in modo indissolubile con il suo Dio e Signore. Questa generazione vive in uno stato di perenne tradimento del suo Dio e di se stessa. Ha abbandonato il suo sposo per concedersi agli idoli. Ha lasciato la sua verità eterna per farsi inquinare la mente dalla falsità. Ha rinnegato la luce e si è consegnata alle tenebre. Non si tratta di un adulterio occasionale, transeunte, isolato. Ci troviamo invece dinanzi ad un adulterio stabile, duraturo. È una vera scelta di vita. Dall'adorazione del Creatore questa generazione è precipitata nell'inferno dell'adorazione di se stessa.
È come se Gesù si trovasse dinanzi ad un duro macigno, ad un sasso granitico. Non vi sono sogni che si possono dare. La mente è tutta contorta. Avrebbe sempre trovato un motivo, una ragione per non credere. Questa generazione è refrattaria per qualsiasi verità. Non accetta nessuna vera luce. Si è fossilizzata nelle tenebre. Si è incancrenita nel peccato. Gesù vede questa situazione spirituale irrecuperabile alla rivelazione e si rifiuta di offrire qualsiasi segno. Dona però loro come esempio Giona e la regina del Sud. Giona convertì Ninive con sole sette parole: "Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta". La regina del Sud accorse a Gerusalemme perché aveva sentito parlare della sapienza di Salomone. Gesù è sapienza divina ed eterna, è fonte di ogni sapienza e di ogni verità, di ogni scienza e conoscenza e viene respinto. Ha compiuto opere portentose, ma nessuno si è convertito. La responsabilità morale della generazione di Gesù è grande. Nel giorno del giudizio dovranno rispondere a Dio.
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22/07/2014 07:22
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 20,1.11-18

1) Preghiera

Sii propizio a noi tuoi fedeli, Signore,
e donaci i tesori della tua grazia,
perché, ardenti di speranza, fede e carità,
restiamo sempre fedeli ai tuoi comandamenti.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 20,1-2.11-18
Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro.
Maria stava all'esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: "Donna, perché piangi?". Rispose loro: "Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto".
Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: "Donna, perché piangi? Chi cerchi?". Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: "Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo".
Gesù le disse: "Maria!". Essa allora voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: "Rabbunì!", che significa: Maestro! Gesù le disse: "Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro".
Maria di Magdala andò subito ad annunziare ai discepoli: "Ho visto il Signore" e anche ciò che le aveva detto.


