È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!
Nuova Discussione
Rispondi
 

MEDITIAMO LE SCRITTURE (anno A)

Ultimo Aggiornamento: 04/12/2014 07:14
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
28/04/2014 08:01
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

padre Lino Pedron


Dopo la descrizione dei rapporti di Gesù con i giudei, il vangelo introduce il personaggio che ne è il rappresentante tipico: Nicodemo. Egli è un uomo ragguardevole che in seguito prenderà le difese di Gesù (cfr Gv 7,50ss) e darà onorata sepoltura al corpo di Cristo (cfr Gv 19,39ss).
L'incontro di Nicodemo con Gesù avviene di notte, forse per timore dei giudei, forse perché i rabbini studiavano la Legge nelle ore notturne. Ma più probabilmente il cenno alla notte vuole alludere alle tenebre dell'incredulità di Nicodemo. Al contrario, il dialogo di Gesù con la samaritana avviene nell'ora sesta (Gv 4,6), in pieno meriggio, nell'ora in cui il sole sfolgora maggiormente. Nel vangelo di Giovanni le indicazioni cronologiche possono avere un significato teologico.
Per scoprire il mistero di Gesù e aderire alla sua persona è necessario essere generati nuovamente dall'alto. L'avverbio ànothen è intenzionalmente ambiguo. Il dialogo con Nicodemo si sviluppa su questo equivoco: nascere di nuovo dalla madre e nascere dall'alto, da Dio.
"Vedere il regno di Dio" ed "entrare nel regno di Dio" nel vangelo di Giovanni sono espressioni che significano sperimentare la presenza salvifica di Gesù, entrare in comunione vitale con la sua persona, riconoscerlo nella fede come Messia e Figlio di Dio.
Gesù spiega a Nicodemo che la vita nuova non è una seconda nascita dalla madre, ma una nascita dallo Spirito. Questa persona divina, suscitando nel cuore la fede profonda ed esistenziale nel Figlio incarnato, trasforma le creature umane in figli di Dio (cfr Gv 1,12-13). La carne, ossia la natura umana nella sua fragilità e caducità, può generare solo esseri carnali. Lo Spirito Santo invece genera degli esseri spirituali, che sono i figli di Dio.
La fede esistenziale in Gesù, Figlio di Dio, è il prodotto dell'azione dello Spirito. L'esempio del vento, che per gli antichi rappresentava un autentico mistero, serve come illustrazione del tema della necessità della rinascita dallo Spirito.
Anche in natura esistono misteri che superano la mente umana; non deve meravigliare che esistano dei misteri nell'agire di Dio. Il frutto dello Spirito sorpassa tutte le capacità della natura umana. I figli di Dio trascendono la carne, quanto lo Spirito supera le leggi della natura.
OFFLINE
29/04/2014 08:26
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

L'attesa dello Sposo

Lettura
Il testo, prescritto per la festa odierna di santa Caterina, vergine e dottore della Chiesa, parla di dieci vergini, in attesa dello sposo con la sposa e dell'inizio della festa nuziale. Esse sono divise in due gruppi: cinque stolte e cinque prudenti. Le stolte, diversamente dalle prudenti, non hanno previsto la possibilità del ritardo dello sposo e, quindi, non hanno pensato di portare con sé una scorta d'olio. Svegliate dal sonno, a motivo dell'annuncio dell'arrivo degli sposi, le dieci vergini mettono in ordine le loro lampade. Nel fare questo, le stolte constatano che le loro lampade minacciano di spegnersi. È troppo tardi: devono subire le conseguenze del loro comportamento stolto, fino a trovarsi davanti alla porta chiusa della casa, dove gli sposi sono entrati, accompagnati dal corteo illuminato con le lampade delle sole vergini prudenti. Quella porta, per le stolte, non si aprirà! La parabola si conclude con un'esortazione all'attesa vigilante.

Meditazione
Santa Caterina è il modello di una vita improntata all'attesa vigilante dello Sposo. L'Antico Testamento contiene una tradizione che identifica Dio con lo sposo di Israele. Per esempio, a Gerusalemme viene detto che «tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome» (Is 54,5) e, al popolo di Dio, che «in quel giorno [...] mi chiamerai Marito mio» (Os 2,18). Nel Nuovo Testamento, lo sposo è Gesù (cfr., ad esempio, Mt 9,15; Gv 3,29). Lo sposo della parabola è, quindi, il Figlio dell'uomo. Le dieci vergini diventano modelli rispettivamente negativi e positivi di comportamento nei confronti della sua venuta.
Le vergini, per andare incontro allo Sposo, devono uscire, devono compiere un esodo. L'esistenza umana è una continua uscita: ha inizio quando si esce dal grembo della madre, prosegue nell'uscire verso ciò che continuamente diventiamo e culmina nell'uscire dalla vita terrena per incontrare la nostra vita, «nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3).
Il nostro futuro, quindi, è l'incontro con lo Sposo; ma questo si realizza per chi vive di quell'olio che rimane in eterno. L'olio è simbolo della luce eterna. La vita dell'eterno incontro tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, delle tre Persone nell'unità, è nella luce inaccessibile. In questa vita l'accesso è aperto per chi, istruito dalla grazia, aspetta la beata speranza e la venuta del nostro Signore Gesù Cristo (cfr. Tt 2,12-13).

Preghiera:
«O Trinità [...]; tu lume, dona a noi lume [...]. Dio eterno, si dissolva la nuvila nostra, acciocché perfettamente cognosciamo e seguitiamo, in verità, la verità tua (S. Caterina).

Agire:
Mi esaminerò sulla mia attenzione e attesa riguardo all'incontro quotidiano con il Signore.

Commento a cura di don Nunzio Capizzi
OFFLINE
30/04/2014 08:09
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

padre Lino Pedron

commento a Gv 3,16-21
Questi pochi versetti esprimono molto bene il carattere universale della salvezza operata dal Cristo, che trova la sua origine nell'iniziativa misteriosa dell'amore di Dio per gli uomini. Il fatto che il Padre ha mandato a noi il suo Figlio per salvarci è la più alta manifestazione di Dio che è Amore (cfr 1Gv 4,8-16).
La missione di Gesù è quella di portare agli uomini la salvezza: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chi crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (v.16). La scelta fondamentale dell'uomo è questa: accettare o rifiutare l'amore del Padre che si è rivelato in Cristo. Questo amore non giudica e non condanna il mondo, ma lo salva: "Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui" (v. 17).
Il giudizio è un fatto attuale: avviene nel momento in cui l'uomo si incontra con Gesù. Chi crede, aderendo esistenzialmente alla persona del Figlio di Dio, non è giudicato; chi lo rigetta è già giudicato e condannato al presente, perché ha rifiutato Dio.
Chi accetta Gesù evita la perdizione e ottiene la vita, chi invece lo rifiuta è già condannato perché si autoesclude dalla salvezza eterna. Chi rifiuta il Salvatore, rifiuta la salvezza.
Le opere del mondo sono malvagie perché ispirate dal maligno. Il mondo è completamente in balia del maligno se non va verso Gesù. La radice di queste opere maligne è la mancanza di fede in Gesù. Chi è sotto l'influsso del maligno odia Gesù, luce del mondo, e non vuole aderire alla sua persona perché aderisce al demonio.
"Chi fa la verità" è l'opposto di "chi fa il male". Fare la verità è assimilare la rivelazione di Gesù. La fede in Gesù è dono del Padre e ha come scopo la vita di comunione con Dio. Le opere del discepolo sono fatte in Dio (v. 21) perché hanno la loro origine nel Padre. Dio è l'origine e il fine della vita di fede.
OFFLINE
01/05/2014 07:24
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

a cura dei Carmelitani
Commento Matteo 13,54-58

1) Preghiera

O Dio, che nella tua provvidenza
hai chiamato l'uomo a cooperare con il lavoro
al disegno della creazione,
fa' che per l'intercessione e l'esempio di san Giuseppe
siamo fedeli alle responsabilità che ci affidi,
e riceviamo la ricompensa che ci prometti.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 13,54-58
In quel tempo, Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: "Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi?
Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?" E si scandalizzavano per causa sua.
Ma Gesù disse loro: "Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua". E non fece molti miracoli a causa della loro incredulità.


3) Riflessione

? Oggi festa di San Giuseppe operaio, il vangelo descrive la visita di Gesù a Nazaret, sua città natale, dove lui visse 30 anni e dove imparò da Giuseppe, suo padre, il mestiere di falegname. Il passaggio da Nazaret fu doloroso per Gesù. La sua comunità non era più come quella di prima. Qualcosa era cambiata. Nel Vangelo di Marco, questa esperienza di rifiuto da parte della gente di Nazaret (Mc 6,1-6ª) condusse Gesù a cambiare la sua prassi pastorale. Manda i suoi discepoli in missione e li istruisce su come relazionarsi con le persone (Mc 6,6b-13).
? Matteo 13,54-57ª: Reazione della gente di Nazaret dinanzi a Gesù. Gesù crebbe a Nazaret. Quando iniziò la sua predicazione errante, uscì da lì e fissò la sua dimora a Cafarnao (Mt 4,12-14). Dopo questa lunga assenza, ritornò verso la sua terra e, come era sua abitudine, nel giorno di sabato si recò alla riunione della comunità. Gesù non era coordinatore, ma prese la parola e cominciò ad insegnare alla gente che si trovava nella sinagoga. Segno questo, che le persone potevano partecipare ed esprimere la loro opinione. Ma alla gente le sue parole non piacquero. Il Gesù che loro avevano conosciuto fin dalla sua infanzia, non sembrava ora essere lo stesso. Perché era diventato così diverso? A Cafarnao la gente accettava l'insegnamento di Gesù (Mc 1,22), ma qui a Nazaret la gente si scandalizzava. Loro dicevano: "Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?" Loro non accettavano il mistero di Dio presente in un uomo comune come loro! Per poter parlare di Dio, Gesù doveva essere diverso da loro! Non daranno testimonianza di credere in lui. Non tutto andò bene per Gesù. Le persone che dovevano essere le prime ad accettare la Buona Novella di Dio, queste erano le persone meno disposte ad accettarla. Il conflitto non era solo con quelli di fuori di casa, ma anche e sopratutto con i propri parenti e con tutta la gente di Nazaret.
? Matteo 13,57b-58: Reazione di Gesù dinanzi all'atteggiamento della gente di Nazaret. Gesù sa molto bene che "nessuno è profeta nella sua patria". Ed infatti lui dice: "Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria ed a casa sua". Infatti, lì dove non c'è apertura né fede, nessuno può fare nulla. Il preconcetto lo impedisce. E Gesù stesso, pur volendo, non poteva fare nulla. Il vangelo di Marco lo dice chiaramente: "E non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità" (Mc 6,5-6).
? I fratelli e le sorelle di Gesù. L'espressione "fratelli e sorelle di Gesù" causa molta polemica tra cattolici e protestanti. Basandosi su questo e su altri testi, i protestanti dicono che Gesù ebbe molti fratelli e sorelle e che Maria ebbe altri figli! I cattolici dicono che Maria non ebbe altri figli. Cosa pensare di tutto ciò? In primo luogo, le due posizioni, sia quella dei cattolici che dei protestanti, traggono i loro argomenti dalla Bibbia e dalla Tradizione delle loro rispettive Chiese. Per questo, non conviene trattare né discutere questa questione con argomenti puramente intellettuali. Si tratta infatti di convinzioni profonde, che hanno a che fare con la fede e con i sentimenti di ambedue i gruppi. Le argomentazioni puramente intellettuali non riescono a disfare una convinzione del cuore! Anzi irritano solo e allontanano! Ma quando non sono d'accordo con l'opinione di un'altra persona, devo rispettarla. In secondo luogo, invece di battagliare attorno ai testi, noi tutti, cattolici e protestanti, dovremmo unirci molto di più per lottare in difesa della vita, creata da Dio, vita così sfigurata dalla povertà, dall'ingiustizia, dalla mancanza di fede, dalla mancanza di rispetto verso la natura. Dovremmo ricordare altre frasi di Gesù: "Sono venuto affinché tutti abbiano vita, e vita in abbondanza" (Gv 10,10). "Che tutti siano uno, affinché il mondo creda che Tu, Padre, mi hai inviato" (Gv 17,21).


4) Per un confronto personale

? Gesù ebbe problemi con la sua gente. Da quando tu hai cominciato a partecipare alla comunità, è cambiata qualcosa nei rapporti con la tua gente?
? Gesù non poté fare molti miracoli a Nazaret. Perché la fede è così importante? Forse Gesù non poteva fare miracoli senza la fede delle persone? Cosa significa questo oggi per me?


