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COMPENDIO DI TEOLOGIA SPIRITUALE

Ultimo Aggiornamento: 24/10/2013 13:41
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24/10/2013 13:13
 
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III. Il dono della fortezza.

1330. 1^ Natura. E` un dono che perfeziona la virtu` della fortezza,
dando alla volonta` un impulso e una energia che la rendono capace di
operare o di patire lietamente e intrepidamente grandi cose, superando
tutti gli ostacoli.

Differisce dalla virtu` per questo che non deriva dai nostri sforzi
aiutati dalla grazia, ma dall'azione dello Spirito Santo, che afferra
l'anima dall'alto comunicandole particolare signori`a sulla facolta`
inferiori e sulle esterne difficolta`. La virtu` non toglie una certa
esitazione e un certo timore degli ostacoli e dei cattivi successi; il
dono vi sostituisce la risolutezza, la sicurezza, la letizia, la
speranza certa della riuscita, onde produce i piu` grandi risultati.
Ecco perche` si dice di S. Stefano che era pieno di fortezza, perche`
era pieno di Spirito Santo: "Stephanus autem plenus gratia^ et
fortitudine... cum autem esset plenus Spiritu Sancto" 1330-1.

1331. Operare e patire, in mezzo alle piu` spinose difficolta` e con
sforzi talora eroici: tali sono i due atti a cui ci porta il dono
della fortezza.

a) Operare, vale a dire intraprendere senza esitazione e timore le piu`
ardue cose: per esempio, praticare perfetto raccoglimento in vita
affaccendatissima, come fece S. Vincenzo de' Paoli o S. Teresa;
serbare inviolata la castita` fra le piu` pericolose occasioni, come
S. Tommaso d'Aquino e San Carlo Borromeo; restar umili in mezzo agli
onori, come S. Luigi; sfidare i pericoli, le noie, le fatiche, la
morte, come S. Francesco Saverio; calpestare il rispetto umano e
disprezzar gli onori, come S. Giovanni Crisostomo, che una sola cosa
temeva, il peccato. b) Ne` occorre minor fortezza per sopportare lunghe
e dolorose malattie, come fece S. Liduina; o morali tribolazioni come
quelle sostenute da certe anime nelle prove passive; o semplicemente
per osservare tutta la vita, senza venirvi mai meno, tutti i punti
della propria regola. Il martirio e` reputato l'atto per eccellenza del
dono della fortezza, e a ragione, perche` si da` per Dio il bene piu`
caro che e` la vita; ma versare il sangue a goccia a goccia,
sacrificandosi intieramente per le anime, come fanno, dopo S. Paolo,
tanti umili sacerdoti e tanti pii laici, e` martirio ovvio a tutti e
quasi altrettanto meritorio.

1332. 2^ Necessita`. E` inutile insistere a lungo sulla necessita` di
questo dono. Abbiamo detto infatti, n. 360, che in molte
circostanze per conservare lo stato di grazia occorre praticar
l'eroismo. E` appunto il dono della fortezza quello che ci fa
generosamente compiere questi atti difficili.

Piu` necessario ancora e` questo dono in certe professioni in cui si e`
obbligati ad esporsi a malattie e alla morte, per esempio al medico,
al soldato, al sacerdote.

1333. 3^ Mezzi per coltivarlo. A) Non provenendo da noi la nostra
fortezza ma da Dio, e` chiaro che si deve cercarla in lui, riconoscendo
umilmente la nostra impotenza. La Provvidenza infatti si serve degli
strumenti piu` deboli, purche` abbiano coscienza della loro debolezza e
si appoggino su Colui che solo puo` fortificarli. Tal e` il senso di
quelle parole di S. Paolo 1333-1: "le folli cose del mondo elesse
Dio per confondere i sapienti; e le impotenti del mondo elesse Dio per
confondere le forti... e quelle che non sono per annientare quelle che
sono: affinche` non si glorii persona alcuna dinanzi a Dio".
Specialmente nella santa comunione possiamo attingere da Gesu` la forza
che ci occorre per trionfare di tutti gli ostacoli. S. Giovanni
Crisostomo presenta i cristiani che, all'uscire dalla sacra mensa,
sono forti come leoni, perche` partecipano della forza stesso di
Cristo 1333-2.

1334. B) Bisogna pure attentamente cogliere le mille piccole
circostanze in cui, perseverando nello sforzo, si puo` praticar la
fortezza e la pazienza.

Cosi` fanno quelli che lietamente si assoggettano da mane a sera a una
regola, che si sforzano di essere devoti nelle preghiere e raccolti
nel corso del giorno, che osservano il silenzio quando avrebbero
voglia di chiacchierare, che schivano di guardare oggetti eccitanti la
curiosita`, che soffrono senza lagnarsi le intemperie delle stagioni,
che si mostrano cortesi verso chi e` loro naturalmente antipatico, che
ricevono con pazienza e umilta` i rimproveri, che s'adattano ai gusti,
ai desideri, agli umori altrui, che sopportano calmi la
contraddizione, che si studiano insomma di trionfar delle piccole loro
passioni e di vincere se stessi. Ora far tutto cio` non una volta sola,
di passaggio, ma abitualmente, e farlo non solo pazientemente ma anche
lietamente, e` gia` eroismo; onde non sara` difficile essere eroici nelle
grandi circostanze che poi si presenteranno 1334-1, perche` allora
avremo con noi la fortezza stessa dello Spirito Santo: "Accipietis
virtutem supervenientis Spiritus Sancti in vos et eritis mihi
testes" 1334-2.

