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MEDITIAMO LE SCRITTURE (anno A)

Ultimo Aggiornamento: 04/12/2014 07:14
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29/12/2013 08:56
 
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Agenzia SIR


Prima Lettura

Al tempo di Gesù, il libro di Ben Sira era usato dai maestri per i giovani nei confronti dei genitori, educandoli alla riconoscenza e facendoli attenti ai bisogni degli altri. Tutto questo è onorare il padre e la madre, il primo comandamento, dopo quelli che riguardano Dio. Far onore in modo che i genitori possano sentirsi orgogliosi di loro, assisterli quando si trovano nel bisogno, continuando a dare loro il peso che meritano. Il Siracide è libro antico, ma con parole nuove, quanto mai attuali.

L'amore verso i genitori espia i peccati: fa maturare, aiuta a scoprire i veri valori, stacca da ciò che è effimero, allontana dal peccato; fa accumulare tesori davanti a Dio; chi onora i genitori sarà a sua volta onorato dai figli, che imparano con gli occhi più che con le orecchie; la preghiera di chi onora i genitori sarà esaudita perché avvicina a Dio; infine, chi onora i genitori avrà una lunga vita: è la promessa di benedizione per chi si prende cura dei propri genitori.

Vangelo

Un insegnante narrava, alle elementari, la fuga della sacra famiglia in Egitto. Un alunno domanda, innocente: "Perché l'angelo non ha avvisato anche i genitori degli altri bambini di Betlemme?". Certo, il Vangelo dell'infanzia è pagina di teologia, non di cronaca. Ma resta il presagio tragico su quel neonato già destinato alla strage.
Un racconto in due quadri: la fuga in Egitto e il ritorno nella terra d'Israele. Una storia semplice e commovente, ma tutt'altro che fiaba. Nella Bibbia il "primogenito di Dio" era Israele. Matteo invita a identificarlo con questo "figlio" che sta per rivivere la storia del suo popolo, immerso nella nostra condizione di schiavitù per compiere con noi l'esodo.

C'è un parallelo fra Gesù e Mosè. Fin dal monte Nebo c'era attesa del nuovo Mosè. E Matteo mette in parallelo la figura di Mosè con quella di Gesù: il faraone volle affogare tutti i figli degli Ebrei ed Erode fece uccidere tutti i bambini di Betlemme; Mosè fu l'unico che scampò e Gesù l'unico a salvarsi. Mosè fuggì e Gesù fece lo stesso. Mosè tornò in Egitto e Giuseppe "entra in Israele", con il bambino e la madre. È un nuovo esodo. Anche questo riuscirà perché è Dio stesso a schierarsi con il nuovo liberatore.

Commento a cura di don Angelo Sceppacerca
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30/12/2013 08:27
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Vedere per testimoniare

Non è possibile vedere il Bambino senza avere poi l'urgenza di parlare di lui. È stata per prima la stessa Madre ad intonare un canto del Magnificat che ancora risuona ogni giorno nella chiesa. Zaccaria, prima muto, poi diventa anch'egli cantore della misericordia di Dio. Il vecchio Simeone, che dopo tanta fiduciosa attesa, ha la gioia di vedere con i suoi occhi e di stringere tra le sue braccia il Messia promesso, intona anch'egli il suo cantico. Si dichiara ormai pronto a chiudere per sempre i suoi occhi perché hanno visto la salvezza. Oggi è la volta della profetessa Anna. Il Vangelo ci dice di lei: «Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere». Anche lei alla vista del Bambino si mise a lodare Dio e a parlare di Lui «a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme». La Vergine Madre, Zaccaria, Simeone, Anna sono i primi testimoni di Cristo, i primi annunciatori della salvezza che egli è venuto a portare sulla terra. Ai loro nomi ora doverosamente dobbiamo aggiungere i nostri, anche noi infatti abbiamo visto e udito ciò che ha detto e fatto per noi l'autore della vita. È un impegno che deriva dal nostro battesimo. È un dovere di gratitudine. È la nostra risposta alla gratuità dei doni ricevuti. È infine il più squisito atto di carità fraterna. In questa prospettiva comprendiamo in un significato diverso la frase conclusiva del brano evangelico di oggi: «Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui». Cristo oggi si fortifica e cresce nella misura in cui è conosciuto, accolto, testimoniato e amato.
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31/12/2013 11:06
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
I nemici del vangelo

Ascoltiamo il rammarico di s. Giovanni per la presenza nella Chiesa di persone ostili alla fede. Sarebbe logico aspettarsi una vita tranquilla una volta che abbiamo scelto di seguire Cristo, anche se egli ci annunzia violenza e persecuzioni. Semmai, ce le aspetteremmo dal di fuori, dai non credenti... Invece San Giovanni lamenta fortemente che anche ai tempi apostolici vi sono dei falsi cristiani, dei falsi annunciatori del vangelo, degli anticristi che fanno soffrire fortemente i veri discepoli del Signore. Certamente non c'è da meravigliarsi di tanta cecità, conoscendo la volubilità dell'uomo... - addolorarsi, sì. L'apostolo si rivolge ai fedeli che hanno avuto l'unzione dello Spirito perché capiscano dove si trovi la verità e non si lascino incantare da seminatori di zizzania. Del resto il nostro Salvatore ci ha donato una guida sicura di verità nella persona di Pietro e dei papi, suoi successori. Chi segue il papa e si attiene ai suoi insegnamenti è sicuro di camminare nella verità. La riflessione sul prologo del vangelo di Giovanni ci spinge a tuffarci nell'eternità, dove il tempo si ferma. Da essa esce il Verbo che prende dimora tra la sua gente. Ma i suoi non l'accettano. Sembrerebbe impossibile che dopo secoli di attesa, quando giunge il salvatore, venga respinto, rifiutato. Potremmo però chiederci: E noi del XXI secolo sappiamo accogliere il messaggio di salvezza che viene dal Verbo di Dio? Coloro che fanno propaganda di ateismo, che combattono la Chiesa, che vomitano calunnie e inventano favole per denigrare il sacro non sono stati, almeno la maggior parte, battezzati? Ecco gli anticristi del nostro mondo occidentale. Anche di loro si potrebbe dire con Giovanni: sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri! Dio abbia pietà di loro! Noi però vogliamo lodare e ringraziare il nostro Salvatore perché abbiamo la gioia di accoglierlo come nostro redentore perché "da Dio siamo stati generati!" La convinzione di appartenere al Signore ci aiuti e ci spinga a ringraziarlo, alla fine dell'anno, per il dono della fede, per la perseveranza in essa, per tutte le grazie con cui ha protetto e guidato la nostra vita: "Noi ti lodiamo, Dio, ti proclamiamo Signore. O eterno Padre, tutta la terra ti adora".
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01/01/2014 08:44
 
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don Alberto Brignoli
Fraternità è Pace

Nel suo primo Messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace, Papa Francesco prende spunto dal tema della fraternità, d'ispirazione fortemente natalizia: nella Nascita del Figlio di Dio, che oggi la Liturgia ci fa contemplare come Figlio del Padre ma anche di Colei che è al tempo stesso Madre e Figlia, tutti quanti siamo resi familiari di Dio, figli suoi e quindi fratelli di e in Gesù Cristo. Per questo motivo, nessuno di noi può dirsi "esente" dall'interesse nei confronti del proprio fratello; nessuno di noi può più tornare alle origini della nostra storia, quando i conflitti, le incomprensioni e i delitti tra gli uomini avvennero in conseguenza della mancanza d'interesse di un uomo, Caino, nei confronti del suo fratello. La domanda "Sono forse io custode del mio fratello?" è l'evidente segno di un disinteresse nei confronti del fratello che dice la nostra responsabilità su quanto di male gli possa capitare.
Il Messaggio del Papa ha per titolo: "Fraternità, fondamento e via per la pace", e vuole aiutarci a prendere coscienza di come i conflitti, le disuguaglianze, le ingiustizie presenti nell'umanità altro non siano se non la conseguenza di una mancata responsabilità nei confronti dei nostri fratelli più disagiati; per cui, non ci può essere vera pace laddove non c'è forte interesse nei confronti dell'altro che vive al nostro fianco ogni giorno, ma anche dell'umanità più ampia di cui ognuno di noi fa parte. Potremmo dire che nel Messaggio del Papa (che ha tra l'altro le dimensioni di una lettera enciclica, tanto è corposo lo spazio dedicato da Francesco al tema a lui molto caro della Pace) siamo invitati ad aprirci a una duplice dimensione, una "macro" legata a temi di apertura mondiale e una "micro" più legata invece alle realtà che viviamo nella vita di ogni giorno. Le due, in realtà, non sono slegate: e ciò che ha contribuito a fare entrare nelle nostre case la dimensione mondiale di temi come la giustizia, la pace, la solidarietà, lo sviluppo dei popoli, è stato il grande fenomeno della globalizzazione, che oltre ai molti benefici ci ha però anche donato una sorta di "globalizzazione dell'indifferenza", ossia quella cosa per cui, avendo a disposizione a portata di un "click" o di touch screen situazioni di ingiustizia, di guerra, di povertà in tempo reale provenienti da tutto il mondo, ci siamo talmente abituati ad esse che non ci toccano più il cuore, e addirittura ci fanno sentire con la coscienza a posto perché "queste cose le sappiamo già" o "lo abbiamo già visto sul web".
Eppure, la globalizzazione non ha dato la possibilità a tutti gli uomini di accedere in uguale maniera ai benefici che derivano dal suo incremento. Si è così creata quella "mentalità dello scarto", come la chiama il Papa, secondo la quale chi è tagliato fuori da questo fenomeno diventa automaticamente quell'emarginato di cui abbiamo quasi necessità perché su di lui riversiamo quanto non rientra nelle logiche della globalizzazione, in modo particolare le logiche perverse di mercato tipiche dell'economia neoliberale. Per un credente, per un cristiano in modo particolare, il riferimento a un unico Padre nel quale tutti ci riconosciamo come figli non può assolutamente lasciarci indifferenti di fronte alle disuguaglianze sociali che portano all'assenza di pace nel mondo. Tuttavia, questo non è un processo automatico: la vocazione alla fraternità va costruita e alimentata, perché può portare anche alla sua negazione, al suo tradimento, alla ricerca dell'interesse personale, cosa che vediamo negli atteggiamenti di quotidiano egoismo.
A cosa ci esorta, quindi, il Papa, in questa 47esima Giornata Mondiale per la Pace? Francesco ci richiama innanzitutto a tre doveri, sacrosanti per l'umanità:
il dovere di solidarietà, che esige che le Nazioni più ricche aiutino quelle in via di sviluppo;
il dovere di giustizia sociale, che richiede che vengano riequilibrati i rapporti tra popoli forti e popoli deboli;
il dovere di carità universale, che implica la promozione di un mondo più umano per tutti, dove tutti abbiano qualcosa da ricevere ma soprattutto da donare agli altri, con dignità.
Fin qui, i principi fondamentali, sulla base dei quali poi, però, si devono muovere delle azioni concrete volte a ricreare fraternità. Anche su queste, il Papa ci dà alcune indicazioni, ma soprattutto in questi primi mesi di Pontificato, ci ha già dato grandi esempi.
Innanzitutto, impariamo a non sperequare il reddito: la crisi di questi cinque anni ci ha insegnato a ridimensionare le nostre fonti d'ingresso, ma penso che soprattutto ci abbia insegnato a fare in modo che quel poco che rispetto a prima abbiamo, non venga gettato via inutilmente con uno stile di vita che non ci corrisponde, perché di un tenore troppo alto ed eccesivo rispetto al nostro "medio": cosa a cui ci avevano indotto i signori del marketing, facendoci credere di vivere in una bolla di sapone dove potevamo permetterci tutto pagando poi col tempo, in comode rate. La bolla di sapone è scoppiata, perché chi ci ha anticipato i soldi, li ha voluti indietro tutti e con gli interessi, e questo ci ha fatto comprendere la cosa più elementare: che un passero non può volare come un'aquila, e che se ho mille, non posso spendere diecimila. Se non comprendiamo questo, una volta crollata l'illusione creiamo una massa di poveri che sono così perché si sono creduti fino a ieri ricchi, ben oltre le loro possibilità.
Oltre al cambio dei modelli di sviluppo che riguardano la dimensione del "macro", nella sfera del "micro", ovvero nella nostra piccola realtà quotidiana, siamo chiamati ad un cambiamento negli stili di vita. Il ritorno a dimensioni più umane, più naturali, più "bio" più a "chilometro zero", non deve essere dettato solo dal desiderio di una ricerca di benessere, cosa che renderebbe i nostri sforzi per la pace un po' "sofistici", un po' "snob", un po' elitari: ritornare a vivere in una dimensione di risparmio energetico e di utilizzo delle risorse contribuisce a non sprecare un pianeta in più di quello che abbiamo a disposizione, che non è poi così eterno come si pensi...
Infine, mentre ai grandi della terra è affidata l'incombente necessità di porre fine ai conflitti e alle numerose e violente guerre presenti ancora nel mondo attraverso una corsa al disarmo e una lotta contro le gravi disuguaglianze sociali, a noi spetta il compito di combattere contro un altro nemico della fraternità, cioè la corruzione. È un altro dei temi cari a Papa Francesco, che vede nell'agire trasparente e responsabile di tutti i cittadini e dei poteri pubblici, una forma di grande rispetto della libertà degli individui. "Invece, spesso tra cittadino e istituzioni si incuneano interessi di parte che deformano le relazioni umane", creando sempre dipendenza di alcuni rispetto ad altri. Partiamo allora dal nostro piccolo a promuovere atteggiamenti che denuncino ogni forma di corruzione, grande o piccola che essa sia, soprattutto attraverso una conversione personale che ci facci rinunciare, ad esempio, a favori e agevolazioni in nome di una minor perdita di tempo e di denaro.
Se ognuno di noi, con impegno, fa la propria piccola parte per ricreare relazioni di fraternità basate sul rispetto, sull'onesta, sulla giustizia, su una cultura dei doveri e sulla presa di coscienza di ciò che siamo, allora la fraternità non sarà solo una condizione per la pace, ma sarà la Pace stessa.
Per tutti.
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02/01/2014 08:10
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 1,19-28

