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COMPENDIO DI TEOLOGIA SPIRITUALE

Ultimo Aggiornamento: 24/10/2013 13:41
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19/10/2013 16:41
 
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PARTE SECONDA
Le Tre Vie

LIBRO I
La purificazione dell'anima
o la via purgativa
_________________________________________________________________

CAPITOLO II.

Della penitenza 705-1.

Indicata brevemente la necessita` e la nozione della penitenza,
esporremo:
* 1^ i motivi che devono farci odiare e schivare il peccato;
* 2^ i motivi e i mezzi di ripararlo.

* Necessita` e nozione.
* Art. I. -- Odio del peccato
+ mortale.
+ veniale.
* Art. II. -- Riparazione del peccato
+ motivi.
+ mezzi.

NECESSITA` E NOZIONE DELLA PENITENZA.

705. Dopo la preghiera, la penitenza e` il mezzo piu` efficace per
purificar l'anima dalle colpe passate e anche per premunirla contro le
future.

1^ Quindi Nostro Signore, volendo dar principio al pubblico suo
ministero, fa predicare dal precursore la necessita` della penitenza:
"Fate penitenza perche` il regno dei cieli e` vicino: poenitentiam
agite, appropinquavit enim regnum caelorum 705-2. Dichiara di essere
egli pure venuto a chiamare i peccatori a penitenza: "Non veni vocare
justos, sed peccatores ad poenitentiam" 705-3. Tanto necessaria e`
questa virtu` che, se non facciamo penitenza, periremo: "si
poenitentiam non egeritis, omnes similiter peribitis" 705-4. Gli
Apostoli compresero cosi` bene questa dottrina che fin dalle prime
prediche insistono sulla necessita` della penitenza come condizione
preparatoria al battesimo: "Poenitentiam agite, et baptizetur
unusquisque vestrum" 705-5.

La penitenza e` infatti pel peccatore un atto di giustizia; avendo
offeso Dio e violatine i diritti, e` obbligato a riparare questo
oltraggio: il che fa con la penitenza.

706. 2^ La penitenza si definisce: una virtu` soprannaturale,
connessa con la giustizia, che inclina il peccatore a detestare il
peccato perche` offesa di Dio, e a prendere la ferma risoluzione di
schivarlo per l'avvenire e di ripararlo.

Comprende quindi quattro atti principali, di cui e` facile vedere la
genesi e la connessione. 1) Alla luce della ragione e della fede,
vediamo che il peccato e` un male, il piu` grande di tutti i mali, a dir
vero, l'unico vero male, perche` offende Dio e ci priva dei piu`
preziosi beni; questo male lo odiamo con tutta l'anima "iniquitatem
odio habui". 2) Considerando d'altra parte che questo male e` in noi,
perche` abbiamo peccato, e che, anche quando vien perdonato, ne resta
nell'anima qualche traccia, ne concepiamo un vivo dolore, dolore che
ci tortura e stritola l'anima, una sincera contrizione, una profonda
umiliazione. 3) Per evitare nell'avvenire questo odioso male,
prendiamo la ferma risoluzione o il saldo proponimento di schivarlo,
sollecitamente fuggendo le occasioni che vi ci potrebbero condurre e
rafforzando la volonta` contro le lusinghe dei pericolosi diletti.
4) Finalmente, persuasi che il peccato e` un'ingiustizia, risolviamo di
ripararlo e di espiarlo con sentimenti ed opere di penitenza.

ART. I. MOTIVI DI ODIARE E FUGGIRE IL PECCATO 707-1.

Prima d'esporre questi motivi 707-2, diciamo che cosa e` il peccato
mortale e il veniale.

707. Nozione e specie. Il peccato e` una trasgressione volontaria
della legge di Dio. E` dunque una disobbedienza a Dio e quindi
un'offesa di Dio, perche` preferiamo la volonta` nostra alla sua e
violiamo cosi` gl'imprescrittibili suoi diritti alla nostra
sottomissione.

708. a) Il peccato mortale. Quando con piena avvertenza e pieno
consenso trasgrediamo una legge importante, necessaria al
conseguimento del nostro fine, in materia grave, il peccato e` mortale,
perche` priva l'anima della grazia abituale che ne costituisce la vita
soprannaturale (n. 105). Ecco perche` questo peccato e` definito da
S. Tommaso: un atto con cui ci distacchiamo da Dio, ultimo nostro
fine, attaccandoci liberamente e disordinatamente a qualche bene
creato. Perdendo infatti la grazia abituale che ci univa a Dio, ci
distacchiamo da lui.

709. b) Il peccato veniale. Quando la legge da noi violata non e`
necessaria al conseguimento del nostro fine, o quando la violiamo in
materia leggiera, oppure, essendo la legge grave in se`, non la
trasgrediamo con piena avvertenza o pieno consenso, il peccato e`
soltanto veniale, e non ci priva dello stato di grazia. Rimaniamo
uniti a Dio nel fondo dell'anima, perche` vogliamo farne la volonta` in
tutto cio` che e` necessario a conservarne l'amicizia e conseguire il
nostro fine. E` pero` sempre una trasgressione della legge di Dio e una
offesa inflitta alla sua Maesta`, come proveremo piu` avanti.
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19/10/2013 16:41
 
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sez. I. Del peccato mortale 710-1.

710. Per pronunziare un retto giudizio sul peccato grave, bisogna
considerare:
* 1^ che cosa ne pensa Dio;
* 2^ che cosa e` in se` stesso;
* 3^ i funesti suoi effetti.

Chi con la meditazione approfondisca queste considerazioni, avra` per
il peccato un odio invincibile.

I. Che cosa pensa Dio del peccato mortale.

Per averne una qualche idea, vediamo come lo castighi e come lo
condanni nella S. Scrittura.

711. 1^ Come lo castiga. A) Negli angeli ribelli: non commettono che
un solo peccato, un peccato interno, un peccato di superbia, e Dio,
loro Creatore e loro Padre, Dio che li amava non solo come opera delle
sue mani ma anche come figli adottivi, si vede obbligato, per punirne
la ribellione, a precipitarli nell'inferno, dove, per tutta
l'eternita`, saranno separati da lui e privi quindi di ogni felicita`.
Eppure Dio e` giusto e non punisce mai i colpevoli piu` di quanto
meritino; e` misericordioso perfino nei castighi temperandone il rigore
colla bonta`. Dev'essere dunque qualche cosa d'abbominevole il peccato
per meritare d'essere punito tanto rigorosamente.

712. B) Nei nostri progenitori: erano stati ricolmi d'ogni sorta di
beni, naturali, preternaturali e soprannaturali, n. 52-66. Ma
commettono essi pure un peccato di disubbidienza e di superbia, ed
ecco che perdono subito, con la vita della grazia, i doni gratuiti che
erano stati cosi` liberalmente loro largiti, vengono cacciati dal
paradiso originale, di cui subiamo ancora le tristi conseguenze
(n. 69-75). Ora Dio amava i nostri progenitori e se il Dio della
giustizia e della misericordia dovette castigarli tanto severamente,
perfino nella posterita`, vuol dunque dire che il peccato e` un male
orribile che non potremo mai detestare abbastanza.

713. C) Nella persona del Figlio. Per non lasciar eternamente perire
l'uomo e conciliar nello stesso tempo i diritti della giustizia e
della misericordia, il Padre manda il Figlio sulla terra, lo
costituisce capo del genere umano, commettendogli d'espiare e riparare
il peccato in vece nostra. Or che gli chiede per questa redenzione?
Trentatre` anni di patimenti e di umiliazioni, coronati dalla fisica e
morale agonia dell'orto degli Ulivi, del Sinedrio, del Pretorio, del
Calvario. Chi vuol sapere che cosa sia il peccato, segua passo passo
il divin Salvatore, dal presepio alla Croce: nella vita nascosta, ove
pratica l'umilta`, l'obbedienza, la poverta`, il lavoro; nella vita
apostolica, tra le fatiche, le delusioni, gli affanni, le persecuzioni
di cui e` vittima; nella vita paziente, ove soffri` tali torture fisiche
e morali, da parte degli amici e dei nemici, da venire a ragione
chiamato l'uomo dei dolori; e poi dica a se` stesso in tutta sincerita`:
ecco l'opera dei miei peccati, "vulneratus est propter iniquitates
nostras, attritus est propter scelera nostra". Cosi` stentera` meno a
comprendere che il peccato e` il piu` grande dei mali.

714. 2^ Come Dio condanna il peccato. La S. Scrittura ci presenta il
peccato come la cosa piu` abominevole e criminosa.

a) E` una disubbidienza a Dio, una trasgressione dei suoi ordini, che
viene severamente e giustamente punita, come si vede nei nostro
progenitori 714-1. Nel popolo d'Israele, che appartiene in modo
speciale a Dio, questa disobbedienza e` considerata come rivolta e
ribellione 714-2. b) E` un'ingratitudine verso il piu` insigne dei
benefattori, un'empieta` verso il piu` amabile dei padri: "Filios
enutrivi et exaltavi, ipsi autem spreverunt me" 714-3. c) E` una
mancanza di fedelta`, una specie d'adulterio, perche` Dio e` lo sposo
delle anime e giustamente esige inviolabile fedelta`: "Tu autem
fornicata es cum amatoribus multis" 714-4. d) E` un'ingiustizia,
perche` violiamo apertamente i diritti di Dio sopra di noi: "Omnis qui
facit peccatum et iniquitatem facit, et peccatum est
iniquitas" 714-5.

II. Che cosa e` il peccato mortale in se` stesso.

Il peccato mortale e` il male, l'unico vero male, perche` tutti gli
altri mali non ne sono che la conseguenza o il castigo.

715. 1^ Riguardo a Dio, e` un delitto di lesa maesta` divina: infatti
offende Dio in tutti i suoi attributi, ma soprattutto come primo
nostro principio, ultimo nostro fine, Padre nostro e nostro
benefattore.

A) Essendo Dio il primo nostro principio, il nostro Creatore, da cui
ci viene tutto cio` che siamo e tutto cio` che possediamo, e` per cio`
stesso il nostro supremo Padrone, a cui dobbiamo ubbidienza assoluta.
Ora, col peccato mortale, noi lo disubbidiamo, facendogli l'ingiuria
di preferire la volonta` nostra alla sua, una creatura al Creatore!
Facciamo anzi di peggio: ci rivoltiamo contro di lui, noi che per
creazione siamo sudditi suoi assai piu` che non siano sudditi gli
uomini soggetti ad un principe. a) Rivolta tanto piu` grave in quanto
che e` Padrone infinitamente sapiente e infinitamente buono che nulla
ci ordina che non sia nello stesso tempo utile alla nostra felicita`
come alla sua gloria, mentre la nostra volonta`, ben lo sappiamo, e`
fiacca, fragile, soggetta all'errore: eppure la preferiamo a quella di
Dio! b) Questa rivolta poi e` tanto meno scusabile, perche`, istruiti
fin dall'infanzia da genitori cristiani, abbiamo conoscenza piu`
chiara, piu` esatta dei diritti di Dio su di noi, e della malizia del
peccato, cosicche` operiamo sapendo bene quello che facciamo. c) E
perche` tradiamo cosi` il nostro Padrone? Per un vile piacere che ci
avvilisce e ci abbassa al livello dei bruti; per uno stolto orgoglio
con cui ci appropriamo la gloria che appartiene solo a Dio; per un
interesse, per un guadagno passeggiero a cui sacrifichiamo un bene
eterno!

716. B) Dio e` pure l'ultimo nostro fine: ci creo` e non pote` creare
che per se`, non essendovi fuori di lui bene alcuno piu` grande in cui
possiamo trovar la nostra perfezione e la nostra felicita`; ma poi e`
giusto e necessario che, usciti da Dio, a lui ritorniamo; essendo cosa
sua e sua proprieta`, dobbiamo riverirlo, lodarlo, servirlo e
glorificarlo 716-1; teneramente amati da lui, dobbiamo anche noi
riamarlo con tutta l'anima: nell'amarlo e nell'adorarlo troviamo la
felicita` e la perfezione. Ha quindi stretto diritto che l'intiera
nostra vita con tutti i pensieri, tutti i desideri, tutte le azioni,
sia rivolta a lui e lo glorifichi.

Ora, col peccato mortale, ci stacchiamo volontariamente da lui per
dilettarci in un bene creato; gli facciamo l'ingiuria di preferirgli
una sua creatura o meglio l'egoistica nostra soddisfazione; perche` in
fondo piu` che alla creatura ci attacchiamo al diletto che in lei
troviamo. E` una flagrante ingiustizia, perche` si tende a privar Dio
degli imprescrittibili suoi diritti su di noi e di quella gloria
esterna che gli dobbiamo; e` una specie d'idolatria, che erige, nel
tempio del nostro cuore, un idolo a fianco del vero Dio; e` un
disprezzar la fonte d'acqua viva, che sola puo` dissetar le anime, e
preferirgli quell'acqua fangosa che si trova in fondo alle cisterne
scrostate, secondo l'energico linguaggio di Geremia 716-2: Duo
enim mala fecit populus meus: me dereliquerunt fontem aquae vivae, et
foderunt sibi cisternas, cisternas dissipatas, quae continere non
valent aquas".

717. C) Dio e` pure per noi un Padre, che ci adotto` per figli e ci
tratta con sollecitudine tutta paterna (n. 94), colmandoci dei piu`
preziosi suoi benefici, dotandoci di soprannaturale organismo onde
farci vivere di vita simile alla sua, e largheggiando con noi di
copiose grazie attuali onde porre in atto i suoi doni e accrescerci la
vita soprannaturale. Ora, col peccato mortale, disprezziamo questi
doni, ne abusiamo anzi per volgerli contro il nostro benefattore e il
nostro Padre, profaniamo le sue grazie e l'offendiamo nel momento
stesso in cui ci colma dei suoi beni. Non e` ingratitudine tanto piu`
colpevole quanto maggiori sono i doni ricevuti, che grida vendetta
contro di noi?

718. 2^ Rispetto a Gesu` Cristo, nostro redentore, il peccato e` una
specie di deicidio. a) E` infatti il peccato che cagiono` i patimenti e
la morte del divin Salvatore: "Christus passus est pro
nobis 718-1... Lavit nos a peccatis nostris in sanguine
suo" 718-2. Perche` questo pensiero ci faccia impressione dobbiamo
richiamare la parte che abbiamo personalmente avuta nella dolorosa
Passione del Salvatore. Son io che con un bacio ho tradito il mio
maestro, e qualche volta anche per qualche cosa di meno di trenta
denari; io che fui causa del suo arresto e della sua condanna a morte;
io ero la` col popolaccio a gridare: Non hunc, sed Barabbam...
Crucifige eum 718-3; io ero la` coi soldati a flagellarlo con le
mie immortificazioni, a coronarlo di spine con gl'interni miei peccati
di sensualita` e d'orgoglio, a porgli sulle spalle la pesante croce e a
crocifiggerlo. Come bene spiega l'Olier 718-4, "la nostra avarizia
inchioda la sua carita`, la nostra collera la sua dolcezza, la nostra
impazienza la sua pazienza, il nostro orgoglio la sua umilta`; e cosi`
con i nostri vizi attanagliamo, stringiamo in catene e facciamo a
brani Gesu` Cristo abitante in noi". Quanto dobbiamo odiare il peccato
che ha cosi` crudelmente inchiodato alla croce il nostro Salvatore!

b) Ora non possiamo certamente infliggergli piu` nuove torture perche`
non puo` piu` patire; ma le presenti nostre colpe continuano ad
offenderlo perche`, commettendole volontariamente, disprezziamo il suo
amore e i suo benefici, rendiamo inutile per noi il sangue da lui cosi`
generosamente versato, lo priviamo di quell'amore, di quella
riconoscenza, di quell'ubbidienza, a cui ha diritto. Non e` un
corrispondere al suo amore con la piu` nera ingratitudine e chiamar
quindi sul nostro capo i piu` gravi castighi?
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19/10/2013 16:41
 
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III. Gli effetti del peccato mortale.

Dio volle che la legge avesse una sanzione, che la felicita` fosse, in
fin dei conti, la ricompensa della virtu` e il dolore castigo del
peccato. Onde, considerando gli effetti del peccato, potremo in
qualche modo arguirne la reita`. Li possiamo studiare in questa vita o
nell'altra.

719. 1^ Per renderci conto dei terribili effetti del peccato mortale
in questa vita, richiamiamo che cosa e` un'anima in istato di grazia:
abita in lei la SS. Trinita` che vi trova le sue compiacenze e la orna
delle sue grazie, delle sue virtu` e dei suoi doni; sotto l'influsso
della grazia attuale i suoi atti buoni diventano meritorii della vita
eterna; possiede la santa liberta` dei figli di Dio, partecipa della
forza e della virtu` di Dio e gode, in certi momenti specialmente, tale
felicita` che e` come un saggio della felicita` celeste. Or che fa il
peccato mortale?

a) Caccia Dio dall'anima, e poiche` il possesso di Dio e` gia`
un'anticipazione della beatitudine celeste, la sua perdita e` come il
preludio della riprovazione eterna: chi perde Dio non perde forse
tutti i beni di cui Dio e` la fonte?

b) Con lui perdiamo la grazia santificante, che ci faceva vivere d'una
vita simile a quella di Dio, ond'e` come una specie di suicidio
spirituale; e perdiamo pure con lei il glorioso corteggio delle virtu`
e dei doni che l'accompagnavano. Se nell'infinita sua misericordia Dio
ci lascia la fede e la speranza, queste virtu` non sono piu` informate e
avvivate dalla carita` e non rimangono in noi che per ispirarci un
timore salutare e un ardente desiderio di riparazione e di penitenza;
intanto ci mostrano il triste stato dell'anima nostra eccitando in noi
cocenti rimorsi.

720. c) Perdiamo pure i meriti passati, accumulati con tanti sforzi,
ne` li potremo piu` ricuperare che per mezzo di una laboriosa penitenza;
e finche` rimaniamo in peccato mortale, non possiamo meritar nulla pel
cielo. Qual dissipazione di beni soprannaturali!

d) Bisogna aggiungervi la tirannica schiavitu` che il peccatore deve or
mai subire: in cambio della santa liberta` di cui godeva, eccolo
diventato schiavo del peccato, delle passioni cattive che si trovano
come scatenate per la perdita della grazia e delle male abitudini che
non tardano a formarsi con le ricadute cosi` difficili a schivare,
perche` "colui che pecca diventa schiavo del peccato, omnis qui facit
peccatum, servus est peccati" 720-1. Infiacchiscono gradatamente
le forze morali, le grazie attuali diminuiscono e sopraggiunge lo
scoraggiamento e talvolta la disperazione; la e` finita per questa
povera anima se Dio, per un eccesso di misericordia, non viene a
trarla con la sua grazia dal fondo dell'abisso.

721. 2^ Che se sventuratamente il peccatore si ostina sino alla fine
nella resistenza alla grazia, ecco l'inferno con tutti i suoi orrori.
A) Prima la pena del danno, pena giustamente meritata. La grazia non
aveva cessato di inseguire il colpevole; ma ei volle volontariamente
morire nel suo peccato, volle rimanere volontariamente separato da
Dio. Finche` era sulla terra, tutto assorto negli affari e nei piaceri,
non aveva tempo di fermarsi sull'orrore del suo stato morale. Ma ora,
che non vi sono piu` per lui ne` affari ne` piaceri, si trova
costantemente in faccia alla terribile realta`. Dal fondo stesso della
natura, dalle aspirazioni dell'anima e del cuore, dall'intiero suo
essere si sente irresistibilmente tratto verso Colui che e` il primo
suo principio e il suo ultimo fine, l'unica fonte della sua perfezione
e della sua felicita`, verso quel Padre cosi` amabile e cosi` amante che
l'aveva adottato per figlio, verso quel Redentore che l'aveva amato
fino a morir sulla croce per lui; ma intanto si sente inesorabilmente
respinto da una forza invincibile, forza che non e` altro che il suo
peccato. La morte l'ha ormai fissato, l'ha reso immobile nelle sue
disposizioni, e avendo rigettato Dio nel momento stesso della morte,
rimarra` da Dio eternamente separato. Non beatitudine, non perfezione:
rimane affisso al suo peccato e in lui a tutto cio` che vi e` di piu`
ignobile e di piu` avvilito: "discedite a me maledicti".

722. B) Alla pena del danno, che e` di molto la piu` terribile, viene
ad aggiungersi la pena del senso. Complice dell'anima, il corpo ne
partecipera` pure il supplizio; la disperazione eterna che tortura
l'anima del dannato produce gia` nel corpo una febbre intensa, una sete
inestinguibile che nulla puo` calmare. Ma vi sara` pure un fuoco reale,
benche` diverso dal fuoco materiale che vediamo sulla terra, che
diverra` strumento della divina giustizia per castigare il nostro corpo
e i nostri sensi; e` giusto infatti che si sia puniti con cio` con cui
si e` peccato "per quae peccat quis per haec et torquetur" 722-1;
onde, avendo il dannato voluto disordinatamente godere delle creature,
in esse trovera` strumenti di supplizio. Questo fuoco, acceso e diretto
da mano intelligente, tormentera` tanto piu` le sue vittime quanto piu`
intensamente avranno voluto godere i peccaminosi diletti.

723. C) L'una e l'altra pena non finiranno mai ed e` cio` che mette il
colmo al castigo dei dannati. Perche`, se i minimi patimenti, quando
siano continui, diventano quasi intollerabili, che dire di queste
pene, gia` cosi` intense in se stesse, che dopo milioni di secoli non
faranno che ricominciare?

Eppure Dio e` giusto, Dio e` buono perfino nei castighi che e` obbligato
ad infliggere ai dannati. Bisogna dunque che il peccato sia male
abbominevole se viene punito in tal maniera, sia il solo vero ed unico
male. Dunque piuttosto morire che macchiarsi di un solo peccato
mortale "potius mori quam faedari"; e, per meglio schivarlo, abbiamo
orrore anche del peccato veniale.
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sez. II. Del peccato veniale deliberato.

Rispetto alla perfezione vi e` grandissima differenza tra i peccati
veniali di sorpresa e quelli che si commettono di proposito
deliberato, con piena avvertenza e con pieno consenso.

724. Delle colpe di sorpresa. I Santi stessi commettono qualche
volta colpe di sorpresa, lasciandosi andare un istante, per
irriflessione e per debolezza di volonta`, a negligenze negli esercizi
spirituali, ad imprudenze, a giudizi o a parole contrarie alla carita`,
a piccole bugie per scusarsi. Sono colpe certamente biasimevoli e le
anime fervorose amaramente le deplorano, ma non sono ostacolo alla
perfezione; il Signore che conosce la nostra debolezza le scusa
facilmente: "ipse cognovit figmentum nostrum"; del resto le ripariamo
quasi subito con atti di contrizione, di umilta`, di amore, che sono
piu` durevoli e piu` volontari che non i peccati di fragilita`.

Quello che dobbiamo fare rispetto a queste colpe e` di diminuirne il
numero e schivare lo scoraggiamento. a) Si possono diminuire con la
vigilanza: si cerca di rifarsi alla causa e di sopprimerla, ma senza
fretta od affanno, confidando piu` sulla grazia divina che sui nostri
sforzi; bisogna soprattutto sforzarsi di sopprimere ogni affetto al
peccato veniale; perche` come osserva S. Francesco di Sales 724-1,
"se il cuore vi si attacca, si perde tosto la soavita` della devozione
e tutta la devozione stessa".

725. b) Ma bisogna pure attentamente evitare lo scoraggiamento e il
dispetto di coloro "che si irritano di essersi irritati, si
rattristano di essersi rattristati" 725-1; questi movimenti
provengono in sostanza dall'amor proprio che si turba e s'inquieta al
vederci tanto imperfetti, Per schivar questo difetto bisogna guardar
le colpe nostre con quella benignita` con cui guardiamo quelle degli
altri, odiare, si`, i nostri difetti e le nostre debolezze ma con odio
tranquillo, con viva coscienza della nostra debolezza e della nostra
miseria, e con ferma e calma volonta` di far servire queste colpe alla
gloria di Dio, adempiendo con maggior fedelta` ed amore il dovere
presente.

Ma i peccati veniali deliberati sono grandissimo ostacolo al progesso
spirituale e devono essere vigorosamente combattuti. A convincercene,
vediamo la malizia e gli effetti.

I. Malizia del peccato veniale deliberato.

726. Questo peccato e` un male morale, il piu` gran male in sostanza
dopo il peccato mortale; e` vero che non ci fa deviar dal nostro fine
ma ci ritarda il cammino, ci fa perdere un tempo prezioso e
soprattutto e` offesa di Dio; in cio` consiste principalmente la sua
malizia.

727. E` infatti una disubbidienza a Dio, in materia leggiera, e` vero,
ma voluta dopo averci riflettuto, e che, agli occhi della fede, e`
veramente qualche cosa di odioso perche` assale l'infinita maesta` di
Dio.

A) E` un'ingiuria, un insulto a Dio: mettiamo sulla bilancia da un lato
la volonta` di Dio e la sua gloria, e dall'altro il nostro capriccio,
il nostro diletto, la nostra gloriuzza, e osiamo preferirci a Dio!
Quale oltraggio! Una volonta`, infinitamente sapiente e retta,
sacrificata alla nostra che e` cosi` soggetta all'errore e al capriccio!
"E`, dice S. Teresa 727-1, come se si dicesse: Signore, benche`
quest'azione vi dispiaccia, pure io la faro`. So bene che voi la
vedete, so molto bene che non la volete; ma preferisco seguire la mia
fantasia e la mia inclinazione anziche` la vostra volonta`. E vi par
poca cosa trattar cosi`? Per me, per quanto leggiera sia la colpa in se
stessa, la giudico invece grave e gravissima".

728. B) Ne consegue, per colpa nostra, una diminuzione della gloria
esterna di Dio: fummo creati per procurarne la gloria obbedendo
perfettamente e amorosamente ai suoi ordini; ora, ricusando di
ubbidirgli, sia pure in materia leggiera, gli sottraiamo parte di
questa gloria; in cambio di proclamare, come Maria, che vogliamo
glorificarlo in tutte le nostre azioni "Magnificat anima mea Dominum",
ricusiamo positivamente di glorificarlo in questa o in quella cosa.

C) Ed e` quindi un'ingratitudine; colmati di piu` numerosi benefici
perche` suoi amici, e sapendo che chiede in ricambio la nostra
riconoscenza e il nostro amore, noi ricusiamo di fargli quel piccolo
sacrificio; invece di studiarci di piacergli, non ci curiamo di
dispiacergli. Onde un raffreddamento dell'amicizia di Dio verso di
noi: egli ci ama senza riserva e chiede in ricambio che l'amiamo anche
noi con tutta l'anima; "Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo et
in tota anima tua et in tota mente tua" 728-1. Ma noi non gli
diamo che una parte di noi stessi, facciam delle riserve, e, pur
volendo conservarne l'amicizia, gli mercanteggiamo la nostra e non gli
diamo che un cuore diviso. C'e` qui, com'e` chiaro, indelicatezza,
mancanza di slancio e di generosita`, che non puo` che diminuire
l'intimita` con Dio.

II. Effetti del peccato veniale deliberato.

729. 1^ In questa vita, il peccato veniale commesso frequentemente e
di proposito deliberato, priva l'anima di molte grazie, diminuisce
gradatamente il fervore e predispone al peccato mortale.

A) Il peccato veniale priva l'anima non della grazia santificante ne`
dell'amor di Dio, ma la priva d'una nuova grazia che avrebbe ricevuto
se avesse resistito alla tentazione e quindi pure d'un grado di gloria
che con la sua fedelta` avrebbe potuto acquistare; la priva d'un grado
d'amore che Dio voleva darle. Non e` questa una perdita immensa, la
perdita d'un tesoro piu` prezioso del mondo intiero?

