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COMPENDIO DI TEOLOGIA SPIRITUALE

Ultimo Aggiornamento: 24/10/2013 13:41
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15/10/2013 12:43
 
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CONCLUSIONE.

226. 1^ La vita cristiana e`, come abbiamo visto, una lotta, lotta
penosa che, con peripezie diverse, non termina che alla morte; lotta
di importanza capitale, perche` la posta ne e` la vita eterna. Come
insegna S. Paolo, ci sono in noi due uomini: a) l'uomo rigenerato,
l'uomo nuovo, con tendenze nobili, soprannaturali, divine, prodotte in
noi dallo Spirito Santo per i meriti di Gesu` e per l'intercessione
della SS. Vergine e dei Santi; tendenze a cui ci studiamo di
corrispondere mettendo in opera, sotto l'influsso della grazia
attuale, l'organismo soprannaturale di cui Dio ci ha dotati. b) Ma al
suo fianco c'e` l'uomo naturale, l'uomo carnale, il vecchio uomo, con
le tendenze malvage che il battesimo non ha estirpato dall'anima
nostra: e` la triplice concupiscenza che abbiamo dal primo nostro
nascere, e che il mondo e il demonio stuzzicano e rinforzano, tendenza
abituale che ci porta all'amore disordinato dei piaceri sensuali,
della nostra eccellenza e dei beni della terra. Questi due uomini
vengono fatalmente a conflitto: la carne o l'uomo vecchio desidera e
cerca il piacere senza curarsi della sua moralita`; lo spirito ben gli
rammenta che vi sono piaceri proibiti e pericolosi che bisogna
sacrificare al dovere, vale a dire alla volonta` di Dio; ma, insistendo
la carne nei suoi desideri, la volonta`, aiutata dalla grazia, e`
obbligata a mortificarla e occorrendo crocifiggerla. Il cristiano e`
dunque un soldato, 226-1 un atleta, che lotta per una corona
immortale e lotta fino alla morte.

227. 2^ Questa lotta e` perpetua; perche`, non ostante i nostri sforzi
non possiamo liberarci dall'uomo vecchio; non possiamo che
indebolirlo, incatenarlo, e fortificare nello stesso tempo l'uomo
nuovo contro i suoi assalti. Da principio la lotta e` quindi piu` viva,
piu` accanita, e i contrattacchi del nemico piu` numerosi e piu`
violenti. Ma a mano a mano che, con sforzi energici e costanti,
riportiamo vittorie, il nostro nemico s'indebolisce, le passioni si
calmano, e, salvo certi momenti di prova voluti da Dio per elevarci a
piu` alta perfezione, godiamo d'una calma relativa, presagio della
vittoria definitiva. Alla grazia di Dio ne dobbiamo il buon esito. Non
dimentichiamo pero` che le grazie concesseci sono grazie di
combattimento non di riposo; che siamo lottatori, atleti, asceti, e
che dobbiamo, come S. Paolo, lottare sino alla fine per meritar la
corona: "Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho
conservato la fede. Ormai mi e` serbata la corona di giustizia che il
Signore mi dara`: Bonum certamen certavi, cursum consummavi, fidem
servavi. In reliquo reposita est mihi corona iustitiae quam reddet mihi
Dominus" 227-1. E` questo il mezzo di perfezionare in noi la vita
cristiana e d'acquistare copiosi meriti.

sez. II. L'aumento della vita spirituale per mezzo del merito 228-1.

228. Noi progrediamo per mezzo della lotta contro i nostri nemici ma
piu` ancora con gli atti meritorii che facciamo ogni giorno. Ogni opera
buona, fatta liberamente da un'anima in stato di grazia per un fine
soprannaturale, possiede un triplice valore, meritorio, sodisfattorio
e impetratorio, che contribuisce al nostro progresso spirituale.

a) Un valore meritorio, col quale aumentiamo il nostro capitale di
grazia abituale e i nostri diritti alla gloria celeste: ne riparleremo
subito.

b) Un valore sodisfattorio, che inchiude a sua volta un triplice
elemento: 1) la propiziazione, che per ragion del cuore contrito ed
umiliato ci rende propizio Dio e l'inclina a perdonarci le colpe;
2) l'espiazione che, con l'infusione della grazia, cancella la colpa;
3) la sodisfazione che, per il carattere penoso annesso alle nostre
buone opere, annulla in tutto o in parte la pena dovuta al peccato.
Questi felici risultati non sono prodotti soltanto dalle opere
propriamente dette ma anche dall'accettazione volontaria dei mali e
dei patimenti di questa vita, come insegna il Concilio di
Trento 228-2; il quale aggiunge che vi e` in questo un gran segno
del divino amore. Che cosa infatti di piu` consolante che poterci
giovare di tutte le avversita` per purificarci l'anima e unirla piu`
perfettamente a Dio?

c) Finalmente queste opere hanno pure un valore impetratorio, in
quanto contengono una domanda di nuove grazie rivolta all'infinita
misericordia di Dio. Come ben fa notare S. Tommaso, si prega non solo
quando in modo esplicito si presenta una supplica a Dio, ma anche
quando con uno slancio del cuore o con le opere si tende a Lui, cosi`
che prega sempre colui che l'intiera sua vita tiene sempre ordinata a
Dio: "tamdiu homo orat quamdiu agit corde, ore vel opere ut in Deum
tendat, et sic semper orat qui totam suam vitam in Deum
ordinat" 228-3. Infatti, questo slancio verso Dio non e` forse una
preghiera, un'elevazione dell'anima verso Dio e un mezzo efficacissimo
per ottenere da Lui quanto desideriamo per noi e per gli altri?

Per lo scopo che ci proponiamo, ci bastera` esporre la dottrina sul
merito dicendone:
* 1^ la natura;
* 2^ le condizioni che ne aumentano il valore.

I. La natura del merito.

Due punti sono da spiegare:
* 1^ che cos'e` il merito;
* 2^ in che modo le nostre azioni sono meritorie.
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15/10/2013 12:44
 
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1^ CHE COS'E` IL MERITO.

229. A) Il merito in generale e` il diritto a una ricompensa. Il
merito soprannaturale, di cui qui trattiamo, sara` dunque il diritto a
una ricompensa soprannaturale, vale a dire a una partecipazione alla
vita di Dio, alla grazia e alla gloria. Non essendo Dio tenuto a farci
partecipare alla sua vita, occorrera` una promessa da parte sua per
conferirci un vero diritto a questa ricompensa soprannaturale. Si puo`
quindi definire il merito soprannaturale: un diritto a una ricompensa
soprannaturale, che risulta da un'opera soprannaturale buona, fatta
liberamente per Dio, e da una promessa divina che garantisce questa
ricompensa.

230. B) Il merito e` di due specie: a) il merito propriamente detto
(che si chiama de condigno), al quale la retribuzione e` dovuta per
giustizia, perche` vi e` una specie d'uguaglianza o di proporzione reale
tra l'opera e la retribuzione; b) il merito di convenienza (de
congruo), che non si fonda sulla stretta giustizia ma su un'alta
convenienza, essendo l'opera solo in piccola misura proporzionata alla
ricompensa. Per dare un'idea approssimativa di questa differenza, si
puo` dire che il soldato che si diporta valorosamente sul campo di
battaglia, ha uno stretto diritto al soldo di guerra, ma solo un
diritto di convenienza ad essere citato nel bollettino di guerra o ad
essere decorato.

C) Il Concilio di Trento insegna che le opere dell'uomo giustificato
meritano veramente un aumento di grazia, la vita eterna, e, se muore
in questo stato, il conseguimento della gloria 230-1.

231. D) Richiamiamo brevemente le condizioni generali del merito.
a) L'opera, per essere meritoria, dev'essere libera; infatti se si
opera per forza o per necessita`, non si e` moralmente responsabili dei
propri atti. b) Deve essere soprannaturalmente buona, per aver
proporzione colla ricompensa; c) e, quando si tratta di merito
propriamente detto, dev'essere fatto in stato di grazia, perche` e` la
grazia che fa abitare e vivere Cristo nell'anima nostra e ci rende
partecipi dei suoi meriti; d) fatta nel corso della vita mortale o
viatoria, avendo Dio sapientemente determinato che, dopo un periodo di
prova in cui possiamo meritare o demeritare, arrivassimo al termine,
dove si resta fissati per sempre nello stato in cui si muore. A queste
condizioni da parte dell'uomo si aggiunge, da parte di Dio, la
promessa che ci da` un vero diritto alla vita eterna; secondo
S. Giacomo infatti "il giusto riceve la corona di vita che Dio ha
promesso a coloro che l'amano: Accipiet coronam vitae quam repromisit
Deus diligentibus se" 231-1.

2^ COME GLI ATTI MERITORI AUMENTANO LA GRAZIA E LA GLORIA.

232. Pare difficile a prima vista capire come atti semplicissimi,
comunissimi, ed essenzialmente transitori, possano meritare la vita
eterna. La difficolta` sarebbe insolubile se questi atti provenissero
solo da noi; ma in verita` si e` in due a farli, sono il risultato della
cooperazione di Dio e della volonta` umana, il che spiega la loro
efficacia: Dio, coronando i nostri meriti, corona pure i suoi doni,
avendo in questi meriti una parte preponderante. Spieghiamo dunque la
parte di Dio e quella dell'uomo e cosi` intenderemo meglio l'efficacia
degli atti meritori.

A) Dio e` la causa principale e primaria dei nostri meriti: "Non sono
io che opero, dice S. Paolo 232-1, ma la grazia di Dio con me:
Non ego, sed gratia Dei mecum. E` Dio infatti che crea le nostre
facolta`, che le eleva allo stato soprannaturale perfezionandole con le
virtu` e coi doni dello Spirito Santo; e` Dio che con la grazia attuale,
preveniente e adiuvante, ci sollecita a fare il bene e ci aiuta a
farlo: egli e` dunque la causa primaria che mette in moto la nostra
volonta` e le da` forze nuove per abilitarla a operare
soprannaturalmente.

233. B) Ma la nostra libera volonta`, rispondendo alle sollecitazioni
di Dio, agisce sotto l'influsso della grazia e delle virtu`, e diviene
quindi causa secondaria ma reale ed efficiente dei nostri atti
meritorii, perche` siamo i collaboratori di Dio. Senza questo libero
consenso non c'e` merito; in cielo non meritiamo piu`, perche` la` non
possiamo non amare Dio che chiaramente vediamo essere bonta` infinita e
fonte della nostra beatitudine. D'altra parte anche la nostra
cooperazione e` soprannaturale: per mezzo della grazia abituale noi
siamo divinizzati nella nostra sostanza, per mezzo delle virtu` infuse
e dei doni lo siamo nelle nostre facolta`, e per mezzo della grazia
attuale anche nei nostri atti. Vi e` quindi vera proporzione tra le
nostre azioni, divenute deiforme, e la grazia che e` essa pure una vita
deiforme o la gloria che non e` se non lo sviluppo di questa stessa
vita. E` vero che questi atti sono transitorii e la gloria e` eterna; ma
poiche` nella vita naturale atti che passano producono abiti e stati
psicologici che restano, e` giusto che nell'ordine soprannaturale
avvenga lo stesso, che i nostri atti di virtu`, producendo nell'anima
una disposizione abituale ad amar Dio, siano ricompensati con una
durevole ricompensa; ed essendo l'anima nostra immortale, conviene che
la ricompensa non abbia fine.

234. C) Si potrebbe certamente obiettare che, non ostante questa
proporzione, Dio non e` tenuto a darci una ricompensa cosi` nobile e
duratura come la grazia e la gloria. Il che concediamo senza
difficolta` e riconosciamo che Dio, nella sua infinita bonta`, ci da` piu`
di quanto meritiamo; non sarebbe quindi tenuto a farci godere
dell'eterna visione beatifica se non ce l'avesse promesso. Ma ei l'ha
promesso per il fatto stesso d'averci destinato a un fine
soprannaturale; la qual promessa ci e` piu` volte ricordata nella
S. Scrittura, dove la vita eterna ci e` presentata come ricompensa
promessa ai giusti e come corona di giustizia: "coronam quam
repromisit Deus diligentibus se... corona justitiae quam reddet mihi
justus judex" 234-1. Quindi il Concilio di Trento dichiara che la
vita eterna e` nello stesso tempo una grazia misericordiosamente
promessa da Gesu` Cristo e una ricompensa che, in virtu` della promessa
di Dio, e` fedelmente concessa alle buone opere ed ai
meriti 234-2.

235. Per ragione appunto di questa promessa si puo` conchiudere che
il merito propriamente detto e` qualche cosa di personale: per noi e
non per gli altri meritiamo la grazia e la vita eterna, perche` la
divina promessa non va oltre. -- La cosa va ben diversamente per Gesu`
Cristo, il quale, essendo stato costituito capo morale dell'umanita`,
in virtu` di quest'ufficio merito` per ognuno dei suoi membri, e merito`
in senso stretto.

Possiamo certamente meritare anche per gli altri, ma solo con merito
ci convenienza; il che e` gia` cosa molto consolante, perche` cotesto
merito viene ad aggiungersi a cio` che meritiamo per noi stessi e ci fa
cosi` capaci, lavorando alla nostra santificazione, di cooperare pure a
quella dei nostri fratelli. Vediamo ora quali sono le condizioni che
aumentano il valore dei nostri atti meritorii.

II. Condizioni che aumentano il nostro merito.

236. Queste condizioni si traggono dalle varie cause che concorrono
a produrre gli atti meritori e quindi da Dio e da noi. Quanto a Dio,
possiamo fare assegnamento sulla sua liberalita`, perche` e` sempre
magnifico nei suoi doni. Onde la nostra attenzione deve principalmente
rivolgersi alle nostre disposizioni: vediamo cio` che puo` renderle
migliori sia da parte della persona che merita, come da
parte dell'atto meritorio.
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15/10/2013 12:45
 
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1. CONDIZIONI TRATTE DALLA PERSONA.

237. Quattro sono le condizioni principali che contribuiscono
all'aumento dei meriti:
* il grado di grazia abituale o di carita`;
* l'unione con Nostro Signore;
* la purita` d'intenzione;
* il fervore.

a) Il grado di grazia santificante. Per meritare in senso proprio,
bisogna essere in stato di grazia: quindi quanta piu` grazia abituale
possediamo, tanto piu`, a parita` di condizioni, siamo atti a meritare.
E` vero che alcuni teologi lo negarono sotto pretesto che questa
quantita` di grazia non influisce sempre sui nostri atti per renderli
migliori, e che anche certe anime sante operano talora con negligenza
e imperfezione. Ma la dottrina comune e` quella che sosteniamo.

1) Infatti il valore d'un atto, anche presso gli uomini, dipende in
gran parte dalla dignita` della persona che opera e dal credito che
gode presso colui che deve ricompensarlo. Ora cio` che fa la dignita`
d'un cristiano e gli da` credito sul cuore di Dio e` il grado di grazia
o di vita divina a cui e` elevato; e` questa la ragione per cui i Santi
del cielo o della terra hanno un potere d'intercessione cosi` grande.
Se quindi possediamo un grado di grazia piu` alto, ne viene che agli
occhi di Dio valiamo piu` di quelli che ne hanno meno, che maggiormente
gli piacciamo, e che per questo capo le nostre azioni sono piu` nobili,
piu` accette a Dio e quindi piu` meritorie.

2) Ma poi ordinariamente e normalmente questo grado di grazia avra` un
felice influsso sulla perfezione dei nostri atti. Vivendo di vita
soprannaturale piu` abbondante, amando Dio con amore piu` perfetto,
siamo portati a far meglio le nostre azioni, a mettervi piu` carita`, ad
essere piu` generosi nei nostri sacrifizi; le quali disposizioni, come
tutti ammettono, aumentano certamente i nostri meriti. Ne` si dica che
talora avviene il contrario; si ha in tal caso l'eccezione non la
regola generale, e noi ne abbiamo tenuto conto aggiungendo: a parita`
di condizioni.

Quanto consolante e` questa dottrina! Moltiplicando gli atti meritori,
aumentiamo ogni giorno il nostro capitale di grazia; questo capitale a
sua volta ci aiuta a mettere maggior amore nelle nostre opere, onde
acquistano maggior valore per accrescere la nostra vita
soprannaturale: Qui justus est, justificetur adhuc.

238. b) Il grado d'unione con Nostro Signore. E` cosa evidente: la
fonte del nostro merito e` Gesu` Cristo, autore della nostra
santificazione, causa meritoria principale di tutti i beni
soprannaturali, capo d'un corpo mistico di cui noi siamo le membra.
Quanto piu` vicini siamo alla sorgente, tanto piu` riceviamo della sua
pienezza; quanto piu` ci accostiamo all'autore di ogni santita`, tanto
maggior grazia riceviamo; quanto piu` siamo uniti al capo, tanto piu`
riceviamo da lui moto e vita. E non e` cio` che dice Nostro Signore
stesso in quel bel paragone della vite? "Io sono la vite, voi i
tralci... chi rimane in me ed io in lui, questi porta gran frutto: Ego
sum vitis vera, vos palmites... qui manet in me, et ego in eo, hic
fert fructum multum" 238-1. Uniti a Gesu` come i tralci al ceppo,
noi riceviamo tanto maggior linfa divina quanto piu` abitualmente, piu`
attualmente, piu` strettamente siamo uniti al ceppo divino. Ecco perche`
le anime fervorose o che tali vogliono divenire, cercarono sempre
un'unione ognor piu` intima con Nostro Signore; ecco perche` la Chiesa
stessa ci chiede di fare le nostre azioni per Lui, con Lui, in Lui:
per Lui, per Ipsum, perche` "nessuno va al Padre senza passar per Lui,
nemo venit ad Patrem nisi per me" 238-2; con Lui, cum Ipso,
operando con Lui, perche` si degna di essere il nostro collaboratore;
in Lui, in Ipso, vale a dire nella sua virtu`, nella sua forza, e
soprattutto nelle sue intenzioni, non avendone altre che le sue.

Gesu` allora vive in noi, ispira i nostri pensieri, i nostri desideri,
le nostre azioni, tanto da poter dire con S. Paolo: "Io vivo, non piu`
io, ma vive in me Gesu`: Vivo autem, jam non ego, vivit vero in me
Christus 238-3. E` chiaro che opere fatte sotto l'influsso e
l'azione vivificante di Cristo, con l'onnipotente sua collaborazione,
hanno un valore incomparabilmente piu` grande che se fossero fatte da
noi soli. Quindi in pratica bisogna unirsi spesso, massime al
principio delle nostre azioni, a N. S. Gesu` Cristo e alle sue cosi`
perfette intenzioni, con la piena coscienza della nostra incapacita` a
far nulla di bene da noi stessi e con l'incrollabile fiducia ch'Egli
puo` rimediare alla nostra debolezza.

239. c) La purita` d'intenzione o la perfezione del motivo che ci fa
operare. Molti teologi dicono che perche` le nostre azioni siano
meritorie basta che siano ispirate da un motivo soprannaturale di
timore, di speranza o d'amore. S. Tommaso vuole certamente che siano
fatte sotto l'influsso almeno virtuale della carita`, ossia in virtu`
d'un atto d'amor di Dio posto precedentemente e il cui influsso
persevera. Ma aggiunge che questa condizione si avvera in tutti coloro
che sono in stato di grazia e compiono un atto lecito: "Habentibus
caritatem omnis actus est meritorius vel demeritorius" 239-1 Ogni
atto buono infatti si riconduce ad una virtu`; ora ogni virtu` converge
alla carita`, essendo essa la regina che comanda a tutte le virtu`, come
la volonta` e` la regina di tutte le facolta`. La carita`, sempre attiva,
ordina a Dio tutti i nostri atti buoni e vivifica tutte le virtu` dando
loro la forma.

Tuttavia, se vogliamo che i nostri atti diventino meritori quanto piu`
e` possibile, occorre una purita` d'intenzione molto piu` perfetta e
attuale. L'intenzione e` la cosa principale nei nostri atti, e` l'occhio
che li illumina e li dirige al debito fine, e` l'anima che li ispira e
da` loro valore agli occhi di Dio: "Si oculus tuus fuerit simplex,
totum corpus lucidum erit". Ora tre elementi danno alle nostre
intenzioni un valore speciale.

240. 1) Essendo la carita` la regina e la forma delle virtu`, ogni
atto ispirato dall'amor di Dio e del prossimo avra` assai maggior
merito di quelli ispirati dal timore o dalla speranza. Conviene quindi
che tutte le nostre azioni siano fatte per amore: cosi` diventano,
anche le piu` comuni (come il pasto e la ricreazione), atti di carita`,
e partecipano al valore di questa virtu`, senza perdere il proprio;
mangiare per rifarsi le forze e` motivo onesto e in un cristiano anche
meritorio; ma rifarsi le forze per meglio lavorare per Dio e per le
anime, e` motivo di carita` assai superiore che nobilita quest'atto e
gli conferisce un valore meritorio molto piu` grande.

241. 2) Poiche` gli atti di virtu` informati dalla carita` non perdono
il proprio valore, ne viene che un atto fatto con piu` intenzioni
insieme sara` piu` meritorio. Cosi` un atto d'obbedienza ai superiori
fatto per doppio motivo, per rispetto alla loro autorita` e nello
stesso tempo per amor di Dio considerato nella loro persona, avra` il
doppio merito dell'obbedienza e della carita`. Uno stesso atto puo`
quindi avere un triplice, un quadruplice valore: detestando i miei
peccati perche` hanno offeso Dio, io posso avere l'intenzione di
praticare nello stesso tempo la penitenza, l'umilta` e l'amor di Dio;
onde quest'atto e` triplicemente meritorio. E` quindi cosa utile
proporsi piu` intenzioni soprannaturali; ma si eviti di dar negli
eccessi col cercare troppo affannosamente intenzioni multiple, il che
turba l'anima. Abbracciare quelle che spontaneamente ci si presentano
e subordinarle alla divina carita`, e` questo il mezzo di aumentare i
propri meriti senza perdere la pace dell'anima.

242. La volonta` dell'uomo essendo volubile, e` necessario esprimere e
rinnovar spesso le intenzioni soprannaturali; altrimenti potrebbe
accadere che un atto cominciato per Dio continuasse sotto l'influsso
della curiosita`, della sensualita` o dell'amor proprio, e perdesse cosi`
una parte del suo valore; dico una parte, perche` queste intenzioni
sussidiarie non distruggendo intieramente la principale, l'atto non
cessa d'essere soprannaturale e meritorio nel suo complesso. Quando
una nave, salpando da Genova, fa rotta per New York, non basta
dirigere la prora una volta per sempre verso questa citta`; ma poiche`
la marea, i venti e le correnti tendono a farla deviare, bisogna
continuamente ricondurla, per mezzo del timone, verso la meta. Cosi` e`
della nostra volonta`; non basta ordinarla una volta, e neppure ogni
giorno, a Dio; le umane passioni e le influenze esterne la faranno
deviar presto dalla diritta via; bisogna spesso con atto esplicito
ricondurla verso Dio e verso la carita`. Cosi` le nostre intenzioni
restano costantemente soprannaturali, anzi perfette e assai meritorie,
specialmente se vi aggiungiamo il fervore nell'operare.

243. d) L'intensita` o il fervore con cui si opera. Si puo` infatti
operare, anche facendo il bene, con negligenza, con poco sforzo, o
invece con slancio, con tutta l'energia di cui si e` capaci,
utilizzando tutta la grazia attuale messa a nostra disposizione.
E` chiaro che il risultato in questi due casi sara` ben diverso. Se si
opera con negligenza, non si acquistano che pochi meriti e talvolta
anche uno si rende colpevole di qualche colpa veniale, -- la quale del
resto non distrugge tutto il merito; -- se invece uno prega, lavora,
si sacrifica con tutta l'anima, ognuna delle fatte azioni merita una
quantita` considerevole di grazia abituale. Senza entrare qui in
ipotesi poco sicure, si puo` dire con certezza che, rendendo Dio il
cento per uno di cio` che si fa per lui, un'anima fervorosa acquista
ogni giorno un numero considerevolissimo di gradi di grazia, e diviene
cosi` in poco tempo molto perfetta, secondo l'osservazione della
Sapienza: "Perfezionatosi in breve, compi` una lunga carriera;
Consummatus in brevi, explevit tempora multa" 243-1. Qual
prezioso incoraggiamento al fervore, e come torna conto rinnovar
spesso gli sforzi con energia e perseveranza!
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2. CONDIZIONI TRATTE DALL'OGGETTO O DALL'ATTO STESSO.

244. Non le sole disposizioni della persona aumentano il merito, ma
tutte le circostanze che contribuiscono a rendere l'azione piu`
perfetta. Le principali sono quattro:

a) L'eccellenza dell'oggetto o dell'atto che si compie. Vi e` gerarchia
nelle virtu`: le virtu` teologali sono piu` perfette delle virtu` morali,
quindi gli atti di fede, di speranza e massime quelli di carita` sono
piu` meritori degli atti di prudenza, di giustizia, di temperanza, ecc.
Ma, come abbiamo detto, questi ultimi possono, per ragione
dell'intenzione, diventare atti d'amore e parteciparne quindi lo
speciale valore. Similmente gli atti di religione, che tendono
direttamente alla gloria di Dio, sono piu` perfetti di quelli che hanno
per fine diretto la nostra santificazione.

b) Per certe azioni, la quantita` puo` influire sul merito; cosi`, a
parita` di condizioni, un dono generoso di mille lire sara` piu`
meritorio di uno di dieci centesimi. Ma ove si tratti di quantita`
relativa, l'obolo della vedova che si priva d'una parte del
necessario, moralmente vale di piu` della ricca offerta di colui che si
spoglia d'una parte del superfluo.

c) Anche la durata rende l'azione piu` meritoria: pregare, soffrire per
un'ora vale piu` che farlo per cinque minuti, perche` questo
prolungamento esige maggiore sforzo e maggior amore.

245. d) La difficolta` dell'atto, non per se` stessa ma in quanto
richiede maggior amor di Dio, sforzo piu` energico e piu` sostenuto,
quando non provenga da imperfezione attuale della volonta`, accresce
anch'essa il merito. Cosi` resistere a una tentazione violenta e` piu`
meritorio che resistere a una tentazione leggiera; praticare la
dolcezza quando si ha un temperamento portato alla collera e quando si
e` frequentemente provocati da chi ci sta attorno, e` piu` difficile e
piu` meritorio che farlo quando si ha un naturale dolce e timido e si e`
circondati da persone benevoli.

Non se ne deve pero` conchiudere che la facilita`, acquistata con
ripetuti atti di virtu`, diminuisca necessariamente il merito; questa
facilita`, quando uno se ne giovi per continuare e anche aumentare lo
sforzo soprannaturale, favorisce l'intensita` o il fervore dell'atto, e
sotto quest'aspetto aumenta il merito, come abbiamo gia` spiegato. Come
un buon operaio, perfezionandosi nel suo mestiere, evita ogni sciupi`o
di tempo, di materia e di forza e ottiene maggior frutto con minor
fatica; cosi` un cristiano che sa meglio servirsi degli strumenti di
santificazione, evita le perdite di tempo, molti sforzi inutili, e con
minor fatica guadagna maggiori meriti. I Santi, che con la pratica
delle virtu` riescono a fare piu` facilmente degli altri atti di umilta`,
d'obbedienza, di religione, non ne hanno minor merito per il fatto che
praticano piu` facilmente e piu` frequentemente l'amor di Dio; e d'altra
parte essi continuano a fare sforzi e sacrifizi nelle circostanze in
cui sono necessari. In conclusione, la difficolta` accresce il merito,
non in quanto e` ostacolo da vincere ma in quanto eccita maggiore
slancio e maggior amore 245-1.

Aggiungiamo solamente che queste condizioni oggettive non influiscono
realmente sul merito se non in quanto sono liberamente accettate e
volute e reagiscono quindi sulla perfezione delle interne nostre
disposizioni.

CONCLUSIONE.

246. La conclusione che spontaneamente ne viene e` la necessita` di
santificare tutte e ciascuna delle nostre azioni, anche le piu` comuni.
Come infatti abbiamo detto, possono essere tutte meritorie, se le
facciamo con mire soprannaturali, in unione con l'Operaio di Nazareth,
il quale, lavorando nella sua bottega, meritava continuamente per noi.
E se e` cosi`, qual progresso non possiamo fare in un sol giorno! Dal
primo svegliarsi del mattino fino al riposo della sera, centinaia di
atti meritori un'anima raccolta e generosa puo` compire; perche` non
solo ogni azione, ma, quando si prolunga, ogni sforzo per farla
meglio, per esempio, per cacciar le distrazioni nella preghiera, per
applicare la mente al lavoro, per schivare una parola poco
caritatevole, per rendere al prossimo il minimo servizio; ogni parola
ispirata dalla carita`; ogni buon pensiero da cui si trae profitto; in
una parola, tutti i movimenti interni dell'anima liberamente diretti
verso Dio, sono altrettanti atti meritori che fanno crescere Dio e la
grazia nell'anima nostra.

247. Si puo` quindi dire con tutta verita` che non c'e` mezzo piu`
efficace, piu` pratico, piu` facile a tutti per santificarsi, che
rendere soprannaturali tutte le proprie azioni; questo mezzo basta da
solo ad elevare in breve tempo un'anima al piu` alto grado di santita`.
Ogni atto e` allora un germe di grazia, perche` la fa germogliare e
crescere nell'anima, e un germe di gloria, perche` aumenta nello stesso
tempo i nostri diritti alla beatitudine celeste.

248. Il mezzo pratico di convertire a questo modo tutti i nostri
atti in meriti, e` di raccoglierci un momento prima di operare, di
rinunziare positivamente a ogni intenzione naturale o cattiva, di
unirci a Nostro Signore, nostro modello e nostro mediatore, col
sentimento della nostra impotenza, e offrire per mezzo di Lui le
nostre azioni a Dio per la gloria sua e per il bene delle anime; cosi`
intesa l'offerta spesso rinnovata delle nostra azioni e` un atto di
rinunzia, di umilta`, di amore a Nostro Signore, di amore di Dio, di
amore del prossimo; e` un'accorciatoia per giungere alla
perfezione 248-1. A pervenirvi piu` efficacemente abbiamo pure a
nostra disposizione i Sacramenti.

sez. III. Dell'aumento della vita cristiana per mezzo dei
Sacramenti 249-1.

249. Non solo con atti meritori fatti ad ogni istante possiamo
crescere in grazia e in perfezione, ma anche col frequente uso dei
Sacramenti. Segni sensibili istituiti da Nostro Signore Gesu` Cristo, i
Sacramenti significano e producono nell'anima la grazia. Sapendo come
l'uomo si lasci prendere dalle cose esteriori, Dio volle,
nell'infinita sua bonta`, annettere la grazia ad oggetti e ad azioni
visibili. E` di fede che i nostri Sacramenti contengono la grazia che
significano e che la conferiscono a tutti coloro che non vi pongono
ostacolo 249-2; e cio` non unicamente in virtu` delle disposizioni
del soggetto, ma ex opere operato, come cause strumentali della
grazia, restandone Dio evidentemente la causa principale e Gesu` Cristo
la causa meritoria.

250. Ogni Sacramento produce, oltre alla grazia abituale ordinaria,
una grazia che si chiama sacramentale o propria di quel dato
Sacramento. La quale non e` specificamente distinta dalla prima ma vi
aggiunge, secondo S. Tommaso e la sua scuola, un vigore speciale,
destinato a produrre effetti correlativi a ciascun Sacramento; o in
ogni caso, a parere di tutti, un diritto a grazie attuali speciali che
saranno concesse a tempo opportuno per adempiere piu` facilmente i
doveri imposti dal Sacramento ricevuto. Cosi`, per esempio, il
Sacramento della Confermazione ci da` il diritto di ricevere grazie
attuali speciali di soprannaturale fortezza per lottare contro il
rispetto umano e confessare la fede innanzi e contro a tutti.

Quattro cose meritano la nostra attenzione:
* 1^ la grazia sacramentale propria di ciascun sacramento;
* 2^ le disposizioni necessarie per trarne maggior profitto;
* 3^ le disposizioni speciali per il Sacramento della
Penitenza;
* 4^ le disposizioni richieste per l'Eucaristia.
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I. Della grazia sacramentale.

I Sacramenti conferiscono grazie speciali in relazione alle varie
tappe che dobbiamo percorrere nella vita.

251. a) Nel Battesimo, e` grazia di rigenerazione spirituale, che ci
purifica dal peccato originale, ci fa nascere alla vita della grazia,
e crea in noi l'uomo nuovo, l'uomo rigenerato che vive della vita di
Cristo. Secondo la bella dottrina di S. Paolo 251-1 nel battesimo
noi siamo sepolti con Gesu` Cristo (il che era figurato per l'addietro
dal battesimo d'immersione) e risuscitiamo con Lui, per vivere d'una
vita nuova: "Consepulti enim sumus cum illo per baptismum in mortem,
ut quomodo Christus surrexit a mortuis, ita et nos in novitate vitae
ambulemus". La grazia speciale o sacramentale che ci vien data e`
dunque: 1) una grazia di morte al peccato, di crocifissione spirituale
che ci aiuta a combattere e domare le cattive tendenze dell'uomo
vecchio; 2) una grazia di rigenerazione che c'incorpora a Gesu` Cristo,
ce ne fa partecipare la vita, ci aiuta a vivere secondo i sentimenti e
gli esempi di Gesu` Cristo, ed essere quindi perfetti cristiani. Onde
il dovere per noi di combattere il peccato e le sue cause, di aderire
a Gesu` e imitarne le virtu`.

252. b) La Confermazione fa di noi i soldati di Cristo; aggiunge
alla grazia del Battesimo una grazia speciale di fortezza per
professar generosamente la fede contro tutti i nemici e principalmente
contro il rispetto umano, che impedisce a un si` gran numero d'uomini
di praticare i doveri religiosi. E` questa la ragione per cui i doni
dello Spirito Santo, che ci erano gia` stati comunicati nel Battesimo,
nel giorno della cresima ci vengono conferiti in modo piu` speciale per
illuminare la nostra fede, renderla piu` viva e piu` penetrante e
fortificarci nello stesso tempo la volonta` contro tutte le debolezze.
Onde la necessita` di coltivare i doni dello Spirito Santo e
soprattutto quello della cristiana virilita`.

253. c) L'Eucaristia nutrisce l'anima nostra che, come il corpo, ha
bisogno d'alimentarsi per vivere e fortificarsi. Ora, per alimentare
una vita divina e` necessario un alimento divino: e sara` il corpo e il
sangue di Gesu` Cristo, la sua anima e la sua divinita`, che ci
trasformeranno in altrettanti Cristi, facendo passare in noi il suo
spirito, i suoi sentimenti e le sue virtu`, e soprattutto il suo amore
per Dio e per gli uomini.

254. d) Se abbiamo la sventura di perdere col peccato mortale la
vita della grazia, il Sacramento della Penitenza lava le nostre colpe
nel sangue di Gesu` Cristo, la cui virtu` ci viene applicata con
l'assoluzione, purche` siamo sinceramente contriti e risoluti a
romperla col peccato, come presto spiegheremo (n. 262).

255. e) Quando la morte viene a battere alla nostra porta, abbiamo
bisogno d'essere confortati in mezzo alle angoscie e ai timori che le
nostre colpe passate, le nostre infermita` presenti e i giudizi di Dio
ci ispirano. L'Estrema Unzione, versando l'olio santo sui principali
nostri sensi, versa nello stesso tempo nell'anima una grazia di
alleviamento e di spirituale conforto che ci libera dai resti del
peccato, ci ravviva la confidenza e ci arma contro i supremi assalti
del nemico, facendoci partecipare ai sentimenti di S. Paolo che, dopo
aver combattuto il buon combattimento, si rallegrava al pensiero della
corona che l'attendeva. E` necessario quindi chiedere per tempo questo
sacramento, appena si e` gravemente infermi, affinche` possa produrre
tutti i suoi effetti, e, occorrendo, se Dio lo giudica utile, renderci
anche la salute; e` una crudelta` per quelli che assistono l'ammalato
dissimulargli la gravita` del suo stato e rimandare all'ultimo momento
il ricevimento d'un sacramento cosi` consolante.

Questi sacramenti bastano a santificare l'individuo nella vita
privata; due altri lo santificano nelle relazioni con la societa`:
l'Ordine che da` alla Chiesa degni ministri, e il Matrimonio che
santifica la famiglia.

256. f) L'Ordine da` ai ministri della Chiesa non solo mirabili
poteri per consacrare l'Eucaristia, amministrare i sacramenti e
predicare la dottrina evangelica, ma anche la grazia d'esercitarli
santamente; in particolare un amore ardente per il Dio dell'Eucaristia
e per le anime, con la ferma volonta` di immolarsi e di spendersi
intieramente per queste due nobili cause. A qual grado di santita`
debbano tendere, lo diremo piu` innanzi.

257. g) Per santificare la famiglia, cellula primordiale della
societa`, il sacramento del Matrimonio da` agli sposi le grazie di cui
hanno cosi` urgente bisogno, la grazia di un'assoluta e costante
fedelta`, cosi` difficile al volubile cuore umano; la grazia di
rispettare la santita` del letto coniugale non ostante le contrarie
sollecitazioni della concupiscenza; la grazia di consacrarsi con
inalterabile abnegazione alla cristiana educazione dei figli.