1) Preghiera

Rafforza la fede del tuo popolo, o Padre,
perché creda e proclami il Cristo tuo unico Figlio,
vero Dio, eterno con te nella gloria,
e vero uomo nato dalla Vergine Madre;
in questa fede confermaci nelle prove della vita presente
e guidaci alla gioia senza fine.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 1,19-28
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: "Chi sei tu?"
Egli confessò e non negò, e confessò: "Io non sono il Cristo". Allora gli chiesero: "Che cosa dunque? Sei Elia?" Rispose: "Non lo sono". "Sei tu il profeta?" Rispose: "No". Gli dissero dunque; "Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?" Rispose: "Io sono ''voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore'', come disse il profeta Isaia".
Essi erano stati mandati da parte dei farisei. Lo interrogarono e gli dissero: "Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?" Giovanni rispose loro: "Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo". Questo avvenne in Betania, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

3) Riflessione

? Il vangelo di oggi parla della testimonianza di Giovanni Battista. I giudei mandarono "sacerdoti e leviti" ad interrogarlo. Allo stesso modo, alcuni anni dopo, manderanno persone a controllare l'attività di Gesù (Mc 3,22). C'è una somiglianza molto grande tra le risposte della gente nei riguardi di Gesù e le domande che le autorità rivolgono a Giovanni. Gesù chiede ai discepoli: "Chi dice la gente che io sono?" Loro rispondono: "Elia, Giovanni Battista, Geremia, uno dei profeti" (cf. Mc 8,27-28). Le autorità rivolgono le stesse domande a Gesù: "Sei tu il Messia, o Elia, il profeta?" Giovanni risponde citando il profeta Isaia: "Io sono una voce che grida nel deserto: preparate il cammino al Signore". Gli altri tre vangeli contengono la stessa affermazione nei riguardi di Giovanni: lui non è il Messia, ma è venuto a preparare la venuta del messia (cf. Mc 1,3; Mt 3,3; Lc 3,4). Tutti e quattro i vangeli prestano molta attenzione all'attività ed alla testimonianza di Giovanni Battista. Qual'è il motivo di questa insistenza da parte loro nel dire che Giovanni non è il Messia?
? Giovanni Battista fu messo a morte da Erode attorno all'anno 30. Ma fino alla fine del primo secolo, epoca in cui fu scritto il Quarto Vangelo, Giovanni continuava ad essere considerato un leader tra i giudei. Ed anche dopo la sua morte, il ricordo di Giovanni continuava ad esercitare un forte influsso nel vissuto della fede della gente. Era considerato un profeta (Mc 11,32). Era il primo grande profeta che apparve dopo secoli di assenza dei profeti. Molti lo consideravano il Messia. Quando negli anni 50, Paolo passò per Efeso, in Asia Minore, incontrò un gruppo di persone che erano state battezzate con il battesimo di Giovanni (cf. At 19,1-4). Per questo, era importante divulgare la testimonianza dello stesso Giovanni Battista, dicendo che non era il Messia ed indicare invece Gesù come il Messia. E così, Giovanni stesso contribuisce ad irradiare meglio la Buona Notizia di Gesù.
? "Come mai tu battezzi se non sei né il Messia, né Elia, né il profeta?" La risposta di Giovanni è un'altra affermazione con la quale indica che Gesù è il Messia: "Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo". E un poco più avanti (Gv 1,33), Giovanni fa allusione alle profezie che annunciavano l'effusione dello Spirito per i tempi messianici: "Colui sul quale vedrete scendere lo Spirito e posarsi su di lui, costui battezza con lo Spirito Santo" (cf. Is 11,1-9; Ez 36,25-27; Gioele 3,1-2).

4) Per un confronto personale

? Hai avuto nella tua vita qualche Giovanni Battista che ha preparato in te il cammino per accogliere Gesù?
? Giovanni fu umile. Non si fece più grande di quello che era in realtà: tu sei stato battista per qualcuno?

5) Preghiera finale

Tutti i confini della terra hanno veduto
la salvezza del nostro Dio.
Acclami al Signore tutta la terra,
gridate, esultate con canti di gioia. (Sal 97)
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03/01/2014 07:33
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 1,29-34

1) Preghiera

O Dio, tu hai voluto che l'umanità del Salvatore,
nella sua mirabile nascita dalla Vergine Maria,
non fosse sottoposta alla comune eredità dei nostri padri;
fa' che liberati dal contagio dell'antico male
possiamo anche noi far parte
della nuova creazione,
iniziata da Cristo tuo Figlio.
Egli è Dio, e vive e regna con te...

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 1,29-34
Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo! Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele".
Giovanni rese testimonianza dicendo: "Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua, mi aveva detto: "L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio".

3) Riflessione

? Nel Vangelo di Giovanni la storia ed il simbolo si uniscono insieme. Nel testo di oggi, il simbolismo consiste soprattutto nelle evocazioni di testi conosciuti dell'Antico Testamento che rivelano qualcosa riguardo l'identità di Gesù di Nazaret. In questi pochi versi (Gv 1,29-34) esistono le seguenti espressioni con densità simbolica: a) Agnello di Dio; b) Togliere il peccato del mondo; c) Esisteva prima di me; d) La discesa dello Spirito sotto forma di una colomba; e) Figlio di Dio.
a) Agnello di Dio. Questo titolo evocava il ricordo dell'esodo. La notte della prima Pasqua, il sangue dell'Agnello Pasquale, con cui si macchiavano le porte delle case, era per la gente segno di liberazione (Es 12,13-14). Per i primi cristiani Gesù è il nuovo Agnello Pasquale che libera il suo popolo (1Cor 5,7; 1Pt 1,19; Ap 5,6.9).
b) Togliere il peccato del mondo. Evoca una frase molto bella della profezia di Geremia: "Nessuno più avrà bisogno di insegnare al suo prossimo o ai suoi fratelli: "Riconoscerete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato." (Ger 31,34).
c) Esisteva prima di me. Evoca diversi testi dei libri sapienziali, in cui si parla della Saggezza di Dio che esisteva prima di tutte le altre creature e che era accanto a Dio, quale maestro dell'opera nella creazione dell'universo e che, alla fine, fissò la sua dimora in mezzo al popolo di Dio (Pro 8,22-31; Eccle 24,1-11).
d) Discesa dello Spirito sotto forma di una colomba. Evoca l'azione creatrice dove viene detto che "lo spirito di Dio aleggiava sulle acque" (Gen 1,2). Il testo della Genesi suggerisce l'immagine di un uccello che vola sul nido. Immagine della nuova creazione in movimento grazie all'azione di Gesù.
e) Figlio di Dio: è il titolo che riassume tutti gli altri. Il miglior commento di questo titolo è la spiegazione di Gesù stesso: "Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». Rispose loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi? Ora, se essa ha chiamato dei coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio (e la Scrittura non può essere annullata), a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre.»" (Gv 10,33-38)

4) Per un confronto personale

? Gesù ha offerto se stesso, completamente, per tutta l'umanità, ed io cosa posso offrire per aiutare il mio prossimo?
? Anche noi abbiamo ricevuto lo Spirito Santo. Quanto sono conscio che sono il suo tempio?

5) Preghiera finale

Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto prodigi.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo. (Sal 97)
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04/01/2014 07:16
 
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Riccardo Ripoli
Ecco l'Agnello di Dio!