730. B) E` una diminuzione di fervore, vale a dire di quella
generosita` con cui l'anima si da` intieramente a Dio. Questa
disposizione infatti suppone un alto ideale e lo sforzo costante per
accostarvisi. Ora l'abitudine del peccato veniale e` incompatibile con
queste due cose.

a) Nulla tanto diminuisce il nostro ideale quanto l'affetto al
peccato: in cambio d'essere pronti a far tutto per Dio e mirare alla
vetta, ci fermiamo deliberatamente lungo il cammino, a mezza costa,
per godere di qualche piccolo piacere proibito; perdiamo cosi` un tempo
prezioso; cessiamo di guardare in alto per trastullarci a cogliere
alcuni fiori che presto appassiranno; cominciamo allora a sentir la
fatica, e la vetta della perfezione, anche quella a cui eravamo
personalmente chiamati, ci sembra troppo lontana e troppo ripida:
diciamo a noi stessi che non e` poi necessario mirare si` alto, e che
uno puo` salvarsi a piu` buon mercato; e l'ideale che avevamo intravisto
non ha piu` attrattive per noi. Uno dice a se` stesso: questi moti di
compiacenza, queste piccole sensualita`, queste amicizie sensibili,
queste maldicenze sono poi cose inevitabili; bisogna rassegnarsi.
b) Allora lo slancio verso le altezze e` troncato; si camminava prima
di passo allegro, sorretti dalla speranza di toccar la meta; ora
invece si comincia a sentire il peso del giorno e della fatica, e,
quando vogliamo riprendere le ascese, l'affetto al peccato veniale
c'impedisce d'avanzare. L'uccello attaccato al suolo tenta invano di
prendere lo slancio in alto: al suolo ricade spossato; cosi` le anime
nostre, trattenute da affetti a cui non vogliamo rinunziare, ricadono
presto piu` o meno spossate dal vano sforzo che hanno tentato. Qualche
volta, e` vero, ci pare di poter riprendere l'antico slancio; ahime`!
altri legami ci trattengono, e non abbiamo piu` la costanza necessaria
per troncarli tutti uno dopo l'altro. Vi e` dunque un raffreddamento di
carita` che da` da pensare.

731. C) Il gran pericolo che allora ci minaccia e` di scivolare a
poco a poco giu` fin nel peccato mortale. Crescono infatti le nostre
inclinazioni al piacere proibito e d'altra parte le grazie di Dio
diminuiscono, tanto che viene il momento in cui possiamo temere tutti
i peggiori tracolli.

a) Crescono le nostre inclinazioni al piacere cattivo: quanto piu` si
concede a questo perfido nemico tanto piu` chiede, perche` e`
insaziabile.

Oggi la pigrizia ci fa abbreviar la meditazione di cinque minuti,
domani ne chiede dieci; oggi la sensualita` si contenta di qualche
piccola imprudenza, domani si fa piu` ardita ed esige qualche cosa di
piu`. Dove fermarsi su questo pericoloso pendi`o? Uno tenta di
tranquillarsi pensando che son colpe solo veniali: ma ahime`! a poco a
poco s'accostano alle colpe gravi, le imprudenze si rinnovano e
turbano piu` profondamente l'immaginazione e i sensi. E` il fuoco che
cova sotto la cenere e che puo` diventar focolare d'incendio; e` il
serpente che uno si riscalda in seno e che si prepara a mordere e
avvelenare la vittima. -- Il pericolo e` tanto piu` prossimo per questo
che, a furia di esporvisi, e` meno temuto: vi si prende dimestichezza,
si lasciano cadere, l'un dopo l'altro, i baluardi che difendevano la
cittadella del cuore, e viene il momento in cui con un assalto piu`
furioso, il nemico penetra nella piazzaforte.

732. b) Il che e` tanto piu` da temere in quanto che le grazie di Dio
generalmente diminuiscono a proporzione delle nostre infedelta`. 1) E`
infatti legge di Provvidenza che le grazie ci sono date secondo la
nostra cooperazione "secundum cujusque dispositionem et
cooperationem". E` questo in sostanza il senso della parola evangelica:
"A chi ha, si da` di piu` e sara` nell'abbondanza; ma a chi non ha, sara`
tolto anche quello che ha, qui enim habet dabitur ei et abundabit; qui
autem non habet et quod habet auferetur ab eo" 732-1. Ora, con
l'affetto al peccato veniale, noi resistiamo alla grazia e ne
ostacoliamo l'azione nell'anima, onde ne riceviamo assai meno. Ora, se
con piu` copiose grazie non abbiamo saputo resistere alle cattive
inclinazioni della natura, vi resisteremo con grazie o con forze
diminuite? 2) D'altra parte, quando un'anima manca di raccoglimento e
di generosita`, non riesce a cogliere quegli interni movimenti della
grazia che la sollecitano al bene, perche` vengono presto soffocati
dallo strepito delle rideste passioni. 3) Del resto la grazia non puo`
santificarci se non chiedendoci sacrifici, ma le abitudini del piacere
acquistate con l'affetto alle colpe veniali rendono questi sacrifici
assai piu` difficili.

733. Si puo` dunque conchiudere col P. L. Lallemand 733-1: "La
rovina delle anime viene dal moltiplicarsi dei peccati veniali che
cagionano la diminuzione dei lumi e delle ispirazioni divine, delle
grazie e delle consolazioni interiori, del fervore e del coraggio per
resistere agli assalti del nemico. Ne segue l'acciecamento, la
debolezza, le cadute frequenti, l'abitudine, l'insensibilita`, perche`,
guadagnato che sia l'affetto, si pecca quasi senza aver sentimento del
peccato".

734. 2^ Gli effetti del peccato veniale nell'altra vita 734-1,
ci mostrano quanto dobbiamo temerlo: infatti molte anime passano i
lunghi anni nel Purgatorio per espiarlo. E che cosa soffrono in quel
luogo d'espiazione?

A) Vi soffrono il piu` intollerabile dei mali, la privazione di Dio.
Non e` certamente una pena eterna ed e` appunto questo che la distingue
dalle pene dell'inferno. Ma, per un tempo piu` o meno lungo,
proporzionato al numero e alla gravita` delle colpe, queste anime che
amano Dio, che, separate da tutte le gioie e distrazioni della terra,
pensano costantemente a lui e bramano ardentemente di vederne la
faccia, vengono private della sua vista e del suo possesso e patiscono
ineffabili strazi. Capiscono ora che fuori di Lui non possono essere
felici; ma ecco rizzarsi innanzi a loro, come insormontabile ostacolo,
quella moltitudine di peccati veniali che non hanno sufficientemente
espiati. Del resto sono tanto comprese della necessita` della mondezza
richiesta a contemplare la faccia di Dio che si vergognerebbero di
comparire davanti a lui senza questa mondezza e non consentirebbero
mai ad entrare in cielo finche` resta in loro qualche traccia del
peccato veniale 734-2. Sono quindi in uno stato violento, che ben
riconoscono d'aver meritato ma che non lascia per questo di
torturarle.

735. B) Inoltre, secondo la dottrina di S. Tommaso, un sottil fuoco
le penetra, ne molesta l'attivita`, e fa loro provare fisici patimenti
per espiare i colpevoli diletti a cui acconsentirono, Accettano certo
di gran cuore questa prova, perche` intendono bene che e` necessaria per
unirsi a Dio.

"Vedendo, dice S. Caterina da Genova 735-1, il purgatorio ordinato
a levar via le sue macchie, l'anima vi si getta dentro e le par
trovare una grande misericordia per potersi levare quell'impedimento".
Ma tale accettazione non toglie che queste anime soffrano molto:
"L'amore di Dio, il quale ridonda nell'anima, le da` una contentezza si`
grande che non si puo` esprimere, ma questa contentezza alle anime che
sono in purgatorio non toglie scintilla di pena, anzi quell'amore, il
quale si trova ritardato, e` quello che fa la loro pena, e tanto fa
pena maggiore quant'e` la perfezione dell'amore del quale Dio le ha
fatte capaci" 735-2.

Eppure Dio non e` soltanto giusto ma anche misericordioso! Ama queste
anime con amore sincero, tenero, paterno; desidera ardentemente di
darsi ad esse per tutta l'eternita`; e se non lo fa, e` perche` vi e`
incompatibilita` assoluta tra la infinita sua santita` e la minima
macchia, il minimo peccato veniale. Non potremo dunque mai troppo
abbominarlo, mai troppo schivarlo e mai troppo ripararlo con la
penitenza.
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19/10/2013 16:42
 
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ART. II. MOTIVI E MEZZI DI RIPARARE IL PECCATO.

I. Motivi di penitenza.

Tre motivi principali ci obbligano a far penitenza dei nostri peccati:
* un dovere di giustizia rispetto a Dio;
* un dovere risultante dalla nostra incorporazione a Gesu`
Cristo;
* un dovere di proprio interesse e di carita`.

1^ UN DOVERE DI GIUSTIZIA RISPETTO A DIO.

736. Il peccato infatti e` una vera ingiustizia, perche` toglie a Dio
una parte di quella gloria esterna a cui ha diritto; richiede quindi
per giustizia una riparazione, che consistera` nel restituire a Dio,
per quanto possiamo, l'onore e la gloria di cui l'abbiamo
colpevolmente privato. Or quest'offesa, essendo, almeno oggettivamente
infinita, non sara` mai intieramente riparata. Dobbiamo quindi espiare
per tutta la vita; obbligo tanto piu` esteso quanto maggiori furono i
benefici di cui siamo stati colmati, e piu` gravi e piu` numerose le
colpe.

E` quanto osserva Bossuet 736-1: "Non dobbiamo giustamente temere
che la bonta` di Dio, cosi` indegnamente disprezzata, si cambi in
implacabile furore? Che se la giusta sua vendetta e` cosi` grande contro
i gentili..., non sara` la sua collera tanto piu` terribile per noi
quanto piu` doloroso e` per un padre l'aver perfidi figli e servi
cattivi?" Dobbiamo quindi, egli dice, prendere le parti di Dio contro
di noi. "Prendendo cosi` contro di noi le parti della divina giustizia,
obblighiamo la sua misericordia a prendere le parti nostre contro la
sua giustizia. Quanto piu` deploreremo la miseria in cui siamo caduti,
tanto piu` ci avvicineremo al bene che abbiamo perduto: Dio ricevera`
pietosamente il sacrificio del cuore contrito che noi gli offriremo in
soddisfazione dei nostri delitti; e senza considerare che le pene che
c'imponiamo non sono proporzionata vendetta, questo buon padre terra`
conto soltanto che e` volontaria". Renderemo del resto piu` efficace la
nostra penitenza unendola a quella di Gesu` Cristo.

2^ UN DOVERE RISULTANTE DALLA NOSTRA INCORPORAZIONE A CRISTO.

737. Fummo col battesimo incorporati a Cristo (n. 143), onde
dobbiamo, partecipandone la vita, parteciparne pure le disposizioni.
Ora Gesu`, benche` impeccabile, prese sopra di se`, come capo d'un corpo
mistico, il peso e, per cosi` dire, la responsabilita` dei nostri
peccati, "posuit Dominus in eo iniquitatem omnium nostrum" 737-1.
Ecco perche` condusse vita penitente dal primo istante della sua
concezione sino al Calvario. Ben sapendo che il Padre non poteva
essere placato dagli olocausti dell'Antica Legge, offre se` stesso come
ostia per sostituir tutte le vittime; tutte le sue azioni saranno
immolate con la spada dell'ubbidienza, e dopo una lunga vita, che
altro non e` se non continuo martirio, muore sulla croce, vittima
dell'ubbidienza e dell'amore "factus obediens usque ad mortem, mortem
autem crucis". Ma vuole che i suoi membri, per essere mondati dai loro
peccati, s'uniscano al suo sacrifizio e siano vittime espiatrici
insieme con lui: "Per essere il Salvatore del genere umano, ne volle
essere la vittima. Ma l'unita` del suo corpo mistico richiede che,
essendosi immolato il capo, tutte le membra debbano pur essere ostie
viventi." 737-2. E` infatti evidente che se Gesu`, benche` innocente,
espio` i nostri peccati con cosi` rigorosa penitenza, noi, che siamo
colpevoli, dobbiamo associarci al suo sacrifizio con tanto maggior
generosita` quanto maggiori furono i nostri peccati.

738. Ad agevolarci questo dovere, Gesu` penitente viene a vivere in
noi per mezzo del divino suo Spirito con le sue disposizioni di
vittima.

"Cosi`, dice l'Olier 738-1, leggendo i salmi bisogna onorare in
David lo spirito di penitenza e ammirare con grande religione e
posatezza le disposizioni dello Spirito interiore di Gesu` Cristo,
fonte di penitenza, diffuso in questo Santo. Bisogna chiedere di
parteciparvi con umilta` di cuore, con insistenza, fervore e
perseveranza, ma soprattutto con l'umile fiducia che questo Spirito ci
sara` comunicato. Certo non sentiremo sempre l'azione di questo Spirito
divino, perche` opera spesso insensibilmente; ma se umilmente lo
chiediamo, lo riceviamo, e opera in noi per renderci conformi a Gesu`
penitente, farci detestare ed espiare con lui i nostri peccati. La
nostra penitenza e` allora assai piu` efficace, perche` partecipa della
virtu` stessa del Salvatore: non siamo piu` noi soli a riparare, e` Gesu`
che espia in noi e con noi. "Ogni penitenza esterna che non esce dallo
Spirito di Gesu` Cristo, dice l'Olier 738-2, non e` vera e reale
penitenza. Si possono esercitare su di se` rigori anche molto violenti;
ma se non emanano da Nostro Signore penitente in noi, non possono
essere penitenze cristiane. Solo per mezzo di lui si fa penitenza; ei
la comincio` quaggiu` sulla terra nella sua persona e la continua in
noi... animando l'anima nostra delle interne disposizioni
d'annientamento, di confusione, di dolore, di contrizione, di zelo
contro noi stessi e di fortezza per compir su di noi la pena e la
misura della soddisfazione che Dio Padre vuol ricevere da Gesu` Cristo
nella nostra carne". Questa unione con Gesu` penitente non ci dispensa
dunque dai sentimenti e dalle opere di penitenza ma vi da` un maggior
valore.
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19/10/2013 16:43
 
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3^ UN DOVERE DI CARITA`.

La penitenza e` un dovere di carita` verso di noi e verso il prossimo.

739. A) Verso di noi: il peccato infatti lascia nell'anima funeste
conseguenze, contro cui e` necessario reagire. a) Anche quando la colpa
o il fallo e` perdonato, ci resta generalmente da subire una pena piu` o
meno lunga secondo la gravita` e il numero dei peccati e secondo il
fervore della contrizione nel momento del nostro ritorno a Dio. Questa
pena dev'essere subi`ta in questo mondo o nell'altro. Ora e` assai piu`
utile espiarla in questa vita, perche`, quanto piu` prontamente e
perfettamente paghiamo questo debito, tanto piu` l'anima diviene atta
all'unione divina; d'altra parte piu` facile e` questa espiazione sulla
terra, perche` la vita presente e` tempo di misericordia; e` anche piu`
feconda, perche` gli atti sodisfattorii sono nello stesso tempo
meritorii (n. 209). Ama quindi l'anima propria chi fa pronta e
generosa penitenza.

b) Ma il peccato lascia pure in noi una deplorevole facilita` a
commettere nuove colpe, appunto perche` accresce in noi l'amore
disordinato del piacere. Ora nulla corregge meglio questo disordine
quanto la virtu` della penitenza; facendoci valorosamente tollerare le
pene che la Provvidenza ci manda, stimolando il nostro ardore per le
privazioni e le austerita` compatibili con la salute, essa smorza
gradatamente l'amor del piacere e ci fa paventare il peccato che esige
tali riparazioni; facendoci praticar atti di virtu` contrari alle
cattive nostre abitudini, ci aiuta a correggercene e ci da` maggior
sicurezza per l'avvernire 739-1. E` dunque atto di carita` verso se`
stesso il far penitenza.

740. B) E` pure atto di carita` verso il prossimo. a) In virtu` della
nostra incorporazione a Cristo, siamo tutti fratelli, tutti solidari
gli uni degli altri (n. 148). Potendo dunque le nostre opere
sodisfattorie essere utili agli altri, perche` la carita` non ci indurra`
a far penitenza non solo per noi ma anche per i fratelli? Non e` questo
il mezzo migliore d'ottenerne la conversione, o, se sono gia`
convertiti, la perseveranza? Non e` questo il miglior servizio che
possiamo loro prestare, servizio mille volte piu` utile di tutti i beni
temporali che potremmo lor dare? Non e` un corrispondere alla divina
volonta` che, avendoci adottati tutti per figli, ci chiede di amare il
prossimo come noi stessi e di espiarne le colpe come espiamo le
nostre?

741. b) Questo dovere di riparazione spetta piu` specialmente ai
sacerdoti: e` dovere del loro stato l'offrir vittime non solo per se
stessi ma anche per le anime di cui sono incaricati: "prius pro suis
delictis, deinde pro popoli" 741-1. Ma ci sono, fuori del
sacerdozio, anime generose che, cosi` nel chiostro come nel mondo, si
sentono attirate a offrirsi vittime per espiare i peccati altrui.
Vocazione nobilissima che le associa all'opera redentrice di Cristo, e
a cui e` bene animosamente corrispondere procurando di consultare un
savio direttore per fissar con lui le opere di riparazione a cui
dedicarsi 741-2.

742. Diremo terminando che lo spirito di penitenza non e` dovere
imposto soltanto agl'incipienti e per brevissimo tempo. Quando si e`
ben capito che cos'e` il peccato e quale offesa infinita infligge alla
maesta` divina, uno si crede obbligato a far penitenza per tutta la
vita, perche` la vita stessa e` troppo breve per riparare un'offesa
infinita. Non bisogna quindi stancarsi mai di far penitenza.

Questo punto e` cosi` importante che il P. Faber, dopo aver lungamente
riflettuto sulla causa per cui tante anime fanno cosi` poco progresso,
venne alla conclusione che questa causa sta "nella mancanza di
costante dolore eccitato dal ricordo del peccato" 742-1. Se ne ha
del resto la conferma negli esempi dei Santi, che non cessarono mai di
espiar le colpe, talora assai leggiere, commesse in passato. Anche la
condotta di Dio verso le anime che vuole innalzare alla contemplazione
lo dimostra assai bene. Faticato che hanno per lungo tempo a
purificarsi con gli esercizi attivi della penitenza, Dio, a dar
l'ultima mano alla loro purificazione, invia quelle prove passive che
descriviamo nella via unitiva. Infatti solo i cuori intieramente puri
o purificati possono giungere alle dolcezze dell'unione divina: "Beati
mundo corde quoniam ipsi Deum videbunt"!
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19/10/2013 16:43
 
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II. La pratica della penitenza.

A praticar la penitenza in modo piu` perfetto, conviene unirsi a Gesu`
penitente chiedendogli di vivere in noi col suo spirito di vittima
(n. 738); e poi associarsi ai suoi sentimenti e alle sue opere di
penitenza.

743. Questi sentimenti sono assai bene espressi nei salmi
specialmente nel Miserere.

a) Prima di tutto la memoria abituale e dolorosa dei propri peccati:
"peccatum meum contra me est semper" 743-1. Non conviene certi
riandarli distintamente nella mente potendosi con cio` turbar
l'immaginazione e cagionar nuove tentazioni. Bisogna ricordarsene in
generale e soprattutto nutrirne sentimenti di contrizione e
d'umiliazione.

Abbiamo offeso Dio alla sua presenza "et malum coram te
feci" 743-2, quel Dio che e` la santita` stessa e che odia
l'iniquita`, quel Dio che e` tutto amore e che noi abbiamo oltraggiato
profanandone i doni. Non ci resta che ricorrere alla sua misericordia
e implorarne il perdono, e bisogna farlo spesso: "Miserere mei, Deus,
secundum magnam misericordiam tuam" 743-3. Abbiamo, e` vero,
speranza d'essere stati perdonati; ma, bramosi di sempre piu` perfetta
mondezza, chiediamo umilmente a Dio di purificarci ognor piu` nel
sangue di suo Figlio: "amplius lava me ab iniquitate mea et a peccato
meo munda me" 743-4. Per unirci piu` intimamente a lui, vogliamo
che i nostri peccati siano distrutti, che non ne resti piu` traccia:
"omnes iniquitates meas dele"; desideriamo che la mente e il cuore
siamo rinnovati: "cor mundum crea in me, Deus, et spiritum rectum
innova in visceribus meis", che ci sia resa la gioia della buona
coscienza: "Redde mihi laetitiam salutaris tui" 743-5.

744. b) Questa dolorosa memoria e` accompagnata da un senso di
perpetua confusione: "operuit confusio faciem meam" 744-1.
Confusione che portiamo davanti a Dio, come Gesu` Cristo porto` davanti
al Padre l'onta` delle nostre offese, massimamente nell'orto
dell'agonia e sul Calvario. La portiamo davanti agli uomini,
vergognosi di vederci carichi di delitti nell'assemblea dei Santi. La
portiamo davanti a noi stessi, non potendoci soffrire ne` sopportare
nella nostra vergogna, ripetendo sinceramente col prodigo: "Padre, ho
peccato contro il cielo e contro di voi" 744-2; e col pubblicano:
"O Dio, abbi pieta` di me, peccatore" 744-3.

745. c) Ne nasce un salutare timor del peccato, un orrore profondo
per tutte le occasioni che vi ci possono condurre. Perche`, non ostante
la buona volonta`, restiamo esposti alla tentazione e alle ricadute.

Rimaniamo quindi sommamente diffidenti di noi stessi e dal fondo del
cuore ripetiamo la preghiera di S. Filippo Neri: O Signore, non vi
fidate di Filippo, che` altrimenti vi tradira`; aggiundendovi: "non ci
lasciate cadere nella tentazione: et ne nos inducas in tentationem".
Questa diffidenza ci fa prevedere le occasioni pericolose in cui
potremmo soccombere, i mezzi positivi per assicurar la nostra
perseveranza e ci rende vigilanti a schivar le minime imprudenze.
Evita pero` con ogni premura lo scoraggiamento: quanto maggior
coscienza abbiamo della nostra impotenza, tanto maggior fiducia
dobbiamo riporre in Dio, sicuri che per l'efficacia della sua grazia
riusciremo vittoriosi, soprattutto se a questi sentimenti uniamo le
opere di penitenza.
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19/10/2013 16:44
 
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III . Le opere di penitenza.

746. Queste opere, per quanto penose possano essere, ci parranno
facili, se abbiamo continuamente davanti agli occhi questo pensiero:
io sono uno scampato dall'inferno, uno scampato dal purgatorio, e,
senza la divina misericordia, sarei gia` la` a subirvi il castigo che ho
pur troppo meritato; nulla quindi di troppo umiliante, nulla di troppo
penoso per me.

Le principali opere di penitenza che dobbiano fare, sono:

747. 1^ L'accettazione, prima rassegnata poi cordiale e gioconda, di
tutte le croci che la Provvidenza vorra` mandarci. Il Concilio di
Trento ci insegna che e` gran segno di amore per noi il degnarsi Dio di
gradire come soddisfazione dei nostri peccati la pazienza con cui
accettiamo tutti i mali temporali, che egli ci infligge 747-1. Se
abbiamo dunque da soffrir prove fisiche o morali, per esempio le
intemperie delle stagioni, le strette della malattia, i rovesci di
fortuna, la mala riuscita, le umiliazioni; in cambio di amaramente
lamentarcene, come la natura vorrebbe, accettiamo tutti questi
patimenti con dolce rassegnazione, persuasi che pei nostri peccati li
meritiamo e che la pazienza in mezzo alle prove e` uno dei migliori
mezzi d'espiazione. Non sara` da principio che semplice rassegnazione,
ma poi, accorgendoci che i nostri dolori ne restano addolciti e
fecondi, riusciremo a poco a poco a sopportarli valorosamente e anche
giocondamente, lieti di poterci cosi` abbreviare il purgatorio, di
rassomigliar meglio al divin crocifisso, di glorificar Dio che abbiamo
oltraggiato. La pazienza produrra` allora tutti i suoi frutti e ci
purifichera` intieramente l'anima appunto perche` opera di amore:
"remittuntur ei peccata multa, quoniam dilexit multum" 747-2.

748. 2^ A questa pazienza aggiungeremo il fedele adempimento dei
doveri del nostro stato in spirito di penitenza e di riparazione. Il
sacrificio piu` gradito a Dio e` quello dell'ubbidienza "melior est
obedientia quam victimae" 748-1. Ora i doveri del nostro stato sono
per noi la chiara espressione della volonta` di Dio. L'adempierli il
piu` perfettamente possibile e` dunque un offrire a Dio il sacrificio
piu` perfetto, l'olocausto perpetuo, perche` questi doveri ci stringono
dalla mattina alla sera. Il che e` certamente vero per le persone che
vivono in comunita`: obbedendo fedelmente alla regola, generale o
particolare, adempiendo generosamente quanto viene prescritto o
consigliato dai superiori, moltiplicando gli atti di obbedienza, di
sacrificio e d'amore, e possono ripetere con San Giovanni Berchmans
che la vita comune e` per essi la migliore di tutte le penitenze: mea
maxima paenitentia vita communis. Ma e` anche vero per le persone del
mondo che vivono cristianamente; quante occasioni si presentano ai
padri e alle madri di famiglia che osservano tutti i doveri di sposi e
di educatori, di offrire a Dio numerosi ed austeri sacrifici che
servono grandemente a purificar le loro anime! Tutto sta
nell'adempiere questi doveri cristianamente, valorosamente, per Dio,
in ispirito di riparazione e di penitenza.

749. 3^ Vi sono pure altre opere specialmente raccomandate dalla
Sacra Scrittura, come il digiuno e l'elemosina.

A) Il digiuno era nell'antica Legge uno dei grandi mezzi di
espiazione; veniva indicato con l'espressione "affliggere la propria
anima"; 749-1 ma per ottenerne l'effetto doveva essere
accompagnato da sentimenti di compunzione e di misericordia 749-2.
Nella nuova Legge il digiuno e` pratica di duolo e di penitenza; quindi
gli Apostoli non digiunano finche` e` con loro lo Sposo, digiuneranno,
quando non vi sara` piu` 749-3. Nostro Signore, per espiare i nostri
peccati, digiuna quaranta giorni e quaranta notti, ed insegna agli
apostoli che certi demoni non possono essere cacciati che col digiuno
e colla preghiera 749-4. Fedele a questi insegnamenti, la Chiesa
istitui` il digiuno della Quaresima, delle Vigilie e delle Quattro
Tempora per dare ai fedeli occasione di espiare i peccati. Molti
peccati infatti provengono, direttamente o indirettamente, dalla
sensualita`, dagli eccessi del bere e del mangiare, onde nulla e` piu`
efficace a ripararli della privazione del nutrimento che va alla
radice del male mortificando l'amore dei sensuali diletti. Ecco perche`
i Santi lo praticarono con tanta frequenza anche fuori dei tempi
stabiliti dalla Chiesa; i cristiani generosi li imitano o almeno
s'accostano al digiuno propriamente detto, privandosi di qualche cosa
in ogni pasto, per domare cosi` la sensualita`.

750. B) L'elemosina poi e` opera di carita` e privazione: a questo
doppio titolo ha grande efficacia per espiare i peccati: "peccata
eleemosynis redime" 750-1. Quando uno si priva d'un bene per darlo
a Gesu` nella persona del povero, Dio non si lascia vincere in
generosita`, e ci rimette volentieri parte della pena dovuta ai nostri
peccati. Quanto piu` dunque si e` generosi, ognuno secondo le proprie
facolta`, e quanto pure e` piu` perfetta l'intenzione con cui si fa
l'elemosina, tanto piu` intiera e` la remissione che ci si concede dei
nostri debiti spirituali. Cio` che diciamo dell'elemosina corporale
s'applica a piu` forte ragione all'elemosina spirituale, che mira a far
del bene alle anime e quindi a glorificar Dio. E` quindi una delle
opere di penitenza che il Salmista promette di fare quando dice al
Signore che, per riparare il suo peccato, insegnera` ai peccatori le
vie del pentimento: "Docebo iniquos vias tuas et impii ad te
convertentur" 750-2.

4^ Restano finalmente le privazioni e le mortificazioni volontarie che
imponiamo a noi stessi in espiazione dei nostri peccati, quelle
specialmente che vanno alla sorgente del male, castigando e
disciplinando le facolta` che contribuirono a farceli commettere. Le
esporremo trattando della mortificazione.
_________________________________________________________________

705-1 S. Tommaso, III, q. 85; Suarez, De penitentia, disp. I e
VII; Billuart, De poen., disp. II; Ad. Tanquerey, Synopsis theol.
moralis, t. I, n. 3-14; Bossuet, Sermone sulla necessita` della
penitenza, edizione Lebarcq, 1897, t. IV. 596. t. V. 419; Bourdaloue,
Quaresimale; per il lunedi` della seconda settimana; Newman, disc. to
mixed congregations, Neglect of divine calls; Faber, Progressi, c.
XIX.