3) Riflessione

? Il vangelo di oggi ci presenta l'apparizione di Gesù a Maria Maddalena, la cui festa celebriamo oggi. La morte di Gesù, il suo grande amico, le fa perdere il senso della vita. Ma non smette di cercarlo. Va al sepolcro per incontrare di nuovo colui che la morte le aveva rubato. Ci sono momenti nella vita in cui crolla tutto. Sembra che tutto è finito. Morte, disastri, dolori, delusioni, tradimenti! Tante cose che possono farci perdere la terra sotto i piedi e produrre in noi una crisi profonda. Ma può succedere anche qualcosa di diverso. Improvvisamente, l'incontro con un'amicizia può ridare senso alla nostra vita e farci scoprire che l'amore è più forte della morte e della sconfitta. Nel modo in cui viene descritta l'apparizione di Gesù a Maria Maddalena scorgiamo le tappe del suo percorso, dalla ricerca dolorosa dell'amico morto all'incontro con il risorto. Sono anche le tappe che percorriamo noi tutti, lungo la vita, alla ricerca di Dio e nel vissuto del vangelo E' il processo di morte e di resurrezione che si prolunga giorno dopo giorno.
? Giovanni 20,1: Maria Maddalena va al sepolcro. C'era un amore profondo tra Gesù e Maria Maddalena. Lei fu una delle poche persone che ebbero il coraggio di rimanere con Gesù fino all'ora della sua morte in croce. Dopo il riposo obbligatorio del sabato, lei ritornò al sepolcro, per stare nel luogo dove aveva incontrato l'Amato per l'ultima volta. Ma, con sua grande sorpresa, il sepolcro era vuoto!
? Giovanni 20,11-13: Maria Maddalena piange, ma cerca. Piangendo, Maria Maddalena si inchina e guarda nel sepolcro, dove vede due angeli vestiti di bianco, seduti nel luogo dove era stato collocato il corpo di Gesù, uno alla testa l'altro ai piedi del sepolcro. Gli angeli le chiedono: "Perché piangi?" Risposta: "Hanno portato via il mio signore e non so dove l'hanno messo!" Maria Maddalena cerca il Gesù che lei ha conosciuto, lo stesso con cui aveva vissuto tre anni.
? Giovanni 20,14-15: Maria Maddalena parla con Gesù senza riconoscerlo. I discepoli di Emmaus videro Gesù, ma non lo riconobbero (Lc 24,15-16). Lo stesso avviene con Maria Maddalena. Lei vede Gesù, ma non lo riconosce. Pensa che è il custode del giardino. Anche Gesù chiede, come hanno fatto gli angeli: "Perché piangi?" Ed aggiunge: "Chi stai cercando?" Risposta: "Se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai posto ed io andrò a prenderlo!" Lei cerca ancora il Gesù del passato, lo stesso di tre giorni prima. L'immagine di Gesù del passato impedisce che lei riconosca il Gesù vivo, presente dinanzi a lei.
? Giovanni 20,16: Maria Maddalena riconosce Gesù. Gesù pronuncia il nome "Maria!" (Miriam) Ecco il segno di riconoscimento: la stessa voce, lo stesso modo di pronunciare il nome. Lei risponde: "Maestro!" (Rabuni) Gesù si volta. La prima impressione è che la morte non è stata che un incidente doloroso di percorso, ma che ora tutto è ritornato come prima. Maria abbraccia Gesù con forza. Era lo stesso Gesù che era morto in croce, lo stesso che lei aveva conosciuto ed amato. Qui avviene ciò che Gesù dice nella parabola del Buon Pastore: "Lui le chiama per nome e loro conoscono la sua voce". - "Io conosco le mie pecore, e le mie pecore mi conoscono! (Gv 10,3.4.14).
? Giovanni 20,17: Maria Maddalena riceve la missione di annunciare la risurrezione agli apostoli. Infatti, è lo stesso Gesù, ma il modo di stare con lei non è lo stesso. Gesù le dice: "Non mi trattenere perché non sono ancora salito al Padre!" Gesù va a stare insieme al Padre. Maria Maddalena non lo deve trattenere e deve assumere la sua missione: "Ma va' dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro. Chiama i discepoli "miei fratelli". Salendo al Padre, Gesù ci apre il cammino per farci stare vicino a Dio. "Voglio che loro stiano con me dove io sto" (Gv 17,24; 14,3).
? Giovanni 20,18: La dignità e la missione di Maria Maddalena e delle donne. Maria Maddalena viene chiamata discepola di Gesù (Lc 8,1-2); testimone della sua crocifissione (Mc 15,40-41; Mt 27,55-56; Jo 19,25), della sua sepoltura (Mc 15,47; Lc 23,55; Mt 27,61), e della sua risurrezione (Mc 16,1-8; Mt 28,1-10; Lc 24,1-10; Gv 20,1.11-18). Ed ora riceve l'ordine, le viene ordinato, di andare dai Dodici ad annunciare che Gesù è vivo. Senza questa Buona Novella della Risurrezione, le sette lampade dei sacramenti si spegnerebbero (Mt 28,10; Jo 20,17-18).


4) Per un confronto personale

? Tu hai avuto un'esperienza che ha prodotto in te la sensazione di perdita e di morte? Cosa ti ha dato nuova vita e ti ha ridato la speranza e la gioia di vivere?
? Maria Maddalena cercava Gesù in un certo modo e lo incontrò di nuovo in un altro modo. Come avviene oggi questo nella nostra vita?


5) Preghiera finale

O Dio, tu sei il mio Dio,
all'aurora, ti cerco,
di te ha sete l'anima mia,
a te anela la mia carne,
come terra deserta, arida, senz'acqua. (Sal 62)
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23/07/2014 07:31
 