258. Vi e` dunque per ogni circostanza importante della vita, per
ogni dovere individuale o sociale, un mirabile aumento di grazia
santificante che ci vien dato; e affinche` questa grazia sia posta in
opera, ogni sacramento ci da` diritto a certe grazie attuali, che
verranno a sollecitarci all'esercizio delle virtu` che dobbiamo
praticare, e a somministrarci soprannaturali energie per riuscirvi.
Sta a noi il corrispondervi con disposizioni le piu` perfette
possibili.

II. Disposizioni necessarie per ben ricevere i Sacramenti.

Dipendendo la quantita` di grazia prodotta dai sacramenti e da Dio e da
noi 259-1, vediamo come possiamo aumentarla cosi` da una parte
come dall'altra.

259. A) Dio e` certamente libero nella distribuzione dei suoi favori;
e puo` quindi, nei Sacramenti, concedere maggiore o minore grazia
secondo i disegni della sua sapienza e della sua bonta`. Ma vi sono
leggi ch'egli stesso stabili`, alle quali vuole sottomettersi. Cosi`
ripetutamente ci dichiara che nulla sa rifiutare alla preghiera ben
fatta: "Domandate e riceverete, cercate e troverete, picchiate e vi
sara` aperto: petite et accipietis, quaerite et invenietis, pulsate et
aperietur vobis" 259-2; principalmente se e` appoggiata sui meriti
infiniti di Gesu`: "In verita`, in verita` vi dico, tutto cio` che
domanderete al Padre in nome mio, ve lo dara`: Amen, amen dico vobis,
si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis" 259-3. Se
quindi preghiamo con umilta` e fervore, in unione con Gesu`, per avere,
mentre riceviamo un Sacramento, maggior copia di grazia, l'otterremo.

260. B) Da parte nostra, due disposizioni contribuiscono a farci
ricevere piu` copiosa grazia sacramentale: i santi desideri prima di
ricevere i sacramenti, e il fervore nel riceverli.

a) L'ardente desiderio di ricevere un sacramento con tutti i suoi
frutti, ci apre e ci dilata l'anima. E` un'applicazione del principio
generale posto da Nostro Signore: "Beati coloro che hanno fame e sete
di santita` perche` saranno saziati: Beati qui esuriunt et sitiunt
justitiam, quoniam ipsi saturabuntur" 260-1. Aver fame e sete
della comunione, della confessione e dell'assoluzione, e` un aprire piu`
ampiamente l'anima alle comunicazioni divine; e allora Dio ci saziera`
le anima affamate: "Esurientes implebit bonis" 260-2. Siamo
dunque, come Daniele, uomini di desiderio e sospiriamo le fonti
d'acqua viva che sono i sacramenti.

b) Il fervore aumentera` anche di piu` quest'apertura dell'anima,
consistendo nella disposizione generosa di non rifiutar nulla a Dio,
di lasciarlo agire nella pienezza della sua virtu` e di collaborare con
lui con tutta la nostra energia. Una tal disposizione approfondisce e
dilata l'anima, la rende piu` atta alle effusioni della grazia, piu`
docile all'azione dello Spirito Santo, piu` attiva nel corrispondervi.
Da questa mutua collaborazione scaturiscono copiosi frutti di
santificazione.

261. Potremo qui aggiungere che tutte le condizioni che rendono le
nostre opere piu` meritorie (si veda piu` sopra al n. 237),
perfezionano in pari modo le disposizioni che dobbiamo avere nel
ricevere i sacramenti e aumentano quindi la misura di grazia che ci e`
conferita. Ma cio` si capira` anche meglio quando avremo fatto
l'applicazione di questo principio alla confessione e alla comunione.
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III. Disposizioni per trar profitto dal sacramento della
Penitenza 262-1.

Il sacramento della Penitenza, come abbiamo detto, ci purifica l'anima
nel sangue di Gesu` Cristo, purche` siamo ben disposti, la nostra
confessione sia leale e la nostra contrizione vera e sincera.

1^ DELLA CONFESSIONE.

262. A) Una parola sui peccati gravi. Solo di passaggio parliamo
dell'accusa delle colpi gravi, di cui abbiamo trattato a lungo nella
nostra Teologia morale 262-2. Se un'anima che tende alla
perfezione ha la disgrazia di commettere, in un momento di debolezza,
qualche peccato mortale, bisogna accusarlo con tutta sincerita` e in
modo chiaro fin dal principio della confessione senza nasconderlo fra
la moltitudine dei peccati veniali, farne conoscere bene il numero e
la specie con sincerita` e umilta`, indicare le cause delle nostre
cadute e premurosamente chiedere i rimedi necessari alla nostra
guarigione. Bisogna sopra tutto averne profonda contrizione, col fermo
proposito d'evitare per l'avvenire non solo le colpe commesse ma anche
le occasioni e le cause che ci condussero all'abisso. Perdonato che
sia il peccato, si deve alimentare nell'anima un vivo e abituale
sentimento di penitenza, un cuore contrito ed umiliato, col sincero
desiderio di riparare il male commesso con una vita austera e
mortificata, con un amore ardente e generoso. A questo modo una colpa
grave isolata, e immediatamente riparata, non e` durevole ostacolo al
progresso spirituale, perche` non lascia quasi traccia nell'anima.

263. B) Delle colpe veniali deliberate. Di colpe veniali vi sono due
specie: quelle che si commettono di proposito deliberato, ben sapendo
di dispiacere a Dio ma preferendo nel momento il proprio piacere
egoista alla volonta` divina; e quelle che si commettono di sorpresa,
per leggerezza, per fragilita`, per mancanza di vigilanza o di
coraggio, di cui uno subito si pente con la ferma volonta` di non piu`
commetterle. Le prime sono molto serio ostacolo alla perfezione,
principalmente quando sono frequenti e vi si e` attaccati, per esempio
se si nutrono volontariamente piccoli rancori o l'abitudine del
giudizio temerario e della maldicenza, se si fomentano affezioni
naturali, sensibili, oppure l'attacco al proprio giudizio e alla
propria volonta`. Sono vincoli che ci attaccano alla terra e
c'impediscono di prendere lo slancio verso l'amor divino. Quando, di
proposito deliberato, si rifiuta a Dio il sacrifizio dei propri gusti
e delle proprie volonta`, e` chiaro che non si possono aspettare da Lui
quelle grazie speciali che sole ci possono condurre alla perfezione.

E` quindi necessario correggersi ad ogni costo di questo genere di
colpe. A meglio riuscirvi, bisogna prenderne una dopo l'altra le varie
specie o categorie; per esempio, prima le colpe contro la carita`, poi
quelle contro l'umilta`, contro la virtu` della religione, ecc.;
accusarci a fondo di cio` che si e` notato, massima di quelle che
maggiormente ci umiliano, delle cause che ci fanno cadere in questi
peccati, puntando le nostre risoluzioni su queste cause e proponendoci
di volerle assolutamente evitare. Allora ogni confessione sara` un
passo avanti verso la perfezione, principalmente se uno si studia di
ben esercitarsi nella contrizione, come presto diremo.

264. C) Delle colpe di fragilita`. Vinti i peccati veniali
deliberati, si prendono di mira quelli di fragilita`, non gia` per
schivarli intieramente (il che e` impossibile), ma per diminuirne il
numero. E qui pure bisogna ricorrere alla divisione del lavoro. Si puo`
certo accusare il grosso delle colpe di cui uno si ricorda, ma si fa
rapidamente per potere insistere su un genere di colpe in particolare.
Si procedera` gradatamente, per esempio, prima si battera` sulle
distrazioni nelle preghiere, poi sulle colpe contrarie alla purita`
d'intenzione, poi sulle mancanze di carita`.

Nell'esame di coscienza, e nella confessione non ci contentiamo di
dire: ho avuto delle distrazioni nelle preghiere (il che non apre
nulla al confessore), ma diremo: sono stato specialmente distratto o
negligente in tale esercizio di pieta` e cio` perche` non mi ero ben
raccolto prima di cominciarlo, -- o perche` non ebbi il coraggio di
respingere prontamente ed energicamente le prime divagazioni, -- o
perche` avendolo fatto, mancai poi di costanza e di continuita` nello
sforzo. Un'altra volta uno si accusera` d'essere stato distratto a
lungo a causa di piccoli attacchi allo studio o a un confratello, o
per ragione di un piccolo rancore non combattuto, ecc. L'indicazione
del motivo spiega la causa del male e suggerisce il rimedio e la
risoluzione da prendere.

265. A meglio assicurare il buon esito della confessione, si tratti
di colpe deliberate o no, si terminera` l'accusa dicendo: la mia
risoluzione, per questa settimana o quindicina, e` di energeticamente
combattere questa fonte di distrazioni, questo attacco, questo genere
di pensieri. E alla prossima confessione non si manchera` di dar conto
degli sforzi fatti: avevo preso la tal risoluzione, l'ho mantenuta per
tanti giorni o fino a tal segno; non l'ho mantenuta invece su questo o
quell'altro punto. E` evidente che una tal confessione non sara` fatta
per abitudine ma segnera` invece un passo avanti; la grazia
dell'assoluzione, venendo a confermare la presa risoluzione, non solo
aumentera` la grazia abituale che e` in noi, ma ci decuplichera` le
energie per farci evitare nell'avvenire un certo numero di colpe
veniali, e farci piu` efficacemente acquistare le virtu`.

2^ DELLA CONTRIZIONE.

266. Nelle confessioni frequenti bisogna insistere sulla contrizione
e sul proponimento che ne e` la conseguenza necessaria. Bisogna
istantemente chiederla ed esercitarvisi con la considerazione dei
motivi soprannaturali, che, pur essendo sostanzialmente gli stessi,
varieranno secondo le anime e le colpe accusate.

I motivi generali si desumono da parte di Dio e da parte dell'anima.
Non facciamo altro che indicarli.

267. A) Da parte di Dio, il peccato, per quanto sia leggiero, e`
sempre un'offesa a Dio, una resistenza alla sua volonta`,
un'ingratitudine verso il piu` amante e il piu` amabile dei padri e dei
benefattori, ingratitudine che tanto piu` lo ferisce in quanto che noi
ne siamo gli amici privilegiati. Volgendosi quindi a noi, ci dice:
"Non e` un nemico che m'oltraggia, che` allora lo sopportere`i.... ma tu,
tu che eri come un altro me stesso, il mio confidente e il mio amico;
vivevamo insieme in una dolce intimita`!" 267-1... Ascoltiamo con
frutto questi rimproveri cosi` ben meritati e sprofondiamoci
nell'umiliazione e nella confusione. -- Ascoltiamo pure la voce di
Gesu` e pensiamo che le nostre colpe resero piu` amaro il calice che gli
fu presentato nel giardino degli Ulivi, e ne intensificarono l'agonia.
E allora, dal fondo della nostra miseria, domandiamo umilmente
perdono: Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam...
Amplius lava me ab iniquitate mea 267-2...

268. B) Da parte dell'anima, il peccato veniale, senza diminuire in
se` la divina amicizia, la rende meno intima e meno attiva; oh! quale
perdita l'intimita` con Dio! Arresta o per lo meno impaccia
considerevolmente la nostra attivita` spirituale, gettando polvere
entro il meccanismo cosi` delicato della vita soprannaturale; ne
diminuisce le energie per il bene, aumentando l'amor del piacere; e
sopra tutto predispone, se si tratta di colpe deliberate, al peccato
mortale; perche` in molte materie, specialmente in cio` che riguarda la
purita`, la linea di confine tra il mortale e il veniale e` cosi` tenue e
l'attrattiva al piacere cattivo e` cosi` seducente, che il confine e`
presto passato. Quando si pensa a questi effetti, non e` difficile
pentirsi sinceramente delle proprie negligenze e concepire il
desiderio di schivarle per l'avvenire 268-1. Per meglio
determinare questo buon proponimento e` opportuno volgerlo sui mezzi da
usare per diminuire le ricadute, come gia` abbiamo indicato al
n. 265.

269. Intanto per essere piu` sicuri che non manchi la contrizione, e`
bene accusare un peccato piu` grave della vita passata, di cui si e`
sicuri d'avere la contrizione, specialmente se e` della stessa specie
dei peccati veniali che furono accusati. Qui pero` bisogna schivare due
difetti: l'abitudine, che trasformerebbe quest'accusa in una vana
formola senza un vero sentimento di contrizione; e la negligenza, che
indurrebbe a non darsi pensiero del dolore dei peccati veniali
accusati nella presente confessione.

Praticata con questo spirito, la confessione, a cui vengono ad
aggiungersi i consigli d'un savio direttore e principalmente la virtu`
purificatrice dell'assoluzione, sara` un potente mezzo per liberarci
dal peccato e progredire nella virtu`.

IV. Disposizioni per trar profitto dall'Eucaristia 270-1.

270. -- L'Eucaristia e` insieme sacramento e sacrifizio; i quali due
elementi sono intimamente collegati, perche` e` proprio durante il
sacrifizio che si consacra la vittima con cui ci comunichiamo. La
comunione non e`, secondo la dottrina comune, parte essenziale del
sacrifizio ma ne e` parte integrante, perche` per lei veniamo a
partecipare ai sentimenti della vittima e ai frutti del sacrificio.

La differenza essenziali tra l'uno e l'altro e` che il sacrifizio si
riferisce direttamente alla gloria di Dio, e il sacramento ha per
scopo diretto la santificazione dell'anima nostra. Ma questi due fini
non ne costituiscono veramente che un solo perche` conoscere e amare
Dio e` glorificarlo, onde l'uno e l'altro contribuiscono al nostro
progresso spirituale.
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15/10/2013 12:47
 
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1^ DEL SACRIFICIO DELLA MESSA COME MEZZO DI SANTIFICAZIONE 271-1.

271. A) I suoi effetti. a) Questo sacrifizio anzitutto glorifica Dio
e lo glorifica in modo perfetto, perche` Gesu` vi offre di nuovo al
Padre, per mezzo del sacerdote, tutti gli atti di adorazione, di
riconoscenza e d'amore che gia` offri` sul Calvario, atti di valore
morale infinito. Offrendosi come vittima, afferma nel modo piu`
espressivo il sovrano dominio di Dio su tutte le cose: e` l'adorazione;
dando se stesso a Dio in riconoscenza dei suoi benefici, gli rende una
lode pari ai benefici: e` il ringraziamento o culto eucaristico. Nulla
quindi puo` impedire il conseguimento di quest'effetto, neppure
l'indegnita` del ministro; 271-2 perche` il valore del sacrifizio
non dipende essenzialmente da colui che l'offre come ministro
secondario, ma dal pregio della vittima che viene offerta e dalla
dignita` del sacerdote principale che non e` altri che Gesu` Cristo
stesso. Tal e` l'insegnamento del Concilio di Trento quando dichiara
che questa offerta purissima non puo` essere macchiata dall'indegnita` o
dalla malizia di coloro che l'offrono; che in questo divin sacrifizio
e` contenuto ed immolato, in modo incruento, quello stesso Cristo che
sull'altare della Croce si e` offerto in modo cruento. E` quindi la
stessa ostia e lo stesso sacrificatore quello che si offre ora pel
ministero dei sacerdoti e quello che s'e` offerto una volta sulla
Croce: non c'e` differenza che nel modo d'offrire la
vittima 271-3. Percio`, quando assistiamo alla S. Messa e piu`
ancora quando la celebriamo, rendiamo a Dio tutti gli omaggi che gli
sono dovuti, nel modo piu` perfetto possibile, perche` facciamo nostri
gli omaggi di Gesu` vittima. -- Ne` si dica che tutto questo non ha che
far nulla con la nostra santificazione; quando noi glorifichiamo Dio,
egli amorosamente si china verso di noi, e quanto piu` noi ci occupiamo
della sua gloria, tanto piu` egli si occupa dei nostri spirituali
interessi; molto dunque si fa per la nostra santificazione rendendogli
i nostri ossequi in unione con la vittima divina che rinnova
sull'altare la sua immolazione.

272. b) Il divin sacrifizio ha inoltre un effetto propiziatorio per
la virtu` stessa della sua celebrazione (ex opere operato, come dicono
i teologi). Ed ecco in che senso: il sacrifizio, offrendo a Dio
l'ossequio che gli e` dovuto e un giusto compenso per il peccato, lo
inclina a concederci, non direttamente la grazia santificante (il che
e` effetto proprio del sacramento), ma la grazia attuale e il dono
della penitenza, e a rimetterci, quando siamo contriti e pentiti, i
peccati anche piu` gravi 272-1. -- E` nello stesso tempo
sodisfattorio, nel senso che rimette infallibilmente ai peccatori
pentiti una parte almeno della pena temporale dovuta al peccato, in
proporzione delle disposizioni piu` o meno perfette con cui vi
assistono. Ecco perche`, aggiunge il Concilio di Trento, puo` essere
offerto non solo per i peccati, le sodisfazioni e i bisogni spirituali
dei vivi, ma anche per quelli che son morti in Cristo senza avere
sufficientemente espiato le loro colpe 272-2. E` facile vedere
quanto questo doppio effetto, propiziatorio e sodisfattorio,
contribuisca al nostro progresso nella vita cristiana. Il grande
ostacolo all'unione con Dio e` il peccato; ottenere il perdono e farne
sparire anche gli ultimi vestigi e` quindi preparare un'unione sempre
piu` intima con Dio: "Beati mundo corde quoniam ipsi Deum
videbunt" 272-3. Quale consolazione per i poveri peccatori di
veder cosi` cader il muro di separazione che li impediva di godere
della vita divina!

273. c) La Messa e` impetratoria nello stesso modo che e`
propiziatoria: ottiene quindi da Dio, per la virtu` stessa del
sacrifizio (ex opere operato), tutte le grazie di cui abbiamo bisogno
per santificarci. Il sacrifizio e` una preghiera in azione, e Colui che
al santo altare prega per noi con gemiti inenarrabili e` Quegli stesso
le cui preghiere sono sempre esaudite "exauditus est pro sua
reverentia" 273-1. Quindi la Chiesa, interprete autentica del
pensiero divino, vi prega costantemente, in unione con Gesu`
sacrificatore e vittima (per Dominum nostrum Jesum Christum), per
chiedere tutte le grazie di cui hanno bisogno i suoi membri alla
salute dell'anima e alla salute del corpo, "pro spe salutis et
incolumitatissuae", per la salvezza e il progresso spirituale,
sollecitando per i suoi fedeli, principalmente nella Colletta, la
grazia speciale che corrisponde a ciascuna festa. E chiunque entra in
questa corrente di preghiera liturgica, con le disposizioni volute, e`
sicuro d'ottenere per se` e per tutti quelli che gli premono le piu`
copiose grazie.

E` dunque chiaro che il santo sacrifizio della Messa contribuisce, con
tutti i suoi effetti, alla nostra santificazione; e cio` tanto piu`
efficacemente in quanto che noi non vi preghiamo da soli ma uniti a
tutta la Chiesa e principalmente al Capo invisibile della Chiesa, a
Gesu` sacrificatore e vittima, che, rinnovando l'offerta del Calvario,
chiede, per la virtu` del suo sangue e per le sue suppliche, che le sue
sodisfazioni e i suoi meriti ci vengano applicati.

274. B) Disposizioni per trar profitto dalla S. Messa. Quali sono
dunque le disposizioni che dobbiamo avere per trar profitto da questo
potente mezzo di santificazione? La disposizione fondamentale, che
comprende tutte le altre, e` di aderire con umilta` e confidenza ai
sentimenti espressi dalla vittima divina, di comunicarvi, di farli
nostri, adempiendo cosi` cio` che il Pontificale vuole dai sacerdoti
"Agnoscite quod agitis, imitamini quod tractatis". Al che del resto
c'invita la Chiesa nella santa sua liturgia 274-1.

275. a) Nella messa dei catecumeni, che va fino all'Offertorio
esclusivamente, ci fa entrare in sentimenti di penitenza e di
contrizione (Confiteor, Aufer a nobis, Oramus te, Kyrie eleison), di
adorazione e di riconoscenza (Gloria in excelsis), di ferventi
petizioni (Collette) e di fede sincera (Epistola, Vangelo e Credo).

b) Viene appresso il gran dramma: 1) l'offerta della vittima
all'Offertorio per la salute di tutto il genere umano, "pro nostra^ et
totius mundi salute"; l'offerta del popolo cristiano in unione alla
vittima principale, "in spiritu humilitatis et in animo contrito
suscipiamur a te, Domine," -- seguita da una preghiera alla
SS. Trinita` perche` benedica ed accetti quest'offerta dell'intiero
Cristo mistico. 2) Il prefazio annunzia l'azione propriamente detta,
il Canone in cui si rinnova la mistica immolazione della vittima, e la
Chiesa c'invita a unirci agli Angeli e ai Santi, ma principalmente al
Verbo Incarnato, per ringraziare Dio, proclamarne la santita`,
implorarne gli aiuti per la Chiesa, pel suo capo visibile, per i suoi
vescovi, per i fedeli, in particolare per quelli che vi assistono e
per tutti quelli che ci sono piu` cari. Allora il sacerdote, entrando
in comunione con la SS. Vergine, coi SS. Apostoli, coi Martiri e con
tutti i Santi, si trasporta in spirito all'ultima Cena, s'identifica
col Sommo Sacerdote e ripete con Lui le parole che Gesu` pronunzio` nel
Cenacolo. Obbedendo alla sua voce, il Verbo Incarnato discende
sull'altare, col suo corpo e col suo sangue, e silenziosamente adora e
prega in nome suo e nostro. Il popolo cristiano si curva, adora la
vittima divina, s'unisce ai suoi sentimenti, alle sue adorazioni, alle
sue domande, e si studia d'immolarsi con lei, offrendo alcuni suoi
piccoli sacrifici "per ipsum, et cum ipso, et in ipso".

3) Col Pater incomincia la preparazione alla Comunione. Membri del
corpo mistico di Gesu`, ripetiamo la preghiera ch'Egli stesso ci
insegno`, il Pater, offrendo con lui i nostri doveri religiosi e le
nostre umili suppliche, domandando particolarmente quel pane
eucaristico che ci liberera` da tutti i nostri mali e ci dara`, col
perdono dei peccati, la pace dell'anima e l'unione permanente con
Gesu`, "et a te nunquam separari permittas". Allora, protestando, come
il centurione, la propria indegnita` e chiedendo umilmente perdono, il
sacerdote e, dopo di lui, il popolo fedele mangia e beve il corpo e il
sangue del Salvatore, s'unisce dal profondo dell'anima all'intiero
Gesu`, ai piu` intimi suoi sentimenti; e per mezzo suo a Dio stesso e
alla SS. Trinita`. Il mistero dell'unione e` compito: noi non facciamo
piu` che una cosa sola con Gesu`, e non facendo egli che una cosa sola
col Padre e col Figlio, la preghiera sacerdotale del Salvatore
nell'ultima Cena e` avverata: "Io in loro e tu in me, affinche` siano
perfetti nell'unita`: Ego in eis et tu in me, ut sint consummati in
unum" 275-1.

276. Non resta piu` che ringraziar Dio di quest'immenso beneficio; il
che facciamo nel Postcommunio e nelle preghiere che seguono. La
benedizione del sacerdote ci comunica i tesori della SS. Trinita`;
l'ultimo Vangelo ci ricorda le glorie del Verbo Incarnato, che e`
nuovamente venuto ad abitare in mezzo a noi e che noi ci portiamo via
pieno di grazia e di verita`, per attingere nel corso della giornata a
questa fonte di vita e vivere d'una vita simile a quella dello stesso
Gesu`.

E` chiaro che l'assistere alla santa messa o celebrarla con queste
disposizioni e` un santificarsi e coltivare nel modo piu` perfetto
possibile la vita soprannaturale che e` in noi. Quel che diremo sulla
santa comunione ce lo mostrera` anche meglio.
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15/10/2013 12:47
 
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2^ DELLA COMUNIONE COME MEZZO DI SANTIFICAZIONE 277-1.

277. A) Gli effetti. L'Eucaristia, come sacramento, produce
direttamente in noi per sua propria virtu`, ex opere operato, un
aumento di grazia santificante. Infatti e` stata istituita per essere
cibo dell'anima nostra: "Caro mea vere est cibus et sanguis meus vere
est potus" 277-2; i suoi effetti sono dunque simili a quelli del
nutrimento materiale: sostiene, aumenta e ripara le forze spirituali,
causandoci una letizia che, se non e` sempre sensibile, e` per altro
reale. Gesu` stesso e` il nostro alimento, l'intiero Gesu`, il suo corpo,
il suo sangue, la sua anima, la sua divinita`. Si unisce a noi per
trasformarci in lui; questa unione e` insieme fisica e morale,
trasformante e di sua natura permanente. Tal e` la dottrina di
S. Giovanni che il P. Lebreton 277-3 compendia cosi`:
"Nell'Eucaristia si compie l'unione di Cristo e del fedele e la
vivificante trasformazione che ne e` il frutto; non si tratta solo piu`
dell'adesione a Cristo per mezzo della fede, ne` dell'incorporazione a
Cristo per mezzo del battesimo; e` una nuova unione realissima insieme
e spiritualissima: si puo` per lei dire che chi aderisce al Signore non
solo e` con lui un solo spirito, ma anche una sola carne. E` unione cosi`
intima che Gesu` non teme di dire: "Come io vivo per il Padre, cosi`
colui che si ciba di me vivra` per me"; abbiamo certamente qui solo
un'analogia; ma resta sempre vero che, per mantenerla, bisogna
intendervi non solo un'unione morale fondata sopra una comunanza di
sentimenti ma una vera unione fisica, che importa la fusione di due
vite, o meglio la partecipazione del cristiano alla vita stessa di
Cristo".

Studiamoci di spiegare cotesta unione.

278. a) E` un'unione fisica. E` di fede, secondo il Concilio di
Trento, che l'Eucaristia contiene veramente, realmente e
sostanzialmente il corpo e il sangue di Gesu` Cristo, con la sua anima
e la sua divinita`, e quindi tutto quanto Cristo 278-1. Onde,
quando facciamo la comunione sacramentale, riceviamo realmente e
fisicamente, nascosti sotto le sacre specie, il corpo e il sangue del
Salvatore, con la sua anima e la sua divinita`. Siamo quindi non solo
tabernacoli ma anche pissidi ove Gesu` abita e vive, ove gli angeli
vengono ad adorarlo, e dove noi dobbiamo aggiungere le adorazioni
nostre alle loro. Anzi c'e` tra Gesu` e noi una unione simile a quella
che esiste tra il cibo e colui che se l'assimila; con questa
differenza pero` che non siamo noi che trasformiamo Gesu` nella nostra
sostanza ma e` Gesu` che noi trasforma in lui: e` infatti l'essere
superiore che si assimila l'inferiore 278-2. E` un'unione che
tende a rendere la nostra carne piu` sottomessa allo spirito e piu`
casta, e depone in lei un germe d'immortalita`: "Et ego resuscitabo
eum" 278-3.

279. b) Su questa unione fisica viene ad innestarsi un'unione
spirituale intimissima e trasformatrice. 1) E` unione intimissima e
santificantissima. L'anima di Gesu` s'unisce alla nostra per non fare
con lei che un cuore solo e un'anima sola: "cor unum et anima una". La
sua immaginazione e la sua memoria, cosi` ben regolate e cosi` sante,
s'uniscono alla immaginazione nostra e alla nostra memoria per
disciplinarle e orientarle verso Dio e le cose divine, volgendone
l'attivita` verso il ricordo dei benefici di Dio, verso l'incantevole
sua bellezza e l'inesauribile sua bonta`. La sua intelligenza, vero
sole delle anime, ci illumina la mente con gli splendori della fede e
ci fa veder tutto e tutto giudicare alla luce di Dio; tocchiamo allora
con mano la vanita` dei beni della terra, la follia delle massime del
mondo, assaporiamo le massime evangeliche prima cosi` oscure per noi
perche` tanto contrarie ai naturali nostri istinti. La sua volonta` cosi`
forte, cosi` costante, cosi` generosa, viene a correggere le nostre
debolezze, la nostra incostanza, il nostro egoismo, comunicandoci le
divine sue energie, tanto da poter dire con S. Paolo: "Io posso tutto
in colui che mi fortifica: "omnia possum in eo qui me
confortat" 279-1. Ci pare allora che gli sforzi non ci costeranno
piu`, che le tentazioni ci troveranno incrollabili, che la perseveranza
nel bene non ci spaventi piu`, perche` non siamo piu` soli ma aderiamo a
Cristo come l'edera alla quercia e ne partecipiamo quindi la fortezza.
Il suo cuore, cosi` ardente d'amore per Dio e per le anime, viene a
infiammare il nostro cosi` freddo per Dio, cosi` tenero per le creature;
come i discepoli d'Emmaus ripetiamo: "Non ci ardeva forse il cuore in
petto mentre ei ci parlava? Nonne cor nostrum ardens erat in nobis,
dum loqueretur in via?" 279-2. Sotto l'azione di questo fuoco
divino, sentiamo allora slanci quasi irresistibili verso il bene e una
volonta` guardinga ma ferma di far tutto, di tutto soffrire per Dio e
di non rifiutargli nulla.

280. 2) E` chiaro che una cosiffatta unione e` veramente
trasformatrice. 1^ A poco a poco i nostri pensieri, le nostre idee, le
nostre convinzioni, i nostri giudizi si modificano: invece di
giudicare le cose secondo le massime del mondo, facciamo nostri i
pensieri e i giudizi di Gesu`, amorosamente abbracciamo le massime
evangeliche, e costantemente ci domandiamo: Che farebbe Gesu` se fosse
al mio posto? 2^ Lo stesso e` dei nostri desideri e dei nostri voleri;
persuasi che il mondo e il nostro io hanno torto, che solo Gesu`,
Sapienza eterna, e` nella verita`, non desideriamo piu` che cio` che
desidera lui, la gloria di Dio, la salvezza nostra e quella dei nostri
fratelli; non vogliamo che cio` che vuol lui "non mea voluntas, sed tua
fiat"; e anche quando questa volonta` e` dura per noi, l'accettiamo di
gran cuore, sicuri che non mira se non al bene spirituale nostro e a
quello del prossimo.

3^ Il nostro cuore si libera egli pure a poco a poco del suo egoismo
piu` o meno cosciente, delle sue affezioni naturali e sensibili, per
amare ardentemente, generosamente, appassionatamente Dio e le anime
guardate in Dio: non amiamo piu` le consolazioni divine, per quanto
dolci elle siano, ma Dio stesso; non si mira piu` al piacere di
trovarsi con quelli che si amano, ma al bene che si puo` lor fare.
Viviamo quindi una vita piu` intensa e sopra tutto piu` soprannaturale e
piu` divina che pel passato; non e` piu` l'io, l'uomo vecchio che vive,
pensa ed opera: e` Gesu` stesso, e` il suo spirito che vive in noi e
vivifica il nostro: "Vivo autem jam non ego, vivit vero in me
Christus" 280-1.

281. c) Questa unione spirituale si prolunga quanto vogliamo,
affermando Gesu` stesso: "Qui manducat meam carnem et bibit meum
sanguinem, in me manet et ego in eo" 281-1. Quanto a lui altro
non brama che di restare eternamente in noi; da noi quindi dipende con
la sua grazia, di restargli costantemente uniti.

Ma in che modo si perpetua quest'unione?

Alcuni autori pensarono, col P. Schram 281-2, che l'anima di Gesu`
si raccolga, a cosi` dire, nel centro dell'anima nostra, per
stabilmente rimanervi. -- Sarebbe questo un miracolo assolutamente
straordinario, perche` l'anima di Gesu` resta costantemente unita al suo
corpo e il suo corpo sparisce con le specie sacramentali. Non possiamo
quindi ammettere quest'opinione, perche` Dio non moltiplica i miracoli
di tal genere senza necessita`.

Ma se la sua anima umana si ritira da noi nello stesso tempo che il
suo corpo, la sua divinita` resta in noi finche` siamo in stato di
grazia. Anzi, la sua santa umanita`, unita alla sua divinita`, conserva
con l'anima nostra un'unione speciale. Il che puo` teologicamente
spiegarsi nel modo seguente. Lo Spirito di Gesu` o, in altri termini,
lo Spirito Santo che vive nell'anima umana di Gesu`, resta in noi in
virtu` dell'affinita` speciale contratta nella comunione sacramentale
con Gesu` e vi opera delle disposizioni interne simili a quelle di
Nostro Signore; a richiesta di Gesu`, che prega continuamente per noi,
ci largisce grazie attuali piu` copiose e piu` efficaci, ci preserva con
cura speciale dalle tentazioni, produce in noi privilegiate
impressioni, dirige l'anima nostra e le sue facolta`, ci parla al
cuore, fortifica la nostra volonta`, rinfiamma il nostro amore, e ci
continua cosi` nell'anima gli effetti della comunione sacramentale. Ma
per godere di questi privilegi, e` chiaro che bisogna vivere nel
raccoglimento interiore, ascoltare attentamente la voce di Dio, ed
essere pronti ad eseguirne i minimi desideri. A questo modo la
comunione sacramentale si perfeziona con la comunione spirituale che
ne perpetua i santi effetti.

282. d) Questa comunione trae seco un'unione speciale con le tre
persone divine della SS. Trinita` 282-1; perche`, in virtu` della
circumincessione (che e` l'abitazione delle divine persone l'una
nell'altra), il Verbo non viene solo nell'anima nostra; ci viene col
Padre che continuamente lo genera nel suo seno, ci viene con lo
Spirito Santo che continuamente procede dal mutuo amplesso del Padre e
del Figlio: "Chi ama me, anche il Padre mio amera` lui, e verremo a lui
e in lui faremo dimora" 282-2. E` vero che le tre divine persone
sono gia` in noi per la grazia, ma, nel momento della comunione, vi
sono per un titolo speciale: essendo noi fisicamente uniti al Verbo
Incarnato, in lui e per lui esse sono unite a noi e ci amano come un
prolungamento del Verbo Incarnato di cui siamo le membra. Portando
Gesu` nel nostro cuore, vi portiamo pure il Padre e lo Spirito Santo;
la comunione e` quindi un anticipato paradiso e, se avessimo viva fede,
proveremmo a verita` di quella parola dell'Imitazione, che essere con
Gesu` e` il paradiso in terra: "Esse cum Jesu dulcis
paradisus" 282-3.

283. B) Disposizioni per trar profitto dalla comunione. Avendo
l'Eucaristia per fine d'unirci a Gesu` e a Dio in modo intimo,
trasformante e permanente, tutto cio` che fomentera` quest'unione, nella
preparazione o nel ringraziamento, ne intensifichera` i lieti effetti.

a) La preparazione sara` quindi una specie d'unione anticipata a Nostro
Signore. Si suppone che l'anima sia gia` unita a Dio con la grazia
santificante, altrimenti la comunione sarebbe un
sacrilegio 283-1. Cio` posto, la preparazione abbraccera` almeno
queste tre cose:

1) Anzitutto l'adempimento piu` perfetto di tutti i doveri del nostro
stato in unione con Gesu` e per piacere a Lui. Non e` forse questo
infatti il mezzo migliore per attirare in noi Colui la cui vita si
compendia nell'ubbidienza filiale al Padre a fine di piacergli? "Quae
placita sunt ei facio semper" 283-2. Abbiamo gia` spiegato questa
pratica al n. 229.

2) Una sincera umilta`, fondata da un lato sulla grandezza e sulla
santita` di Nostro Signore e dall'altro sulla nostra bassezza e
indegnita`: "Domine, non sum dignus..." Questa disposizione fa, per
cosi` dire, il vuoto nell'anima nostra, sgombrandola dall'egoismo,
dall'orgoglio, dalla presunzione; ora e` proprio nel vuoto di se` che si
opera l'unione con Dio; quanto piu` ci vuotiamo di noi stessi, tanto
meglio prepariamo l'anima a lasciarsi prendere e possedere da Dio.

3) A questa umilta` terra` dietro un desiderio ardente d'unirsi al Dio
dell'Eucaristia: sentendo vivamente la nostra impotenza e la nostra
poverta`, sospireremo a Colui che solo puo` fortificare la nostra
debolezza, arricchirci dei suoi tesori e riempire il vuoto del nostro
cuore. Or questo desiderio, dilatandoci l'anima, la spalanchera` a
Colui che desidera dare tutto se stesso a noi: "Desiderio desideravi
hoc pascha manducare vobiscum" 283-3.

284. b) Il migliore ringraziamento sara` quello che prolunghera` la
nostra unione con Gesu`.

1) Principiera` dunque con un atto di silenziosa adorazione,
d'annientamento, e di intiera donazione di noi stessi a Colui che,
essendo Dio, si da` interamente a noi 284-1: "Adoro te devote,
latens deitas... Tibi se cor meum totum subjicit" 284-2. In
unione con Maria, la piu` perfetta adoratrice di Gesu`, ci annienteremo
davanti alla Maesta` divina, per benedirla, lodarla, ringraziarla,
prima il Verbo Incarnato e poi, con Lui e per Lui, la SS. Trinita`.
"Magnificat anima mea Dominum... fecit mihi magna qui potens est, et
sanctum nomen ejus" 284-3. Nulla fa meglio penetrar Gesu` nel piu`
intimo dell'anima nostra quanto quest'atto di annientamento di noi
stessi; povere creature, e` questo per noi il modo di darci a Colui che
e` tutto. Gli daremo tutto cio` che v'e` di buono in noi, e sara` una
restituzione perche` tutto viene da lui e non cessa d'appartenergli;
offriremo pure le nostre miserie, perche` le consumi nel fuoco
dell'amor suo e vi sostituisca le sue cosi` perfette disposizioni.
Quale mirabile cambio!