705-2 Matth., III, 2.

705-3 Luc., V, 32.

705-4 Luc., XIII, 5.

705-5 Act., II, 38.

707-1 S. Tommaso Ia. IIae, q. 71-73; q. 85-89; Suarez, De peccatis,
disp. I-III; disp. VII, VIII; Philip. a S. Trinitate, Sum. theol.
mysticae, P. I, tr. II, disc. I; Anton. a Spiritu S., Directorium
mysticum, disp. I, sez. III; T. Da Vallgornera, Mystica theol.,
q. II, disp. I, art. III-IV; Alvarez de Paz, T. II, P. I, De
abjectione peccatorum; Bourdaloue, Quaresimale, mercoledi` della 5a.
sett., sullo stato di peccato e sullo stato di grazia; Tronson, Ex.
particuliers, CLXX-CLXXX; Manning, Il peccato e le sue conseguenze;
Mgr d'Hulst, Quaresimale del 1892 e Ritiro (Marietti, Torino);
P. Janvier, Quaresimale 1907, Ia. Confer.; Quaresimale 1908 per intiero
(Marietti, Torino).

707-2 Svolgiamo questi motivi un poco a lungo perche` i lettori
possano meditarli; concepito un vivo orrore del peccato, il progresso
e` assicurato.

710-1 S. Ignazio, Eserc. Spir., Ia. Sett., Io. Esercizio; e i suoi
numerosi commentatori.

714-1 Gen., II, 17; III, 11-19.

714-2 Jerem., II, 4, 8.

714-3 Isa., I, 2.

714-4 Jerem., III, 1.

714-5 Joan., III, 4.

716-1 E` il pensiero che S. Ignazio svolge nella meditazione
fondamentale, a principio degli Esercizi Spirituali, commentando
queste parole: "Creatus est homo ad hunc finem ut Dominum Deum suum
laudet et revereatur, eique serviens tandem salvus fiat".

716-2 Jer., II, 13.

718-1 I Petr., II, 21.

718-2 Apoc., I, 5.

718-3 Joan., XVIII, 40; XIX, 6.

718-4 Cate'ch. chre'tien, P. I, lez. II.

720-1 Joan., VIII, 54; cfr. II Petr., II, 19.

722-1 Sap., XI, 17.

724-1 Vita devota, l. I, c. XXII.

725-1 S. Fr. di Sales, Vita devota; P. III, c. IX.

727-1 Cammino della perfezione, c. XLI.

728-1 Matth., XXII, 37.

732-1 Matth., XIII, 12.

733-1 La doctrine spirituelle, III^ Principio, c. II, a. I, sez. 3.

734-1 Non parliamo dei castighi temporali con cui Dio punisce il
peccato: la S. Scrittura vi ritorna spesso, specialmente nell'Antico
Testamento. Quando pero` si tratta di determinare se questa o quella
pena e` castigo del peccato veniale, bisogna contentarsi spesso di
congetture. Non conviene quindi insistere su questo come fanno certi
autori spirituali che attribuiscono a colpe veniali castighi
terribili; cosi` la moglie di Loth viene cangiata in una statua di sale
per una colpa di curiosita`, ed Oza e` colpito di morte per aver toccato
l'arca.

734-2 "L'anima, questo vedendo, se trovasse un altro purgatorio
sopra quello, per potersi levar piu` presto tanto impedimento, presto
vi si getterebbe dentro, per l'impeto di quell'amore conforme tra Dio
e l'anima". (S. Caterina da Genova, Purgatorio, c. IX).

735-1 Opera citata, c. VIII.

735-2 Op. cit., c. XII. -- Bisogna leggere tutto questo piccolo
trattato sul Purgatorio; F. Trucco, Il purgatorio e la vita delle
anime purganti secondo S. Caterina da Genova, Sarzana, 1915.

736-1 Primo Panegirico di S. Francesco da Paola.

737-1 Isai., LIII, 6.

737-2 Bossuet, Sermone 1^ per la Purificazione, ed. Lebarq. t.
IV, p. 52.

738-1 Introd., c. VII.

738-2 Op. cit., c. VII; IIa. sezione.

739-1 E` appunto cio` che insegna il Concilio di Trento (sess. XIV,
c. 8): "Procul dubio enim magnopere a peccato revocant, et quasi freno
quodam coercent hae satisfactoriae poenae, cautioresque et vigilantiores
in futurum poenitentes efficiunt: medentur quoque peccatorum
reliquiis, et vitiosos habitus, male vivendo comparatos, contrariis
virtutum actionibus tollunt".

741-1 Hebr., VII, 27.

741-2 P. Plus, L'idea riparatrice (Marietti, Torino), l. III;
L. Capelle, Les a^mes ge'ne'reuses.

742-1 E` cio` che lungamente dimostra nel Progressi dell'anima, c.
XIX, ed aggiunge: "Come ogni culto va in rovina se non ha per base i
sentimenti della creatura pel suo creatore... come le penitenze non
riescono a nulla se non fatte in unione con Gesu` Cristo...cosi` la
santita` perde il principio del suo progresso quando e` separata dal
costante dolore d'aver peccato. Infatti il principio del progresso non
e` soltanto l'amore ma l'amore nato dal perdono".

743-1 Ps. L, 5.

743-2 Ps. L, 6.

743-3 Ps. L, 3.

743-4 Ps. L, 4.

743-5 Ps. L, 10-14.

744-1 Ps. LXVIII, 8.

744-2 Luc., XV, 18.

744-3 Luc. XVIII, 13.

747-1 "Sed etiam (quod maximum amoris argumentum est)
temporalibus flagellis a Deo inflictis et a nobis patienter toleratis
apud Deum Patrem per Christum Jesum satisfacere valeamus". (Sess. XIV,
c. 9, Denzing., 906.)

747-2 Matth., IX, 2.

748-1 I Reg., XV, 22.

749-1 Lev., XVI, 29, 31; XXIII, 27, 32.

749-2 Isa., LVIII, 3-7.

749-3 Matth., IX, 14-15.

749-4 Matth., XVII, 20.

750-1 Dan., IV, 24.

750-2 Ps. L, 15.
_________________________________________________________________

Quest'edizione digitale preparata da Martin Guy .
Ultima revisione: 14 febbraio 2006.
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PARTE SECONDA
Le Tre Vie

LIBRO I
La purificazione dell'anima
o la via purgativa
_________________________________________________________________

CAPITOLO III.

La Mortificazione 751-1.

751. La mortificazione contribuisce, come la penitenza, a
purificarci delle colpe passate; ma il principale suo scopo e` di
premunirci contro quelle del presente e dell'avvenire, diminuendo
l'amor del piacere, fonte dei nostri peccati. Ne spiegheremo dunque la
natura, la necessita` e la pratica.
* Natura
+ I diversi nomi.
+ La definizione.
* Necessita`
+ per la salute.
+ per la perfezione.
* Pratica
+ Principi generali.
+ Mortificazione dei sensi esterni.
+ Mortificazione dei sensi interni.
+ Mortificazione delle passioni.
+ Mortificazione delle facolta` superiori.

ART. I. NATURA DELLA MORTIFICAZIONE.

Spiegati che avremo i termini biblici e i moderni con cui si
denomina la mortificazione, ne daremo la definizione.

752. I. Espressioni bibliche per indicare la mortificazione. Sette
principali espressioni troviamo nei Libri Sacri per indicare la
mortificazione sotto i vari suoi aspetti.

1^ Il vocabolo rinunzia, "qui non renuntiat omnibus quae possidet non
potest meus esse disciplus" 752-1, ci presenta la mortificazione
come atto di distacco dai beni esterni per seguir Cristo, come fecero
gli Apostoli: "relictis omnibus, secuti sunt eum" 752-2.

2^ E` pure abnegazione o rinunzia a se` stesso: "si quis vult post me
venire, abnegat semetipsum" 752-3...; infatti il piu` terribile dei
nostri nemici e` il disordinato amor di noi stessi; ecco perche` e`
necessario distaccarsi da se` stessi.

3^ Ma la mortificazione ha pure un lato positivo: e` un atto che
ferisce e distrugge le male tendenze della nature: "Mortificate ergo
membra vestra 752-4... Si autem spiritu facta carnis
mortificaveritis, vivetis" 752-5...

4^ Anzi e` una crocifissione della carne e delle sue cupidigie, onde
inchiodiamo, a cosi` dire, le nostre facolta` alla legge evangelica,
applicandole alla preghiera e al lavoro: "Qui... sunt Christi, carnem
suam crucifixerunt cum vitiis et concupiscentiis" 752-6.

5^ Questa crocifissione, quando e` costante, produce una specie di
morte e di seppellimento, che ci fa come intieramente morire a noi
stessi e seppellirci con Gesu` Cristo a fine di vivere con lui di vita
novella: "Mortui enim estis vos et vita vestra est abscondita cum
Cristo in Deo 752-7... Consepulti enim sumus cum illo per
baptismum in mortem 752-8...

6^ A indicare questa morte spirituale S. Paolo adopera pure un'altra
espressione; poiche`, dopo il battesimo, vi sono in noi due uomini,
l'uomo vecchio che rimane, o la triplice concupiscenza, e l'uomo nuovo
o l'uomo rigenerato, egli dichiara che dobbiamo spogliarci dell'uomo
vecchio per rivestirci del nuovo: "expoliantes vos veterem hominem...
et induentes novum" 752-9.

7^ Non potendo questo farsi senza combattere, Paolo afferma che la
vita e` una lotta "bonum certamen certavi" 752-10; e che i
cristiani sono lottatori o atleti, che castigano il corpo e lo
riducono in schiavitu`.

Da tutte queste espressioni e da altre simili risulta che la
mortificazione inchiude [sic] un doppio elemento: uno negativo, il
distacco, la rinunzia, lo spogliamento; l'altro positivo, la lotta
contro le cattive tendenze, lo sforzo per mortificare o svigorirle, la
crocifissione e la morte: crocifissione della carne, dell'uomo vecchio
e delle sue cupidigie, per vivere della vita di Cristo.

753. II. Espressioni moderne. Oggi si preferiscono espressioni
addolcite, che indicano lo scopo da conseguire anziche` lo sforzo da
sostenere. Si dice che bisogna riformar se` stesso, governar se` stesso,
educar la volonta`, orientar l'anima verso Dio. Sono espressioni
giuste, purche` si sappia far rilevare che non si puo` riformare e
governar se` stessi se non combattendo e mortificando le male tendenze
che sono in noi; che non si educa la volonta` se non domando e
disciplinando le facolta` inferiori, e che non si puo` orientarsi verso
Dio se non distaccandosi dalle creature e spogliandosi dei vizi.
Bisogna insomma saper riunire, come fa la S. Scrittura, i due aspetti
della mortificazione, mostrare lo scopo per consolare ma non
dissimulare lo sforzo necessario per conseguirlo.

754. III. Definizione. Si puo` definire la mortificazione: la lotta
contro le inclinazioni cattive per sottometterle alla volonta` e questa
a Dio. Piu` che un'unica virtu` e` un complesso di virtu`, e` il primo
grado di tutte le virtu` che consiste nel superar gli ostacoli a fine
di ristabilir l'equilibrio delle facolta` e il loro ordine gerarchici.
Onde si vede meglio che la mortificazione non e` uno scopo ma un mezzo:
uno non si mortifica che per vivere una vita superiore; non si spoglia
dei beni esterni che per meglio possedere i beni spirituali; non
rinunzia a se` stesso che per posseder Dio; non lotta che per
comquistar la pace; non muore a se` stesso che per vivere della vita di
Cristo e della vita di Dio: l'unione con Dio e` dunque lo scopo della
mortificazione. Onde meglio se ne capisce la necessita`.

ART. II. NECESSITA` DELLA MORTIFICAZIONE.

Questa necessita` puo` essere studiata sotto doppio rispetto, rispetto
all'eterna salute e rispetto alla perfezione.

I. Necessita` della mortificazione per l'eterna saluta.

Vi sono mortificazioni necessarie all'eterna salute, nel senso che, se
non si fanno, si e` esposti a cadere in peccato mortale.

755. 1^ Nostro Signore ne parla in modo assai chiaro a proposito dei
peccati contro la castita`: "Chiunque guarda una donna con
concupiscenza, ad concupiscendam eam, ha gia` commesso adulterio con
lei nel suo cuore" 755-1. Vi sono dunque sguardi gravemente
colpevoli, quelli che procedono da cattivi desideri; e la
mortificazione di questi sguardi e` necessaria sotto pena di peccato
mortale. Ma lo dice poi chiaro Nostro Signore con quelle energiche
parole: "Se il tuo occhio destro ti e` occasione di caduta, cavatelo e
gettalo via, perche` e` meglio per te che un solo dei tuoi membri
perisca, anziche` l'intiero tuo corpo venga gettato
nell'inferno" 755-2. Non si tratta qui di strapparsi materialmente
gli occhi ma di allontanar lo sguardo dalla vista di quegli oggetti
che ci sono motivo di scandalo. -- S. Paolo da` la ragione di queste
gravi prescrizioni: "Se vivrete secondo la carne, morrete; se poi, per
mezzo dello spirito, darete morte alle azioni della carne, vivrete: si
enim secundum carnem vixeritis, moriemini; si autem spiritu facta
carnis mortificaveritis, vivetis" 755-3.

Come infatti gia` dicemmo al numero 193-227, la triplice
concupiscenza che alberga in noi, aizzata dal mondo e dal demonio, ci
porta sovente al male e mette in pericolo la nostra eterna salute se
non badiamo a mortificarla. Onde nasce l'assoluta necessita` di
incessamente combattere le cattive tendenza che sono in noi; di fuggir
le occasioni prossime di peccato, cioe` quegli oggetti o quelle persone
che, attesa la passata nostra esperienza, costituiscono per noi serio
e probabile pericolo di peccato; e quindi pure di rinunziare a molti
piaceri a cui ci trae la nostra natura 755-4. Vi sono dunque
mortificazioni necessarie, senza le quali si cadrebbe in peccato
mortale.

756. 2^ Ve ne sono altre che la Chiesa prescrive per determinar
l'obbligo generale di mortificarsi cosi` spesso ricordato dal Vangelo:
tal e` l'astinenza dal grasso nel venerdi`, il digiuno della Quaresima,
delle Quattro Tempora e delle vigilie. Sono leggi che obbligano sotto
pena di colpa grave coloro che non ne sono legittimamente dispensati.
Qui pero` vogliamo fare un'osservazione che ha la sua importanza: vi
sono persone che, per buone ragioni, sono dispensate da queste leggi;
ma non sono per questo dispensate dalla legge generale della
mortificazione e devono quindi praticarla sotto altra forma;
altrimenti non tarderanno a risentir le ribellioni della carne.

757. 3^ Oltre queste mortificazioni prescritte dalla legge divina e
dalla legge ecclesiastica, ce ne sono altre che ognuno deve imporsi,
col consiglio del direttore, in certe circostanze particolari, quando
premono maggiormente le tentazioni; si possono scegliere tra quelle
che verremo indicando. (n. 769 ss.).
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II. Necessita` della mortificazione per la perfezione.

758. Questa necessita` deriva da cio` che abbiamo detto sulla natura
della perfezione, la quale consiste nell'amor di Dio spinto fino al
sacrificio e all'immolazione di se`, n. 321-327, tanto che, secondo
l'Imitazione, la misura del progresso spirituale dipende dalla misura
della violenza che uno si fa: tantum proficies, quantum tibi ipsi vim
intuleris 758-1. Bastera` quindi richiamar brevemente alcuni motivi
che possano muovere la volonta` ed aiutarla a praticar questo dovere;
si desumono da parte di Dio, di Gesu` Cristo, della nostra
santificazione 758-2.

1^ DA PARTE DI DIO.

759. A) Il fine della mortificazione, come fu detto, e` di unirci a
Dio; cosa che non possiamo fare senza distaccarci dall'amore
disordinato delle creature.

Come giustamente dice S. Giovanni della Croce 759-1, "l'anima
attaccata alla creatura le diviene simile, quanto piu` cresce l'affetto
tanto piu` l'identita` si manifesta, perche` l'amore rende pari l'amante
e l'amato. Chi dunque ama una creatura, s'abbassa al suo livello, anzi
di sotto, perche` l'amore non si contenta della parita` ma rende anche
schiavi. E` questa la ragione per cui un'anima, schiava d'un oggetto
fuori di Dio, diviene incapace di unione pura e di trasformazione in
Dio, perche` la bassezza della creatura e` piu` distante dalla grandezza
del Creatore che non le tenebre dalla luce". Ora l'anima che non si
mortifica, s'attacca presto in modo disordinato alle creature, perche`,
dopo il peccato originale, si sente attirata verso di loro, cattivata
dal loro fascino, e, in cambio di servirsene come di scalini per
salire al Creatore, vi si diletta e le considera come fine. A rompere
quest'incanto, a schivar questa stretta, e` assolutamente necessario
distaccarsi da tutto cio` che non e` Dio, o almeno da tutto cio` che non
e` considerato come mezzo per andare a Lui. Ecco perche`
l'Olier 759-2, paragonando la condizione dei cristiani a quella di
Adamo innocente, dice che vi e` grande differenza tra le due: Adamo
cercava Dio, lo serviva e l'adorava nelle creature; i cristiani invece
sono obbligati a cercar Dio con la fede, a servirlo e adorarlo
ritirato in se` stesso e nella sua santita`, separato da ogni creatura.
In questo consiste la grazia del battesimo.

760. B) Nel giorno del battesimo si stipulo` tra Dio e noi un vero
contratto. a) Dio, da parte sua, ci mondo` dalla macchia originale e ci
adotto per figli, ci comunico` una partecipazione della sua vita,
obbligandosi a darci tutte le grazie necessarie per conservarla e
accrescerla; sappiamo con quanta liberalita` mantenne le sue promesse.
b) Da parte nostra, ci obbligammo a vivere da veri figli di Dio, ad
avvicinarci alla perfezione del Padre celeste coltivando questa vita
soprannaturale. Ora questo non possiamo fare se non in quanto
pratichiamo la mortificazione. Perche`, da un lato lo Spirito Santo,
datoci nel Battesimo, "ci porta all'umilta`, alla poverta`, ai
patimenti; e dall'altro la carne brama gli onori, i piaceri, le
ricchezze" 760-1. Vi e` quindi in noi conflitto e lotta incessante;
e non possiamo esser fedeli a Dio che rinunziando all'amore
disordinato degli onori, dei piaceri e delle ricchezze. Ecco perche` il
sacerdote, battezzandoci, ci segna addosso due croci, una sul cuore,
per imprimerci l'amor della Croce, e l'altra sulle spalle, per darci
la forza di portarla. Mancheremmo quindi alle promesse del battesimo
se non portassimo la croce, combattendo il desiderio dell'onore con
l'umilta`, l'amor del piacere con la mortificazione, e la sete delle
ricchezze con la poverta`.

2^ DA PARTE DI GESU` CRISTO.

761. A) Col battesimo veniamo incorporati a Gesu`, onde dobbiamo da
lui ricevere il movimento e le ispirazioni e quindi conformarci a lui.
Ora l'intiera sua vita, come dice l'Imitazione, non fu che un lungo
martirio: "Tota vita Christi crux fuit et martyrium" 761-1. Non
puo` dunque la nostra essere vita di piaceri e d'onori, ma dev'essere
vita mortificata. Ce lo dice del resto chiaramente il divino nostro
Capo: "Si quis vult post me venire, abneget semetipsum et tollat
crucem suam quotidie et sequatur me" 761-2. Se vi e` chi debba
seguir Gesu` e` certo colui che tende alla perfezione. Ora come seguir
Gesu`, che fin dal suo ingresso nel mondo abbraccio` la croce, che tutta
la vita sospiro` patimenti e umiliazioni, che sposo` la poverta` nel
Presepio e l'ebbe compagna fin sul Calvario, se si amano i piaceri,
gli onori, le ricchezze, se non si porta quotidianamente la croce,
quella che Dio stesso ci scelse e c'invio`? E` una vergogna, dice
S. Bernardo, che sotto un capo coronato di spine siamo membri
delicati, atterriti ai piu` piccoli patimenti: "pudeat sub spinato
capite membrum fieri delicatum" 761-3. Per conformarci a Gesu`
Cristo e avvicinarne la perfezione, e` dunque necessario che portiamo
la croce come lui.

762. B) Se aspiriamo all'apostolato, troviamo in cio` un nuovo motivo
per crocifiggere la carne. Colla croce Gesu` salvo` il mondo; colla
croce quindi lavoreremo con lui alla salute dei fratelli, e il nostro
zelo sara` tanto piu` fecondo quanto piu` parteciperemo ai patimenti del
Salvatore. Ecco il motivo che animava S. Paolo, quando dava nella sua
carne compimento alla passione del Maestro, a fine di ottenere grazie
per la Chiesa 762-1; ecco cio` che resse nel passato e regge ancora
al presente tante anime che consentono ad essere vittime perche` Dio
sia glorificato e le anime salvate. Il patire e` duro, ma quando si
contempla Gesu` che ci va innanzi portando la croce per la salute
nostra e per quella dei nostri fratelli, quando se ne contempla
l'agonia, l'ingiusta condanna, la flagellazione, l'incoronazione di
spine, la crocifissione, quando s'odono gli scherni, gli insulti, le
calunnie che accetta tacendo, come osar lamentarsi? Non siamo ancor
giunti allo spargimento del sangue: "nondum usque ad sanguinem
restitistis". E se stimiamo secondo il giusto loro valore l'anima
nostra e quella dei nostri fratelli, non mette forse conto di tollerar
qualche passeggiero patimento per una gloria che non finira` mai e per
cooperare con Nostro Signore alla salute di quelle anime per cui verso`
il sangue fino all'ultima goccia?

Questi motivi, per alti che siano, sono ben compresi da certe anime
generose, anche fin dal principio della loro conversione; e il
proporli serve a farle progredire nell'opera di purificazione e di
santificazione.
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3^ DA PARTE DELLA NOSTRA SANTIFICAZONE.

763. A) Abbiamo bisogno d'assicurarci la perseveranza; e la
mortificazione e` uno dei mezzi migliori per preservarsi dal peccato.
Cio` che ci fa soccombere alla tentazione e` l'amor del piacere o
l'orror del patire e della lotta, horror difficultatis, labor
certaminis. Ora la mortificazione combatte questa doppia tendenza, che
in fondo e` una sola; col privarci di alcuni leciti piaceri ci arma la
volonta` contro i piaceri illeciti e ci rende piu` facile la vittoria
sulla sensualita` e sull'amor proprio, "agendo contra sensualitatem et
amorem proprium", come giustamente dice S. Ignazio. Se invece cediamo
sempre davanti al piacere, prendendoci tutti i leciti diletti, come
sapremo poi resistere nel momento in cui la sensualita`, avida di nuovi
godimenti, pericolosi o anche illeciti, si sente come trascinata
dall'abitudine di cedere sempre alle sue esigenze? Il pendi`o e` cosi`
sdrucciolevole che, soprattutto in materia di sensualita`, e` facile
traboccar nell'abisso, trattivi da una specie di vertigine. E anche
quando si tratta della superbia, il pendi`o e` piu` ripido di quel che si
creda: si mentisce in materia leggiera per scusarsi, per schivare
un'umiliazione; e poi, al sacro tribunale della penitenza, si corre
rischio di mancar di sincerita` per la vergogna di un'accusa umiliante.
La nostra sicurezza richiede dunque la lotta contro l'amor proprio
come contro la sensualita` e la cupidigia.

764. B) Ma non basta schivare il peccato; bisogna anche progredire
nella perfezione. Ora, qual e` anche qui il grande ostacolo se non
l'amor del piacere e l'orror della croce? Quanti desidererebbero esser
migliori e tendere alla santita` se non paventassero lo sforzo
necessario a progredire e le prove che Dio manda ai migliori suoi
amici! Bisogna dunque richiamar loro cio` che S. Paolo ripeteva spesso
ai primi cristiani, cioe` che la vita e` una lotta, che dobbiamo
arrossire d'esser meno coraggiosi di coloro che lottano per una
ricompensa terrena, i quali, per prepararsi alla vittoria, si privano
di molti piaceri permessi e assumono rudi e laboriosi esercizi, tutti
per una corona peritura, mentre la corona promessa a noi e` corona
immortale, "et illi quidem ut corruptibilem coronam accipiant, nos
autem incorruptam" 764-1. Abbiamo paura del patire; ma non
pensiamo alle pene terribili del purgatorio (n. 734) che dovremo
subire per lunghi anni se vogliamo vivere nell'immortificazione e
prenderci tutti i piaceri che ci allettano? Quanto piu` prudenti sono i
mondani! Molti si sobbarcano a rudi fatiche e talora a forti
umiliazioni per guadagnare un poco di danaro e assicurarsi poi un
onorevole riposo; e noi ricuseremmo di sottoporci a qualche
mortificazione per assicurarci l'eterno riposo nella citta` del cielo?
E` ragionevole questo?

Bisogna dunque persuaderci che non si da` perfezione, non si da` virtu`
senza la mortificazione. Come esser casti senza mortificare quella
sensualita` che ci inclina cosi` fortemente ai pericolosi e cattivi
diletti? Come esser temperanti se non reprimendo la golosita`? Come
praticar la poverta` e anche la giustizia se non si combatte la
cupidigia? Come esser umili, dolci e caritatevoli, senza padroneggiare
quelle passioni di superbia, di ira, di invidia, di gelosia che
sonnecchiano in fondo al cuore umano? Nello stato di natura decaduta
non c'e` virtu` che possa praticarsi a lungo senza sforzo, senza lotta,
e quindi senza mortificazione. Si puo` dunque dire col Tronson che,
"come l'immortificazione e` l'origine dei vizi e la causa di tutti i
nostri mali, cosi` la mortificazione e` il fondamento delle virtu` e la
fonte di tutti i nostri beni" 764-2.

765. C) Si puo` anche aggiungere che la mortificazione, non ostante
le privazioni e i patimenti che impone, e`, anche sulla terra, fonte
dei piu` grandi beni, e che i cristiani mortificati sono poi in
complesso piu` felici dei mondani che si abbandonarono a tutti i
piaceri. Lo insegna Nostro Signore stesso quando dice che chi lascia
tutto per seguirlo avra` in ricambio il centuplo anche in questa vita:
"Qui reliquerit domum vel fratres... centuplum accipiet, et vitam
aeternam possidebit" 765-1. Ne` altro linguaggio tiene S. Paolo
quando, dopo aver parlato della modestia, vale a dire della
moderazione in tutte le cose, aggiunge che chi la pratica gode di
quella pace vera che supera ogni consolazione: "pax Dei quae exsuperat
omnem sensum custodiat corda vestra et intelligentias vestras". E non
ne e` egli stesso un vivo esempio? Paolo ebbe certamente da patir
molto; e a lungo descrive le prove terribili che dovette soffrire
nella predicazione del Vangelo e nella lotta contro se` stesso; ma
soggiunge che in mezzo alle tribolazioni abbonda e sovrabbonda di
gaudio: "superabundo gaudio in omni tribulatione nostra" 765-2.

E` cosi` di tutti i Santi: dovettero anch'essi subir lunghe e dolorose
tribolazioni; ma i martiri, fra le torture, dicevano di non essersi
mai trovati a un simile festino, "nunquam tam jucunde epulati sumus";
leggendo le vite dei Santi, due cose ci colpiscono: le prove terribili
che subirono e le mortificazioni che liberamente s'imposero; e d'altra
parte la loro serenita` in mezzo a questi patimenti. Giungono al punto
di amar la croce, di non piu` paventarla, di sospirarla anzi, di
considerar perduti i giorni in cui non ebbero nulla da soffrire.
Fenomeno psicologico che fa stupire i mondani ma che consola le anime
di buona volonta`. Non si puo` certamente pretendere dagl'incipienti
quest'amor della Croce; ma si puo` far loro capire, citando l'esempio
dei Santi, che l'amor di Dio e delle anime allevia notevolmente il
dolore e la mortificazione, e che, se consentono ad entrar
generosamente nella pratica dei piccoli sacrifici che sono alla loro
portata, anch'essi giungeranno un giorno ad amare e desiderare la
croce e a trovarvi vere consolazioni spirituali.