Il dovere di chi ha Fede è quello di indicare la strada verso Dio, indicare il modo per conoscerLo ed amarLo.
Ci sono due modi per conoscere Dio. Uno è quello di leggere e studiare tutte le Sacre Scritture, analizzare parola per parola, trovare riferimenti e conferme, valutare le spiegazioni di altri, ed è il modo sbagliato per arrivare a Dio. E' un po' come se volessimo conoscere un individuo attraverso un medico che ci spieghi come è fatto il corpo umano, il nome delle ossa, i tessuti, le funzioni vitali e quant'altro, ma non arriveremmo mai a capire in questo modo una persona.
Per arrivare a conoscere Dio occorre guardare le Sue opere, il Suo amore attraverso i Suo doni, cercare di capire le persone che sono tutti figli Suoi, imparare a perdonarli qualunque peccato abbiano fatto, così come noi vorremmo essere perdonati in ogni circostanza, avere la speranza di potersi rialzare una volta che si è caduti, una speranza che non deve mai venire meno perché sarebbe come morire oppure come condannare a morte qualcuno.
Si è giovani quando si il coraggio e la forza di ricominciare da zero, così possiamo essere giovani ad ottantasei anni o vecchi a trenta, e così è per la Fede. Se sbagliamo, e sbagliamo tante volte al giorno, dobbiamo avere il coraggio di rimboccarci le maniche e riprendere la strada giusta. A volte ci sono dei momenti di riflessione, di silenzio, di accoglienza tacita delle parole degli altri, il dialogo è fatto anche da questi momenti.
La mia mamma mi ha insegnato la strada da prendere, l'ha illuminata a giorno in modo che la potessi ben vedere, insegnandomi valori e principi da seguire, ma io sono ben lontano da quella strada, peccatore più di tutti gli altri, ma ho la speranza di poter far meglio il giorno dopo. Era vicina a chi soffriva con una parola gentile o un aiuto e lottava come una tigre contro le ingiustizie riuscendo ad instaurare un rapporto di stima reciproca anche verso chi non aveva i suoi stessi principi.
Roberta oggi mi ha scritto come, dopo ventisette anni dalla sua morte, ancora oggi le persone la ricordino con grande affetto. E' stata per me come una stella che ha illuminato la mia vita con la luce che Dio le aveva donato, e quando è morta è stato come se fosse esplosa illuminando con la luce del suo amore la vita di tante persone.
Buon Anniversario Mamma da un figlio che non assomiglia nemmeno lontanamente alla parte più piccola del tuo amore verso Dio e verso il prossimo.
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05/01/2014 07:14
 
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don Roberto Rossi
La luce ha vinto

Approfondiamo la nostra accoglienza di Gesù, il Signore. Siamo colpiti oggi da un immediato contrasto: ci sono luci e tenebre, uomini che accolgono la novità e uomini che la rifiutano. Viviamo ogni giorno in questa contrapposizione, anzi, ce la portiamo dentro. Oggi ci viene rinnovato l'invito a scegliere quotidianamente la strada da percorrere: se quella della luce, o quella delle tenebre, se accogliere una parola che si manifesta così debole, come è la carne di un bambino, se appoggiarci ad altre parole dall'apparenza più solida. E una lotta che dobbiamo affrontare con grande fede perché Dio, come ci dice Lui, ha già vinto, e le tenebre non possono sopraffare la luce.
Il Vangelo odierno ci regala una certezza: «veniva nel mondo la luce vera». "Veniva", ci dice san Giovanni, perché è un Dio che viene continuamente, perché è un Dio che opera sempre nella storia e nella nostra personale vita. Il tempo del Natale ci insegna non a contemplare semplicemente la dolcezza di un bambino in un presepe, ma a riconoscere un Dio che sta in mezzo a noi, che illumina le tenebre dell'umanità tutta. Questa sicurezza è spesso sopraffatta dalle tenebre, non è accolta, non è riconosciuta, anche se ciò non scalfisce la vittoria certa della luce. Quante volte anche le mie tenebre, le mie paure, mie ansie, non fanno entrare la luce vera! Oggi ci vien ricordato che non c'è peccato, né confusione, che possa prevalere sulla presenza di Gesù, la luce. Egli può allora operare prodigi in noi e attraverso di noi. Se poi l'evangelista parla di luce vera, è proprio perché ci possono essere luci che sono invece false. Sono quelle più appariscenti e attraenti, che conquistano per la facilità e la comodità con cui possiamo raggiungerle. Ma propongono felicità deludenti, amare, vuote. La luce che promana invece dalla mangiatoia, e che brilla delicatamente lungo tutte le pagine del Vangelo, fino a noi, con la sua presenza fedele, è quella vera. E meno sgargiante, sicuramente, ma è la sola vera luce. L'importante è distinguerla dalle altre, e lasciarla abitare in noi! Perché è prima di tutto nella nostra storia, nel nostro personale ed unico terreno, che la luce vuole porre la sua tenda, anzi, l'ha già posta gratuitamente con il nostro Battesimo. A noi spetta lasciare che ogni nostra oscurità sia pervasa dalla sua forza, la stessa che ci permette di essere luce per gli altri. "Io sono la luce del mondo", "voi siete la luce del mondo".
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06/01/2014 09:42
 
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Wilma Chasseur
Stelle che camminano

Epifania: festa della luce, festa delle stelle che si mettono in cammino sulle vie del cielo per andare ad adorare un Bambino. Che non è solo un bimbo, ma è un sole: è quel "sole di giustizia che sorge dall'alto per rischiarare i popoli ancora immersi nelle tenebre e nell'ombra di morte".
I testi di oggi, sono tutti all'insegna della luce a cominciare dalla prima lettura: " Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te". Luce che vince e sconfigge ogni tenebra perché il Signore stesso è quella luce: " Su di te risplende il Signore". Luce che svela il mistero anche ai Gentili (= i pagani).



Stelle che adorano...


Luce che per i Magi si concretizza nella stella: "Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo". Luce che porta alla contemplazione, all'adorazione e alla gioia: "Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella essi provarono una grandissima gioia".
Ecco allora quei Magi, che si erano messi in cammino, videro che anche una stella si era messa in cammino e si misero a seguire quella stella che camminava davanti a loro. Erano partiti da lontano, e arrivarono vicino! Vicino alla salvezza: vicino al Salvatore. E la stella che era partita da molto più lontano ancora, arrivò anche lei vicino e adorò a modo suo il Bambino posandosi sul tetto della capanna, mentre i magi si prosternarono ai Suoi piedi (e poi i magi tornarono indietro per un'altra strada; chissà che via avrà preso la stella...).
Portano doni preziosi, oro incenso e mirra, ma la vera perla preziosa e il mirabile tesoro nascosto, ce l'hanno davanti ai loro occhi, celato in quel piccolo bimbo che sono venuti ad adorare.
Chi non si riconosce in questi Magi? La loro storia potrebbe essere quella di ognuno di noi.



Come si chiama la tua stella?


Un bel giorno, partiti da lontano, magari dal pianeta dell'incredulità o dell'indifferenza, siamo arrivati vicino, grazie a una stella che ha illuminato il nostro cammino. Stella che può avere tanti nomi: una chiamata, un avvenimento, un'ispirazione, una lettura, una testimonianza, una persona, un'illuminazione interiore ecc., che ci ha dato l'input a metterci in marcia.
E siamo partiti, attraversando mari e monti, i mari della desolazione e i monti della difficoltà, cercando di recuperare la stella ogni volta che scompariva, e vincere il disorientamento che la sua assenza provocava in noi.



Cosa c'è nel tuo scrigno?


E ogni qualvolta la stella riappariva, provavamo una grande gioia e riprendevamo con slancio il cammino intrapreso. Finché un bel giorno siamo giunti davanti al bambino con i nostri scrigni colmi di stanchezza e di povertà. Ma appena li abbiamo aperti, Lui li ha colmati dei suoi doni: la sua vita in noi e la ricchezza del suo amore. E di colpo abbiamo scoperto di avere trovato la perla preziosa, il tesoro nascosto che dà sapore di cenere a tutto il resto. Abbiamo scoperto che è questa la vera stella, il vero punto luce della nostra vita, quello che dà senso al nostro cercare e al nostro andare; quello che non vogliamo mai più smarrire.
Il nostro viaggio sulle strade della vita, ora potrà continuare: sentiamo di essere arrivati là dove si parte per andare sempre oltre. Oltre l'essere e l'avere e oltre anche il volere per poter dire fino in fondo "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me".

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07/01/2014 06:27
 
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Eremo San Biagio
Commento su Matteo 4, 16

«Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta».
Mt 4, 16

Come vivere questa Parola?

La venuta di Cristo rappresenta per l'umanità una luce che squarcia le tenebre: egli vuole risvegliare in ciascuno di noi la scintilla divina che è presente nella nostra umanità. Nella nostra esistenza cristiana può esistere anche una "Galilea delle genti" (cf Mt 4,15), una zona dove il paganesimo (sotto forma di egoismo, di consumismo, di rifiuto dell'altro, di sfruttamento...) affiora: è urgente quindi l'appello alla conversione, che risuona anche nel vangelo di oggi: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4,17). Abbandonare abitudini e opinioni contrarie al vangelo, aprirsi alla novità di Cristo e accogliere Dio che si manifesta e guarisce malattie e infermità materiali e spirituali (cf Mt 4,23-24). Siamo noi consapevoli che il regno dei cieli è vicino e noi dobbiamo testimoniarlo a tutti?

O Signore, aiutaci ad aprirci alla luce che sei venuto a portare sulla terra e ad delimare le tenebre ancora presenti in noi.

La voce di Papa Francesco

«Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell'amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita».
Evangelii Gaudium, n. 49

D. Mario Maritano SDB - maritano@unisal.it
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08/01/2014 07:11
 
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Riccardo Ripoli
Voi stessi date loro da mangiare

Tantissime volte guardiamo una montagna dal basso verso l'alto e rinunciamo a scalarla perché troppo ripida. Eppure ci sono centinaia di persone che raggiungono le vette più impervie.
Ci spaventiamo troppo spesso dinanzi a muri che riteniamo insormontabili e invalicabili e rinunciamo così a fare del bene al prossimo e spesso non lottiamo nemmeno per noi gettando la spugna ancor prima di iniziare.
Se c'è una cosa che ho preso da mia madre e costantemente ripeto ai miei ragazzi è quello che non esiste nulla di così difficile da non poter essere affrontato e domato. Anche eventi catastrofici che siamo costretti a subire come fossero montagne che franano sulle nostre case possono essere affrontati e girati a nostro favore o a favore di altri. Basta non spaventarsi, rimboccarsi le maniche, trovare alleati, fare delle rinunce, sopportare la fatica ed il peso di piccole sconfitte e tutto si risolve. Ho visto molti ragazzi che hanno avuto problemi nelle loro famiglie ed hanno sostanzialmente due tipi di reazioni. C'è chi si piange addosso e vede nella sua situazione, ormai alle spalle, il motivo per cercare sempre consolazione usandola come scusa per ogni loro comportamento anche aggressivo o truffaldino. Altri invece reagiscono, capiscono che per poter emergere dalla valanga che li voleva sepolti vivi devono usare le unghie e i denti, che sebbene qualcuno è disposto ad aiutarli non farà mai il lavoro per loro, non sarebbe nemmeno giusto, e si aggrappano ad ogni filo di speranza, trovano forza nelle loro debolezze, riescono anche a dieci anni a parlare con franchezza ad un giudice davanti ai propri aguzzini. Anche nel mondo degli adulti c'è chi si lascia investire dalla vita, e chi invece l'affronta e doma il cavallo brado.
Il Signore dice ai discepoli "Voi stessi date loro da mangiare". Ora immaginatevi pochi pescatori che avevano solo qualche pane e qualche pesce che si trovano a dover sfamare una moltitudine di migliaia di persone, eppure non dubitano, mettono mano nella cesta, prendono il primo pezzo di pane e lo danno alla persona seduta vicino a loro, poi il secondo viene sfamato, così anche il terzo e quello accanto fin tanto che tutti ricevono la loro razione di cibo.
Dio ci insegna questo, a non arrendersi mai dinanzi alle difficoltà, qualunque esse siano, anche sembrano insormontabili o addirittura impossibili perché le cose giuste accadranno indipendentemente dagli ostacoli che troveremo, se veramente vorremo raggiungere il nostro scopo.
Amo dire sempre ai miei ragazzi che "la differenza tra il possibile e l'impossibile è il provarci" convinto che il Signore ci supporterà nelle nostre battaglie che stimerà buone e meritorie.
Madre Teresa stessa diceva, quando le domandavano che fine avrebbe fatto la sua comunità dopo la sua morte, "se è opera di Dio andrà avanti". Il come ed il quando realizzeremo ciò che ci sta a cuore non ci è dato di saperlo, basta solo aver fiducia ed incamminarsi verso la montagna, prima o poi troveremo il modo per scalarla.
Casa Zizzi è un nostro grande progetto, in molti ci danno del "visionario", un costo di cinque milioni di euro, eppure non ci spaventiamo e andiamo avanti, certi che costruiremo la struttura che darà riparo a tanti ragazzi togliendoli dalla strada. E' dal 2000 che combattiamo contro la burocrazia, che cerchiamo denaro e qualcosa abbiamo ottenuto, ma sono certo che potremo costruirla anche in un sol giorno se e quando il Signore lo vorrà, a noi spetta andare avanti senza mai arrendersi.
L'affidamento lo vedete come una cosa difficile? Ci sono guide esperte che potranno condurvi sulla vetta di questa montagna, se lo vorrete, ma se rinuncerete sarà come impedire ad un ragazzo non solo a trovare una strada d'amore per la sua vita, ma gli impedirete anche di imparare ad avere fiducia in se stesso e vedere la capacità di poter uscire da un vicolo cieco da solo abbattendo ogni ostacolo possa trovare.
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09/01/2014 07:07
 
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Eremo San Biagio
Commento su Matteo 6,50

"Coraggio, sono Io, non abbiate paura!"
Mt 6,50

Come vivere questa Parola?