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Nel brano di Gv 15,1-8 Gesù scongiura i suoi amici di rimanere in lui, nel suo amore, per portare molto frutto e per godere la gioia in pienezza. L'espressione dominante di questo testo è "rimanere in", che ricorre sette volte.
Gesù si presenta come la vite della verità: in questo modo afferma di essere il Cristo, il profeta definitivo atteso dagli ebrei e la fonte della rivelazione piena e perfetta.
Nell'Antico Testamento la vite ha simboleggiato il popolo d'Israele.
Il salmo 80 canta la storia del popolo di Dio utilizzando l'immagine della vite che Dio ha divelto dall'Egitto per trapiantarla in Palestina, dopo averle preparato il terreno.
La presentazione del Padre, come l'agricoltore che coltiva la vite identificata con Gesù, richiama il canto d'amore di Isaia 5,1-7 nel quale il Signore è descritto come il vignaiolo che cura la casa d'Israele.
La vite-Gesù produce numerosi tralci; non tutti però danno frutto. Il portare frutto dipende dal rapporto personale del discepolo con Gesù, dall'unione intima con il Cristo. L'opera purificatrice di Dio nei discepoli di Gesù ha come scopo una fecondità maggiore.
Dio purifica i discepoli dal male e dal peccato per mezzo della parola di Gesù. Per Giovanni la purificazione è legata alla parola di Cristo, cioè all'adesione, per mezzo della fede, alla sua rivelazione.
Gesù parla della mutua immanenza tra lui e i suoi amici. Nel passo finale del discorso di Cafarnao, egli aveva fatto dipendere questa comunione perfetta tra lui e i suoi discepoli dal mangiare la sua carne e dal bere il suo sangue (Gv 6,56). La finalità della comunione intima con Gesù, il frutto che ogni tralcio deve portare è la salvezza.
L'uomo separato da Cristo, che è la fonte della vita, si trova nell'incapacità di vivere e operare nella vita divina. Senza l'azione dello Spirito Santo è impossibile entrare nel regno di Dio (Gv 3,5); senza l'attrazione del Padre, nessuno può andare verso il Cristo e credere in lui (Gv 6,44.65).
Come il mondo incredulo si trova nell'incapacità totale di credere (Gv 12,39) e di ricevere la Spirito della verità (Gv 14,17), così i discepoli, se non rimangono uniti al Cristo, non possono operare nulla
sul piano della fede e della grazia (v. 5).
Chi non rimane in Cristo, vite della verità, non solo è sterile, ma subirà la condanna del giudizio finale (v. 6).
Una conseguenza benefica del rimanere in Gesù è l'esaudimento delle preghiere dei discepoli da parte del Padre. L'unione intima e profonda con Gesù rende molto fecondi nella vita di fede e capaci di glorificare Dio Padre (v. 8).
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24/07/2014 08:08
 
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Gesù parla in parabole, un linguaggio semplice ed enigmatico nello stesso tempo, perché non intende costringere nessuno, ma responsabilizzare le libertà.
Gesù viene a rivelare il mistero di Dio e Dio è necessariamente sorprendente, poiché è “Altro” da noi e così può avvenire che lo si aspetti all’interno di uno spettacolo grandioso e impressionante. Invece Gesù, che è il Figlio, la sua immagine perfetta, appare in forma umiliata, come un seme, nascosto sotto terra. Siccome, però, è seme, porta in sé la forza della vita.
Ora, Gesù ha trovato occhi che si chiudevano per non vedere e cuori che resistevano per non essere risanati. I misteri di Dio non attraggono coloro che chiedono soltanto buoni vantaggi terreni.
Questo spiega quella frase così ostica alle orecchie di tanti ascoltatori di oggi: “A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”. “Avere” o “non avere” non si riferiscono qui alle cose: non è questione di possesso o di povertà. Piuttosto è l’autodecisione della persona ad essere chiamata in questione. Chi “ha” apertura di cuore, avrà altro dono (al possesso dell’antica alleanza si aggiungerà la ricchezza della nuova); chi “non ha” questo cuore aperto alla trascendente sorpresa di Dio - (non è possibile che questo povero Gesù sia “Dio con noi”!) - perderà tutto.
Oggi, come allora, se le nostre libertà si difendono da Dio - non gli permettono di essere diverso da noi, non gli concedono che i suoi misteri siano più alti dei nostri pensieri -, egli non le viola; se si aprono a lui egli le invade.
Alla gratuità sovrabbondante della parola di Dio venuta in carne può realmente opporsi il rifiuto pregiudiziale dell’uomo che la vota alla nullità.
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25/07/2014 06:55
 
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Viene Gesù. Lui è vero uomo. Come vero uomo cosa dice di se stesso? Che Lui dona la vita per il riscatto di molti. È questa la sublime novità che ci porta il Vangelo. Gesù è vero Redentore, vero Salvatore, perché capace di liberare non un solo uomo, ma tutti gli uomini dal peccato e dal potere delle tenebre. Lui è il solo che possa fare questo. Nessun altro lo potrà mai fare, perché ogni altro ha bisogno lui di essere riscattato e per lui valgono le parole del salmo: nessuno potrà mai riscattare la sua vita.