766. E` cio` che nota l'autore dell'Imitazione, in un testo che
compendia molto bene i vantaggi della mortificazione 766-1: "In
cruce salus, in cruce vita, in cruce protectio ab hostibus, in cruce
infusio supernae suavitatis, in cruce robur mentis, in cruce gaudium
spiritu^s, in cruce virtutis summa, in cruce perfectio sanctitatis.
Infatti l'amor della croce e` l'amor di Dio spinto fino
all'immolazione; ora, come abbiamo detto, quest'amore e` il compendio
di tutte le virtu`, l'essenza stessa della perfezione, e quindi il piu`
potente usbergo contro i nemici spirituali, una fonte di forza e di
consolazione, il miglior mezzo d'accrescere in noi la vita spirituale
e di assicurarci l'eterna salute.
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ART. III. PRATICA DELLA MORTIFICAZIONE.

767. Principii. 1^ La mortificazione deve abbracciare l'uomo
intiero, corpo ed anima; perche` appunto l'uomo intiero, ove non sia
ben disciplinato, e` occasione di peccato. Chi pecca, propriamente
parlando, e` la sola volonta`; questo e` vero, ma la volonta` ha per
complici e strumenti il corpo coi sensi esterni e l'anima con tutte le
sue facolta`; onde tutto l'uomo dev'essere disciplinato e mortificato.

768. 2^ La mortificazione prende di mira il piacere. Il piacere in
se` non e` propriamente un male; e` anzi un bene quando e` subordinato al
fine per cui Dio l'ha istituito. Dio volle annettere un certo diletto
all'adempimento del dovere a fine di agevolarne la pratica; ond'e` che
proviamo un certo diletto nel mangiare e nel bere, nel lavoro e in
altri simili doveri. Quindi, nell'intenzione divina, il piacere non e`
un fine ma un mezzo. Gustar dunque il piacere per meglio adempiere il
dovere non e` cosa proibita: e` l'ordine stabilito da Dio. Ma volere il
piacere per se stesso, come fine, senza alcuna relazione al dovere, e`
per lo meno cosa pericolosa, perche` uno si espone a scivolare dai
diletti permessi ai diletti peccaminosi; gustare il piacere escludendo
il dovere e` peccato piu` o meno grave, perche` e` in violazione
dell'ordine voluto da Dio. Onde la mortificazione consistera` nel
privarsi dei piaceri cattivi, contrari all'ordine della Provvidenza o
alla legge di Dio o della Chiesa; nel rinunziar pure ai piaceri
pericolosi per non esporsi al peccato; e perfino nell'astenersi da
alcuni piaceri leciti per render piu` sicuro l'impero della volonta`
sulla sensibilita`. Allo stesso fine uno non solo si privera` di alcuni
piaceri ma si infliggera` pure alcune mortificazioni positive; perche`
l'esperienza insegna che nulla e` piu` efficace ad attutire
l'inclinazione al piacere quanto l'imporsi qualche lavoro o qualche
patimento di supererogazione.

769. 3^ Ma la mortificazione deve praticarsi con prudenza o
discrezione: onde vuol essere proporzionata alle forze fisiche e
morali di ciascuno e all'adempimento dei doveri del proprio stato:
1) Bisogna aversi riguardo alle forze fisiche; perche`, secondo San
Francesco di Sales, "siamo esposti a grandi tentazioni in due casi,
quando il corpo e` troppo nutrito e quando e` troppo estenuato".
Nell'ultimo caso infatti si cade facilmente nella nevrastenia, che
obbliga poi a pericolosi riguardi. 2) Bisogna aversi pur riguardo alle
forze morali, non imponendosi a principio privazioni eccessive che non
si potranno continuare a lungo e che nel lasciarle possono poi
condurre al rilassamento. 3) Cio` che soprattutto importa e` che queste
mortificazioni, s'accordino coi doveri del proprio stato, perche`,
essendo essi obbligatorii, debbono andare avanti alle pratiche di
supererogazione. Cosi` sarebbe male per una madre di famiglia praticare
austerita` che le impedissero di adempiere i doveri versi il marito e
verso i figli.

770. Vi e` poi tra le mortificazioni un ordine gerarchico: le interne
valgono certamente piu` delle esterne, perche` prendono piu` direttamente
di mira la radice del male. Ma non bisogna dimenticare che queste
agevolano molto la pratica di quelle; chi, per esempio, volesse
disciplinare la fantasia senza mortificare gli occhi, non ci
riuscirebbe gran fatto, appunto perche` gli occhi forniscono alla
fantasia le immagini sensibili di cui si pasce. Fu errore dei
modernisti il beffarsi delle austerita` dei secoli cristiani. Infatti i
Santi di tutti i tempi, quelli beatificati ultimamente come i
precedenti, castigarono duramente il corpo e i sensi esterni, convinti
che, nello stato di natura decaduta, per appartenere intieramente a
Dio, l'intiero uomo dev'essere mortificato.

Verremo dunque percorrendo una dopo l'altra le varie specie di
mortificazione, cominciando dalle esterne per arrivare alle piu`
interne; tal e` l'ordine logico; in pratica pero` bisogna saper usare
nello stesso tempo, in prudente maniera, le une e le altre.
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19/10/2013 18:07
 
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sez. I. Della mortificazione del corpo e dei sensi esterni.

771. 1^ La sua ragione. a) Nostro Signore aveva raccomandato ai
discepoli la pratica moderata del digiuno e dell'astinenza, la
mortificazione della vista e del tatto. S. Paolo era tanto convinto
della necessita` di domare il corpo, che severamente lo castigava per
schivare il peccato e la dannazione: "Castigo corpus meum et in
servitutem redigo, ne forte cum aliis praedicaverim, ipse reprobus
efficiar". La Chiesa penso` anch'essa a prescrivere ai fedeli alcuni
giorni di digiuno e d'astinenza.

b) Qual ne e` la ragione? Certo il corpo, ben disciplinato, e` servo
utile e anche necessario, alle cui forze bisogna aver riguardo per
poterle mettere a servizio dell'anima. Ma, nello stato di natura
decaduta, il corpo cerca i sensuali diletti senza darsi pensiero del
lecito o dell'illecito; ha anzi un'inclinazione speciale per i piaceri
illeciti e si rivolta talora contro le superiori facolta` che glie li
vogliono interdire. E` nemico tanto piu` pericoloso in quanto che ci
accompagna dovunque, a tavola, a letto, a passeggio, e incontra spesso
complici pronti ad aizzarne la sensualita` e la volutta`. I sensi,
infatti, sono come tante porte aperte per cui furtivamente s'insinua
il sottile veleno dei proibiti diletti. E` dunque assolutamente
necessario vigilarlo, padroneggiarlo, ridurlo in schiavitu`: altrimenti
ci tradira`.

772. 2^ Modestia del corpo. A domare il corpo, cominciamo con
l'osservar bene le regole della modestia e della buona creanza, ove
trovasi largo campo di mortificazione. Il principio che ci deve servir
di regola e` quello di S. Paolo: "Non sapete che i vostri corpi sono
membra di Cristo? Non sapete che il vostro corpo e` tempio dello
Spirito Santo che e` in voi? Nescitis quoniam corpora vestra membra
sunt Christi?... Membra vestra templum sunt Spiritus
Sancti" 772-1.

A) Bisogna dunque rispettare il proprio corpo come un tempio santo,
come un membro di Gesu` Cristo; via dunque quelle mode piu` o meno
invereconde, buone solo a provocar la curiosita` e la volutta`. Porti
ognuno le vesti richieste dalla propria condizione, semplici e
modeste, ma sempre pulite e decenti.

Nulla di piu` saggio dell'avvertimento di S. Francesco di Sales su
questo punto 772-2: "Siate pulita, o Filotea, e nulla si vegga in
voi di sciatto e di male aggiustato... ma guardatevi bene dalla
vanita`, dalle affettazioni, dalle curiosita` e dalle stranezze.
Attenetevi, per quanto sara` possibile, alla semplicita` e alla
modestia, che sono il piu` grande ornamento della bellezza e il miglior
palliativo della bruttezza... le donne vanitose fanno dubitare della
loro castita`: o almeno, se sono tali, la loro castita` non e` visibile,
sotto tutto quell'ingombro e quelle frascherie". S. Luigi dice in
poche parole: "che uno deve vestirsi secondo il proprio stato, in modo
che le persone savie e la gente per bene non possano dire: vi
acconciate troppo; ne` i giovani: vi acconciate troppo poco".

Quanto ai religiosi e alle religiose, come pure gli ecclesiastici,
hanno sulla forma e sulla materia dei vestiti regole a cui devono
conformarsi; e` inutile dire che la mondanita` e la civetteria sarebbero
in loro totalmente fuor di posto e non potrebbero che scandalizzar gli
stessi mondani.

773. B) La buona creanza e` anch'essa ottima mortificazione alla
portata di tutti: schivar diligentemente un contegno molle ed
effeminato, tenere il corpo dritto senza sforzo e senza affettazione,
non curvo ne` pencolante da un lato o dall'altro; non cangiar posizione
troppo di frequente; non incrocicchiare ne` i piede ne` le gambe; non
abbandonarsi mollemente sulla sedia o sull'inginocchiatoio: evitare i
movimenti bruschi e i gesti disordinati: ecco, fra cento altri, i
mezzi di mortificarsi senza pericolo per la salute, senza attirar
l'attenzione, e che ci danno intanto grande padronanza sul corpo.

774. C) Vi sono altre mortificazioni positive che i penitenti
generosi s'impongono volentieri per domare il corpo, calmarne gli
ardori intempestivi, e stimolare il desiderio della pieta`: i piu`
comuni sono quei braccialetti di ferro che si infilano alle braccia,
quelle catanelle che si cingono alle reni, cinture o scapolari di
crine, o alcuni buoni colpi di disciplina quando uno se li puo` dare
senza attirar l'attenzione 774-1. Ma bisogna in tutto questo
consultare premurosamente il direttore, schivar tutto cio` che sapesse
di singolarita` o lusingasse la vanita`, senza parlare poi di cio` che
fosse contrario all'igiene o alla pulizia; il direttore non permettera`
queste cose che con discrezione, a modo di prova solo per un poco di
tempo, e, se vi notasse inconvenienti di qualsiasi genere, le
sopprimera`.

775. 3^ Modestia degli occhi. A) Vi sono sguardi gravemente
colpevoli, che offendono non solo il pudore ma la stessa
castita` 775-1 e da cui bisogna assolutamente astenersi. Ve ne sono
altri pericolosi, quando uno fissa, senza ragione, persone o cose
capaci di suscitar tentazioni: quindi la S. Scrittura ci avverte di
non fissar lo sguardo sopra una giovane, perche` la sua bellezza non
diventi per noi occasione di scandalo: "Virginem ne conspicias, ne
forte scandalizeris in decore illius" 775-2. Oggi poi che la
licenza degli abbigliamenti e l'immodestia delle mode o i perniciosi
ritrovi dei teatri e di certi salotti offrono tanti pericoli, di
quanto riserbo non e` necessario armarsi per non esporsi al peccato!

776. B) Quindi il sincero cristiano che vuole ad ogni costo salvarsi
l'anima, va anche piu` oltre, e per essere sicuro di non cedere alla
sensualita`, mortifica la curiosita` degli occhi, schivando, per
esempio, di guardar dalla finestra per vedere chi passa, tenendo gli
occhi modestamente bassi, senza affettazione, nelle gite di affari o
nel passeggio. Li posa volentieri piuttosto su qualche pia immagine,
campanile, croce, statua, per eccitarsi all'amor di Dio e dei Santi.

777. 4^ Mortificazione dell'udito e della lingua. A) Richiede che
non si dica ne` che si ascolti cosa alcuna che sia contraria alla
carita`, alla purita`, all'umilta` e alle altre virtu` cristiane; perche`,
come dice S. Paolo, le conversazioni cattive corrompono i buoni
costumi "corrumpunt mores bonos colloquia prava" 777-1. Quante
anime infatti si pervertirono per aver ascoltato conversazioni
disoneste o contrarie alla carita`! Le parole lubriche eccitano una
morbosa curiosita`, destano le passioni, accendono desideri e provocano
al peccato. Le parole poco caritatevoli causano divisioni perfino
nelle famiglie, diffidenze, inimicizie, rancori. Bisogna quindi
vigilare anche sulle minime parole per evitar tali scandali, e saper
chiudere l'orecchio a tutto cio` che puo` turbare la purita`, la carita` e
la pace.

778. B) A meglio riuscirvi, si mortifichera` qualche volta la
curiosita` col non interrogare su cio` che puo` stuzzicarla, o col
reprimere quella smania di discorrere che va poi a finire in
chiacchiere non solo inutili ma anche peccaminose: "in multiloquio non
deerit peccatum".

C) E poiche` i mezzi negativi non bastano, si badera` a condurre la
conversazione sopra argomenti non solo innocui, ma buoni, onesti,
edificanti, senza pero` rendersi gravosi con osservazioni troppo serie
che non vengano spontanee.

779. 5^ Mortificazioni degli altri sensi. Quanto abbiamo detto della
vista, dell'udito e della lingua, s'applica pure agli altri sensi;
ritorneremo sul gusto parlando della golosita` e sul tatto a proposito
della castita`. Quanto all'odorato, basti dire che l'uso immoderato dei
profumi e` spesso pretesto per appagar la sensualita` ed eccitar talora
la volutta`; e che un cristiano serio non ne usa se non con moderazione
e per ragione di grande utilita`; e che i religiosi e gli ecclesiastici
hanno per norma di non usarne mai.
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19/10/2013 18:07
 
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sez. II. Della mortificazione dei sensi interni.

I due sensi interni che bisogna mortificare sono la fantasia e la
memoria, le quali generalmente operano insieme, essendo il lavoro
della memoria accompagnato da immagini sensibili.

780. 1^ Principio. La fantasia e la memoria sono due preziose
facolta` che non solo forniscono all'intelletto i materiali di cui ha
bisogno per lavorare, ma lo aiutano ad esporre la verita` con immagini
e con fatti che la rendono piu` afferrabile, piu` viva, e quindi pure
piu` interessante: un'esposizioni pallida e fredda non avrebbe che poca
attrattiva per lo comune dei mortali. Non si tratta quindi di annullar
queste facolta`, ma di disciplinarle e di subordinarne l'attivita`
all'impero della ragione e della volonta`; altrimenti, abbandonate a se
stesse, popolano l'anima di un mondo di ricordi e d'immagini che la
dissipano, ne sciupano le energie, le fanno perdere, mentre prega e
lavora, un tempo prezioso, e causano mille tentazioni contro la
purita`, la carita`, l'umilta` e la altre virtu`. E` dunque necessario
regolarle e metterle a servizio delle facolta` superiori.

781. 2^ Regole da seguire. A) A reprimere i traviamenti della
memoria e della fantasia, uno deve innanzitutto studiarsi di scacciare
inesorabilmente, subito fin da principio, appena se ne accorge, le
immagini o i ricordi pericolosi, che, richiamandoci un tristo passato
o trasportandoci fra le seduzioni del presente o dell'avvenire,
sarebbero per noi fonte di tentazioni. Ma, essendovi spesso una specie
di determinismo psicologico che ci fa passare dalle fantasie vane a
quelle pericolose, ci premuniremo contro quest'ingranaggio,
mortificando i pensieri inutili, che ci fanno gia` perdere un tempo
prezioso e preparano la via ad altri piu` pericolosi: la mortificazione
dei pensieri inutili, dicono i Santi, e` la morte dei pensieri cattivi.

782. B) A ben riuscirvi, il mezzo positivo migliore e` di applicarci
con tutta l'anima al dovere presente, ai nostri lavori, ai nostri
studi, alle nostre abituali occupazioni. E` questo del resto anche il
mezzo migliore per riuscire a far bene cio` che si fa, concentrando
tutta l'attivita` sull'azione presente: "age quod agis". -- Rammentino
i giovani che, per progredire negli studi come negli altri doveri del
loro stato, devono far lavorare piu` l'intelligenza e la riflessione
che le facolta` sensitive; cosi`, mentre si assicureranno l'avvenire,
schiveranno pure le pericolose fantasie.

783. C) Finalmente e` cosa utilissima servirsi della fantasia e della
memoria per alimentar la pieta`, cercando nella S. Scrittura, nelle
preghiere liturgiche e negli autori spirituali i piu` bei testi, i piu`
bei paragoni e le immagini piu` belle; adoprando pure la fantasia per
mettersi alla presenza di Dio e rappresentarso le varie particolarita`
dei misteri di Nostro Signore e della SS. Vergine. Cosi` la fantasia,
in cambio di intorpidirsi, si verra` popolando di rappresentazioni pie
che ne bandiranno le pericolose e ci porranno in grado di capir meglio
e meglio spiegare ai nostri uditori le scene evangeliche.

sez. III. Della mortificazione delle passioni 784-1.

784. Le passioni, intese in senso filosofico, non sono
necessariamente e assolutamente cattive: sono forze vive, spesso
impetuose, di cui uno puo` giovarsi cosi` per il bene come per il male,
purche` le sappia regolare e volgere a un nobile fine. Ma nel
linguaggio popolare e presso certi autori spirituali, questa parola si
usa in senso peggiorativo, per designare le passioni cattive. Noi
dunque:
* 1^ richiameremo le principali nozioni psicologiche sulle
passioni;
* 2^ ne indicheremo i buoni e i cattivi effetti;
* 3^ esporremo alcune regole pel buon uso delle passioni.
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19/10/2013 18:08
 
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I. La psicologia delle passioni.

Qui richiamiamo soltanto cio` che viene piu` ampiamente esposto nella
Psicologia.

785. 1^ Nozione. Le passioni sono moti impetuosi dell'appetito
sensitivo verso il bene sensibile con piu` o meno forte ripercussione
sull'organismo.

a) Vi e` dunque alla radice della passione una certa conoscenza almeno
sensibile d'un bene sperato o acquistato o d'un male contrario a
questo bene; da questa conoscenza scaturiscono i moti dell'appetito
sensitivo.

b) Sono moti impetuosi che si distinguono quindi dagli stati affettivi
grati o ingrati, i quali sono calmi, tranquilli, senza quell'ardore e
quella veemenza che e` nelle passioni.

c) Appunto perche` impetuosi e fortemente attivi sull'appetito
sensitivo, hanno una ripercussione sull'organismo fisico per ragione
della stretta unione tra il corpo e l'anima. Cosi` la collera fa
affluire il sangue al cervello e tende i nervi, la paura fa
impallidire, l'amore dilata il cuore e il timore lo stringe. Questi
effetti fisiologici pero` non si hanno in tutti nello stesso grado,
dipendendo dal temperamento di ciascuno, dalla intensita` della
passione e dal dominio che uno ha su se stesso.

786. Le passioni quindi differiscono dai sentimenti, che sono moti
della volonta`, onde suppongono la conoscenza dell'intelletto, e che,
pur essendo forti, non hanno la violenza delle passioni. Cosi` vi e` un
amore-passione e un amore-sentimento, un timore passionale e un timore
intellettuale. Aggiungiamo che nell'uomo, animale ragionevole, le
passioni e i sentimenti spesso, anzi quasi sempre, si mescolano in
proporzioni molto varie, e che con la volonta` aiutata dalla grazia si
riesce a trasformare in nobili sentimenti le passioni anche piu`
ardenti, subordinando queste a quelli.

787. 2^ Il loro numero. Se ne contano generalmente undici, che, come
ottimamente dimostra Bossuet 787-1, derivano tutte dall'amore: "Le
altre nostre passioni si riferiscono al solo amore che le contiene e
le eccita tutte".

1) L'amore e` l passione di unirsi a una persone o a una cosa che
piace: si vuole possederla.

2) L'odio e` la passione di allontanar da noi persona o cosa che ci
dispiace: nasce dall'amore nel senso che odiamo cio che si oppone a
cio` che amiamo; io non odio la malattia se non perche` amo la sanita`;
non odio una persona se non perche` e` di ostacolo al possesso di cio`
che amo.

3) Il desiderio e` la ricerca d'un bene assente, e nasce dall'amore che
abbiamo per questo bene.

4) L'avversione (o fuga) fa schivare il male che si sta avvicinando.

5) L'allegrezza e` il godimento del bene presente.

6) La tristezza invece si cruccia del male presente e se ne allontana.

7) L'audacia (ardire o coraggio) si sforza d'unirsi all'oggetto amato
in cui acquisto e` difficile.

8) Il timore ci spinge ad allontanarci da un male difficile a
schivarsi.

9) La speranza corre con ardore all'oggetto amato, il cui acquisto e`
possibile benche` difficile.

10) La disperazione sorge nell'anima quando l'acquisto dell'oggetto
amato appare impossibile.

11) La collera respinge violentemente cio` che ci fa del male ed eccita
il desiderio di vendicarsi.

Le prime sei passioni, che derivano dall'appetito concupiscibile, sono
dai moderni comunemente dette passioni di godimento; le altre cinque,
che si riferiscono all'appetito irascibile, si denominano passioni
combattive.
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19/10/2013 18:08
 
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II. Effetti delle passioni.

788. Gli Stoici volevano che le passioni fossero radicalmente
cattive e che si dovessero sopprimere; gli Epicurei deificano le
passioni e altamente proclamano che bisogna assecondarle; gli epicurei
moderni lo dicono con la frase: vivete la vita. Il cristianesimo tiene
la via di mezzo tra questi due eccessi: nulla di cio` che Dio pose
nell'umana natura e` cattivo; Gesu` stesso ebbe regolate passioni: amo`
non solo con la volonta` ma anche col cuore, e pianse su Lazzaro e
sull'infedele Gerusalemme; s'accese di santo sdegno, subi` il timore,
la tristezza, la noia; ma seppe tener queste passioni sotto l'impero
della volonta` e subordinarle a Dio. Quando invece le passioni sono
sregolate producono i piu` perniciosi effetti, onde bisogna
mortificarle e disciplinarle.

789. Effetti delle passioni sregolate. Si dicono sregolate le
passioni che vanno a un bene sensibile proibito, oppure a un bene
lecito ma con troppo ardore e senza riferirlo a Dio. Ora queste
passioni disordinate:

a) Acciecano l'anima: corrono infatti al loro oggetto impetuosamente,
senza consultar la ragione, lasciandosi guidare dall'inclinazione o
dal diletto. La qual cosa, turbando l'animo, tende a falsare il
giudizio e ad oscurare la retta ragione; l'appetito sensitivo e` cieco
per natura, e se l'anima lo prende a guida diventa cieca anch'essa; in
cambio di lasciarsi guidare dal dovere, si lascia abbagliare dal
momentaneo diletto, che e` come una nube che non le lascia veder la
verita`; acciecata dalla polvere sollevata dalle passioni, l'anima non
vede piu` chiaramente la volonta` di Dio e il dovere che le s'impone,
onde non e` piu` capace di proferir retto giudizio.

790. b) Stancano l'anima e la tormentano.

1) Le passioni, dice S. Giovanni della Croce 790-1, "sono come i
bambini irrequieti che non si riesce mai a contentare; chiedono alla
madre ora questo ora quello e non sono mai soddisfatti. Come si
affatica e si stanca chi scava cercando il tesoro che non trova, cosi`
si affatica e si stanca l'anima a conseguir cio` che gli appetiti le
chiedono; e quand'anche finalmente lo consegua, pure sempre si stanca
perche` non resta mai perfettamente paga... e` come il febbricitante che
non sta mai bene finche` non gli passi la febbre e che ogni momento si
sente crescere la sete... Gli appetiti stancano e affliggono l'anima;
la poveretta ne e` desolata, agitata, turbata, come i flutti dal
vento".

2) Onde un dolore tanto piu` intenso quanto piu` vive sono le passioni;
perche` queste tormentano la povera anima finche` non vengano appagate;
e poiche` l'appetito viene mangiando, chiedono sempre di piu`; se la
coscienza rilutta, s'impazientiscono, si agitano, sollecitano la
volonta` perche` ceda ai sempre rinascenti desideri: e` inesprimibile
tortura.

791. c) Infiacchiscono la volonta`: sballottata in vari sensi dalle
passioni ribelli, la volonta` e` obbligata a disperdere le forze e
quindi a indebolirle. Tutto cio` che cede alle passioni ne accresce le
pretensioni e diminuisce le sue energie. Simile a quei polloni inutili
e succhioni che germogliano attorno al tronco d'un albero, gli
appetiti che uno non riesce a dominare, si vengono a mano a mano
sviluppando e rubano vigore all'anima, come i polloni parassiti
all'albero. Viene cosi` il momento in cui, infiacchita, l'anima cade
nel rilassamento e nella tiepidezza, pronta a tutte le transazioni.

792. d) Macchiano l'anima. Quando l'anima, cedendo alle passioni,
s'unisce alle creature, s'abbassa al loro livello e ne contrae la
malizia e le sozzure; in cambio di essere fedele immagine di Dio, si
fa ad immagine delle cose a cui s'unisce; granellini di polvere e
macchie di fango vengono a offuscarne la bellezza, opponendosi alla
perfetta unione con Dio.

"Oso affermare, dice S. Giovanni della Croce 792-1, che un solo
appetito disordinato, anche che non sia contaminato di peccato
mortale, basta per mettere un'anima in tale stato d'oscurita`, di
bruttezza e di sordidezza, da diventare incapace di qualunque (intima)
unione con Dio, finche` non se ne sia purificata. Che dire allora
dell'anima che ha la bruttezza di tutte le sue passioni naturali, che
e` in bali`a di tutti suoi appetiti? A quale infinita distanza non si
trovera` dalla purita` divina? Ne` parole ne` ragionamenti possono far
comprendere la varieta` delle sozzure che tanti diversi appetiti
producono in un'anima... ogni appetito depone a modo suo la speciale
sua parte di immondezza e di bruttezza nell'anima".

793. Conclusione. E` quindi necessario, per chi vuol giungere
all'unione con Dio, mortificare tutte le passioni, anche le piu`
piccole, in quanto volontarie e disordinate. L'unione perfetta,
infatti, suppone che nulla sia in noi di contrario alla volonta` di
Dio, nessun volontario attacco alle creature e a noi stessi: appena ci
lasciamo traviare di proposito deliberato da qualche passione, non vi
e` piu` unione perfetta tra la nostra volonta` e quella di Dio. Il che e`
specialmente vero delle passioni o degli attacchi abituali:
svigoriscono la volonta` anche quando siano leggieri. E` cio` che osserva
S. Giovanni della Croce 793-1: "che un uccello abbia la zampina
legata da un filo sottile o da un filo grosso, poco importa: non gli
sara` possibile volare se non dopo averlo spezzato".

794. Vantaggi delle passioni ben ordinate. Quando invece le passioni
sono ben regolate, vale a dire orientate verso il bene, moderate e
soggette alla volonta`, portano i piu` preziosi vantaggi. Sono forze
vive e ardenti che vengono a stimolar l'attivita` dell'intelligenza e
della volonta`, prestandole validissimo aiuto.

a) Operano sull'intelletto, eccitandone l'ardore al lavoro e il
desiderio di conoscere la verita`. Quando un oggetto ci appassiona nel
senso buono della parola, siamo tutt'occhi, tutt'orecchi per
conoscerlo bene, la mente coglie piu` facilmente la verita`, la memoria
e` piu` tenace nel ritenerla. Ecco, per esempio, un inventore animato da
ardente patriottismo; lavora con maggior ardore, con maggior tenacia,
con maggior acume, appunto perche` vuol rendere servizio alla patria;
parimenti uno studente, sorretto dalla nobile ambizione di porre la
sua scienza a servizio dei compatriotti, fa maggiori sforzi e riesce a
piu` splendidi risultati; soprattutto poi chi appassionatamente ama
Gesu` Cristo, studia il Vangelo con maggior ardore, lo capisce e lo
gusta meglio: le parole del Maestro sono per lui oracoli che gli
portano nell'anima fulgidissima luce.