Gesù aveva invitato i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva, a Betsaida. Venuta la sera, si sollevò un forte vento; essi remavano contro acque infide, oppressi dalla fatica e sgomenti. Gesù prese a camminare sul mare, andando verso di loro. "E' un fantasma" si misero a gridare. Gocciola pace e un gran bene quella parola di Gesù: "Coraggio, sono Io, non abbiate paura". Gesù sale sulla barca accanto a loro. Il vento cessa. Torna la bonaccia. Ecco: è un quadro che può essere emblematico di tante nostre giornate. E felici noi se abbiamo aperto gli orecchi alla fede che ascolta quella Parola così capace di rinfrancarci dissolvendo quell'insidia costante che è la paura, in diverse circostanze e a diversi livelli.

"Sono Io" dice Gesù. Lo dice proprio a me, oggi. Io ti ho creato, Io che ti salvo, Io che voglio il tuo bene, sempre. Anche quando, nel mare a volte tempestoso della vita, ti sembra di stare in grave pericolo. Perché dunque lasciarsi scivolare nella paura? Essere cristiani non significa diventare insensibili alle emozioni, ma viverle alla PRESENZA di Chi non permetterà che ne siamo sopraffatti e sommersi.

Se Tu, Gesù - Dio d'amore - sei qui a dirmi"SONO IO", no, non sarò travolto da nessuna tempesta. Anche nei momenti duri dell'esistenza, il cuore si aprirà al Tuo dirmi: "Coraggio, non avere paura" e sarà bene. Sarà bene, nonostante le prove.

La voce di un filosofo e pacifista

Temere l'amore è temere la vita, e chi teme la vita è già morto per tre quarti.
Bertrand Russell
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10/01/2014 07:32
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Oggi si è adempiuta questa scrittura

Gesù agisce e parla ?con la potenza dello Spirito Santo?. La sua fama si diffonde ovunque: molti cominciano a pensare che sia proprio Lui il Messia, molti credono che sia il Maestro, colui che insegna con autorità. Con questa potenza e con questo alone di consensi, Gesù a Nazaret, entra nella sinagoga, nel cuore stesso dell?ebraismo, per impartire una solenne lezione su come leggere con vera sapienza la scrittura sacra e le profezie in modo particolare. Il rotolo del libro, che viene porto a Gesù, recita questo passo di Isaia: ?Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l?unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore?. Gesù non esita ad applicare a sé le parole del profeta. ?Oggi si è adempiuta questa scrittura, che voi avete udito con i vostri orecchi?. Già nel Battesimo di Gesù nelle acque del Giordano si era udita una voce dal cielo che proclamava Gesù Figlio di Dio: lo stesso Giovanni Battista aveva visto discendere su di Lui lo Spirito santo sotto forma di colomba. Gesù quindi aveva tutte le ragioni per dire lo Spirito del Signore e su di me, aveva ragione e definirsi il consacrato del Signore, già stava annunziando ai poveri la buona Novella, aveva già iniziato ad operare i suoi prodigi, aveva già annunziato l?avvento del Regno di Dio. Il misterioso legame tra il Vecchio e il Nuovo Testamento si snoda e si svela nella realtà del Cristo. Quanto promesso si adempie in pienezza, ciò che era profezia, ora è realtà. Una realtà ancora vivida ed operante nel Cristo vivo tra noi e in noi, viventi in Lui.
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11/01/2014 07:38
 
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Riccardo Ripoli
Signore, se vuoi, puoi sanarmi

Credere davanti all'impossibile, Credere nonostante le avversità, Credere che tutto possa accadere se il Signore vuole.
Credere è una parola magica che ti fa affrontare la vita in maniera completamente diversa, ti fa entrare in una strada a cercare parcheggio alle quattro di notte quando tutti i posti sono solitamente esauriti alle sette di sera, ti fa accogliere un bambino che nessuno ha voluto perché troppo difficile e riuscire ad entrare nel suo cuore per dargli la possibilità di crescere, ti fa bussare a tutte le porte sena mai scoraggiarsi, ti fa andare avanti anche quando tutti ti deridono, ti fa studiare nonostante i brutti voti, ti fa cercare lavoro quando attorno a te la crisi miete sempre più vittime. Credere è un portentoso unguento che ti permette di insinuarti nelle pieghe della vita, scivolare tra le spire mortali di un serpente che vorrebbe stritolarti. Credere è vivere con la speranza che tutto si possa risolvere e che ciò che è ineluttabile ed apparentemente negativo sia comunque un bene per qualcuno e volontà di Dio, imparando così ad accettare ma non a subire.
Credere è gioia, è abbandono tra le braccia di un Padre che non potrà mai deluderti, è tranquillità.
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11/01/2014 07:39
 
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Messa Meditazione
Stese la mano e lo toccò

Lettura
Nel vangelo, Gesù guarisce un lebbroso restituendogli la possibilità di vivere in pienezza, di entrare in relazione con Dio e con gli altri. Nella prima lettura, Giovanni ribadisce che la vita eterna, la pienezza della vita, si ha solo credendo nel Figlio di Dio.

Meditazione
La guarigione di un lebbroso rappresenta, meglio di altre, la liberazione da tutto ciò che rende impuro. La lebbra, infatti, era considerata la malattia per eccellenza, che rendeva impuri impedendo di entrare in rapporto con gli altri e con Dio: sebbene sia ancora vivo, il lebbroso è come se fosse già morto, perché gli sono impedite tutte le relazioni. Il comportamento del lebbroso mette in evidenza la dignità di Gesù: si getta sui suoi piedi e lo chiama Signore. Le sue parole rivelano la grande fede che lo abita: è certo che basterà la volontà di Gesù per guarirlo. In risposta a questo atto di fede, non solo il Signore rivela la sua volontà di sanarlo, ma stende la mano e lo tocca: lo vuole guarire, ma, prima di tutto, gli dimostra il suo desiderio di essergli vicino, di entrare in relazione con lui. Ora, al lebbroso sanato non resta che andare dai sacerdoti perché constatino l'avvenuta guarigione. Quella guarigione, però, è anche un segno che testimonia la presenza del Messia in mezzo a loro, il compiersi del tempo della salvezza definitiva. L'eco di quanto accaduto si diffonde, le folle cercano Gesù per ascoltarlo e farsi guarire, ma egli, davanti ad un tale successo, si ritira in preghiera nel deserto: lì ritorna alla relazione con il Padre da dove si alimenta la sua missione, il suo vivere per gli altri. Spesso, nella vita, ci capita di trovarci accanto a persone ammalate e di chiederci cosa possiamo fare per loro. Il comportamento di Gesù ci rivela che il malato ha bisogno soprattutto di compassione, di considerazione, di riconoscimento: forse non possiamo fare molto per donargli la guarigione fisica, ma, attraverso i nostri gesti, il nostro sguardo, potremmo farlo sentire amato, apprezzato, testimoniargli l'interesse che Dio ha per lui.

Preghiera
«Non respingere la supplica del povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente» (Sir 4,4): con queste parole, chiedo a Dio la grazia di un cuore compassionevole, che non chiude gli occhi davanti al bisogno di chi mi è accanto.

Agire
In questi giorni, cercherò di far visita ad una persona malata, o di far sentire la mia vicinanza a chi si sente messo ai margini della vita.

Commento a cura di Marzia Blarasin
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13/01/2014 06:34
 
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Eremo San Biagio
Commento su Marco 1, 15

«Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Mc 1, 15

Come vivere questa Parola?

Inizia il tempo ordinario. Dopo tante feste abbiamo bisogno di una ferialità tranquilla che ci ridia equilibrio e permetta alle buone abitudini di ritrovare il loro tempo! Non per pigrizia o imborghesimento, ma semplicemente perché è il quotidiano il nostro habitat, è nello scorrere dei giorni che sembrano tutti uguali che mette radici lo straordinario racchiuso dal dono dell'Incarnazione che il tempo liturgico appena concluso ci ha regalato e fatto contemplare. La liturgia ci aiuta e ci propone questa settimana i capitoli iniziali del vangelo di Marco. Dopo l'evento speciale del battesimo e il ritiro nel deserto, Gesù inizia il suo camminare per la Galilea. E lì si realizzano decine di incontri, fatti di dialoghi, le cui parole folgoranti scuotono il cuore e la mente di chi le ascolta: un movimento nuovo si riproduce per le strade e per le case di Galilea e dà un orientamento diverso al quotidiano di quella gente. In un'espressione brevissima si condensa un annunzio vivificante: il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al vangelo. Non dobbiamo correre qua o là: è qui, ora, la novità che desideriamo; basta accorgersene, rivolgersi a lei e darle fiducia. Una novità senza clamore, senza violenza ma penetrante, sicura, stabile.

Signore, dentro le cose che stiamo vivendo, che stanno accadendo fa' che ci accorgiamo della tua presenza che è la novità che ci salva.