IV. Il dono del timore.

1335. 1^ Natura. Qui non si tratta di quella paura di Dio che, al
ricordarci dei nostri peccati, ci inquieta, ci attrista, ci conturba.
Non si tratta neppure del timor dell'inferno, che basta per abbozzare
una conversione ma non per dar compimento alla nostra santificazione.
Si tratta del timore riverenziale e filiale che ci fa paventare ogni
offesa di Dio.

Il dono del timore perfeziona nello stesso tempo le virtu` della
speranza e della temperanza: la virtu` della speranza, facendoci
paventare di dispiacere a Dio e di essere da lui separati; la virtu`
della temperanza, staccandoci dai falsi diletti che potrebbero farci
perdere Dio.

Puo` quindi definirsi un dono che inclina la volonta` al rispetto
filiale di Dio, ci allontana dal peccato perche` gli dispiace, e ci fa
sperare nel potente suo aiuto.

1336. Abbraccia tre atti principali: a) Un vivo sentimento della
grandezza di Dio e quindi sommo orrore dei minimi peccati che ne
offendono l'infinita maesta`: "Non sai tu, figliuola mia, diceva il
Signore a S. Caterina da Siena 1336-1, che tutte le pene che
sostiene o puo` sostenere l'anima in questa vita, non sono sufficienti
a punire una minima colpa? Perocche` l'offesa che e` fatta a me, che
sono Bene infinito, richiede soddisfazione infinita. E pero` io voglio
che tu sappi che non tutte le pene che sono date in questa vita, sono
date per punizione, ma per correzione". Cosa che avevano capito molto
bene i Santi, i quali amaramente deploravano le colpe anche piu` lievi
e non credevano di aver fatto mai abbastanza per ripararle. b) Una
viva contrizione delle minime colpe commesse, perche` hanno offeso un
Dio infinito e infinitamente buono; onde sorge un ardente desiderio di
ripararle, moltiplicando gli atti di sacrificio e di amore 1336-2.

c) Una vigile cura di fuggire le occasioni di peccato come si fugge un
serpente: "quasi a facie colubri fuge peccata" 1336-3; e quindi
grande diligenza in voler conoscere in tutto il beneplacito di Dio per
conformarvi la propria condotta.

E` chiaro che, operando in questo modo, si perfeziona la virtu` della
temperanza con lo scansare i proibiti diletti, e quella della speranza
con l'innalzare con filiale fiducia lo sguardo a Dio.

1337. 2^ Necessita`. A) Necessario e` questo dono per evitare la
troppa grande familiarita` con Dio. Ci sono di quelli che, dimenticando
facilmente la grandezza di Dio e l'infinita distanza che ci separa da
lui, si prendono con Dio e colle cose sante sconvenienti liberta` e gli
parlano con troppa arditezza, trattando quasi alla pari con lui. E`
vero che Dio stesso invita certe anime a una dolce intimita` e a una
stupenda familiarita`; ma sta a lui a farlo per il primo e non gia` a
noi. Del resto il timore filiale non impedisce quella tenera
familiarita` che si vede in alcuni santi 1337-1.

B) Non meno utile e` questo dono per preservarci, nelle relazioni col
prossimo, massime con gli inferiori, da quel fare altezzoso e superbo
che ha piu` dello spirito pagano che del cristiano; il timore
riverenziale di Dio, che e` nello stesso tempo padre loro e nostro, ci
fara` esercitare l'autorita` in modo modesto, come conviene a chi la
tiene non da se` ma da Dio.

1338. 3^ Mezzi per coltivare questo dono. A) Bisogna meditare spesso
l'infinita grandezza di Dio, i suoi attributi, il potere che ha su di
noi; e considerare al lume della fede che cos'e` il peccato, il quale,
per lieve che sia, e` pur sempre offesa all'infinita maesta` di Dio. Non
puo` darsi allora che non si concepisca un timore riverenziale per
questo Sommo Padrone, che non finiamo mai di offendere: "confige
timore tuo carnes meas; a judiciis enim tuis timui" 1338-1; e nel
comparire dinanzi a lui ci sentiremo il cuore contrito ed umiliato.

B) A fomentar questo sentimento, e` bene fare diligentemente gli esami
di coscienza, eccitantosi piu` alla compunzione che alla minuziosa
ricerca dei peccati: "cor contritum et humiliatum, Deus, non
despicies" 1338-2. A ottenere purita` di cuore sempre piu` perfetta,
conviene unirsi e incorporarsi ognor piu` a Gesu` penitente; quanto piu`
ne parteciperemo l'odio per il peccato e le umiliazioni, tanto piu`
pieno sara` il perdono.
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