795. b) Operano pure sulla volonta` per muoverla e decuplicarne le
energie: cio` che si fa per amore si fa meglio, con applicazione, con
costanza, con riuscita maggiore. Che non tenta l'amorosa madre per
salvare il suo bambino! Quanti eroismi ispirati dall'amor di patria!
Parimenti, quando un Santo e` appassionato d'amor di Dio e delle anime,
non indietreggia dinanzi a nessun sforzo, a nessun sacrificio, a
nessuna umiliazione, per salvare i fratelli. Si`, e` la volonta` che
comanda questi atti di zelo, ma la volonta` ispirata, stimolata,
sorretta da una santa passione. Ora quando i due appetiti, sensitivo e
intellettivo, ossia quando cuore e volonta` lavorano nello stesso senso
e uniscono le forze, e` chiaro che molto piu` importanti e durevoli ne
sono i frutti. Conviene quindi studiare il modo di trar partito dalle
passioni.
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19/10/2013 18:08
 
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cattive, il
modo di volgere le passioni al bene, e il modo di regolarle.

1^ PRINCIPII PSICOLOGICI DA APPLICARE 796-1.

796. A padroneggiar le passioni, e` necessario prima di tutto fare
assegnamento sulla grazia di Dio e quindi sulla preghiera e sui
sacramenti, ma bisogna adoprar pure una tattica speciale, fondata
sulla psicologia.

a) Ogni idea tende a provocar l'atto che le corrisponde, massime se e`
accompagnata da vive emozioni e da forti convinzioni.

Cosi` il pensare al diletto sensibile, rappresentandoselo vivamente con
la fantasia, eccita un desidero e spesso un atto sensuale; il pensare
invece a nobili azioni, rappresentandosi i lieti effetti che
producono, eccita il desiderio di fare atti simili. Il che e`
specialmente vero dell'idea che non resta astratta, fredda, incolore,
ma che, essendo accompagnata da immagini sensibili, diventa concreta,
vivente e quindi efficace; in questo senso si puo` dir che l'idea e`
forza, e` avviamento iniziale, e` principio d'azione. Chi dunque voglia
padroneggiar le passioni cattive, deve premurosamente allontanare ogni
pensiero, ogni immaginazione che rappresenti il cattivo diletto come
attraente; chi poi vuole coltivar le passioni buone o i buoni
sentimenti, deve fomentare in se` pensieri e immagini che mostrino il
lato bello del dovere e della virtu`, rendendo coteste riflessioni piu`
concrete e piu` vive che sia possibile.

797. b) L'influsso d'una idea dura finche` non sia cancellato da
un'idea piu` forte che la soppianti; cosi` un desiderio sensuale
continua a farsi sentire finche` non sia cacciato da piu` nobile
pensiero che s'impadronisca dell'anima. Chi dunque se ne voglia
liberare, deve, con lettura o studio interessante, darsi a pensieri
totalmente diversi od opposti; chi invece voglia intensificare un buon
desiderio, lo continui meditando su cio` che puo` alimentarlo.

c) Cresce l'influsso d'un idea se le si associano altre idee connesse
che l'arricchiscono e l'amplificano; cosi` il pensiero e il desiderio
di salvarsi l'anima diventa piu` intenso e piu` efficace associandolo
all'idea di lavorare a salvare l'anima dei fratelli, come ne e` esempio
S. Francesco Saverio.

798. d) Finalmente l'idea tocca la massima sua potenza, quando
diventa abituale, predominante, una specie di idea fissa che ispira
tutti i pensieri e tutte le azioni. E` quello che avviene, nel campo
naturale, in coloro che non hanno che un'idea, per esempio quella di
fare la tale o tal altra scoperta; e nel campo soprannaturale, in
coloro che si compenetrano talmente di una massima evangelica da farne
la regola della vita, per esempio: Vendi tutto e dallo ai poveri;
oppure: Che giova all'uomo guadagnar anche l'universo, se poi perde
l'anima? O ancora: La mia vita e` Cristo.

Bisogna quindi mirare a piantarsi profondamente nell'anima alcune idee
direttrici, attraenti, predominanti, poi ridurle a unita` con un motto,
una massima che le incarni e le tenga continuamente presenti alla
mente, per esempio: Deus meus et omnia! Ad majorem Dei gloriam! Dio
solo basta! Chi ha Gesu` ha tutto! Esse cum Jesu` dulcis paradisus! Con
motti simili sara` piu` facile trionfar delle cattive passioni e trar
partito dalle buone.
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19/10/2013 18:10
 
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2^ IN CHE MODO COMBATTERE LE PASSIONI SREGOLATE.

799. Appena ci accorgiamo che sorge nell'anima un moto disordinato,
bisogna porre in opera tutti i mezzi naturali e soprannaturali per
infrenarlo e dominarlo.

a) Bisogna subito servirsi del potere d'inibizione della volonta`,
aiutata dalla grazia, per infrenar questo moto.

Schivar quindi gli atti o i gesti esterni che non fanno che stimolare
o intensificar la passione: se uno si sente assalito dalla collera, si
evitano i gesti disordinati, gli scoppi di voce, e si tace finche` non
sia tornata la calma; se si tratta di affetto troppo vivo, si scansa
la persona amata, si evita di parlarle e soprattutto di esprimerle
anche in modo indiretto l'affetto che le si porta. Cosi` a poco a poco
la passione si smorza.

800. b) Anzi, trattandosi specialmente di passione di godimento,
bisogna sforzarsi di dimenticare l'oggetto di questa passione.

Per riuscirvi: 1) si applica fortemente la fantasia e la mente a
qualsiasi occupazione onesta che possa distrarci dall'oggetto amato:
si cerca di immergersi nello studio, nella soluzione d'un problema,
nel giuoco, in passeggiate con compagni, in conversazioni, ecc.
2) Quando si comincia a sentire un poco di calma, si ricorre a
considerazioni d'ordine morale che armino la volonta` contro gli
allettamenti del piacere: considerazioni naturali, come
gl'inconvenienti, pel presente e per l'avvenire, di una pericolosa
intimita`, d'un'amicizia troppo sensibile (n. 603); ma
principalmente a considerazioni d'ordine soprannaturale, come
l'impossibilita` di avanzar nella perfezione finche` si serbino
attacchi, le catene che uno si fabbrica, il pericolo di dannarsi, lo
scandalo che si puo` dare, ecc.

Se si tratta di passioni combattive, come la collera, l'odio, si fugge
un momento per diminuire la passione, ma poi si puo` spesso prendere
l'offensiva, porsi di fronte alla difficolta`, convincersi con la
ragione e specialmente con la fede che l'abbandonarsi alla collera e
all'odio e` indegno d'un uomo e d'un cristiano; che il restar calmi e
padroni di se` e` la piu` nobile e la piu` onorevole cosa e la piu`
conforme al Vangelo.

801. c) Finalmente si cerchera` di fare atti positivi contrarii alla
passione.

Chi prova antipatia per una persona, la trattera` come se ne volesse
guadagnar la simpatia, si studiera` di renderle servizio, di essere
gentile con lei, e soprattutto di pregar per lei; nulla addolcisce il
cuore quanto la sincera preghiera pel nemico. Chi sente invece
eccessiva affezione per una persona, ne schivi la compagnia, o, se non
puo`, le dimostri quella fredda cortesia, quella specie d'indifferenza
che si ha per lo comune degli uomini. Questi atti contrarii finiscono
con l'affievolire e dileguar la passione, massime se si sanno coltivar
le passioni buone
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19/10/2013 18:10
 
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3^ IN CHE MODO VOLGERE LE PASSIONI AL BENE.

802. Abbiamo detto che le passioni non sono in se` cattive; onde
possono essere volte al bene, tutte senza eccezione.

a) L'amore e la gioia si possono volgere ai puri e legittimi affetti
della famiglia, a buone e soprannaturali amicizie, ma soprattutto a
Nostro Signore che e` il piu` tenero, il piu` generoso, il piu` devoto
degli amici. A lui dunque convien volgere il cuore, leggendo,
meditando e mettendo in pratica quei due bei capitoli dell'Imitazione,
che rapirono e rapiscono ancora tante anime, De amore Jesu super
omnia, De familiari amicitia^ Jesu 802-1.

b) L'odio e l'avversione si volgono al peccato, al vizio e a tutto cio`
che vi conduce, per detestarlo e fuggirlo: "Iniquitatem odio
habui" 802-2.

c) Il desiderio si trasforma in legittima ambizione, nella naturale
ambizione d'onorar la famiglia e la patria, nell'ambizione
soprannaturale di diventar santo ed apostolo.

d) La tristezza, in cambio di degenerare in malinconia, passa in dolce
rassegnazione dinnanzi alle prove che sono per il cristiano seme di
gloria; oppure in tenera compassione a Gesu` paziente ed offeso o alle
anime afflitte.

e) L'umana speranza diventa speranza cristiana, incrollabile
confidenza in Dio, che ci moltiplica le forze per il bene.

f) La disperazione si trasforma in giusta diffidenza di se`, fondata
sulla propria impotenza e sui propri peccati ma temperata dalla
confidenza in Dio.

g) Il timore, invece di essere deprimente sentimenti che fiacca
l'anima, e` pel cristiano fonte di energia: teme il peccato e
l'inferno, santo timore che lo arma di coraggio contro il male; teme
soprattutto Dio, premuroso di non offenderlo, e sprezza l'umano
rispetto.

h) La collera, in cambio di toglierci la padronanza di noi stessi, si
fa giusto e santo sdegno che ci rende piu` forti contro il male.

i) L'audacia diventa intrepidezza di fronte alle difficolta` e ai
pericoli: quanto piu` una cosa e` difficile tanto piu` ci par degna dei
nostri sforzi.

803. Per giungere a tanto non c'e` di meglio della meditazione,
accompagnata da pii affetti e da generose risoluzioni. Colla
meditazione uno si forma un ideale e profonde convinzioni per
accostarvisi ogni giorno piu`. Si tratta infatti di eccitare e nutrir
nell'anima idee e sentimenti conformi alle virtu` che si vogliono
praticare, e allontanare invece immagini e impressioni conformi ai
vizi che si vogliono evitare. Ora nulla di meglio a questo santo fine
che meditare ogni giorno nel modo da noi indicato al n. 679 e ss;
in questo intimo colloquio con Dio, bonta` infinita e infinita verita`,
la virtu` diventa ogni giorno piu` amabile, il vizio ogni giorno piu`
odioso, e la volonta`, invigorita da queste convinzioni, volge al bene
le passioni in cambio di lascarsene trascinare al male.

4^ IN CHE MODO MODERAR LE PASSIONI.

804. a) Anche quando le passioni sono volte al bene, bisogna saperle
moderare, assoggettandole alla direzione della ragione e della volonta`
guidate dalla fede e dalla grazia. Altrimenti andrebbero talora ad
eccessi essendo per natura troppo impetuose.

Cosi` il desiderio di pregar con fervore puo` diventare tensione di
mente, l'amore a Gesu` puo` riuscire a sforzi di sensibilita` che
logorano l'anima e il corpo: lo zelo intempestivo diviene strapazzo,
lo sdegno passa in collera, e l'allegrezza degenera in dissipazione. A
questi eccessi siamo esposti oggi specialmente che la febbrile
attivita` diviene contagiosa. Ora questi moti ardenti, anche quando
sono rivolti al bene, stancano e logorano l'anima e il corpo; e poi
non possono durare a lungo, nil violentum durat; eppure cio` che` piu`
giova e` la continuita` nello sforzo.

805. b) Bisogna quindi sottoporsi a un savio direttore che regoli la
nostra operosita` e seguirne i consigli.

1) Abitualmente nel coltivare i desideri e passioni conviene usare una
certa moderazione, una dolce tranquillita`, schivando la costante
tensione; si ricordi il proverbio: chi va piano va sano e va lontano,
e si bandisca quindi l'eccessiva premura che logora le forze; la
povera macchina umana non puo` stare costantemente sotto pressione,
altrimenti scoppia.

2) Prima di un grande sforzo, o dopo un considerevole dispendio di
energia, prudenza vuole che si interponga una certa calma, un certo
riposo alle ambizioni anche piu` legittime, allo zelo anche piu` ardente
e piu` puro. Ce ne die` esempio Nostro Signore stesso, con l'invitare di
tanto in tanto i discepoli al riposo: "Venite seorsum in desertum
locum et requiescite pusillum" 805-1.

Dirette cosi` e moderate, le passioni non solo non saranno ostacolo
alla perfezione, ma riusciranno anzi mezzi efficaci per accostarvici
ogni giorno piu`, e la vittoria riportatane ci aiutera` a disciplinar
meglio le facolta` superiori.

sez. IV. Della mortificazione delle facolta` superiori.

Le facolta` superiori, che costituiscono l'uomo in quanto uomo, sono
l'intelletto e la volonta`, le quali hanno anch'esse bisogno di essere
disciplinate, perche` furono anch'esse intaccate dal peccato originale,
n. 75.

I. Mortificazione o disciplina dell'intelletto.

806. L'intelletto ci fu dato per conoscere la verita` e soprattutto
Dio e le cose divine. Dio e` il vero sole della mente, che c'illumina
con doppia luce, la luce della ragione e quella della fede. Nello
stato presente non possiamo pervenire all'intiera verita` senza il
concorso di questi due lumi, e chi l'uno o l'altro rifiuti,
volontariamente si accieca. E tanto piu` importante e` la disciplina
dell'intelletto in quanto che e` lui che illumina la volonta` e le rende
possibile il volgersi al bene; lui che, sotto nome di coscienza, e`
regola della vita morale e soprannaturale. Ma perche` cio` avvenga,
bisogna mortificarne le principali tendenze difettose, che sono:
l'ignoranza, la curiosita`, la precipitazione, l'orgoglio e
l'ostinazione.

807. 1^ L'ignoranza si combatte con l'applicazione metodica e
costante allo studio, e specialmente allo studio di tutto cio` che si
riferisce a Dio, ultimo nostro fine, e ai mezzi di conseguirlo.
Sarebbe infatti irragionevole occuparsi di tutte le scienze
trascurando quella dell'eterna salute.

Ognuno deve certamente studiar fra le umane scienze quelle che si
riferiscono ai doveri del suo stato; ma dovere primordiale essendo
quello di conoscere Dio per amarlo, il trascurar questo studio sarebbe
cosa inescusabile. Eppure quanti cristiani, istruitissimi in questo o
quel ramo di scienza, non hanno poi che una rudimentale conoscenza
delle verita` cristiane, dei dommi, della morale e dell'ascetica! Oggi
vi e` un certo risveglio nelle persone colte, vi sono circoli di
cultura in cui si studiano col piu` vivo interesse tutte le questioni
religiose, compresa la spiritualita` 807-1. Ne sia benedetto Dio, e
che un tal movimento si allarghi sempre piu`!

808. 2^ La curiosita` e` una malattia della mente che non fa che
accrescerne l'ignoranza: ci porta infatti con eccessivo ardore alle
cognizioni che ci piacciono anziche` a quelle che ci sono utili,
facendoci cosi` perdere un tempo prezioso. Ed e` spesso accompagnata
dalla fretta e dalla precipitazione, che c'ingolfano in studi che
sollecitano la curiosita`, a detrimento di altri assai piu` importanti.

Per trionfarne, e` necessario: 1) studiare in primo luogo non cio` che
piace ma cio` che e` utile, massime poi cio` che e` necessario: "id prius
quod est magis necessarium", dice San Bernardo, non occupandosi del
resto che a modo di ricreazione. Non si deve quindi leggere che
parcamente cio` che alimenta piu` la fantasia che l'intelletto, come la
maggior parte dei romanzi, o cio` che riguarda le notizie e i rumori
del mondo, come i giornali e certe riviste. 2) Nelle letture bisogna
schivare la fretta eccessiva, non voler divorare in pochi momenti un
volume intero. Anche quando si tratti di buone letture, convien farle
lentamente, per meglio capire e gustare cio` che si legge (n. 582).
3) Or cio` riuscira` anche piu` facile, chi studi non per curiosita`, non
per compiacersi della propria scienza, ma per motivo soprannaturale,
per edificare se` ed il prossimo: "ut aedificent, et caritas est... ut
aedificentur, et prudentia est" 808-1. Perche`, come giustamente
dice S. Agostino 808-2, la scienza dev'essere messa a servizio
della carita`: "Sic adhibeatur scientia tanquam machina quaedam per quam
structura caritatis assurgat". Il che e` vero anche nello studio delle
questioni di spiritualita`; ci sono infatti di quelli che, in questi
studi, mirano piuttosto ad appagar la curiosita` e la superbia anziche`
a purificare il cuore e a praticar la mortificazione 808-3.

809. 3^ L'orgoglio dev'essere dunque evitato, quell'orgoglio della
mente che e` piu` pericoloso e piu` difficile a guarire dell'orgoglio
della volonta`, come dice lo Scupoli 809-1.

E` quest'orgoglio che rende difficile la fede e l'obbedienza ai
superiori: si vorrebbe bastare a se` stessi, tanta e` la fiducia che si
ha nella propria ragione, e si stenta a ricevere gli insegnamenti
della fede, o almeno si vuole sottoporli alla critica e
all'interpretazione della ragione; cosi` pure si ha tanta fiducia nel
proprio giudizio, che rincresce consultare gli altri e specialmente i
superiori. Ne nascono dolorose imprudenze; ne viene un'ostinazione
nelle proprie idee che ci fa recisamente condannar le opinioni non
conformi alle nostre. Ecco una delle cause piu` frequenti di quelle
discordie che si notano tra cristiani, e talora pure tra autori
cattolici. Gia` fin dai suoi tempo S. Agostino 809-2 rilevava
queste sciagurate divisioni che distruggono la pace, la concordia e la
carita`: "sunt unitatis divisores, inimici pacis, caritatis expertes,
vanitate tumentes, placentes sibi et magni in oculis suis".

810. Per guarir quest'orgoglio della mente: 1) bisogna innanzi tutto
sottomettere, con docilita` di fanciullo, agl'insegnamenti della fede:
e` lecito certo il cercar quell'intelligenza dei dommi che si acquista
con la paziente e laboriosa indagine, giovandosi degli studi dei Padri
e dei Dottori, principalmente di S. Agostino e di S. Tommaso; ma
bisogna, come dice il Concilio Vaticano 810-1, farlo con pieta` e
sobrieta`, ispirandosi alla massima di S. Anselmo: fides quaerens
intellectum. Si schiva allora quello spirito d'ipercritica che col
pretesto di spiegarli attenua e riduce al minimo i dommi; allora si
sottomette il giudizio non solo alle verita` di fede ma anche alle
direzioni pontificie; allora, nelle questioni liberamente discusse, si
lascia agli altri la liberta` che si desidera per se`, e non si trattano
con altura e disdegno le opinioni altrui. Cosi` entra la pace negli
animi.

2) Nelle discussioni non bisogna cercar la soddisfazione dell'orgoglio
e il trionfo delle proprie idee, ma la verita`. E` raro che nelle
opinioni degli avversari non ci sia una parte di verita` che ci era fin
allora sfuggita: l'ascoltar con attenzione e imparzialita` le ragioni
degli avversari e concedere quanto e` di giusto nelle loro
osservazioni, e` pur sempre il mezzo migliore per accostarsi alla
verita`, e serbare le leggi dell'umilta` e della carita`.

Diremo dunque riepilogando che per disciplinare l'intelligenza bisogna
studiare cio` che e` piu` necessario, e farlo con metodo, costanza e
spirito soprannaturale, vale a dire col desiderio di conoscere, amare
e praticar la verita`.
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19/10/2013 18:11
 
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II. Mortificazione o educazione della volonta`.

811. 1^ Necessita`. La volonta` e` nell'uomo la facolta` sovrana, la
regina di tutte le facolta`, quella che le governa; e` lei che, essendo
libera, da` non solo agli atti propri (o eliciti) ma anche agli atti
delle altre facolta` da lei comandati (atti imperati), la loro liberta`,
il merito o il demerito. Chi dunque regola la volonta` regola tutto
l'uomo. Ora la volonta` e` ben regolata quando e` cosi` forte da comandare
alle facolta` inferiori e cosi` docile da ubbidire a Dio: tal e` il
doppio suo ufficio.

Difficile l'uno e l'altro; perche` spesso le facolta` inferiori si
rivoltano contro le volonta` e non ne accettano l'impero se non quando
sa alla fermezza associare riguardosa destrezza: la volonta` infatti
non ha potere assoluto sulle facolta` sensibili, ma una specie di
potere morale, potere di persuasione per indurle a sottomettersi
(n. 56).

Quindi solo con difficolta` e con sforzi spesso ripetuti si giunge a
sottomettere alla volonta` le facolta` sensibili e la passioni. Costa
pure la perfetta sottomissione della volonta` propria a quella di Dio:
aspiriamo a una certa autonomia, e poiche` la divina volonta` non puo`
santificarci senza chiederci sacrifici, noi spesso indietreggiamo
dinanzi allo sforzo, e preferiamo i nostri gusti e i nostri capricci
alla santa volonta` di Dio. Anche qui dunque e` uopo di mortificazione.

812. 2^ Mezzi pratici. Per ben educar la volonta`, bisogna renderla
cosi` docile da obbedire a Dio in ogni cosa, e cosi` forte da comandare
al corpo e alla sensibilita`. Per ottener questo scopo e` necessario
allontanare gli ostacoli e adoprare mezzi positivi.

A) I principali ostacoli: a) interni sono: 1) l'irriflessione: non si
riflette prima di operare e si segue l'impulso del momento, la
passione, l'abitudine, il capriccio; quindi riflettere prima di
operare, chiedendoci che cosa vuole Dio da noi; 2) la premura febbrile
che, producendo una tensione troppo forte e mal diretta, logora il
corpo e l'anima senza alcun pro, e spesso ci fa deviare verso il male;
quindi calma e moderazione anche nel bene, se si vuol fuoco che duri e
non fuoco di paglia; 3) la noncuranza o l'irresolutezza, la pigrizia,
il difetto di energia morale che intorpidisce o rende inerti le forze
della volonta`; quindi fortificare le proprie convinzioni e le proprie
energie, come diremo; 4) la paura della cattiva riuscita o il difetto
di confidenza, che scema in modo singolare le forze; bisogna invece
rammentare che con l'aiuto di Dio si e` sicuri di riuscire a buon fine.

813. b) Agli ostacoli interni se ne vengono ad aggiungere altri
esterni: 1) il rispetto umano, che ci rende schiavi degli altri,
facendocene paventar le critiche o gli scherni; si combatte pensando
che e` il sempre sapiente giudizio di Dio quello che conta e non quello
degli uomini sempre fallibile: 2) i cattivi esempi, che ci trascinano
tanto piu` facilmente in quanto che corrispondono a una propensione
dell'umana natura; ricordarsi allora che il solo modello da imitare e`
Gesu`, nostro Maestro e Capo nostro, n. 136 ss., e che il cristiano
deve far tutto il contrario di cio` che fa il mondo, n. 214.

814. B) I mezzi positivi consistono nel saper armonicamente
conciliare il lavoro dell'intelligenza, della volonta` e della grazia.

a) All'intelligenza spetta il fornire quelle profonde convinzioni che
saranno insieme guida e stimolo per la volonta`.

Sono le convinzioni atte a muovere la volonta` onde scegla cio` che e`
conforme alla volonta` di Dio. Si possono compendiare cosi`: il mio fine
e` Dio e Gesu` e` la via che devo seguire per giungere a lui; devo quindi
far tutto per Dio in unione con Gesu` Cristo; un solo ostacolo si
oppone al mio fine ed e` il peccato; devo quindi fuggirlo; e se ebbi la
disgrazia di commetterlo, devo ripararlo subito; un solo mezzo e`
necessario e basta a schivare il peccato: far sempre la volonta` di
Dio; devo quindi continuamente mirare a conoscerla e a conformarvi la
mia condotta. Per riuscirvi, ripetero` spesso la parola di S. Paolo nel
momento della conversione, Domine, quid me vis facere? 814-1 E la
sera nell'esame deplorero` le minime mie mancanze.

815. b) Tali convinzioni opereranno potentemente sulla volonta`, che
da parte sua dovra` agire con risolutezza, fermezza e costanza. 1) Ci
vuole risolutezza: quando si e` riflettuto e pregato secondo
l'importanza dell'azione che si sta per fare, bisogna immediatamente
risolversi non ostante le esitazioni che potrebbero persistere: e`
troppo breve la vita da perdere un tempo notevole a fare troppo lunghe
deliberazioni: bisogna risolversi per cio` che pare piu` conforme alla
divina volonta`, e Dio, che vede la buona disposizione, benedira` la
nostra azione. 2) La risoluzione dev'essere ferma; non basta dire:
vorrei, desidero; queste sono velleita`. Bisogna dire: voglio e voglio
ad ogni costo; e mettersi subito all'opera, senza aspettare il domani,
senza aspettare le grandi occasioni: la fermezza nelle piccole azioni
assicura la fedelta` nelle grandi. 3) Fermezza, non pero` violenza:
fermezza calma perche` vuole durare, e a renderla costante si
rinnoveranno spesso gli sforzi senza lasciarsi mai scoraggiare dalla
cattiva riuscita: si e` infatti vinti solo quando si abbandona la
lotta: non ostante qualche debolezza e anche qualche ferita, uno deve
considerarsi vittorioso, perche`, appoggiati su Dio, si e` veramente
invincibili. Chi avesse avuto la disgrazia di soccombere un istante,
si rialzi subito: col divin medico delle anime non c'e` ferita, non c'e`
malattia che non si possa curare.

816. c) Sulla grazia di Dio bisogna dunque in fin dei conti saper
fare assegnamento; chiedendola con umilta` e confidenza, non ci sara`
mai negata, e con lei siamo invincibili. Dobbiamo quindi rinnovar di
frequente le nostre convinzioni sulla assoluta necessita` della grazia,
massime al principio di ogni azione importante; chiederla con
insistenza in unione con Nostro Signore, per essere sicuri di ogni
azione importante; chiederla con insistenza in unione con Nostro
Signore, per essere sicuri di ottenerla; rammentarci che Gesu` non e`
soltanto il nostro modello ma anche il nostro collaboratore, e
appoggiarci con fiducia su lui, sicuri che in lui possiamo
intraprendere tutto e tutto effettuare nel campo dell'eterna salute:
"Omnia possum in eo qui me confortat" 816-1. Cosi` la nostra
volonta` sara` forte, perche` partecipera` alla forza stessa di Dio:
Dominus fortitudo mea; sara` libera, perche` la vera liberta` non
consiste nell'abbandonarsi alle passioni che ci tiranneggiano ma
nell'assicurare il trionfo della ragione e della volonta` sull'istinto
e sulla sensualita`.

817. Conclusione. Cosi` si otterra` lo scopo che abbiamo assegnato
alla mortificazione: assoggettare i sensi e le facolta` inferiori alla
volonta` e questa a Dio.

Onde potremo piu` agevolmente combattere ed estirpare i sette vizi o
peccati capitali.
_________________________________________________________________

751-1 S. Tommaso, i cui testi principali sono citati da T. de
Vallgornera, op. cit., q. II, disp. II-IV; Filippo della
SS. Trinita`, op. cit., P. I, Tr. II, disc. I-IV; Alvarez de Paz,
t. II, l. II, De mortificatione; Scaramelli, Direttorio ascetico, Tr.
II, a. 1-6; Rodriguez, Pratica della perfezione cristiana, P. I, Tr. I
e II, Della mortificazione, Della modestia; Tronson, Esam.
particolari, CXXXIX-CLXIX; Mgr Gay, Tr. VII, Della mortificazione;
Meynard, Tr. de la vie inte'rieure, l. I, c. II-IV; A. Chevrier, Le
Ve'ritable disciple, P. II, p. 119-323.

752-1 Luc., XIV, 33.

752-2 Luc., V, 11.

752-3 Luc., XI, 23.

752-4 Col., III, 5.

752-5 Rom., VIII, 13.

752-6 Gal., V, 24.

752-7 Coloss., III, 3.

752-8 Rom., VIII, 4.

752-9 Col., III, 9.

752-10 II Tim., IV, 7.

755-1 Matth., V, 28.

755-2 Matth., V, 28.

755-3 Rom., VIII, 13.

755-4 Abbiamo trattato piu` diffusamente di queste occasioni di
peccato nella nostra Synopsis theol. moralis, De Poenitentia^, n.
524-536.