La voce di una donna di Dio

Inizia un altro giorno. Gesù vuol viverlo in me. Lui non si è isolato.
Ha camminato in mezzo agli uomini. Con me cammina tra gli uomini d'oggi. (...)
Benedetto questo nuovo giorno che è Natale per la terra, poiché in me Gesù vuole viverlo ancora.
Madaleine Delbrêl Un nuovo giorno

Sr Silvia Biglietti FMA -
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14/01/2014 07:18
 
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padre Lino Pedron


L'attività di Gesù si concentra in una giornata a Cafarnao (Mc 1,21-45), poi la sua missione si allarga a tutta la Galilea.
La "giornata di Cafarnao" è il modello in piccolo di quello che sarà tutto il ministero di Gesù. Lo riassumiamo così: Gesù insegna, caccia i demoni, guarisce i malati, prega. Questo è il ritmo fondamentale della vita di Gesù: attività e preghiera.
L'attività di Gesù comprende due elementi: parole e opere. Marco ama rilevare soprattutto la potenza e l'autorità con cui Gesù parla e agisce. Egli si presenta così: una potenza sovrumana, una compassione che si avvicina a ogni povero, malato, peccatore.
Gesù incontra gli uomini del suo tempo lì dove essi sono normalmente: mentre celebrano il sabato o si dedicano alle loro occupazioni. Li avvicina nelle situazioni in cui si trovano: tormentati interiormente, colpiti da malattia, immersi nella loro miseria.
La potenza di Gesù si manifesta nella sinagoga, poi in casa, quindi alla porta della città: tutto lo spazio, sacro e profano, viene riempito dalla sua presenza.
"Spirito immondo". La Bibbia definisce immondo o impuro tutto ciò che si oppone alla santità divina. I demoni sono forze d'opposizione all'azione di Dio, quindi sono detti immondi.
La proclamazione del vangelo scatena la guerra. Tra Gesù e satana c'è un contrasto netto e irriducibile. La novità del vangelo è la vittoria di Gesù sul male sotto qualunque forma si presenti. Il male non viene solo dall'uomo: dentro di lui c'è un inquilino che lo degrada e lo distrugge. Gesù è venuto a scacciarlo.
Senza Cristo siamo tutti in balia delle forze del male e incapaci di entrare in comunione con Dio, anche se siamo nella sinagoga (v. 23): la religione che salva non è la pratica di un culto o la presenza materiale nei luoghi sacri o l'adempimento di un precetto, ma l'incontro personale con Cristo.
"Il Santo di Dio". Questo titolo rivela la vera identità di Gesù e la sua autorità divina. Il Santo di Dio è l'avversario dichiarato del peccato che solo Dio può smascherare e perdonare.
Dopo la guarigione dell'indemoniato, la meraviglia di tutti si manifesta in forma corale. L'avvenimento è provocante perché Gesù non ha agito come gli esorcisti del suo tempo, con incantesimi o formule magiche, ma soltanto con la sua parola.
Gesù libera dal potere di satana. Ma gli uomini sono disposti ad accettare la libertà di Cristo? La risposta è solo in parte affermativa. Se vi sono i discepoli che lo seguono, vi sono però altri, la massa, che si limitano all'entusiasmo inconcludente e alle belle parole. La gente per Marco è sempre una massa che vive nell'indecisione e spesso preferisce una schiavitù comoda a una libertà esigente. Ma il discepolo non può essere così.
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15/01/2014 05:30
 
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Gesù si alza molto prima dell’alba. Esce e se ne va in un luogo deserto, nella notte, e là prega. Quando gli apostoli, che lo cercano, infine lo trovano, egli dice loro: “Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!”. Egli dice di essere venuto per proclamare la “Buona Novella” e, tuttavia, quando è uscito, non si è trovato in mezzo alla folla. Prima dell’alba, nella notte, egli ha cercato un luogo deserto. Il Vangelo ci dice: “E là pregava”. Come è triste sapere che il più delle volte la preghiera è presentata come una domanda.
Per la maggior parte di coloro che lo sentono, il termine preghiera ha solo questo significato immediato.
Così è un momento decisivo nella nostra vita quando ci rendiamo conto che la preghiera è innanzi tutto adorazione! Essa è come quei pannelli solari che producono energia semplicemente dal loro essere stesi ed esposti alla luce. La preghiera è prima di tutto questa adorazione, questa gioia che noi esprimiamo nella più splendida parola d’amore che possa esistere: “Noi ti rendiamo grazie”. Grazie per che cosa? Per qualche dono? No di certo. Nel “Gloria” diciamo: “Noi ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa”. Grazie per te. È un po’ come il bambino che, in un momento di tenerezza, si getta fra le braccia della mamma e le dice: “Grazie, mamma, perché tu sei proprio tu”. La preghiera è prima di tutto questa adorazione silenziosa; non occorrono parole. Questa adorazione non è certo lontana da ogni preoccupazione. È per questo che dobbiamo chiedere l’aiuto di Dio. Come potremmo essere nell’adorazione di Dio in questo modo, se non fossimo nello stesso tempo feriti, preoccupati da tutta la sofferenza che c’è attorno a noi, dagli sforzi per i compiti che siamo chiamati a svolgere, dalle liberazioni di cui abbiamo bisogno, noi come tanti altri attorno a noi?
L’adorazione è al tempo stesso parola e silenzio. È un silenzio pieno, portatore di tutti i gemiti che sono in noi e che sono attorno a noi. È preghiera in senso pieno solo quella che si fa in silenzio, in una muta presenza. Raramente ci viene riferito questo episodio di cui è stato testimone il curato d’Ars. Egli passava molto tempo nella sacrestia per preparare laboriosamente le sue prediche, poiché non aveva una profonda cultura. Si stupiva nel vedere ogni sera un contadino, un uomo molto semplice, senza istruzione, che, al ritorno dal lavoro, dopo aver lasciato i suoi zoccoli alla porta, entrava in chiesa, si metteva in un angolo e rimaneva per molto tempo immobile e silenzioso. Il curato d’Ars stesso racconta che una volta non si trattenne dalla voglia di chiedergli: “Ma, amico mio, che cosa fa qui?”. L’uomo gli rispose nel suo dialetto della regione di Dombes: “Oh, signor curato, io lo guardo e lui mi guarda”. Quest’uomo così semplice era arrivato ad un altissimo grado di perfezione nella preghiera. Impariamo così, prima di affrontare i doveri della giornata, ad esporci, come Gesù, alla luce che ci riempirà d’energie, in questa preghiera semplice d’amore, d’adorazione: “Grazie, Signore, noi ti rendiamo grazie per il tuo splendore”.
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16/01/2014 07:02
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Lo voglio, sii purificato!

"Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori come il giorno della ribellione, il giorno della tentazione nel deserto". Fratelli, abbiamo ascoltato la sua Voce dentro l'anima nostra... apriamo dunque le porte a Cristo! Più volte Giovanni Paolo II rivolgeva alla Chiesa e al mondo intero questo invito solenne. Ecco Gesù Cristo viene, viene senza mai stancarsi, e bussa al nostro cuore. E' lo Sposo dell'anima nostra che vuol cenare con noi; apriamogli e vivremo nell'amore vero, nella gioia e nella pace. Non induriamo il nostro cuore con la durezza della superbia e dell'orgoglio, ma che il nostro cuore divenga tenero, dolce, come terra morbida e accogliente e pieno di umiltà, come il Cuore umile della Serva del Signore, come Maria. Dove c'è umiltà là arriva subito lo Spirito Santo. L'umile di cuore sente viva la presenza di Gesù e specialmente quando si accosta alla Santa Comunione con Gesù. E Gesù lascia sempre il segno, il segno del suo Santo Spirito: pace, consolazione, guarigione, liberazione. Proprio come è avvenuto oggi al povero lebbroso del Vangelo. Egli apre il cuore a Gesù e Lo supplica umilmente in ginocchio e con fede sincera: "Se vuoi puoi guarirmi!". Gesù ne ha compassione perché il Cuore di Gesù è sempre compassionevole e misericordioso: gli tende la mano, lo tocca e gli dice: "Lo voglio, sii purificato!". E subito la lebbra se ne va, scompare! Noi non abbiamo la lebbra fisica come quel poveretto, ma l'anima nostra come sta?... Il peccato è la peggiore lebbra che esiste, e solo Gesù Cristo può purificarci, guarirci. E allora andiamo subito a Lui, andiamo a confessarci; e i nostri peccati verranno cancellati nel suo Sangue prezioso. E Gesù dirà anche a te e a me: "Lo voglio, sii purificato!... Io ti assolvo dai tuoi peccati nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". Amen.
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17/01/2014 07:57
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Figlio, ti sono perdonati i peccati

Mettendo a confronto Antico e Nuovo Testamento, appare con tutta evidenza la straordinaria novità di Cristo Gesù in ogni cosa. È come se Gesù desse alla creazione del Padre suo nuova forma, nuova vita, nuova esistenza, nuovo essere, nuova modalità, nuova ritualità. Tutto diviene nuovo con Gesù Signore. Gesù lavora solo con otri nuovi, vino nuovo. Otri vecchi e vino vecchio non sono per Lui. Isaia si proclama peccatore. Il Signore con il fuoco del suo altare. È come se lo bruciasse dentro e fuori per renderlo totalmente nuovo. Nuovo uomo dalla nuova parola.

Nell'anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali: con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. Proclamavano l'uno all'altro, dicendo: «Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria». Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti». Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall'altare. Egli mi toccò la bocca e disse: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato». Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!». Egli disse: «Va' e riferisci a questo popolo: "Ascoltate pure, ma non comprenderete, osservate pure, ma non conoscerete" (Is 6,1-9).

Gesù non ha bisogno del fuoco dell'altare del Signore per purificare un uomo, né tanto meno di un serafino per bruciare le labbra impure o il corpo inquinato di peccato. A Lui basta solo una parola: "Ti sono perdonati i peccati". L'uomo con Lui ritorna nell'innocenza, nella purezza del cuore e della mente. Tutto il corpo di ricolma di libertà da ogni male. Dinanzi ad un miracolo così grande, che supera lo stesso miracolo della creazione del cielo e della terra, l'uomo cattivo si appella alla sua vecchia ritualità, al vecchio modo di espiare i peccati. Non comprende che Dio ha mandato Gesù per fare nuova la sua religione, per liberarla da quel culto pesante opprimente e ingombrante che spesso allontana da Dio, anziché avvicinarlo. Non solo non comprende, vorrebbe anche impedire che il nuovo abolisse il vecchio. Questo ragionamento è solo del peccatore. Chi è libero dal peccato è sempre nuovo nei pensieri e nel cuore, sempre sa accogliere la novità che Dio crea per lui, anzi lui stesso chiede di essere fatto nuovo dal suo Dio. Chi è libero dal peccato, cammina di novità in novità.

Gesù mai si lascia inquinare la mente dalle parole cattive del cuore di peccato. Con divina saggezza smaschera la loro malvagità e attesta la verità del suo essere da Dio con opere evidenti, eclatanti che solo Dio può fare. Così tutti i "brontoloni e i mormoratori" di turno vengono ridotti al silenzio. Dinanzi alla guarigione del paralitico, tutti rimangono senza parola. La meraviglia è grande. Da ogni bocca si innalza un inno di lode per il Signore. Mai essi avevano visto nulla si simile. La novità è grande.
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18/01/2014 08:50
 
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Omelia

(

14-01-2012)

Eremo San Biagio

Commento Primo Samuele 9,17

Ecco l'uomo di cui ti ho parlato: costui

reggerà il mio popolo.

Sam 9,17

Come vivere questa Parola?

Dio accoglie la richiesta di Israele di avere

un re e lui stesso ne designa la persona

scegliendola tra la più piccola delle tribù.

Non si tratta, infatti, del riconoscimento di

un prestigio personale, o del conferimento

di una onorificenza finalizzata a dar lustro

alla persona, ma di una missione affidata

al re per il popolo di Dio. Al centro non c'è

Saul, ma Israele.

Infatti, in un versetto omesso dalla liturgia

odierna, il sedicesimo, Dio rivolgendosi a

Samuele dice: "

Ti manderò un uomo della

terra di Beniamino e tu lo ungerai come

capo del mio popolo Israele. Egli salverà il

mio popolo dalle mani dei Filistei, perché

io ho guardato il mio popolo, essendo

giunto fino a me il suo grido

". Per ben tre

volte si ribadisce che Israele è e rimane il

popolo di Dio che lo segue con attenzione,

ne ascolta il grido e interviene

prontamente. La scelta di un re è per

sottrarlo alla minaccia filistea.

Il trasformare lo svolgimento di un

compito in una esibizione di potere e il

sostituire il bene comune con il proprio

tornaconto, a qualunque livello, è

un'aberrazione da cui ci mette in guardia

Gesù indicando la via del servizio.

Prima di puntare il dito sui più palesi centri

di potere, cercherò, quest'oggi, di

verificare se svolgo i miei compiti

nell'atteggiamento del servizio o se non si

insinua la tentazione di ambiziosi

tornaconti.

Gesù, tu hai detto di essere venuto non

per essere servito ma per servire, aiutami

ad assumere il tuo atteggiamento nel

portare avanti le mie responsabilità in

famiglia, nell'ambito del lavoro, in politica...