Giacomo e Giovanni di certo non hanno ancora compreso nulla del mistero di Cristo Gesù. Cristo Gesù non li ha chiamati perché governino sugli uomini, bensì per farne dei "redentori" e dei "salvatori" in Lui, con Lui, per Lui. Vi è un solo modo per essere "redentori", salvatori", offrire la propria vita in riscatto per gli altri. Vi è infinita differenza tra offrire la propria vita e dominare e opprimere gli altri. La vita si offre prendendo l'ultimo posto, facendosi il servo di tutti, prendendo sulle proprie spalle il peccato del mondo ed espiandolo con una carità sino alla fine.

Per chi vuole dare la vita in riscatto, il posto è sempre uno: quello del servo, qualsiasi ministero o ufficio gli venga assegnato da Dio. Questo Gesù ha fatto. Questo dovrà fare ogni suo discepolo. Non c'è posto nel suo regno per quanti non vogliono servire e non vogliono essere "redentori, salvatori" come Lui, seguendo il suo esempio.
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26/07/2014 07:18
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Matteo 13,24-30

1) Preghiera

Dio dei nostri padri, che ai santi Gioacchino e Anna
hai dato il privilegio di avere come figlia
Maria, madre del Signore,
per loro intercessione concedi ai tuoi fedeli
di godere i beni della salvezza eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 13,24-30
In quel tempo, Gesù espose alla folla un'altra parabola: "Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò.
Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania?
Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio".


3) Riflessione

- Il vangelo di oggi ci parla della parabola del grano. Sia nella società come nelle comunità e nella nostra vita di famiglia e personale, si intrecciano qualità buone ed incoerenze, limiti ed errori. Nelle comunità si riuniscono persone di diverse origini, ciascuna con la sua propria storia, con il suo vissuto, la sua opinione, i suoi aneliti, le sue differenze. Ci sono persone che non sanno convivere con le differenze. Vogliono essere giudici degli altri. Pensano che solo loro sono nel giusto, e che le altre sono nell'errore. La parabola del grano e della zizzania ci aiuta a non cadere nella tentazione di escludere dalla comunità coloro che non pensano come noi.
- Lo sfondo della parabola del grano e della zizzania. Per secoli, a causa dell'osservanza delle leggi della purezza, i giudei erano vissuti separati dalle altre nazioni. Questo isolamento li aveva marcati. Anche dopo essersi convertiti, alcuni continuavano a seguire questa osservanza che li separava dagli altri. Volevano la purezza totale! Qualsiasi segno di impurità doveva essere estirpato in nome di Dio. "Il peccato non può essere tollerato" dicevano alcuni. Ma altri, come per esempio Paolo, insegnavano che la nuova legge che Gesù chiedeva di osservare, diceva il contrario! "Il peccato non può essere tollerato, ma bisogna essere tolleranti con il peccatore!"