758-1 De Imitatione Christi, l. I, c. 25.

758-2 I motivi di penitenza che abbiamo esposti, n. 736 ss.,
sono simili a quelli che esponiamo qui, perche` la penitenza non e` in
sostanza che la mortificazione in quanto ripara i peccati passati.

759-1 Salita del Monte Carmelo, l. I, c. IV, n. 2.

759-2 Cat. chre'tien, P. Ia., lez. IV.

760-1 Olier, Cat. chre't., P. Ia., lez. VII.

761-1 De Imit., l. II, c. XII.

761-2 Luc., IX, 23. -- Si legga il bel commento di questo testo
nella Lettera circolare agli Amici della Croce del B. L. Grignion de
Montfort.

761-3 Sermo V in festo omnium Sanctorum, n. 9.

762-1 Col., I, 24.

764-1 I Cor., IX, 25.

764-2 Examens particuliers, 1^ Es. sulla Mortificazione.

765-1 Matth., XIX, 29.; Marc., X, 29-30, ove e` detto: "centies
tantum nunc in tempore hoc".

765-2 II Cor., VII, 4.

766-1 De Imit., l. II, c. 12.

772-1 I Cor., VI, 15, 19.

772-2 La Filotea, P. III, c. XXV.

774-1 Il rifarsi alle pratiche di mortificazione corporale e` uno
dei mezzi piu` efficaci per riaver l'allegrezza e con lei il fervore:
"Ritorniamo alle mortificazioni corporali, ammacchiamo la carne,
facciamo colare qualche goccia di sangue, e saremo lieti come non
fummo mai. Se i Santi spirano letizia, se i monaci e le religiose sono
creature animate di tal franca gaiezza che il mondo non sa spiegare,
dipende unicamente da questo che i loro corpi, come quello di
S. Paolo, sono castigati e tenuti in soggezione con inflessibile
severita`". (Faber, Il Santissimo Sacramento, t. I.)

775-1 Matth., V, 28.

775-2 Eccl., IX, 5.

777-1 I Cor., XV, 33.

784-1 S. Tommaso, Ia. IIae, q. 22-48; Suarez, disp. III; Se'nault,
De l'usage des passions; Descuret, La medicina delle passioni;
Belouino, Des passions; Th. Ribot, La psicologia dei sentimenti; La
logica dei sentimenti; P. Janvier, Quaresimale 1905, Marietti, Torino;
H. D. Noble, L'e'ducation des passions; e gli autori gia` citati sulla
mortificazione.

787-1 Della cognizione di Dio e di se` stesso, c. I, n. VI.

790-1 La Salita del Carmelo, l. I, c. VI, n. 6; si leggano i
capitoli VI-XII di questo libro, dove il Santo spiega mirabilmente "i
perniciosi effetti degli appetiti", cioe` delle passioni. Ne
compendiamo qui brevemente il pensiero.

792-1 La Salita del Carmelo, l. I, c. IX, n. 2.

793-1 La Salita del Carmelo, l. I, c. XI, n. 3.

796-1 A. Eymieu: Il Governo di se`, t. I, 3^ Principio.

802-1 Lib. II, c. VII, VIII.

802-2 Ps. CXVIII, 163.

805-1 Marc., VI, 31.

807-1 Additiamo in particolare le riunioni degli studenti delle
Scuole Superiori, in cui si studia la Teologia; il movimento della
Revue des Jeunes, e i circoli di studi fondati dalla rivista
L'Evangile dans la vie, per studiare la spiritualita`. Anche in Italia
possiamo rilevare questo consolante risveglio nelle numerose Scuole di
religione fondate in quasi tutte le citta`; fra le Riviste di questo
genere, merita particolare raccomandazione la Rivista dei Giovani
diretta dal Salesiano Professor Dott. Don Antonio Coiazzi, Torino.
Pieta` Cristana, periodico mensile di cultura e pratica religiosa,
edito dalla Libreria del S. Cuore, Torino; e le varie Riviste della
Societa` Editrice "Vita e Pensiero", Milano.

808-1 S. Bernardo, In Cant., sermo XXXVI, n. 3.

808-2 Epist. LV., C. 22, n. 39, P. L., XXXIII, 223.

808-3 Scupoli, Combat. spirit., c. IX, n. 8.

809-1 Loc. cit., n. 10.

809-2 Sermo III Paschae, n. 4.

810-1 Denzing., n. 1796.

814-1 Atti, IX, 6.

816-1 Philip. IV, 13.
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PARTE SECONDA
Le Tre Vie

LIBRO I
La purificazione dell'anima
o la via purgativa
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CAPITOLO IV.

Lotta contro i peccati capitali 818-1.

818. Questa lotta e` in sostanza una specie di mortificazione.

Per dar compimento alla purificazione dell'anima e impedirle di
ricader nel peccato, bisogna prender di mira la fonte del male in noi,
cioe` la triplice concupiscenza. L'abbiamo gia` descritta nei suoi
caratteri generali, n. 193-209; ma, essendo ella radice dei sette
peccati capitali, conviene pur conoscere e combattere queste cattive
tendenze. Piu` che peccati sono infatti tendenze; si dicono pero`
peccati perche` sono fonte o capo d'una moltitudine di altri peccati.

Ecco come queste tendenze si connettono con la triplice concupiscenza:
dalla superbia nasce l'orgoglio, l'invidia, e la collera; la
concupiscenza della carne genera la gola, la lussuria e l'accidia; la
concupiscenza poi degli occhi s'identifica con l'avarizia o amore
disordinato delle ricchezze.

819. La lotta contro i sette peccati capitali tenne sempre gran
posto nella spiritualita` cristiana. Cassiano ne tratta a lungo nelle
Conferenze e nelle Istituzioni 819-1; ma ne enumera otto invece di
sette, separando l'orgoglio e la vanagloria. S. Gregorio
Magno 819-2 distingue nettamente i sette peccati capitali che fa
derivar tutti dall'orgoglio. Anche S. Tommaso li connette
all'orgoglio, e mostra come se ne puo` fare una classificazione
filosofica, tenendo conto dei fini speciali a cui l'uomo tende. La
volonta` puo` portarsi verso un oggetto per un doppio motivo che e` o la
ricerca di un bene apparente, o l'allontanamento da un male apparente.
Ora il bene apparente a cui tende la volonta` puo` essere: 1) la lode o
l'onore, beni spirituali perseguiti disordinatamente: e` questo il fine
speciale dei vanitosi; 2) i beni corporali, che hanno per fine la
conservazione dell'individuo o della specie, cercati in modo
eccessivo, sono il fine particolare dei golosi e dei lussuriosi; 3) i
beni esterni, amati in modo sregolato, sono il fine dell'avaro. -- Il
male apparente da cui uno rifugge puo` essere: 1) lo sforzo necessario
all'acquisto d'un bene, sforzo sfuggito dall'accidioso; 2) la
diminuzione della propria eccellenza che e` temuta e sfuggita, sebbene
in modo diverso, dal geloso e dal collerico. Cosi` la distinzione dei
sette peccati capitali si trae dai sette fini speciali a cui tende il
peccatore.

In pratica noi seguiremo la divisione che connette i vizi capitali con
la triplice concupiscenza, perche` e` la piu` semplice.
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ART. I. L'ORGOGLIO E I VIZI CHE VI SI CONNETTONO 820-1.

sez. I. L'orgoglio in se`.

820. L'orgolio e` una deviazione di quel legittimo sentimento che ci
porta a stimare il bene che e` in noi, e a ricercar la stima altrui fin
dove e` utile alle buone relazioni che dobbiamo avere con loro. Si puo`
e si deve certamente stimare quanto di buono Dio ha messo in noi,
riconoscendonelo come primo principio e ultimo fine: e` sentimento che
onora Dio e ci fa rispettar noi stessi. Si puo` anche desiderare che
gli altri vedano questo bene, lo stimino e ne rendano gloria a Dio,
come noi dobbiamo riconoscere e stimare le buone qualita` del prossimo:
questa mutua stima fomenta le buone relazioni che corrono tra gli
uomini.

Ma vi puo` essere deviazione o eccesso in queste due tendenze. Si
dimentica talora che autore di questi doni e` Dio e uno li attribuisce
a se stesso: il che e` disordine, perche` e` negare, almeno
implicitamente, che Dio e` il nostro primo principio. Parimente si e`
tentati di operare per se`, per guadagnarsi la stima altrui, in cambio
di operare per Dio e riferire a lui tutto l'onore di cio` che facciamo:
il che pure e` disordine, perche` e` negare, almeno implicitamente, che
Dio e` il nostro ultimo fine. Tal e` il doppio disordine che si trova in
questo vizio; onde si puo` definirlo: un amore disordinato di se`, per
cui uno, esplicitamente o implicitamente, si stima come primo suo
principio o ultimo suo fine. E` una specie d'idolatria, perche` uno fa
di se` il proprio Dio, come ben fa notare Bossuet, n. 204. -- A
meglio combattere l'orgoglio, ne esporremo: 1^ le principali
forme; 2^ i difetti che produce; 3^ la malizia;
4^ i rimedi.

I. Le principali forme dell'orgoglio.

821. 1^ La prima forma consiste nel considerarsi, esplicitamente o
implicitamente, come il proprio primo principio.

A) Pochi sono quelli che esplicitamente si amino in modo cosi`
disordinato da considerar se stessi come il loro primo principio.

a) E` il peccato degli atei che volontariamente rigettano Dio perche`
non vogliono padrone: ne` Dio ne` padrone; di costoro parla il Salmista
quando dice: "Dixit insipiens in corde suo: non est Deus" 821-1.
b) Fu equivalentemente questo il peccato: di Lucifero, che, volendo
essere autonomo, ricuso` di assoggettarsi a Dio; dei nostri
progenitori, che, desiderando essere come Dei, vollero conoscere da se`
il bene ed il male; degli eretici, che, come Lutero, ricusarono di
riconoscere l'autorita` della Chiesa stabilita da Dio; e` il peccato dei
razionalisti, che, superbi della loro ragione, non vogliono
assoggettarla alla fede. Ed e` pure il peccato di certi dotti che,
troppo orgogliosi da accettare la tradizionale interpretazione dei
dommi, li attenuano e deformano per conciliarli con le proprie idee.

822. B) Altri in maggior numero cadono implicitamente in questo
difetto, operando come se i doni naturali e soprannaturali da Dio
largitici fossero intieramente nostri. In teoria si riconosce, e` vero,
che Dio e` il nostro primo principio; ma in pratica poi uno ha tale
smodata stima di se` come fosse egli stesso l'autore delle buone
qualita` che sono in lui.

a) Ce ne sono di quelli che si compiaccono delle proprie doti e dei
propri meriti come ne fossero essi i soli autori: "L'anima, vedendosi
bella, dice Bossuet, 822-1 se ne compiacque in se stessa e
s'addormento` nella comtemplazione della propria eccellenza; cesso` un
momento di riferir se stessa a Dio, dimentico` la sua dipendenza, prima
si fermo` e poi s'abbandono` alla propria liberta`. Ma, cercando di esser
libero fino al punto di emanciparsi da Dio e dalle leggi della
giustizia, l'uomo divenne schiavo del suo peccato".

823. b) Piu` grave e` l'orgoglio di coloro che attribuiscono a se
stessi la pratica della virtu`, come gli Stoici; o che pensano che i
doni gratuiti di Dio siano frutto dei nostri meriti; che le nostre
opere buone appartengano a noi piu` che a Dio, mentre in verita` ne e`
lui la causa principale; e che vi si compiacciono come fossero
unicamente nostre 823-1.

824. C) E` questo stesso principio che fa esagerar le proprie doti.

a) Si chiudono gli occhi sui propri difetti o si guardano le proprie
doti con lenti d'ingrandimento; si giunge ad attribuirsi pregi che non
si hanno o che hanno la sola apparenza di virtu`: cosi` si fa
l'elemosina per ostentazione e si crede di essere caritatevoli mentre
invece si e` superbi; uno crede di esser santo perche` ha consolazioni
sensibili, o perche` scrisse bei pensieri o buone risoluzioni, ed e`
invece ancora ai primi scalini della perfezione. Altri credono di
avere mente larga perche` fanno poco conto delle piccole regole,
volendo santificarsi con le grandi virtu`. b) Di qui a preferirsi
ingiustamente agli altri non vi e` che un passo; si esaminano gli
altrui difetti col microscopio e dei propri e` gran cosa se uno ne ha
coscienza; si vede la pagliuzza che e` nell'occhio del vicino e non la
trave che e` nel nostro. Si giunge talora, come il Fariseo, a
disprezzare i fratelli; 824-1 altre volte, senza arrivare a tanto,
uno ingiustamente li abbassa nella propria stima e se ne crede
migliore mentre in realta` ne e` inferiore. E` sempre in virtu` dello
stesso principio che si cerca di dominarli e di far riconoscere la
propria superiorita` su di loro.

825. 2^ La seconda forma dell'orgoglio consiste nel considerarsi,
esplicitamente o implicitamente, come il proprio ultimo fine, facendo
le azioni senza riferirle a Dio, e desiderando di esserne lodati come
se ne fossero intieramente nostre. E` difetto che deriva dal primo;
perche` chi si considera come il proprio primo principio vuole anche
esserne l'ultimo fine. Bisognerebbe ripetere qui le distinzioni che
abbiamo gia` fatto.

A) Sono pochi che si considerino esplicitamente come loro ultimo fine,
se ne togli gli atei e gli increduli.

B) Ma in pratica molti operano come se partecipassero di questo
errore. a) Vogliono essere lodati e complimentati per le opere buone,
come ne fossero essi i principali autori, e come se avessero il
diritto di operare per proprio conto, per soddisfare la propria
vanita`. In cambio di riferire tutto a Dio, vogliono essere applauditi
per i pretesi buoni successi, come se avessero diritto a tutto l'onore
che ne deriva. b) Operano per egoismo, per i propri interessi, poco
curandosi della gloria di Dio e meno ancora del bene del prossimo.
Arrivano perfino all'eccesso di pensare in pratica che gli altri
debbano ordinare la vita a far loro piacere e a rendere loro servizi:
si fanno quindi centro degli altri e, a cosi` dire, loro fine. Non e`
questa un'inconscia usurpazione dei diritti di Dio?

c) Senza giungere a questo punto, ci sono persone pie che nella pieta`
cercano se stesse, si lagnano di Dio quando non le inonda di
consolazioni, si desolano quando sono nell'aridita`, falsamente,
pensando che il fine della pieta` sia di goder consolazioni, mentre in
realta` la gloria di Dio dev'essere il nostro fine supremo in tutte le
azioni e soprattutto nella preghiera e negli esercizi spirituali.

826. Bisogna dunque confessare che l'orgoglio, sotto una forma o
sotto un'altra, e` comunissimo difetto che ci segue in tutte le tappe
della vita spirituale e che muore solo con noi. Gl'incipienti non ne
hanno gran fatto coscienza, perche` non si studiano abbastanza
profondamente. Conviene assai chiamarne l'attenzione su questo punto,
indicando le forme piu` ordinarie di tal difetto, perche` ne facciano
materia dell'esame particolare.
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II. I difetti che nascono dall'orgoglio.

I principali sono la presunzione, l'ambizione e la
vanagloria.

827. 1^ La presunzione e` il desiderio e la speranza disordinata di
voler fare cose superiori alle proprie forze. Nasce dal fatto che uno
ha troppo buona opinione di se`, delle proprie facolta` naturali, della
propria scienza, delle proprie forze, delle proprie virtu`.

a) Sotto l'aspetto intellettuale, uno si crede capace d'affrontare e
di risolvere i problemi piu` difficili e le piu` ardue questioni, o
almeno di imprendere studi sproporzionati al proprio ingegno.

Un altro si persuade facilmente di aver molto giudizio e molto senno,
e, in cambio di saper dubitare, risolve con gran disinvoltura le piu`
controverse questioni. b) Sotto l'aspetto morale, uno crede di aver
lumi sufficienti per regolarsi da se` e che non sia poi gran che utile
consultare un direttore. Altri crede che, nonostante i peccati
passati, non vi sia da temer ricadute, e imprudentemente si getta in
occasioni di peccato in cui soccombe; onde poi scoraggiamenti e
dispetti che diventano spesso causa di nuove ricadute.

c) Sotto l'aspetto spirituale, si ha poco gusto per le virtu` nascoste
e penose, preferendo le virtu` appariscenti; e invece di costruire sul
fondamento sodo dell'umilta`, si va fantasticando di grandezza d'animo,
di forza di carattere, di magnanimita`, di zelo apostolico, di trionfi
immaginari che si assaporano gia` nell'avvenire. Ma alle prime gravi
tentazioni uno s'accorge subito quanto ancor debole e vacillante e` la
volonta`. Qualche volta pure si disprezzano le preghiere comuni e
quelle che si chiamano le piccole pratiche di pieta`; e si aspira a
grazie straordinarie quando invece si e` appena ai principi della vita
spirituale.

828. 2^ Questa presunzione, congiunta all'orgoglio, genera
l'ambizione, vale a dire l'amor disordinato degli onori, delle
dignita`, dell'autorita` sugli altri. Presumendo troppo delle proprie
forze e stimandosi superiore agli altri, uno vuol dominarli,
governarli, impor loro le proprie idee.

Il disordine dell'ambizione, dice S. Tommaso, puo` manifestarsi in tre
modi 828-1: 1) cercando onori che non si meritano e che sono
superiori alle nostre facolta`; 2) cercandoli per se`, per la propria
gloria, e non per la gloria di Dio; 3) compiacendosi degli onori in se
stessi, senza farli servire al bene altrui, contrariamente all'ordine
stabilito da Dio, il quale vuole che i superiori lavorino pel bene
degli inferiori.

Quest'ambizione invade tutti i campo: 1) il campo politico, dove si
aspira a governar gli altri, a costo qualche volta di molte bassezze,
di molti compromessi, di mille vilta` che si commettono per avere i
voti degli elettori; 2) il campo intellettuale, ostinatamente cercando
d'imporre agli altri le proprie idee, anche in questioni liberamente
discusse; 3) la vita civile, ove avidamente si cercano i primi
posti, 828-2 gli uffici piu` pomposi, gli ossequi della folla; 4) e
anche la vita ecclesiastica; perche`, come dice Bossuet, 828-3
"quante precauzioni non si dovettero prendere per impedire nelle
elezioni, anche ecclesiastiche e religiose, l'ambizione, gli intrighi,
le brighe, le segrete sollecitazioni, le promesse e le pratiche piu`
criminali, i patti simoniaci e gli altri disordini troppo comuni in
questa materia; eppure non si e` riusciti a intieramente estirpare
questi vizi, ma forse solo a coprirli o a palliarli". Anche nel clero,
osserva S. Gregorio Magno 828-4, vi sono di quelli che vogliono
essere chiamati dottori, e cercano avidamente i primi posti e i
complimenti.

E` dunque difetto piu` comune di quello che a prima vista si crederebbe
e che si connette con la vanita`.

829. 3^ La vanita` e` l'amore disordinato della stima altrui; si
distingue dall'orgoglio che si compiace nella propria eccellenza, ma
ne e` ordinariamente una derivazione, perche`, quando uno si stima in
modo eccessivo, e` naturale che desideri d'essere stimato anche dagli
altri.

830. A) Malizia della vanita`. Vi e` un desiderio d'essere stimato che
non e` disordine: chi desidera che le sue doti, naturali o
soprannaturali, siano riconosciute perche` Dio ne sia glorificato e se
avvantaggi la sua influenza in fare il bene, per se` non fa peccato,
essendo conforme all'ordine che cio` che e` buono venga stimato, a patto
pero` che se ne riconosca Dio come autore e a lui solo se ne dia
lode 830-1. Tutto al piu` si potra` dire che e` pericoloso fissare il
pensiero sopra desideri di questo genere, correndo rischio di
desiderare la stima altrui per fini egoistici.

Il disordine quindi consiste nel voler essere stimati con la mira a
se`, senza riferir questo onore a Dio che pose in noi quanto c'e` di
buono; o nel voler essere stimati per cose vane che non meritano lode;
o infine nel cercar la stima di quelli il cui giudizio non ha valore,
dei mondani, per esempio, che pregiano solo le vanita`.

Nessuno descrisse questo difetto meglio di S. Francesco di
Sales 830-2: "Vana chiamasi la gloria che uno si da` o per cosa che
non sia in noi, o per cosa che sia in noi ma non nostra, o per cosa
che sia in noi e nostra ma non meritevole che uno se ne glorii. La
nobilta` della famiglia, il favore dei grandi, l'aura popolare sono
cose che non sono in noi ma o nei nostri antenati o nell'opinione
altrui. Vi sono di quelli che vanno superbi e pettoruti perche`
cavalcano un bel destriero; perche` hanno un bel pennacchio al
cappello; perche` sono riccamente vestiti; ma chi non vede che questo e`
follia? Poiche` se in cio` vi e` gloria, la gloria spetta al cavallo,
all'uccello, al sarto... Altri si stimano e si pavoneggiano per due
baffi ben rilevati, per la barba ben ravviata, per i cappelli crespi,
per le mani delicate, per saper danzare, sonare, cantar bene; ma non
sono vili costoro a volersi rialzare in valore e in riputazione per
ragioni cosi` frivole e cosi` goffe? Altri poi, per un poco di scienza,
vogliono essere da tutti onorati e rispettati, come se ognuno dovesse
andare a scuola da loro e tenerli per maestri; onde sono chiamati
pedanti. Altri si pavoneggiano pensando alla propria bellezza e
credono che tutti li vagheggino. Tutto cio` e` grandemente vano, goffo e
insulso, e la gloria che si trae da cose cosi` meschine si chiama vana,
goffa e frivola".

831. B) Difetti che derivano dalla vanita`. La vanita` produce
parecchi difetti, che ne sono come la manifestazione esteriore, in
particolare: la millanteria, l'ostentazione e l'ipocrisia.

1) La millanteria o iattanza e` l'abitudine di parlare di se` o di cio`
che puo` tornare a proprio vantaggio con la mira di farsi stimare. Ce
ne son di quelli che parlano di se`, della propria famiglia, dei propri
trionfi con un'ingenuita` che fa sorridere gli ascoltatori; altri fanno
destramente piegare la conversazione su un argomento in cui possono
brillare; altri poi parlano timidamente dei propri difetti con la
segreta speranza di trovare chi li scusa ponendone in rilievo le buone
qualita` 831-1.

2) L'ostentazione consiste nell'attirarsi l'attenzione con certi modi
di fare, col fasto di cui si fa pompa, con certe singolarita`.

3) L'ipocrisia prende la veste o le apparenze della virtu`, nascondendo
sotto veri vizi segreti.
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III. La malizia dell'orgoglio.

A ben giudicare questa malizia, si puo` considerar l'orgoglio in se`
o negli effetti.

832. 1^ In se`: A) l'orgoglio propriamente detto, quello che
coscientemente e volontariamente usurpa, anche solo implicitamente, i
diritti di Dio, e` peccato grave, anzi il piu` grave dei peccati, dice
S. Tommaso, perche` non vuol sottomettersi al sovrano dominio di Dio.

a) Voler quindi essere indipendente e rifiutar d'obbedire a Dio o ai
suoi legittimi rappresentanti in materia grave, e` peccato mortale,
perche` in tal modo uno si rivolta contro Dio, legittimo nostro
sovrano.

b) E` pur peccato grave l'attribuire a se` cio` che viene chiaramente da
Dio, massime i doni della grazia; perche` e` implicitamente negare che
Dio e` il primo principio di tutto il bene che e` in noi. Eppure molti
lo fanno, dicendo, per esempio: io mi sono fatto da me.

c) Si pecca anche gravemente quando si vuole operare per se`,
escludendo Dio; e` infatti negargli il diritto d'essere l'ultimo nostro
fine.

833. B) L'orgoglio attenuato, che, pur riconoscendo Dio come primo
principio e come ultimo fine, non gli rende tutto cio` che gli e` dovuto
e implicitamente gli toglie parte della sua gloria, e` peccato veniale
qualificato. Tal e` il caso di quelli che si gloriano delle loro buone
qualita` e delle loro virtu`, quasi che tutto cio` fosse cosa di loro
esclusiva proprieta`; oppure di quelli che sono presuntuosi, vanitosi,
ambiziosi, senza pero` far nulla che sia contrario a una legge divina
od umana in materia grave. Questi peccati possono anche farsi mortali,
se spingono ad atti gravemente riprensibili. Cosi` la vanita`, che in se`
e` solo peccato veniale, diventa peccato grave quando fa contrar debiti
che non si potranno poi pagare, o quando si cerca di eccitare in altri
amore disordinato. Bisogna quindi esaminar l'orgoglio anche negli
effetti.

834. 2^ Negli effetti: A) l'orgoglio, non represso, riesce talora a
perniciosissimi effetti. Quante guerre non furono suscitate
dall'orgoglio dei governanti e qualche volta degli stessi
popoli! 834-1 E senza andar tanto lontano, quante divisioni nelle
famiglie, quanti odii tra gli individui devono attribuirsi a questo
vizio! I Padri giustamente insegnano che e` radice di tutti gli altri
vizi, e che corrompe pure molti atti virtuosi, facendoli fare con
egoistica intenzione 834-2.

835. B) Se guardiamo la cosa sotto il rispetto della perfezione, che
e` quello di cui stiamo trattando, si puo` dire che l'orgoglio e` il gran
nemico della perfezione perche` produce nell'anima una desolante
sterilita` ed e` fonte di numerosi peccati.

a) Ci priva infatti di molte grazie e di molti meriti:

1) Di molte grazie, perche` Dio, il quale da` liberalmente la grazia
agli umili, la nega ai superbi: Deus superbis resistit, humilibus
autem dat gratiam 835-1. Pesiamo bene queste parole: Dio resiste
ai superbi, "perche`, dice l'Olier 835-2, il superbo assale
direttamente Dio e se la prende con la stessa sua persona, onde Dio
resiste alle insolenti e orribili sue pretese; e poiche` vuol
conservarsi in cio` che e`, abbatte e distrugge quanto si leva contro di
lui".

2) Di molti meriti: una delle condizioni essenziali del merito e` la
purita` d'intenzione; ora l'orgoglioso opera per se`, o per piacere agli
uomini, invece di operare per Dio, e merita quindi il rimprovero
rivolto ai Farisei che facevano le opere buone con ostentazione, per
essere visti dagli uomini, onde non potevano aspettarsi di essere
ricompensati da Dio: "alioquin mercedem non habebitis apud Patrem
vestrum qui in caelis est.... amen, amen dico vobis, receperunt
mercedem suam" 835-3.

836. b) E` pure fonte di numerose colpe; 1) colpe personali: per
presunzione uno si espone al pericolo e vi soccombe; per orgoglio non
si chiedono istantemente le grazie di cui si ha bisogno e si cade;
viene poi lo scoraggiamento e si corre pericolo di dissimulare i
peccati in confessione; 2) colpe contro il prossimo: per orgoglio non
si vuol cedere anche quando si ha torto; si e` mordaci nelle
conversazioni, si intavolano discussioni aspre e violenti che generano
dissensioni e discordie; quindi parole amare e anche ingiuste contro i
rivali per umiliarli, critiche acerbe contro i Superiori e rifiuti
d'obbedienza ai loro ordini.

837. c) Finalmente e` causa di disgrazie per chi si abbandona
abitualmente all'orgoglio: l'orgoglioso, volendo grandeggiare in tutto
e dominare il prossimo, non trova piu` ne` pace ne` riposo. Non e` infatti
tranquillo finche` non abbia potuto trionfar degli emuli; or cio` non
riuscendogli mai intieramente, ne resta turbato, agitato, infelice.
Convien dunque cercar rimedio a vizio cosi` pericoloso.
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IV. I rimedii dell'orgoglio.

838. Abbiamo gia` detto (n. 207) che il grande rimedio
dell'orgoglio sta nel riconoscere che Dio e` l'autore di ogni bene,
onde a lui solo spetta ogni onore e ogni gloria. Da noi non siamo che
nulla e peccato e non meritiamo quindi che obli`o e disprezzo
(n. 208)

839. 1^ Noi siamo un nulla. Di questo devono gl'incipienti ben
convincersi nella meditazione, lentamente ruminando al lume divino i
seguenti pensieri: io sono un nulla, io non posso nulla, io non valgo
nulla.