5) Preghiera finale
Prima che nascessero i monti
e la terra e il mondo fossero generati,
da sempre e per sempre tu sei, Dio. (Sal 89)
OFFLINE
02/05/2014 07:20
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

padre Lino Pedron


Il miracolo della moltiplicazione dei pani ci introduce al grande discorso sul pane della vita, anticipandone i temi principali. Il racconto è importante perché tutti gli evangelisti lo riportano e lo mettono al centro dell'attività pubblica di Gesù.
Il brano rivela un preciso significato Cristologico e sacramentale, che non è tanto quello di sfamare la folla, ma di rivelare la gloria di Dio in Gesù, Parola fatta carne.
Il lago di Galilea è chiamato mare di Tiberiade dal nome della città costruita negli anni 14-36 d. C. dal tetrarca Erode Antipa in onore dell'imperatore Tiberio.
La grande folla che segue Gesù e parteciperà al prodigio straordinario della moltiplicazione dei pani, il giorno dopo rifiuterà la rivelazione del Figlio di Dio. Il seguire Gesù per vedere dei miracoli non è indice di una fede autentica.
Nella tradizione biblica Dio si è rivelato soprattutto su un monte: il Sinai (Es 19-20). Anche il rivelatore definitivo di Dio, Gesù, si manifesta sopra un monte. Questa specificazione ha soprattutto un valore teologico.
Prima di dare inizio al segno-miracolo, Giovanni precisa che "era vicina la Pasqua, la festa di giudei" (v. 4). Per l'evangelista e la comunità cristiana, che rilegge il fatto alla luce della risurrezione, questa precisazione cronologica serve come richiamo alla Pasqua cristiana, simboleggiata dal pane spezzato, che affonda le sue radici nel ricordo della Pasqua ebraica e nei miracoli che l'accompagnarono. In Gesù si compie il passato e si realizza ogni speranza di Israele. Il pane che egli sta per donare al popolo porta a perfezione la Pasqua ebraica facendola confluire nel grande banchetto eucaristico cristiano.
Con le parole di Gesù a Filippo: "Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?", l'evangelista sembra ispirarsi alle parole che Mosè rivolse al Signore: "Da dove prenderei la carne da dare a tutto questo popolo?" (Nm 11,13).
Gesù rivolge questa domanda a Filippo per metterlo alla prova. Si presenta fin dall'inizio il tema della fede, di cui è permeato tutto il capitolo sesto. La risposta di Filippo mette in evidenza che perfino un acquisto rilevante di pane sarebbe stato insufficiente per sfamare tante persone. La soluzione umana non basta a saziare i bisogni dell'uomo. E' Gesù che appaga in pienezza ogni necessità e aspirazione: con cinque pani sfama cinquemila persone e ne avanzano dodici ceste (v. 13).
Giovanni specifica che i pani erano di orzo per indicare che si tratta del pane dei poveri e per rievocare l'analogo prodigio operato da Dio per mezzo del profeta Eliseo (2Re 4,42ss).
Tutti mangiarono a sazietà. La frase: "Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto" vuole sottolineare il carattere sacro del pane avanzato, perché viene visto in prospettiva eucaristica, come segno della carne di Cristo. Il pane di Gesù, a differenza della manna nel deserto (cfr Es 16,20), viene raccolto perché non si corrompa.
Il numero dodici potrebbe essere riferito agli apostoli: ne raccolsero una cesta ciascuno; ma più probabilmente indica la perfezione e la completezza del pane eucaristico, che può saziare la fame spirituale non solo dei cinquemila ma di tutti gli uomini.
La folla riconosce Gesù come il profeta atteso per la fine dei tempi (Es 4,1-9). Ma il testo fa capire che l'entusiasmo della folla è di carattere politico. E poiché la sua regalità è fraintesa dalla folla, Gesù si ritira da solo sul monte. Da questo momento ha inizio il progressivo ridursi della folla narrato in questo capitolo, finché Gesù non rimane solo con i Dodici.
OFFLINE
03/05/2014 08:24
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

L’annuncio della partenza di Gesù dato durante l’ultima cena (Gv 13,33) provoca la domanda di Pietro: “Signore dove vai?” (Gv 13,36). Dopo aver annunciato il rinnegamento di Pietro, Gesù consola gli apostoli dicendo loro che va a preparare un posto per loro e aggiunge: “Per andare dove vado io, voi conoscete la strada” (Gv 14,4). Queste parole di Gesù hanno un duplice scopo nella mente dell’evangelista. Riportano in primo luogo all’insegnamento di Gesù, e in particolare al comandamento nuovo (Gv 13,34-35) indicando quale sia il cammino da seguire. Ma servono anche a motivare le domande di Tommaso, che provocherà una delle più belle dichiarazioni del Vangelo. In effetti Tommaso chiede: “Signore, noi non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?”. Gesù gli risponde: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,5-6). La risposta di Gesù ci rivela ancora una volta e con profondità il mistero della sua persona. Gesù Cristo, il Verbo incarnato, è la via verso il Padre. Una via unica ed esclusiva (“Nessuno va verso il Padre se non per mezzo di me”). Una via personale. Una via che si identifica con lo scopo perché egli è la verità e la vita (san Tommaso d’Aquino).
La dichiarazione di Gesù prosegue: “Se conoscete me, conoscerete anche il Padre” (Gv 14,7). Conoscere Gesù significa conoscere il Padre, Dio amore. Gli apostoli conoscono già il Padre e in qualche modo lo hanno visto nel Figlio, nel suo dono di amore. La domanda di Filippo e la riposta di Gesù (Gv 14,8-10) indicano unità tra il Padre e il Figlio, così stretta che sono parole e opere di salvezza, di amore, di dono di vita. L’opera di Gesù rappresenta la prova migliore di questa unità.
Nei tre versetti seguenti, Gesù fa due magnifiche promesse. In primo luogo promette al credente che compirà opere più grandi ancora delle sue (Gv 14,12) e poi promette di ascoltare sempre la preghiera di colui che la rivolgerà al Padre nel suo nome (Gv 14,13-14).
OFFLINE
04/05/2014 09:47
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

mons. Gianfranco Poma
Due discepoli erano in cammino

"Essi narravano le cose accadute lungo il cammino e come si era rivelato a loro nello spezzare il pane". Questa frase che conclude il racconto dell'esperienza pasquale dei due discepoli di Emmaus (Lc.24,13-35), sintetizza in modo meraviglioso il senso dell'esistenza cristiana di ogni discepolo di Gesù Cristo. Che cos'è la novità cristiana se non vivere la normalità della vita, con le gioie e le tristezze, le speranze e le angosce, illuminata, interpretata, dall'evento di Cristo che si rivela nella condivisione del pane spezzato? Il cammino di Emmaus con Lui che ci cambia la vita, è la descrizione dell'esperienza di ciascuno di noi, quando arriviamo a dirci l'un l'altro: "Il nostro cuore non ci bruciava dentro mentre parlava a noi sulla strada e ci spiegava le Scritture?".
Il cammino di Emmaus è certamente una delle pagine più belle della letteratura di ogni tempo, umanamente più intense, di una raffinata precisione e ricchezza sotto ogni aspetto: psicologia, filosofia, teologia non possono che riprenderne sempre da capo lo studio.
Luca ha costruito questo grande testo descrivendo una giornata, simbolo della vita di una comunità di persone che camminano nel mondo aprendosi gradualmente alla luce di Colui che può far passare dal non senso al senso, dalla tristezza alla gioia, pur rimanendo pienamente immersi dentro la quotidianità della vita.
La giornata descritta da Luca è "quello stesso giorno" che inaugura un tempo nuovo nel quale lo scorrere degli eventi è interrotto da un fatto imprevedibile, sperimentabile dentro la storia tanto che la riempie di senso, eppure non rinchiudibile dentro i confini dell'esperienza storica dell'uomo: la prima preoccupazione di Luca è proprio di sottolineare la concretezza dell'evento che sta narrando.
Due discepoli erano in cammino verso un villaggio di nome Emmaus... "Due discepoli": ritorna anche qui uno degli elementi caratteristici della narrazione di Luca, quello di mettere in scena due personaggi, uno dei quali è Cleopa, ma l'altro chi è? Potrebbe essere ciascuno di noi, partecipi degli stessi dubbi, delusioni di Cleopa. Un'altra ipotesi, suggestiva, è che si tratti di una donna (quella di Cleopa): la discussione animata opporrebbe la donna portata a credere a quello che le donne hanno riferito a Cleopa, decisamente più scettico. Il "cammino di Emmaus" diventa così il cammino della fede di una famiglia che arriva a riconoscere Lui nello spezzare quotidiano del pane, nella vita condivisa con Lui.
Si allontanano da Gerusalemme, la città della loro speranza, per ritornare al loro villaggio: lasciano la città del tumulto, dove si è consumato un dramma, per ritornare al villaggio della loro grigia e rassegnata abitudine.
"Conversavano tra loro di tutto ciò che era accaduto...": comincia così nella narrazione di Luca, il cammino della fede di due persone normali e al tempo stesso la raffinata novità della rielaborazione teologica che consiste nel trovare Dio nell'evento accaduto. La novità della fede cristiana non sta nel credere l'esistenza di Dio, ma nel credere l'Amore di Dio dentro l'evento concreto della storia: credere in un Dio che si incarna per Amore, che muore per Amore e che proprio annullandosi nella morte risorge alla pienezza dell'Amore. La fede cristiana è tutta nell'evento di Gesù di Nazareth, il Cristo, Figlio di Dio, evento concreto che ama sino alla morte e risorge per dar senso alla storia, per sempre, con l'Amore di Dio. La novità del messaggio evangelico sta nel narrare la ricchezza inesauribile della realtà piena di Dio, di un Dio-Amore che si incarna per innalzarsi perché Dio non è mai esauribile nella storia: è Gesù che muore e risorge, Lui che si fa riconoscere, ma non è più riconducibile alla forma di prima. È tutta la meravigliosa fatica dei Vangeli, qui di Luca, di trovare un linguaggio attraverso il quale dire una realtà nuova, quella di Gesù ormai offerto a tutti, che non è più quella sperimentabile attraverso la normalità dei sensi.
Così, "mentre i due discepoli camminavano e discutevano animatamente dell'accaduto, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro, ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo": Luca svela ai suoi lettori un fatto ancora nascosto ai due discepoli, perché mentre si aprono i loro occhi e il loro cuore, si aprano anche i nostri e si trasformi la nostra vita. Gesù si è fatto vicino e cammina con loro, ma loro sono ancora chiusi nella loro interpretazione dei fatti drammatici accaduti: sono ancora privi della "Parola", della luce per l'interpretazione piena dell'evento. Continua così la costruzione della via della fede cristiana: occorre accogliere la Parola perché l'evento appaia in tutto il suo senso.
Il cammino, adesso, si fa interiore per i due discepoli: ogni sfumatura è significativa nel cammino che il pellegrino sconosciuto fa compiere a loro. Li interroga, li provoca, acutizza il loro senso di smarrimento. Loro si fermano, e Lui fa in modo che esprimano formalmente il motivo della loro delusione in rapporto a Gesù di Nazareth: il loro modo di esprimere "l'evento Gesù", tutto al passato, mostra a quale livello di speranza umana essi lo abbiano vissuto. "Noi speravamo...": tutto è finito con l'ultima illusione: il sepolcro vuoto trovato dalle donne, visioni di angeli che dicono che Lui è vivo, verifica del sepolcro vuoto da parte di alcuni che però dicono: "Ma Lui non l'abbiamo visto".
Lui è lì, accanto a loro, ma loro "non lo conoscono": è ancora Lui, adesso, che comincia in loro la costruzione della nuova vita. Non lo vedono perché la loro intelligenza è limitata e il loro cuore è ancora chiuso agli orizzonti aperti della Parola di Dio. Ecco, la novità cristiana dilata gli orizzonti della comprensione delle Scritture, al di là delle attese del popolo di Israele: "Bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria". L'evento che alla mente umana appare come fallimento, fine di ogni speranza, quando è letto alla luce della Parola di Dio, non condizionata da precomprensioni umane, diventa la rivelazione piena della via di Dio che vuole comunicare la sua gloria all'uomo: l'evento pasquale di Gesù diventa la chiave per una lettura piena delle Scritture che parlano di un Dio che entra nella storia, mentre a sua volta la morte di Gesù mostra sino a che livello impensabile Dio è con noi perché noi possiamo entrare nella sua Gloria.
Ormai i due discepoli desiderano aprire la mente e il cuore. La solitudine diventa preghiera: "Resta con noi perché si fa sera e il giorno ormai tramonta". La fatica della giornata, simbolo della fragile, complessa drammaticità della vita, con una mente che cerca e un cuore assetato d'amore, è giunta al termine, ma nel buio che minacciava di oscurare la loro speranza si è aperto un varco, nella sera che discende si sta per accendere la luce. È bastato che lasciassero uscire il loro desiderio perché Lui, che in realtà desiderava rivelare il suo Amore per loro, rispondesse: "Egli entrò e rimase con loro", nella loro casa, nel loro cuore, nella loro vita. Adesso è a tavola "con loro": tutto ormai sottolinea questa comunione intima. Colui che camminava con loro, adesso è entrato e rimane con loro: "prendendo il pane, benedisse e spezzandolo, lo diede a loro". Sono i verbi della cena del Signore, espressivi del significato dell'evento-Gesù: esistenza accolta da Dio e a lui ridonata, spezzata per gli uomini e donata a loro.
Adesso i loro occhi si aprono, adesso conoscono chi è Colui che ormai li accompagna: conoscono nel fremito nuovo del loro cuore che l'evento che ai loro occhi ciechi sembrava fallimento, in realtà, per la loro mente aperta dalla Parola, diventa luce.
Tutto è il mistero di un Dio che vuole entrare in comunione con noi, riscaldando il nostro cuore con la follia di un Amore che si annienta per donarci tutto.
OFFLINE
05/05/2014 07:19
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Il cibo che non perisce