La voce di un martire

Non ci può essere una dicotomia fra i

diritti di Dio e i diritti dell'uomo. Quando

parliamo dei diritti dell'uomo, stiamo

pensando all'uomo immagine di Dio,

stiamo difendendo Dio... E poi bisogna

preoccuparsi della promozione dì tutti gli

uomini.

Oscar Romero
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19/01/2014 08:19
 
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Monastero Domenicano Matris Domini
Commento su Prima Corinzi 1,1-3

Collocazione del brano

Per tutto il Tempo Ordinario che ci separa dalla Quaresima leggeremo la Prima lettera ai Corinti di san Paolo apostolo. Secondo quanto narrato negli Atti degli Apostoli, Paolo era arrivato a Corinto dopo il fallimento della sua predicazione ad Atene (Atti 17,22-34). Corinto, posta sull'istmo che collegava la penisola del Peloponneso al resto della Grecia, aveva due porti. Ai tempi di Paolo era capitale della colonia romana dell'Acaia e godeva di grande prosperità economica. Vi si trovava un famoso tempio ad Afrodite, ma vi si praticavano anche culti di origine orientale. La città era famosa per i suoi costumi morali alquanto corrotti.

Paolo si fermò a Corinto per un anno e mezzo circa. La sua predicazione fu accolta soprattutto tra i ceti sociali più umili. Dopo la sua partenza mantenne i rapporti epistolari con i Corinti, i quali gli chiesero la soluzione ad alcuni problemi pratici che incontravano nel confronto tra il Vangelo e le loro usanze precedenti. Paolo risponde con questa lettera, un insieme non omogeneo di argomenti, dettati appunto dalle varie questioni che gli erano state sottoposte e anche da alcuni rimproveri che Paolo muove ai Corinzi in seguito a notizie che aveva avuto sul loro conto. Il brano di oggi è solo l'intitulatio della lettera, in cui sono indicati il mittente, il destinatario e i saluti.

Lectio

1 Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene,

Il mittente e i destinatari di questa lettera sono indicati in modo particolarmente solenne, cosa che rende l'esordio della Prima Corinti molto importante dal punto di vista teologico. Paolo si autodefinisce chiamato ad essere apostolo di Cristo per volontà di Dio. Conosciamo le vicende della vocazione di Paolo. Egli non faceva parte del gruppo dei Dodici, ma fu chiamato sulla via di Damasco e ricevette il Vangelo per rivelazione privata. La forza della sua predicazione, il suo impegno e l'ortodossia di quanto predicava gli valsero la qualifica di apostolo, al pari di quanti erano stati chiamati da Gesù durante la sua vita terrena. Insieme a Paolo vi è Sostene, forse l'ex capo della sinagoga che in At 18,17 fu percosso davanti al tribunale di Gallione in segno di provocazione, ma non vi sono indicazioni per dire che si tratti della stessa persona.

2 alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro:

Ancora più ricco è anche il modo con cui Paolo parla della comunità di Corinto. Quattro sono i titoli di cui l'apostolo fregia i Corinti. Costoro sono la Chiesa di Dio che è in Corinto: il carattere di Chiesa, cioè di assemblea convocata da Dio, chiamata alla salvezza, appartiene a tutta la Chiesa universale, ma anche a quella locale, quindi anche a quella di Corinto.

I cristiani di Corinto poi sono stati santificati in Cristo Gesù: questo significa che il Padre li ha resi santi, sono i beneficiari dell'azione salvifica del Padre, che perdona i peccati e rinnova l'esistenza. Questa santificazione è stata realizzata per mezzo della morte e risurrezione di Cristo Gesù. Ancora i Corinti sono santi per chiamata, cioè per iniziativa divina sono stati scelti a credere e a far parte del popolo di Dio. E' una santità donata, non acquistata per sforzo personale. La Chiesa è santa in quanto comunità di persone beneficiarie dell'azione e della vocazione divina.

Infine i Corinti invocano il nome del Signore Gesù Cristo. Si può sentire l'eco delle parole del profeta Gioele (3,5) "Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato". Questo indica l'orientamento della fede dei credenti, che si esprime nell'invocazione e acclamazione liturgica a Cristo, glorificato quale signore della comunità cristiana e del mondo. I cristiani di Corinto ne riconoscono dunque la signoria sulla loro vita.

3 grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!

Il saluto consueto conclude questa introduzione. La grazia è quella del Signore, il dono gratuito della riconciliazione dell'uomo con Dio, con gli altri e con se stesso. La pace è quella messianica, portata da Gesù, con tutti i doni di bene e la pienezza di vita che ci ha guadagnato attraverso la sua morte e risurrezione.

Meditiamo

- Cosa penso della santità?
- Mi sento parte della Chiesa di Dio che è in Bergamo (o in qualunque altra Diocesi io appartenga?)
- Quando invoco il nome del Signore?
- Ho accolto i doni della grazia e della pace che vengono da Dio??
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20/01/2014 08:09
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Lo sposo è con noi

Il digiuno è un atto penitenziale che la chiesa pratica sin dalle sue origini ed comune a molte altre espressioni religiose. Ha lo scopo di distoglierci dai beni temporali, predisporre l'animo ai valori dello spirito e renderci vigilanti nell'attesa della salvezza. Ha anche un valore di espiazione e ascetico. Oggi noi viviamo il digiuno come partecipazione alle sofferenze di Cristo. Alcuni santi lo hanno praticato in modo eroico. Al tempo di Gesù lo praticavano anche i discepoli del Battista e i seguaci dei farisei. Da qui la domanda provocatoria rivolta a Gesù: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». La risposta di Gesù, come sempre, è ricca di significati e di insegnamenti. Egli vuole proclamare la novità che sta sbocciando per tutti con la sua presenza nel mondo e con l'opera redentrice che sta già attuando. Il regno di Dio è in mezzo a noi. Nascono tempi nuovi alimentati non più da paure e timori, ma dall'amore dello «sposo» verso l'umanità riconciliata. È ormai in atto il tempo nuovo, il tempo delle nozze, il tempo della gioia e della festa, circostanze che non si conciliano più con il digiuno e con il lutto. «Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro?». Soltanto se privati di questa gioia, inizierà il tempo del lutto e del digiuno. La novità del Cristo è totale e sconvolgente, non è assolutamente da paragonare ad un rattoppo sul vecchio e sul passato. Il vino è un vino nuovo, è quel vino, prima sorbito da Cristo come calice amaro e poi offerto a noi come bevanda di salvezza. «Verranno tempi...» - dice però il Signore. È una velata allusione alla sua morte, alla passione sua e del mondo, al «già e non ancora», che crea la perenne ansia di una pienezza che ci sfugge.
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21/01/2014 08:35
 
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padre Lino Pedron


Leggiamo nel Libro del Deuteronomio 5,12-15: "Osserva il giorno di sabato per santificarlo, come il Signore tuo Dio ti ha comandato. Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore Dio tuo: non fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava riposino con te. Ricordati che sei stato schiavo nel paese d'Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato".
Il sabato è il giorno del riposo settimanale, consacrato a Dio che ha riposato nel settimo giorno della creazione (cfr Gen 2,2-3; Es 20,11).
A questo motivo religioso si unisce una preoccupazione umanitaria: è necessario che i non-liberi, gli schiavi, sentano almeno ogni sette giorni la gioia della libertà. Inoltre, gli israeliti devono ricordare che essi sono liberi perché Dio li ha liberati dalla schiavitù. Il sabato è quindi una festa-ricordo, un memoriale di ciò che Dio ha fatto per loro e di come Dio vuole l'uomo: lo vuole libero.
"I discepoli cominciarono a strappare le spighe". La legge permetteva esplicitamente questo gesto: "Se passi tra la messe del tuo prossimo, potrai coglierne spighe con la mano, ma non mettere la falce nella messe del tuo prossimo" (Dt 23,26), però non faceva allusione al sabato. La Mishnah (la legge orale, per distinguerla da quella scritta, cioè la Bibbia) che codificò le leggi sabbatiche sviluppate dalla tradizione ebraica, elenca trentanove attività proibite, fra le quali figurano le varie attività agricole, compresa la spigolatura. Era anche precisato che non si poteva strappare le spighe, ma solo sgranarle con le dita.
Qual è l'interpretazione della legge che meglio rivela le intenzioni di Dio, il volto di Dio? Dio sta dalla parte di Gesù. E Gesù stabilisce un principio: "Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!".
Nell'ambiente in cui viveva Gesù, la legge valeva assai più dell'uomo. Gesù non ha abolito la legge, ma ha contestato le false interpretazioni di essa e ha indicato il principio che dà valore ad ogni legge: la legge è per l'uomo.
Non l'avesse mai fatto! E' noto, infatti, che il potere costituito fa', quasi sempre, della legge la sua forza. Guai a chi la tocca! Chi tocca muore! E Gesù è morto anche perché, secondo loro, violava la legge del sabato.
"Il sabato è fatto per l'uomo" significa anzitutto che ogni legge, anche la più sacra, è a vantaggio dell'uomo. Nella creazione tutto fu fatto per l'uomo, compreso il sabato che è figura del Signore stesso della vita. L'uomo è per Dio perché Dio per primo è per l'uomo.
La libertà di coscienza di Gesù, che è vera adesione alla volontà di Dio, esprime un annuncio di salvezza altrettanto beatificante quanto quello contenuto nelle parole "il Figlio dell'uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra" (Mc 2,10). Infatti il perdono dei peccati e la liberazione dalla grettezza umana esprimono ugualmente bene la stessa potenza di salvezza.
I comandamenti di Dio sono stati dati per amore dell'uomo, per il suo vero bene. Unicamente la coscienza di una responsabilità nei riguardi di questo Dio, a cui dovremo rendere conto di ogni nostra azione e di ogni nostra parola (cfr 2Cor 5,10), ci dà anche il diritto a una coraggiosa libertà come quella di Gesù.
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22/01/2014 08:00
 