A) Io sono un nulla: piacque, e` vero, alla divina bonta` di scegliermi
tra miliardi di esseri possibili per darmi l'esistenza, la vita,
un'anima spirituale ed immortale, e io ne lo devo quotidianamente
benedire. Ma: a) io esco dal nulla e per mio peso tendo al nulla, ove
infallantemente ricadrei se il Creatore con la incessante sua azione
non mi conservasse: il mio essere dunque non appartiene a me ma e`
intieramente di Dio, e a lui ne devo far omaggio.

b) Quest'essere che Dio mi diede e` una vivente realta`, un immenso
beneficio di cui non potrei ringraziarlo mai troppo; ma, per quanto
ammirabile, quest'essere, paragonato con l'Essere divino, e` come un
nulla, "Tanquam nihilum ante te" 839-1, tanto e` imperfetto: 1) e`
un essere contingente, che potrebbe sparire senza che nulla venisse a
mancare alla perfezione del mondo; 2) e` un essere mutuato, che non mi
fu dato che sotto l'espressa riserva del supremo dominio di Dio; 3) e`
un essere fragile, che non puo` sussistere da se`, bisognoso ad ogni
istante d'essere sorretto da colui che lo creo`. E` dunque un essere
essenzialmente dipendente da Dio, la cui unica ragione di esistere e`
di rendere gloria al suo autore. Chi dimentichi questa dipendenza, chi
operi come se le sue buone qualita` fossero intieramente sue e se ne
vanti, commette un inconcepibile errore, una follia e un'ingiustizia.

840. Quanto diciamo dell'uomo nell'ordine della natura e` anche piu`
vero nell'ordine della grazia: questa partecipazione della vita
divina, che costituisce la mia nobilta` e la mia grandezza, e` dono
essenzialmente gratuito che ricevetti da Dio e da Gesu` Cristo, che non
posso conservare a lungo senza la divina grazia e che non puo` crescere
in me senza il soprannaturale suo concorso (n. 126-128), onde e` il
caso di ripetere: "gratias Deo super inenarrabili dono
ejus" 840-1. Quale ingratitudine e quale ingiustizia l'attribuire
a se` una minima particella di questo dono essenzialmente divino? "Quod
autem habes quod non accepisti? Si autem accepisti, quid gloriaris
quasi non acceperis?" 840-2.

841. B) Io da me non posso nulla: e` vero che ricevetti da Dio
preziose facolta` che mi fanno conoscere e amare la verita` e la bonta`;
che queste facolta` poi perfezionate dalle virtu` soprannaturali e dai
doni dello Spirito Santo; che non potro` mai ammirare abbastanza questi
doni di natura e di grazia che si integrano e si armonizzano tra loro
cosi` bene. Ma da me, di mia volonta`, io non posso nulla ne` per
metterle in moto ne` per perfezionarle: nulla nell'ordine naturale
senza il concorso di Dio; nulla nell'ordine soprannaturale senza la
grazia attuale, neppure formare un buon pensiero salutare, un buon
desiderio soprannaturale. Cio` sapendo, potrei inorgoglirmi di queste
naturali e soprannaturali facolta`, come se fossero intieramente mie?
Anche questa sarebbe ingratitudine, follia, ingiustizia.

842. C) Io non valgo nulla: se considero cio` che Dio ha posto in me
e cio` che vi opera con la sua grazia, io sono certamente un essere di
gran pregio e di grande valore: "empti enim estis pretio
magno 842-1... tanti vales quanti Deus: valgo quello che sono
costato e sono costato il sangue di un Dio! Ma l'onore della mia
redenzione e della mia santificazione spetta a me o a Dio? La risposta
non potrebbe essere dubbia. -- Ma insomma, dice l'amor proprio vinto,
io ho pur qualche cosa che e` mia e mi da` valore, e` il libero mio
consenso al concorso e alla grazia di Dio. -- Certo qualche parte ve
l'abbiamo ma non la principale: questo libero consenso non e` che
l'esercizio delle facolta` dateci gratuitamente da Dio, e nel momento
stesso in cui lo diamo, Dio l'opera in noi come causa principale:
"operatur in vobis et velle et perficere" 842-2. E poi per una
volta che consentiamo a seguir l'impulso della grazia, quante altre
volte le abbiamo resistito! quante volte vi cooperiamo solo
imperfettamente! Non c'e` veramente di che vantarci ma piuttosto di che
umiliarci.

Quando un gran maestro dipinge un capolavoro, a lui viene attribuito e
non agli artisti di terzo o di quarto ordine che ne furono i
collaboratori. A piu` forte ragione dobbiamo noi attribuire i nostri
meriti a Dio che ne e` causa prima e principale, tanto che, come canta
la Chiesa con S. Agostino, Dio corona i doni suoi coronando i meriti
nostri "coronando merita coronas dona tua" 842-3.

843. 2^ Io sono un peccatore, e come tale, merito disprezzo, tutti i
disprezzi che piacera` a Dio di addossarmi. A convincercene, basti
richiamare quanto dicemmo del peccato mortale e del veniale.

A) Se ebbi la disgrazia di commettere un solo peccato mortale, merito
eterne umiliazioni, perche` ho meritato l'inferno. Ho, e` vero, la dolce
fiducia che Dio m'abbia perdonato; ma non resta con cio` meno vero che
ho commesso un delitto di lesa Maesta` divina, una specie di deicidio,
una sorta di suicidio spirituale, n. 719, e che, per espiar
l'offesa alla divina Maesta`, debbo essere pronto ad accettare, a
desiderare anzi tutto le umiliazioni possibili, le maldicenze, le
calunnie, le ingiurie, gli insulti; perche` tutto cio` e` assai al di
sotto di quanto merita colui che offese anche una volta sola
l'infinita Maesta` di Dio. Che se ho offeso Dio moltissime volte, quale
non dev'essere la mia rassegnazione, anzi la gioia, quando mi si
presenti l'occasione d'espiare i peccati con obbrobri di cosi breve
durata!

844. B) Abbiamo tutti commesso dei peccati veniali e veniali
deliberati, volontariamente preferendo la volonta` e il piacer nostro
alla volonta` e alla gloria di Dio. Or questo, come abbiamo detto al
n. 715, e` offesa alla divina maesta`, offesa che merita umiliazioni
cosi` profonde da non poter mai da noi stessi, fosse pure con una vita
passata tutta nella pratica dell'umilta`, restituire a Dio tutta la
gloria di cui l'abbiamo ingiustamente spogliato. Se pare esagerato
questo linguaggio, si pensi alle lacrime e alle austere penitenze dei
Santi che non avevano commesso se non peccati veniali e che non
credevano d'aver fatto mai abbastanza per purificarsi l'anima e
riparare gli oltraggi inflitti alla divina maesta`. I santi vedevano le
cose meglio di noi, e se noi non la pensiamo come loro e` perche` siamo
accecati dall'orgoglio.

Dobbiamo dunque, come peccatori, non solo non cercar la stima altrui,
ma disprezzarci e accettar tutte le umiliazioni che Dio vorra`
mandarci.
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sez. II. L'invidia 845-1.

845. L'invidia e` nello stesso tempo passione e vizio capitale. Come
passione, e` una specie di tristezza profonda che si prova nella
sensibilita` osservando il bene altrui; impressione accompagnata da uno
stringimento di cuore che ne diminuisce l'attivita` e produce un
sentimento d'angoscia.

Qui ci occupiamo dell'invidia soprattutto come vizio capitale, e ne
esporremo: 1^ la natura; 2^ la malizia; 3^ i rimedi.

846. 1^ Natura. A) L'invidia e` una tendenza a rattristarsi del bene
altrui come di attentato contro la nostra superiorita`. E` accompagnata
dal desiderio di vedere il prossimo privo del bene che ci offusca.

E` dunque vizio che nasce dall'orgoglio, il quale non puo` tollerare ne`
superiori ne` rivali. Quando si e` convinti della propria superiorita`,
si prova tristezza a vedere che gli altri hanno doti pari o superiori
alle nostre, o che almeno riescono meglio di noi. Materia di invidia
sono principalmente le doti brillanti; ma nelle persone serie
l'invidia mira anche a doti piu` sode e perfino alla virtu`.

Questo difetto si manifesta colla pena che si prova sentendo questi
elogi criticando le persone lodate.

847. B) Spesso si confonde l'invidia con la gelosia; volendole
distinguere, la gelosia viene definita un amore eccessivo del proprio
bene accompagnato dal timore che da altri ci venga tolto. Uno, per
esempio, era il primo della scuola, vede i progressi di un
condiscepolo e ne prende gelosia, perche` teme che lo privi del primo
posto. Uno possiede l'affezione d'un amico: viene a temere che gli sia
tolta da un rivale e ne prende gelosia. Si ha una numerosa clientela e
si teme che sia diminuita da un concorrente: nasce allora quella
gelosia che infierisce talora tra professionisti, artisti, letterati,
e talvolta anche tra sacerdoti. In una parola si e` invidiosi del bene
altrui e gelosi del proprio.

C) Vi e` differenza tra invidia ed emulazione: l'emulazione e` un
sentimento lodevole che ci porta ad imitare, ad uguagliare, e, se e`
possibile, a superare le buone qualita` altrui, sempre pero` con mezzi
leali.

848. 2^ Malizia. Si puo` studiar questa malizia in se` e negli
effetti.

A) In se`, l'invidia e` di natura sua peccato mortale, perche` e`
direttamente opposta alla virtu` della carita` che vuole che uno si
rallegri del bene altrui. Quanto piu` il bene invidiato e` importante,
tanto piu` grave e` il peccato; quindi, dice S. Tommaso 848-1,
invidiare i beni spirituali del prossimo, rattristarsi dei suoi
progressi o dei suoi trionfi apostolici, e` peccato gravissimo. Il che
e` vero quando i moti d'invidia sono pienamente acconsentiti; ma spesso
non si tratta che di impressioni, o di sentimenti involontari o almeno
poco volontari e accompagnati da poca o nessuna riflessione, onde la
colpa allora puo` essere tutt'al piu` veniale.

849. B) Negli affari l'indivia e` talvolta assai colpevole.

a) Eccita sentimenti di odio: si corre pericolo di odiare coloro di
cui si ha invidia o gelosia, e quindi di sparlarne, denigrarli,
calunniarli, desiderar loro del male.

b) Tende a seminar divisioni non solo tra gli estranei ma anche tra i
membri di una stessa famiglia (si ricordi la storia di Giuseppe), o
tra famiglie imparentate; divisioni che possono andar molto avanti e
generare inimicizie e scandali. Scinde talvolta i cattolici d'una
stessa regione con gran detrimento del bene della Chiesa.

c) Spinge alla smodata ricerca delle ricchezze e degli onori: per
superare quelli a cui si porta invidia, uno si abbandona ad eccessi di
lavoro, a intrighi piu` o meno leali, in cui l'onesta` corre molto
rischio.

d) Turba l'anima dell'invidioso: non si ha ne` pace ne` riposo finche`
non si e` riusciti ad eclissare, a dominare i propri rivali; ed essendo
ben raro che vi si riesca, si vive in perpetue angoscie.

850. 3^ Rimedi. Sono negativi o positivi.

A) I mezzi negativi consistono: a) nel disprezzare i primi sentimenti
d'invidia e di gelosia che sorgono in cuore, schiacciarli come qualche
cosa di ignobile, come si schiaccia un rettile velenoso; b) nel
districarsi, occupandosi d'altro; tornata poi la calma, si riflette
che le doti del prossimo non diminuiscono le nostre, ci sono anzi
stimolo ad imitarle.

851. B) Tra i mezzi positivi, i piu` importanti sono due:

a) Il primo viene dalla nostra incorporazione a Cristo: in virtu` di
questo domma, siamo tutti fratelli, tutti membri del corpo mistico di
cui Gesu` e` il capo, e le buone qualita` e le fortune d'uno di questi
membri ridondano sugli altri; onde, invece di rattristarci della
superiorita` dei fratelli, dobbiamo rallegrarcene, secondo la dottrina
di S. Paolo, 851-1 perche` contribuisce al bene comune e anche al
nostro bene particolare. -- Se poi le altrui virtu` diventano per noi
oggetto di invidia, "in cambio di portar loro invidia e gelosia per
ragione di queste virtu`, come spesso avviene per suggestione del
demonio e di Gesu` Cristo nel Santo Sacramento, onorando in lui la
fonte di queste virtu`, e chiedendogli la grazia di parteciparvi e di
comunicarvi; e vedrete quanto questa pratica vi tornera` utile e
vantaggiosa" 851-2.

852. b) Il secondo mezzo consiste nel coltivar l'emulazione,
lodevole e cristiano sentimento che c'invita a imitare e anche a
sorpassare, sorretti dalla grazia di Dio, le virtu` del prossimo.

Perche` sia buona e si distingua dall'invidia, l'emulazione cristiana
dev'essere: 1) onesta nell'oggetto, vale a dire che non deve mirare ai
trionfi ma alle virtu` altrui per imitarle; 2) nobile nell'intenzione,
non cercando di trionfare sugli altri, di umiliarli, di dominarli, ma
di divenir migliori, se e` possibile, perche` Dio sia piu` onorato e la
Chiesa piu` rispettata; 3) leale nei mezzi, usando, per conseguire il
fine, non l'intrigo, l'astuzia o qualsiasi altro illecito procedere,
ma lo sforzo, il lavoro, il buon uso dei doni divini.

Cosi` intesa, l'emulazione e` efficace rimedio contro l'invidia, perche`
senza punto ledere la carita` e` ottimo stimolo. Infatti il considerare
come modelli i migliori tra i fratelli per imitarli, o anche per
superarli, e` in sostanza un riconoscere la nostra imperfezione e un
volervi rimediare giovandoci dei buoni esempi di coloro che ci stanno
attorno. E non e` questo in fondo un accostarsi a cio` che faceva
S. Paolo quando invitava i discepoli ad essere suoi imitatori come
egli era di Cristo: "Imitatores mei estote sicut et ego
Christi"? 852-1 e seguire i consigli che dava ai cristiani di
osservarsi l'un l'altro per eccitarsi a carita` e a buone opere:
"Consideremus invicem in provocationem caritatis et bonorum
operum"? 852-2. E non e` un entrare nello spirito della Chiesa,
che, proponendo i Santi alla nostra imitazione, ci provoca a nobile e
santa emulazione? Cosi` l'invidia non sara` per noi che occasione di
coltivar la virtu`.

sez. III. L'ira 853-1.

L'ira (o collera) e` una deviazione di quell'instintivo sentimento che
ci porta a difenderci quando siamo assaliti, respingendo la forza con
la forza. Ne diremo: 1^ la natura; 2^ la malizia; 3^ i
rimedii.
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I. Natura dell'ira.

853. C'e` un'ira-passione e un'ira-sentimento.

1^ L'ira, considerata come passione, e` un violento bisogno di
reazione, determinato da un patimento o da una contrarieta` fisica o
morale. Questa contrarieta` fa scattare una violenta emozione che tende
le forze allo scopo di vincere la difficolta`: si e` allora portati a
scaricar l'ira sulle persone, sugli animali o sulle cose.

Se ne distinguono due forme principali: l'ira rossa o espansiva nei
forti, e l'ira bianca o pallida o spasmodica nei deboli. Nella prima,
il cuore batte con violenza e spinge il sangue alla periferia, la
respirazione si accelera, il viso s'imporpora, il collo si gonfia, le
vene si rilevano sotto la pelle; i capelli si rizzano, lo sguardo
lampeggia, gli occhi paiono uscir dalle orbite, la narici si dilatono,
la voce diventa rauca, interrotta, esuberante. La forza muscolare
aumenta: tutto il corpo e` teso per la lotta e il gesto irresistibile
colpisce, spezza o allontana violentemente l'ostacolo. -- Nell'ira
bianca, il cuore si serra, la respirazione diventa difficile, il viso
si fa estremamente pallido, un sudore freddo bagna la fronte, la
mascelle si chiudono, si sta in cupo silenzio, ma l'agitazione
internamente contenuta finisce con scoppiar brutalmente e si sfoga in
colpi violenti.

854. 2^ L'ira, considerata come sentimento, e` un desiderio ardente
di respingere e di punire l'aggressore.

A) Vi e` un'ira legittima, un santo sdegno che altro non e` se non
desiderio ardente, ma ragionevole, d'infliggere ai colpevoli il giusto
castigo. Cosi` Nostro Signore si accese di giusto sdegno contro i
venditori che profanavano col traffico la casa di suo Padre 854-1;
il sommo sacerdote Eli fu invece severamente rimproverato per non aver
represso la cattiva condotta dei figli.

Perche` dunque l'ira sia legittima, e` necessario che sia: a) giusta
nell'oggetto, non mirando a punire se non chi lo merita e nella misura
che merita; b) moderata nell'esercizio, non oltrepassando cio` che
l'offesa commessa richiede e seguendo l'ordine voluto dalla giustizia;
c) caritatevole nell'intenzione, non lasciandosi andare a sentimenti
di odio, ma solo cercando la restaurazione dell'ordine e l'emenda del
reo. Se alcuna di queste condizioni manchi, si avra` un biasimevole
eccesso. L'ira e` legittima particolarmente nei superiori e nei
genitori; ma anche i semplici cittadini hanno talvolta il diritto e il
dovere di assecondarla per difendere gl'interessi della citta` e
impedire il trionfo dei malvagi; vi sono infatti uomini pei quali poco
vale la dolcezza e che temono solo il castigo.

855. B) Ma l'ira vizio capitale e` violento e smodato desiderio di
punire il prossimo senza tener conto delle tre indicate condizioni.
L'ira e` spesso accompagnata da odio, che cerca non solo di respingere
l'aggressione ma di trarne vendetta, onde e` sentimento piu` meditato e
piu` durevole, e che ha quindi piu` gravi conseguenze.

856. L'ira ha vari gradi: a) al principio e` solo moto d'impazienza:
uno si mostra di malumore alla prima contrarieta`, al primo cattivo
successo; b) poi e` impeto di collera, onde uno si irrita oltre misura,
manifestando il malcontento con gesti disordinati; c) talvolta giunge
alla violenza, sfogandosi non solo in parole ma anche con colpi: d) e
puo` anche arrivare fino al furore, che e` passeggiera pazzia; il
collerico non e` piu` padrone di se`, ma trascorre a parole incoerenti, a
gesti talmente disordinati, che si direbbe vera pazzia; e) finalmente
degenera talvolta in odio implacabile, che non respira che vendetta e
giunge fino a desiderar la morte dell'avversario. Conviene saper
distinguere questi vari gradi per valutarne la malizia.
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II. Malizia dell'ira.

L'ira si puo` considerare in se` e negli effetti.

857. 1^ Considerata in se`, si puo` ancora distinguere:

A) Quando e` semplicemente passeggiero moto di passione, e` di natura
sua peccato veniale: perche` vi e` allora eccesso nel modo con cui si
esercita, oltrepassando la debita misura; ma non vi e`, come si
suppone, violazione delle grandi virtu` della giustizia o della carita`.
Vi sono peraltro casi in cui l'ira e` talmente eccessiva che si perde
la padronanza di se` e si trascorre a gravi insulti contro il prossimo;
se questi moti, benche` prodotti dalla passione, sono deliberati e
volontari, costituiscono colpa grave; ma spesso non sono che
semivolontari.

858. B) L'ira che giunge all'odio e al rancore se deliberata e
volontaria, e` di natura sia peccato mortale, perche` viola gravemente
la carita` e spesso pure la giustizia. Di questa collera disse Nostro
Signore: "Chi s'adira contro il fratello, merita di essere punito dai
giudici; e chi avra` detto al fratello: Raca, merita di essere punito
dal Consiglio (Sinedrio); e chi avra` detto: Stolto, merita di essere
gettato nella geenna del fuoco" 858-1. Se pero` il moto di odio non
e` deliberato o se vi si da` solo consenso imperfetto, la colpa sara`
soltanto leggiera.

859. 2^ Gli effetti dell'ira, quando non vengono repressi, sono
talvolta terribili.

A) Seneca li descrisse in termini vivaci: all'ira attribuisce
tradimenti, omicidi, avvelenamenti, intestine divisioni nelle
famiglie, dissensioni e lotte civili, guerre con tutte le funeste loro
conseguenze 859-1. Anche quando non giunge a tali eccessi, e` pur
sempre fonte di gran numero di colpe, perche` ci fa perdere la signori`a
di noi stessi, e turba specialmente la pace delle famiglie e produce
terribili inimicizie.

860. B) Rispetto alla perfezione, l'ira e`, detta di
S. Gregorio 860-1, grande ostacolo al progresso spirituale.
Perche`, se non viene repressa, ci fa perdere: 1) il senno ossia la
ponderazione; 2) la gentilezza, che abbellisce le relazioni sociali;
3) la premura della giustizia, perche` la passione ci fa misconoscere i
diritti del prossimo; 4) il raccoglimento interno, cosi` necessario
all'intima unione con Dio, alla pace dell'anima, alla docilita` alle
ispirazioni della grazie. Conviene quindi cercarne i rimedi.

III. Rimedi contro l'ira.

Questi rimedi devono combattere la passione dell'ira e il sentimento
di odio che ne e` talora la conseguenza.

861. 1^ A trionfar della passione non bisogna trascurare mezzo
alcuno.

A) Vi sono mezzi igienici che giovano a prevenire o a moderare la
collera, come, per esempio, un regime alimentare emolliente, i bagni
tiepidi, le docce, l'astinenza dalle bevande eccitanti e in
particolare dalle spiritose: atteso l'intimo vincolo che corre tra
l'anima e il corpo bisogna saper moderare anche il corpo. Dovendosi
pero`, in questa materia, tener conto del temperamento e dello stato di
salute, prudenza vuole che si consulti il medico 861-1.

862. B) Ma anche migliori sono i rimedi morali. a) A prevenir l'ira,
e` bene abituarsi a riflettere prima di operare, per non lasciarsi
dominare dai primi assalti della passione: lavoro di lunga lena ma
efficacissimo. b) Quando poi, non ostante ogni vigilanza, questa
passione, ci sorprende il cuore, "e` meglio respingerla subito anziche`
mettersi a discutere con lei; perche`, per poco tempo che le si dia,
diventa padrona di tutto il campo, a modo del serpente che insinua
tutto il corpo dove puo` ficcare la testa... Appena dunque ve ne
accorgete, bisogna che raccogliate subito le forze, non bruscamente o
impetuosamente ma con calma e serieta`" 862-1. Altrimenti, volendo
reprimere l'ira con impetuosita`, ci turbiamo anche di piu`.
c) A reprimere meglio l'ira, e` utile distrarsi, pensando ad altro che
a cio` che puo` eccitarla; bisogna quindi bandire il ricordo delle
ingiurie ricevute, allontanare i sospetti, ecc. d) "Bisogna invocare
l'aiuto di Dio quando ci sentiamo agitati dalla collera, ad imitazione
degli Apostoli vessati dal vento e dalla tempesta in mezzo al lago, e
Dio comandera` alle nostre passioni di calmarsi, onde seguira` grande
bonaccia" 862-2.

863. 2^ Quando l'ira eccita in noi sentimenti di odio, di rancore o
di vendetta, non si puo` radicalmente guarirli che con la carita`
fondata sull'amor di Dio. E` bene rammentare che siamo tutti figli
dello stesso Padre celeste, incorporati allo stesso Cristo, chiamati
alla stessa felicita` eterna, e che queste grandi verita` sono
incompatibili con ogni sentimento di odio. Quindi: a) Si richiameranno
le parole del Pater: rimetti a noi i nostri debiti come noi rimettiamo
ai nostri debitori; vivamente desiderando di ricevere il perdono di
Dio, si perdonera` piu` volentieri ai propri nemici. b) Non si
dimenticheranno gli esempi di Nostro Signore che da` a Giuda il nome di
amico anche nel momento del tradimento e che dall'alto della croce
prega per i suoi carnefici; e gli si chiedera` il coraggio di
dimenticare e di perdonare. c) Si schivera` di pensare alle ingiurie
ricevute e a tutto cio` che vi si riferisce. I perfetti pregheranno per
quelli che li hanno offesi e troveranno in questa preghiera grande
addolcimento alle ferite dell'anima.

Tali sono i mezzi principali per trionfar dei tre primi peccati
capitali, l'orgolio, l'invidia, e l'ira; passiamo ora a trattar dei
difetti che derivano dalla sensualita` o dalla concupiscenza della
carne: gola, lussuria e accidia.

ART. II. DEI PECCATI CHE SI CONNETTONO CON LA SENSUALITA`.

sez. I. Della gola 864-1.

La golosita` non e` che l'abuso del legittimo diletto che Dio volle
associare al mangiare e al bere tanto necessari alla conservazione
dell'individio. Ne diremo: 1^ la natura; 2^ la malizia; 3^ i
rimedi.

864. 1^ Natura. La golosita` e` l'amore disordinato dei piaceri della
tavola, del bere o del mangiare. Il disordine consiste nel cercare il
diletto del nutrimento per se stesso, considerandolo esplicitamente o
implicitamente come fine, ad esempio di coloro che si fanno un Dio del
loro ventre, "quorum Deus venter est" 864-2; o nel cercarlo con
eccesso, senza darsi pensiero delle regole della sobrieta` e qualche
volta anche con danno della salute.

865. I teologi notano quattro modi diversi di mancare a queste
regole.

Praepropere: mangiar prima che se ne senta il bisogno, fuori delle ore
stabilite per i pasti, facendolo senza ragione, per pura golosita`.

Laute et studiose: cercar vivande squisite o squisitamente cucinate
per averne maggior diletto: e` il peccato dei buongustai e dei
ghiottoni.

Nimis: oltrepassare i limiti dell'appetito o del bisogno, rimpinzarsi
di cibo o di bevanda, a rischio di guastarsi la salute; e` chiaro che
il solo piacere disordinato puo` spiegare quest'eccesso, che nel mondo
viene detto voracita`.

Ardenter: mangiare avidamente, ingordamente, come certi animali;
l'ingordigia e` tenuta nel mondo per grossolanita`.

866. 2^ La malizia della golosita` deriva dal fatto che rende l'anima
schiava del corpo, abbrutisce l'uomo, ne infiacchisce la vita
intellettuale e morale, e lo prepara per insensibile pendi`o ai diletti
della volutta`, che in fondo e` vizio dello stesso genere. Per valutarne
la colpevolezza, occorre fare una distinzione.

A) La golosita` e` colpa grave: a) quando arriva ad eccessi tali da
renderci incapaci, per un tempo notevole, di adempiere i doveri del
nostro stato o di obbedire alle leggi divine o ecclesistiche; per
esempio, quando nuoce alla salute, quando e` fonte di pazze spese che
danneggiano la famiglia, quando fa che si violino le leggi
dell'astinenza o del digiuno. b) Lo stesso e` a dire quando diventa
causa di colpe gravi.

Diamone alcuni esempi. "Gli eccessi della tavola, dice il
P. Janvier, 866-1 dispongono all'incontinenza che e` figlia della
golosita`. Incontinenza degli occhi e delle orecchie che chiedono
perniciosi pascolo agli spettacoli e ai canti licenziosi; incontinenza
della fantasia che si sconcerta; incontinenza della memoria che cerca
nel passato ricordi capaci d'eccitare la concupiscenza; incontinenza
del pensiero che, traviando, si disperde in oggetti illeciti;
incontinenza del cuore che aspira ad affetti carnali; incontinenza
della volonta` che rinunzia alla sua signoria per farsi schiava dei
sensi... L'intemperanza della tavola conduce all'intemperanza della
lingua. Quante colpe non commette la lingua nei sontuosi e prolungati
pranzi! Colpe contro la gravita`... Colpe contro la discretezza. Si
tradiscono segreti che si era promesso di custodire, sacri segreti
professionali, e si da` in pascolo alla malignita` il buon nome d'un
marito, d'una sposa, d'una madre, l'onore d'una famiglia, e perfino
l'avvenire d'una nazione. Colpe contro la giustizia e la carita`! La
maldicenza, la calunnia, la detrazione nelle forme piu` inescusabili
corrono liberamente e senza riguardo... Colpe contro la prudenza! Si
prendono impegni che non si potranno poi mantenere senza offendere
tutte le leggi della morale...>>.