285. 2) Vengono allora i dolci colloqui tra l'anima e l'ospite
divino: "Loquere, Domine, quia audit servus tuus... Da mihi
intellectum ut sciam testimonia tua. Inclina cor meum in verba oris
tui" 285-1... Si ascolta attentamente il Maestro, l'Amico; gli si
parla rispettosamente, semplicemente, affettuosamente. Si apre l'anima
alle comunicazioni divine; perche` e` questo il momento in cui Gesu` fa
passare in noi le sue disposizioni interiori e le sue virtu`; bisogna
non solo riceverle ma attirarle, assaporarle, assimilarsele: "Os meum
aperui et attraxi spiritum" 285-2. Onde poi questi colloqui non
degenerino in abitudine, e` bene variare, se non ogni giorno almeno
ogni tanto, l'argomento della conversazione, prendendo ora una virtu`
ora un'altra, meditando adagino qualche parole del Vangelo, e
supplicando Nostro Signore di volercela far ben capire, gustare e
praticare.

286. 3) Non dimentichiamo di ringraziarlo dei lumi che si degna, per
grazia sua, di comunicarci, dei pii affetti, come pure delle oscurita`
e delle aridita` in cui ci lascia ogni tanto; cogliamo anzi l'occasione
da quest'ultime per umiliarci, per riconoscerci indegni dei divini
favori, e per aderire piu` frequentemente con la volonta` a Colui che,
anche nelle aridita`, non cessa di far passare in noi, in modo segreto
e misterioso, la sua vita e le sue virtu`. Supplichiamolo di prolungare
in noi la sua azione e la sua vita: "O Jesu, vivens in Maria^, veni et
vive in famulis tuis" 286-1; di ricevere, per trasformarlo, quel
poco di bene che e` in noi: "Sume, Domine, et suscipe omnem meam
libertam..." 286-2.

287. 4) Offriamoci pronti a fare i sacrifici necessari per riformare
e trasformare la nostra vita, specialmente su quel tal punto
particolare; consapevoli della nostra debolezza, chiediamo
istantemente la grazia di compiere questi sacrifizi 287-1.
E` questo un punto capitale, dovendo ogni comunione esser fatta allo
scopo di progredire in una speciale virtu`.

288. 5) E` questo pure il momento di pregare per tutte le persone che
ci sono care, per tutti i grandi interessi della Chiesa, secondo le
intenzioni del Sommo Pontefice, per i Vescovi, i sacerdoti. Non
temiamo di rendere la nostra preghiera universale quanto piu` e`
possibile: e` questo in sostanza il miglior mezzo d'essere esauditi.

Infine si termina chiedendo a Nostro Signore, con una formola o con
un'altra, la grazia di restare in lui come egli resta in noi e di fare
tutte e ciascuna delle nostre azioni in unione con lui, in spirito di
ringraziamento. Si affida a Maria quel Gesu` da lei cosi` ben custodito,
perche` ci aiuti a farlo crescere nel nostro cuore; e cosi`,
riconfortati dalla preghiera, si passa al lavoro.
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15/10/2013 12:49
 
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CONCLUSIONE.

289. Abbiamo dunque a nostra disposizione tre grandi mezzi per
conservare e aumentare in noi la vita cristiana che Dio ci largisce
con tanta liberalita`, e per darci generosamente a lui come egli si da`
a noi.

1) Lottando, senza posa e senza scoraggiamento, con l'aiuto di Dio e
di tutti i protettori datici da lui, contro i nostri nemici
spirituali, siamo sicuri di vincere e di rassodare in noi la vita
spirituale.

2) Santificando, con spesso rinnovata offerta, tutte le nostre azioni
anche le piu` comuni, acquistiamo copiosi meriti, aumentiamo
considerevolmente ogni giorno il nostro capitale di grazia e i nostri
diritti al paradiso, pur riparando ed espiando le nostre colpe.

3) I sacramenti, ricevuti con buone e fervorose disposizioni,
aggiungono ai personali nostri meriti una copia eccezionale di grazie
che vengono dai meriti stessi di Gesu` Cristo; e poiche` spesso ci
confessiamo e, se vogliamo, quotidianamente ci comunichiamo, non
dipende che da noi di essere santi. Gesu` e` venuto e viene ancora in
noi per comunicarci abbondantemente la sua vita: "Ego veni ut vitam
habeant et abundantius habeant" 289-1. Sta a noi l'aprire, il
dilatar l'anima, per riceverla, coltivarla, aumentarla, partecipando
continuamente alle disposizioni, alle virtu`, ai sacrifici di Gesu`.
Verra` cosi` il momento in cui, trasformati in lui, non avendo altri
pensieri, altri affetti, altre intenzioni che le sue, potremo ripetere
le parole di S. Paolo: "Vivo, jam non ego, vivit vero in me Christus".

SINTESI DEL SECONDO CAPITOLO.

290. Giunti alla fine di questo capitolo, che e` il piu` importante di
questa prima parte, possiamo intender meglio la natura della vita
cristiana.

1) E` veramente una partecipazione della vita di Dio, perche` Dio vive
in noi e noi viviamo in lui. Dio vive realmente in noi nell'unita`
della sua natura e nella trinita` delle sue persone; e non vi resta
inoperoso: produce nell'anima nostra un organismo soprannaturale che
ci fa vivere una vita, non uguale ma simile alla sua, una vita
deiforme. Colla grazia attuale, Dio mette questa vita in movimento, ci
aiuta a fare atti meritori, e ricompensa questi atti producendo in noi
una nuova infusione di grazia abituale. Ma noi viviamo in lui e per
lui, perche` ne siamo i collaboratori: aiutati dalla sua grazia,
riceviamo liberamente l'impulso divino, vi cooperiamo, e cosi`
trionfiamo dei nostri nemici, acquistiamo dei meriti, e ci prepariamo
a quella ricca effusione di grazia dataci dai sacramenti. Non
dimentichiamo pero` che lo stesso nostro consenso e` opera della sua
grazia, onde gli attribuiamo il merito delle nostre opere buone,
vivendo per lui, perche` da lui e in lui viviamo.

291. 2) Questa vita e` anche una partecipazione della vita di Gesu`,
perche` Gesu` vive in noi e noi viviamo in lui. Vive in noi non solo
come Dio, allo stesso titolo del Padre, ma anche come Uomo-Dio. Gesu` e`
infatti il capo d'un corpo mistico di cui noi siamo le membra e da lui
riceviamo il movimento e la vita. Vive in noi in un modo anche piu`
misterioso, perche`, con i suoi meriti e con le sue preghiere, fa si`
che lo Spirito Santo operi in noi disposizioni simili a quelle che
questo divino Spirito operava nell'anima sua. Viva in noi realmente e
fisicamente nel momento della santa comunione, e, per mezzo del divino
suo Spirito, fa passare in noi i suoi sentimenti e le sue virtu`. Ma
anche noi viviamo in lui: incorporati a lui, liberamente riceviamo il
movimento ch'egli c'imprime; liberamente ci studiamo d'imitarne le
virtu` senza pero` dimenticare che non vi riusciamo se non per mezzo
della grazia meritataci da lui; liberamente aderiamo a lui come il
tralcio al ceppo, e apriamo l'anima alla linfa divina che con tanta
liberalita` egli ci comunica. E, tutto ricevendo da lui, per lui e a
lui viviamo, ben lieti di darci a lui come egli si da` a noi, dolenti
solo di farlo in modo cosi` imperfetto.

292. 3) Questa vita e` pure, in una certa misura, una partecipazione
della vita di Maria, o, come dice l'Olier, della vita di Gesu` vivente
in Maria. Volendo infatti che la santa sua Madre sia la vivente sua
immagine, Gesu` le comunica, per mezzo dei suoi meriti e delle sue
preghiere, il divino suo Spirito, che la fa partecipare, in un grado
sovreminente, alle sue disposizioni e alle sue virtu`. Cosi` Gesu` vive
in Maria, e poiche` vuole che la madre sua sia madre nostra, vuole pure
che spiritualmente ci generi. Ora, generandoci alla vita spirituale
(come causa secondaria, ben inteso), Maria ci fa partecipare non solo
alla vita di Gesu` ma anche alla sua. Onde noi partecipiamo alla vita
di Maria nello stesso tempo che alla vita di Gesu` o, in altre parole,
alla vita di Gesu` vivente in Maria. E` il pensiero cosi` bene espresso
nella bella preghiera del P. Condren perfezionata dall'Olier: "O Jesu
vivens in Maria, veni et vive in famulis tuis".

293. 4) Questa vita e` infine una partecipazione della vita dei Santi
del cielo e della terra. Abbiamo infatti visto che il corpo mistico di
Cristo comprende tutti coloro che gli sono incorporati col battesimo,
e specialmente tutti quelli che godono della grazia e della gloria.
Ora tutti i membri di questo corpo mistico partecipano alla stessa
vita, alla vita che ricevono dal capo e che e` diffusa nell'anima loro
dallo stesso divino Spirito. Siamo dunque tutti veramente fratelli,
ricevendo dallo stesso Padre, che e` Dio, per i meriti dello stesso
Redentore, una partecipazione della stessa vita spirituale, la cui
pienezza e` in Gesu` Cristo, "de cuius plenitudine nos omnes accepimus".
Percio` i Santi del cielo e della terra s'interessano del nostro
progresso spirituale e ci aiutano nella lotta contro la carne, il
mondo e il demonio.

294. Come son consolanti queste verita`! Quaggiu` la vita spirituale e`
certamente una lotta; ma se l'inferno combatte contro di noi e trova
alleati nel mondo e sopra tutto nella triplice concupiscenza, combatte
per noi il Cielo; e il Cielo non e` soltanto l'esercito degli Angeli e
dei Santi, e` Cristo, vincitore di Satana, e` la SS. Trinita` che vive e
regna nell'anima nostra. Dobbiamo quindi esser pieni di speranza e
sicuri di riportar vittoria, a patto che, diffidenti di noi, facciamo
innanzi tutto assegnamento su Dio: "omnia possum in eo qui me
confortat 294-1 ".
_________________________________________________________________

90-1 S. Tommaso, 1. q. 43, d. 3; Froget, O. P., De l'habitation
du Saint Esprit dans les a^mes justes; R. Plus, Dieu en nous, 1922;
Manning, Int. Mission, I; A. Devine, Ascetic Theology, p. 80 ss;
Ad. Tanquerey, Syn. theol. dogm., t. III, n. 180-185.

90-2 Su questa verita` fonda l'Olier la sua spiritualita`:
Cate'chisme chre'tien pour la vie inte'rieure, pp. 35, 37, 43 ed.
1906-1922.: "Chi e` colui che merita di essere chiamato cristiano?
Colui che ha in se` lo Spirito di Gesu` Cristo... che ci fa vivere
interiormente ed esteriormente come Gesu` Cristo" -- "Egli (lo Spirito
S.) vi e` col Padre e col Figlio, e vi diffonde, come abbiamo detto,
gli stessi sentimenti, gli stessi costumi e le stesse virtu` di Gesu`
Cristo."

92-1 "Sic ergo est in omnibus per potentiam in quantum omnia eius
potestati subduntur; est per praesentiam in omnibus in quantum omnia
nuda sunt et aperta oculis eius; est in omnibus per essentiam in
quantum adest omnibus ut causa essendi" (S. Theol., I, q. 8, a. 3)

92-2 Act. XVII, 28.

93-1 Rom., VIII, 15-16.

93-2 La Vie inte'rieure, e'd. 1909, p. 405; (La Vita interiore,
Libreria Fiorentina, Firenze).

93-3 Joan., I, 12.

94-1 Joan., III, 5; Tit., III, 5; I Petr., I, 3; Jac., I, 18.

94-2 Rom. VIII, 17; VIII, 28.

94-3 I Joan., III, 1.

94-4 Is., XLIX, 15.

94-5 Joan., III, 16.

94-6 Joan., XIV, 23.

95-1 Joan., XIV, 26.

95-2 Joan., XV, 15.

95-3 Apoc., III, 20.

95-4 Imit., l. II, c. 1, v. 1.

96-1 Philip., II, 13.

96-2 I Cor., X, 13.

96-3 Philip., I, 6.

96-4 I Cor., XV, 10.

96-5 Philip., IV, 13.

97-1 I Cor., III, 17.

97-2 I Cor., III, 16.

98-1 Tutti questi sentimenti sono magnificamente espressi nella
bella preghiera del mattino composta dall'Olier, La Journe'e chre'tienne
p. 18-24 dell'ed. 1907 e che e` riprodotta nel Manuel du Se'minariste de
St Sulpice, e nelle Meditazioni del P. Chaignon, S. J.

99-1 I Cor., VI, 20.

99-2 Rom., VIII, 26.

100-1 Prov., XXIII, 26.

101-1 I Cor., III, 16-17.

101-2 Matth., V, 48.

101-3 Joan., XVII, 21.

101-4 "Solliciti servare unitatem spiritus in vinculo pacis. Unum
corpus et unus spiritus... Unus Deus et Pater omnium, qui est super
omnes et per omnia et in omnibus." (Ephes., IV, 3-6.)

102-1 S. Tommaso IIa. IIae, q. 110; Alvarez de Paz, S. J., De vita
spirituali ejusque perfectione,
1602, t. I, l. II, c. 1; Terrein, S. J., La Gra^ce et la Gloire, t. I,
p. 75 sq.; Bellamy, La vie surnaturelle.

102-2 "Gratia praesupponitur virtutibus infusis, sicut earum
principium et finis" (Sum. theol., Ia. IIae, q. 110, a. 3).

103-1 "Sicut ab essentia animae effluunt eius potentiae, quae sunt
operum principia, ita etiam ab ipsa^ gratia^ effluunt virtutes in
potentias animae, per quas potentiae moventur ad actum" (Ibid., a. 4,
ad 1.)

104-1 Eymieu, op. cit., p. 150-151.

105-1 Cfr. S. Tommaso IIa. IIae, q. 110; Syn. Theol. Dogm., t. III,
n. 186-191; Froget, op. cit., IVe P.; Terrien, S. I. La gra^ce et
la gloire, p. 75, ss; Bellamy, La Vie surnaturelle, 1895; Nieremberg,
Del aprecio y estima de la divina gracia, trad. franc., Le prix de la
gra^ce (presso Plon); V. Many, La vraie vie, 1922, p. 1-79.

105-2 Questa espressione non e` del tutto esatta, perche` la grazia
non e` una sostanza, ma un accidente o modificazione accidentale
dell'anima nostra. Essendo pero` qualche cosa di finito e non potendo
venire che da Dio, senza essere da noi meritata, le si da` questo nome,
o talvolta si chiama anche concreata, per notare ch'essa e` tratta
dalla potenza obbedienziale dell'anima nostra.

105-3 Ps.-Dionigi, De eccl. hierarchia^, c. I, n. 3, P. G., III,
373.

106-1 La Vie inte'rieure, p. 401; (La Vita interiore, Libreria
Fiorentina, Firenze).

107-1 II Cor., XIII, 13.

107-2 "Societas nostra cum Patre et cum Filio ejus Jesu Christo"
I Joan., I, 3.

108-1 I Tim., VI, 16.

108-2 I Joan., III, 2.

108-3 I Cor., XIII, 12-13.

111-1 Sum. theol., Ia. IIae, q. 110, a. 2, ad 2.

111-2 Gen., I, 26.

112-1 "Divinam figurationem in nobis imprimens quodammodo per
seipsum". (Homil. Paschales), X, 2, P. G., LXXVII, 617.

112-2 S. Ambrogio, In Hexaem., l. VI, c. 8, P. L., XIV, 260.

112-3 S. Basilio, De Spiritu S., IX, 23, P. G., XXXII, 109.

114-1 Eymieu, La loi de la vie, p. 148-149.

115-1 Unione fisica, in teologia, non vuol dire unione materiale,
ma unione reale.

116-1 Enarrat. in psal. 70; sermo 2, n. 3, P. L. XXXVI, 893.

117-1 Bellamy, La Vie surnaturelle, p. 184-191.

117-2 Cardinal Mercier, La Vie inte'rieur, e'd. 1919, p. 392.

117-3 Questo e` in fondo il pensiero del Card. Mercier, quando
aggiunge (l. c.) "Nondimeno in un certo senso quest'unione e`
sostanziale, perche` per un verso si fa da sostanza a sostanza senza
l'interposizione d'un alcun accidente naturale e per l'altro mette
l'anima in comunicazione diretta con la sostanza divina e mette questa
sostanza divina immediatamente a sua portata, come un bene di cui ha
facolta` di godere e di disporre". Cosi` si spiegano le impressioni dei
Mistici, che, con San Giovanni della Croce, parlano di quei contatti
divini "che avvengono tra la sostanza dell'anima e la sostanza di Dio,
nel commercio di un'intima conoscenza amorosa" (Notte, l. II, c. 23).
Il P. Poulain, "Gra^ces d'Oraison" c. VI, (Delle Grazie d'Orazione,
Marietti, Torino) raccolse nelle Citazioni un gran numero di testi dei
Contemplativi su questo argomento.

117-4 Notre Vie surnaturelle, p. 51.

117-5 Op. cit., p. 49.

118-1 S. Tommaso, Sum. theol., Suppl., q. 92, a. 1, ad 8.

118-2 Sum. theol., IIa. IIae, q. 28, a. 1, ad 3.

118-3 Sum. theol., IIa. IIae, q. 24, a. 3, ad 2. Tal e` pure il
pensiero di Leone XIII, nella sua Enciclica Divinum illud munus: "Haec
autem mira coniunctio, quae suo nomine inhabitatio dicitur, conditione
tantum seu statu ad ea discrepat qua caelites Deus beando
complectitur". Cavallera, Thesaurus doctrinae cathol., n. 546.

118-4 Sum. theol., I, q. 43, a. 3, ad 1.

118-5 Ps.-Bonaventura, Compend. Theol. veritatis, l. I, c. 9.

119-1 Leo XIII, Encycl. Divinum illud munus,
9 maggio 1897.

121-1 "In ipsa^ iustificatione... haec omnia simul infusa accipit
homo, fidem, spem et caritatem" (Trid., sess. VI, c. 7).

121-2 Catech. Trid., p. 11, De baptismo, n. 42.

122-1 Spiegheremo in particolare queste virtu` nella seconda
parte, trattando della via illuminativa; i doni dello Spirito Santo
poi li colleghiamo alla via unitiva.

124-1 Cfr. S. Tommaso,Ia. IIae, q. 109-113; Ad. Tanquerey, Syn.
theol. dogm.,
n. 22-123. Oltre le opere latine, si veda Waffelaert, Me'ditations
the'ologiques, t. I, p. 606-650; A. de Broglie, Confe'r. sur la vie
surnaturelle, t. I, p. 249; L. Labauche, L'homme, IIIe P., c. 1; Van
der Meersch, nel Dict. The'ol. alla parola Gra^ce.

124-2 Atti, XVI, 14: "Cujus aperuit cor intendere his quae
dicebantur a Paolo".

125-1 Questa almeno e` la dottrina tomista, cosi` compendiata dal
P. Hugon, Tract. dogmatici, t. II, p. 297: "Gratia actualis... est
etiam realitas supernaturalis nobis intrinseca, non quidem per modum
qualitatis, sed per modum motionis transeuntis".

126-1 Cfr. la nostra Syn. theol. dogm., t. III, n. 34-91. Ivi
pure esaminiamo in quale misura la grazia e` necessaria per gli atti
naturali.

126-2 Mat., XXVI, 41.

126-3 Philip., I, 6.

126-4 I Petr., V, 10.

127-1 Trident., sess. VI, can. 16, 22, 23.

127-2 S. Agostino, De dono persev., VI, 10, P. L., XLV, 999.

127-3 I Joan., I, 8.

127-4 Sessio VI, can. 23.

130-1 Sermones, XXI, 3, P. L., LIV, 195.

130-2 Ps. XCII, 5.

132-1 S. Tom., III, qq. 8, 21, 22, 25, 26, 40, 46-49, 57 et alibi
passim; P. Be'rulle, OEuvres, e'd. 1657, p. 522-530; 661-665; 689;
J.-J. Olier, Pense'es choisies, textes ine'dits publie's par
G. Letourneau, p. 1-31; F. Prat, S. J., La The'ologie de S. Paul, t. I,
p. 342-378; t. II, p. 165-325 (La Teologia di S. Paolo, Salesiana,
Torino); D. Columba Marmion, Le Christ, vie de l'a^me, 1920 (Cristo
vita dell'anima, Libreria Vita e Pensiero, Milano); J. Duperray, Le
Christ dans la vie chre'tienne,
1922; R. Plus, Dans le Christ Je'sus, 1923.

134-1 Ephes., I, 3.

135-1 Matt., XVI, 24.

135-2 Rom., VIII, 17.

135-3 I Petr., II, 21.

135-4 Colos., I, 24.

136-1 Joan., XIV, 9.

136-2 Matth., V, 48.

136-3 Matth., III, 17; XVII, 5.

136-4 Joan., XIV, 6; Matth., XI, 29; Joan., XIII, 15.

136-5 Act., I, 1.

136-6 I Cor., IV, cfr. XI, 1; Ephes., V, 1.

137-1 Viene spiegato molto bene in J.-J. Olier, Cate'ch. chre'tien,
Ia. P., lez. I.

138-1 Hebr., IV, 15.

138-2 Matth., XIII, 55.

138-3 Hebr., IV, 15.

139-1 Joan., XII, 32.

139-2 Tale e` il senso della preghiera di S. Andrea Apostolo,
crocifisso per Gesu`, che saluta amorosamente la croce: "O bona crux".

141-1 J.-J. Olier, Cate'ch. chre'tien, Ia. P., lez. XX-XXV.

142-1 Sum. theol. III, q. 8; F. Prat, op. cit., t. I,
e'd. 1920, p. 348-369; J. Duperray, op. cit., c. I-II; D. Columba
Marmion, Le Christ vie de l'a^me, 10e e'd., p. 123-146; R. Plus,
op. cit., p. 1-57.

142-2 Joan., XV, 5.

143-1 Joan., I. 14, 16.

143-2 Sess. VI, c. VIII.

144-1 Rom., V, 5.

144-2 Sermo 187 de tempore.

144-3 "Atque hoc affirmare sufficiat quod cum Christus caput sit
Ecclesiae, Spiritus Sanctus sit eius anima". (Encicl. 9 Maggio 1897.)

144-4 I Cor., XII, 6.

146-1 I Cor., XII, 13.

146-2 Rom., VI, 3; Galat., III, 25; Rom., III, 17.

146-3 Denziger-Bann., n. 696.

147-1 I Cor., XII, 26.

148-1 Gal., III, 28; I Cor., XII, 13; Rom., X, 12.

149-1 Ephes., I, 23.

149-2 Pense'es, p. 15-16.

149-3 Colos., I, 24.

150-1 P. Be'rulle (chiamato l'apostolo del Verbo Incarnato),
Discours de l'Estat et des Grandeurs de Je'sus.

150-2 Joan., XV, 5.

150-3 "Per quem haec omnia, Domine, semper bona creas,
sanctificas, vivificas, benedicis et praestas nobis; per ipsum, et cum
ipso et in ipso est tibi Deo Patri omnipotenti, in unitate Spiritu^s
Sancti, omnis honor et gloria".

152-1 Hebr., VII, 25.

152-2 I Joan., II, 1.

152-3 Joan., XVI, 23.

152-4 Hebr., V, 7.

153-1 Introd. a` la vie et aux vertus chre'tiennes, cap. IV, p. 47,
ed, 1906.

153-2 Galat., II, 20.

154-1 I Tim., II, 5.

155-1 Cfr. S. Tommaso, In Salut. Angel. expositio; Suarez, De
mysteriis Christi, disp. I-XXIII; Bossuet, Sermons sur la Ste Vierge;
Terrien S. J., La Me`re de Dieu et la Me`re des hommes, t. III;
L. Garriguet, La Vierge Marie; Dict. d'Apolog. (d'Ale`s), au mot Marie;
Hugon, O. P., Marie, pleine de gra^ce; R.-M. de la Broise et J. B.
Bainvel, Marie, me`re de gra^ce, 1921; Synop. Theologiae dogm., t. II,
n. 1226-1263.

155-2 Bainvel, op. cit., p. 73-75. -- Si puo` appoggiar la sua
tesi sulle parole dell'Angelo: "Ecce concipies in utero et paries
filium et vocabis nomen ejus Jesum (i. e. Salvatorem); hic erit magnus
et Filius Altissimi vocabitur et dabit illi Dominus Deus sedem David
patris ejus, et regnabit in domo Jacob in aeternum". (Luc, I, 31-32).

157-1 Questa espressione venne ratificata da Pio X nell'Enciclica
del 1904 in cui dichiara che Maria ci merito` de congruo tutte le
grazie che Gesu` ci merito` de condigno.

158-1 Luc., II, 31.

158-2 In Assumpt., sermo II, 2.

159-1 J.-V. Bainvel, Le Saint Coeur de Marie, p. 313-314.

159-2 Luc., I, 45.

161-1 Sermo de aquaeductu, n. 7.

161-2 Le prove di questa asserzione si possono trovare nell'opera
citata del P. Terrien, t. III per intiero.

162-1 Marie, Me`re de gra^ce, p. 23-24.

162-2 Ecco in quali termini S. E. il Cardinale Mercier, con
lettera del 27 Gennaio 1921, l'annunzia ai suoi diocesani: < anni l'episcopato belga, la facolta` di teologia dell'Universita` di
Lovanio, tutti gli ordini religiosi della nazione, facevano istanze
presso il Sommo Pontefice perche` autenticamente si riconoscesse alla
SS. Vergine Maria, madre di Gesu` e madre nostra, il titolo di
mediatrice universale nell'impetrazione e nella distribuzione delle
grazie divine. Ed ecco che S. Santita` Benedetto XV concede alle chiese
del Belgio e a tutte quelle della Cristianita` che ne faranno domanda,
un ufficio e una messa propri, in data 31 maggio, in onore di Maria
mediatrice>>.

165-1 Homil. I, de Laudibus Virg. Matris, 17.

168-1 Era la pratica del Sig. Olier, che il B. Grignion di
Montfort ha meglio determinata e resa popolare nel le Secret de Marie
e nel Traite' de la vraie de'votion a` la Sainte Vierge. (Trattato della
vera devozione a Maria, Roma).

170-1 Grignion de Montfort, op. cit.; A. Lhoumeau, La Vie
spirituelle a` l'e'cole du B. Grignion de Montfort, 1920, p. 240-427.

171-1 S. Thom., Supplement., q. 13, a. 2.

178-1 Pense'es choisies, testi inediti pubblicati da
G. Letourneau, p. 181-182.

179-1 J.-J. Olier, Pense'es choisies, p. 176.

180-1 I. Cor., IV, 16.

182-1 Confess., lib. VIII, c. XI.

183-1 J.-J. Olier, Pense'es choisies, p. 158.

183-2 L. cit., p. 164.

183-3 Matth., XVII, 10.

184-1 Olier, l. cit., p. 169.

185-1 Ps., XC, 11, 12.

185-2 Hebr., I, 14.

185-3 Tob., XII, 12.

185-4 E` dottrina tradizionale che gli angeli conducono le anime
nostre in cielo, come dimostra Don Leclerq, Dict. d'Arche'ologie, Les
Anges psychagogues, t. I, 2121, sq.

186-1 Pense'es choisies, p. 171-172.

190-1 I Cor., III, 8.

190-2 Hebr., VI, 7-8.

190-3 II Cor., VI, 1.

193-1 Si veda l'ammirabile trattatello del Bossuet sulla
Concupiscenza.

193-2 I Joan., II, 16: "Tutto cio` che e` nel mondo, la
concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, e la superbia
della vita, non viene dal Padre."

194-1 Tr. della Concupiscenza,
cap. V.

195-1 In questo capitolo non facciamo che compendiare il cap. V
di Bossuet.

196-1 Galat., V, 24.

196-2 Cate'ch. chre'tien, I Parte, lez. V.

197-1 Cat. cr., lez. IX.

197-2 Rom., VI, 2-4.

197-3 "Non e` snaturare il pensiero dell'Apostolo il tradurlo in
stile teologico moderno: i sacramenti sono segni efficaci che
producono ex opere operato cio` che significano. Ora il battesimo
rappresenta sacramentalmente la morte e la vita di Cristo. Bisogna
dunque che produca in noi una morte mistica nella sua essenza ma reale
nei suoi effetti, morte al peccato, alla carne, all'uomo vecchio, ed
una vita conforme a quella di Gesu` Cristo risorto". (Prat, The'ol. de
S. Paul, l. III, ch. II, sect. deux., 11; La Teologia di S. Paolo,
Parte Prima, p. 215, Salesiana, Torino).

197-4 Rom., VIII, 13.

199-1 Bossuet, l. c., cap. VIII.

199-2 Bossuet, l. c.

202-1 Luca, XVI, 2.

202-2 Matth., VI, 20.

202-3 Matth., VI, 21.

202-4 Matth., V, 3.

202-5 Luc., XII, 33; cfr. XVIII, 22; Matth., XIX, 21.

202-6 J.-J. Olier, Introd., cap. XI; A. Chevier, Le ve'ritable
disciple, 1922, p. 248-267.

203-1 Ps. CXVII, 37.

203-2 Esth., XIV, 15-18.

204-1 L. c., cap. XXXIII.

205-1 Della Concupiscenza, c. XVII.

206-1 Jac., IV, 6.

207-1 I Cor., IV, 7.

207-2 I Cor., X, 31: "Sia che mangiate, sia che beviate, sia che
facciate qualunque altra cosa, fate tutto a gloria di Dio".

207-3 Colos., III, 17.

208-1 J.-J. Olier, Cat. chre'tien, I. P., lec,. XVII.

208-2 Confess., l. II, c. 7.

208-3 Cat. chre'tien, lec,. XVII.

208-4 La Teologia insegna (Syn. theol. dogm., t. III, n. 72-91)
che l'uomo decaduto puo` fare qualche bene d'ordine naturale col solo
concorso naturale di Dio; ma che occorre un aiuto preternaturale per
osservare tutta la legge naturale e respingere tutte le tentazioni
gravi.

209-1 Op. cit., cap. XXXI.

210-1 Matth., XVIII, 7.

210-2 I Joan., V., 19.

212-1 Sap., II., 8.

214-1 Cfr. Tronson, Examens particuliers, XCIV-XCVI.

215-1 Sermo III de Nativitate Domini, n. 1.

215-2 I Cor., II, 12.

215-3 Galat., I, 10.

215-4 Jac., IV, 4.

215-5 Joann., XVII, 15.

215-6 I Cor., VII, 31.

215-7 Galat., VI, 14.

215-8 Act., I, 3.

216-1 Matth., V, 14.

216-2 Matth., V, 16.

217-1 Cosi`, nel secolo XVII, S. Vincenzo de' Paoli e l'Olier
ottennero frutti meravigliosi fondando delle societa` e delle leghe.

218-1 La Filotea, P. IV, c. I. (Salesiana, Torino).

219-1 S. Tomm., I, q. 114; S. Teresa, Autobiografia, c. XXX-XXXI
(Istituto Editoriale La Santa, Milano.)

219-2 Sap., II, 24.

219-3 Ephes., VI, 12.

219-4 I Petri, V, 8-9.

221-1 Sum. Theol., q. 111, a. 2. -- E rettamente aggiunge (ad
2^um): "Daemones non possunt immittere cogitationes interius eas
causando, cum usus cogitativae virtutis subjaceat voluntati".

221-2 I Cor., X, 13.

222-1 Sum. theol., I, q. 114, a. 3.

222-2 Jac., I, 14.

222-3 Sum theol., I, q. 114, a. 1.

222-4 Si vedano le Regole sul discernimento degli spiriti per la
prima e la seconda settimana degli Esercizi spirituali di S. Ignazio.

223-1 Autobiografia, cap. XXX-XXXI.

224-1 "Verso quello stesso tempo, io credetti una notte che i
demoni stessero per soffocarmi. Si getto` loro molta acqua benedetta,
ed io ne vidi una moltitudine fuggirsene come se precipitassero da un
luogo elevato" (Autobiografia, c. XXXI, n. 9).

225-1 L. c., n. 11.

226-1 II Tim., II, 1-7. Quindi S. Paolo ne descrive l'armatura,
Ephes., VI, 10-18.

227-1 II Tim., IV, 7-8.

228-1 S. Thom., Ia. IIae, q. 114; Terrien, La gra^ce et la gloire,
t. II, p. 15 ss; Labauche, L'Homme, IIIe P., c. 3; Hugon, nel La Vie
spirituelle, t. II (1920), pp. 28, 273, 353: Ad. Tanquerey, op.
cit., t. III, n. 210-235.

228-2 Sess. XIV, De sacram paen., cap. 9: "Docet praeterea tantam
esse divinae munificentiae largitatem, ut non solum poenis sponte a
nobis pro vindicando peccato susceptis... sed etiam (quod maximum
amoris argumentum est) temporalibus flagellis a Deo inflictis et a
nobis patienter toleratis apud Deum Patrem per Christum Jesum
satisfacere valeamus".

228-3 In Romanos, cap. I, 9-10.

230-1 Jac., I, 12.

231-1 Jac., I, 22.

232-1 I Cor., XV, 10.

234-1 Jac., I, 12; II Tim., IV, 8.

234-2 Sess. VI, c. 16.

238-1 Joan., XV, 1-6.

238-2 Joan., XIV, 6.

238-3 Galat., II, 20.

239-1 Quaest. disput., de Malo, q. 2, a. 5, ad 7.

243-1 Sap., IV, 13.

245-1 Cf. Eymieu, Le Gouvernement de soi-me^me, t. I, Introd.
p. 7-9.

248-1 Tutti gli autori spirituali raccomandano quest'offerta
sotto una forma o sotto un'altra, come il Rodriguez, Pratica, P. I.,
2^ et 3^ Trattato; J.-J. Olier, Introduction, c. XV; Tronson, Examens,
XXVI-XXIX.

249-1 S. Tommaso, III, q. 60-52; Suarez, disp. VII, sq.; Abbe' de
Broglie, Conf. sur la vie surnat.,
t. III; Bellevue, De la gra^ce sacramentelle; Tanquerey, Synopsis
theol. dogm., t. III, n. 298-323.

249-2 Con. di Trento, sess. VII, can. 5.

251-1 Rom., VI, 3-6.

259-1 E` questo l'insegnamento del Concilio di Trento, sess. VI,
c. 7: "Spiritus Sanctus partitur singulis prout vult, et secundum
propriam cujusque dispositionem et cooperationem".

259-2 Matth., VII, 7.

259-3 Joann., XVI, 23.

260-1 Matth., V, 6.

260-2 Luc., I, 53.

262-1 Oltre ai trattati di Teologia, si veda in particolare
Beaudenom, Pratique progressive de la confession (Pratica progressiva
della Confessione,
Berruti, Torino).

262-2 Syn. theol. moralis, De Poenitentia^, n. 242 ss.

267-1 Ps. LIV, 13-15.

267-2 Ps. L: meditarlo qualche volta.

268-1 Beaudenom, op. cit., t. II, c. II.

270-1 S. Thom., III, q. LXXIX; Suarez, disp. LXIII; Dalgairns, La
Santa Comunione; Hugon, O. P., La Sainte Eucharistie; Hedley, The Holy
Eucharist, tradotto da A. Roudie`re, col titolo La Sainte Eucharistie.

271-1 Oltre le opere generali citate, cf. Benedetto XIV, De ss.
Missae sacrificio; Bona, De sacrificio Missae; Le Gaudier, op.
cit., P. I. 10a. Sez; Ghir, Das heilige Messoffer, trad. in francese da
Moccand; J. J. Olier, La Journe'e chre'tienne, Occupazioni interiori
durante il s. sacrifizio, p. 49-65; Chaignon, S. J., Il Sacerdote
all'altare; Bacuez, S. S. Du divin sacrifice; E. Vandeur, O. S. B., La
santa Messa, note sulla sua liturgia.

271-2 In altre parole quest'effetto e` prodotto ex opere operato,
per la virtu` stessa del sacrifizio.

271-3 Sess. XXII, c.I-II.

272-1 E` l'insegnamento del Concilio di Trento, sess. XXII, c. II.

272-2 Loc. cit.

272-3 Matth., V, 8.

273-1 Hebr., V, 7.

274-1 Cf. E. Vandeur, O. S. B., La santa Messa.

275-1 Joan., XVII, 23.

277-1 S. Thomas, q. 76; Tanquerey, Syn. theol. dogm., t. III,
n. 619-628; Dalgairns, Holy Communion, p. 154 sq., trad. in ital.
sotto il titolo: La Santa Comunione; Moureau, Dic. de The'ol.
(Mangenot) alla parola Communion; P. Hugon, La Sainte Eucharistie,
p. 240 ss.

277-2 Joan., VI, 55.

277-3 Les origines du dogme de la Trinite', 1910, p. 403.

278-1 Sess XIII, can. 1.

278-2 E` quanto nota S. Agostino (Confess., lib. VII, c. 10,
n. 16, P. L., XXXII, 742), che fa dire a Nostro Signore queste parole:
"Io sono il cibo dei grandi, cresci e mi mangerai; ma non sarai tu che
trasformerai me in te, come il cibo corporale: sarai tu trasformato in
me".

278-3 Joan., VI, 35.

279-1 Philip., IV, 13.

279-2 Luc., XXIV, 32.

280-1 Galat., II, 20.

281-1 Joan., VI, 56.

281-2 Instit. theol. mysticae, sez. 155.

282-1 Cfr. Bernadot, De l'Eucharistie a` la Trinite'.

282-2 Joan., XIV, 23.