Lettura
Il brano presenta anzitutto la folla che, non trovando né il Maestro né i discepoli, va in cerca di Gesù (vv. 22-24). Quando lo trovano, Gesù li rimprovera di cercarlo per il pane che perisce e li esorta a darsi da fare per quello che non perisce, che porta su di sé il sigillo del Padre (vv. 25-27). Per procurarsi questo "pane" bisogna credere in lui (vv. 28-29).

Meditazione
La folla cerca Gesù e, trovatolo, parla con lui. In particolare, la gente chiede quando il Maestro sia giunto nella zona «di là dal mare» (v. 25).
Gesù non risponde alla loro domanda, ma a ciò che la muove, e sposta così l'attenzione ad un altro livello: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» (v. 26). Si può cercare Gesù solo perché garantisce il pane materiale per sopravvivere, oppure perché si è visto nel pane il segno di lui che si dona. Si può cercare il dono del Signore o il Signore del dono. La folla che seguiva Gesù si era accontentata di essere saziata, ma non aveva colto e interpretato il significato del segno. Anche la nostra vita è piena di segni divini, ma ci sforziamo di comprenderli? Desideriamo il Signore del dono o il dono del Signore?
Il Signore parla con l'intento di raddrizzare l'ambiguità della ricerca della folla, per tirarla fuori dall'orizzonte egoistico in cui essa si trova, affinché possa accogliere il cibo «che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo darà» (cfr. v. 27). La folla capisce che deve cercare il "pane che non perisce" e che deve fare uno sforzo personale. Pertanto chiede: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?» (v. 28).
Gesù risponde che c'è una sola opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato (cfr. v. 29). Dio compie in noi questa opera, dal momento che «tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me» (Gv 6,37). L'opera di Dio è attirare tutti al Figlio. Noi siamo chiamati a lasciare che Dio metta un legame tra noi e il Figlio, un legame di fede totale, in modo che ogni nostra azione sia un'occasione per staccarci da noi stessi e appoggiarci sempre più su Gesù, il Signore.

Preghiera:
Padre santo, concedici di saper cogliere i segni che ci rivolgi nel nostro vissuto quotidiano, attiraci al tuo Figlio e fa' che, nella sua carne donata per noi, riconosciamo il pane che ci comunica la vita divina.

Agire:
Durante la giornata cercherò, con fede, di prestare attenzione e di cogliere, negli incontri, nelle parole... i segni di Dio.

Commento a cura di don Nunzio Capizzi
OFFLINE
06/05/2014 07:57
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

padre Lino Pedron


I giudei pretendono di fondare la loro fede sull'esperienza di prodigi straordinari. Nella mentalità giudaica i segni sono visti nella linea delle opere e devono essere simili a quelli operati da Mosè quando liberò Israele dalla schiavitù dell'Egitto.
I galilei citano uno dei prodigi dell'esodo per indicare a Gesù in quale direzione deva operare i suoi segni per esigere la loro fede. Egli deve compiere un prodigio simile a quello della manna. Il testo più vicino alla citazione è il Sal 78,24: "Fece piovere loro la manna da mangiare e diede loro il pane del cielo".
Il cibo divino della rivelazione escatologica piena e perfetta non è dono di Mosè, ma è offerto dal Padre nel dono del suo Figlio. Questo pane dal cielo è chiamato veritiero perché contiene la verità, cioè la rivelazione definitiva della vita divina che si identifica con la persona di Gesù. Questo pane dal cielo è dunque una persona: è Gesù che dà la vita al mondo. Tutti gli uomini possono trovare vita e salvezza nel Figlio di Dio.
La replica finale dei giudei (v. 34) sembra piena di fede. In realtà non credono affatto in Gesù e intendono il pane dal cielo come alimento terreno; non hanno afferrato per nulla il senso della rivelazione del Verbo incarnato nella sua persona divina. Appena il Maestro chiarirà ulteriormente il suo pensiero, proclamandosi come il pane della vita disceso dal cielo (vv. 36 ss), i giudei manifesteranno la loro incredulità (Gv 6,41-42).
Gesù chiarisce il suo pensiero dichiarando esplicitamente di essere il pane di Dio, fonte della vita. Ora non ci sono più equivoci: il pane di Dio, disceso dal cielo per dare la vita all'umanità, è Gesù.
La frase: "Io sono il pane della vita" confrontata con "Io sono... la verità e la vita" (Gv 14,6) ci fa comprendere che il pane dal cielo è la parola, la rivelazione di Gesù, ossia la verità. Gesù è la verità della vita eterna, manifesta e comunica la vita di Dio.
Il Verbo incarnato è l'unica persona che può spegnere la fame e la sete di vita e di salvezza. Per questo motivo esorta tutti ad andare da lui per appagare il bisogno di felicità (Gv 7,37).
"Chi viene a me" e "Chi crede in me" sono espressioni dell'unico atteggiamento di fede. La fede è l'orientamento della vita verso la persona di Gesù.
OFFLINE
07/05/2014 07:31
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 6,35-40

1) Preghiera

Assisti, o Dio nostro Padre,
questa tua famiglia raccolta in preghiera:
tu che ci hai dato la grazia della fede,
donaci di aver parte all'eredità eterna
per la risurrezione del Cristo tuo Figlio e nostro Signore.
Egli è Dio, e vive e regna con te...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 6,35-40
In quel tempo, disse Gesù alla folla: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete. Vi ho detto però che voi mi avete visto e non credete. Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me, non lo respingerò, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell'ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno".


3) Riflessione

? Giovanni 6,35-36: Io sono il pane di vita. Entusiasmata dalla prospettiva di avere il pane del cielo di cui parla Gesù e che dà vita per sempre (Gv 6,33), la gente chiede: "Signore dacci sempre questo pane!" (Gv 6,34). Pensavano che Gesù stesse parlando di un pane particolare. Per questo, in modo interessato, la gente chiede: "Dacci sempre questo pane!" Questa richiesta della gente ricorda la conversazione di Gesù con la Samaritana. Gesù aveva detto che lei avrebbe potuto avere dentro di sé una sorgente di acqua viva che scaturisce per la vita eterna, e lei in modo interessato chiede: "Signore, dammi questa acqua!" (Gv 4,15). La Samaritana non si rende conto che Gesù non stava parlando di acqua materiale. Come pure la gente non si rende conto che Gesù non stava parlando del pane materiale. Per questo, Gesù risponde molto chiaramente: "Io sono il pane della vita! Chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete". Mangiare il pane del cielo è lo stesso che credere in Gesù. E' credere che lui è venuto dal cielo come rivelazione del Padre. E' accettare il cammino che lui ha insegnato. Ma la gente pur vedendo Gesù, non crede in lui. Gesù si rende conto della mancanza di fede e dice: "Voi mi avete visto e non credete".
? Giovanni 6,37-40: Fare la volontà di colui che mi ha mandato. Dopo la conversazione con la Samaritana, Gesù aveva detto ai suoi discepoli: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato!" (Gv 4,34). Qui, nella conversazione con la gente sul pane del cielo, Gesù tocca lo stesso tema: "Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti l'ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno". Questo è il cibo che la gente deve cercare: fare la volontà del Padre del cielo. E questo è il pane che alimenta la persona nella vita e le dà vita. Qui comincia la vita eterna, vita che è più forte della morte! Se fossimo veramente disposti a fare la volontà del Padre, non avremmo difficoltà a riconoscere il Padre presente in Gesù.
? Giovanni 6,41-43: I giudei mormorano. Il vangelo di domani inizia con il versetto 44 (Gv 6,44-51) e salta i versetti da 41 a 43. Nel versetto 41, inizia la conversazione con i giudei, che criticano Gesù. Diamo qui una breve spiegazione del significato della parola giudei nel vangelo di Giovanni per evitare che una lettura superficiale alimenti in noi cristiani il sentimento di anti-semitismo. Prima di tutto è bene ricordare che Gesù era Giudeo e continua ad essere giudeo (Gv 4,9). Giudei erano i suoi discepoli e discepole. Le prime comunità cristiane erano tutte di giudei che accettarono Gesù come il Messia. Solo dopo, poco a poco, nelle comunità del Discepolo Amato, greci e cristiani cominciano ad essere accettati sullo stesso piano dei giudei. Erano comunità più aperte. Ma questa apertura non era accettata da tutti. Alcuni cristiani venuti dal gruppo dei farisei volevano mantenere la "separazione" tra giudei e pagani (At 15,5). La situazione rimane critica dopo la distruzione di Gerusalemme nell'anno 70. I farisei diventano la corrente religiosa dominante nel giudaismo e cominciano a definire le direttrici religiose per tutto il popolo di Dio: sopprimere il culto nella lingua greca; adottare solo il testo biblico in ebraico; definire la lista dei libri sacri eliminando i libri che stavano solo nella traduzione greca della Bibbia: Tobias, Giuditta, Ester; Baruc, Sapienza, Ecclesiastico e i due libri dei Maccabei: segregare gli stranieri; non mangiare nessun cibo, sospettato di impurità o di essere stato offerto agli idoli. Tutte queste misure assunte dai farisei si ripercuotevano sulle comunità dei giudei che accettavano Gesù, Messia. Queste comunità avevano già camminato molto. L'apertura per i pagani era irreversibile. La Bibbia in greco era già usata da molto tempo. Così, lentamente, cresce una separazione reciproca tra cristianesimo e giudaismo. Negli anni 85-90 le autorità giudaiche cominciano a discriminare coloro che continuavano ad accettare Gesù di Nazaret in qualità di Messia (Mt 5, 11-12; 24,9-13). Chi continuava a rimanere nella fede in Gesù era espulso dalla sinagoga (Gv 9,34). Molte comunità cristiane temevano questa espulsione (Gv 9,22), poiché significava perdere l'appoggio di una istituzione forte e tradizionale con la sinagoga. Coloro che erano espulsi perdevano i privilegi legali che i giudei avevano conquistato lungo i secoli nell'impero. Le persone espulse perdevano perfino la possibilità di essere sepolte decentemente. Era un rischio enorme. Questa situazione conflittuale della fine del primo secolo si ripercuote sulla descrizione del conflitto di Gesù con i farisei. Quando il vangelo di Giovanni parla in giudeo non sta parlando del popolo giudeo come tale, ma sta pensando molto di più a quelle poche autorità farisaiche che stavano espellendo i cristiani dalle sinagoghe negli anni 85-90, epoca in cui fu scritto il vangelo. Non possiamo permettere che queste affermazione sui giudei facciano crescere l'antisemitismo tra i cristiani.


4) Per un confronto personale

? Antisemitismo: guarda bene dentro di te e cerca di strappar via qualsiasi resto di anti-semitismo.
? Mangiare il pane del cielo vuol dire credere in Gesù. Come mi aiuta tutto questo a vivere meglio l'eucaristia?