867. B) La golosita` e` colpa soltanto veniale quando si cede ai
diletti della mensa immoderatamente, senza pero` cadere in eccessi
gravi e senza esporsi a violare importanti precetti. Cosi` sarebbe
peccato veniale mangiare o bere piu` del consueto, per diletto, per far
onore a un buon pasto o per compiacere un amico, senza commettere
notevole eccesso.

868. C) Rispetto alla perfezione, la golosita` e` ostacolo serio:
1) alimenta l'immortificazione, che infiacchisce la volonta`, e fomenta
l'amore del sensuale diletto che prepara poi l'anima a pericolosi
tracolli; 2) e` fonte di molte colpe, producendo allegria eccessiva,
che porta alla dissipazione, al cicali`o, alle facezie di cattivo
gusto, alla mancanza di riserbo e di modestia, e apre l'anima agli
assalti del demonio. Conviene quindi combatterla.

869. 3^ Rimedii. Il principio che deve guidarci nella lotta contro
la gola e` che il piacere non e` fine ma mezzo, onde dev'essere
subordinato alla retta ragione illuminata dalla fede, n. 193. Ora
la fede ci dice che dobbiamo santificare i piaceri della mensa con la
purita` d'intenzione, la sobrieta` e la mortificazione.

1) Prima di tutto bisogna cibarsi con intenzione retta e
soprannaturale, non da animale che cerca solo il piacere, non da
filosofo che si contenta di intenzione onesta, ma da cristiano, per
meglio lavorare alla gloria di Dio: in ispirito di riconoscenza alla
bonta` di Dio che si degna darci il pane quotidiano; in ispirito
d'umilta`, pensando con S. Vincenzo de' Paoli che non meritiamo il pane
che mangiamo; in ispirito d'amore, adoprando le ricuperate forze al
servizio di Dio e delle anime. Adempiamo cosi` la raccomandazione di
S. Paolo ai primi cristiani, che in molte comunita` viene richiamata al
principio dei pasti: "Sia che mangiate, sia che beviate, fate tutto
alla gloria di Dio: sive ergo manducatis, sive bibitis... omnia in
gloriam Dei facite" 869-1.

870. 2) Questa purita` d'intenzione ci fara` serbar la sobrieta` ossia
la giusta misura: volendo infatti mangiare per acquistar le forze
necessarie all'adempimento dei doveri del nostro stato, schiveremo
tutti gli eccessi che ci potrebbero danneggiar la salute. Ora, dicono
gli igienisti, "la sobrieta` o frugalita` e` essenziale condizione del
vigore fisico e morale. Mangiando per vivere, dobbiamo mangiar
sanamente per vivere sanamente. Non bisogna quindi ne` mangiar troppo
ne` troppo bere... Bisogna levarsi da mensa con sensazione di
leggerezza e di vigore, restare con un po' d'appetito, e schivar la
pesantezza per eccesso di buona tavola" 870-1.

E` pero` bene notare che la misura non e` uguale per tutti. Vi sono
temperamenti che, a preservarsi dalla tubercolosi, esigono piu` copiosa
alimentazione; altri invece, a combattere l'artritismo, devono moderar
l'appetito. Ognuno quindi s'attenga in questo ai consigli d'un savio
medico.

871. 3) Alla sobrieta` il cristiano aggiunge la pratica di qualche
mortificazione. A) Essendo facile sdrucciolare sul pendi`o e concedere
troppo alla sensualita`, e` bene privarsi talora di qualche alimento che
piace, che sarebbe anzi utile, ma non necessario. Si acquista cosi` una
certa padronanza sulla sensualita`, sottraendole alcune legittime
soddisfazioni; si svincola l'anima dalla servitu` dei sensi, le si da`
maggior liberta` per la preghiera e per lo studio, e si scansano molte
tentazioni pericolose.

B) Ottima pratica e` l'abituarsi a non prender pasto senza fare qualche
mortificazione. Queste piccole privazioni hanno il vantaggio di
rinvigorir la volonta` senza nuocere alla salute, e sono quindi
generalmente preferibili alle mortificazioni piu` importanti che non
occorrono che di rado. Le anime pie vi aggiungono un motivo di carita`;
si lascia qualche cosa per i poveri, e quindi per Gesu` che vive nella
loro persona; pero`, come bene osserva S. Vincenzo Ferreri, 871-1
cio` che si lascia non dev'essere cosa di rifiuto, ma boccone scelto,
sia pur piccolo. Ed e` pure buona pratica abituarsi a mangiare un po'
di cio` che non piace.

872. C) Tra le mortificazioni piu` utili poniamo quelle dei liquori
alcoolici.

Richiamiamo su questo punto alcuni principii:

a) In se` l'uso moderato dell'alcool o delle bevande spiritose non e`
male: non si possono quindi biasimare i laici o gli ecclesiastici che
ne usano moderatamente.

b) Ma l'astenersi per spirito di mortificazione o per dar buon
esempio, e` certo lodevolissima cosa. Quindi certi sacerdoti e certi
laici addetti all'azione cattolica si astengono da ogni liquore per
dissuaderne piu` facilmente gli altri.

c) Vi sono casi in cui tale astinenza e` moralmente necessaria per
scansare eccessi: 1) quando, per atavismo, si e` ereditata una certa
propensione alle bevande spiritose: anche il semplice uso puo` allora
generare una quasi irresistibile inclinazione, come basta una
scintilla per suscitar un incendio in materie infiammabili; 2) chi
avesse avuto la disgrazia di contrarre inveterate abitudini
d'alcoolismo: il solo rimedio efficace ne sara` allora spesso
l'astinenza totale.
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19/10/2013 18:17
 
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sez. II. La Lussuria. 873-1

873. 1^ Natura. Dio, come volle che un sensibile diletto fosse
annesso al nutrimento per aiutar l'uomo a conservare la vita, cosi`
associo` pure speciale diletto agli atti con cui l'umana specie si
propaga.

Lecito quindi e` questo diletto alle persone coniugate, a patto che ne
usino pel nobilissimo fine per cui il matrimonio fu istituito, la
trasmissione della vita; fuori del matrimonio e` rigorosamente
proibito. Non ostante questa proibizione, vi e` sciaguratamente in noi,
soprattutto a cominciare dall'eta` della puberta` o della adolescenza,
una tendenza piu` o meno violenta a gustar questo diletto anche fuori
del legittimo matrimonio. E` quella disordinata tendenza che si chiama
lussuria e che vien condannata nel sesto e nel nono precetto del
Decalogo: "Non commettere atti impuri; non desiderar la donna
d'altri" 873-2.

Non dunque i soli atti esterni vengono proibiti ma anche gli atti
interni acconsentiti, immaginazioni, pensieri, desideri. E a ragione:
perche` se uno si ferma deliberatamente su fantasie o pensieri
disonesti e su desideri cattivi, i sensi si turbano, e sorgono moti
organici che non sono bene spesso se non preludio d'atti contrari alla
purita`. Chi dunque vuole schivare questi atti, deve pur combattere i
pericolosi pensieri e le pericolose immaginazioni.

874. 2^ Gravita` di queste colpe. A) Quando si cerca e si vuole
direttamente il piacere cattivo, il voluttuoso diletto, si commette
peccato mortale. E` infatti gravissimo disordine compromettere la
conservazione e la propagazione dell'umana stirpe. Ora, posto come
principio che si possano cercare i diletti della volutta` in pensieri,
in parole o in atti, fuori del legittimo uso del matrimonio, sarebbe
impossibile porre un freno al furore di questa passione, le cui
esigenze aumentano con le soddisfazioni che le si concedono, e presto
il fine del Creatore verrebbe frustrato. Il che si fa pur manifesto
dall'esperienza: quanti giovani si rendono incapaci di trasmettere la
vita per aver abusato del loro corpo! Quindi nel piacere cattivo
direttamente voluto non si da` parvita` di materia.

B) Ma vi sono casi in cui questo piacere, senza che sia direttamente
cercato, sorge per effetto di certe azioni peraltro buone o almeno
indifferenti. Se non vi si consente e se d'altra parte si ha ragione
sufficiente per far l'azione che vi da occasione, non c'e` peccato e
non bisogna quindi impensierirsene. Ma se gli atti che causano queste
sensazioni non sono ne` necessari ne` utili, come le letture pericolose,
le rappresentazioni teatrali, le conversazioni leggiere, i balli
lascivi, e` chiaro che l'abbandonarvisi e` peccato d'imprudenza piu` o
meno grave secondo la gravita` del disordine cosi` prodotto e del
pericolo di acconsentirvi.

875. C) Rispetto alla perfezione, non v'e`, dopo la superbia,
ostacolo piu` grande al progresso spirituale, del vizio impuro. a) O si
tratta di peccati solitari o di peccati commessi con altri, non
tardano a produrre tiranniche abitudini che spengono ogni slancio alla
perfezione e inclinano la volonta` ai grossolani diletti. Non piu` gusto
per la preghiera; non piu` gusto per le austere virtu`; non piu` nobili e
generose aspirazioni. b) L'anima e` invasa dall'egoismo: l'amore che si
aveva per i genitori o per gli amici intristisce e scompare quasi
intieramente; non resta piu` che l'avidita` di godere a ogni costo dei
cattivi diletti: e` una vera ossessione. c) Rotto e` allora l'equilibrio
delle facolta`: il corpo e la volutta` hanno l'impero; la volonta`
diviene schiava di questa vergognosa passione e presto si rivolta
contro Dio che interdice e castiga questi cattivi piaceri.

d) I tristi effetti di questa abdicazione della volonta` si fanno
presto sentire: l'intelligenza infiacchisce e s'ottunde perche` la vita
e` discesa dalla testa nei sensi: non si ha piu` gusto per gli studi
seri; l'immaginazione non si volge piu` che a cose basse; il cuore a
poco a poco sfiorisce, si fa arido e duro, non sentendo piu`
allettative che per i grossolani diletti. e) Spesso anche il corpo ne
rimane profondamente colpito: il sistema nervoso, sovraeccitato da
questi abusi, s'irrita, si svigorisce e "diviene inetto all'ufficio di
regolazione e di difesa" 875-1; i vari organi non funzionano piu`
che imperfettamente; la nutrizione si fa male, cadono le forze e si e`
minacciati di consunzione.

E` chiaro che un'anima cosi` sconvolta, avvivante un corpo debole, non
pensa piu` alla perfezione; se ne allontana anzi ogni giorno piu`;
fortunata se potra` ravvedersi a tempo e assicurarsi almeno l'eterna
salvezza!

Conviene quindi indicare alcuni rimedi contro questo grossolano vizio.

876. 3^ Rimedi. Per resistere a passione cosi` pericolosa, occorrono:
convinzioni profonde, fuga delle occasioni pericolose,
mortificazione e preghiera.

A) Convinzioni profonde e sulla necessita` di combattere questo vizio e
sulla possibilita` di riuscirvi.

a) Quanto dicemmo sulla gravita` del peccato della lussuria mostra
quanto sia necessaria fuggirlo per non esporsi alle pene eterne. Vi si
possono aggiungere due altri motivi tratti da S. Paolo: 1) Siamo
tempii vivi della SS. Trinita`, tempii santificati dalla presenza del
Dio d'ogni santita` e da una partecipazione della vita divina (97,
106). Ora nulla insozza maggiormente questo tempio quanto il vizio
impuro che profana nello stesso tempo il corpo e l'anima del
battezzato. 2) Siamo membra di Gesu` Cristo, a cui fummo incorporati
col battesimo; dobbiamo quindi rispettare il nostro corpo come il
corpo stesso di Cristo. E vorremo profanarlo con atti contrari alla
purita`? Non sarebbe questo una specie di obbrobrioso sacrilegio? e
tutto per procurarci un grossolano diletto che ci abbassa al livello
dei bruti?

877. b Ci sono molti che dicono che e` impossibile praticar la
continenza. Cosi` la pensava pure Agostino prima di convertirsi. Ma
ritornato a Dio e sorretto dagli esempi dei Santi e dalla grazia dei
Sacramenti, capi` che non c'e` nulla d'impossibile quando si sa pregare
e lottare. E questa e` la pura verita`: da noi siamo cosi` deboli e il
piacere cattivo e` talora cosi` lusinghiero che finiremmo per
soccombere: ma quando ci appoggiamo sulla grazia divina e facciamo
sforzi energici, usciamo vittoriosi dalle piu` rudi tentazioni. Ne` si
dica che la continenza nei giovani e` contraria alla sanita`; i medici
onesti rispondono col Congresso internazionale di Bruxelles 877-1:
"Bisogna soprattutto insegnare alla gioventu` maschile che la castita` e
la continenza non solo non sono nocive, ma che anzi queste virtu` sono
raccomandabili anche sotto l'aspetto puramente medico ed igienico".
Non si conosce infatti nessuna malattia prodotta dalla continenza,
mentre ve ne sono molte che hanno origine nella lussuria.

878. B) La fuga delle occasioni. E` assioma spirituale che la castita`
si conserva principalmente con la fuga delle occasioni pericolose;
quando uno e` convinto della propria debolezza non si espone
inutilmente al pericolo. Quando si tratta di occasioni non necessarie,
bisogna diligentemente fuggirle sotto pena di soccombervi: chi si
espone al pericolo vi perisce: "qui amat periculum in illo
peribit" 878-1. Quando dunque si tratti di letture, di visite,
d'incontri, di rappresentazioni pericolose, a cui uno puo` senza
notevole inconveniente sottrarsi, non si deve esitare; in cambio di
cercarle si fuggono come si fugge un pericoloso serpente. Se poi
queste occasioni non possono essere evitate, bisogna rafforzar la
volonta` con disposizioni interne che rendano i pericolo meno prossimo.
Cosi` S. Francesco di Sales dichiara che se le danze non si possono
evitare, devono almeno essere accompagnate da modestia, dignita` e
retta intenzione; onde poi queste pericolose ricreazioni non abbiano a
destare cattivi affetti, e` bene riflettere che, durante quel ballo,
molte anime ardono nell'inferno per i peccati commessi nel ballo o per
causa del ballo 878-2. Quanto piu` vero e` questo oggi che balli
esotici e lascivi hanno invaso tanti saloni!

879. C) Vi sono pero` occasioni che non si possono evitare, e sono
quelle che uno incontra ogni giorno dentro di se` e fuori di se`, e che
non si possono vincere che con la mortificazione. Abbiamo gia` detto
che cosa sia questa virtu` e quali ne siano le pratiche,
n. 754-815. Non possiamo che richiamare alcune delle sue
prescrizioni che riguardano piu` direttamente la castita`.

a) Gli occhi specialmente devono essere custoditi, perche` gli sguardi
imprudenti accendono i desideri e questi trascinano la volonta`. Ecco
perche` Nostro Signore afferma che chi guarda una donna con
concupiscenza, ha gia` commesso adulterio nel suo cuore: "qui viderit
mulieren ad ad concupiscendam eam, jam maechatus est in corde
suo" 879-1; e aggiunge che se l'occhio destro ci e` occasione di
scandalo, bisogna strapparlo 879-2, vale a dire allontanare
energicamente lo sguardo dall'oggetto che ci scandalizza. Questa
modestia degli occhi e` tanto piu` necessaria oggi che si e` esposti ad
incontrare quasi dappertutto persone e cose capaci di suscitar
tentazioni.

b) Il senso del tatto e` anche piu` pericoloso, perche` eccita
impressioni sensuali che tendono facilmente a cattivi diletti; bisogna
quindi astenersi da quei toccamenti o carezze che non possono che
eccitar le passioni.

c) Quanto alla fantasia e alla memoria, si richiamino le regole
esposte al n. 781. Riguardo alla volonta`, bisogna rinvigorirla con
virili educazione, secondo i principi esposti ai n. 811-816.

880. d) Anche il cuore dev'essere mortificato con la lotta contro le
sensibili e pericolose amicizie (n. 600-604). E` vero che viene un
momenti in cui le persone che si preparano al matrimonio si legano di
legittimo amore, ma sia amore casto e soprannaturale; schiveranno
quindi quei segni d'affetto che fossero contrari alle leggi della
decenza, rammentandosi che la loro unione, per poter essere benedetta
da Dio, deve restar pura. Quanto alle persone ancor troppo giovani da
pensare al matrimonio, staranno in guardia contro quelle affezioni
sensibili che, ammollendo il cuore, lo preparano a pericolose
transazioni. Non si puo` impunemente scherzar col fuoco. E poi se uno
esige dalla persona che vuole sposare un cuor puro, non dovra` esser
puro anche quello che le offre?

881. e) Finalmente una delle piu` utili mortificazioni e` l'energica e
costante applicazione ai doveri del proprio stato. L'ozio e` cattivo
consigliere; il lavoro invece, occupando tutta la nostra attivita`, ci
allontana la fantasia, la mente e il cuore dagli oggetti pericolosi;
sul che ritorneremo presto, al n. 887.

882. D) La preghiera. a) Il Concilio di Trento ci avverte che Dio
nulla comanda d'impossibile ma ci chiede di fare quello che possiamo e
di pregare per ottener quello che da noi non possiamo 882-1.
Prescrizione che si applica soprattutto alla castita`, la quale
presenta per la maggior parte dei cristiani, anche per quelli che sono
nel santo stato del matrimonio, speciali difficolta`. A trionfarne,
bisogna pregare, pregar spesso, e meditare sulle grandi verita`: queste
frequenti ascensioni dell'anima a Dio ci distaccano a poco a poco dai
sensuali diletti per elevarci a pure e sante delizie.

b) Alla preghiera bisogna aggiungere la pratica frequente dei
sacramenti. 1) Quando uno si confessa spesso, e sinceramente si accusa
delle colpe o delle imprudenze commesse contro la purita`, la grazia
dell'assoluzione, unita ai consigli del confessore, invigorisce in
singolar modo la volonta` contro le tentazioni. 2) Grazia che
maggiormente si rinsalda con la comunione frequente: l'intima unione
col Dio d'ogni santita` smorza la concupiscenza, rende l'anima piu`
sensibile ai beni spirituali e la distacca quindi dai grossolani
diletti. Con la confessione e con la comunione frequente S. Filippo
Neri guariva i giovani abituati nel vizio impuro; e anche oggi non c'e`
rimedio piu` efficace sia a preservare come a fortificare la bella
virtu`. Se tanta gioventu` maschile e femminile sfugge al contagio del
vizio, lo deve alle pratiche religiose, ove trova l'arma efficace
contro le tentazioni che l'assediano. E` vero che quest'arma richiede
coraggio, energia, frequenti rinnovati sforzi; ma con la preghiera,
coi sacramenti e con la salda volonta` si trionfa di tutti gli
ostacoli.
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sez. III. L'accidia o pigrizia 883-1.

883. L'accidia o pigrizia si connette con la sensualita`, perche`
sorge in sostanza dall'amor del piacere in quanto ci porta a fuggire
lo sforzo o l'incomodo. Vi e` infatti in noi tutti una tendenza al
minimo sforzo che intorpidisce o diminuisce la nostra operosita`.
Esponiamone: 1^ la natura; 2^ la malizia; 3^ i rimedi.

884. 1^ Natura. A) L'accidia e` una tendenza all'ozio o almeno alla
negligenza e al torpore nell'operare. E` talora disposizione morbosa
proveniente da cattivo stato di salute; ma ordinariamente e` malattia
della volonta` che paventa e rifiuta lo sforzo. L'accidioso vuole
schivare ogni pena, tutto cio` che puo` turbarne il riposo e indurre
qualche fatica. Vero parassita, vive, per quanto gli e` possibile, a
spese altrui. Dolce e rassegnato finche` non viene disturbato,
s'arrabbia e incattivisce quando si vuol trarlo dalla sua inerzia.

b) Vi sono vari gradi nell'accidia. a) L'indolente non pone mano al
lavoro che con lentezza, fiacchezza e indifferenza; se fa qualche
cosa, la fa male. b) Il fannullone non rifiuta assolutemente il
lavoro, ma indugia, va a zonzo e ritarda indefinitamente l'affare che
aveva accettato. c) Il vero accidioso o pigro o infingardo non vuol
far nulla di faticoso e mostra spiccata avversione per ogni lavoro
serio di corpo e di mente.

C) Quando la pigrizia riguarda gli esercizi di pieta` ritiene in
particolar modo il nome di accidia e consiste in un certo disgusto
alle pratiche spirituali, che induce a farle con negligenza, ad
abbreviarle, e talora anche ad ometterle sotto vani pretesti. E` la
madre della tiepidezza, di cui parleremo a proposito della via
illuminativa.

885. 2^ Malizia. A) A capire la malizia dell'accidia, bisogna
ricordarsi che l'uomo e` fatto per il lavoro. Quando Dio ebbe creato il
nostro primo padre, lo pose in un giardino di delizie perche` lo
coltivasse: "ut operaretur et custodiret illum" 885-1. L'uomo
infatti non e`, come Dio, un essere perfetto; possiede molteplici
facolta` che hanno bisogno di operare pre perfezionarsi: e` quindi per
lui necessita` di natura il lavorare per coltivar queste facolta`, per
provvedere ai bisogni del corpo e dell'anima e tendere cosi` al proprio
fine. La legge del lavoro precede dunque il peccato originale. Caduto
l'uomo nel peccato, il lavoro divento` per lui non solo legge di natura
ma castigo, nel senso che il lavoro gli riesce ora penoso ed e` come
mezzo per riparare il peccato; col sudore della fronte dobbiamo
mangiare il nostro pane, il pane dell'intelligenza e il pane che
nutrisce il corpo: "in sudore vultus tui vesceris pane" 885-2.

Ora a questa doppia legge, naturale e positiva, contravviene
l'accidioso; onde commette un peccato la cui gravita` dipende dalla
gravita` dei doveri da lui trascurati. a) Quando giunge fino a
trascurare i doveri religiosi necessari alla sua eterna salute o alla
sua santificazione, fa peccato grave. Cosi` pure quando trascura
volontariamente, in materia rilevante, qualcuno dei doveri del suo
stato. b) Se poi questo torpore non gli fa trascurare che doveri,
religiosi o civili, di non molta importanza, il peccato e` soltanto
veniale. Ma il pendi`o e` sdrucciolevole e, se questa indolenza non
viene combattuta, presto si aggrava e diventa piu` funesta e piu`
colpevole.

886. B) Rispetto alla perfezione, l'accidia o pigrizia spirituale e`
uno degli ostacoli piu` seri pei funesti suoi effetti.

a) Rende la vita piu` o meno sterile.. Si puo` infatti applicare
all'anima quanto la Sacra Scrittura dice del campo dell'uomo pigro:

"Passai accanto al podere di un neghittoso
e presso il vigneto d'un uomo privo di senno:
ed eccoli pieni di erbacce;
le ortiche ne coprivano la superficie,
e il muricciolo di pietre giaceva demolito.
A quella vista io riflettei:
quello spettacolo fu per me una lezione.
Un po' sonnecchiare, un po' dormire,
un po' con le mani in mano per riposare;
e ti sopraggiunge, come un vagabondo, la miseria
e l'indigenza come un accattone" 886-1.

E` proprio cio` che si trova nell'anima dell'accidioso: invece delle
virtu` vi crescono i vizi, e i muri che la mortificazione aveva eretto
a proteggerne la virtu`, a poco a poco si sgretolano e preparono la via
all'invasione del nemico, vale a dire del peccato.

887. b) Presto infatto le tentazioni diventano piu` vigorose e piu`
insistenti: "perche` l'ozio insegna molta malizia, multam malitiam
docuit otiositas" 887-1. Per questo vizio e per l'orgoglio rovino`
Sodoma: "Ecco quale fu il delitto di Sodoma: l'orgoglio, l'abbondanza
e l'accidioso riposo in cui vivevano le sue donne" 887-2. La
mente e il cuore dell'uomo non possono infatti restare inoperosi: se
non si occupano nello studio o in qualche altro lavoro, vengono subito
invasi da una folla di fantasmi, di pensieri, di desideri e d'affetti;
ora, nello stato di natura decaduta, cio` che domina in noi, quando non
le contrastiamo, e` la triplice concupiscenza; saranno quindi pensieri
sensuali, ambiziosi, orgogliosi, egoistici, interessati, quelli che
prenderanno il sopravvento nell'anima e la esporranno al
peccato 887-3.

888. C) Si tratta quindi non solo della perfezione dell'anima ma
anche della eterna salvezza. Perche`, oltre le colpe positive in cui
l'ozio ci fa cadere, il solo fatto di non adempiere gli importanti
nostri doveri e` sufficiente causa di riprovazione. Fummo creati per
servir Dio e adempiere i doveri del nostro stato, siamo operai mandati
da Dio a lavorar nella sua vigna; ora il padrone non chiede soltanto
agli operai di astenersi dal mal fare, ma vuole che lavorino; se
quindi, anche senza commettere atti positivi contro le leggi divine,
noi incrociamo le braccia invece di lavorare, il Padrone non avra`
ragione di rimproverarci, come agli operai evangelici, il nostro ozio?
"quid statis tota die otiosi?" L'albero sterile, pel solo fatto di non
produr frutti, merita di essere tagliato e gettato al fuoco: "omnis
ergo arbor, quae non facit fructum bonum, excidetur et in ignem
mittetur" 888-1.

889. 3^ Rimedi. A) A guarire il pigro bisogna prima di tutto
inculcargli convinzioni profonde sulla necessita` del lavoro, fargli
capire che ricchi e poveri sono soggetti a questa legge, e che il
mancarvi basta ad incorrere l'eterna dannazione. E` questa la lezione
che ci da` Nostro Signore nella parabola del fico sterile; per tre anni
viene il padrone a cercarvi frutti: non trovandovene, ordina al
vignaiuolo di atterrarlo: "succide illam, ut quid terram
occupat?" 889-1.

Ne` si dica: io sono ricco e non ho bisogno di lavorare. -- Se non
avete bisogno di lavorare per voi, dovete farlo per gli altri. Ve lo
comanda Dio, vostro padrone: vi diede le braccia, un'intelligenza, un
cervello, dei mezzi, perche` li utilizziate a gloria sua e a bene dei
fratelli. Non mancano certo le opere buone da fare: quanti poveri da
soccorrere, quanti ignoranti da istruire, quanti cuori affranti da
consolare, quante grandi imprese da fondare per dare a chi ne
abbisogna pane e lavoro! E volendo farsi una numerosa famiglia, non
bisogna forse penare e faticare per assicurare l'avvenire dei figli?
Non si dimentichi dunque la grande legge della solidarieta` cristiana,
in virtu` della quale il lavoro dei singoli serve a tutti, mentre la
pigrizia nuoce tanto al bene generale come al particolare.

890. B) Alle convinzioni conviene aggiungere il continuato e
metodico sforzo, applicando le regole esposte sulla educazione della
volonta`, n. 812. E poiche` il pigro indietreggia come per istinto
davanti allo sforzo, e` opportuno mostrargli che in fin dei conti non
vi e` uomo piu` infelice dell'ozioso: perche`, non sapendo come impiegare
o, com'egli dice, ammazzare il tempo, s'annoia, si disgusta di tutto,
e finisce col prendere in orrore la stessa vita. Non e` dunque meglio
fare un poco di sforzo, rendersi utile, e procurarsi un poco di
felicita` studiandosi di rendere felici quelli che gli stanno intorno?

Fra gli accidioso vi sono di quelli che adoprano una certa attivita`,
ma unicamente in giuochi, in divertimenti ginnastici, in riunioni
mondane. Si rammenti a costoro che cosa seria e` la vita e che si e`
obbligati a rendersi utili, cosicche` rivolgano l'attivita` a campo piu`
nobile e sentano orrore di essere parassiti. Il matrimonio cristiano,
con gli obblighi domestici che porta seco, e` spesso ottimo rimedio: un
padre di famiglia sente bisogno di lavorare per i figli, e di non
affidare a stranieri l'amministrazione dei loro beni.

Quello pero` che non bisogna cessar mai di richiamare, e` lo scopo della
vita: 890-1 siamo qui sulla terra, non per vivere da parassiti,
ma per conquistarci, col lavoro e con la virtu`, un posto nel cielo. E
Dio continuamente ci ripete: Che fate dunque qui, o pigri? Andate
anche voi a lavorare nella mia vigna. "Quid hic statia tota die
otiosi?... Ite et vos in vineam meam" 890-2.
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