282-3 De Imit. Christi, l. II, c.8.

283-1 Se si avesse quindi coscienza d'essere in stato di peccato
mortale, bisognerebbe anzitutto andarsi a confessare con cuore
contrito ed umiliato, e non contentarsi della contrizione anche
perfetta. Si veda la nostra Syn. theol. dogm, t. III, n. 652-654.

283-2 Joan., VIII, 29.

283-3 Luc., XXII, 15.

284-1 Molte persone dimenticano questo primo dovere e si mettono
subito a domandare favori, senza pensare che le nostre domande saranno
tanto meglio accolte quanto piu` fin da principio avremo presentato i
nostri ossequi a Colui che ci fa l'onore di visitarci.

284-2 Inno di S. Tommaso.

284-3 Luc., I, 46 e sg.

285-1 Imitazione, l. III, c. 2.

285-2 Ps., CXVIII, 131.

286-1 Preghiera del P. di Condren, perfezionata dal Sig. Olier.

286-2 Preghiera di S. Ignazio nella Contemplazione sull'amor di
Dio.

287-1 Sullo spirito di vittima si veda L. Capelle, S. J. Les a^mes
ge'ne'reuses.

289-1 Joan., X, 10.

294-1 Phil., IV, 13.
_________________________________________________________________


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CAPITOLO III.

Perfezione della vita cristiana.

295. Ogni vita deve perfezionarsi, ma principalmente la vita
cristiana, la quale e`, per sua natura, essenzialmente progressiva e
non tocchera` il suo termine se non in cielo. Dobbiamo quindi esaminare
in che consista la perfezione di questa vita, per poterci cosi` meglio
dirigere nelle vie della perfezione. Essendoci pero` su questo punto
fondamentale errori e idee piu` o meno monche ed inesatte, cominceremo
a rimuovere la false nozioni della perfezione cristiana e ne esporremo
poi la vera natura.
* I. Le false nozioni
+ degli increduli;
+ dei mondani;
+ dei devoti.
* II. La vera nozione
+ consiste nella carita`;
+ suppone sulla terra il sacrifizio;
+ concilia armoniosamente questi due elementi;
+ abbraccia i precetti e i consigli;
+ ha i suoi gradi e i suoi limiti.

ART. I. FALSE NOZIONI SULLA PERFEZIONE.

Queste false nozioni si trovano presso gl'increduli, i mondano e i
falsi devoti.

296. 1^ Agli occhi degl'increduli la perfezione cristiana e` un puro
fenomeno soggettivo, che non corrisponde ad alcuna sicura realta`.

A) Molti di loro studiano quelli che essi chiamano fenomeni mistici
con malevoli pregiudizi e senza discernere tra i veri e i falsi
mistici: tali Max Nordau, J. H. Leuba, E. Murisier 296-1. A loro
giudizio, la pretesa perfezione dei mistici non e` che un fenomeno
morboso, una specie di psiconevrosi, di esaltazione del sentimento
religioso, ed anche una forma speciale di amore sessuale, come appare
dai vocaboli di sponsali o sposalizio, di matrimonio spirituale, di
baci, di amplessi, di carezze divine, che ricorrono cosi` spesso sotto
la penna dei mistici.

E` chiaro che questo autori, i quali non s'intendono quasi d'altro che
di amore profano, non anno capito nulla dell'amor divino e sono di
coloro a cui si potrebbe applicare la parola di Nostro Signore: "Neque
mittatis margaritas vestras ante porcos 296-2 ". Quindi anche gli
altri psicologi, come W. James, fanno loro notare che l'istinto
sessuale non ha nulla da vedere con la santita`; che i veri mistici
praticarono la purita` eroica, gli uni non avendo mai o quasi mai
provato le debolezze della carne, gli altri avendo superate violente
tentazioni con mezzi eroici, per esempio voltolandosi tra le spine. Se
dunque unarono il linguaggio dell'amor umano, la ragione e` che non ve
n'e` altro che sia piu` adatto ad esprimere in modo analogico le
tenerezza dell'amore divino 296-3. Del resto essi mostrarono in
tutta la loro condotta, con le grandi opere che impresero e condussero
a buon fine, che erano persone savie e prudenti; e in ogni caso non si
possono che benedire le nevrosi che ci diedero i Tommasi d'Aquino, i
Bonaventura, gli Ignazi di Loiola, i Franceschi Saveri, le Terese e i
Giovanni della Croce, i Franceschi di Sales, le Giovanne di Chantal, i
Vincenzi de' Paoli, le Damigelle Legras, i Berulle e gli Olier, gli
Alfonsi de' Liguori e i Paoli della Croce.

297. B) Altri increduli rendono giustizia ai nostri mistici, pur
dubitando della realta` obbiettiva dei fenomeni da loro descritti: tali
William James e Massimo di Montmorand 297-1. Riconoscono che il
sentimento religioso produce nelle anime mirabili effetti, uno slancio
invincibile verso il bene, una illimitata dedizione verso il prossimo,
che il loro preteso egoismo non e` in fondo che una carita`
eminentemente sociale feconda della piu` lieta influenza, che la loro
sete di patimenti non impedisce loro di godere ineffabili delizie e
diffondere un poco di felicita` attorno a loro; solo dubitano che siano
vittime d'autosuggestione e d'allucinazione. Ma noi facciamo osservare
che cosi` benefici effetti non possono derivare se non da una causa
proporzionata; che, nel complesso, il bene reale e duraturo non puo`
venire che dal vero, e che se solo i mistici cristiani hanno praticato
le virtu` eroiche e prodotto opere sociali utili, la ragione e` che la
contemplazione e l'amore di Dio, ispiratori di queste opere, non sono
allucinazioni ma realta` viventi ed operose: "ex fructibus eorum
cognoscetis eos 297-2 ".

298. 2^ I mondani, anche quando hanno la fede, hanno spesso, sulla
perfezione o su cio` ch'essi chiamano la devozione, idee molto false.

A) Gli uni riguardano i devoti come ipocriti, come Tartufi, che, sotto
la maschera della pieta`, nascondono vizi odiosi o ambiziose mire
politiche, come sarebbe il desiderio di dominare le coscienze e cosi`
governare il mondo. Or questo e` un confondere l'abuso con la cosa
stessa, e la continuazione di questo studio dimostrera` che la
semplicita`, la lealta` e l'umilta` sono i veri caratteri della
devozione.

299. B) Altri considerano la pieta` come un'esaltazione della
sensibiilta` e dell'immaginazione, una specie di emotivita`, buona
tutt'al piu` per le donne e per i bambini ma indegna di uomini che
vogliono guidarsi con la ragione e con la volonta`. Eppure quanti
uomini iscritti nel catalogo dei Santi, che si distinsero per un
proverbiale buon senso, per una intelligenza superiore, per una
volonta` energica e costante? Anche qui si confonde dunque la
caricatura col ritratto.

300. C) Vi sono infine di quelli che pretendono che la perfezione
sia un'utopia inattuabile e per cio` stesso pericolosa, che basti
osservare i comandamenti e sopratutto aiutare il prossimo, senza
perdere il tempo in pratiche minuziose, o nella ricerca di virtu`
straordinarie. Basta la lettura della vita dei Santi a correggere
quest'errore, mostrando che la perfezione fu veramente conseguita
sulla terra, e che la pratica dei consigli non solo non nuoce
all'osservanza dei precetti ma la rende anzi piu` facile.

301. 3^ Tra le stesse persone devote ce ne sono di quelle che
s'ingannano sulla vera natura della perfezione, dipingendola ognuno
"secondo la propria passione e la propria fantasia 301-1 ".

A) Molti, confondendo la devozione con le devozioni, si immaginano che
la perfezione consista nel recitare un gran numero di preghiere e nel
fare parte di molte confraternite, talora anche a detrimento dei
doveri del proprio stato che costoro trascurano per fare questo o quel
pio esercizio, o mancando alla carita` verso le persone di casa. Questo
e` un sostituire l'accessorio al principale e un sacrificare al mezzo
il fine.

302. B) Altri poi si danno ai digiuni e alle austerita`, fino ad
esternuarsi e rendersi incapaci di compiere bene i doveri del proprio
stato, credendosi con cio` dispensati dalla carita` verso il prossimo; e
mentre non osano intingere la lingua nel vino, non temono poi "di
immergerla nel sangue del prossimo con la maldicenza e con la
calunnia". Anche qui si prende abbaglio su cio` che vi e` di piu`
essenziale nella perfezione, e si trascura il dovere capitale della
carita` per esercizi buoni senza dubbio ma meno importanti. -- In pari
errore cadono coloro che fanno ricche elemosine, ma non vogliono poi
perdonare i nemici, oppure, perdonando i nemici, non pensano poi a
pagare i debiti.

303. C) Alcuni, confondendo le consolazioni spirituali col fervore,
si credono perfetti quando sono inondati di gioia e pregano con
facilita`; e s'immaginano invece s'essere rilassati quando sono
assaliti dalle aridita` e dalle distrazioni. Dimenticano che cio` che
conta agli occhi di Dio e` lo sforzo generoso e spesso rinnovato, non
ostante le apparenti sconfitte che si possono provare.

304. D) Altri, invaghiti di azioni e di opere esteriori, trascurano
la vita interiore per darsi piu` intieramente all'apostolato. E` un
dimenticare che l'anima di ogni apostolato e` la preghiera abituale,
che attira la grazia divina e rende feconda l'azione.

305. E) Finalmente alcuni, avendo letto libri mistici o vite di
Santi in cui si descrivono estasi e visioni, si immaginano che la
devozione consista in questi fenomeni straordinarii e fanno sforzi di
mente e di fantasia per arrivarvi. Non capiscono che, a detta dei
mistici stessi, questi sono fenomeni accessori che non costituiscono
la santita`, ai quali quindi non bisogna aspirare, e che la vita della
conformita` alla volonta` di Dio e` molto piu` sicura e piu` pratica.

Sgombrato cosi` il terreno, potremo ora piu` facilmente intendere in che
essenzialmente consista la vera perfezione.
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ART. II. LA VERA NOZIONE DELLA PERFEZIONE 306-1.

306. Stato della questione. Per ben risolvere questo problema,
cominciamo con determinar lo stato della questione:

1^ Nell'ordine naturale un essere e` perfetto (perfectum) quando e`
finito e compito, e quindi quando consegue il suo fine: "Unumquodque
dicitur esse perfectum in quantum attingit proprium finem, qui est
ultima rei perfectio" 306-2. Questa e` la perfezione assoluta; ve
n'e` pero` un'altra, relativa e progressiva, che consiste
nell'avvicinarsi a questo fine, sviluppando tutte le proprie facolta` e
praticando tutti i propri doveri secondo le prescrizioni della legge
naturale manifestata dalla retta regione.

307. 2^ Il fine dell'uomo, anche nell'ordine naturale, e` Dio.
1) Creati da Lui, siamo necessariamente creati per Lui, poiche` e`
chiaro che non puo` Dio trovare un fine piu` perfetto di Se`, essendo la
pienezza dell'Essere; e d'altra parte creare per un fine imperfetto
sarebbe indegno di Lui. 2) Di piu`, essendo Dio la perfezione infinita
e quindi la fonte di ogni perfezione, l'uomo e` tanto piu` perfetto
quanto piu` s'avvicina a Lui e ne partecipa le divine perfezioni; ecco
perche` il cuore umano non trova nelle creature nulla che possa
soddisfarne le legittime aspirazioni: "Ultimus hominis finis est bonum
increatum, scilicet Deus, qui solus sua infinita bonitate potest
voluntatem hominis perfecte implere" 307-1. A Dio quindi convien
rivolgere tutte le nostre azioni; conoscerlo, amarlo, servirlo, e cosi`
glorificarlo, tal e` il fine della vita e la fonte d'ogni perfezione.

308. 3^ Il che e` anche piu` vero nell'ordine soprannaturale.
Gratuitamente elevati da Dio ad uno stato che supera le nostre
esigenze e le nostre possibilita`, chiamati a contemplarlo un giorno
con la visione beatifica e possedendolo gia` con la grazia, dotati di
un intiero organismo soprannaturale per unirci a Lui con la pratica
delle virtu` cristiane, e` chiaro che non possiamo perfezionarci se non
avvicinandoci continuamente a Lui. E non potendo far questo senza
unirci a Gesu`, che e` la via necessaria per andare al Padre, la nostra
perfezione consistera` nel vivere per Dio in unione con Gesu` Cristo:
"Vivere summe Deo in Christo Jesu" 308-1. Il che facciamo
praticando le virtu` cristiane, teologali e morali, che tutte hanno per
fine di unirci in modo piu` o meno diretto a Dio, facendoci imitare
N. S. Gesu` Cristo. i

309. 4^ Sorge quindi la questione di sapere se, tra queste virtu`,
non ve ne sia una che compendi e contenga tutte le altre, e
costituisca, a cosi` dire, l'essenza della perfezione. S. Tommaso,
sintetizzando la dottrina della S. Scrittura e dei Padri, risponde
affermativamente e c'insegna che la perfezione consiste essenzialmente
nell'amor di Dio e del prossimo amato per Dio: "Per se quidem et
essentialiter consistit perfectio christianae vitae in caritate,
principaliter quidem secundum dilectionem Dei, secundario autem
secundum dilectionem proximi" 309-1. Ma, poiche` nella vita
presente l'amor di Dio non puo` praticarsi senza rinunziare all'amore
disordinato di se stessi, ossia alla triplice concupiscenza, in
pratica all'amore bisogna aggiungere il sacrificio. Questo verremo
esponendo col dimostrare:
* 1) come l'amor di Dio e del prossimo costituisca l'essenza
della perfezione;
* 2) perche` quest'amore debba giungere fino al sacrifizio;
* 3) in che modo si debbano conciliare questi due elementi;
* 4) come la perfezione abbracci insieme precetti e consigli;
* 5) quali ne siano i gradi e fin dove possa arrivare sulla
terra.

sez. I. L'essenza della perfezione consiste nella carita`.

310. Spieghiamo anzitutto il senso della tesi. L'amore di Dio e del
prossimo, di cui trattiamo, e` soprannaturale nel suo oggetto come nel
suo motivo e nel suo principio. Il Dio che noi amiamo e` il Dio
manifestatoci dalla rivelazione, il Dio della Trinita`; e l'amiamo
perche` la fede ce lo mostra infinitamente buono e infinitamente
amabile; l'amiamo con la volonta` perfezionata dalla virtu` della carita`
e aiutata dalla grazia attuale. Non e` dunque un amore di sensibilita`;
e` vero che, essendo l'uomo composto d'anima e di corpo, spesso si
mescola ai nostri piu` nobili affetti un elemento sensibile; ma un tal
sentimento manca talora intieramente, e in ogni caso e` del tutto
accessorio. L'essenza stessa dell'amore e` la dedizione, e` la volonta`
ferma di darsi e, occorrendo, d'immolarsi intieramente per Dio e per
la sua gloria, di preferire il suo beneplacito al nostro e a quello
delle creature.

311. Conviene dire altrettanto, salve le proporzioni, dell'amor del
prossimo. In lui amiamo Dio, un'immagine, un riflesso delle sue divine
perfezioni; il motivo quindi che ce lo fa amare e` la bonta` divina in
quanto e` manifestata, espressa, irradiata nel prossimo; o, in parole
piu` intelligibili, noi vediamo e amiamo nei nostri fratelli un'anima
abitata dallo Spirito Santo, ornata della grazia divina, riscattata
dal sangue di Gesu` Cristo; e amandola, ne vogliamo il bene
soprannaturale, lo spirituale perfezionamento, la salute eterna.

Non vi sono quindi due virtu` di carita`, l'una verso Dio e l'altra
verso il prossimo; ve n'e` una sola che abbraccia insieme Dio amato per
se stesso e il prossimo amato per Dio.

Con queste nozioni ci sara` facile intendere come la perfezione
consiste proprio nella virtu` della carita`.
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Le prove della tesi.

312. 1^ Interroghiamo la S. Scrittura. A) Nel Vecchio come nel Nuovo
Testamento, cio` che domina e compendia tutta la Legge e` il gran
precetto della carita`, carita` verso Dio e carita` verso il prossimo.
Quindi, quando un dottore della legge domanda a Nostro Signore che
cosa bisogna fare per acquistare la vita eterna, il divin Maestro gli
risponde soltanto: Che cosa dice la legge? E il dottore pronto gli
cita il testo del Deuteronomio: "Amerai il Signore Dio tuo, con tutto
il cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze, con tutta la
tua mente, e il prossimo tuo come te stesso: Diliges Dominum Deum tuum
ex toto corde tuo et ex tota anima tua et ex omnibus viribus tuis et
ex omni mente tua, et proximum tuum sicut teipsum. E Nostro Signore
l'approva dicendogli: "Hoc fac et vives" 312-1. Aggiunge altrove
che questo doppio precetto dell'amor di Dio e dell'amor del prossimo
costituisce la legge e i Profeti 312-2. Ed e` cio` che sotto altra
forma dichiara S. Paolo, quando, dopo aver rammentati i principali
precetti del Decalogo, aggiunge che la pienezza della legge e` l'amore:
"Plenitudo legis dilectio" 312-3. Cosi` l'amor di Dio e del
prossimo e` nello stesso tempo la sintesi e la pienezza della Legge.
Ora la perfezione cristiana non puo` essere che l'adempimento perfetto
ed intero della Legge; perche` la Legge e` cio` che Dio vuole, e che cosa
v'e` di piu` perfetto della santa volonta` di Dio?

313. B) Vi e` un'altra prova tratta dalla dottrina di S. Paolo sulla
carita` nel cap. XIIIo. della Ia. Lettera ai Corinti; con lirico
linguaggio Paolo vi descrive l'eccellenza della carita`, la sua
superiorita` sui carismi o sulle grazie gratisdate, sulle altre virtu`
teologali, la fede e la speranza; e mostra ch'essa compendia e
contiene in modo eminente tutte le virtu`, che e` anzi il complesso di
queste virtu`: "caritas patiens est, benigna est; caritas non aemulatur,
non agit perperam, non inflatur, non est ambitiosa, non quaerit quae sua
sunt, non irritatur, non cogitat malum..."; e in ultimo aggiunge che i
carismi passeranno, che la fede e la speranza spariranno, ma che la
carita` e` eterna. Non e` questo un insegnare che non solo la carita` e` la
regina e l'anima delle virtu`, ma che e` pur cosi` eccellente da bastare
a rendere un uomo perfetto, comunicandogli tutte le virtu`?

314. C) S. Giovanni, l'apostolo del divino amore, ce ne da` la
fondamentale ragione. Dio, egli dice, e` carita`, "Deus caritas est"; e`
questa, a cosi` dire, la sua nota caratteristica. Se dunque vogliamo
somigliar a lui ed essere perfetti come il Padre celeste, bisogna che
noi amiamo lui come egli ha amato noi "quoniam prior ipse dilexit
nos" 314-1; e non potendo amar lui senza amar pure il prossimo,
dobbiamo amare questo caro prossimo fino a sacrificarci per lui, "et
nos debemus pro fratribus animas ponere": "Carissimi, amiamoci l'un
l'altro, perche` l'amore viene da Dio, e chi ama e` nato da Dio e
conosce Dio. Chi non ama, non ha conosciuto Dio, perche` Dio e` amore...
Or questo amore sta in cio` che non fummo noi ad amar Dio, ma egli il
primo amo` noi e mando` il suo Figliuolo vittima di propiziazione per i
nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amati in tal guisa, dobbiamo
noi pure amarci l'un l'altro... Dio e` amore e chi sta nell'amore sta
in Dio e Dio in lui" 314-2. Si puo` dire in modo piu` chiaro che
tutta la perfezione consiste nell'amor di Dio e del prossimo per Dio?

315. 2^ Interroghiamo la ragione illuminata dalla fede: se
consideriamo sia la natura della perfezione sia la natura della
carita`, arriviamo alla stessa conclusione.

A) Abbiamo detto che la perfezione d'un essere consiste nel conseguire
il proprio fine o nell'avvicinarsegli quanto piu` e` possibile
(n. 306). Ora il fine dell'uomo nell'ordine soprannaturale e` Dio
eternamente posseduto con la visione intuitiva e con l'amore
beatifico; sulla terra ci avviciniamo a questo fine vivendo gia` in
unione intima con la SS. Trinita` che vive in noi e con Gesu` mediatore
necessario per andare al Padre. Quanto piu` dunque siamo uniti a Dio,
ultimo nostro fine e fonte della nostra vita, tanto piu` siamo
perfetti.

316. Or qual e` tra le virtu` cristiane la piu` unificante, quella che
unisce l'anima nostra intieramente a Dio, se non la divina carita`? Le
altre virtu` ci preparano a questa unione, o anche a lei ci iniziano,
ma non possono compierla. Le virtu` morali, prudenza, fortezza,
temperanza, giustizia, etc., non ci uniscono direttamente a Dio, ma
servono solo a sopprimere o diminuire gli ostacoli che ce ne
allontanano e ad avvicinarci a Dio conformandoci all'ordine; cosi` la
temperanza, combattendo lo smoderato uso del piacere, attenua uno dei
piu` violenti ostacoli all'amor di Dio; l'umilta`, allontanando
l'orgoglio e l'amor proprio, ci predispone alla pratica della divina
carita`. Inoltre queste virtu`, facendoci praticare l'ordine ossia la
giusta misura, sottomettono la nostra volonta` a quella di Dio e ci
avvicinano a lui. Le virtu` teologali poi distinte dalla carita`, ci
uniscono certamente a Dio, ma in modo incompleto. La fede ci unisce a
Dio, infallibile verita`, e ci fa vedere le cose alla luce di Dio; ma e`
compatibile col peccato mortale che ci separa da Dio. La speranza ci
eleva a Dio, in quanto e` cosa buona per noi, e ci fa desiderare i beni
del cielo, ma puo` sussistere con colpe gravi che ci allontanano dal
nostro fine.

317. La sola carita` ci unisce intieramente a Dio. Suppone la fede e
la speranza ma le oltrepassa: prende tutta quanta l'anima,
intelligenza, cuore, volonta`, attivita`, e la da` a Dio senza riserva.
Esclude il peccato mortale, che e` il nemico di Dio, e ci fa godere
della divina amicizia: "Si quis diligit me, et Pater meus diliget
eum" 317-1. Ora l'amicizia e` unione, e` fusione di due anime in una
sola: cor unum et anima una... unum velle, unum nolle; completa unione
di tutte le nostre facolta`: unione della mente, che fa che il nostro
pensiero si modelli su quello di Dio; unione della volonta`, che ci fa
abbracciare la volonta` di Dio come fosse nostra; unione del cuore, che
ci stimola a darci a Dio come Egli si da` a noi, dilectus meus mihi et
ego illi: unione delle forze attive, onde Dio mette a servizio della
nostra debolezza la divina sua potenza per aiutarci a eseguire i
nostri buoni disegni. La carita` ci unisce dunque a Dio, nostro fine, a
Dio infinitamente perfetto, e costituisce quindi l'elemento essenziale
della nostra perfezione.

318. B) Studiando la natura della carita`, arriviamo alla stessa
conclusione: come infatti dimostra S. Francesco di Sales, la carita`
racchiude tutte le virtu` e da` loro anzi una speciale
perfezione 318-1.

a) Racchiude tutte le virtu`. La perfezione consiste, com'e` chiaro,
nell'acquisto delle virtu`: chi le possiede tutte, in un grado non solo
iniziale ma elevato, e` certamente perfetto. Ora chi possiede la carita`
possiede tutte le virtu` e le possiede nella loro perfezione: possiede
la fede, senza cui non si puo` conoscere ed amare l'infinita amabilita`
di Dio; e la speranza, che, ispirandoci la fiducia, ci conduce
all'amore; e tutte le virtu` morali, per esempio, la prudenza, senza
cui la carita` non potrebbe ne` conservarsi ne` crescere; la fortezza,
che ci fa trionfare degli ostacoli che si oppongono alla pratica della
carita`; la temperanza, che doma la sensualita`, implacabile nemica
dell'amor di Dio.

Anzi, aggiunge S. Francesco di Sales, "il grande Apostolo non dice
solo che la carita` ci da` la pazienza, la benignita`, la costanza, la
semplicita`, ma dice ch'essa stessa e` paziente, benigna,
costante" 318-2, perche` contiene la perfezione di tutte le virtu`.

319. b) Anzi da` loro una perfezione e un valore speciale, perche` e`,
secondo l'espressione di S. Tommaso 319-1, la forma di tutte le
virtu`. "Tutte le virtu` separate dalla carita` sono molto imperfette,
perche` non possono senza di lei giungere al loro fine che e` di rendere
l'uomo felice... Non dico che senza la carita` non possano nascere e
anche progredire; ma che abbiano tal perfezione da meritare il titolo
di virtu` fatte, formate e compite, questo dipende dalla carita`, che da`
loro la forza di volare a Dio, e raccogliere dalla sua misericordia il
miele del vero merito e della santificazione dei cuori in cui si
trovano. La carita` e` tra le virtu` come il sole tra le stelle:
distribuisce a tutte la loro luce e la loro bellezza. La fede, la
speranza, il timor di Dio e la penitenza, vengono ordinariamente
nell'anima prima di lei a prepararle la dimora; e giunta che e`, la
ubbidiscono e la servono come tutte le altre virtu`, ed ella le anima,
le adorna e le avviva con la sua presenza" 319-2. In altri
termini, la carita`, orientando direttamente l'anima nostra verso Dio,
perfezione somma ed ultimo fine, da` pure a tutte le altre virtu` che
vengono a porsi sotto il suo impero, lo stesso orientamento e quindi
lo stesso valore. Cosi` un atto d'obbedienza e di umilta`, oltre al
proprio valore, riceve dalla carita` un valore assai piu` grande quando
e` fatto per piacere a Dio, perche` allora diventa un atto di amore,
cioe` un atto della piu` perfetta tra le virtu`. Aggiungiamo che
quest'atto diventa piu` facile e piu` attraente: obbedire e umiliarsi
costano molto alla orgogliosa nostra natura, ma il pensiero che,
praticando questo atti, si ama Dio e se ne procura la gloria, li rende
singolarmente facili.

Cosi` dunque la carita` e` non solo la sintesi ma l'anima di tutte le
virtu`, e ci unisce a Dio in modo piu` perfetto e piu` diretto delle
altre; e` quindi lei quella che costituisce l'essenza stessa della
perfezione.
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CONCLUSIONE.

320. Poiche` l'essenza della perfezione consiste nell'amor di Dio, ne
viene che l'accorciatoia per arrivarvi e` d'amar molto, d'amare con
generosita` ed intensita`, e principalmente di amare con amor puro e
disinteressato. Ora noi amiamo Dio non solo quando recitiamo un atto
di carita` ma anche quando facciamo la sua volonta` o quando compiamo un
dovere sia pur minimo per piacergli. Ognuna quindi delle nostre
azioni, per quanto volgare ella sia in se stessa, puo` essere
trasformata in un atto di amore e farci avanzare verso la perfezione.
Il progresso sara` tanto piu` reale e piu` rapido, quanto piu` intenso e
piu` generoso sara` quest'amore e quindi quanto piu` il nostro sforzo
sara` energico e costante; perche` cio` che conta agli occhi di Dio e` la
volonta`, e` lo sforzo, indipendentemente da ogni emozione sensibile.

E poiche` l'amore soprannaturale del prossimo e` anch'esso un atto
d'amor di Dio, tutti i servizi che rendiamo ai nostri fratelli,
vedendo in loro un riflesso delle divine perfezioni, o, cio` che torna
lo stesso, vedendo in loro Gesu` Cristo, diventano tutti atti d'amore
che ci fanno avanzare verso la santita`. Amare dunque Dio e il prossimo
per Dio, ecco il segreto della perfezione, purche` su questa terra vi
si aggiunga il sacrificio.

sez. II. La carita` sulla terra suppone il sacrificio.

321. In paradiso ameremo senza bisogno di immolarci, ma sulla terra
la cosa corre altrimenti. Nello stato attuale di natura decaduta ci e`
impossibile di amare Dio con amore vero ed effettivo senza
sacrificarci per Lui.

E` cio` che risulta da quanto abbiamo detto piu` sopra, ai n. 74-75,
sulle tendenze della natura corrotta che restano nell'uomo rigenerato.
Noi non possiamo amar Dio senza combattere e mortificare queste
tendenze; e` lotta che comincia col primo svegliarsi della ragione e
termina solo con l'ultimo respiro. Vi sono, e` vero, momenti di sosta,
in cui la lotta e` meno viva; ma anche allora non possiamo disarmare
senza esporci ai contrattacchi del nemico. E` un fatto provato dalla
testimonianza della Sacra Scrittura.

1^ La Sacra Scrittura ci dichiara apertamente la necessita` assoluta
del sacrificio o dell'abnegazione per amar Dio e il prossimo.

322. A) A tutti i suoi discepoli rivolge Nostro Signore questo
invito: "Chi vuol seguir me, rinneghi se` stesso, prenda la sua croce e
mi segua: "Si quis vult post me venire, abnegat semetipsum, tollat
crucem suam et sequatur me 322-1". Per seguire Gesu` ed amarlo, e`
condizione essenziale il rinunziare a se` stesso, cioe` alle cattive
tendenze della natura, all'egoismo, all'orgoglio, all'ambizione, alla
sensualita`, alla lussuria, all'amore disordinato delle comodita` e
delle ricchezze; e` il portare la propria croce, accettare i patimenti,
le privazioni, le umiliazioni, i rovesci di fortuna, le fatiche, le
malattie, in una parola tutte quelle croci provvidenziali che Dio ci
manda per provarci, per rassodarci nella virtu` e facilitarci
l'espiazione delle colpe. Allora, e allora soltanto, si puo` essere
suoi discepoli e camminare per le vie dell'amore e della perfezione.

Gesu` conferma questa lezione col suo esempio. Egli che era venuto dal
cielo espressamente per mostrarci il cammino della perfezione, non
tenne altra via che quella della croce: Tota vita Christi crux fuit et
martyrium. Dal presepio al Calvario e` una lunga serie di privazioni,
d'umiliazioni, di pene, di fatiche apostoliche, coronate dalle
angoscie e dalle torture della dolorosa sua passione. E` il commento
piu` eloquente del "Si quis vult venire post me"; se ci fosse stata
altra via piu` sicura, ei ce l'avrebbe mostrata, ma sapendo che non
c'era, tenne quella per trarci a seguirlo: "Quando saro` elevato da
terra, attirero` a me tutti gli uomini: "Et ego, si exaltatus fuero a
terra, omnia traham ad me ipsum 322-2". Cosi` l'intesero gli
Apostoli che ci ripetono, con S. Pietro, che se Cristo pati` per noi,
lo fece per trarci alla sua sequela: "Christus passus est pro nobis,
vobis relinquens exemplum ut sequamini vestigia ejus 322-3".

323. B) Tal e` pur l'insegnamento di S. Paolo: per lui la perfezione
cristiana consiste nello spogliarsi dell'uomo vecchio e rivestirsi del
nuovo, "exspoliantes vos veterem hominem cum actibus suis et induentes
novum 323-1". Or l'uomo vecchio e` il complesso delle cattive
tendenze ereditate da Adamo, e` la triplice concupiscenza che bisogna
combattere e infrenare con la pratica della mortificazione. Dice
quindi nettamente che coloro che vogliono essere discepoli di Cristo
devono crocifiggere i loro vizi e i loro cattivi desideri: "Qui sunt
Christi, carnem suam crucifixerunt cum vitiis et
concupiscentiis 323-2". E` condizione essenziale, tanto ch'egli
stesso si sente obbligato a castigare il suo corpo e a reprimere la
concupiscenza per non rischiare di essere riprovato: "Castigo corpus
meum et in servitutem redigo, ne forte, cum aliis praedicaverim, ipse
reprobus efficiar" 323-3.

324. C) S. Giovanni, l'apostolo dell'amore, non e` meno chiaro e
netto: insegna che, per amar Dio, bisogna osservare i comandamenti e
combattere la triplice concupiscenza che regna da padrona nel mondo; e
aggiunge che se si ama il mondo e cio` che e` nel mondo, cioe` la
triplice concupiscenza, non si puo` possedere l'amor di Dio: "Si quis
diligit mundum, non est caritas Patris in eo" 324-1. Ora per
odiare il mondo e le sue seduzioni, e` chiaro che bisogna praticare lo
spirito di sacrificio, privandosi dei piaceri cattivi e pericolosi.

325. 2^ Ed e` del resto necessaria conseguenza dello stato di natura
decaduta qual l'abbiamo descritto al n. 74, e della triplice
concupiscenza che dobbiamo combattere, n. 193 ss. E` impossibile
infatti amar Dio e il prossimo senza sacrificar generosamente cio` che
si oppone a questo amore. Ora, come abbiamo dimostrato, la triplice
concupiscenza s'oppone all'amor di Dio e del prossimo; bisogna quindi
combatterla senza tregua e pieta`, se vogliamo progredire nella carita`.

326. Rechiamo qualche esempio. I nostri sensi esterni corrono
avidamente verso tutto cio` che li solletica e mettono in pericolo la
fragile nostra virtu`. Che fare per resistervi? Ce lo dice Nostro
Signore coll'energico suo linguaggio: "Se il tuo occhio destro e` per
te occasione di caduta, cavalo e gettalo via da te: e` meglio per te
che perisca uno dei tuoi membri, anziche` tutto il tuo corpo venga
gettato nell'inferno" 326-1. Il che significa che bisogna saper
staccare con la mortificazione gli occhi, le orecchie, tutti i sensi
da cio` che e` occasione di peccato; altrimenti non c'e` ne` salvezza ne`
perfezione.

Lo stesso si dica dei nostri sensi interni, specialmente della
fantasia e della memoria; chi non sa a quali pericoli ci esponiamo se
non ne reprimiamo sul nascere i traviamenti?

Le stesse nostre facolta` superiori, l'intelligenza e la volonta`, sono
soggette a molte deviazioni, alla curiosita`, all'indipendenza,
all'orgoglio; quanti sforzi non sono necessari, quante lotte sempre
rinascenti per tenerle sotto il giogo della fede e dell'umile
sottomissione alla volonta` di Dio e dei suoi rappresentanti!

Dobbiamo dunque confessare che, se vogliamo amar Dio ed il prossimo
per Dio, bisogna saper mortificare l'egoismo, la sensualita`,
l'orgoglio, l'amore disordinato delle richezze, onde il sacrifizio
diventa necessario come condizione essenziale dell'amor di Dio sulla
terra.

E` questo in sostanza il pensiero di S. Agostino quando dice: "Due
amori hanno fatto due citta`: l'amor di se` spinto fino al disprezzo di
Dio ha fatto la citta` terrestre; l'amor di Dio spinto fino al
disprezzo di se` ha fatto la citta` celeste" 326-2. Non si puo`, in
altre parole, amar veramente Dio che disprezzando se stesso, cioe`
disprezzando e combattendo le cattive tendenze. In quanto a cio` che vi
e` di buono in noi, bisogna esserne grati al primo suo autore e
coltivarlo con sforzi incessanti.

327. La conclusione che logicamente ne viene e` che, se per essere
perfetti bisogna moltiplicare gli atti d'amore, non e` meno necessario
moltiplicare gli atti di sacrificio, poiche` sulla terra non si puo`
amare che immolandosi. Del resto si puo` dire che tutte le nostre opere
buone sono insieme atti d'amore e atti di sacrificio: atti di
sacrificio in quanto ci distaccano dalle creature e da noi stessi,
atti di amore in quanto ci uniscono a Dio. Resta quindi da vedere in
che modo si possano conciliare insieme questi due elementi.

sez. III. Parte rispettiva dell'amore e del sacrificio nella vita
cristiana.

328. Dovendo l'amore e il sacrificio avere la loro parte nella vita
cristiana, quale sara` l'ufficio di ognuno di questi due elementi? Su
tale argomento, vi sono punti in cui tutti convengono e altri in cui
si manifesta qualche disparere, benche` poi in pratica i dotti delle
diverse scuole riescano a conclusioni pressoche` identiche.

329. 1^ Tutti ammettono che in se`, nell'ordine ontologico o di
dignita`, l'amore tiene il primo posto: e` lo scopo e l'elemento
essenziale della perfezione, come abbiamo provato nella prima nostra
tesi, n. 312. L'amore quindi occorre tenere primieramente in
vista, a questo mirare continuamente, e` lui che deve dare al
sacrificio l'intima sua ragione e il suo valore principale: "in
omnibus respice finem". Bisogna dunque parlarne fin dal principio
della vita spirituale e far rilevare che l'amor di Dio facilita
singolarmente il sacrificio senza pero` poterne mai dispensare.

330. 2^ Quanto all'ordine cronologico, tutti ammettono pure che
questi due elementi sono inseparabili e che devono quindi coltivarsi
insieme e anche compenetrarsi, poiche` non v'e` sulla terra amore vero
senza sacrificio, e che il sacrificio fatto per Dio e` una delle
migliori prove di amore.

Tutta la questione quindi si riduce in fondo a questa: nell'ordine
cronologico, su quale elemento bisogna maggiormente insistere,
sull'amore o sul sacrificio? Or qui ci troviamo di fronte a due
tendenze e a due scuole diverse.