- Matteo 13,24-26: La situazione: grano e zizzania crescono insieme. La parola di Dio che fa nascere la comunità è buon seme, però nelle comunità a volte ci sono cose contrarie alla parola di Dio. Da dove vengono? Ecco la discussione, il mistero, che conduce a ricordare la parabola del grano e della zizzania.
- Matteo 13,27-28a: L'origine della mescolanza che c'è nella vita. Gli operai chiesero al padrone: "Signore, non seminasti il buon seme nel tuo campo? Come mai ora c'è zizzania?" Il padrone risponde. Un nemico ha fatto questo. Chi è questo nemico? Il nemico, l'avversario, satana o diavolo (Mt 13,39), è colui che divide, che allontana dalla buona strada. La tendenza alla divisione esiste nella comunità e in ognuno di noi. Il desiderio di dominare, di approfittarsi della comunità per essere più importanti e tanti altri desideri interessati dividono, sono il nemico che dorme in ognuno di noi.
- Matteo 13,28b-30: La reazione diversa dinanzi all'ambiguità. Dinanzi a questa mescolanza di bene e di male, gli operai vogliono eliminare la zizzania. Pensavano: "Se lasciamo tutto nella comunità, perdiamo la nostra ragione d'essere! Perdiamo l'identità!" Volevano mandare via coloro che pensavano essere diversi. Ma non è questa la decisione del Padrone della terra. Lui dice: "Lasciate che l'uno e l'altra crescano insieme fino alla mietitura!" Ciò che è decisivo non è ciò che ognuno parla e dice, ma ciò che ognuno vive e fa. Dio ci giudicherà per il frutto che produciamo (Mt 12,33). La forza e il dinamismo del Regno si manifesteranno nella comunità. Pur essendo piccola e piena di contraddizioni, è un segno del Regno. Ma non è la padrona o la proprietaria del Regno, né può considerarsi totalmente giusta. La parabola del grano e della zizzania spiega il modo in cui la forza del Regno agisce nella storia. E' necessario fare una scelta chiara per la giustizia del regno, e nello stesso tempo, insieme alla lotta per la giustizia, avere pazienza ed imparare a vivere e a dialogare con le differenze e con le contraddizioni. Quando avverrà la mietitura avverrà la separazione.
- L'insegnamento in parabole. La parabola è uno strumento pedagogico che si serve della vita di ogni giorno per indicare che la vita ci parla di Dio. Diventa una realtà e rende contemplativo lo sguardo della gente. Una parabola tende verso le cose della vita, e per questo è un insegnamento aperto, perché tutti abbiamo qualche esperienza delle cose della vita. L'insegnamento in parabole fa sì che la persona parta dalle esperienze che ha: seme, luce, pecora, fiore, uccello, padre, rete, piccoli, pesce, etc. Così la vita di ogni giorno diventa trasparente, rivelatrice della presenza e dell'azione di Dio. Gesù non soleva spiegare le parabole. Ne lasciava aperto il senso, non lo determinava. Segno questo, che credeva nella capacità della gente di scoprire il senso della parabola partendo dalla sua esperienza di vita. Ogni tanto, a richiesta dei discepoli, lui spiegava il senso (Mt 13,10.36). Per esempio, come fa con la parabola del grano e della zizzania (Mt 13,36-43).