5) Preghiera finale

Acclamate a Dio da tutta la terra,
cantate alla gloria del suo nome,
date a lui splendida lode.
Dite a Dio: "Stupende sono le tue opere!" (Sal 65)
OFFLINE
08/05/2014 07:59
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

padre Lino Pedron


La ragione ultima della fede si trova nell'attrazione del Padre perché gli uomini aderiscano al Figlio suo. La citazione dei profeti: "E tutti saranno ammaestrati da Dio" potrebbe ispirarsi a Ger 31,33-34 e a Ez 36,23-27, ma il testo più vicino a quello citato da Giovanni è Is 54,13: "E porrò ... tutti i tuoi figli ammaestrati da Dio". Anche qui, come in Gv 6,31, la citazione non sembra trovarsi alla lettera nell'Antico Testamento. Giovanni adatta il testo alle sue prospettive teologiche, tra le quali spicca l'universalismo della salvezza. Egli infatti non parla solo di "tutti i figli di Gerusalemme", ma di " tutti" semplicemente, interpretando la nuova alleanza in prospettiva universalistica.
La fede è dono di Dio e affonda le sua radici nell'azione divina del Padre. Quindi crede in Gesù solo chi " ha ascoltato e imparato dal Padre" (v. 45).
Gesù, dopo aver detto che il motivo ultimo della fede sta nell'attrazione del Padre, soggiunge: "Chi crede ha la vita eterna" (v. 47). La vita eterna dipende dalla fede. E la fede consiste nell'ascoltare e mangiare Gesù, che è il pane celeste che fa vivere eternamente.
Dopo la solenne proclamazione di essere il pane della vita, Gesù fa il confronto tra la manna mangiata dai padri nel deserto e il pane che è la sua persona. La manna non procurò l'immortalità perché tutti nel deserto morirono, compreso Mosè, ma chi mangia Gesù non morirà mai.
L'azione del mangiare indica l'interiorizzazione della parola del Figlio di Dio e l'assimilazione della sua persona con una vita di fede profondissima. Il mangiare il pane vivente che è Gesù, significa far propria la verità del Cristo, anzi la persona del Cristo che è la verità, ossia la rivelazione piena e perfetta del Padre.
Nel v. 51 Gesù aggiunge un nuovo elemento che preannuncia la tematica centrale dell'ultima sezione del discorso (vv. 53-58): il pane della vita è la carne di Gesù per la vita del mondo. Il pane del cielo è la carne di Gesù, ossia la sua persona sacrificata per la salvezza dell'umanità con la passione e morte gloriosa.
L'amore di Dio per gli uomini raggiunge la sua massima espressione nella morte di Gesù in croce: sulla croce egli dona tutto se stesso per il mondo.
OFFLINE
09/05/2014 07:53
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

La vita divina in noi

Lettura
Il brano del vangelo di oggi si apre riferendo che i Giudei si scandalizzano perché Gesù promette di dare loro un "pane" che è la sua carne (v. 52). I versetti successivi mostrano che, invece di rispondere, Gesù ribadisce la sua affermazione, con un insegnamento che è costruito su due piani: la sua carne e il suo sangue, un vero cibo e una vera bevanda, comunicano la vita (vv. 53-55) e stabiliscono un'unione durevole con lui, che è il divino portatore e comunicatore della vita (vv. 56-57). Dopo la frase riassuntiva del dialogo (v. 58), il brano afferma che l'insegnamento di Gesù ha avuto luogo nella sinagoga di Cafarnao (v. 59).

Meditazione
Per i Giudei era stata una cosa straordinaria e anche scandalosa sentir dire che avrebbero dovuto mangiare la carne di un uomo. Anche noi avremmo avuto la stessa reazione. Gesù avrebbe potuto rispondere attenuando la durezza delle sue parole. Avrebbe, per esempio, potuto spiegare che non si trattava di mangiare la sua carne, ma di aderire nella fede alla sua persona. Ha scelto, invece, di insistere sul realismo: «Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita» (v. 53). Si tratta di una parola difficile da accettare e, proprio per questo motivo, capiamo l'importanza del sacramento dell'eucaristia, nel quale Cristo è presente, a motivo della trasformazione del pane e del vino nel suo corpo e nel suo sangue. All'eucaristia, presenza del corpo e del sangue di Gesù fra noi, dobbiamo fare un grande spazio nella nostra vita. Vivremo, così, un'esistenza nuova: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui [...] vivrà per me» (vv. 56-57). Il frutto del mangiare e del bere, quindi, è anzitutto il dimorare nostro in lui e suo in noi: l'amore porta ad accogliere l'altro in se stesso, a farsi sua casa. In questo senso, pensiamo a quanto è importante partecipare all'eucaristia, fare la comunione con consapevolezza e con amore! Con il mangiare e il bere, inoltre, il Figlio amato e inviato ai fratelli, che vive grazie al Padre, ci comunica, come nostra vita, la sua vita, ci coinvolge nella vita che promana da Dio. Mangiando di lui, siamo assimilati da lui: l'amato diventa la vita di noi che lo amiamo, dando forma al nostro essere, al nostro pensare, al nostro volere, al nostro agire. Afferma Paolo: «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita che vivo nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20).

Preghiera:
Signore Gesù, donaci di accostarci alla mensa eucaristica con fede e amore, di accogliere te in noi e di essere accolti da te. Comincerà la vita nuova, con te, grazie a te e per te.

Agire:
Farò la comunione eucaristica con il desiderio di vivere del Signore e per il Signore.

Commento a cura di don Nunzio Capizzi
OFFLINE
10/05/2014 08:36
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

padre Lino Pedron


In questo brano viene descritta la reazione negativa dei discepoli alla rivelazione di Gesù sul pane della vita. I giudei e i discepoli manifestano la loro incredulità. Queste persone non sono rinate dallo Spirito Santo, perciò non possono credere alla rivelazione di Gesù. Per questo il discorso di Cristo appare loro duro, ossia assurdo e inaccettabile.
Di fronte allo scandalo dei discepoli che non credono, Gesù parla subito dell'evento conclusivo della sua esistenza terrena, che potrebbe essere motivo di uno scandalo maggiore: è Gesù con la sua natura umana che sale al cielo. Lo scandalo dell'ascensione sta nel fatto che un "uomo" sia salito presso Dio, dove svolge la sua funzione di avvocato in nostro favore (1Gv 2,1).
La ragione per cui i discepoli rimangono increduli è che non si lasciano vivificare dallo Spirito Santo e perciò sono dominati dalla carne, cioè sono schiavi della natura umana e dell'istinto, che non può accettare il sublime mistero della rivelazione del Figlio di Dio.
Per quanto riguarda la rivelazione del Figlio di Dio, la carne (= tutte le capacità dell'uomo) non giova a nulla perché solo lo Spirito dà la vita di Dio. La natura umana infatti è incapace di trascendere i suoi limiti per accogliere le parole di Gesù che sono Spirito e Vita.
Di qui la necessità della fede per ricevere la rivelazione di Cristo e il suo corpo e il suo sangue nell'Eucaristia. Solo lo Spirito Santo può far salire l'uomo al livello divino delle parole del Cristo. Proprio per questo, negli scritti di Giovanni, lo Spirito Santo è presentato come lo Spirito della verità (Gv 14,17; 15,26; ecc.), ossia come la persona divina in funzione della rivelazione di Gesù, in quanto deve far penetrare nel cuore degli uomini la rivelazione del Verbo incarnato.
Gesù termina il suo soliloquio constatando con tristezza che alcuni dei suoi discepoli non credono. Egli dà la spiegazione ultima dell'incredulità dei discepoli, come aveva fatto a proposito dei giudei (v. 44). L'adesione alla persona di Gesù è un dono di Dio, che l'uomo può accogliere o rifiutare.
Nel v. 66 si descrive la conclusione della crisi spirituale dei discepoli increduli: abbandonano Gesù e non lo seguono più. Dinanzi alla defezione massiccia di tanti discepoli, Gesù mette alla prova anche i Dodici, chiedendo loro: "Volete andarvene anche voi?"(v. 67). Gesù invita gli apostoli a rinnovare la loro scelta: o accettare la sua rivelazione, anche sconcertante, o abbandonarlo e andarsene.
La risposta all'interrogativo provocatorio del Cristo viene da Simone Pietro, il quale, a nome dei Dodici, professa la sua fede nella messianicità divina di Gesù. Egli riconosce in Gesù il Signore che ha parole di vita eterna. Quello che per gli altri è un discorso duro, assurdo e inaccettabile (v. 60), per Pietro sono parole di vita eterna (v. 68). La medesima cosa è scandalosa per l'uomo carnale e fonte di vita eterna per il credente.
OFFLINE
12/05/2014 07:16
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Il buon pastore

Lettura
Il testo si apre con la presentazione di Gesù come «buon pastore» che espone la sua vita a favore delle pecore (v. 11). Sullo sfondo oscuro della figura del «mercenario», del pastore salariato che non pensa alle pecore, ma a se stesso (vv. 12-13), splende l'immagine del pastore autentico che, con ognuna delle sue pecore, è in un rapporto di reciproca conoscenza e di amore (vv. 14-15). Il brano mette poi in evidenza che Gesù non esclude nessuno dal gregge, anzi pensa alle «altre pecore che non sono di quest' ovile» e che lui deve condurre ad esso (v. 16). Dopo tale sguardo prospettico, il discorso torna al sacrifico della vita del pastore a favore delle pecore, nel contesto dell'amore del Padre (vv. 17-18).

Meditazione
Gesù si identifica con il buon pastore. Egli è tale perché, come dice ripetutamente il brano, offre, espone la sua vita per le pecore (vv. 11.15.17.18). Egli è pastore, in quanto agnello immolato e vittorioso: «l'Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita» (Ap 7,17). Gesù offre la sua vita volontariamente: il suo non è un morire, ma un realizzare la propria esistenza come un dono totale di amore al Padre, che ama perdutamente (cfr. Gv 14,31) e, conseguentemente, alle pecore che il Padre gli ha affidato (cfr. Gv 10,29).
Il Figlio, con la sua croce, mettendo la propria vita a disposizione di tutti gli uomini, ha abbattuto il muro di separazione (cfr. Ef 2,14-22), e ha fatto di essi un popolo di fratelli, un solo gregge. Il Figlio ha fratelli dovunque, dal momento che «tutto è stato fatto per mezzo di lui» (Gv 1,2), che egli è la luce e la vita per ogni uomo (cfr. Gv 1,9), che è stato innalzato non «per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11,52).
Il dono della vita del Figlio è un gesto di amore che fa entrare ciascuno di noi nella sua relazione di amore con il Padre: «come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi» (Gv 15,9). Ciascuno di noi può pensare se stesso, nel mistero del coinvolgimento dell'intima conoscenza di Gesù con il Padre, come destinatario delle parole dell'amore: «ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni [...], tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo [...]. Non temere, perché io sono con te» (Is 43,1.4-5).

Preghiera
Signore Gesù, noi lodiamo te, nostro salvatore, nostra luce, nostra vita. Concedici di camminare con te, buon pastore, e verso te, agnello pastore, che ci darai l'acqua viva, di cui, nel nostro cammino, sentiamo la sete ardente.

Agire:
Nella giornata, pensando al pastore che offre la vita, farò dei gesti di amore fraterno.