331. A) S. Francesco di Sales, appoggiandosi su molti rappresentanti
della scuola benedettina e domenicana e confidando negli aiuti che ci
offre la natura rigenerata, da` la precedenza all'amor di Dio per farci
accettare e praticar meglio il sacrificio; ma non esclude
quest'ultimo, chiede anzi alla sua Filotea molto spirito di rinunzia e
di sacrificio; lo fa pero` con molto riguardo e con molta dolcezza
nella forma per meglio arrivare al suo scopo. Il che appare fin dal
primo capitolo dell'Introduzione alla vita devota: "La vera e viva
devozione presuppone l'amor di Dio, anzi non e` altro in se che in vero
amor di Dio... E appunto perche` la devozione sta in un certo grado di
eccellente carita`, non solo ci rende pronti, attivi, diligenti
nell'osservanza di tutti i comandamenti di Dio, ma ci stimola pure a
fare con prontezza ed affetto quante piu` buone opere possiamo, benche`
non siano in alcun modo comandate ma solamente consigliate o
ispirate". Ora osservare i comandamenti, seguire i consigli e le
ispirazioni della grazia, e` certamente un particare un alto grado di
mortificazione. Del resto il Santo chiede a Filotea che cominci dal
mondarsi non solo dai peccati mortali ma anche dei peccati veniali,
dall'affetto alle cose inutili e pericolose e dalle cattive
inclinazioni. E quando tratta delle virtu`, non ne dimentica la parte
penosa; vuole soltanto che tutto sia condito coll'amor di Dio e del
prossimo.

332. B) Per altro verso, la scuola ignaziana e la scuola francese
del secolo XVII, pur non dimenticando che l'amor di Dio e` lo scopo da
conseguire e quello che deve avvivare tutte le nostre azioni, mettono
al primo posto, sopratutto per i principianti, la rinunzia, l'amor
della croce o la crocifissione dell'uomo vecchio, come il piu` sicuro
mezzo per arrivare al vero ed effettivo amore 332-1. Pare che
temano che, se non v'insiste sul principio, molte anime cadano poi
nell'illusione, immaginandosi d'essere gia` molto avanzate nell'amor di
Dio mentre la loro pieta` e` piu` sensibile ed apparente che reale; onde
poi certe miserande cadute al presentarsi di violente tentazioni o al
sopravvenire delle aridita`. Del resti il sacrificio, virilmente
accettato per amor di Dio, conduce a una piu` generosa e piu` costante
carita`, e la pratica abituale dell'amor di Dio viene a coronare
l'edificio spirituale.

333. Conclusione pratica. Senza aver la pretesa di dirimere cotesta
controversia, proporremo alcune conclusioni ammesse dai dotti di tutte
le scuole.

A) Ci sono due eccessi da evitare: a) quello di voler lanciare troppo
presto le anime in quella che si chiama la via dell' amore, senza
esercitarle nello stesso tempo nella pratica austera della rinunzia
quotidiana. Cosi` si fomentano le illusioni e talora anche miserande
cadute: quante anime, provando le consolazioni sensibili che Dio
concede ai principianti e credendosi salde nelle virtu`, si espongono
alle occasioni di peccato, commettono imprudenze e cadono in colpe
gravi! Un poco piu` di mortificazione, di vera umilta`, di diffidenza di
se stesse, una lotta piu` corraggiosa contro le passioni, le avrebbe
preservate da queste miserie.

b) Un altro eccesso sta nel parlare soltanto di rinunzia e di
mortificazione senza far rilevare che sono soltanto mezzi per arrivare
all'amor di Dio o manifestazioni di quest'amore. E` questa la ragione
per cui certe anime di buona volonta`, ma ancor poco coraggiose, si
sentono ributtate ed anche disanimate. Si sentirebbero maggiore
slancio ed energia, se si mostrasse loro che questi sacrifici
diventano molto piu` facili quando si fanno per amor di Dio: "Ubi
amatur, non laboratur".

334. B) Evitati questi eccessi, il direttore sapra` scegliere per il
suo penitente la via piu` conveniente al carattere suo e alle
attrattive della grazia.

a) Vi sono anime sensibili e affettuose che non prendono gusto alla
mortificazione se non dopo aver gia` praticato per qualche tempo l'amor
di Dio. E` vero che questo amore e` spesso imperfetto, piu` ardente e
sensibile che generoso e durevole. Ma, se si bada a giovarsi di questi
primi slanci per mostrare che il vero amore non puo` perseverare senza
sacrificio, se si riesce a far praticare, per amor di Dio, alcuni atti
di penitenza, di riparazione, di mortificazione, quegli atti che sono
piu` necessari a evitare il peccato, la loro virtu` a poco a poco si
rinsalda, si fortifica la loro volonta`, e viene il momento in cui
capiscono che il sacrificio deve andare di pari passo con l'amor di
Dio.

b) Se si tratta invece di caratteri energici, abituati ad agire per
dovere, si puo`, pur mettendo loro avanti agli occhi l'unione con Dio
come scopo, insistere dapprincipio sulla rinunzia come pietra di
paragone della carita`, e far praticare la penitenza, l'umilta` e la
mortificazione, pur condendo queste austere virtu` con un motivo d'amor
di Dio o di zelo per le anime.

Cosi` non si separera` mai l'amore dal sacrificio, e si mostrera` che
questi due elementi si conciliano e si perfezionano a vicenda.

sez. IV. La perfezione consiste nei precetti o nei consigli?

335. 1^ Stato della questione. Abbiamo visto che la perfezione
essenzialmente consiste nell'amor di Dio e del prossimo spinto fino al
sacrificio. Ora intorno all'amor di Dio e al sacrificio vi sono nello
stesso tempo precetti e consigli: precetti che ci comandano, sotto
pena di peccato, di fare questa o quella cosa o di astenercene;
consigli che c'invitano a fare per Dio piu` di quello che ci e`
comandato, sotto pena d'imperfezione volontaria e di resistenza alla
grazia. Vi allude Nostro Signore quando dichiara al giovane ricco: "Se
vuoi entrar nella vita, osserva i comandamenti... Se vuoi essere
perfetto, va, vendi cio` che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel
cielo: "Si autem vis ad vitam ingredi, serva mandata... Si vis
perfectus esse, vende quae habes et da pauperibus, et habebis thesaurum
in caelo, et veni, sequere me" 335-1. Osservare dunque le leggi
della giustizia e della carita` in materia di proprieta` basta per
entrare in cielo; ma, se si vuole essere perfetti, bisogna vendere i
propri beni, darne il prezzo ai poveri e praticare cosi` la volontaria
poverta` 335-1. S. Paolo ci fa pure notare che la verginita` e` un
consiglio e non un precetto, che lo sposarsi e` cosa buona ma che
restar vergine e` anche migliore 335-2.

336. 2^ La soluzione. Alcuni autori ne hanno conchiuso che la vita
cristiana consiste nell'osservanza dei precetti e la perfezione nei
consigli. E` un modo di vedere un po' semplicista e che, frainteso,
potrebbe condurre a funeste conseguenza. La verita` e` che la perfezione
esige prima di tutto l'adempimenti dei precetti e secondariamente
l'osservanza d'un certo numero di consigli.

E` questo appunto l'insegnamento di S. Tommaso 336-1. Dopo aver
provato che la perfezione non e` altro che l'amor di Dio e del
prossimo, conchiude che in pratica consiste essenzialmente nei
precetti, di cui il principale e` quello della carita`, e
secondariamente nei consigli, i quali pure si riferiscono tutti alla
carita`, perche` allontanano gli ostacoli che si oppongono al suo
esercizio. Spieghiamo questa dottrina.

337. A) La perfezione esige prima di tutto e imperiosamente
l'adempimento dei precetti; e` necessario inculcar fortemente questo
concetto a certe persone che, per esempio, col pretesto della
devozione, dimenticano i doveri del proprio stato, oppure, per
praticar la limosina con maggior pompa, ritardano indefinitamente il
pagamento dei debiti, insomma a tutti quelli che trascurano questo o
quel precetto del decalogo con la pretesa di piu` alta perfezione. Ora
e` evidente che la violazione d'un precetto grave, come e` quello di
pagare i debiti, distrugge in noi la carita`, e che il pretesto di far
l'elemosina non puo` giustificare questa infrazione della legge
naturale. Parimente la violazione volontaria d'un precetto in materia
lieve e` un peccato veniale, che, senza distruggere la carita`, ne
impaccia piu` o meno l'esercizio e sopratutto offende Dio e diminuisce
la nostra intimita` con lui; il che e` vero principalmente del peccato
veniale deliberato e frequente, che crea in noi degli attacchi e
c'impedisce di slanciarci liberamente verso la perfezione. Bisogna
dunque, per essere perfetti, osservare prima di tutto i precetti.

338. B) Ma e` necessario aggiungervi l'osservanza dei consigli,
almeno di alcuni, specialmente di quelli impostici dall'adempimento
dei doveri del nostro stato.

a) Cosi` i Religiosi, essendosi obbligati per voto a praticare i tre
grandi consigli evangelici della poverta`, della castita` e
dell'obbedienza, non possono santificarsi senza essere fedeli ai loro
voti. Del resto questa pratica facilita singolarmente l'amor di Dio
distaccando l'anima dai principali ostacoli che s'oppongono alla
divina carita`: la poverta`, strappandoli all'amore disordinato delle
ricchezze, fomenta lo slancio del cuore verso Dio e i beni celesti; la
castita`, sottraendoli ai piaceri della carne, anche a quelli leciti
nel santo stato del matrimonio, li aiuta ad amar Dio senza divisione;
l'obbedienza, combattendo l'orgoglio e lo spirito d'indipendenza,
assoggetta la loro volonta` a quella di Dio ed e` in sostanza un atto
d'amore.

339. b) Quelli poi che non hanno fatto voti, devono, per essere
perfetti, praticarne lo spirito, ognuno secondo la propria condizione,
le ispirazioni della grazia e i consigli d'un savio direttore. Cosi`
praticheranno lo spirito di poverta`, privandosi di molte cose inutili
per poter fare qualche risparmio da erogare in elemosine e in opere di
beneficenza; lo spirito di castita`, anche se sono coniugati, usando
moderatamente e con qualche restrizione dei legittimi piaceri del
matrimonio e diligentemente evitando tutto cio` che e` proibito o
pericoloso; lo spirito di obbedienza, assoggettandosi docilmente ai
propri superiori, in cui vedranno l'immagine di Dio, e alle
ispirazioni della grazia accertate da un savio direttore.

Amar dunque Dio e il prossimo per Dio e saper sacrificarsi a fine di
meglio osservare questo doppio precetto e i consigli che vi si
riferiscono, ognuno secondo il proprio stato, qui sta la vera
perfezione.
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17/10/2013 11:12
 
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sez. V. Dei diversi gradi di perfezione.

La perfezione ha su questa terra i suoi gradi e i suoi limiti; onde
due questioni:
* 1^ quali sono i principali gradi di perfezione;
* 2^ quali ne sono i limiti sulla terra?

I. Dei diversi gradi di perfezione.

340. I gradi per cui uno si eleva alla perfezione sono numerosi; e
non e` qui il caso di enumerarli tutti ma solo di notare le principali
tappe. Ora, secondo la dottrina comune, esposta da S. Tommaso, si
distinguono tre tappe principali, o, come generalmente si dice, tre
vie, quella degli incipienti, quella dei proficienti, quella dei
perfetti, secondo lo scopo principale a cui si mira.

341. a) Nel primo stadio, la principale cura degli incipienti e` di
non perdere la carita` che possiedono: lottano quindi per evitare il
peccato, sopratutto il peccato mortale, e per trionfare delle male
cupidigie, delle passioni e di tutto cio` che potrebbe far loro perdere
l'amor di Dio 341-1. Questa e` la via purgativa, il cui scopo e` di
mondar l'anima dalle sue colpe.

342. b) Nel secondo stadio si vuol progredire nella pratica positiva
delle virtu`, e fortificar la carita`. Essendo gia` purificato, il cuore
e` piu` aperto alla luce divina e all'amor di Dio: si ama di seguire
Gesu` e imitarne le virtu`, e poiche`, seguendolo, si cammina nella luce,
questa via si chiama illuminativa 342-1. L'anima si studia di
schivare non solo il peccato mortale, ma anche il veniale.

343. c) Nel terzo stadio, i perfetti non hanno piu` che un solo
pensiero, star uniti a Dio e deliziarsi in Lui. Costantemente
studiandosi di unirsi a Dio, sono nella via unitiva. Il peccato fa
loro orrore, perche` temono di dispiacere a Dio e di offenderlo; le
virtu` li attirano, specialmente le virtu` teologali, perche` sono mezzi
d'unirsi a Dio. La terra quindi sembra loro un esilio, e, come
S. Paolo, desiderano di morire per andarsene con Cristo 343-1.

Sono queste brevi indicazioni soltanto che piu` tardi ripiglieremo e
svolgeremo nella seconda parte di questo Compendio, dove seguiremo
un'anima dalla prima tappa, la purificazione dell'anima, all'unione
trasformante che la prepara alla visione beatifica.

II. Dei limiti della perfezione sulla terra.

344. Quando si leggono le vite dei santi e principalmente dei grandi
contemplativi, si resta meravigliati al vedere a quali sublimi altezze
puo` elevarsi un'anima generosa che nulla rifiuta a Dio. Nondimeno vi
sono dei limiti alla nostra perfezione su questa terra, limiti che non
si deve voler oltrepassare, sotto pena di ricadere in un grado
inferiore o anche nel peccato.

345. 1^ E` certo che non si puo` amar Dio tanto quanto e` amabile: Dio
infatti e` infinitamente amabile e il nostro cuore, essendo finito, non
potra` mai amarlo, anche in cielo, che con amore limitato. Possiamo
quindi sforzarci d'amarlo sempre piu`, anzi, secondo S. Bernardo, la
misura d'amar Dio e` d'amarlo senza misura. Ma non dimentichiamo che il
vero amore, piu` che il pii sentimenti, consiste in atti di volonta`, e
che il miglior mezzo d'amar Dio e` di conformare la nostra volonta` alla
sua, come spiegheremo piu` avanti, trattando della conformita` alla
divina volonta`.

346. 2^ Sulla terra non si puo` amar Dio ininterrottamente e senza
debolezze. Si puo` certamente con grazie particolari che non sono
rifiutate alle anime di buona volonta`, schivare ogni peccato veniale
deliberato ma non ogni colpa di fragilita`; ne` si diventa mai
impeccabili, come la Chiesa ha in parecchie circostanze dichiarato.

A) Nel Medio Evo, i Beguardi avevano preteso che "l'uomo, nella vita
presente, e` capace d'acquistare tal grado di perfezione da divenire
affatto impeccabile e da non potere crescere di piu` in
grazia" 346-1. Ne concludevano che colui il quale ha conseguito
questo grado di perfezione, non deve piu` ne` digiunare ne` pregare,
perche` in questo stato la sensualita` e` talmente assoggettata allo
spirito e alla ragione ch'egli puo` concedere al suo corpo ogni
diletto; non e` piu` obbligato ad osservare i precetti della Chiesa, ne`
ad obbedire agli uomini, ne` anche a praticare gli atti delle virtu`,
tutte cose proprie dell'uomo imperfetto. Sono dottrine pericolose che
finiscono poi nell'immoralita`; quando uno si crede impeccabile e non
si esercita piu` nella virtu`, diventa presto preda delle piu` vili
passioni. Ed e` cio` che avvenne ai Beguardi, che il Concilio ecumenico
di Vienna dovette poi giustamente condannare nel 1311.

347. B) Nel secolo XVII, Molinos rinnovo` quest'errore, insegnando
che "con la contemplazione acquisita si arriva a un tal grado di
perfezione che non si commettono piu` peccati ne` mortali ne` veniali".
Ma mostro` troppo bene col suo esempio che, con massime apparentemente
cosi` alte, si e` pur troppo esposti a cadere in scandalosi disordini.
Fu giustamente condannato da Innocenzo XI il 19 novembre 1687, e
quando si leggono le proposizioni che aveva osato sostenere, si resta
inorriditi delle orribili conseguenze a cui conduce questa pretensione
d'impeccabilita` 347-1. -- Siamo dunque piu` modesti e pensiamo
soltanto correggerci delle colpe deliberate e diminuire il numero di
quelle di fragilita`.

348. 3^ Sulla terra non si puo` amar Dio costantemente o anche
abitualmente con amore cosi` perfettamente puro e disinteressato che
escluda ogni atto di speranza. A qualunque grado di perfezione si sia
giunti, si e` obbligati a fare di tanto in tanto degli atti di
speranza, e non si puo` quindi in modo assoluto restare indifferente
alla propia salvezza. Vi furono, e` vero, dei santi che, nelle prove
passive, s'acconciarono momentaneamente alla loro riprovazione in modo
ipotetico, cioe` se tale fosse la volonta` di Dio, pur protestando che
in tal caso non volevano cessare d'amar Dio, ma sono ipotesi che si
devono ordinariamente scartare, perche` di fatto Dio vuole la salvezza
di tutti gli uomini.

Si possono pero` fare, di quando in quando, atti di amor puro senza
alcuna mira a se` stesso e quindi senza attualmente sperare o
desiderare il cielo. Tal e`, per esempio, questo atto d'amore di
S. Teresa: 348-1 "Se vi amo, O Signore, non e` per il cielo che
m'avete promesso; se temo d'offendervi, non e` per l'inferno di cui
sarei minacciata; cio` che m'attira verso di voi, o Signore, siete voi,
voi solo, che vedo inchiodato alla croce, col corpo straziato, tra
agonie di morte. E il vostro amore si e` talmente impadronito del mio
cuore che, quand'anche non ci fosse il paradiso, io vi amerei lo
stesso; quand'anche non ci fosse l'inferno, pure io vi temerei. Nulla
voi avete da darmi per provocare il mio amore; perche`, quand'anche non
sperassi cio` che spero, pure io vi amerei come vi amo".

349. Abitualmente vi e` nel nostro amor di Dio un misto d'amor puro e
d'amore di speranza, il che significa che noi amiano Dio e per se`
stesso, perche` e` infinitamente buono, e anche perche` e` la fonte della
nostra felicita`. Questi due motivi non si escludono, perche` Dio volle
che nell'amarlo e nel glorificarlo troviamo la nostra felicita`.

Non ci affanniamo quindi di questo misto e, pensando al paradiso,
diciamo soltanto che la nostra felicita` consistera` nel posseder Dio,
nel vederlo, nell'amarlo e nel glorificarlo; cosi` il desiderio e la
speranza del cielo non impediranno che il motivo dominante delle
nostre azioni sia veramente l'amor di Dio.
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17/10/2013 11:13
 
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CONCLUSIONE.

350. Amore e sacrificio, ecco dunque tutta la perfezione cristiana.
Or chi non puo`, con la grazia di Dio, adempiere questa doppia
condizione? E` dunque cosi` difficile amar Colui che e` infinitamente
amabile e infinitamente amante? L'amore che ci si chiede non e` qualche
cosa di straordinario, e` l'amore di abnegazione, e` il dono di se`
stesso, e` specialmente la conformita` alla divina volonta`. Voler amare
e` dunque amare; osservare i comandamenti per Dio e` amare; pregare e`
amare; compiere i doveri del proprio stato per piacere a Dio e` amare;
anzi ricrearsi, nutrirsi con le stesse intenzioni e` amare; rendere
servizio al prossimo per Dio e` amare. Non v'e` quindi nulla di piu`
facile, con la grazia di Dio, del praticare costantemente la divina
carita` e cosi` incessantemente progredire verso la perfezione.

351. Il sacrificio certamente appare piu` penoso; ma non ci si chiede
di amarlo per se` stesso: basta amarlo per Dio, o, in altre parole,
persuadersi che sulla terra non si puo` amar Dio senza rinunziare a cio`
che e` di ostacolo al suo amore. Allora il sacrificio diventa prima
tollerabile e poi presto anche amabile. Una madre che passa le lunghe
notti al capezzale del foglio ammalato, non accetta forse lietamente
le sue fatiche, quando ha la speranza, specialmente poi se ha la
certezza di salvargli la vita? Ora noi abbiamo non solo la speranza ma
la certezza di piacere a Dio, di procurarne la gloria, e nello stesso
tempo di salvarci l'anima, quando, per amor di Dio, c'imponiamo i
sacrifici che ci domanda. E non abbiamo per rinfrancarci gli esempi e
gli aiuti dell'Uomo-Dio? Non pati` Gesu` quanto e piu` di noi per
glorificare il Padre suo e salvare le anime nostre? E noi, suoi
discepoli, incorporati a lui col battesimo, nutriti del suo corpo e
del suo sangue, esiteremo a patire in unione con lui, per amore di
lui, secondo le stesse sue intenzioni? E non e` forse vero che la croce
ha i suoi vantaggi, specialmente per i cuori che amano? "Nella croce
sta la salute, dice l'Imitazione 351-1; nella croce la vita; nella
croce la protezione contro i nemici; nella croce una soavita` tutta
celeste: "In cruce salus, in cruce vita, in cruce protectio ab
hostibus, in cruce infusio supernae suavitatis". Concludiamo dunque con
S. Agostino: "Per i cuori che amano non vi sono sacrifici troppo
penosi; vi si trova anzi diletto, come si vede in quelli che amano la
caccia, la pesca, la vendemmia, gli affari... Perche`, quando si ama, o
non si patisce o anche qual patimento si ama, aut non laboratur aut et
labor amatur" 351-2.

E affrettiamoci a progredire, per la via del sacrificio e dell'amore,
verso la perfezione, perche` per noi e` un obbligo.
_________________________________________________________________

296-1 Max Nordau, De'ge'ne'rescence, t.I, p. 115; J. H. Leure, La
psychologie des phe'nome`nes religieux; E. Murisier, Les maladies du
sentiment religieux.

296-2 Matth., VII, 6.

296-3 W. James, L'expe'rience religieuse, trad. Abauzit, 1906,
p. 9-12.

297-1 M. Montmorand, Psychologie des mystiques, 1920.

297-2 Matth., VII, 20.

301-1 E` quanto osserva S. Fr di Sales, Intr. alla vita devota,
P. I, c. I, che e` da leggersi per intero.

306-1 S. Thom., IIa. IIae, q. 184, a. 1-3; Opuscul. de perfectione
vitae spiritualis; Alvarez de Paz, op. cit., l. III; Le Gaudier,
op. cit., P. 1a.; Schram, Instit. mysticae, sez. IX-XX; Ribet,
L'Asce'tique chre'tienne, c. IV-VI; Ighina, Istituzioni di Teol. Ascet.
e Mistica,
Mondovi`, 1889; Garrigou-Lagrange, Perfection chre'tienne et
contemplation, t. I, p. 151-173.

306-2 Sum. theol., IIa. IIae, q. 184, a. 1.

307-1 S. Thom, Ia. IIae, q. 3, a. 1; Cfr. Tanquerey, Syn. Theol.
moralis. Tr. de ultimo fine.

308-1 J.-J. Olier, Pietas Seminarii, n. 1.

309-1 Sum. theol., IIa. IIae, q. 184, a. 3; cfr. De perfectione vitae
spiritualis, c. I, V-VI.

312-1 Luc., X, 25-29; cfr. Deut., VI, 5-7.

312-2 Matth., XXII, 39-40.

312-3 Rom., XIII, 10.

314-1 I Joan., III, 16; IV, 10.

314-2 Ia. Lettera di S. Giovanni, IV, 7-16. Questa lettera e` da
leggersi tutta.

317-1 Joan., XIV, 23.

318-1 Trattato dell'amor di Dio, l. XI, c. 8.

318-2 I Cor., XIII, 4.

319-1 Sum. theol., IIa. IIae, q. 23, a. 8.

319-2 S. Fr. di Sales, l. c., c. 9.

322-1 Matth., XVI, 24; cfr. Luc., IX, 23. -- Si veda il
commentario del B. Grignion di Montfort, Lettera circolare agli Amici
della Croce, Roma, 1909.

322-2 Joan., XII, 32.

322-3 I Petr., II, 21.

323-1 Col., III, 9.

323-2 Galat., V, 24.

323-3 I Cor., IX, 27.

324-1 I Joan., II, 15.

326-1 Matth., V, 29.

326-2 De civitate Dei, XIV, 28: "Fecerunt itaque civitates duas
amores duo: terrenam scilicet amor sui usque ad contemptum Dei,
caelestem vero amor Dei usque ad contemptum sui".

332-1 Non si da` quindi un'idea compita della spiritualita`
berulliana passandone sotto silenzio la dottrina sull'abnegazione.

335-1 Matth., XIX, 17, 21.

335-2 I Cor., VII, 25-40.

336-1 Sum. theol., IIa. IIae, q. 184, a. 3: "Perfectio
essentialiter consistit in praeceptis... secundario autem et
instrumentaliter in consiliis: quae omnia sicut et praecepta ordinantur
ad caritem".

341-1 "Nam primo quidem incumbit homini studium principale ad
recedendum a peccato et resistendum concupiscentiis ejus, quae in
contrarium caritatis movent: et hoc pertinet ad incipientes, in quibus
caritas est nutrienda vel fovenda, ne corrumpatur". (Sum. theol., 2a.
2ae, q. 24, a. 9.)

342-1 "Secundum autem studium succedit ut homo principaliter
intendat ad hoc quod in bono proficiat; et hoc studium pertinet ad
proficientes, qui ad hoc principaliter intendunt ut in eis caritas per
augmentum roboretur". (L. cit.)

343-1 "Tertium autem studium est ut homo ad hoc principaliter
intendat ut Deo inhaereat, et eo fruatur: et hoc pertinet ad perfectos,
qui cupiunt dissolvi et esse cum Christo". (L. cit.)

346-1 Denz.-Bann., n. 471. -- Cfr. P. Pourrat, La Spiritualite'
chre'tienne, t. II, p. 327-328.

347-1 Denz.-Bann., n. 1221 ss.

348-1 Storia di S. Teresa ricavata dai Bollandisti, t. II,
c. XXXI, (Lega Eucaristica, Milano).

351-1 Imitazione, l. II, c.12, v. 2.

351-2 S. August., De bono viduitatis, c. 21, P. L., XL, 448.
_________________________________________________________________

Quest'edizione digitale preparata da Martin Guy .
Ultima revisione: 2 marzo 2006.
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CAPITOLO IV.

Dell'obbligo di tendere alla perfezione 352-1.

352. Esposta la natura della vita cristiana e la sua perfezione, ci
resta ad esaminare se ci sia per noi un vero obbligo di progredire in
cotesta vita oppure se basti di serbarla gelosamente come si
custodisce un tesoro. Per rispondere con maggior esattezza,
esamineremo tal questione rispetto a tre categorie di persone:
* 1^ i semplici fedeli o i cristiani;
* 2^ i religiosi;
* 3^ i sacerdoti;

insistendo su quest'ultimo punto per lo scopo speciale che ci siamo
proposti.

ART. I. DELL'OBBLIGO PER I CRISTIANI DI TENDERE ALLA PERFEZIONE.

Esporremo:
* 1^ l'obbligo in se`;
* 2^ i motivi che rendono piu` facile questo dovere.

sez. I. Dell'obbligo propriamente detto.

353. In materia cosi` delicata e` necessario usare la maggior
precisione possibile. E` certo che bisogna e che basta morire in stato
di grazia per salvarsi; pare quindi che non ci sia per i fedeli altro
obbligo stretto che quello di conservare lo stato di grazia. Ma la
questione sta appunto qui: sapere se si puo` conservare per un tempo
notevole lo stato di grazia senza sforzarsi di progredire. Ora
l'autorita` e la ragione illuminata dalla fede ci mostrano che, nello
stato di natura decaduta, non si puo` restare a lungo nello stato di
grazia senza sforzarsi di progredire nella vita spirituale e di
praticare di tanto in tanto alcuni dei consigli evangelici.

I. L'argomento d'autorita`.

354. 1^ La Sacra Scrittura non tratta direttamente una tal
questione; posto che ha il principio generale della distinzione tra
precetti e consigli, non dice ordinariamente cio` che nelle esortazioni
di Nostro Signore e` obbligatorio o no. Ma insiste tanto sulla santita`
che si addice ai cristiani, ci mette davanti agli occhi tale ideale di
perfezione, predica cosi` apertamente a tutti la necessita` della
rinunzia e della carita`, elementi essenziali della perfezione, che ad
ogni animo imparziale nasce subito la convinzione che, per salvarsi, e`
necessario, in certe occasioni, far di piu` di quello che e`
strettamente comandato e quindi sforzarsi di progredire.

355. A) Cosi` Nostro Signore ci presenta come ideale di santita` la
perfezione stessa del nostro Padre celeste: "Siate perfetti come e`
perfetto il Padre vostro celeste. Estote ergo vos perfecti, sicut et
Pater vester caelestis perfectus est" 355-1; tutti quelli quindi che
hanno Dio per padre, devono accostarsi a questa divina perfezione; il
che non puo` evidentemente farsi senza un qualche progresso. Tutto il
discorso della montagna non e` in sostanza che il commento e lo
sviluppo di quest'ideale. -- La via da tenere per questo e` la via
della rinunzia, dell'imitazione di Nostro Signore e dell'amor di Dio:
"Chi viene a me e non odia (cioe` non sacrifica) il padre, la madre, la
moglie, i figliuoli, i fratelli, le sorelle e persino la vita, non puo`
essere mio discepolo: "Si quis venit ad me, et non odit patrem suum,
et matrem et uxorem et filios et fratres et sorores, adhuc autem et
animam suam, non potest meus esse discipulus" 355-2. Bisogna
dunque, in certi casi, preferire Dio e la sua volonta` all'amore dei
genitori, della moglie, dei figli, della propria vita e sacrificar
tutto per seguire Gesu`; il che suppone un coraggio eroico che non si
avra` al momento opportuno se non vi si e` preparati con sacrifici di
supererogazione. E` questa certamente via stretta e difficile e ben
pochi la seguono; ma Gesu` vuole che si facciano sforzi serii per
entrarvi: "Contendite intrare per augustam portam" 355-3: non e`
questo un chiederci di tendere alla perfezione?

356. B) Ne` altrimenti parlano i suoi apostoli. S. Paolo rammenta
spesso ai fedeli che sono stati eletti per diventar santi: "ut essemus
sancti et immaculati in conspectu ejus in caritate" 356-1; il che
non possono fare senza spogliarsi dell'uomo vecchio e rivestirsi del
nuovo, cioe` senza mortificare le tendenze della corrotta natura e
senza sforzarsi di imitare le virtu` di Gesu`. Ne` a cio` potranno
riuscire, agguinge S. Paolo, senza studiarsi di pervenire "alla misura
dell'eta` piena di Cristo, donec occurramus omnes... in virum
perfectum, in mensuram aetatis plenitudinis Christi" 356-2; il che
significa che, essendo incorporati a Cristo, noi ne siamo il
compimento, e spetta a noi, col progredire nell'imitazione delle sue
virtu`, di farlo crescere e di integrarlo. Anche S. Pietro vuole che
tutti i suoi discepoli siano santi come colui che li ha chiamati alla
salute: "secundum eum qui vocavit vos Sanctum, et ipsi in omni
conversatione sancti sitis" 356-3. E come lo possono essere senza
progredire nella pratica delle cristiane virtu`? San Giovanni
nell'ultimo capo dell'Apocalisse invita i giusti a non smettere di
praticar la giustizia e i santi a santificarsi sempre piu`: "Qui justus
est, justificetur adhuc, et sanctus, sanctificetur adhuc" 356-4.

357. C) Questa conclusione sgorga pure dalla natura della vita
cristiana, che, al dire di Nostro Signore e dei suoi discepoli, e` una
lotta ove la vigilanza e la preghiera, la mortificazione e la pratica
positiva delle virtu` sono necessarie per riportar vittoria: "Vigilate
e pregate per non entrare in tentazione, vigilate et orate ut non
intretis in tentationem" 357-1... Dovendo lottare non solo contro
la carne e il sangue, cioe` contro la triplice concupiscenza, ma anche
contro i demonii che in noi la aizzano, abbiamo bisogno di armarci
spiritualmente e di valorosamente lottare. Ora in una lotta che duri a
lungo, si e` quasi fatalmente vinti se uno si tiene soltanto sulla
difensiva; bisogna quindi ricorrere pure ai contrattacchi, cioe` alla
pratica positiva delle virtu`, alla vigilanza, alla mortificazione,
allo spirito di fede e di confidenza. Tal e` veramente la conclusione
che ne trae S. Paolo, quando, descritta la lotta che dobbiamo
sostenere, dichiara che dobbiamo stare armati da capo a piedi come il
soldato romano, "cinti i lombi con la verita`, vestiti dell'usbergo
della giustizia, calzati i piedi pronti ad annunziare il Vangelo della
pace, con lo scudo della fede, l'elmo della salute e la spada dello
Spirito: State ergo succincti lumbos vestros in veritate, et induti
loricam justitae, et calceati pedes in praeparatione evangelii pacis; in
omnibus sumentes scutum fidei... et galeam salutis assumite et gladium
Spiritus" 357-2... Col che ci mostra che, per trionfare dei nostri
avversarii, bisogna fare di piu` di quanto e` strettamente prescritto.

358. 2^ La Tradizione conferma quest'insegnamento. Quando i Padri
vogliono insistere sulla necessita` della perfezione per tutti, dicono
che nella via che conduce a Dio e alla salute, non si puo` rimaner
stazionarii, ma o che si avanza o che si retrocede: "in via Dei non
progredi, regredi est". Cosi` S. Agostino, facendo notare che la carita`
e` attiva, ci avverte che non bisogna fermarsi per via, appunto perche`
l'arrestarsi e` un retrocedere: "retro redit qui ad ea revolvitur unde
jam recesserat" 358-1; e Pelagio medesimo, suo avversario,
ammetteva lo stesso principio, tanto e` evidente. Quindi S. Bernardo,
che da taluno e` detto l'ultimo dei Padri, espone questa dottrina in
forma drammatica: "Non vuoi progredire? -- No. -- Vuoi dunque
retrocedere? -- Niente affatto. -- Che vuoi dunque? -- Voglio vivere
in modo da star fermo nel punto in cui sono... -- Cio` che tu vuoi e`
cosa impossibile, perche` nulla a questo mondo rimane nel medesimo
stato" 358-2... E altrove aggiunge: "Bisogna necessariamente
salire o discendere; chi vuol fermarsi, cade
infallantemente" 358-3. Anche il S. P. Pio XI, nell'Enciclica del
26 gennaio 1923 sopra S. Francesco di Sales, dichiara nettamente che
tutti i cristiani, senza eccezione, devono tendere alla
santita` 358-4.
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II. L'argomento di ragione.

La ragione fondamentale per cui dobbiamo tendere alla perfezione e`
quella appunto dataci dai Padri.

359. 1^ Ogni vita, essendo movimento, e` essenzialmente progressiva,
nel senso che, quando cessa di crescere, comincia pure a decadere. La
ragione e` che vi sono in ogni vivente delle forze disgregative, le
quali, ove non siano infrenate, finiscono col produrre la malattia e
la morte. Lo stesso avviene della nostra vita spirituale: a fianco
delle tendenze che ci portano al bene, ve ne sono altre, attivissime,
che ci trascinano al male; a combatterle, il solo mezzo efficace e` di
accrescere in noi le forze vive, l'amor di Dio e le virtu` cristiane;
allora queste tendenze cattive s'indeboliscono. Ma se desistiamo dal
fare sforzi per progredire, i nostri vizi si ridestano e, riprendendo
vigore, ci danno piu` vivi e piu` frequenti assalti; e se non ci
scotiamo dal nostro torpore, viene il momento in cui, di debolezza in
debolezza, cadiamo in peccato mortale 359-1. Tal e`, ahime`! la
storia di molte anime, come ben sanno i direttori che hanno
esperienza.

Ecco un paragone che fara` capir la cosa. Per salvarci dobbiamo
risalire una corrente piu` o meno violenta, quella delle nostre
passioni disordinate che ci trascinano al male. Finche` ci sforziamo di
spingere avanti la nostra navicella, riusciamo a risalir la corrente o
almeno a contrappesarla; ma, appena cessiamo di remare, veniamo dalla
corrente travolti e indietreggiamo verso l'Oceano, ove ci attendono le
tempeste, vale a dire le tentazioni gravi e forse anche le miserande
cadute.

360. 2^ Vi sono precetti gravi che in certe occasioni non possono
essere osservati se non con atti eroici. Ora, tenendo conto delle
leggi psicologiche, non si e` ordinariamente capaci di compiere atti
eroici, se prima non vi si e` preparati con sacrifici, cioe` con atti di
mortificazione. A rendere questa verita` piu` palpabile, diamo qualche
esempio. Prendiamo il precetto della castita` e vediamo quali sforzi
generosi, talora eroici, richiede a poter essere conservata tutta la
vita. Fino al matrimonio (e molti giovani non si sposano che a 28 o 30
anni) bisogna praticar la continenza assoluta sotto pena di peccato
mortale. Ora le tentazioni gravi cominciano, quasi per tutti, all'eta`
della puberta` e talora anche prima; a vittoriosamente resistervi,
bisogna pregare, tenersi lontani dalle letture, dalle rappresentazioni
delle relazioni pericolose, deplorare anche le piu` piccole debolezze e
approfittarne per subito e generosamente rialzarsi; e cio` per un lungo
periodo della vita. Or questo non suppone forse sforzi piu` che
ordinarii e qualche opera di supererogazione? Il matrimonio, contratto
che sia, non mette al riparo da gravi tentazioni; vi sono periodi in
cui bisogna praticare la continenza coniugale; al che e` necessario un
coraggio quasi eroico, che non si acquista se non con una lunga
abitudine di mortificazione dei sensuali diletti e con la pratica
assidua della preghiera.