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padre Lino Pedron


Un altro episodio ancora riguardo al sabato. Questa volta però non sono i discepoli di Gesù che trasgrediscono la legge, ma Gesù stesso. Il criterio di Gesù è questo: "Fare il bene, salvare una vita" (v. 4). Proprio a questo deve servire la legge del sabato: per la libertà e per il bene dell'uomo, per evitargli una vita da schiavo e da forzato.
"Rattristato per la durezza dei loro cuori" (v. 5). Gesù aveva cercato di evitare questa situazione; si era sforzato di rompere le barriere cercando il dialogo, perché fossero loro a dire ciò che si poteva fare in giorno di sabato, "ma essi tacevano" (v. 5). A questo punto Gesù fece la sua scelta: scelse l'uomo e lo guarì. Non lasciò passare quel giorno di festa senza che diventasse anche per quel malato un segno concreto di libertà. Gesù ha sempre amato la libertà per sé e per gli altri.
"Tennero consiglio contro di lui per farlo morire" (v. 6). Perché Gesù deve morire se guarisce la gente e cerca il vero bene dell'uomo? Per gli scribi la vera immagine di Dio può essere soltanto quella del giudice che condanna il colpevole (e, in questo, ben volentieri, gli darebbero una mano: cfr anche Gv 8,3-11).
E' abissale la differenza tra la loro concezione di Dio e il vero Dio, manifestato da Gesù: un Dio che sana, perdona, riconcilia, ama. Nel contrasto tra Gesù e coloro che detengono il potere, sono in gioco due diverse concezioni di Dio.
Facciamo una breve digressione sulla logica dei farisei. Essi non hanno approvato la guarigione di un malato in giorno di sabato per timore di violare la legge, ma non hanno scrupolo, in giorno di sabato, di decidere la morte di una persona innocente, del Salvatore, di Dio stesso. Guarire e far vivere è un delitto che merita la morte, far morire è un'opera buona che rende gloria a Dio. Strana logica, strana morale: è la "morale" dell'odio che si oppone alla morale dell'amore. I farisei avevano fatto di Dio il nemico dell'uomo: il colmo dell'opera diabolica (cfr Gen 3; Gv 8,44).
In Gesù si rivela Dio-con-noi-e-per-noi: questa è la grande novità della rivelazione. Ma gli uomini spesso rifiutano un Dio amico che li ama e li libera, e gli preferiscono un falso Dio che li spadroneggi. Di fronte alla durezza di cuore dei farisei, Gesù prova indignazione e tristezza. Il Cristo manifesta contemporaneamente la collera di Dio e la sua compassione che non viene mai meno di fronte alle sue creature incapaci di aprirsi alle sue sollecitazioni.
Il miracolo della guarigione dell'uomo che aveva la mano secca costerà la vita a Gesù. La croce si profila ormai chiaramente. E' il prezzo del dono che ci fa guarendo la nostra mano incapace di accogliere e di donare. Le sue mani inchiodate scioglieranno la nostra mano rigida.
Si scorge all'orizzonte l'albero dal quale penderà Gesù, il frutto della vita, verso cui possiamo e dobbiamo tendere la mano per diventare come Dio (cfr Gen 3).
Questo racconto chiude una tappa del vangelo in cui Gesù ci ha rivelato chi è lui per noi in ciò che ha fatto per noi.
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23/01/2014 06:48
 
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padre Lino Pedron


Il rifiuto e la condanna a morte di Gesù, da parte dei farisei e degli erodiani, segna il nuovo inizio del popolo di Dio. L'efficacia evangelica è molto diversa dall'efficienza umana: trae la sua forza dall'impotenza dell'uomo e dalla potenza di Dio: "Quando sono debole, è allora che sono forte" (2Cor 12,10). Perché Dio, contrariamente all'uomo, sa trarre successo dall'insuccesso e vita dalla morte.
Le località nominate sono sette, un numero che indica completezza, totalità. Tutti accorrono a Cristo per formare la sua Chiesa. Egli non ha raggiunto il successo mediante la brama di avere, di potere e di apparire, origine di ogni male, ma ha vinto tutto questo proprio con il suo insuccesso, con la povertà, con il servizio e l'umiltà di chi ama.
Gesù è presentato come il centro di un ampio movimento di gente che cerca e trova in lui la possibilità di guarire. L'uomo è malato e il pellegrinaggio verso Gesù nasce da questo bisogno di salvezza.
E' bello vedere Gesù pressato da tanta gente. Ma perché accorrono? Per interesse o per fede? Marco ci fa capire che l'entusiasmo della folla è suscitato dall'azione guaritrice di Gesù, non dalla fede.
Solo i demoni conoscono l'identità di Gesù e la proclamano. Ma la loro propaganda è controproducente; il loro intento è di far fallire la rivelazione autentica di Gesù "bruciandola" anzitempo: di qui la reazione di Gesù che impone loro di tacere.
La trappola tesa a Gesù dai demoni sta nel fatto che satana vuole anticipare la manifestazione della gloria di Gesù prima della sua morte in croce, perché solo lì Gesù si rivela veramente Figlio di Dio (cfr Mc 15,39), che dona agli uomini la salvezza totale e definitiva, cioè la redenzione della loro esistenza nella comunione con Dio. E' la tentazione che satana gli ripresenterà nuovamente per mezzo di Pietro (Mc 8,32-33).
La fede non è solo sapere chi è Gesù. Anche i demoni lo sanno, meglio e prima di noi. Come scrive s. Giacomo: "Credono, ma tremano" (2,19). Credere è prima di tutto fare esperienza di Gesù che mi ha amato e ha dato se stesso per me (cfr Gal 2,20). Una fede ideologica, che tutto conosce, ma non fa esperienza dell'amore di Dio, è un anticipo dell'inferno. E' la pena del dannato che conosce il bene, ma non lo possiede.
Il Signore non desidera la pubblicità da parte di nessuno (tanto meno da parte dei demoni!). Raggiunge tutti solo attraverso la debolezza di chi, conoscendolo veramente, lo annuncia come amore crocifisso, povero, umiliato e umile. La propaganda va esattamente nella direzione opposta e si serve proprio di quei mezzi che il Signore ha denunciato e rifiutato come tentazioni.
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24/01/2014 07:51
 
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padre Lino Pedron


E' inutile cercare di localizzare questo monte perché "la montagna", in Marco, indica soprattutto il luogo delle rivelazioni divine, mentre il mare, come vedremo (4,35-39; 5,46-52), appare come il luogo della prova e delle dure realtà umane.
Il numero dodici ha un chiaro valore simbolico: deve, evidentemente, essere messo in relazione con quello delle dodici tribù d'Israele presenti al Sinai per formare la comunità dell'Alleanza (Es 24,4; Dt 1,23; Gs 3,12; 4,2ss).
La funzione dei Dodici viene subito precisata: "Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni" (vv.14-15). Marco ha descritto Gesù come colui che predica e scaccia i demoni (1,39); ora afferma la stessa cosa dei suoi discepoli. La missione di Gesù continua e si rende visibile nel mondo attraverso i suoi inviati.
Gesù sceglie e chiama. E' il cerchio di Gesù che si allarga: partecipa ad altre persone la sua forza e la sua autorità. In Gesù il regno di Dio si è fatto vicino agli uomini; ora si dilata nei Dodici e attraverso di loro si estenderà al mondo intero.
Questi uomini sono presi dalla gente comune, con pregi e difetti, e sarebbe ingenuo e sbagliato idealizzare il gruppo che ne è uscito: non è una comunità di puri né un gruppo di educande. Il seguito del vangelo ce ne darà puntuale conferma.
Il cristianesimo non è un'ideologia: è una compagnia reale con Gesù, in un rapporto da persona a persona, che ci coinvolge totalmente. E da questo coinvolgimento con Gesù, veniamo spinti verso tutti gli uomini fino agli estremi confini della terra: "L'amore di Cristo ci spinge... (2Cor 5,14).
Andare verso tutti gli uomini e stare con lui sembrano due cose contraddittorie. Ma, in realtà, il Cristo va insieme con i cristiani: "Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava con loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano" (Mc 16,20).
Non c'è alternativa tra contemplazione e azione. La nostra missione nasce dall'essere in Cristo, e la nostra prima occupazione è di restare uniti con lui come il tralcio alla vite (cfr Gv 15,1ss), fino ad essere contemplativi nell'azione.
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25/01/2014 08:40
 
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Oggi vediamo la potenza di Dio in san Paolo, divenuto da persecutore Apostolo che ha accolto la fede in Cristo e l'ha diffusa, con una fecondità apostolica straordinaria, che non è ancora cessata.
Ma poiché siamo ancora nella settimana dell'unità, riflettiamo su alcuni aspetti della conversione di Paolo che si possono mettere in relazione con l'unità.
San Paolo si preoccupava al massimo dell'unità del popolo di Dio. Fu proprio questo il motivo che lo spingeva a perseguitare i cristiani: egli non tollerava neppure il pensiero che degli uomini del suo popolo si staccassero dalla tradizione antica, lui che era stato educato, come egli stesso dice, alla esatta osservanza della Legge dei Padri ed era pieno di zelo per Dio. Ai Giudei che lo ascoltano dopo il suo arresto egli paragona appunto il suo zelo al loro: "... pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi".
E dunque possibile essere pieni di zelo per Dio, ma in modo sbagliato. San Paolo stesso lo dice nella lettera ai Romani: "Essi hanno molto zelo, ma non è uno zelo secondo Dio", è uno zelo per Dio, ma concepito secondo gli uomini (cfr. Rm 10,2).
Ora, mentre Paolo, pieno di zelo per Dio, usava tutti i mezzi e in particolare quelli violenti per mantenere l'unità del popolo di Dio, Dio lo ha completamente "convertito", rivolgendogli quelle parole che rivelano chiaramente quale sia la vera unità. "Chi sei, o Signore? Mi disse: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti". Nelle tre narrazioni della conversione di Paolo molti dettagli cambiano: alcuni vengono aggiunti, altri scompaiono, ma queste parole si trovano sempre, perché sono veramente centrali. Paolo evidentemente non aveva coscienza di perseguitare Gesù, caricando di catene i cristiani, ma il Signore in questo momento gli rivela l'unità profonda esistente fra lui e i suoi discepoli: "Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti". Forse proprio allora Paolo ebbe la prima rivelazione del corpo di Cristo, del quale ha parlato poi nelle sue lettere. Tutti siamo membra di Cristo per la fede in lui: in questo consiste la nostra unità.
Gesù stesso fonda la sua Chiesa visibile. "Che devo fare, Signore" chiede Paolo, e il Signore non gli risponde direttamente: "Prosegui verso Damasco; là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia". Lo manda dunque alla Chiesa, non vuole per il suo Apostolo una conversione individualistica, senza alcun rapporto con gli altri discepoli. Egli deve inserirsi nella Chiesa, Corpo di Cristo, al quale deve aderire per vivere nella vera fede.
Dopo la sua conversione Paolo ha conservato in cuore il desiderio di essere unito al popolo di Israele. Lo scrive nella lettera ai Romani con parole che non si possono leggere senza profonda commozione: "Dico la verità in Cristo, non mentisco, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anatema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e possiedono l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli".
Ogni cristiano dovrebbe avere questa tristezza continua, che non impedisce di essere gioiosi in Cristo, perché è una tristezza secondo Dio, che ci unisce al cuore di Cristo. E la sofferenza per il popolo di Israele che non riconosce Cristo, per i cristiani che sono divisi e non giungono all'unità che il Signore vuole.
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26/01/2014 08:31
 
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Monastero Domenicano Matris Domini
Commento su Matteo 4,12-23

Collocazione del brano

Questo brano del vangelo di Matteo si colloca subito dopo il battesimo di Gesù (3,13-17) e le tentazioni nel deserto (4,1-11). Gesù dopo aver ricevuto lo Spirito Santo e dopo aver definito la propria missione secondo il volere di Dio e non di Satana, comincia finalmente ad agire. La sua missione si pone in continuità con quella di Giovanni. Quando questi si ritira dalla scena, allora compare Gesù, anche se il teatro della sua predicazione non sarà la Giudea ma la Galilea. Il suo annuncio è simile a quello di Giovanni Battista, parla ancora del regno dei cieli. Gesù poi chiama a sé dei compagni, dei collaboratori, i primi quattro apostoli: Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, due coppie di fratelli. Infine Matteo ci dà un riassunto generale sull'opera di Gesù in Galilea: insegnamento, predicazione e guarigione dei malati. Prepara così il capitolo 5 dedicato al discorso della montagna.

Lectio

12 Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea,

In Matteo l'incarcerazione del Battista sembra la causa del ritorno di Gesù in Galilea. Sia Matteo che Marco (Mc 1,14) vogliono situare l'inizio del ministero di Gesù dopo il termine di quello del Battista. Per Luca il venir meno del Battista avviene prima del battesimo di Gesù (Lc 3,19-20).

Giovanni sottintende un periodo in cui sia il Battista che Gesù operano in modo parallelo (Gv 3,24). Il verbo "essere consegnato" (paradidomai) è lo stesso che verrà utilizzato per indicare l'arresto di Gesù. Ciò suggerisce il parallelismo tra la figura di Giovanni e di Gesù.