Commento a cura di don Nunzio Capizzi
OFFLINE
13/05/2014 07:13
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

padre Lino Pedron


La festa della dedicazione del tempio di Gerusalemme ricorreva a metà dicembre. Con tale solennità i giudei celebravano l'anniversario della purificazione del tempio operata da Giuda Maccabeo (cfr 1Mac 4,36-59; 2Mac 10,1-8).
I giudei mascherano la loro intenzione ipocrita, dichiarando di avere l'animo sospeso; fingono di avere il desiderio sincero di conoscere la verità. Gesù risponde richiamando le sue precedenti dichiarazioni, dalle quali potevano dedurre facilmente la sua messianicità.
Egli, per invitare ancora una volta i suoi avversari alla fede, fa appello alla testimonianza delle sue opere straordinarie compiute nel nome del Padre: esse sono la garanzia divina della sua messianicità.
I giudei non accettano la testimonianza divina delle opere compiute da Gesù perché non sono pecore di Cristo: le pecore di Cristo ascoltano la sua voce, i giudei invece non credono.
Le pecore di Gesù si trovano in mani sicure, perché sono custodite con cura dal Padre e dal Figlio, queste due persone che vivono in comunione e in intimità perfetta, come dice Gesù: "Io e il Padre siamo una cosa sola" (v. 30). Le parole di Gesù, di essere una cosa sola con Dio, si rivelano scandalose agli orecchi degli increduli giudei.
In questo testo Giovanni pone sulla bocca di Gesù tre affermazioni che mettono in risalto l'identità delle pecore e le loro caratteristiche in rapporto a Cristo: ascoltano la sua voce, lo seguono e non periranno mai.
La qualità fondamentale di chi è aperto alla fede è anzitutto l'ascolto: "Chi ascolta la mia parola e crede in colui che mi ha mandato ha la vita eterna" (Gv 5,24). Chi ascolta il Maestro ha la vita e diventa suo confidente. E a sua volta è conosciuto da lui con una unione personale e profonda che si concretizza nell'amore (Gv 10,4).
Ma l'ascolto implica il seguire Gesù, ed è azione e impegno. Chi si fida di Gesù, che "ha parole di vita eterna" (Gv 6,68), gode dei beni messianici e porta frutti di vita duratura (Gv 10,10-15; 14,6).
Inoltre chi lo segue sarà custodito da lui (Gv 17,12), nessun ladro lo potrà rapire e nessuna prova o persecuzione lo vincerà perché Gesù, cosciente della sua missione, lo custodisce e lo preserva dai pericoli nella sicurezza e nella pace.
Solo chi appartiene al gregge di Cristo riconosce nella sua parola la qualità di Messia e di buon Pastore, che agisce a nome del Padre, in unità di azione e di amore. Il credente, a differenza di colui che non è delle pecore di Cristo, sente vicino nella sua vita il Signore che gli dà sicurezza, perché in lui vede il Padre che gli dona la vita eterna, che è conoscenza del Padre e del Figlio (Gv 6,40; 17,3.22).

OFFLINE
14/05/2014 07:04
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 15,9-17

1) Preghiera

O Dio, che hai voluto aggregare san Mattia
al collegio degli Apostoli,
per sua intercessione concedi a noi,
che abbiamo ricevuto in sorte la tua amicizia,
di essere contati nel numero degli eletti.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 15,9-17
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.
Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri".


3) Riflessione

? Oggi è la festa dell'Apostolo Mattia. Il vangelo di Giovanni 15,9-17 è stato già meditato in aprile. Riprendiamo alcuni punti già visti quel giorno.

? Giovanni 15,9-11: Rimanete nel mio amore, fonte della perfetta gioia. Gesù rimane nell'amore del Padre osservando i comandamenti ricevuti da lui. Noi rimaniamo nell'amore di Gesù osservando i comandamenti che lui ci ha lasciato. E dobbiamo osservarli nella stessa misura in cui lui osservò i comandamenti del Padre: "Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore". E in questa unione d'amore del Padre e di Gesù si trova la fonte della vera gioia: "Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena".
? Giovanni 15,12-13: Amare i fratelli come lui ci ha amati. Il comandamento di Gesù è uno solo: "amarci come lui ci amò!" (Gv 15,12). Gesù supera l'Antico Testamento. Il criterio antico era il seguente: "Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Lv 18,19). Il nuovo criterio è: "Amatevi come io vi ho amato". E la frase che fino ad oggi cantiamo dice: "Non c'è amore più grande di colui che dà la vita per il fratello!"
? Giovanni 15,14-15: Amici e non servi. "Voi siete miei amici se fate ciò che vi comando", cioè la pratica dell'amore fino al dono totale di sé! Subito Gesù presenta un ideale altissimo per la vita dei suoi discepoli. Dice: "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa ciò che fa il suo padrone. Vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi!" Gesù non aveva più segreti per i suoi discepoli. Ci racconta tutto ciò che ha udito dal Padre! Ecco l'ideale stupendo della vita in comunità: giungere ad una trasparenza totale, al punto di non avere più segreti tra di noi e poter aver fiducia pienamente l'uno nell'altro, poter parlare dell'esperienza che abbiamo di Dio e della vita e, così, poterci arricchire a vicenda. I primi cristiani riusciranno a raggiungere questo ideale dopo molti anni. "Avevano un solo cuore ed un'anima sola" (At 4,32; 1,14; 2,42.46).
? Giovanni 15,16-17: Gesù ci ha scelti. Non siamo noi che abbiamo scelto Gesù. Lui ci incontrò, ci chiamò e ci affidò la missione di andare e dare frutto, frutto che duri. Noi abbiamo bisogno di lui, ma anche lui vuole aver bisogno di noi e del nostro lavoro per poter continuare e fare oggi per la gente ciò che faceva per la gente di Galilea. L'ultima raccomandazione: "Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri!"


4) Per un confronto personale

? Amare il prossimo come Gesù ci ha amato. Ecco l'ideale di ogni cristiano. Come lo vivo?
? Tutto ciò che ho udito dal Padre ve l'ho raccontato. Ecco l'ideale della comunità: giungere ad una trasparenza totale. Come lo viviamo nella mia comunità?


5) Preghiera finale

Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore.
Sia benedetto il nome del Signore,
ora e sempre. (Sal 112)
OFFLINE
15/05/2014 07:33
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

La beatitudine dell?apostolo

Lettura
Il brano contiene, in primo luogo, la conclusione della spiegazione della lavanda dei piedi, con le parole di Gesù sul rapporto signore-servo e con quelle circa la relazione tra l'inviato e colui che lo manda. La beatitudine dei discepoli starà nel fare «queste cose», nel fare cioè quello che Gesù ha fatto. In secondo luogo, il testo rimanda al tradimento di Giuda e all'elezione divina, nei confronti dei discepoli che Gesù ha amato e scelto. Infine, pone l'esortazione ad accogliere ogni inviato come il Signore stesso.

Meditazione
Lavare i piedi è gesto di ospitalità e di accoglienza, riservato allo schiavo non giudeo. Ma è anche gesto di intimità della sposa verso lo sposo e di riverenza del figlio verso il padre. Questa ospitalità e accoglienza, questa intimità e riverenza sono le caratteristiche del Signore e Maestro, il quale rivela che la qualità più profonda dell'amore è l'umiltà di essere a servizio dell'altro.
Con questo amore umile, Gesù tiene nelle mani i nostri piedi. I piedi rappresentano il cammino dell'uomo che si è allontanato da Dio; ora essi sono nella mano del Figlio, che è la stessa del Padre, dalla quale nessuno può rapire (cfr. Gv 10,28-30).
Gesù afferma che «un apostolo non è più grande di chi lo ha mandato» (cfr. v. 27). L'essere inviato implica dipendenza da chi manda, ma anche unione con lui e impegno verso di lui. La dipendenza, l'unione e l'impegno nei confronti del Maestro implica il lavare i piedi degli altri, come ha fatto lui, che è stato in mezzo ai suoi come colui che serve (cfr. Lc 22,27). L'umiltà di Dio che lava i piedi all'uomo è il fondamento di un nuovo modo di vivere. Se ciascuno può pensare che il Figlio di Dio «mi ha amato e ha dato se stesso per me», può anche prendere la determinazione che «questa vita che vivo nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato» (Gal 2,20).
L'esperienza personale del Maestro e Signore, che si fa servo, chiama a un determinato stile di vita, diverso da quello nascosto nella lite dei discepoli su «chi di loro poteva esser considerato il più grande» (Lc 22,24). L'apostolo che vuol essere come i grandi del mondo non ha capito chi è il Signore. Diversamente, chi farà come ha fatto Gesù, chi farà «queste cose» sarà beato (cfr. v. 17).

Preghiera:
Signore Gesù, i nostri piedi sono nelle tue mani, il nostro cammino è custodito dal tuo amore. Concedi che con la tua grazia, come te, custodiamo il cammino dei nostri fratelli.

Agire:
Pensando alle parole di Gesù, nella giornata, con umiltà, farò dei gesti di amore fraterno.

Commento a cura di don Nunzio Capizzi
OFFLINE
16/05/2014 08:05
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

padre Lino Pedron


Gesù riprende l'argomento della sua imminente partenza esortando i discepoli alla fiducia, perché egli sta andando a preparare loro un posto nel regno del Padre e poi tornerà a prenderli per portarli con sé.
I discepoli possono provare angoscia e tristezza per la separazione dal Maestro, ma Gesù li previene informandoli che la sua lontananza sarà temporanea.
La "casa del Padre" indica lo stato beato di intima unione in cui vive Dio con la sua famiglia. In questa casa dimora per diritto il Figlio (Gv 8,35), il quale può preparare dei posti per i suoi amici: in essa "vi sono molti posti" (v. 2). Lo stato di beatitudine consiste nell'essere con il Cristo glorioso.
Dal tema del viaggio verso la casa del Padre, Gesù, con naturalezza, passa a parlare della via (v. 4). Per giungere al Padre bisogna passare per il Figlio.
Tommaso desidera concretezza e chiarezza nei discorsi. Egli aveva capito che Gesù parlava di una via nel senso materiale di strada, mentre Gesù sta parlando della via come mezzo per giungere a Dio, come strumento per mettersi in contatto personale con il Padre. Per questa ragione, nella sua replica all'apostolo, Gesù proclama di essere la via per andare verso Dio.
Gesù proclama di essere il mediatore per mettersi in contatto personale con il Padre. Nessuno può arrivare a Dio con le proprie forze, né può servirsi di altri mediatori. Come nessuno può andare verso il Cristo, se non gli è concesso dal Padre (Gv 6,65), così nessuno può giungere al Padre senza la mediazione di Gesù (v. 6).
Gesù proclama anche di essere la verità e la vita. I sostantivi via, verità e vita sono applicati al Cristo per indicare le sue tre funzioni specifiche di mediatore, rivelatore e salvatore.
Gesù è l'unica persona che mette in rapporto con il Padre, che manifesta in modo perfetto la vita e l'amore di Dio per l'umanità, e comunica al mondo la salvezza che è la vita di Dio. Solo Gesù può condurre l'uomo a Dio, perché egli solo vive nel Padre e il Padre vive in lui.
OFFLINE
17/05/2014 07:17
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Movimento Apostolico - rito romano
Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me

La comunione che regna tra il Padre e Gesù è la più alta relazione che possa viversi tra due Persone. Essere l'una nell'altra. È come se una fosse ne grembo dell'altra, nel cuore dell'altra, nella mente dell'altra, nella volontà dell'altra. È come se fossero una persona sola, mentre in realtà dono due: Il Padre e Gesù. Questa stessa relazione Cristo Gesù vuole che venga vissuta tra Lui, il Padre e i suoi discepoli e anche tra i discepoli gli uni con gli altri. Il Padre in Cristo, Cristo nel Padre. Cristo nel Padre i discepoli in Cristo. I discepoli nel Padre, il Padre nei discepoli. I discepoli l'uno nell'altro, in un movimento di vita senza alcuna interruzione.
Questa comunione ed unità non finisce sulla terra. Continua nel Cielo, nel Paradiso, nella Città di Dio. Nella città futura ed eterna, nella Santa Gerusalemme, i discepoli di Gesù abiteranno interamente in Dio, perché Dio sarà il loro tempio eterno, il loro seno eterno, il grembo che li conserverà per l'eternità. Verso questa abitazione eterna dobbiamo camminare, costruendola oggi nel tempo. Si costruisce in un solo modo: camminando il discepolo di Gesù nella sua Parola, dimorando nella sua verità.
Colui che mi parlava aveva come misura una canna d'oro per misurare la città, le sue porte e le sue mura. La città è a forma di quadrato: la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L'angelo misurò la città con la canna: sono dodicimila stadi; la lunghezza, la larghezza e l'altezza sono uguali. Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall'angelo. Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. I basamenti delle mura della città sono adorni di ogni specie di pietre preziose. Il primo basamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo, il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l'ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l'undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta era formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente. In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello. Le nazioni cammineranno alla sua luce, e i re della terra a lei porteranno il loro splendore. Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, perché non vi sarà più notte. E porteranno a lei la gloria e l'onore delle nazioni. Non entrerà in essa nulla d'impuro, né chi commette orrori o falsità, ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell'Agnello (Ap 21,15-27).
In Cristo Gesù si abolisce ogni distanza tra Dio e i discepoli. I Discepoli sono in Cristo che è in Dio e anch'essi sono in Dio. Pregano il Padre in Cristo, il Padre ascolta Cristo, i discepolo glorificano il loro Maestro perché lo confessano e lo riconoscono come il solo Mediatore che consente loro di avere accesso immediato al Padre celeste.
Come il Padre è visibile in Cristo, è riconoscibile in Lui a motivo delle sue opere, così Cristo è visibile nel cristiano a motivo delle sue opere. Le opere di Cristo sono opere del Padre. Le opere del cristiano sono opere di Cristo. Perché le opere del cristiano siano opere di Cristo è necessario che lui sia nella parola di Cristo allo stesso modo che le opere di Cristo sono opere del Padre perché Lui è tutto nella volontà del Padre. Non vi è alcuna discrepanza tra la volontà del Padre e quella di Gesù Signore. Una sola volontà. Così non vi dovrà essere alcuna discrepanza tra Cristo e i suoi discepoli.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci una sola volontà in Gesù.
OFFLINE
18/05/2014 09:37
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