361. Prendiamo ora la legge della giustizia negli affari finanziari,
commerciali, industriali, e si pensi al gran numero di occasioni che
si presentano di violarla; alla difficolta` di praticare una perfetta
onesta` in tempi in cui la concorrenza e la bramosia del guadagno fanno
salire i prezzi oltre i limiti permessi; e si vedra` che, per restare
semplicemente onesti, e` necessaria una somma di sforzi e
un'abnegazione piu` che ordinaria. Sara` capace di questi sforzi chi si
abituo` a non rispettare che le prescrizioni gravi, chi venne con la
coscienza a compromessi prima leggieri, poi piu` seri, e da ultimo
veramente gravi? A schivar questo pericolo, non e` forse necessario
fare un poco di piu` di cio` che e` strettamente comandato, affinche` la
volonta`, rafforzata da questi atti generosi, abbia maggior vigore a
non lasciarsi trascinare ad atti d'ingiustizia?

S'avvera quindi dovunque quella legge morale che, per non cadere in
peccato, bisogna fuggirne il pericolo con atti generosi che non cadono
direttamente sotto precetto. In altre parole, per colpire nel segno si
deve mirare un poco piu` in alto; e per non perdere la grazia bisogna
rinvigorir la volonta` contro le tentazioni pericolose con opere di
supererogazione; bisogna insomma tendere alla perfezione.
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sez. II. Dei motivi che rendono questo dovere piu` facile.

I molteplici motivi che possono stimolare i semplici fedeli a tendere
alla perfezione, si riducono a tre principali:
* 1^ Il bene dell'anima;
* 2^ la gloria di Dio;
* 3^ l'edificazione del prossimo.

362. 1^ Il bene dell'anima e` prima di tutto la sicurezza dell'eterna
salute, la moltiplicazione dei meriti, e finalmente la gioia della
coscienza.

A) L'opera grande che dobbiamo compiere sulla terra, l'opera
necessaria, anzi, a dir vero, l'unica necessaria, e` di salvarci
l'anima. Se la salviamo, quand'anche perdessimo tutti i beni della
terra, parenti, amici, riputazione e ricchezze, tutto e` salvo; perche`
riavremo centuplicato in cielo tutto cio` che abbiamo perduto, e lo
riavremo per tutta l'eternita`. Ora il mezzo piu` efficace per
assicurarci l'eterna salute e` di tendere alla perfezione, ognuno
secondo il proprio stato; quanto piu` cio` facciamo con senno e
costanza, tanto piu` ci allontaniamo dal peccato mortale che solo puo`
dannarci: e` chiaro infatti che, quando uno sinceramente si sforza di
divenire piu` perfetto, schiva per cio` stesso le occasioni di peccato,
fortifica la volonta` contro gli agguati che ci attendono al varco, e,
venuto il momento della tentazione, la volonta`, gia` agguerrita dallo
sforzo verso la perfezione e abituata a pregare per assicurarsi la
grazia di Dio, respinge con orrore il pensiero del peccato grave:
potius mori quam foedari. Chi invece si permette tutto cio` che non e`
peccato grave, s'espone a cadervi quando si presentera` una lunga e
violenta tentazione; abituato a cedere al piacere nelle cose meno
gravi, c'e` da temere che, trascinato dalla tentazione, finisca col
soccombervi, come chi costeggia continuamente l'abisso finisce col
precipitarvi. Per essere sicuri di non offendere gravemente Dio, il
mezzo migliore e` d'allontanarsi dall'orlo del precipizio, facendo piu`
di quel che e` comandato e sforzandosi di progredire verso la
perfezione; quanto maggiore e` la prudenza e l'umilta` con cui vi si
tende, tanto maggiore e` la sicurezza dell'eterna salute.

363. B) Cosi` si accrescono pure ogni giorno i gradi di grazia
abituale che si possedono e i gradi di gloria a cui si ha diritto.
Abbiamo visto infatti che ogni sforzo soprannaturale, fatto per Dio,
da un'anima che e` in stato di grazia, le procura un aumento di meriti.
Chi non si da` pensiero della perfezione e compie il proprio dovere con
maggiore o minore noncuranza, acquista ben pochi meriti, come abbiamo
detto al n. 243. Ma chi tende alla perfezione e si sforza di
progredire, ne acquista un gran numero; accresce quindi ogni giorno il
suo capitale di grazia e di gloria, e i suoi giorni sono pieni di
meriti: ogni sforzo e` ricompensato da un aumento di grazia sulla terra
e piu` tardi da un peso immenso di gloria nel cielo; "aeternum gloriae
pondus operatur in nobis!" 363-1.

364. C) Chi voglia godere un poco di felicita` sulla terra, non vi e`
di meglio che la pieta`: "la pieta`, dice S. Paolo, giova a tutto avendo
promessa della vita presente e della futura: pietas autem ad omnia
utilis est, promissionem habens vitae quae nunc est et
futurae" 364-1. La pace dell'anima, il gaudio della buona
coscienza, la fortuna di essere uniti a Dio, di progredire nel suo
amore, di giungere a una sempre maggiore intimita` con Nostro Signore:
ecco alcune delle ricompense che Dio largisce fin di quaggiu` ai fedeli
suoi servi, in mezzo alle prove, con la gioconda speranza della
beatitudine eterna.

365. 2^ La gloria di Dio. Nulla di piu` nobile che il procurarla,
nulla di piu` giusto, se richiamiamo cio` che Dio ha fatto e fa
continuamente per noi. Ora un'anima perfetta da` a Dio maggior gloria
di mille anime ordinarie: moltiplica infatti ogni giorno gli atti
d'amore, di riconoscenza, di riparazione, e dirige in questo senso
tutta la vita con l'offerta spesso rinnovata delle azioni ordinarie,
glorificando cosi` Dio da mane a sera.

366. 3^ L'edificazione del prossimo. Per far del bene attorno a noi,
per convertire qualche peccatore o incredulo e confermare nel bene le
anime vacillanti, non vi e` nulla di piu` efficace dello sforzo che si
fa per meglio praticare il cristianesimo: se la mediocrita` della vita
attira sulla religione le critiche degli increduli, la vera santita` ne
eccita l'ammirazione per una religione che sa produrre tali effetti:
"dal frutto si giudica l'albero: ex fructibus eorum cognoscetis
eos" 366-1. L'apologetica migliore e` quella dell'esempio, quando
vi si sa unire la pratica di tutti i doveri sociali. Ed e` pure ottimo
stimolo per i mediocri, che s'addormenterebbero nella tiepidezza se il
progresso delle anime fervorose non li scotesse dal loro torpore.

E` una ragione che molte anime oggi capiscono: in questo secolo di
proselitismo, i laici intendono meglio di prima la necessita` di
difendere e di propagare la fede con la parola e con l'esempio. Spetta
ai sacerdoti di assecondare questo movimento, formandosi attorno una
schiera di valorosi cristiani che, non appagandosi d'una vita mediocre
e volgare, si studino di progredire ogni giorno piu` nell'adempimento
dei loro doveri; doveri religiosi prima di tutto ma anche doveri
civili e sociali. Saranno ottimi collaboratori che, penetrando in
posti poco accessibili ai religiosi e ai sacerdoti, li asseconderanno
efficacemente nella pratica dell'apostolato.
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ART. II. DELL'OBBLIGO PER I RELIGIOSI DI TENDERE ALLA
PERFEZIONE. 367-1

367. Vi sono tra i cristiani di quelli che, volendo darsi piu`
perfettamente a Dio e assicurarsi piu` efficacemente la salute
dell'anima, entrano nello stato religioso. Questo stato e`, secondo il
Codice di Diritto canonico, 367-2 "un modo stabile di vivere in
comune, nel quale i fedeli, oltre ai precetti comuni, prendono ad
osservare anche i consigli evangelici facendo i voti di obbedienza, di
castita` e di poverta`".

Che i Religiosi siano tenuti, in virtu` del loro stato, a tendere alla
perfezione, e` unanime dottrina dei teologi; e cio` che il Codice pure
rammenta dichiarando che "tutti e ciascuno dei religiosi, tanto i
superiori quanto gli inferiori, devono tendere alla perfezione del
loro stato" 367-3. Quest'obbligo e` talmente grave che S. Alfonso
de' Liguori non esita a dire che un religioso pecca mortalmente se
prende la ferma risoluzione di non tendere alla perfezione o di non
darsene alcun pensiero 367-4. Con cio` infatti manca gravemente al
dovere del proprio stato, che e` precisamente di tendere alla
perfezione. E` anzi per questa ragione che lo stato religioso vien
detto stato di perfezione, vale a dire stato ufficialmente
riconosciuto dal Diritti Canonico come uno stabile genere di vita in
cui uno si obbliga ad acquistare la perfezione. Non e` quindi
necessario aver acquistato la perfezione prima d'entrarvi, ma vi si
entra appunto per acquistarla, come bene osserva S. Tommaso 367-5.

L'obbligo per i religiosi di tendere alla perfezione si fonda su due
ragioni principali:
* 1^ i voti;
* 2^ le costituzioni e regole.

I. Obbligo fondato sui voti.

368. Chi si fa religioso intende di darsi e di consacrarsi piu`
perfettamente a Dio: per questo fa i tre voti. Ora questi voti
obbligano ad atti di virtu` che non sono comandati, e che sono tanto
piu` perfetti in quanto che il voto all'intrinseco loro valore aggiunge
quello della virtu` della religione; e hanno pure il vantaggio di
sopprimere o per lo meno di attenuare alcuni degli ostacoli maggiori
alla perfezione. Il che intenderemo meglio toccando in particolare di
questi voti.

369. 1^ Col voto di poverta` si rinunzia ai beni esterni che si
possedono o che si potessero acquistare; se il voto e` solenne, si
rinunzia al diritto stesso di proprieta`, per modo che tutti gli atti
di proprieta` che si volessero poi fare, sarebbero canonicamente nulli,
come il Codice dichiara al can. 579; se il voto e` semplice, non si
rinunzia al diritto di proprieta` ma al libero uso di questo diritto,
di cui non si puo` usare che col permesso dei Superiori e nei limiti da
essi fissati.

Questo voto ci aiuta a vincere uno dei grandi ostacoli alla
perfezione: lo smoderato amore delle ricchezze e i fastidi causati
dall'amministrazione dei beni temporali; onde e` un gran mezzo di
progresso spirituale. D'altra parte impone penosi sacrifici, perche`
non si ha quella sicurezza e quell'indipendenza che viene dal libero
uso dei propri beni; si devono talora soffrire certe privazioni
imposte dalla vita comune; e` penoso e umiliante il ricorrere a un
Superiore ogni volta che si ha bisogno di cose necessarie. Vi sono
dunque in cio` atti di virtu` a cui uno si e` obbligato per voto e che
non solo ci fanno tendere alla perfezione ma vi ci avvicinano.

370. 2^ Il voto di castita` ci fa trionfare di un secondo ostacolo
alla perfezione: della concupiscenza della carne; e ci libera dalle
occupazioni e dagli affanni della vita di famiglia. E` cio` che fa
rilevare S. Paolo quando dice: "Chi e` senza moglie, si da pensiero
delle cose del Signore, del come piacere a Dio: chi e` ammogliato, si
da invece pensiero delle cose del mondo, del come piacere alla moglie,
e resta diviso" 370-1. Ma il voto di castita` non toglie la
concupiscenza, e la grazia che ci vien data per osservarlo non e`
grazia di riposo ma grazia di lotta. Per serbarsi continenti tutta la
vita, bisogna vigilare e pregare, cioe` mortificare i sensi esterni e
la curiosita`, reprimere i traviamenti dell'immaginazione e della
sensibilita`, condannarsi a una vita laboriosa, e sopratutto dare
interamente il cuore a Dio con la pratica della carita`, cercar di
vivere in intima e affettuosa unione con Nostro Signore, come diremo
parlando della castita`. Ora e` chiaro che l'operare cosi` e` un tendere
alla perfezione, e` un rinnovare incessantemente gli sforzi per vincere
se stessi e padroneggiare una delle piu` violente tendenze della
corrotta nostra natura.

371. 3^ L'obbedienza va ancora piu` in la`, sottomettendo non solo a
Dio ma anche alle Regole e ai Superiori cio` che piu` ci preme, la
nostra volonta`. Infatti col voto d'obbedienza il Religioso si obbliga
a obbedire agli ordini del suo legittimo Superiore in tutto cio` che
riguarda l'osservanza dei voti e delle costituzioni. Ma per costituire
un obbligo grave, occorre un ordine formale e non un semplice
consiglio; cio` che si conosce dalle formole usate dal Superiore, per
esempio se comanda in nome o in virtu` di santa ubbidienza, in nome di
Nostro Signore, o intimando un precetto formale, o usando altra
espressione equivalente. Vi sono certamente dei limiti a questo potere
dei Superiori: bisogna che comandino secondo la regola,
"restringendosi a quanto vi si trova formalmente o implicitamente
inchiuso, come sarebbero le costituzioni, gli statuti legittimamente
stabiliti per procurarne l'osservanza, le penitenze inflitte per
punire le trasgressioni e prevenire le ricadute, tutto cio` che
riguarda il modo di ben adempiere gli uffici e una buona e retta
amministrazione" 371-1.

Ma, non ostante queste restrizioni, resta pur sempre vero che il voto
d'obbedienza e` uno di quelli che costano di piu` alla natura umana,
appunto perche` molto ci preme l'indipendenza della nostra volonta`. Per
osservarlo, ci vuole dell'umilta`, della pazienza, della dolcezza;
bisogna mortificare la vivissima propensione che abbiamo a criticare i
Superiori, a preferire il giudizio nostro al loro, a seguire i nostri
gusti e talora i nostri capricci. Vincere queste tendenze, piegare
rispettosamente la volonta` a quella dei Superiori vedendo Dio in loro,
e` certamente tendere alla perfezione, perche` e` coltivare alcune delle
virtu` piu` difficili; ed essendo la vera ubbidienza la miglior prova
d'amore, equivale in sostanza a crescere nella virtu` della carita`.

372. Come si vede, la fedelta` ai voti inchiude non solo l'osservanza
delle tre grandi virtu` della poverta`, della castita` e dell'ubbidienza,
ma anche di molte altre che servono alla loro tutela; e l'obbligarsi
ad osservarli e` certamente un obbligarsi a un grado di perfezione poco
comune. Il che risulta pure dal dovere di osservare le Costituzioni.
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17/10/2013 11:16
 
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II. Obbligo fondato sulle Costituzioni e sulle Regole.

373. Chi entra nello stato religioso, si obbliga con cio` stesso a
osservarne le Costituzioni e le Regole, che sono spiegate nel corso
del noviziato prima della professione. Ora qualunque sia la
Congregazione che uno abbraccia, non ce n'e` alcuna che non si proponga
per fine la santificazione dei suoi membri, e che non determini,
talvolta in modo molto particolareggiato, le virtu` che si devono
praticare e i mezzi che ne agevolano l'esercizio. Chi e` sincero si
obbliga quindi ad osservare, almeno sostanzialmente, questi diversi
regolamenti, e con cio` ad elevarsi a un certo grado di perfezione;
perche`, quand'anche non si pratichino le regole che all'ingrosso, ci
sono pur sempre molte occasioni di mortificarsi in cose che non sono
di precetto; e lo sforzo che per questo si e` obbligati a fare e` uno
sforzo verso la perfezione.

374. Qui si presenta la questione se le mancanze alle regole
religiose siano peccato o semplice imperfezione. Per rispondervi
bisogna fare varie distinzioni.

a) Vi sono regole che prescrivono la fedelta` alle virtu` di precetto o
ai voti, o i mezzi necessari per osservarli, come sarebbe la clausura
per le comunita` claustrali. Coteste regole obbligano in coscienza,
appunto perche` non fanno che promulgare un obbligo risultante dagli
stessi voti; infatti facendoli uno si obbliga ad adempierli e ad usare
i mezzi necessari per la loro osservanza. Obbligano sotto pena di
peccato grave o leggiero, secondo che grave o leggiera ne e` la
materia. Sono quindi regole precettive, e in certe Congregazioni sono
nettamente indicate sia direttamente, sia indirettamente, con una
sanzione grave che implica una colpa dello stesso genere.

375. b) Vi sono invece regole che o esplicitamente o implicitamente
sono date come puramente direttive. 1) Il mancarvi senza ragione e`
certamente un'imperfezione morale; ma non e` in se` peccato neppur
veniale, non essendovi violazione d'una legge o d'un precetto.
2) Tuttavia S. Tommaso 375-1 fa giustamente notare che si puo`
peccar gravemente contro la regola se si viola per disprezzo
(disprezzo della regola o dei Superiori); leggermente, se si viola per
negligenza volontaria, per passione, per collera, per sensualita`, o
per qualsiasi altro motivo peccaminoso; in tali casi la colpa sta nel
motivo. Si puo` aggiungere con S. Alfonso che la colpa puo` essere grave
quando le mancanze sono frequenti e deliberate, sia per lo scandalo
che ne risulta e che induce gradatamente un notevole indebolimento
della disciplina, sia perche` il colpevole s'espone cosi` a farsi
cacciare dalla Comunita` con gran detrimento dell'anima.

376. Ne consegue che i Superiori sono obbligati per dovere del
proprio stato a fare diligentemente osservare le regole, e che chi
trascura di reprimere le trasgressioni anche leggiere della regola,
quando tendono a diventare frequenti, puo` commettere colpa grave,
perche` promuove in tal modo il rilassamento progressivo, che in una
comunita` e` grave disordine. Tale e` la dottrina del De Lugo, di
S. Alfonso, dello Schram 376-1 e di molti altri teologi.

Del resto il vero religioso non fa tutte queste distinzioni ma osserva
la regola piu` esattamente che puo`, sapendo che e` questo il mezzo
migliore di piacere a Dio: "Qui regulae vivit Deo vivit, vivere in
conformita` della regola e` vivere per Dio". Parimenti non si contenta
di osservar puramente i voti ma ne pratica anche lo spirito,
sforzandosi di progredire ogni giorno piu` verso la perfezione, secondo
le parole di S. Giovanni: "Chi e` santo si santifichi di piu`"; e allora
s'avverano per lui le parole di S. Paolo: "Chi seguira` questa regola
godra` la pace e potra` fare assegnamento sulla divina misericordia, pax
super illos et misericordia" 376-2.

ART. III. DELL'OBBLIGO PER I SACERDOTI DI TENDERE ALLA
PERFEZIONE 377-1.

377. I sacerdoti, in virtu` del loro ministero e della missione che
loro incombe di santificare le anime, sono obbligati a una santita`
interiore piu` perfetta di quella dei semplici religiosi non elevati al
sacerdozio. Tal e` l'espressa dottrina di S. Tommaso, confermata dai
piu` autentici documenti ecclesiastici: "quia per sacrum ordinem
aliquis deputatur ad dignissima ministeria, quibus ipsi Christo
servitur in sacramento altaris; ad quod requiritur major sanctitas
interior, quam requirat etiam religionis status" 377-2. I
Concilii, massime quello di Trento 377-3, i Sommi Pontefici,
specialmente Leone XIII 377-4 e Pio X 377-5, insistono tanto
sulla necessita` della santita` per sacerdote, che il negare la nostra
tesi sarebbe un mettersi in flagrante contraddizione con queste
irrefragabili autorita`. Ci basti ricordare che Pio X, in occasione del
cinquantesimo anniversario del suo sacerdozio, pubblico` una lettera
indirizzata al clero cattolico, ove dimostra la necessita` della
santita` per sacerdote e indica esattamente i mezzi necessari per
acquistarla, mezzi che, a dirlo di passata, sono quelli stessi che
inculchiamo noi nei nostri Seminarii. Dopo aver descritto la santita`
interiore (vitae morumque sanctimonia), dichiara che sola questa
santita` ci rende quali la divina nostra vocazione richiede: uomini
crocifissi al mondo, rivestiti dell'uomo nuovo, che non aspirino se
non ai beni celesti e che si studino con ogni mezzi possibile
d'inculcare agli altri gli stessi principi: "Sanctitas una nos efficit
quales vocatio divina exposcit: homines videlicet mundo crucifixos...
homines in novitate vitae ambulantes... qui unice in caelestia tendant
et alios eodem adducere omni ope contendant".

378. Il Codice sanci` queste idee di Pio X, insistendo, piu` che
l'antica legislazione non facesse, sulla necessita` della santita` pel
sacerdote e sui mezzi di praticarla. Dichiara nettamente che "gli
ecclesiastici devono condurre una vita interiore ed esteriore piu`
santa dei laici e dar loro buon esempio con le virtu` e le buone
opere". Aggiunge che i Vescovi devono fare in modo "che gli
ecclesiastici s'accostino frequentemente al Sacramento della Penitenza
per purificarsi delle loro colpe; che ogni giorno attendano per un po'
di tempo all'orazione mentale, visitino il SS. Sacramento, recitino il
rosario in onore della Vergine Madre di Dio, e facciano l'esame di
coscienza. Almeno ogni tre anni, i preti secolari devono fare, in una
casa pia o religiosa, gli esercizi spirituali per quel tempo che verra`
stabilito dal Vescovo; ne` potranno esserne dispensati se non in casi
particolari, per ragioni gravi e coll'espressa licenza dell'Ordinario.
Tutti gli ecclesiastici, massime i sacerdoti, sono obbligati in modo
particolare a porgere al proprio Ordinario rispetto e
obbedienza 378-1.

Del resto la necessita` pel sacerdote di tendere alla perfezione si
prova:
* 1^ con l'autorita` di Nostro Signore e di San Paolo;
* 2^ col Pontificale;
* 3^ dalla natura stessa degli uffici sacerdotali.

I. L'insegnamento di Gesu` e di S. Paolo.

379. 1^ Nostro Signore insegna eloquentemente, cosi` con gli esempi
che con le parole, la necessita` della santita` pel sacerdote.

Ne da` l'esempio. A) Egli, che fin da principio era pieno di grazia e
di verita`, "vidimus eum... plenum gratiae et veritatis", volle
sottomettersi in quanto poteva, alla legge del progresso: "progrediva,
dice S. Luca, in sapienza, in eta`, in grazia davanti a Dio e davanti
agli uomini: "proficiebat sapientia^ et aetate et gratia^ apud Deum et
homines" 379-1. E per trent'anni si venne preparando al suo
ministero pubblico con la pratica della vita nascosta e con tutto cio`
che le e` connesso: preghiera, mortificazione, umilta`, obbedienza. Tre
parole compendiano trent'anni della vita del Verbo Incarnato: "Erat
subditus illis" 379-2. Per predicare piu` efficacemente le virtu`
cristiane, comincio` col praticarle: "coepit facere et
docere" 379-3; tanto che avrebbe potuto dire di tutte le virtu` cio`
che disse della dolcezza e dell'umilta`: "discite a me quia mitis sum
et humilis corde" 379-4. Quindi, verso il fine della vita,
dichiara con tutta semplicita` che si santifica e si sacrifica (la
parola sanctifico ha questo doppio senso) perche` i suoi apostoli, e i
suoi sacerdoti loro successori, si santifichino anch'essi in tutta
verita`: "Et pro eis ego sanctifico me ipsum ut sint et ipsi
sanctificati in veritate" 379-5. Ora il sacerdote e` il
rappresentante di Gesu` Cristo sulla terra, e` un altro Cristo: "pro
Christo ergo legatione fungimur" 379-6. Anche noi dobbiamo quindi
tendere incessantemente alla santita`.

380. B) La qual cosa del resto risulta pure dagl'insegnamenti del
Maestro. Durante i tre anni della vita pubblica, il grande suo lavoro
e` la formazione dei Dodici: questa l'occupazione principale, non
essendo la predicazione al popolo che un accessorio e, some a dire, un
modello del come i suoi discepoli avrebbero poi dovuto predicare. Dal
che derivano le seguenti conclusioni:

a) Gli altissimi insegnamenti sulla beatitudine, sulla santita`
interiore, sull'abnegazione, sull'amor di Dio e del prossimo, sulla
pratica dell'obbedienza, dell'umilta`, della dolcezza e di tutte le
altre virtu` cosi` spesso inculcate nel Vangelo, sono certamente rivolti
a tutti i cristiani che aspirano alla perfezione, ma prima di tutto
agli Apostoli e ai loro successori: sono essi infatti gli incaricati
d'insegnare ai semplici fedeli questi grandi doveri, piu` con l'esempio
che con le parole, come il Pontificale rammenta ai diaconi: "Curate ut
quibus Evangelium ore annuntiatis, vivis operibus exponatis". Ora,
come tutti convengono, quest'insegnamenti formano un codice di
perfezione e di altissima perfezione. I sacerdoti sono dunque
obbligati, per dovere del proprio stato, ad accostarsi alla santita`.

381. b) Agli Apostoli in modo tutto particolare e ai sacerdoti sono
dirette quelle esortazioni a maggior perfezione contenute in molte
pagine del Vangelo: "Voi siete il sale della terra... voi siete la
luce del mondo: Vos estis sal terrae... Vos estis lux mundi" 381-1.
La luce di cui si parla non e` soltanto la scienza, ma e` pure e
principalmente l'esempio che illumina e stimola piu` della scienza:
"Risplenda la vostra luce dinanzi agli uomini, affinche`, vedendo le
vostre opere buone, glorifichino il Padre vostro che e` nei Cieli: Sic
luceat lux vestra coram hominibus, ut videant opera vestra bona, et
glorificent Patrem vestrum qui in caelis est" 381-2. A loro pure in
modo speciale si rivolgono i consigli sulla poverta` e sulla
continenza, perche`, in virtu` della loro vocazione, sono obbligati a
seguir Gesu` Cristo piu` da vicino e sino alla fine.

382. c) Vi e` poi una serie d'insegnamenti che sono direttamente ed
esplicitamente riservati agli apostoli e ai loro successori 382-1:
quelli che Gesu` da` ai Dodici e ai Settantadue inviandoli a predicare
nella Giudea e quelli che disse nell'ultima Cena. Ora questi discorsi
contengono un codice di perfezione sacerdotale cosi` alta da risultarne
per i sacerdoti uno stretto dovere di tendere incessantemente alla
perfezione. Dovranno infatti praticare il disinteresse assoluto, lo
spirito di poverta` e la poverta` effettiva, contentandosi del
necessario, lo zelo, la carita`, la piena dedizione, la pazienza e
l'umilta` in mezzo alle persecuzioni che li aspettano, la fortezza per
confessar Cristo e predicare il Vangelo a tutti e contro tutti, il
distacco dal mondo e dalla famiglia, il portamento della croce e la
perfetta abnegazione 382-2.

383. Nell'ultima Cena 383-1 Gesu` da` loro quel comandamento nuovo
che consiste nell'amare i fratelli come li ha amati lui, cioe` sino
alla intiera immolazione; raccomanda la fede viva, una piena
confidenza nella preghiera fatta in suo nome; l'amor di Dio che si
manifesti nell'osservanza dei precetti; la pace dell'anima per
accogliere e gustare gl'insegnamenti dello Spirito Santo; l'intima e
abituale unione con lui, condizione essenziale di santificazione e
d'apostolato; la pazienza in mezzo alle persecuzioni del mondo che
odiera` loro come odio` il Maestro; la docilita` allo Spirito Santo che
verra` a consolarli nelle tribolazioni; la fermezza nella fede e il
ricorso alla preghiera in mezzo alle prove: in una parola le
essenziali condizioni di quella che oggi chiamiamo vita interiore o
vita perfetta. E termina con quella preghiera sacerdotale, piena di
tanta tenerezza, con cui domanda al Padre di custodire i suoi
discepoli come li custodi` lui nella sua vita mortale; di preservarli
dal male in mezzo a quel mondo che devono evangelizzare e di
santificarli in tutta verita`. Questa preghiera ei la fa non solo per
gli Apostoli, ma anche per tutti coloro che crederanno in lui,
affinche` siano sempre uniti coi vincoli della fraterna carita` come
unite sono le tre divine persone, che siano tutti uniti a Dio e tutti
uniti a Cristo "affinche` l'amore con cui tu amasti me sia in loro e io
in essi".

Non e` questo in intiero programma di perfezione, anticipatamente
tracciatoci dal Sommo Sacerdote, di cui siamo i rappresentanti sulla
terra? E non e` cosa consolante il sapere che prego` perche` potessimo
attuarlo?

384. 2^ S. Paolo quindi s'ispira a quest'insegnamento di Gesu` quando
a sua volta descrive le virtu` apostoliche. Dopo aver notato che i
sacerdoti sono i dispensatori dei misteri di Dio, i suoi ministri, gli
ambasciatori di Cristo, i mediatori tra Dio e gli uomini, enumera
nelle Epistole Pastorali le virtu` di cui devono essere ornati i
diaconi, i presbiteri e i vescovi. Non basta che abbiano ricevuto la
grazia dell'ordinazione, ma devono risuscitarla, farla rivivere, per
tema che diminuisca; "Admoneo te ut resuscites gratiam quae est in te
per impositionem manuun mearum" 384-1. I diaconi devono essere
casti e pudici, sobri, disinteressati, prudenti e leali, esperti nel
governare la loro casa con prudenza e dignita`. Piu` perfetti ancora
devono essere i presbiteri e i vescovi 384-2: la loro vita
dev'essere talmente pura da riuscire irreprensibili; devono quindi
attentamente combattere l'orgoglio, la collera, l'intemperanza, la
cupidigia, e coltivare le virtu` morali e teologali, l'umilta`, la
sobrieta`, la continenza, la santita`, la bonta`, l'ospitalita`, la
pazienza, la dolcezza, e massime la pieta` che giova a tutto, la fede e
la carita` 384-3. Bisogna anzi dar l'esempio di queste virtu` e
praticarle quindi in alto grado: "In omnibus teipsum praebe exemplum
bonorum operum" 384-4. Tutte queste virtu` suppongono nello stesso
tempo il possesso di un certo grado di perfezione e lo sforzo generoso
e costante verso la perfezione.
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17/10/2013 11:17
 
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II. L'autorita` del Pontificale.

385. Sarebbe facile dimostrare che i Padri, commentando il Vangelo e
le Epistole, svolsero e determinarono questi insegnamenti; potremmo
anzi aggiungere che scrissero Lettere e Trattati intieri sulla dignita`
e santita` del sacerdozio 385-1. Ma, per non dilungarci di troppo,
staremo paghi a citare l'autorita` del Pontificale che e` come il Codice
sacerdotale della Nuova legge e contiene il compendio di cio` che la
Chiesa Cattolica vuole dai suoi ministri. Questa semplice esposizione
mostrera` quale alto grado di perfezione si richiede dagli Ordinandi e
a piu` forte ragione dai sacerdoti che esercitano il
ministero 385-2.

386. 1^ Dal giovane tonsurato la Chiesa richiede il totale distacco
da tutto cio` che e` di ostacolo all'amor di Dio, e l'intima unione con
Nostro Signore, per combattere le inclinazioni dell'uomo vecchio e
rivestirsi delle disposizioni dell'uomo nuovo. Il Dominus pars, che
deve recitare ogni giorno, gli rammenta che Dio e Dio solo e` la sua
porzione e la sua eredita` e che tutto cio` che non si riferisce a Dio
dev'essere calpestato. L'Induat me gli dice che la vita e` un
combattimento, una lotta contro le inclinazioni della guasta natura,
uno sforzo per coltivare le virtu` soprannaturali piantateci nell'anima
nel giorno del battesimo. Gli viene cosi` proposto fin da principio
come scopo l'amor di Dio, come mezzo il sacrificio, com l'obbligo di
perfezionare queste due disposizioni per potersi avanzare nel
chiericato.

387. 2^ Con gli Ordini Minori, il chierico riceve un doppio potere,
uno sul corpo eucaristico di Gesu`, l'altro sul suo corpo mistico, cioe`
sulle anime; e da lui si richiede, oltre il distacco, un doppio amore,
l'amore del Dio del tabernacolo, e l'amor delle anime, che suppongono
entrambi il sacrificio.

Quindi, come ostiario, si distacca dalle occupazioni domestiche per
diventare il custode ufficiale della casa di Dio e per invigilare
sulla decenza del luogo santo e delle sacre suppellettili. Lettore, si
distacca dagli studi profani per darsi alla lettura dei Libri santi da
cui attingere quella dottrina che l'aiutera` a santificare se` e gli
altri. Esorcista, si distacca dal peccato e dai suoi residui per
sottrarsi piu` sicuramente al dominio del demonio. Accolito, si
distacca dai piaceri sensuali per praticare gia` quella purita` che e`
richiesta dal servizio degli altari. Si rinvigorisce nello stesso
tempo il suo amore per Dio: ama il Dio del tabernacolo di cui e` il
custode, ama il Verbo nascosto sotto la corteccia della lettura nella
Sacra Scrittura, ama Colui che impera agli spiriti malvagi, ama Colui
che s'immola sugli altari. E quest'amore fiorisce in zelo: ama le
anime che gode di portare a Dio con la parola e con l'esempio, di
edificare con le virtu`, di purificare con gli esorcismi, di
santificare con la parte che prende nel Santo Scarifizio. S'avanza
cosi` a poco a poco verso la perfezione.

388. 3^ Il suddiacono, consacrandosi definitivamente a Dio, s'immola
per suo amore, preludendo cosi`, come gia` fece la SS. Vergine, a quel
piu` nobile sacrifizio che offrira` piu` tardi al Santo Altare: praeludit
meliori quam mox offeret hostiam. Immola il corpo col voto di
continenza, l'anima con l'obbligo di recitare ogni giorno la pubblica
preghiera. La continenza suppone la mortificazione dei sensi interni
ed esterni, della mente e del cuore, la recita dell'ufficio richiede
lo spirito di raccoglimento e di preghiera, lo sforzo perseverante per
vivere unito a Dio. L'uno e l'altro dovere non si puo` fedelmente
adempiere senza un ardente amore a Dio, che solo gli puo` proteggere il
cuore contro le lusinghe dell'amor sensibile e aprirgli l'anima alla
preghiera col raccoglimento interno. Sacrifizio ed amore richiede
dunque per sempre la Chiesa dal suddiacono. Sacrificio piu` profondo di
quello praticato fin allora, perche` la pratica della continenza per
tutta la vita esige in certi giorni sforzi eroici e abitualmente poi
un assiduo spirito di vigilanza, d'umile diffidenza di se` e di
mortificazione; sacrificio irrevocabile: "Quod si hunc Ordinem
susceperitis, amplius non licebit a proposito resilire, sed Deo, cui
servire regnare est, perpetuo famulari". E perche` questo sacrificio
sia possibile e durevole, bisogna mettervi di molta carita`: soltanto
l'intenso amore di Dio e delle anime puo` preservare dall'amore
profano, puo` far gustare le dolcezze dell'assidua preghiera,
rivolgendo i pensieri e gli affetti verso Colui che solo puo`
appagarli. Quindi il Pontefice invoca su di lui i doni dello Spirito
Santo perche` possa adempire gli austeri doveri che gli sono imposti.

389. 4^ Dai diaconi, che diventano i cooperatori del sacerdote
nell'offerta del S. Sacrifizio, "comministri et cooperatores estis
corporis et sanguinis Domini", il Pontificale richiede una purita`
ancor piu` perfetta: "Estote nitidi, mundi, puri, casti". E avendo essi
il diritto di predicare il Vangelo, si vuol da loro che lo predichino
piu` con l'esempio che con la bocca: "curate ut quibus Evangelium ore
annuntiatis, vivis operibus exponatis". La loro vita deve quindi
essere una traduzione vivente del Vangelo, e percio` una costante
imitazione di Nostro Signore. Onde il Pontefice, pregando perche` lo
Spirito Santo discenda sopra di loro con tutti i suoi doni,
specialmente con quello della fortezza, rivolge a Dio questa bella
preghiera: "Abundet in eis totius forma virtutis, auctoritas modesta,
pudor constans, innocentiae puritas, et spiritualis observantia
disciplinae". Non e` questo un chiedere per loro la pratica delle virtu`
che conducono alla santita`? Infatti nella preghiera finale il vescovo
domanda che siano ornati di tutte le virtu` "virtutibus universis...
instructi".

390. 5^ Eppure esige ancora qualche cosa di piu` dal sacerdote.
Offrendo il santo sacrifizio della messa, e` necessario che il
sacerdote sia insieme vittima e sacrificatore; e lo sara` immolando le
sue passioni: "Agnoscite quod agitis; imitamini quod tractatis;
quatenus mortis dominicae mysterium celebrantes, mortificare membra
vestra a vitiis et concupiscentiis omnibus procuretis"; lo sara`
rinnovando continuamente in se` lo spirito di santita`: "innova in
visceribus eorum spiritum sanctitatis". A tal fine meditera` giorno e
notte la legge di Dio, per insegnarla agli altri e praticarla egli
stesso e dare cosi` l'esempio di tutte le cristiane virtu`; ut in lege
tua die ac nocte meditantes, quod legerint, credant; quod crediderint,
doceant; quod docuerint, imitentur; justitiam, constantiam,
misericordiam, fortitudinem, ceterasque virtutes in se ostendant". E
dovendosi pure spendere per le anime, pratichera` la carita` fraterna
sotto forma di dedizione: "accipe vestem sacerdotalem per quam caritas
intelligitur"; come S. Paolo, si spendera` intieramente per le anime:
"omnia impendam et superimpendar ipse pro animabus vestris" 390-1.
Il che del resto deriva pure dagli uffici sacerdotali che ora
esporremo.