4) Per un confronto personale

- Come si manifesta oggi nella nostra comunità la mescolanza tra grano e zizzania? Quali conseguenze per la nostra vita?
- Guardando nello specchio della parabola, con chi mi sento più in sintonia: con gli operai che vogliono raccogliere la zizzania, o con il padrone del campo che ordina di aspettare il tempo della mietitura?


5) Preghiera finale

L'anima mia languisce
e brama gli atri del Signore.
Il mio cuore e la mia carne
esultano nel Dio vivente. (Sal 83)
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27/07/2014 07:30
 
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don Michele Cerutti
Il Regno di Dio nella concretezza di tutti i giorni

In queste domeniche del tempo ordinario ci stiamo soffermando sulla lettura continua del Vangelo di Matteo al capitolo 13. Filo comune di questo capitolo è: l'urgenza del Regno. Questo Regno si realizza, ma giungerà a compimento nel giudizio universale. Siamo invitati ancora una volta a catapultarci e proiettarci nella realtà delle dimensioni ultime.
La scelta individualistica che rischia di assorbirci e quella materialistica del consumo porta molto spesso a una prospettiva molto limitata del nostro tempo che ci impedisce di guardare all'orizzonte delle realtà ultime. Dall'altro lato c'è il rischio opposto, quello derivante da un certo spiritualismo disincarnato che vive la prospettiva escatologica in maniera catastrofista. Una visione che ci porta a chiuderci come cristiani in un mondo poco aperto agli altri, ma sempre in una dimensione di giudizio.
Il Vangelo di oggi e di queste domeniche ci invita a guardare con occhi non superficiali, ma profondi la realtà delle cose ultime. Questa realtà si costruisce già qui su questa terra implorando a Dio quella capacità di discernimento sulla nostra vita per evitare di sbandare sull'esempio di Salomone, come possiamo leggere dalla prima lettura. Questo Re ha avuto la forza di chiedere per sé non il potere, non oro e ricchezza, ma nel suo incarico ha chiesto luce a Dio per un discernimento che lo portava ad una saggezza nel suo governare. Anche a noi è richiesto di implorare Dio per avere quel coraggio e quella forza di illuminarci nelle nostre scelte di vita per anticipare già su questa terra il Regno di Dio che è un Regno di giustizia.
Questo Regno è per tutti. La prima lettura ci parla di un Re, ma nel capitolo 13 di Matteo le categorie sociali sono diverse: il contadino, il mercante, la massaia. Tutti siamo chiamati a costruire il Regno. E' un principio fondamentale e imprescindibile. Tutti i battezzati sono chiamati a costruire il Regno di Dio in forza di quella regalità sacerdotale che è di tutti coloro che hanno ricevuto il Battesimo.
Ci sentiamo coinvolti? Comprendiamo questa responsabilità?
Tutti siamo predestinati ad essere conformi al Figlio. La Parola di Dio in questo brano evangelico ci dice che il Regno non si costruisce dietro a grandi progetti. Una dracma trovato in un campo, un granello di senapa gettato a terra. Pensiamo sempre a grandi sistemi rischiando di scivolare sulle realtà piccole.
Madre Teresa di Calcutta affermava: "occorre fare piccole cose, ma con grande amore". Lo diceva una Santa che ha fatto veramente tanto per i poveri e la cui fama si è diffusa in tutto il mondo. Ha operato però nella quotidianità, nella vita di tutti i giorni. I santi sono uomini e donne con i piedi per terra essendo espressione dell'amore di Dio per l'umanità. E' facile pensare ai santi da calendario, ma pensiamo ai santi di oggi, vi assicuro che sono tanti. Queste sono persone che vivono in pienezza e con forte consapevolezza la storia, sia le loro vicende personali che quelle di chi hanno accanto. E' il richiamo alla concretezza, alla storia, il luogo dove il discepolo del Signore deve orientare tutta la sua attenzione ed il suo impegno.
Il mondo d'oggi ha bisogno di santi così. Non persone che giudicano gli altri e danno lezioni su come si debba vivere, ma persone aperte a tutti, amano gli altri, accettano il mondo e per il mondo diventano una autentica speranza. La speranza che viene dal mistero di Cristo che ci ha inseriti nella vita di Dio, il Santo! Non sono necessari, per vivere la spiritualità coniugale, i grandi gesti; bastano i piccoli gesti di amore, di tenerezza, di servizio, che ritmano la vita quotidiana La spiritualità della famiglia è una spiritualità di servizio alla vita, ai piccoli, agli anziani, agli handicappati, agli ammalati; diviene così un servizio educativo, un servizio alla società civile, un servizio alla comunità ecclesiale.
Il Concilio Vaticano II nel decreto sui Laici così si esprime:"Poiché il creatore di tutte le cose ha costituito la società coniugale quale principio e fondamento della società umana, e con la sua grazia l'ha resa sacramento grande in Cristo e nella chiesa, l'apostolato dei coniugi e delle famiglie acquista una singolare importanza sia per al chiesa sia per la società civile.... La famiglia ha ricevuto da Dio questa missione affinché sia la prima e vitale cellula della società... fra le varie opere dell'apostolato familiare si possono enumerare le seguenti: adottare come figli i bambini abbandonati, accogliere con benevolenza i forestieri, dare il proprio contributo nella direzione delle scuole, assistere gli adolescenti con il consiglio e con mezzi economici, aiutare i fidanzati a prepararsi meglio al matrimonio, collaborare alla catechesi, sostenere i coniugi e le famiglie che si trovano in difficoltà materiale e morale, provvedere ai vecchi non solo il necessario, ma anche renderli partecipi equamente dei frutti del progresso economico." .
Essere attenti ai piccoli segni trasmessi da chi ci sta intorno per costruire con priorità il Regno di Dio. Ringraziamo il Signore del suo meraviglioso disegno a riguardo di ciascuno di noi e siamo pieni di gioia e di fiducia che egli lo compirà se ci abbandoniamo a lui.
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28/07/2014 07:18
 