padre Ermes Ronchi
Se guardiamo a Gesù, capiamo Dio

Non sia turbato il vostro cuore, ab­biate fiducia. L'invito del Maestro ad assumere questi due atteggia­menti vitali a fondamento del nostro rap­porto di fede: un «no» gridato alla paura e un «sì» consegnato alla fiducia. Due atteg­giamenti del cuore che sono alla base an­che di qualsiasi rapporto fecondo, armonioso, esatto con ogni forma di vita. Ad o­gni mattino, ad ogni risveglio, un angelo ri­pete a ciascuno le due parole: non avere paura, abbi fiducia. Noi tutti ci umanizzia­mo per relazioni di fiducia, a partire dai no­stri genitori; diventiamo adulti perché co­struiamo un mondo di rapporti umani e­dificati non sulla paura ma sulla fiducia. La fede religiosa (atto umanissimo, vitale, che tende alla vita) poggia sull'atto umano del credere, e se oggi è in crisi, ciò è accaduto perché è entrato in crisi l'atto umano dell'aver fiducia negli altri, nel mondo, nel fu­turo, nelle istituzioni, nell'amore. In un mondo di fiducia rinnovata, anche la fede in Dio troverà respiro nuovo.
Io sono la via la verità e la vita. Tre parole immense. Che nessuna spiegazione può e­saurire.
Io sono la via: la strada per arriva­re a casa, a Dio, al cuore, agli altri; una via davanti alla quale non si erge un muro o u­no sbarramento, ma orizzonti aperti. Sono la strada che non si smarrisce, ma va' verso la storia più ambiziosa del mondo, il so­gno più grandioso mai sognato, la conqui­sta - per tutti - di amore e libertà, di bellez­za e di comunione: con Dio, con il cosmo, con l'uomo.
Io sono la verità: non in una dottrina, né in un libro, né in una legge migliori delle al­tre, ma in un «io» sta la verità, in Gesù, ve­nuto a mostrarci il vero volto dell'uomo e il volto d'amore del Padre. La verità sono oc­chi e mani che ardono! (Ch. Bobin). Così è Gesù: accende occhi e mani. La sua è una vita che si muove libera, regale e amorevo­le tra le creature. Il cristianesimo non è un sistema di pensiero o di riti, ma una storia e una vita (F. Mauriac).
Io sono la vita. Che hai a che fare con me, Gesù? La risposta è una pretesa perfino ec­cessiva, perfino sconcertante: io faccio vi­vere.
Parole enormi, davanti alle quali pro­vo vertigine. La mia vita si spiega con la vi­ta di Dio. Nella mia esistenza più Dio equi­vale a più io. Più Vangelo entra nella mia vi­ta più io sono vivo. Nel cuore, nella mente, nel corpo. E si oppone alla pulsione di mor­te, alla distruttività che nutriamo dentro di noi con le nostre paure, madre della steri­lità.
Infine interviene Filippo «Mostraci il Padre, e ci basta». È bello che gli Apostoli chieda­no, che vogliano capire, come noi.
Filippo, chi ha visto me ha visto il Padre.
Guardi Gesù, guardi come vive, come ama, come accoglie, come muore e capisci Dio, e si dilata la vita.
OFFLINE
19/05/2014 08:37
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

La conoscenza e la dimora

Lettura
Il testo apre delle prospettive sull'esistenza terrena dei discepoli di Gesù: essa si distingue per una relazione che si fonda sull'amore per il Maestro e che si esprime nell'osservanza dei comandamenti. I discepoli che lo amano e che, pertanto, sono amati dal Padre, avranno una conoscenza sempre più profonda di Gesù, che comincia ora e che culminerà nella vita eterna. Il mondo, invece, non può avere questa conoscenza, perché non ama Gesù e, quindi, non conosce la parola sua e del Padre. Dopo la Pasqua, l'insegnamento di Gesù ai suoi discepoli sarà reso più profondo e sarà continuamente ricordato, grazie all'azione dello Spirito, inviato dal Padre nel nome di Gesù.

Meditazione
Il dono dell'intimità che il Signore vuol fare ai suoi discepoli è espresso, prima, nei termini della conoscenza e, poi, in quelli della dimora.
Al discepolo che gli si rivolge nella fede e nell'amore, Gesù si manifesterà intimamente. Solo chi ama conosce l'Amore da cui è amato. Senza amore per Gesù, non può esserci conoscenza né di lui, né del Padre, né dello Spirito: «Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1Gv 4,8). Ma di che tipo di conoscenza si tratta? Gli gnostici sono stati fra i primi eretici. Per loro, era spirituale chi aveva raggiunto una conoscenza superiore rispetto ad un semplice fedele. San Giovanni evangelista è stato un loro avversario, ma soprattutto, più tardi, sant'Ireneo di Lione. Questi ha sottolineato con forza che l'uomo non diventa spirituale perché acquista grandi e misteriose conoscenze, ma solo perché possiede lo Spirito Santo, inviato dal Padre, dopo l'ascensione di Gesù. In questo senso sono molto più spirituali i semplici fedeli che pregano, che meditano sulla storia d'amore di Dio per gli uomini raccontata dalla Scrittura, anziché quelli che fanno dotte riflessioni intellettuali di carattere religioso.
Nel discepolo che ama e che custodisce la parola, il Padre e Gesù verranno e prenderanno dimora. L'uomo che ha ricevuto lo Spirito Santo diviene dimora di Dio: il suo corpo e la sua anima sono stati consacrati mediante il battesimo. Perciò san Paolo scrive ai cristiani: «non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?» (1Cor 3,16). Perciò san Paolo ammonisce i fedeli a conservare la purezza del cuore e del corpo, affinché siano degna dimora di Dio.

Preghiera:
Padre santo, fa' che vivendo nella semplicità della fede e nella docilità allo Spirito Santo, apprezziamo e desideriamo con tutto il cuore l'intimità che il tuo Figlio ci ha promesso.

Agire:
Leggerò qualche pagina della Bibbia, riflettendo sulla storia dell'amore di Dio per l'uomo.

Commento a cura di don Nunzio Capizzi
OFFLINE
20/05/2014 07:20
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

La pace e la croce

Lettura
Nel momento del commiato, Gesù fa ai suoi discepoli il dono della pace e rivolge l'invito alla gioia, al rallegramento, perché egli ritorna al Padre. La parola di Gesù anticipa l'evento della sua dipartita, di modo che questo, quando avverrà, non sia sconvolgente per i discepoli, ma vissuto nella luce della fede. In questa luce, la partenza del Maestro non è un morire, ma un riportare la vittoria sul «principe del mondo» e un mostrare al mondo l'amore del Figlio per il Padre.

Meditazione
La pace è una delle promesse messianiche dell'Antico Testamento. Ad esempio, Is 9,5-6, parlando del regno di un figlio di stirpe regale, dell'Emmanuele, «principe della pace», dice che «la pace non avrà fine». Gesù compie la promessa e dona la sua pace in modo duraturo, non solo per quel momento difficile, ma anche per tutto il tempo successivo, in cui i discepoli avranno altre afflizioni (cfr. Gv 16,33). La pace di Gesù, donata prima della passione, non è la pace dello stoico, che resta indifferente anche se il mondo gli crolla addosso, e neppure quella di chi vive tranquillamente da schiavo del proprio egoismo. La pace di Gesù nasce da un amore più forte della morte: è la pace del Crocifisso-Risorto, che ci rende «concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,19). La croce di Gesù, per il discepolo, è il segno della pace in mezzo a tanti conflitti. È la certezza che, per quelli che amano Dio, «tutto concorre al bene» (Rm 8,28).
Intanto, mentre Gesù parla con i discepoli della sua pace, si avvicina «il principe del mondo». Potremmo pensare al concreto avvicinarsi di Giuda, accompagnato dai soldati e dalle guardie che cattureranno Gesù, oppure all'opera della potenza delle tenebre (cfr. Lc 22,53). In ogni caso, il nemico non ha alcun potere su Gesù e le tenebre non possono divorare la luce. Il Figlio, infatti, accoglie liberamente la croce, compiendo così il comando d'amore del Padre e rivelando la gloria di Dio: «Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio» (cfr. Gv 10,18). Le tenebre sono incapaci di accogliere la luce, ma anche di distruggerla, di divorarla, di sopraffarla e, pertanto, saranno sconfitte dalla «luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9).

Preghiera:
Signore vittorioso, stabiliscici nella tua pace e donaci la tua luce. Tu, che ami il Padre e compi la sua volontà, fa' che ti siamo uniti nell'ubbidienza, nelle tribolazioni, nella gloria.

Agire:
Mi interrogherò sui casi di non-pace, di cui sono a conoscenza, per portare in essi la pace.

Commento a cura di don Nunzio Capizzi
OFFLINE
21/05/2014 08:15
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Messa Meditazione
La vita nella vite

Lettura
Il testo parla, in modo figurato, di Gesù-vera vite, del Padre vignaiolo e della fecondità dei tralci che dimorano in lui. L'attività del Padre è descritta nel versetto successivo: si prende cura della vite, togliendo i rami infecondi e sfrondando gli altri, perché siano più fruttiferi. Il Padre, il vignaiolo, non ha bisogno di purificare i discepoli, perché essi sono già mondi, per la parola che ha detto loro Gesù, e possono dare frutti abbondanti se rimangono in Cristo. L'abbondante fruttificare di quanti continuamente diventano discepoli del Figlio rende gloria al Padre.

Meditazione
L'unione tra il Figlio e il discepolo è come quella che esiste tra la vite e il tralcio: hanno un'unica vita e producono un identico frutto. Noi eravamo un ramo estraneo all'albero, ma, per grazia, siamo stati innestati in Cristo e cresciamo in lui e grazie a lui. Vengono in mente le parole di Paolo: «per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per la gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4).
Il riferimento al Battesimo permette un altro passaggio. Nelle piante, la linfa si espande dalle radici e penetra fin nella più piccola foglia. In un organismo vivo, il sangue scorre nelle membra attraverso le vene. Le vene che uniscono i discepoli a Cristo sono, in particolare, i sacramenti. Ad esempio, significativamente, il teologo bizantino Nicola Cabàsilas, a proposito dell'eucaristia, ha scritto: «quando poi [Cristo] introduce a mensa e dà a mangiare il proprio corpo, allora trasforma interamente l'iniziato e lo cambia nel suo modo di essere [...]. Quanto sublime è [sapere] che la mente di Cristo si mescola alla nostra mente, la sua volontà alla nostra volontà, il suo corpo al nostro corpo, il suo sangue al nostro sangue».
Molte volte, nel testo evangelico, risuona l'imperativo di rimanere in Gesù: si afferma ripetutamente la necessità del nostro permanere nell'unione con lui, senza del quale non possiamo fare nulla. Se si rimane in lui, si è curati dal Padre, con la potatura, con la mortificazione che è fonte di vivificazione. Se si rimane in lui, è possibile una vita feconda, anche dal punto di vista apostolico: l'azione autentica nasce da un cuore che conosce e ama il Signore, il quale «suscita in noi il volere e l'operare» (Fil 2,13).

Preghiera:
Padre santo, abbi cura di noi, tralci della Vite che è il tuo Figlio, e liberaci delle nostre fronde, ingombranti e superflue, affinché, resi vivi dalla vita del Cristo, portiamo frutto.

Agire:
Oggi rifletterò sulle mie "fronde" e le porterò davanti al Signore, chiedendo di liberarmene.