391. Cosi` dunque ad ogni nuova tappa verso il sacerdozio, il
Pontificale richiede sempre maggior virtu`, maggior amore, maggior
sacrificio; giunto poi al sacerdozio, vuole senz'altro la santita`,
come dice S. Tommaso 391-1, affinche` il sacerdote possa offrir
degnamente il santo sacrificio e santificare le anime che gli sono
affidate. L'Ordinando e` libero di andare avanti o no; ma se riceve gli
ordini, e` chiaro che accetta le condizioni cosi` esplicitamente fissate
dal Pontefice, vale a dire l'obbligo di tendere alla perfezione,
obbligo che non solo non viene diminuito dall'esercizio del santo
ministero ma diventa anzi piu` urgente come dimostreremo.

III. La natura degli uffici sacerdotali esige la santita`.

392. Secondo l'affermazione dell'Apostolo S. Paolo, il sacerdote e`
mediatore tra l'uomo e Dio, tra la terra e il cielo: scelto di tra gli
uomini per esserne il rappresentante, dev'essere gradito a Dio,
chiamato da Lui, per avere il diritto di comparirgli innanzi, di
offrirgli gli ossequi degli uomini e ottenerne benefici: "Omnis namque
Pontifex, ex hominibus assumptus, pro hominibus constituitur in iis
quae sunt ad Deum, ut offerat dona et sacrificia pro peccatis... Nec
quisquam sumit sibi honorem, sed qui vocatur a Deo tanquam
Aaron" 392-1. I suoi uffici si possono ridurre a due principali: e`
il Religioso di Dio 392-2, incaricato di glorificarlo a nome
dell'intiero popolo cristiano; e` un salvatore, un santificatore
d'anime, che ha la missione di collaborare con Gesu` Cristo alla loro
santificazione e salute. Per questa doppia ragione dev'essere un
santo 392-3, e quindi tendere incessantemente alla perfezione,
perche` non potra` mai conseguir perfettamente quella pienezza di
santita` che e` richiesta dai suoi uffici.

1^ IL SACERDOTE RELIGIOSO DI DIO, DEV'ESSERE SANTO.

393. In virtu` della sua missione, il sacerdote deve glorificar Dio
in nome di tutte le creature e piu` specialmente del popolo cristiano.
E` dunque veramente, in virtu` del sacerdozio quale fu istituito da
Nostro Signore, il religioso di Dio "pro hominibus constituitur in iis
quae sunt ad Deum, ut offerat dona et sacrificia". Questo dovere egli
adempie principalmente col santo sacrifizio della messa e con la
recita del Divino Officio; ma tutte le sue azioni, anche le piu`
comuni, possono contribuirvi, come gia` abbiamo detto, se sono fatte
per piacere a Dio. Or questa missione non puo` essere adempita che da
un prete santo o almeno disposto a diventarlo.

394. A) Quale santita` si richiede pel Santo Sacrificio? i sacerdoti
dell'Antica Legge che volevano accostarsi a Dio, dovevano essere santi
(si tratta principalmente di santita` legale) sotto pena di venir
puniti: "Sacerdotes, qui accedunt ad Dominum, sanctificentur, ne
percutiat eos" 394-1. Santi dovevano essere per poter offrire
l'incenso e i pani destinati all'altare: "Incensum enim Domini et
panes Dei sui offerunt, et ideo sancti erunt" 394-2.

Or quanto piu` santi, di interna santita`, non devono essere coloro che
offrono non piu` ombre e figure ma il sacrificio per eccellenza, la
vittima infinitamente santa? Tutto e` santo in questo divino
sacrifizio: santi la vittima e il sacerdote principale, che altri non
e` che Gesu`, il quale, come dice S. Paolo, "e` santo, innocente,
immacolato, segregato dai peccatori, elevato al di sopra dei cieli:
Talis decebat ut nobis esset pontifex, sanctus, innocens, impollutus,
segregatus a peccatoribus et excelsior caelis factus" 394-3; santa
la Chiesa, in cui nome il sacerdote offre la santa mess, santificata
da Cristo, a prezzo del suo sangue "seipsum tradidit pro ea^ ut illam
sanctificaret... ut sit sancta et immaculata" 394-4; santo il
fine, che e` di glorificare Dio e di produrre nelle anime frutti di
santita`; sante le preghiere e le cerimonie, che richiamano il
sacrifizio del Calvario e gli effetti di santita` da lui meritati;
santa specialmente la comunione, che ci unisce alla fonte di ogni
santita`. -- Non e` dunque necessario che il sacerdote, il quale, come
rappresentante di Gesu` Cristo e della Chiesa, offre questo augusto
sacrifizio, sia egli pure rivestito di santita`? Come potrebbe
rappresentar degnamente Gesu` Cristo, cosi` da essere alter Christus, se
mediocre ne fosse la vita e senza aspirazioni alla perfezione? Come
potrebbe essere ministro della Chiesa immacolata, se l'anima sua,
attaccata al peccato veniale, non si desse pensiero di spirituale
progresso? Come potrebbe glorificar Dio, se il suo cuore fosse vuoto
d'amore e di sacrificio? Come potrebbe santificar le anime, se non
avesse egli stesso sincero desiderio di santificarsi?

395. Come oserebbe salire il santo altare e recitare le preghiere
della messa, che spirano i piu` puri sentimenti di penitenza, di fede,
di religione, di amore, d'abnegazione, se l'anima sua ne fosse aliena?
Come potrebbe offrirsi con la vittima divina "in spiritu humilitatis,
et in animo contrito suscipiamur a te, Domine" 395-1, se questi
sentimenti fossero in contraddizione con la sua vita? Con che coraggio
chiedere di partecipare alla divinita` di Gesu` "ejus divinitatis esse
consortes", se la nostra vita e` tutta umana? Come ripetere quella
protesta d'innocenza: "Ego autem in innocentia mea ingressus sum", se
non si fa sforzo alcuno per scuotere la polvere di mille peccati
veniali deliberati? Con che animo recitare il Sanctus, in cui si
proclama la santita` di Dio, e consacrare identificandosi con Gesu`,
autore d'ogni santita`, se non c'e` studio di santificarsi con lui e per
lui? Come recitare il Pater senza rammentare che dobbiamo essere
perfetti come il Padre celeste? E l'Agnus Dei, senza avere un cuore
contrito ed umiliato? E le belle preghiere preparatorie alla
comunione: "Fac me tuis semper inhaerere mandatis et a te numquam
separari permittas", se il cuore e` lontano da Dio, lontano da Gesu`? E
come sumere ogni giorno il Dio di ogni santita`, senza il desiderio
sincero di partecipare a questa santita`, di avvicinarvisi almeno ogni
giorni con progressivo sforzo? Non sarebbe questa un'aperta
contraddizione, una mancanza di lealta`, una provocazione, un abuso
della grazia, un'infedelta` alla propria vocazione? Si mediti dunque e
si applichi a se stesso tutto il Capitolo V del 4^ Libro
dell'Imitazione: DE DIGNITATE SACRAMENTI ET STATU SACERDOTALI: "Si
haberes angelicam puritatem et S. J. Baptistae sanctitatem, non esses
dignus hoc sacramentum accipere nec tractare... Non alleviasti onus
tuum, sed arctiori jam alligatus es vinculo disciplinae, et ad majorem
teneris perfectionem sanctitatis".

396. B) Quanto abbiamo detto della santa messa puo` applicarsi, in un
certo senso, alla recita del divino Ufficio. In nome della Chiesa, in
unione con Gesu` il grande religioso di Dio, e per l'intiero popolo
cristiano, compariamo sette volte al giorno davanti a Dio, per
adorarlo, ringraziarlo, e ottenerne le numerose grazie di cui le anime
hanno bisogno. Se preghiamo con la punta delle labbra e non col cuore,
non meriteremo forse il rimprovero che Dio fa ai Giudei: "Questo
popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore e` lontano da me:
populus hic labiis me honorat, cor autem eorum longe est a
me" 396-1? E le grazie che, allo stesso modo, sollecitiamo dalla
divina misericordia, ci saranno forse copiosamente largite?

397. Cosi` pure, per trasformare le nostre azioni ordinarie in
vittime accette a Dio, non occorre forse compirle con le gia` indicate
disposizioni d'amore e di sacrificio? (n. 309). -- Da qualunque
lato si consideri la cosa, sorge sempre la stessa conclusione: come
Religioso di Dio, il sacerdote deve mirare alla santita`. Cio` che e`
pure necessario se vuole salvar le anime.
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17/10/2013 11:17
 
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2^ IL SACERDOTE NON PUO` SALVAR LE ANIME SENZA MIRARE ALLA
SANTITA` 398-1.

398. A) Santificare e salvare le anime, tal e` il dovere del proprio
stato per un sacerdote. Quando Gesu` sceglie gli apostoli, li sceglie
per farne pescatori d'uomini "faciam vos fieri piscatores
hominum" 398-2; perche` producano in se` e negli altri copiosi
frutti di salute: "Non vos me elegistis, sed ego elegi vos ut eatis et
fructum afferatis et fructus vester maneat" 398-3. A questo fine
devono predicare il Vangelo, amministrare i sacramenti, dar buon
esempio e pregar con fervore.

Ora e` di fede che cio` che converte e santifica le anime e` la grazia di
Dio; noi non siamo che strumenti di cui Dio si degna servirsi ma che
non producono frutto se non in proporzione della loro unione colla
causa principale, instrumentum Deo conjunctum. Tal e` la dottrina di
S. Paolo: "Io piantai, Apollo irrigo`, ma Dio fece crescere. Quindi ne`
chi pianta e` qualchecosa, ne` chi irriga, ma chi fa crescere, Dio: Ego
plantavi, Apollo rigavit, sed Deus incrementum dedit; itaque neque qui
plantat est aliquid neque qui rigat; sed qui incrementum dat,
Deus" 398-4. D'altra parte e` certo che questa grazia s'ottiene
principalmente con due mezzi, con la preghiera e col merito. Nell'uno
e nell'altro caso noi otteniamo tanto maggiori grazie quanto piu` siamo
santi, piu` ferventi, piu` uniti a Nostro Signore (n. 237). Se
dunque il dovere del nostro stato e` di santificar le anime, vuol dire
che dobbiamo prima santificar noi stessi: "Pro eis ego sanctifico
meipsum ut sint et ipsi sanctificati in veritate" 398-5.

399. B) Arriviamo del resto alla stessa conclusione, facendo passare
i principali mezzi di zelo, cioe` la parola, l'azione, l'esempio e la
preghiera.

a) La parola non produce salutari effetti se non quando parliamo in
nome e nella virtu` di Dio, "tamquam Deo exhortante per nos" 399-1.
Cosi` fa il sacerdote fervoroso: prima di parlare, prega affinche` la
grazia avvivi la sua parola; parlando, non mira a piacere ma a
istruire, a far del bene, a convincere, a persuadere; e perche` il suo
cuore e` intimamente unito a quello di Gesu`, fa vibrar nella voce
un'emozione, una forza di persuasione, che scuote gli uditori; e
perche`, dimenticando se` stesso, attira lo Spirito Santo, le anime
restano tocche dalla grazia e convertite o santificate. Un sacerdote
mediocre invece non prega che a fior di labbra, e perche` cerca se`
stesso, per quanto si venga sbracciando, non e` spesso che un bronzo
sonoro o un cembalo fragoroso, "aes sonans aut cymbalum
tinniens" 399-2.

400. b) Il buon esempio non puo` essere dato che da un sacerdote
sollecito del suo progresso spirituale. Allora puo` con tutta fiducia
invitare, come S. Paolo, i fedeli a imitar lui come egli si studia
d'imitar Cristo: "Imitatores mei estote sicut et ego
Christi" 400-1. Vedendone la pieta`, la bonta`, la poverta`, la
mortificazione, i fedeli dicono: e` un sacerdote convinto, un Santo; lo
rispettano e si sentono tratti ad imitarlo: verba movent, exempla
trahunt. Un sacerdote mediocre potra` essere stimato come un brav'uomo;
ma si dira`: fa il suo mestiere come noi facciamo il nostro; e il
ministero ne sara` poco o punto fruttuoso.

401. c) Quanto alla preghiera, che e` e sara` sempre il piu` efficace
mezzo dello zelo, qual differenza tra il sacerdote santo e il
sacerdote ordinario? Il primo prega abitualmente, costantemente,
perche` le sue azioni, fatte per Dio, sono in sostanza una preghiera;
non fa nulla, ne` da` consiglio, senza riconoscere la propria incapacita`
e pregar Dio di supplirvi con la sua grazia. Dio copiosamente gliela
concede "humilibus autem dat gratiam" 401-1, e il suo ministero e`
fruttuoso. Il sacerdote ordinario prega poco e prega male; quindi
anche il ministero ne e` sterile.

Chi dunque vuol efficacemente lavorare alla salute delle anime, deve
sforzarsi di quotidianamente progredire: la santita` e` l'anima
dell'apostolato.
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17/10/2013 11:18
 
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CONCLUSIONE.

402. Da tutti questi documenti risulta che il sacerdote deve, prima
d'entrare nel sacerdozio, avere acquistato un certo grado di santita`,
e che, divenuto sacerdote, deve continuare a progredire verso
perfezione sempre maggiore.

1^ Per entrare nel sacerdozio, bisogna aver gia` acquistato un certo
grado di perfezione. E` quanto si ricava da tutti i testi del
Pontificale da noi citati. Infatti si richiede gia` dal tonsurato il
distacco dal mondo e da se` stesso per attaccarsi a Dio e a Gesu`
Cristo; e se la Chiesa prescrive degli interstizi tra i vari ordini, e`
perche` il giovane chierico abbia il tempo d'acquistare a mano a mano
le varie virtu` che corrispondono a ognun di essi. Lo dice chiaramente
il Pontificale: 402-1 "Atque ita de gradu in gradum ascendant, ut
in eis, cum aetate, vitae meritum et doctrina major accrescat". Ecco
perche` si vuole da lui una virtu` provata "quorum probata virtus
senectus sit" 402-2. Or questa virtu` provata non si acquista che
con la assidua pratica dei doveri del proprio stato, delle virtu` che
il Pontefice viene premurosamente indicando all'Ordinando in ogni
ordine che gli conferisce. Dev'essere virtu` talmente solida da
rassomigliare a quella dei vecchi (senectus sit), i quali con lunghi e
penosi sforzi hanno acquistato la maturita` e la costanza propria della
loro eta`.

403. Non e` dunque una virtu` quale che sia, dice
S. Tommaso 403-1, quella che e` richiesta per l'esercizio del
ministero ecclesiastico, ma virtu` eccellente: "Ad idoneam executionem
ordinum non sufficit bonitas qualiscumque, sed requiritur bonitas
excellens". Abbiamo visto infatti che il Pontificale esige dagli
Ordinandi la pratica d'una fede robusta ed operosa, d'una grande
confidenza in Dio, d'un'amor di Dio e del prossimo che giunga fino al
sacrifizio, senza parlare delle virtu` morali della prudenza, della
giustizia, della religione, dell'umilta`, delle temperanza, della
fortezza, della costanza; le quali virtu` devono pur essere praticate
in alto grado, poiche` il Pontefice invoca sopra gli ordinandi i doni
dello Spirito Santo, che, compiendo le virtu`, ce lo fanno praticare in
tutta la loro perfezione. Non basta quindi essere uno di quegli
incipienti che sono ancora esposti a ricadere in colpe gravi; ma e`
necessario, purificata l'anima dalle colpe e dagli attacchi, essersi
rassodati nelle virtu` che costituiscono la via illuminativa e tendere
a sempre piu` intima unione con Dio.

404. 2^ Fatti sacerdoti, non e` il momento di fermersi ma anzi di
progredire ogni giorno di virtu` in virtu`, come nota
l'Imitazione: 404-1 "Non alleviasti onus tuum, sed arctiori jam
alligatus es vinculo disciplinae, et ad majorem teneris perfectionem
sanctitatis: il vostro carico non si e` alleggerito ma siete invece
legati da piu` strette obbligazioni e tenuti a maggiore santita`. Il
sacerdote dev'essere ornato di tutte le virtu` e deve dare agli altri
l'esempio d'una vita pura". Oltre che il non progredire e` retrocedere
(n. 358-359), vi e`, come abbiamo dimostrato parlando del ministero
sacerdotale (n. 392 ss.), tale obbligo di conformarsi a Gesu`
Cristo e di edificare il prossimo, che, nonostante tutti i nostri
sforzi, restiamo sempre al di sotto dell'ideale tracciato dal Vangelo
e dal Pontificale. Dobbiamo quindi quotidianamente pensare che ci
rimane ancora molto da fare per conseguirlo: "Grandis enim tibi restat
via" 404-2.

405. D'altra parte noi viviamo in mezzo al mondo e ai suoi pericoli,
mentre i religiosi sono protetti dalle regole e da tutti i vantaggi
della vita di comunita`. Se dunque essi sono obbligati a tendere
incessantemente alla perfezione, non lo saremo anche noi e piu` di
loro? E se noi non abbiamo, per proteggere la nostra virtu`, gli
esterni baluardi che difendono la loro, non dobbiamo forse supplirvi
con una maggior forza interiore, che non puo` evidentemente acquistarsi
che con sforzi spesso rinnovati verso una vita migliore? Il mondo con
cui siamo obbligati a trattare tende continuamente ad abbassare il
nostro ideale; e` quindi necessario costantemente rialzarlo con un
ritorno frequente allo spirito sacerdotale.

Questo progresso e` dovere tanto piu` urgente in quanto che dal nostro
grado di santita` dipende la salute e la santificazione delle anima che
ci sono affidate: secondo le leggi ordinarie della provvidenza
soprannaturale, un sacerdote fa tanto maggior bene quanto piu` e` santo,
come abbiamo dimostrato, (n. 398 ss.). Potrebbe dunque essere
conforme alla nostra missione di santificatori di anime, il fermarci a
mezzo o anche al principio della via della perfezione, mentre tante
anime in pericolo di perdersi ci gridano da tutte le parti di correre
in loro aiuto "transiens... adjuva nos?" 405-1. E` chiaro che a
questo grido di soccorso non vi e` che una sola risposta degna d'un
sacerdote, quella di Nostro Signore stesso: "Io mi santifico e mi
sacrifico perch'essi siano santificati in tutta verita`" 405-2.

406. Non esamineremo qui la questione se il sacerdote, obbligato a
maggior perfezione interiore del semplice religioso, sia nello stato
di perfezione. E` questa, a dir vero, una questione di Diritto
canonico, che viene comunemente risolta negativamente, perche` il
sacerdote, anche se pastore di anime, non ha quella stabilita` che e`
canonicamente richiesta dallo stato di perfezione.

Il sacerdote poi che e` nello stesso tempo religioso, ha, com'e` chiaro,
tutti gli obblighi del sacerdozio, e per di piu` quelli dei voti, e
trova nella regola piu` copiosi aiuti per essere santo. Ma non deve
dimenticare che il suo sacerdozio l'obbliga a perfezione maggiore di
quella dello stato religioso.

Cosi` il clero secolare e il clero regolare, senza ombra di gelosia, si
stimeranno e si aiuteranno a vicenda, non avendo che un solo e
medesimo scopo, di glorificar Dio guadagnandogli quante piu` anime e`
possibile, e giovandosi delle virtu` e dei buoni successi che noteranno
nei confratelli per eccitarsi a nobile emulazione: "Consideremus
invicem in provocationem caritatis et bonorum operum" 406-1.
_________________________________________________________________

352-1 Alvarez de Paz., op. cit., l. IV-V; Le Gaudier, P. III,
sez. I, c. VII, X; Scaramelli, Direttorio ascetico, Tr. I, art. II;
Ribet, Asce'tique, c. VII-IX; Ighina, op. cit., Introd., XX-XXX.

355-1 Matth., V, 48.

355-2 Luc., XIV, 26, 27; cfr. Matth., X, 37, 38.

355-3 Luc., XIII, 24; cfr. Matth., VII, 13,14.

356-1 Ephes., I, 4.

356-2 Ephes., IV, 10-16. Tutto il passo e` da leggersi.

356-3 I Petr., I, 15.

356-4 Apoc., XXII, 11.

357-1 Matth., XXIV, 41.

357-2 Ephes., VI, 14-17.

358-1 Sermo CLXIX, n. 18.

358-2 Epist. CCLIV ad abbatem Suarinum, n. 4.

358-3 Epist. XCI ad abbates Suessione congregatos. n. 3.

358-4 "Nec vero quisquam putet ad paucos quosdam lectissimos id
pertinere, ceterisque in inferiore quodam virtutis gradu licere
consistere. Tenentur enim hac lege omnes, nullo excepto," (A. A. S.,
XV, 50).

359-1 Tal e` l'insegnamento comune dei teologi, dal Suarez cosi`
compendiato nel De Religione, t. IV, l. I, c. 4, n. 12: "Vix potest
moraliter contingere ut homo etiam saecularis habeat firmum propositum
nunquam peccandi mortaliter, quin consequenter nonnulla opera
supererogationis faciat et habeat formale vel virtuale propositum illa
faciendi."

363-1 II Cor., IV, 17.

364-1 I Tim., IV, 8.

366-1 Matth., VII, 20.

367-1 Codex, can. 487-672; S. Tommaso, IIa. IIae, q. 24, a. 9;
q. 183, a. 1-4; q. 184-186; Suarez, De Religione, tr. VII; S. Alfonso,
l. IV, n. 1 sq.; S. Fr di Sales, I veri trattenimenti spirituali;
Vermeersch, De religiosis; Valuy, Les vertus religieuses; Gautrelet,
Traite' de l'e'tat religieux; Mons. Gay, De la vie et des vertus
chre'tiennes,
Tr. II; J. P. Mothon, Traite' sur l'e'tat religieux, 1923.

367-2 Canone 487.

367-3 Canone 593.

367-4 "Peccat mortaliter religiosus qui firmiter statuit non
tendere ad perfectionem, vel nullo modo de ea^ curare" (Theol. moralis,
l. IV, n. 18).

367-5 "Unde non oportet quod quicumque est in religione, jam sit
perfectus, sed quod ad perfectionem tendat." Sum. theol., IIa. IIae,
q. 186, a. 1, ad 3.

370-1 I Cor., VII, 32-33.

371-1 Valuy, Les Vertus religieuses, 19a. ediz. riveduta da
Vulliez-Sermet, p. 106. Per esser valido in foro esterno, il precetto
dev'essere intimato in scritto o davanti a due testimoni (Cod.,
can. 24).

375-1 Sum. theol., IIa. IIae, q. 18, a. 9, ad 1 et 3.

376-1 Communis est theologorum sententia praelatum graviter
peccare, si culpas veniales et transgressiones sanctae regulae, alioquin
forte sub peccato non obligantis, corrigere negligat, quia ait Lugo
(De just. et jure, disp. 9, sect. 3, n. 21): per hujusmodi defectus
toleratos observantia regularis maxime labefactatur. Cujus exempla
affert in transgressione silentii, lectionis, ingressus in aliorum
cellas, etc." Schram, Instit. Theol. myscticae, sez. 665, Scholion.

376-2 Galat., VI, 16.

377-1 Oltre gli autori citati, cfr. Arvisenet, Memoriale vitae
sacerdotalis; Molina Certisono, L'instruction des pre^tres, 2a. Traite';
J.-J. Olier, Traite' des SS. Ordres;
Tronson, Esami particolari; Dubois, Il santo Prete; Caussette, Manre`se
du Pre^tre; Gibbons, L'Ambasciatore di Cristo (Marietti, Torino);
Giraud, Pre^tre et hostie;
Manning, L'eterno Sacerdozio; Lelong, Le Pre^tre; Card. Mercier, La
Vita interiore (Vita e Pensiero, Milano).

377-2 Sum. theol., IIa. IIae, q. 84, a. 8.

377-3 Sess. XXII. de Reform. c. 1.

377-4 Enciclica Quod multum, 22 agosto 1886; Lettera enc. Depuis
le jour, 8 sett. 1899.

377-5 Exhortatio ad clerum catholicum, 4 agosto 1908. Tutta la
lettera e` da leggersi.

378-1 Can. 124-127.

379-1 Luc., II, 52.

379-2 Luc., II, 51.

379-3 Atti, I, 1.

379-4 Matth., XI, 29.

379-5 Joan., XVII, 19.

379-6 II Cor., V, 20.

381-1 Matth., V, 13-14.

381-2 Matth., V, 16.

382-1 Delbrel, S. J., Je'sus, e'ducateur des Apo^tres, c. IV-VI.

382-2 Matth., X, XI; Luc., IX, X, etc.

383-1 Joan., XIV-XVII.

384-1 II Tim., I, 6; II Tim., III, 8-9.

384-2 Tit. I, 7-9: "Oportet enim episcopum sine crimine esse,
sicut Dei dispensatorem: non superbum, non iracundum, non vinolentum,
non percussorem, non turpis lucri cupidum; sed hospitalem, benignum,
sobrium, justum, sanctum, continentem, amplectentem eum qui secundum
doctrinam est, fidelem sermonem, ut potens sit exhortari in doctrina^."

384-3 I Tim., VI, 11. "Sectare vero justitiam, pietatem, fidem,
caritatem, patientiam, mansuetudinem."

384-4 Tit., II, 7.

385-1 La maggior parte di questi trattati furono raccolti in
un'opera intitolata Le Pre^tre d'apre`s les Pe`res, dal Raynaud, 12 in
8^, Parigi, 1843. Si vedano pure numerosi testi nel libro di
L. Tronson, "Forma cleri".

385-2 Per la spiegazione del Pontificale, cfr. J.-J. Olier,
op. cit.; Bacuez, Istruzioni e Meditazioni ad uso degli
Ordinandi; Giraud, op. cit., t. II; Gontier, Explication du
Pontifical.

390-1 II Cor., XXI, 15.

391-1 "Ad idoneam executionem ordinum non sufficit bonitas
qualiscumque, sed requiritur bonitas excellens; ut sicut illi qui
ordinem suscipiunt, super plebem constituuntur gradu ordinis, ita et
superiores sint merito sanctitatis", (S. Thomas, Suppl., q. 35, a. 1,
ad 3.)

392-1 Hebr., V, 1-4.

392-2 Non intendiamo dire che sia religioso come quelli che
entrano in un Ordine e fanno i tre voti, ma nel senso che e`
ufficialmente incaricato di rendere a Dio i doveri di religione.

392-3 Lo dice pure S. Tommaso, (IV Sent., dist. 24, q. 2): "Qui
divinis mysteriis applicantur regiam dignitatem assequuntur et
perfecti in virtute esse debent".

394-1 Exod., XIX, 22.

394-2 Levit., XXI, 6.

394-3 Hebr., VII, 26.

394-4 Ephes., V, 25-27.

395-1 Preghiera dell'Offertorio.

396-1 Matth., XV, 8; Isa., XXIX, 13.

398-1 Si legga a questo proposito l'ottimo libro di Dom Chautard,
L'anima dell'apostolato.

398-2 Matth., IV, 19.

398-3 Joan., XV, 16.

398-4 I Cor., III, 6-7.

398-5 Joan., XVII, 19.

399-1 II Cor., V, 20.

399-2 I Cor., XIII, 1.

400-1 I Cor., IV, 16.

401-1 Jac., IV, 6.

402-1 De ordinibus conferendis.

402-2 Loc. cit.

403-1 Supplem., q. 35, a. 1, ad 3.

404-1 Libro IV, c. 5.

404-2 III Reg., XIX, 7.

405-1 Act., XVI, 9.

405-2 Joan., XVII, 19.

406-1 Hebr., X, 54.
_________________________________________________________________
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CAPITOLO V.

Dei mezzi generali di perfezione.
_________________________________________________________________

407. Acquistata la profonda convinzione che dobbiamo tendere alla
perfezione, non ci resta che cercare e mettere in pratica i mezzi
capaci di farci conseguire un tale scopo. Si tratta qui dei mezzi
generali, comuni a tutte le anime che vogliono progredire, riserbando
alla seconda parte l'esposizione dei mezzi speciali che convengono ai
vari gradi della vita spirituale.

Questi mezzi sono interni od esterni: i primi sono disposizioni o atti
dell'anima stesa che a grado a grado la innalzano a Dio; i secondi,
oltre questi atti, abbracciano pure esterni soccorsi che aiutano
l'anima in questa ascensione. Sara` bene farne un'esposizione sommaria.

408. I. Tra i mezzi interni quattro meritano speciale attenzione: 1^
il desiderio della perfezione, che e` il primo passo in avanti e ci da`
lo slancio necessario per trionfar degli ostacoli.

2^ La conoscenza di Dio e di se` stesso: trattandosi di unir l'anima a
Dio, quanto meglio si conosceranno questi due termini tanto piu` facile
riuscira` l'accostarli insieme: noverim te, Domine, ut amen te, noverim
me ut despiciam me!

3^ La conformita` alla divina volonta`, che, assoggettando la nostra
volonta` a quella di Dio, e` il piu` autentico segno di amore e il mezzo
piu` efficace di unirci alla fonte di ogni perfezione: unum velle, unum
nolle.

4^ La preghiera, considerata nel suo piu` largo senso, come adorazione
e domanda, mentale o vocale, privata o pubblica, ascensio mentis in
Deum: per suo mezzo uniamo a Dio tutte le interne nostre facolta`,
memoria, fantasia, intelligenza, volonta`, e perfino i nostri atti
esterni in quanto sono l'espressione del nostro spirito di preghiera.

II. Anche i mezzi esterni possono ridursi a quattro principali:

1^ La direzione: Dio infatti come istitui` un'autorita` visibile per
governare esternamente la Chiesa, cosi` volle che le anime siano nel
foro [sic] interno dirette da una guida spirituale, sperimentata, che
possa far loro evitare gli scogli, stimolarne e dirigerne gli sforzi.

2^ Un regolamento di vita, che, approvato dal direttore, ne continua
l'azione nelle anime.

3^ Le conferenze, esortazioni o letture spirituali, che, bene scelte,
ci fanno conoscere la dottrina e gli esempi dei santi e ci traggono ad
imitarli.

4^ La santificazione delle relazioni sociali di parentela, di
amicizia, o di affari, che ci da modo di dirigere a Dio non solo i
nostri esercizi di pieta`, ma anche tutte le nostre azioni e
principalmente i doveri del nostro stato.
* Mezzi interni
+ Desiderio della perfezione.
+ Conoscenza di Dio e di se` stesso.
+ Conformita` alla divina volonta`.
+ Preghiera.
* Mezzi esterni
+ Direzione.
+ Regolamento di vita.
+ Letture e conferenze spirituali.
+ Santificazione delle relazioni sociali.

ART. I. DEI MEZZI INTERNI DI PERFEZIONE.

sez. I. Il desiderio della perfezione 409-1.

409. Il primo passo verso la perfezione e` quello di sinceramente,
ardentemente e costantemente desiderarla. A ben persuadercene,
studiamone:
* 1^ la natura;
* 2^ la necessita` ed efficacia;
* 3^ le qualita`;
* 4^ i mezzi di alimentarlo.

I. Natura di questo desiderio.

410. 1^ Il desiderio in generale e` un movimento dell'anima verso un
bene assente; differisce quindi dalla gioia, che e` la soddisfazione di
possedere un bene presente. Ve n'e` di due specie: il desiderio
sensibile, che e` uno slancio appassionato verso un bene sensibile
assente: il desiderio razionale, che e` un atto della volonta` che si
volge con ardore verso un bene spirituale. -- Questo desiderio
reagisce talora sulla sensibilita` e s'informa quindi di sentimento.
Nell'ordine soprannaturale i nostri buoni desideri subiscono
l'influsso della divina grazia, come piu` sopra abbiamo detto.

411. 2^ Il desiderio della perfezione si puo` quindi definire: un
atto della volonta` che, sotto l'influsso della grazia, aspira
continuamente al progresso spirituale. Quest'atto e` talora
accompagnato da emozioni, da pii sentimenti che intensificano il
desiderio 411-1; ma tale elemento non e` necessario.

412. 3^ Questo desiderio nasce dalla concorde azione della grazia e
della volonta`. Dio ci ama da tutta l'eternita` e brama quindi di unirsi
a noi: "Et in caritate perpetua dilexi te; ideo attraxi te,
miserans 412-1." Con instancabile amore ci cerca, ci insegue, come
se non potesse essere felice senza di noi. D'altra parte, quando
l'anima nostra, illuminata dalla fede, si ripiega su se` stessa, sente
un vuoto immenso che nulla puo` colmare: nulla tranne l'infinito,
tranne Dio: "Fecisti nos ad te, Deus, et inquietum est cor nostrum
donec requiescat in te" 412-2. Sospira quindi a Dio, all'amor
divino, alla perfezione, come il cervo sitibondo sospira la fonte
d'acqua viva: "Quemadmodum desiderat cervus ad fontes aquarum, ita
desiderat anima mea post te... Sitivit in te anima mea" 412-3... E
poiche` sulla terra questo desiderio non e` mai intieramente appagato,
restandoci sempre da progredire verso l'unione divina, ne segue che,
se non vi mettiamo ostacoli, andra` continuamente crescendo.

413. 4^ Sventuratamente molti ostacoli tendono a soffocarlo o almeno
a diminuirlo: e` la triplice concupiscenza, gia` da noi descritta (al
n. 193), e` l'orrore delle difficolta` da vincere e degli sforzi da
rinnovare per corrispondere alla grazia e progredire. E` quindi
necessario convincersi bene della sua necessita` e prendere i mezzi per
ravvivarlo.
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II. Sua necessita` ed efficacia.

414. 1^ Necessita`. Il desiderio e` il primo passo verso la
perfezione, la condizione sine qua non per arrivarci. Arduo e` il
cammino della perfezione, e suppone sforzi energici e costanti poiche`,
come dicemmo, non si puo` progredire nell'amor di Dio senza sacrifici,
senza lottare contro la triplice concupiscenza e contro la legge del
minimo sforzo. Ora uno non si avvia per cammino difficile e ripido se
non ha ardente desiderio di giungere alla meta; e, avviatosi, presto
l'abbandonerebbe se non fosse sorretto nello sforzo dallo slancio
dell'anima verso la perfezione.

A) Tutto quindi nella Sacra Scrittura tende a eccitare in noi questo
desiderio. Nel Vangelo come nelle Epistole e` una continua esortazione
alla perfezione. Come gia` dimostrammo parlando dell'obbligo di tendere
alla perfezione, i testi che provano questa necessita` hanno per iscopo
di stimolare in noi il desiderio del progresso. Se ci si da` come
ideale l'imitazione delle divine perfezioni e come modello lo stesso
Gesu`, se ce se ne narrano le virtu` e siamo sollecitati ad imitarlo,
non e` forse per eccitare in noi il desiderio della perfezione?

415. B) La Sacra Liturgia non procede altrimenti. Richiamando nel
corso dell'anno le varie fasi della vita di Nostro Signore, ci fa
esprimere i piu` ardenti desiderii: per la venuta del regno di Gesu`
nelle anime nel tempo d'Avvento; pel suo accrescimenti nei nostri
cuori da Natale all'Epifania; per gli esercizi di penitenza, come
preparazione alle grazie della Risurrezione, dalla Settuagesima a
Pasqua; per l'intima unione con Dio nel tempo pasquale; per i doni
dello Spirito Santo a partire dalla Pentecoste. Cosicche`, durante
tutto l'anno liturgico, non fa che stimolare in noi il desiderio di
progresso spirituale ora sotto una forma ora sotto un'altra.

416. C) L'esperienza che si acquista leggendo le vite dei Santi o
dirigendo le anime, ci mostra che, senza il desiderio della perfezione
frequentemente rinnovato, le anime non progrediscono nelle vie
spirituali. E` cio` che dice S. Teresa: 416-1 "E` cosa di grande
importanza che non rimpicciniamo i nostri desideri. Crediamo
fermamente che, con l'aiuto divino e per via di sforzi, potremo col
tempo acquistare anche noi cio` che tanti santi, aiutati da Dio,
riuscirono ad ottenere. Se non avessero messi adagio adagio in
pratica, non sarebbero mai saliti cosi` in alto... Oh! quanto importa
nella vita spirituale di animarsi a grandi cose!" La Santa stessa ne e`
notevole esempio: finche` non si risolvette a spezzare tutti i legami
che ne ritardavano lo slancio verso la vetta della perfezione, si
trascino` penosamente nelle mediocrita`; ma dal di` che risolvette di
darsi intieramente a Dio, fece mirabili progressi.

417. La pratica della direzione conferma l'insegnamento dei santi.
Quando si incontrano anime generose che hanno umile e perseverante
desiderio di progredire nelle vie spirituali, gustano e praticano i
mezzi di perfezione che loro si suggeriscono. Se invece nullo o debole
e` questo desiderio, presto si vede che anche le piu` premurose
esortazioni fanno poco effetto; l'alimento dell'anima, come quello del
corpo, non reca profitto se non a coloro che ne hanno fame e sete: Dio
ricolma dei suoi beni quelli che se ne mostrano affamati, ma non li
distribuisce che parcamente a coloro che non se ne curano: "Esurientes
implevit bonis et divites dimisit inanes" 417-1.

Il che risulta pure dall'efficacia di questo desiderio.

418. 2^ Efficacia del desiderio della perfezione. Questo desiderio e`
una vera forza ce ci fa avanzare verso una vita migliore.

a) La psicologia infatti dimostra che l'idea, quando e` profonda, tende
a provocar l'atto che le corrisponde. Cio` che e` anche piu` vero quando
il pensiero e` accompagnato dal desiderio: perche` il desiderio e` gia` un
atto della volonta` che mette in moto le nostre facolta` esecutive.
Desiderare quindi la perfezione e` gia` un tendervi; e il tendervi e` un
principio di attuazione. I ldesiderare d'amar Dio e` gia` un amarlo,
perche` Dio vede il fondo del cuore e ci tien conto di tutte le buone
intenzioni. Di qui` quel profondo detto di Pascal: "Tu non mi
cercheresti, se non m'avessi gia` trovato". Ora il desiderare e` un
cercare e chi cerca trova: "Omnis enim qui quaerit, invenit" 418-1.