Gesù si ritirò, è il verbo anachoreo che abbiamo già visto nel vangelo della Santa Famiglia e dell'Epifania. Il motivo per cui Gesù si ritira non sembra essere il desiderio di sfuggire a una fine simile a quella di Giovanni Battista: anche la Galilea era sotto la giurisdizione di Erode Antipa. Sembra piuttosto essere stata una scelta di campo: Gesù per i sinottici operò soprattutto in Galilea, mentre solo in Giovanni lo vediamo spaziare da un capo all'altro della Palestina. Perché la Galilea? Lo vedremo tra qualche versetto.

13 lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali,

Gesù si trasferisce a Cafarnao, dove prenderà dimora presso la casa di Pietro. Le rovine di Cafarnao, recentemente riportate alla luce, sono molto ben conservate e permettono di individuare la domus Petri e in essa la stanza dell'ospite. Cafarnao è dunque la base operativa di Gesù, anche se questa città non fu del tutto capace di accogliere il suo messaggio (vedi le "invettive" di Gesù verso Cafarnao di Mt 11,23).

14 perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:

La profezia di Isaia 8,23-9,1 era un oracolo di speranza dopo la devastazione della Galilea operata dagli
Assiri nel 732 a.C.

15 Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti!

Zabulon e Neftali sono due tribù di Israele stabilitesi a nord le quali furono deportate in Assiria dopo l'occupazione del VII secolo, al tempo di Isaia. Questa deportazione aveva provocato nella regione un tale rimescolamento etnico da meritarle il nome di "curva delle genti" ( ghelil ha-gojim, cioè Galilea). La regione venne poi rigiudaizzata nell'epoca dei Maccabei, ma rimase sempre caratterizzata da una popolazione mista di ebrei e pagani. Non deve stupire dunque che in Galilea ci fossero comunità ebraiche fortemente influenzate dalla cultura greca, come quella per cui scrive Matteo. Anzi l'importanza che quest'ultimo dà alla Galilea è stata recentemente interpretata dagli studiosi come un indizio che la comunità di Matteo si trovasse proprio in questa regione e non ad Antiochia come è stato spesso affermato.

La via maris della citazione di Isaia si riferiva al Mediterraneo, indicando la strada che collegava l'Egitto alla Siria, e che correva per un gran tratto lungo la costa mediterranea. Per Matteo la via del mare è quella che passa da Cafarnao. Si trattava di una rotta carovaniera molto frequentata e questo faceva di Cafarnao un centro commerciale abbastanza importante.

16 Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta.

Matteo come sempre cita l'Antico Testamento ma lo adatta alle proprie esigenze. In questo caso, nel testo di Isaia, la luce sarebbe sorta in un futuro, mentre qui, trattandosi del compimento di una profezia, il verbo è posto al presente. La citazione ricorda un altro testo dell'Antico Testamento: la profezia di Balaam (Nm 24,17) "Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele".

E' la luce del Messia: la semplice venuta di Gesù in Galilea, la sua visita che risana sono una grande luce ( phos mega) per tutto il popolo, ma anche per le genti. Ecco dunque il probabile motivo per cui Gesù scelse la Galilea: una regione che faceva parte di Israele, e parte del popolo prescelto da Dio, ma era anche una regione di confine, i cui abitanti si erano mischiati a popoli e a usanze pagane (Galilea delle genti), per cui offriva un campione rappresentativo di tutti coloro ai quali Gesù era stato inviato (ebrei e pagani).

17 Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino".

Da allora Gesù cominciò: queste parole si trovano in Matteo solo qui e a 16,21, dove Gesù incomincia a predire ai discepoli la propria passione. Si tratta di due momenti molto decisivi della vicenda di Gesù: l'inizio della sua predicazione e l'annuncio della sua futura passione.

Le parole della predicazione di Gesù sono le stesse di Giovanni Battista (3,2). Però in Giovanni l'accento era posto sulla conversione, mentre in Gesù l'importanza è data all'avvento del regno dei cieli. Il regno dei cieli è un evento che ha già avuto luogo nel tempo e i cui effetti perdurano: si è avvicinato e quindi è alle porte. Il "regno dei cieli" è un'espressione tipica del vangelo di Matteo e viene usata anche in ebraico e aramaico per dire "Dio", evitando per reverenza di pronunciarne il Nome e anche in quanto egli esercita un dominio che si contrappone ai regni "della terra" o "del mondo" (4,8).

18 Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori.

Il mare di Galilea si trova chiamato così sia in Matteo che in Marco. Anzi spesso loro lo chiamano "mare" in senso assoluto. Luca, invece, viaggiatore internazionale lungo le rotte del Mediterraneo lo chiama molto più realisticamente "lago di Genezaret". Questo riflette la prospettiva piuttosto provinciale e palestinese di Marco e Matteo. Per loro quel lago è un vero e proprio mare, con tutte le implicazioni teologiche del caso.

Di fatto si tratta di un lago a forma di arpa che ha una larghezza massima di 13 km e un perimetro di 51 km.

La sua superficie è di 165 kmq. Per grandezza si situa dunque tra i nostri laghi Maggiore (212,2 kmq) e di
Como (145,9 kmq).

Passeggiando lungo il mare Gesù si imbatte in due fratelli che sembra incontrare per la prima volta. Pietro ha un nome ebraico, Andrea greco. E' questo un sintomo dell'integrazione culturale tra ebraismo ed ellenismo diffusa nella Palestina dei I secolo, soprattutto in Galilea.

Erano pescatori: il giudizio degli antagonisti di Pietro e Giovanni in At 4,13 («considerando che erano senza istruzione e popolani») non va preso troppo alla lettera. La pesca era un'importante attività economica sul mare di Galilea e i primi discepoli erano proprietari delle attrezzature. Inoltre non c'è nessun motivo per supporre che non fossero istruiti.

19 E disse loro: "Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini".

Gesù chiama Pietro e Andrea "dietro a sé" (opiso mou). E' la situazione tipica del discepolato (cf. 2Re 6,19).

L'espressione "pescatori di uomini" deve essere un'invenzione di Gesù. E' simile a Ger 16,16: "Ecco io mando molti pescatori, dice il Signore, che li pescheranno", ma in quel caso il contesto era di giudizio, pescare significava "catturare, mettere in prigionia". Pescare nel senso di conquistare al regno di Dio è un'altra cosa.

20 Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono.

Pietro e Andrea lo seguono subito. Questo fa risaltare la capacità di attrattiva e di persuasione di Gesù.

21 Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò.

Anche Giacomo e Giovanni vengono chiamati, anche questo verbo è un termine tecnico della sequela di Gesù. Questi quattro discepoli sono coloro che saranno più vicini a Gesù e saranno testimoni privilegiati di alcuni momenti significativi della sua esistenza (la risurrezione della figlia di Giairo, la trasfigurazione, la preghiera del Getsemani).

22 Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.

Anche Giacomo e Giovanni lo seguono senza dire una parola. Il racconto è di una stringatezza estrema e con queste rapide pennellate dà l'impressione di accelerazione che l'irruzione del regno imprime alla storia degli uomini.

23 Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.

Con questo versetto redazionale Matteo ricapitola l'attività di Gesù in Galilea. E' interessante il fatto che Matteo posizioni geograficamente l'attività di Gesù. E' un'indicazione di più riguardo alla sua incarnazione.

Le attività compiute da Gesù in Galilea sono espresse usando tre participi attivi:

a) insegnando: è un insegnamento di stile rabbinico, che si realizza nelle sinagoghe e ha per oggetto l'interpretazione delle Scritture.
b) predicando: il contenuto della predicazione invece è l'evangelo del regno. E' il lieto annuncio della prossimità del regno dei cieli.
c) guarendo: si tratta di un'eco della promessa divina di Dt 7,15: "Il Signore allontanerà da te ogni infermità e tutte le malattie dell'Egitto". L'attività taumaturgica di Gesù è molto sottolineata in Matteo: egli guarisce ogni infermità e ogni malattia.

Meditatio

- Non ti capita mai di sentire il desiderio di "ritirarti" per compiere meglio la tua "missione"?
- In che senso per te Gesù è stato la luce che ti ha illuminato mentre sedevi nelle tenebre?
- Chi sono i pagani a cui ancora oggi Gesù si rivolge? Quale conversione chiede?
- Chi è per te il pescatore di uomini?

Preghiamo
(Colletta della III domenica del Tempo Ordinario - Anno A)

O Dio, che hai fondato la tua Chiesa sulla fede degli Apostoli, fa' che le nostre comunità, illuminate dalla tua parola e unite nel vincolo del tuo amore, diventino segno di salvezza e di speranza per tutti coloro che dalle tenebre anelano alla luce. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
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27/01/2014 08:07
 
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Come può Satana scacciare Satana?

Lettura
Nel vangelo, Gesù dimostra assurda l'accusa che gli viene mossa dagli scribi di essere uno strumento nelle mani di Satana. Nella prima lettura, Davide è unto re di Israele dagli anziani del popolo. Come re, conquista la città di Gerusalemme, futura capitale del regno.

Meditazione
Gli scribi non possono negare l'efficacia e la potenza dell'agire di Gesù, ma danno una spiegazione tutta loro riguardo al perché il Signore riesce a sanare le persone. Lo accusano di essere posseduto da Beelzebul e di scacciare i demoni per mezzo del principe dei demoni: non solo è per loro un posseduto, ma il demone che lo possiede agisce per mezzo di lui. A queste accuse, Gesù risponde attraverso un ragionamento che dimostra come esse conducano a conseguenze assurde. Come può, infatti, Satana scacciare Satana, ribellarsi contro se stesso? Se questo avvenisse, e quindi davvero Gesù scacciasse i demoni in forza del principe dei demoni che abita in lui, allora accadrebbe a Satana quello che accade ad un regno o ad una casa divisa in se stessa: non resisterebbe, il suo dominio starebbe per terminare. È evidente, così, che l'accusa degli scribi non ha senso. L'immagine dell'uomo forte, invece, rivela come devono essere correttamente interpretate le cose: Gesù può liberare dai demoni non perché è posseduto da Beelzebul, ma perché è più forte di lui. La sentenza finale pone l'accento sulla misericordia di Dio che si spinge fino al limite estremo, per far risaltare l'unica eccezione, l'unica realtà per cui non esiste perdono: la bestemmia contro lo Spirito. L'evangelista collega questa affermazione con il fatto che gli scribi accusano Gesù di essere posseduto da uno spirito immondo. In questo modo, la bestemmia contro lo Spirito si concretizza nel non riconoscere che Gesù è uno strumento dello Spirito. È il rifiuto ostinato, l'atteggiamento di incredulità di chi volontariamente rifiuta di riconoscere nelle opere compiute da Gesù l'azione di Dio. Questo peccato non può essere perdonato, perché esclude l'atteggiamento di fede e il desiderio di conversione che sono necessari per aprirsi ad accogliere il perdono di Dio.

Preghiera
«Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti» (1Cor 1,27): chiedo al Padre la grazia di poter leggere il mio quotidiano con i suoi occhi, senza scandalizzarmi per il modo "originale" in cui Lui porta avanti il suo disegno di salvezza.

Agire
Provo a scoprire se le persone il cui comportamento è per me motivo di scandalo non siano invece strumenti nelle mani del Padre che, attraverso di esse, mi chiede di convertire qualche realtà della mia vita.

Commento a cura di Marzia Blarasin
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