Commento a cura di don Nunzio Capizzi
OFFLINE
22/05/2014 07:35
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Messa Meditazione
Nell?amore e nella gioia

Lettura
Il brano odierno, che segue immediatamente quello di ieri, sottolinea come i discepoli sono accolti nell'amore di Gesù, che trasmette quello del Padre, e devono permanere in esso. L'amore si deve manifestare nel custodire i comandamenti di Gesù e, soprattutto, quello dell'amore fraterno. Il fine delle parole di Gesù, con le quali egli rivela l'amore del Padre per lui e il suo amore per noi, è comunicare ai discepoli la gioia.

Meditazione
Amore è un termine abusato. Tutti ne parlano, continuamente. Ma non è facile dire che cosa esso sia. Nell'uso corrente, esso è spesso connesso al desiderio di possedere ciò che non si ha. L'insegnamento evangelico è diverso: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16). Dio, dunque, ama di un amore diverso dal desiderio di possedere: il suo non è un amore che cerca di avere per sé, ma che dà gratuitamente a coloro che non hanno nulla. Così noi siamo accolti nell'amore di Dio, nell'amore del Padre e del Figlio, resi partecipi della vita trinitaria. Benedetto XVI, nella sua prima enciclica, riflettendo sulla relazione tra eros e agape e sul suo risvolto per l'immagine biblica di Dio, ha scritto: «l'eros di Dio per l'uomo [...] è insieme totalmente agape. Non soltanto perché viene donato del tutto gratuitamente, senza alcun merito precedente, ma anche perché è amore che perdona».
È a questo amore che Cristo si riferisce, quando dice ai suoi discepoli di restare nel suo amore, osservando i suoi comandamenti. Obbedire ai comandamenti, in altre parole, significa mettersi sulla strada di amare come Dio ama, di donare gratuitamente e di perdonare come fa lui. La conferma di vivere nel suo amore ci viene da una vita conforme a quella del Figlio di Dio incarnato: «Da questo abbiamo conosciuto l'amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3,16) e «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli» (1Gv 3,14).
Il "colore" dell'amore è la gioia. Come per Paolo (cfr. Gal 5,22; Rm 14,17), così anche per Giovanni (cfr., ad esempio, Gv 3,29), la gioia è un frutto della presenza di Cristo e dello Spirito Santo. Di questa gioia il brano sottolinea la pienezza (cfr., pure, Gv 17,13), aprendo il nostro cuore alla gioia senza limite, che colma l'insaziabile desiderio umano di felicità.

Preghiera:
Signore Gesù, avvolgici del tuo amore senza limiti e concedi che, nel terreno della carità, irrorato dallo Spirito Santo, portiamo il frutto della gratuità e viviamo nella gioia.

Agire:
Durante la giornata, farò dei gesti di carità che possano dare gioia a chi mi sta accanto.

Commento a cura di don Nunzio Capizzi
OFFLINE
23/05/2014 07:33
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 15,12-17

1) Preghiera

Donaci, o Padre, di uniformare la nostra vita
al mistero pasquale che celebriamo nella gioia,
perché la potenza del Signore risorto
ci protegga e ci salvi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...



2) Lettura

Dal Vangelo secondo Giovanni 15,12-17
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.
Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l?ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri?.



3) Riflessione

? Il vangelo di Giovanni 15,12-17 è stato già meditato pochi giorni fa (..... o sarà ripreso tra qualche giorno). Riprendiamo alcuni punti di quel giorno.
? Giovanni 15,12-13: Amare i fratelli come lui ci ha amati. Il comandamento di Gesù è uno solo: "amarci come lui ci amò!" (Gv 15,12). Gesù supera l?Antico Testamento. Il criterio antico era il seguente: "Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Lv 18,19). Il nuovo criterio è: ?Amatevi come io vi ho amato". E la frase che fino ad oggi cantiamo dice: "Non c?è amore più grande di colui che dà la vita per il fratello!"
? Giovanni 15,14-15: Amici e non servi. "Voi siete miei amici se fate ciò che vi comando", cioè la pratica dell?amore fino al dono totale di sé! Subito Gesù presenta un ideale altissimo per la vita dei suoi discepoli. Dice: "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa ciò che fa il suo padrone. Vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l?ho fatto conoscere a voi!" Gesù non aveva più segreti per i suoi discepoli. Ci racconta tutto ciò che ha udito dal Padre! Ecco l?ideale stupendo della vita in comunità: giungere ad una trasparenza totale, al punto di non avere più segreti tra di noi e poter aver fiducia pienamente l?uno nell?altro, poter parlare dell?esperienza che abbiamo di Dio e della vita e, così, poterci arricchire a vicenda. I primi cristiani riusciranno a raggiungere questo ideale dopo molti anni. "Avevano un solo cuore ed un?anima sola" (At 4,32; 1,14; 2,42.46).
? Giovanni 15,16-17: Gesù ci ha scelti. Non siamo noi che abbiamo scelto Gesù. Lui ci incontrò, ci chiamò e ci affidò la missione di andare e dare frutto, frutto che duri. Noi abbiamo bisogno di lui, ma anche lui vuole aver bisogno di noi e del nostro lavoro per poter continuare e fare oggi per la gente ciò che faceva per la gente di Galilea. L?ultima raccomandazione: "Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri!"



4) Per un confronto personale

? Amare il prossimo come Gesù ci ha amato. Ecco l?ideale di ogni cristiano. Come lo vivo?
? Tutto ciò che ho udito dal Padre ve l?ho raccontato. Ecco l?ideale della comunità: giungere ad una trasparenza totale. Come lo viviamo nella mia comunità?



5) Preghiera finale

Saldo è il mio cuore, o Dio,
saldo è il mio cuore.
Voglio cantare, voglio inneggiare:
svégliati, mio cuore,
svegliatevi, arpa e cetra,
voglio svegliare l?aurora. (Sal 57/56,8-9)
OFFLINE
24/05/2014 05:42
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Messa Meditazione
Testimoniare la diversità di Dio

Lettura
Il brano parla dell'odio e della persecuzione: l'odio del mondo, lontano da Dio, colpisce i discepoli, perché appartengono a Gesù e non desiderano ciò che desidera il mondo (vv. 18-19). In questa situazione, essi devono ricordarsi della parola di Gesù sul destino del discepolo, comune a quello del Maestro (v. 20), a causa del quale vengono perseguitati (v. 21).

Meditazione
Nel mondo "mondano", i valori importanti sono quelli inerenti l'apparenza e il successo. Il mondo "mondano", infatti, nel culto idolatrico dell'immagine, preferisce avere come principio di azione l'egoismo e non l'amore, il possesso e non il dono, la concorrenza e non la solidarietà, la violenza e non la mitezza, l'orgoglio e non l'umiltà, la rabbia e non la compassione. Per tutti i motivi accennati, possiamo rileggere le programmatiche parole della 1Gv 2,15-16, per i discepoli di ogni tempo: «Non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscienza della carne, la concupiscienza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo».
In un mondo simile, chiaramente, Cristo e il Vangelo appaiono come alieni, creano disturbo. Perciò coloro che, nella sequela di Cristo, operano il bene, si attirano l'odio e, talvolta, anche la persecuzione. Il mondo, infatti, ama ciò che è suo e odia tutto ciò che, non essendo suo, gli mostra tutta la sua bruttezza e il suo vuoto. Dal momento che i discepoli autentici, con il loro vissuto, mostrano criteri alternativi a quelli sui quali, normalmente, il mondo si regge, sono odiati. Quanti vivono nell'amore e nella condivisione, nella verità e nella libertà del servizio reciproco, sono come la luce che sorge e che dissipa le tenebre (cfr. Is 58,8). Le tenebre, pertanto, non possono non odiarli.
Quando il loro vissuto si fa difficile, i discepoli hanno una sola forza, il ricordo della parola detta loro da Gesù. A tale ricordo, si accompagna una profonda consapevolezza: essi sono stati presi dal mondo, sono stati scelti per essere santi come Dio è santo, nella sequela del Pastore. Hanno origine nel cuore del Figlio di Dio e non ricevono la loro identità dal mondo. Ad esso possono testimoniare la diversità di Dio, per camminare, con chi si lascia affascinare dalle parole di Cristo, verso la luce della vita.

Preghiera:
Gesù, che hai scelto i tuoi discepoli e li hai presi dal mondo, fa' che essi non temano le persecuzioni e che, ricordandosi di te e della tua parola, facciano splendere la tua luce.

Agire:
Oggi, cercherò di fare delle rinunce ai criteri del mondo, per seguire i criteri del Vangelo.

Commento a cura di don Nunzio Capizzi
OFFLINE
25/05/2014 08:31
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

don Roberto Rossi
La grande gioia del vangelo

Nel libro degli Atti degli Apostoli si riferisce che, dopo una prima violenta persecuzione, la comunità cristiana di Gerusalemme, eccettuati gli apostoli, si disperse nelle regioni circostanti e Filippo, uno dei diaconi, raggiunse una città della Samaria. Là predicò Cristo risorto, e il suo annuncio fu accompagnato da numerose guarigioni, così che la conclusione dell'episodio è molto significativa: "E vi fu grande gioia in quella città". Ogni volta ci colpisce questa espressione, che nella sua essenzialità ci comunica un senso di speranza; come dicesse: è possibile! E' possibile che l'umanità conosca la vera gioia, perché là dove arriva il Vangelo, fiorisce la vita; come un terreno arido che, irrigato dalla pioggia, subito diventa verde. Filippo e gli altri discepoli, con la forza dello Spirito Santo, fecero nei villaggi della Palestina ciò che aveva fatto Gesù: predicarono la Buona Notizia e operarono segni prodigiosi. Era il Signore che agiva per mezzo loro. Come Gesù annunciava la venuta del Regno di Dio, così i discepoli annunciarono Gesù risorto, professando che Egli è il Cristo, il Figlio di Dio, battezzando nel suo nome e scacciando ogni malattia del corpo e dello spirito.

"E vi fu grande gioia in quella città". Leggendo questo brano, viene spontaneo pensare alla forza risanatrice del Vangelo, che nel corso dei secoli ha "irrigato", come acqua che porta vita, tante popolazioni. Alcuni grandi Santi e Sante hanno portato speranza e pace ad intere città - pensiamo a san Carlo Borromeo a Milano, al tempo della peste; alla beata Madre Teresa a Calcutta; e a tanti missionari, il cui nome è noto a Dio, che hanno dato la vita per portare l'annuncio di Cristo e far fiorire tra gli uomini la gioia profonda. Mentre i potenti di questo mondo cercavano di conquistare nuovi territori per interessi politici ed economici, i messaggeri di Cristo andavano dappertutto con lo scopo di portare Cristo agli uomini e gli uomini a Cristo, sapendo che solo Lui può dare la vera libertà e la vita eterna. Anche oggi la vocazione della Chiesa è l'evangelizzazione: sia verso le popolazioni che non sono state ancora "irrigate" dall'acqua viva del Vangelo; sia verso quelle che, pur avendo antiche radici cristiane, hanno bisogno di nuova linfa per portare nuovi frutti, e riscoprire la bellezza e la gioia della fede.

Ora abbiamo le parole semplici e profonde di papa Francesco: "La gioia del vangelo riempie il cuore e la vita di coloro che si incontrano con Gesù. Con Gesù sempre nasce e rinasce la gioia". Il papa ci ricorda la gioia del vangelo e ci richiama l'importanza dell'opera di evangelizzazione, nel nostro tempo, nelle situazioni della nostra vita.

L'apostolo Pietro nella seconda lettura ci dice: "Adorate il Signore nei vostri cuori, pronti sempre a dare ragione della speranza che è in voi, con dolcezza e rispetto".

E la gioia del vangelo non è un insieme di idee, ma l'esperienza di vita con Gesù, in Gesù, per Gesù. "Osservate i miei comandamenti": è così che si ama Gesù. "Pregherò il Padre e vi darà lo Spirito Santo, consolatore, difensore. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui. Io sono nel Padre e voi in me e io in voi".

Scrive il papa nel documento La gioia del vangelo: "Invito a rinnovare ogni giorno il proprio incontro personale con Gesù, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta"... Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada. Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti!"
OFFLINE
26/05/2014 07:28
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 15,26-16,4

1) Preghiera

Donaci, Padre misericordioso,
di rendere presente in ogni momento della vita
la fecondità della Pasqua,
che si attua nei tuoi misteri.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 15,26-16,4
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio.
Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato".