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Mt 13,31-35

Le due parabole che Gesù ci fa ascoltare oggi hanno un tratto in comune: entrambe mettono in evidenza la potenza della vita divina in noi.
Il regno di Dio è paragonabile ad un seme. Noi abbiamo ricevuto nel battesimo questa vita che fa di noi dei figli di Dio. Ciò che ci è stato dato in germe contiene già tutte le virtualità che appariranno a poco a poco nel corso della nostra vita.
Nelle due parabole abbiamo una realtà nascosta: il seme è sprofondato nella terra, il lievito nella farina. Ciò simboleggia la natura segreta della vita che ci è stata data. L’averci Dio creati, nell’intimo del nostro essere, a sua somiglianza fa sì che siamo sprofondati e celati in lui, con Cristo. Realtà misteriosa la cui fecondità dipende dalla nostra risposta.
Come la terra ha una parte nella crescita del seme, come la pasta si forma grazie all’azione del lievito, così noi dobbiamo offrire alla segreta presenza del regno in noi la cooperazione della nostra fede, della nostra speranza e della nostra carità. Allora la vita della grazia si sviluppa con una straordinaria potenza, come stanno a significare l’albero nella prima parabola e le tre misure di farina che fanno lievitare tutta la pasta nella seconda. La potenza dispiegata in questa crescita testimonia l’azione di Dio nei suoi doni. È lui che opera, e la sua azione tanto più si manifesta quanto più glielo consente la nostra generosità. Spuntano allora i frutti di questa crescita: ecco l’albero alto su cui vanno a fare il nido tutti gli uccelli, albero che è simbolo dell’apostolato del cristiano, ma anche, in modo più nascosto, nella comunione dei santi, dell’inestinguibile e misteriosa fecondità che Dio accorda ai suoi figli. Questi frutti non sono necessariamente noti agli uomini, nemmeno a colui cui sono stati concessi. Infatti sono della stessa natura del seme e non di rado sono anch’essi nascosti. Gli uccelli stessi non sanno a quale seme devono il loro rifugio, ma sono là e questo basta loro. Il Signore invece ci conosce, vede la nostra fede, il nostro desiderio di diventare santi, la nostra incapacità di riuscirci se non donandoci al fuoco inebriante del suo amore. Che questa Eucaristia possa nutrire in noi la vita divina, permettendo così all’albero della nostra grazia battesimale di crescere, per la gloria di Dio e la gioia dei nostri fratelli.
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29/07/2014 09:14
 
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Riccardo Ripoli
Tuo fratello risusciterà

Ci sono dei momenti in cui è difficile andare avanti, tanti i problemi da risolvere, il lavoro che manca, la moglie o il marito che se ne vanno di casa, i figli che si perdono o muoiono. La disperazione in certi periodi della vita è tale e tanta che si ha come l'idea di essere morti, non si ha più voglia di reagire, di combattere, di andare avanti. Camminiamo senza nemmeno avere la forza di piangere, il nostro cuore batte ma è solo una formalità, quasi un dispiacere, che ci separa dalla morte reale, unica consolazione al nostro stato d'animo.
In certi momenti non abbiamo nemmeno la forza di pregare, di chiedere aiuto a Dio, di alzare gli occhi al cielo perché il pessimismo ha pervaso anche la nostra anima.
Ma se nella vita abbiamo seminato anche un solo piccolo semino, se c'è almeno una persona alla quale sta a cuore il nostro bene, qualcuno che almeno abbia pietà di noi nel vederci incedere con la coda fra le gambe e chiede aiuto al Signore a nome nostro, la resurrezione sarà certa. Si può morire dentro pur restando vivi fisicamente, ma dietro ogni angolo della nostra vita può esserci la ripresa, qualcosa che ci dia un motivo per andare avanti, per tornare tra i vivi, per ricominciare a lottare. Bisogna solo crederci, o avere qualcuno che creda per noi.
Quante storie di maltrattamento sui bambini ho sentito raccontare, quante relazioni ho letto ed ogni volta è un pugno nello stomaco che mi fa male ed il dolore resta in me perché il male che hanno fatto a quei bambini lo sento sulla mia pelle e diventa parte integrante delle mie esperienze, come lo avessi vissuto. Vedo bambini rassegnati ad una vita di violenza, abbandono, abuso perché solo questo hanno conosciuto e pensano che il mondo sia così. Quanto potere abbiamo noi affidatari, abbiamo la possibilità di operare quel miracolo di cui ci parla Gesù, resuscitare una creatura data per morta, far venire fuori dal sepolcro un fanciullo semplicemente chiamandolo alla vita, una resurrezione voluta ed operata da Dio per nostro tramite. Basta crederci ed ognuno può far risorgere un bimbo attraverso l'affido.
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