3) Riflessione

? Nei capitoli da 15 a 17 del Vangelo di Giovanni, l'orizzonte si dilata oltre il momento storico della Cena. Gesù prega il Padre "non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me" (Gv 17,20). In questi capitoli, è costante l'allusione all'azione dello Spirito nella vita delle comunità, dopo Pasqua.
? Giovanni 15,26-27: L'azione dello Spirito Santo nella vita delle comunità. La prima cosa che lo Spirito fa è dare testimonianza di Gesù: "Egli mi renderà testimonianza". Lo Spirito non è un essere spirituale senza definizione. No! E' lo Spirito della verità che viene dal Padre, sarà mandato da Gesù stesso e ci introdurrà nella verità piena (Gv 16,13). La verità piena è Gesù stesso: "Io sono la via, la verità e la vita!" (Gv 14,6). Alla fine del primo secolo, c'erano alcuni cristiani così affascinati dall'azione dello Spirito che non guardavano più Gesù. Affermavano che ora, dopo la risurrezione, non era più necessario fissare lo sguardo su Gesù di Nazaret, colui "che venne nella carne". Si allontanavano da Gesù e rimanevano solo con lo Spirito. Dicevano: "Gesù è anatema!" (1Cor 12,3). Il Vangelo di Giovanni prende posizione e non permette di separare l'azione dello Spirito dalla memoria di Gesù di Nazaret. Lo Spirito Santo non può essere isolato con una grandezza indipendente, separato dal mistero dell'incarnazione. Lo Spirito Santo è inseparabilmente unito al Padre ed a Gesù. E' lo Spirito di Gesù che il Padre ci manda, quello stesso Spirito che Gesù ci ha conquistato con la sua morte e risurrezione. E noi, ricevendo questo Spirito nel battesimo, dobbiamo essere il prolungamento di Gesù: "Ed anche voi darete testimonianza!" Non possiamo mai dimenticare che proprio la vigilia della sua morte Gesù ci promette lo Spirito. Nel momento in cui lui si donava per i suoi fratelli. Oggi giorno, il movimento carismatico insiste nell'azione dello Spirito, e fa molto bene. Deve insistere sempre di più, ma deve anche insistere nell'affermare che si tratta dello Spirito di Gesù di Nazaret che, per amore dei poveri e degli emarginati, fu perseguitato, detenuto e condannato a morte e che, proprio per questo, ci ha promesso il suo Spirito in modo che noi dopo la sua morte, continuassimo la sua azione e fossimo per l'umanità la stessa rivelazione dell'amore preferenziale del Padre per i poveri e gli oppressi.
? Giovanni 16,1-2: Non aver paura. Il Vangelo avverte che essere fedeli a Gesù ci porterà ad avere difficoltà. I discepoli saranno esclusi dalla sinagoga. Saranno condannati a morte. Con loro succederà la stessa cosa che è accaduta a Gesù. Per questo, alla fine del primo secolo, c'erano persone che, per evitare la persecuzione, diluivano il messaggio di Gesù trasformandolo in un messaggio gnostico, vago, senza definizione, che non contrastava con l'ideologia dell'impero. A loro si applica ciò che Paolo diceva: "Hanno paura della croce di Cristo" (Gal 6,12). E Giovanni stesso, nella sua lettera, dirà nei loro riguardi: "Poiché molti sono i seduttori che sono apparsi nel mondo, i quali non riconoscono Gesù venuto nella carne. Ecco il seduttore e l'anticristo!" (2 Gv 1,7). La stessa preoccupazione appare anche nell'esigenza di Tommaso: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò." (Gv 20,25) Il Cristo risorto che ci promise il dono dello Spirito è Gesù di Nazaret che continua ad avere fino ad oggi i segni di tortura e di croce nel suo corpo risorto.
? Giovanni 16,3-4: Non sanno quello che fanno. Tutto questo avviene "perché non riconoscono né il Padre né me". Queste persone non hanno un'immagine corretta di Dio. Hanno un'immagine vaga di Dio, nel cuore e nella testa. Il loro Dio non è il Padre di Gesù Cristo che ci raduna tutti in unità e fraternità. In fondo, è lo stesso motivo che spinse Gesù a dire: "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34). Gesù fu condannato dalle autorità religiose perché, secondo la loro idea, lui aveva una falsa immagine di Dio. Nelle parole di Gesù non appare odio né vendetta, ma compassione: sono fratelli ignoranti che non sanno nulla del nostro Padre.


4) Per un confronto personale

? Il mistero della Trinità è presente nelle affermazioni di Gesù, non come una verità teorica, ma come espressione del cristiano con la missione di Gesù. Come vivo nella mia vita questo mistero centrale della nostra fede?
? Come vivo l'azione dello Spirito nella mia vita?


5) Preghiera finale

Cantate al Signore un canto nuovo;
la sua lode nell'assemblea dei fedeli.
Gioisca Israele nel suo Creatore,
esultino nel loro Re i figli di Sion. (Sal 149)
OFFLINE
27/05/2014 07:58
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

Esulti sempre il tuo popolo, o Padre,
per la rinnovata giovinezza dello spirito,
e come oggi si allieta
per il dono della dignità filiale,
così pregusti nella speranza
il giorno glorioso della risurrezione.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...



2) Lettura

Dal Vangelo secondo Giovanni 16,5-11
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: ?Ora vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: Dove vai? Anzi, perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato?.



3) Riflessione

? Giovanni 16,5-7: Tristezza dei discepoli. Gesù inizia con una domanda retorica a evidenziare la presenza della tristezza, oramai evidente nel cuore dei discepoli per il distacco da Gesù: «Ora però vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: ?Dove vai??». È chiaro che per i discepoli, il distacco dei discepoli dallo stile di vita vissuto con Gesù, comporta sofferenza. E Gesù incalza dicendo: «Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore» (v.6) Così Sant?Agostino spiega tale sentimento di abbandono dei discepoli: «avevano paura al pensiero di perdere la presenza visibile di Cristo... Erano contristati nel loro affetto umano, al pensiero che i loro occhi non si sarebbero più consolati nel vederlo» (Commento al vangelo di Giovanni, XCIV, 4). Gesù cerca di dissipare questa tristezza, dovuta al venir meno della sua presenza, rivelando il fine della sua partenza. Vale a dire che se egli non parte da loro il Paraclito non potrà raggiungerli; se egli muore e quindi ritorna al Padre, lo potrà inviare ai discepoli. La partenza e il distacco da essi è condizione previa per la venuta del Paraclito: «perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore...» (v.7).
? Giovanni 16,8-11: Missione del Paraclito. Gesù prosegue nel descrivere la missione del Paraclito. Il termine «Paraclito» vuol dire «avvocato», vale a dire, sostegno, assistente. Qui il Paraclito viene presentato come l?accusatore in un processo che si svolge davanti a Dio e nel quale l?imputato è il mondo che si è reso colpevole di condannare Gesù: «dimostrerà la colpa del mondo, riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio» (v.8). Il verbo greco elègkein significa che farà un?inchiesta, interrogherà, metterà alla prova: porterà alla luce una realtà, fornirà la prova della colpevolezza.
L?oggetto della confutazione è il peccato: egli darà la prova al mondo del peccato che ha commesso nei confronti di Gesù e glielo manifesterà. Di quale peccato si tratta? Quello dell?incredulità (Gv 5,44ss; 6,36; 8,21.24.26; 10,31ss). Inoltre per il mondo l?aver pensato che Gesù è un peccatore (Gv 9,24; 18,30) è una colpa inescusabile (Gv 15,21ss).
In secondo luogo «confuterà» il mondo «riguardo alla giustizia». Sul piano giuridico, la nozione di giustizia più aderente al testo, è quella che comporta una dichiarazione di colpevolezza o di innocenza in un giudizio. Nel nostro contesto è l?unica volta che il termine «giustizia» compare nel vangelo di Giovanni, altrove ricorre quello di «giusto». In Gv 16,8 la giustizia è legata a quanto Gesù ha affermato di sé, vale a dire, sul perché va al Padre. Tale discorso verte sulla sua glorificazione: Gesù va al Padre, sta per eclissarsi in Lui e quindi i discepoli non riusciranno più a vederlo; sta per affidarsi e immergersi totalmente nella volontà del Padre. La glorificazione di Gesù conferma la sua filiazione divina e l?approvazione del Padre per la missione che Gesù ha compiuto. Quindi lo Spirito dimostrerà la giustizia di Cristo direttamente (Gv 14,26; 15,26) proteggendo i discepoli e la comunità ecclesiale.
Il mondo che credeva di aver giudicato Gesù condannandolo, viene condannato dal «principe di questo mondo», perché è il responsabile della sua crocifissione (13,2.27). Gesù, morendo in croce, è stato innalzato (12,31) ed ha trionfato su Satana. Ora lo Spirito testimonierà a tutti il significato della morte di Gesù che coincide con la caduta di Satana (Gv 12,32; 14,30; 16,33).



4) Per un confronto personale

? Il timore, lo sgomento dei discepoli di perdere Gesù è anche il nostro?
? Ti lasci condurre dallo Spirito Paraclito che ti dà la certezza dell?errore del mondo e ti aiuta ad aderire a Gesù, e, quindi, ti introduce nella verità di te stesso?



5) Preghiera finale

Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
A te voglio cantare davanti agli angeli,
mi prostro verso il tuo tempio santo. (Sal 137)
OFFLINE
28/05/2014 07:34
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Messa Meditazione
Lo Spirito illuminatore

Lettura
Il testo, che contiene il quinto detto giovanneo sul Paraclito, illustra l'opera dello Spirito Santo nei confronti della comunità. Gesù afferma di avere ancora molte cose da dire ai discepoli, di cui essi non possono reggere il peso e che, perciò, tace. Lo «Spirito di verità» introdurrà i discepoli nella verità e la renderà, per loro, sempre più trasparente. La "glorificazione" di Gesù ? cioè il suo riconoscimento e il dono del potere di perfezionare la sua opera ? avviene da parte del Padre. Il Paraclito, tuttavia, contribuisce, con l'annuncio sempre nuovo del mistero del Figlio, al compimento dell'opera salvifica e, con ciò, partecipa pure alla sua glorificazione.

Meditazione
Ci sono gradi diversi nella conoscenza della verità: ad esempio, si può sapere una cosa per averla imparata a memoria oppure con una consapevolezza profonda. Continuando nell'esempio, una cosa è sapere a memoria che Gesù è morto per noi e un'altra avere la consapevolezza profonda di ciò che significa essere salvati dal Signore Gesù, di cosa significa per Gesù essere morto, aver offerto la sua vita per amore. Entrare nella profondità della verità, sentire la verità viva in noi, è una grande grazia e questa grazia viene donata dallo «Spirito di verità», che guida alla pienezza della verità. Solo chi è illuminato dallo Spirito illuminatore può gustare, in qualche modo comprendere e parlare della verità divina. Lo Spirito Santo, inoltre, annuncia ai discepoli «le cose future», letteralmente «ciò che sta per venire». In altri termini, possiamo dire che lo Spirito Santo guida i discepoli nel futuro, nel vivere la fede secondo le modalità richieste dalla condizione futura, nel vedere la realtà con gli occhi del Cristo che è venuto a salvare il mondo e che «verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti». Quelli che hanno ricevuto lo Spirito Santo vivono il presente alla luce del passato di Gesù, nel ricordo attualizzante di lui, e vivono pure nella rinuncia alle previsioni scientifiche o agli oroscopi, che servono a ingannare l'angoscia presente, preferendo porre il fondamento nell'unica profezia che va presa sul serio. Vivono, cioè, nella speranza di incontrare colui che è «l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il principio e la fine» (Ap 22,13), colui che assicura: «Sì, verrò presto!» (Ap 22,20).

Preghiera:
«Vieni, o Spirito creatore, visita le nostre menti, riempi della tua grazia i cuori che hai creato [...]. Sii luce all'intelletto, fiamma ardente nel cuore [...]. Luce d'eterna sapienza, svelaci il grande mistero di Dio Padre e del Figlio uniti in un solo Amore. Amen».

Agire:
Oggi, chiederò al Signore che le cose che ho imparato diventino in me una realtà viva.

Commento a cura di don Nunzio Capizzi
Nuova Discussione
Rispondi
TUTTO QUELLO CHE E' VERO, NOBILE, GIUSTO, PURO, AMABILE, ONORATO, VIRTUOSO E LODEVOLE, SIA OGGETTO DEI VOSTRI PENSIERI. (Fil.4,8) ------------------------------------------
 
*****************************************
Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra | Regolamento | Privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 05:05. Versione: Stampabile | Mobile - © 2000-2024 www.freeforumzone.com