419. b) Inoltre, nell'ordine soprannaturale il desiderio e` una
preghiera, un'ascensione dell'anima verso Dio, una specie di comunione
spirituale con Lui, che inalza l'anima a Dio e l'attira a noi. Ora Dio
si compiace d'esaudire le nostre preghiere, massimamente quando hanno
per fine la nostra santificazione che e` il desiderio piu` ardente del
suo cuore: "haec est enim voluntas Dei, sanctificatio
vestra" 419-1. E` questa la ragione per cui Dio nel Vecchio
Testamento ci sollecita a cercare, a inseguire la sapienza, cioe` la
virtu`, fa le piu` belle promesse a quelli che ne ascoltano la voce e
generosamente la concede a quelli che la desiderano: "propter hoc
optavi, et datus est mihi sensus; et invocavi, et venit in me spiritus
sapientiae" 419-2. E nel Vangelo, Nostro Signore c'invita a saziare
in Lui la nostra sete spirituale: "Si quis sitit, veniat ad me et
bibat" 419-3. Quanto dunque sono piu` ardenti i nostri desideri
tanto maggiori grazie riceviamo, perche` inesauribile e` la sorgente
dell'acqua viva.

420. c) Finalmente il desiderio, dilatando l'anima, la rende piu`
atta alle divine comunicazioni. Da parte di Dio c'e` tale pienezza di
bonta` e di grazie, che la misura che ci viene concessa e` largamente
proporzionata alla nostra capacita` a ricevere. Quanto piu` dunque con
sinceri e ardenti desideri dilatiamo l'anima, tanto piu` ella e` atta a
ricevere della divina pienezza: "Os meum aperui et attraxi spiritum...
Dilata os tuum et implebo illud..." 420-1.
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III. Qualita` che deve avere il desiderio della perfezione.

Per produrre questi lieti effetti, il desiderio della perfezione
dev'essere soprannaturale, predominante, progressivo e pratico.

421. 1^ Dev'essere soprannaturale tanto nel suo motivo quanto nel
suo principio:

a) Nel suo motivo, vale a dire che deve fondarsi sulle ragioni
forniteci dalla fede da noi gia` sopra esposte: la natura e
l'eccellenza della vita cristiana e della perfezione, la gloria di
Dio, l'edificazione del prossimo, il bene dell'anima ecc.

b) Nel suo principio, nel senso che deve compirsi sotto l'azione della
grazia, la quale sola puo` darci la luce a intendere e gustare questi
motivi, e la forza necessaria per operare secondo le nostre
convinzioni. E poiche` la grazia s'ottiene con la preghiera, e`
necessario chiedere con insistenza a Dio che accresca in noi questo
desiderio di perfezione.

422. 2^ Dev'essere predominante, o, in altri termini, piu` intenso di
ogni altro desiderio. Essendo infatti la perfezione cristiana il
tesoro nascosto e la perla preziosa che bisogna comperare ad ogni
costo, e a ogni grado di perfezione cristiana corrispondendo un grado
di gloria, di visione beatifica e d'amore, bisogna desiderarla e
ricercarla piu` d'ogni altra cosa: "Quaerite ergo primum regnum Dei et
justitiam ejus" 422-1.

423. 3^ Costante e progressivo: essendo la perfesione lavoro di
lunga lena che richiede perseveranza e progresso, bisogna
costantemente rinnovare il desiderio di far meglio. E` questa la
ragione per cui Nostro Signore ci dice di non guardare indietro a
vedere il cammino gia` fatto e fermarci con compiacenza sugli sforzi
gia` compiuti: "Nemo mittens manum suam ad aratrum et respiciens retro,
aptus est regno Dei" 423-1. Bisogna invece, come dise S. Paolo,
guardare innanzi per vedere il cammino che ci resta da percorrere e
tendere le forze come il corridore che tende le braccia in avanti per
meglio toccar le meta: "quae quidem retro sunt obliviscens, ad ea quae
sunt priora extendens meipsum, ad destinatum prosequor bravium supernae
vocationis" 423-2. Piu` tardi S. Agostino insistera` molto su questa
stessa verita`: perche`, dice, l'arrestarsi e` un indietreggiare;
l'indugiarsi a contemplare il cammino persorso e` un perdere l'ardore.
Morar sempre a far meglio, andar sempre avanti, tal e` il motto della
perfezione: "Noli in via remanere, noli deviare... Semper adde, semper
ambula, semper profice" 423-3.

E` dunque necessario contemplare non il bene che si e` fatto ma quello
che resta da fare; considerare non quelli che fanno meno bene di noi
ma quelli che fanno meglio, i fervorosi, i santi, e sopratutto il
Santo per eccellenza, Gesu` stesso, che e` il vero nostro modello.
Allora quanto piu` uno va innanzi, tanto piu` si sente lontano dalla
meta, appunto perche` vede meglio quanto alta sia cotesta
meta 423-4.

Non ci dev'essere pero` nulla nei nostri desideri di troppo affacendato
e di febbrile e sopratutto nulla di presuntuoso; gli sforzi violenti
non durano, e i presuntuosi presto s'avviliscono alle rime disfatte.
Cio` che ci fa progredire e` un desiderio calmo, riflessivo, fondato su
forti convinzioni, appoggiato sull'onnipotenza della grazia e
rinnovato di frequente.

424. 4^ Allora riesce pratico ed efficace, perche` non prende di mira
un ideale imposibile ad attuarsi ma i mezzi che sono a nostra portata.
Vi sono anime che hanno un ideale magnifico ma puramente speculativo,
che aspirano ad alta santita` ma che trascurano i mezzi per arrivarvi.
Vi e` in cio` un doppio pericolo: uno si puo` credere gia` perfetto perche`
va sognando di perfezione e cosi` inorgoglire; oppure puo` arrestarsi e
cedere. Bisogna invece ricordare l'adago: "chi vuole il fine vuole
anche i mezzi" e pensare che la fedelta` nelle piccole cose assicura la
fedelta` nelle grandi; onde si deve immediatamente applicare il
desiderio della perfezione all'azione presente per minima che sia,
perche` "Qui fidelis est in minimo et in majori fidelis est" 424-1.
Desiderare la perfezione e rimetterne lo sforzo al domani, volersi
santificare nelle grandi occasioni e trascurare le piccole, e` una
doppia illusione che indica mancanza di sincerita` o almeno ignoranza
della psicologia. L'alto ideale e` certamente necessario ma e` pur
necessaria l'attuazione immediata e progressiva.

IV. Mezzi per eccitare questo desiderio della perfezione.

425. 1^ Essendo il desiderio della perfezione fondato sopra
convinzioni soprannaturali, si puo` ascquistare ed accrescere
specialmente con la meditazione e la preghiera. Bisogna quindi innanzi
tutto riflettere sulle grandi verita` che abbiamo esposto nei capitoli
precedenti, sulla natura e sull'eccellenza di questa vita comunicataci
da Dio stesso, sulla bellezza e sule ricchezze di un'anima che coltiva
questa vita, sulle delizie che Dio le riserva in cielo; meditare le
vite dei santi che tanto piu` progredirono quanto piu` ardente e
costante ebbero il desiderio d'avvicinarsi ogni giorno alla
perfezione. E per rendere piu` proficua questa meditazione, bisogna
aggiungervi la preghiera, che, attirando la grazia, fa penetrare
queste convinzioni nel piu` intimo dell'anima.

426. 2^ Vi sono pero` circostanze piu` favorevoli, in cui l'azione
della grazia si fa piu` vivamente sentire. Un accorto diretore
spirituale sapra` approfittarne per eccitare nei penitenti desideri di
perfezione..

a) Cosi` fin dal primo destarsi della ragione, Dio sollecita il
fanciullo a darsi a lui; quanto e` importante che genitori e confessori
se ne giovino per stimolare e dirigere lo slancio di questi giovani
cuori! Lo stesso e` a dirsi del momento della prima comunione privata o
solenne; del momento in cui si inizia la vocazione o si fa la scelta
dello stato di vita; quando si entra in collegio o in Seminario o nel
noviziati; oppure quando si riceve il sacramento del matrimonio. In
tutte queste circostanze Dio concede grazie speciali e molto importa
il corrispondervi generosamente.

427. b) Vi e` pure il tempo degli Esercizi spirituali. Il
raccoglimento prolungato che li accompagna, le istruzioni che vi si
ascoltano, le letture che vi si fanno accompagnate da esami di
coscienza e da preghiere, e principalmente le grazie piu` abbondanti
che vi si ricevono, contribuiscono a rinsaldare le nostre convinzioni,
ci fanno conoscere meglio lo stato della nostra coscienza e piu`
cordialmente detestare i nostri peccati e le loro cause, suggeriscono
piu` pratiche e piu` generose risoluzioni, e ci danno nuovo slancio
verso la perfezione. A questo modo, l'uso, da alcuni anni, degli
esercizi spirituali chiuse 427-1 e` riuscito a formare, cosi` nel
clero come fra i secolari, una schiera di uomini scelti, che altra
ambizione non hanno se non quella di progredire nella vita spirituale.
Anche i direttori dei Seminarii sanno quali mirabili effetti producono
nei giovani chierici i ritiri spirituali che si fanno al principio di
ogni anno e al tempo delle sacre ordinazioni; e` quello il momento in
cui si formano o si rinnovano o s'intensificano i generosi desideri di
vita migliore. E` quindi cosa importante l'approfittare di queste
occasioni per rispondere alla chiamata di Dio e cominciare o
perfezionare la riforma di se stesso.

428. c) Le prove provvidenziali, fisiche o morali, come le malattie,
i lutti di famiglia, le angustie dell'animo, i rovesci di fortuna,
sono spesso accompagnate da grazie interne che ci stimolano a vita piu`
perfetta. Ci distaccano da tutto cio` che non e` Dio, purificano l'anima
col dolore, ci fanno desiderare il cielo e la perfezione che ne e` la
via, a patto pero` che l'anima si giovi di queste prove per volgersi a
Dio.

429. d) Vi sono poi dei momenti in cui lo Spirito Santo produce
nelle anime movimenti interiori che le inclinano verso una vita piu`
perfetta: le illumina sulla vanita` delle cose umane, sulla felicita` di
darsi piu` intieramente a Dio e le stimola a fare sforzi piu` energici.
E` chiaro che si deve approfittare di queste grazie interiori per
accelerare il passo nella via della perfezione.

430. 3^ Vi sono finalmente delle Pratiche di pieta` che tendono di
lor natura a stimolare il nostro desiderio di erfezione; e sono:

a) L'esame particolare, che ci obbliga ogni giorno a interiormente
concentrarci su un punto speciale, non solo per rilevare le nostre
mancanze o i nostri progressi ma anche e principalmente per rinnovare
la voonta` di progredire nella pratica di questa o di quella virtu`
(n. 468).

b) La confessione ben fatta, con lo scopo di corregerci di questo o
quel difetto (n. 262).

c) Il ritiro mensile o i ritiri annuali, che vangono periodicamente a
ritemprarci nel desiderio di far meglio.
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CONCLUSIONE.

431. Coll'uso di questi vari mezzi, serbiamo la volonta`
costantemente o almeno abitualmente rivolta al progresso spirituale,
Cosi`, sorretti dalla grazia di Dio, trionfiamo piu` facilmente degli
ostacoli; avremo certamente talora qualche debolezza, ma, stimolati
dal desiderio di progredire, riprenderemo animosamente la marcia in
avanti, e le parciali sconfitte, esercitandoci nell'umilta`, non
serviranno che a meglio avvicinarci a Dio.

sez. II. Della conoscenza di Dio e di se` stesso.

432. Poiche` la perfezione consiste nell'unione dell'anima con Dio, e`
chiaro che, per arrivarvi, bisogna anzitutto conoscere i due termini
dell'unione, Dio e l'anima: la conoscenza di Dio ci condurra`
direttamente all'amore: noverim te ut amem te! la conoscenza di noi
stessi, facendoci stimare quel tanto di bene che Dio ha posto in noi,
ci eccitera` alla riconoscenza; e la vista delle nostre miserie e dei
nostri difetti, facendoci concepire un giusto disprezzo di noi stessi,
produrra` direttamente l'umilta`, noverim me, ut despiciam me, e quindi
pure l'amor si Dio, perche` l'unione con Dio non si opera se non nel
vuoto di noi medesimi.

I. Della conoscenza di Dio 433-1.

433. Per amar Dio, bisogna prima di tutto conoscerlo: nil volitum
quin praecognitum. Quanto piu` dunque ci applichiamo a studiarne le
perfezioni, tanto piu` il nostro cuore s'infiamma d'amore per lui,
perche` tutto in lui e` amabile: egli e` la pienezza dell'essere,
pienezza di bellezza, di bonta` e d'amore: Deus caritas est. E` cosa
evidente. Resta quindi a determinare:
* 1^ cio che di Dio dobbiamo conoscere per amarlo;
* 2^ come giungere a questa affettuosa conoscenza.

1^ CIO` CHE DOBBIAMO CONOSCERE DI DIO.

Di Dio dobbiamo conoscere tutti cio` che puo` farcelo ammirare ed amare,
e quindi la sua esistenza, la sua natura, i suoi attributi, le sue
opere, specialmente la sua vita intima e le sue relazioni con noi.
Nulla di cio` che riguarda la divinita` e` estraneo alla devozione: anche
le stesse verita` piu` astratte hanno un lato affettivo che aiuta
singolarmente la pieta`. Dimostriamolo con alcuni esempi tratti dalla
filosofiz e dalla teologia.

434. A) Verita` filosofiche. a) Le prove metafisiche dell'esistenza
di Dio sono certo molto astratte, pure sono una miniera di preziose
riflessioni che conducono all'amor di Dio. Dio, primo motore immobile,
atto puro, e` la fonte d'ogni movimenti; dunque io non posso muovermi
che in Lui e per Lui; dunque deve essere il primo principio, ne deve
pur essere l'ultimo fine: Ego sum principium et finis. Dio e` la causa
prima di tutti gli esseri, di tutto cio` che v'e` di buono in me, delle
nostre facolta`, dei nostri atti: a Lui solo dunque ogni onore e ogni
gloria! Dio e` l'Essere necessario, ikl solo necessario "unum
necessarium"; e quindi il solo bene da cercare; tutto il resto e` cosa
contingente, accessoria, passeggiera, e non puo` essere utile che in
quanto ci conduce a quest'unico necessario. Dio e` l'infinita
perfezione e le creature non sono che un pallido riflesso della sua
bellezza, e` quindi Lui l'ideale a cui mirare: "Estote perfecti sicut
et Pater vester caelestis perfectus est" 434-1; onde noi non
dobiamo mettere alcun limite alla nostra perfezione: "Io che sono
infinito, diceva Dio a S. Caterina da Siena, vado cercando opere
infinite, vale a dire un infinito sentimento d'amore" 434-2.

435. b) Se passiamo poi alla natura divina, il poco che ne
conosciamo ci distacca dalle creature e da noi stessi per innalzarci a
Dio. Dio e` la pienezza dell'essere: "Ego sum qui sum"; il mio essere
non e` dunque che un essere mutuato, incapace di sussistere da se`, e
che deve riconoscere la sua assoluta dipendenza dall'Essere divino.
Questo egli voleva inculcare a S. Caterina da Siena, quando le diceva:
"Sai, o figlia mia, cio` che sei tu e cio` che sono io?... Tu sei quella
che non e` e Io sono Colui che e`". Qual lezione d'umilta` e d'amore!

436. c) Lo nesso e` degli attributi divini; non ve n'e` alcuno che,
ben meditato, non serva a stimolare il nostro amore sotto una forma o
sotto un'altra: la divina semplicita` ci eccita a praticare quella
semplicita` o purita` d'intenzione che ci fa tendere direttamente a Dio,
senza alcun egoistico riguardo a noi stessi; la sua immensita` che ci
avvolge e compenetra, e` il fondamento di quell'esercizio della
presenza di Dio che e` cosi` caro e cosi` proficuo alle anime pie; la sua
eternita` ci distacca da tutto cio` che passa, rammentandoci che cio` che
non e` eterno e` nulla: "quod aeternum non est nihil est"; la sua
immutabilita` ci aiuta a praticare, in mezzo alle umane vicissitudini,
quella calma tanto necessaria all'intima e durevole unione con Dio; la
sua infinita attivita` stimola la nostra e c'impedisce di cadere nella
noncuranza o in una specie di pericoloso quietismo; la sua
onnipotenza, posta a servizio della infinita sua sapienza e della
misericordiosa sua bonta`, ci ispira una filiale confidenza che agevola
in modo singolare la preghiera e il santo abbandono; la sua santita` ci
fa odiare il peccato e amare quella purita` di cuore che conduce
all'unione intima con Dio: "Beati mundo corde, quoniam ipsi Deum
videbunt"; la infallibile sua verita` e` il piu` saldo fondamento della
nostra fede; la sua bellezza, la sua bonta`, il suo amore ci rapiscono
il cuore e vi destano palpiti d'amore e di riconoscenza. E quindi le
anime sante si dilettano di inabissarsi nella contemplazione dei
divini attributi: ammirando e adorando le perfezioni di Dio, ne
attraggono qualche cosa nell'anima loro.

437. B) Si dilettano principalmente di contemplare le verita`
rivelate, che riguardano tutte la storia della vita divina: la sua
fonte nella SS. Trinita`; le sue prime comunicazioni con la creazione e
la santificazione dell'uomo; la sua restaurazione con l'Incarnazione;
la attuale sua diffusione con la Chiesa e coi Sacramenti; il suo
compimento finale nella gloria. Ognuno di questi misteri le rapisce e
le infiamma d'amore per Dio, per Gesu`, per le anime, per tutte le cose
divine.

438. a) La vita divina nella sua fonte e` la SS. Trinita`: Dio, che e`
la pienezza dell'essere e della carita`, contempla se stesso da tutta
l'eternita`; contemplandosi produce il Verbo, e questo Verbo e` suo
Figlio, distinto da Lui ma a Lui perfettamente uguale, vivente e
sostanziale sua immagine. Dio Padre ama questo Figlio e ne e` riamato;
e da questo mutuo amore scaturisce lo Spirito Santo, distinto dal
Padre e dal Figlio dai quali procede, e perfettamente uguale all'uno e
all'altro. A questa vita noi partecipiamo!

439. b) Essendo infinitamente buono, Dio vuole comunicarsi ad altri
esseri: il che fa con la creazione e principalmente con la
santificazione. Per la creazione noi siamo servi di Dio, cio` che e` per
noi gia` un grande onore; che Dio infatti abbia pensato a me da tutta
l'eternita` e m'abbia scelto tra miliardi di esseri possibili per darmi
l'esistenza, la vita, l'intelligenza, qual motivo d'ammirazione, di
riconoscenza e d'amore! Ma che m'abbia poi chiamato a partecipare alla
sua vita divina, che m'abbia adottato in figlio, che mi destini alla
chiara visione della sua essenza e a un amore infinito, o non e` questo
il colmo della carita`? E non sara` un potente motivo d'amarlo senza
riserva?

440. c) Per colpa del primo padre avevamo perduto i diritti alla
vita divina ed eravamo incapaci di ricuperarli da noi stessi. Ma ecco
che il Figlio di Dio, vedendo la nostra miseria, si fa uomo come noi,
e diventando il capo di un corpo mistico di cui noi siamo le membra,
espia i nostri peccati con la dolorosa sua passione e morte di Croce,
ci riconcilia con Dio, e fa di nuovo scorrere nelle anime nostre una
partecipazione di quella vita da lui attinta nel seno del Padre. Vi e`
qualche cosa di piu` atto a farci amare il Verbo Incarnato, a unirci
strettamente a Lui, e per Lui al Padre?

441. d) Ad agevolare questa unione, Gesu` continua a restare con noi;
vi resta per mezzo della Chiesa che ce ne trasmette e ce ne spiega gli
insegnamenti. Vi resta per mezzo dei Sacramenti, misteriosi canali
della grazia che ci comunicano la vita divina. Vi resta principalmente
per mezzo dell'Eucaristia, in cui Gesu` perpetua nello stesso tempo la
sua presenza, la benefica sua azione e il suo sacrifizio: il suo
sacrifizio nella Santa Messa, ove rinnova in modo misterioso la sua
immolazione; la benefica sua azione nella Comunione, in cui viene con
tutti i suoi tesori di grazia a perfezionare l'anima nostra e a
comunicarle le sue virtu`; la permanente sua presenza, imprigionandosi
volontariamente, giorno e notte, nel tabernacolo, ove possiamo
visitarlo, conversare con lui, glorificare con lui l'adorabile
Trinita`, trovare in lui la guarigione delle nostre spirituali ferite e
il conforto nelle nostre tristezze e nei nostri abbattimenti: "Venite
ad me omnes qui laboratis et onerati estis, et ego reficiam
vos" 441-1.

442. e) E questo non e` che il preludio della vita consumata in Dio
che godremo per tutta l'eternita`; lo vedremo un di a faccia a faccia,
come egli vede se stesso, e l'ameremo con perfetto amore; e vedremo e
ameremo in lui tutto cio` che vi e` di grande e di nobile. Usciti da Dio
con la creazione, a lui ritorniamo con la glorificazione, e
glorificandolo troviamo la perfetta felicita`.

Il domma e` dunque la fonte della vera devozione e l'alimento; ci
ri`mane ora a dire che modo dobbiamo giovarcene sotto questo rispetto.
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2^ MEZZI PER ACQUISTARE QUESTA CONOSCENZA DI DIO.

443. Tre mezzi principali ci si` presentano per acquistare questa
affettuosa conoscenza di Dio:
* 1^ Il pio studio della filosofia e della teologia;
* 2^ la meditazione o l'orazione;
* 3^ L'abitudine di veder Dio in tutte le cose.

A) Il pio studio della teologia. Si puo` studiare la filosofia e la
teologia in due modi: con la mente soltanto, come si studia ogni altra
scienza, oppure con la mente e insieme col cuore. Quest'ultimo modo e`
quello che genera la pieta`. Quando S. Tommaso s'immergeva nello studio
profondo delle grandi questioni filosofiche e teologiche, non lo
faceva come uno dei savi della Grecia, ma come discepolo e amante di
Cristo; a questo modo, secondo la sua espressione, la teologia tratta
delle cose divine e degli atti umani in quanto ci conducono alla
perfetta conoscenza di Dio e quindi all'amore: "de quibus agit
secundum quod per eos ordinatur homo ad perfectam Dei cognitionem,
in qua^ aeterna beatitudo consistit" 443-1. Ecco perche` la sua pieta`
superava anche la sua scienza. Lo stesso avveniva di S. Bonaventura e
dei grandi teologi. E` vero che la maggior parte di essi non lasciarono
pie riflessioni sui grandi misteri della fede, tenendosi paghi di
esporli e di provarli; ma la pieta` scaturisce dal fondo stesso di
queste verita`: e chiunque studi con spirito di fede, non puo` fare che
non ammiri ed ami Colui la cui grandezza e bonta` ci viene rivelata
dalla teologia. La qual cosa e` specialmente vera per coloro che sanno
giovarsi dei doni della scienza e dell'intelletto; dei quali il primo
ci fa risalire dalle creature a Dio, svelandocene le relazioni con la
divinita`; e il secondo ci fa penetrare nelle verita` rivelate, per
coglierne le mirabili armonie.

Con l'aiuto di questi lumi, il pio teologo sapra` elevarsi dalle verita`
piu` speculative ad atti di adorazione, di ammirazione, di riconoscenza
e di amore che sgorgano spontaneamente dallo studio dei dommi
cristiani. Questi atti non solo non ne intorpidiranno l'attivita`
intellettuale, ma anzi la affineranno e la stimoleranno: si studia
meglio, con maggior attivita` e costanza, cio` che si ama; vi si
scoprono profondita` che l'intelligenza sola non riuscirebbe a
penetrare; e se ne deducono conseguenze che allargano il campo della
teologia, alimentando la pieta`.

444. B) Allo studio pero` bisogna aggiungere la meditazione. Non si
meditano abbastanza i dommi cristiani, o almeno non se ne meditano
spesso se non gli aspetti accessori. Non bisogna paventare di
affrontarli direttamente e nel loro fondo come soggetto principale
delle nostre meditazioni 444-1. Avviene allora che l'anima, alla
luce della fede, sotto l'azione dello Spirito Santo, tocca altezze e
scopre profondita` che l'intelligenza sola non coglierebbe. Ne abbiamo
la prova negli scritti di anime semplici, elevate alla contemplazione,
che ci lasciarono su Dio, su Gesu` Cristo, sulla sua dottrina, sui suoi
sacramenti, osservazioni tali da gareggiare con quelle dei migliori
teologi. Del resto non disse S. Tommaso di aver imparato piu` alla
scuola del Crocifisso che nei libri dei dottori? La ragione e` che, nel
silenzio e nella calma dell'orazione, Dio parla piu` facilmente al
cuore, e che la sua parola, meglio intesa, illumina l'intelligenza,
riscalda il cuore e scuote la volonta`. In tali momenti lo Spirito
Santo si degna di comunicare, oltre i doni della scienza e
dell'intelletto, anche quello della sapienza, che fa assaporare le
verita` della fede, le fa amare e praticare, formando cosi` una
strettissima unione tra l'anima e Dio. E` quello che venne si` bene
descritto dall'autore dell'Imitazione 444-2: "Beata l'anima che
ascolta il Signore parlargli interiormente e riceve dalla sua bocca
parole di consolazione: Beata anima quae Dominus in se loquentem audit,
et de ore ejus verbum consolationis accipit..."

Il frequente e affettuoso pensiero di Dio durante il giorno continua e
compie i felici effetti dell'orazione: pensando a Dio lo amiamo di piu`
e l'amore affina la nostra conoscenza.

445. C) Allora si contrae piu` facilmente l'abitudine di innalzarsi
dalle creature al Creatore, e di veder Dio in tutte le sue opere: le
cose, le persone, gli avvenimenti.

Il fondamento di questa pratica e` l'esemplarismo divino, insegnato da
Platone, perfezionato da S. Agostino e da S. Tommaso, posto in luce
dalla Scuola di S. Vittore e ripreso poi dalla Scuola francese di
spiritualita` del secolo XVII 445-1. Tutte le cose esistono nel
pensiero di Dio prima di essere create: Dio le concepi` nella sua
intelligenza prima di produrle al di fuori e volle che fossero, in
gradi diversi, un riflesso delle divine sue perfezioni. Se
contempliamo quindi le cose create non solo con gli occhi del corpo ma
anche con gli occhi dell'anima, al lume della fede vedremo:

a) che tutte le creature, secondo il grado di perfezione, sono o un
vestigio o un'immagine o una somiglianza di Dio; che tutte ci dicono
di aver Dio per autore e c'invitano a lodarlo, non essendo tutto
l'essere che e` in loro, tutta la loro bellezza e tutta la loro bonta`,
che una creata e finita partecipazione dell'essere divino;

b) che specialmente le creature intelligenti, elevate all'ordine
soprannaturale, sono immagini, sono viventi somiglianze di Dio, che ne
partecipano, benche` in modo finito, la vita intellettuale; che essendo
tutti i battezzati membri di Cristo, Lui dobbiamo vedere in loro: in
omnibus Christus;

c) che tutti gli avvenimenti, lieti o tristi, sono nel pensiero divino
destinati a perfezionare la vita soprannaturale da lui comunicataci e
a facilitare la raccolta degli eletti, cosi` che di tutto possiamo
giovarci per santificarci.

Aggiungiamo tuttavia che, nell'ordine cronologico, le anime vanno
prima a Gesu` Cristo, e solamente per lui vanno al Padre, e che,
arrivate a Dio, non lasciano di tenersi strettamente unite a Gesu`.

CONCLUSIONE: L'ESERCIZIO DELLA PRESENZA DI DIO 446-1.

446. L'affettuosa conoscenza di Dio ci conduce al santo esercizio
della presenza di Dio, di cui indicheremo brevemente il
fondamento, la pratica e i vantaggi.

A) Il fondamento e` la dottrina dell'onnipresenza di Dio. Dio e` da per
tutto non solo con lo sguardo e con l'operazione ma anche con la
sostanza. Come diceva S. Paolo agli Ateniesi, "in lui noi abbiamo la
vita, il movimento e l'essere: in ipso enim vivimus, movemur et
sumus;" 446-2 il che e` vero cosi` sotto l'aspetto naturale come
sotto il soprannaturale. Come Creatore, dopo averci dato l'essere e la
vita, ce li conserva, e col suo concorso mette in moto le nostre
facolta`; come Padre, ci genera alla vita soprannaturale, che e` una
partecipazione della stessa sua vita, e lavora con noi, come causa
principale, alla sua conservazione e al suo incremento, onde si` trova
intimamente presente in noi, fin nel centro dell'anima, senza pero`
lasciare di essere distinto da noi. E` come gia` dicemmo al n. 92,
il Dio della Trinita` che vive in noi, il Padre che ci ama come figli,
il Figlio che ci tratta come fratelli, e lo Spirito Santo che ci da` e
i suoi doni e la sua persona.

B) La pratica. Per trovar dunque Dio non occorre che andiamo a
cercarlo in cielo, perche` lo troviamo: a) vicinissimo a noi nelle
creature che ci circondano; in queste andiamo da principio a cercarlo:
tutte infatti ci richiamano qualcuna delle divine perfezioni, massime
le creature che, dotate d'intelligenza, possiedono in se` il Dio
vivente (n. 92); tutte ci servono come di scalini per giungere a
lui; b) rammentiamo poi ch'egli e` vicinissimo a coloro che lo pregano
con fiducia: "Prope est Dominus omnibus invocantibus eum" 446-3; e
l'anima nostra si diletta di invocarlo ora con semplici giaculatorie
ora con preghiere piu` lunghe.

c) Ma soprattutto rammentiamo che le tre divine persone abitano in noi
e che il nostro cuore e` un tabernacolo vivente, un cielo ove esse gia`
si danno a noi. Ci basta quindi rientrare in noi stessi, nella cella
interiore, come dice S. Caterina da Siena, e fissare con l'occhio
della fede l'ospite divino che si degna abitarvi. Allora vivremo sotto
il suo sguardo, sotto la sua azione, l'adoreremo e lavoreremo con lui
alla santificazione dell'anima nostra.

447. C) E` facile scorgere quali siano i vantaggi di questa pratica
rispetto alla nostra santificazione.

a) Ci fa diligentemente schivare il peccato. Chi mai oserebbe
offendere la divina maesta` nel momento stesso che sa che Dio abita in
lui con la infinita sua santita` che non puo` soffrire la minima
macchia, con la sua giustizia che l'obbliga a punire anche le piu`
piccole colpe, con la sua potenza che arma il braccio contro il
colpevole, e principalmente con la sua bonta` che sollecita il nostro
amore e la nostra fedelta`?

b) Stimola il nostro ardore per la perfezione. Se un soldato che
combatte sotto gli occhi del generale si sente spinto a moltiplicar le
prodezze, come non sentirci pronti alle piu` dure fatiche, agli sforzi
piu` generosi, quando sappiamo di combattere non solo sotto lo sguardo
di Dio ma con la sua sempre vittoriosa collaborazione? come non
sentirci animati dalla corona immortale che ci promette e
principalmente dall'aumento d'amore che ci da` come ricompensa?

c) Quale confidenza non ci da` questo pensiero! Quali che siano le
prove, le tentazioni, le fatiche, le debolezze, non siam forse sicuri
della vittoria finale, quando rammentiamo che Colui che e` la stessa
onnipotenza e a cui nulla resiste, vive in noi e mette a nostro
servizio la divina stia virtu`? Possiamo certamente toccar parziali
sconfitte, passar per dolorose angosce, ma siamo sicuri che,
appoggiati su di lui, trionferemo e che le stesse nostre croci non
servono che a farci maggiormente amar Dio e a moltiplicarci i meriti.

d) Finalmente qual gioia per noi il pensare che Colui che forma la
felicita` degli eletti e che un di` contempleremo nel cielo, e` gia` in
nostro possesso, e che possiamo goderne la presenza e conversar con
lui nel corso di tutto il giorno?

La conoscenza e il frequente pensiero di Dio sono dunque grandemente
santificanti; e lo stesso e` della conoscenza di noi stessi.
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17/10/2013 11:22
 
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II. Della conoscenza di noi stessi.

La conoscenza di Dio ci porta direttamente ad amarlo, perche` e`
infinitamente amabile; la conoscenza di noi stessi vi ci porta
indirettamente, mostrandoci il bisogno assoluto che abbiamo di lui a
perfezionare le doti da lui largiteci e a rimediare alle profonde
nostre miserie. Esporremo dunque di questa conoscenza
* 1^ la necessita`;
* 2^ l'oggetto;
* 3^ i mezzi d'arrivarvi.

1^ NECESSITA` DELLA CONOSCENZA DI NOI STESSI.

Poche parole basteranno a convincercene.

448. A) Chi non conosce se` stesso e` nella morale impossibilita` di
perfezionarsi. Perche` allora uno s'illude sul proprio stato, cadendo,
secondo il proprio carattere o l'ispirazione del momento, ora in un
presuntuoso ottimismo che ci fa credere di essere gia` perfetti, ora
nello scoraggiamento che ci fa esagerare i nostri difetti e le nostre
colpe; nell'uno e nell'altro caso quasi identico e` il risultato, cioe`
l'inazione o almeno la mancanza di sforzi energici e perseveranti,
vale a dire il rilassamento. -- D'altra parte come correggere difetti
che punto non si conoscono o si conoscono male, e come coltivare virtu`
e doti di cui non si ha che una nozione vaga e confusa?

449. B) Invece la chiara e sincera conoscenza dell'anima nostra ci
sprona alla perfezione: le nostre doti c'inducono a ringraziarne Dio,
corrispondendo piu` generosamente alla grazia; i nostri difetti e la
coscienza della nostra impotenza ci mostrano che abbiamo ancora molto
da lavorare e che non convien perdere occasione alcuna di progredire.
Allora uno si giova di tutte le occasioni per estirpare o almeno
svigorire, mortificare, dominare i propri vizi, per coltivare e
svolgere le proprie doti. E avendo coscienza della propria incapacita`,
si chiede umilmente a Dio la grazia di progredire ogni giorno, e,
sorretti dalla fiducia in Dio, si ha la speranza e il desiderio della
buona riuscita; il che da` slancio e costanza nello sforzo.

2^ OGGETTO DELLA CONOSCENZA DI NOI STESSI.

450. Osservazioni generali. Perche` questa conoscenza sia piu`
efficace, e` necessario che abbracci tutto cio` che si trova in noi,
doti e difetti, doni naturali e doni soprannaturali, inclinazioni e
ripugnanze, l'intiera storia della nostra vita, le nostre colpe, i
nostri sforzi, i nostri progressi; il tutto studiato senza pessimismo,
ma con imparzialita`, con retta coscienza illuminata dalla fede.

a) Bisogna quindi rilevar sinceramente, senza falsa umilta`, tutte le
doti che il Signore ha posto in noi, non certo per gloriarcene ma per
esprimerne riconoscenza al loro autore e per diligentemente
coltivarle: sono talenti che Dio ci ha affidati e di cui ci domandera`
conto. Il terreno da esplorare e` quindi vastissimo, perche` comprende e
i doni naturali e i doni soprannaturali: quello che avemmo piu`
direttamente da Dio, quello che ricevemmo dai genitori e
dall'educazione, quello che dobbiamo ai nostri sforzi sorretti dalla
grazia.

451. b) Ma bisogna pure porci coraggiosamente di fronte alle nostre
miserie e ai nostri falli. Tratti dal nulla, al nulla continuamente
tendiamo; non sussistiamo e non possiamo agire che coll'incessante
concorso di Dio. Attirati al male dalla triplice concupiscenza
(n. 193 ss.), questa tendenza noi abbiamo accresciuto coi peccati
attuali e con le abitudini che ne risultano; bisogna umilmente
riconoscerlo, e, senza disanimarci, metterci all'opera, con la grazia
di Dio, per guarire queste ferite con la pratica delle virtu`
cristiane, onde accostarci alla perfezione del Padre celeste.

452. Applicazioni. A ben procedere in questo esame, possiamo
ordinatamente percorrere i doni naturali e i soprannaturali, seguendo
una specie di questionario che ci agevolera` il lavoro.

A) Quanto ai doni naturali, possiamo chiederci, alla presenza di Dio,
quali siano le principali tendenze proprie delle nostre facolta`,
seguendo non un ordine strettamente filosofico ma semplicemente un
ordine pratico 452-1.

453. a) Rispetto alla sensibilita`: e` lei che domina in noi oppure la
ragione e la volonta`? V'e` in noi tutti un misto di queste due cose,
che pero` varia nella misura secondo gli individui. Amiamo piu` per
sentimento che per volonta` o affezione?

Sappiamo padroneggiare i nostri sensi esterni oppure ne siamo schiavi?
Qual dominio esercitiamo sull'immaginazione e sulla memoria? Non sono
queste nostre facolta` eccessivamente volubili, occupate spesso in vane
fantasticherie? E le nostre passioni? Sono bene orientate e moderate?
E` la sensualita` che domina oppur la superbia e la vanita`?

Siamo apatici, fiacchi, negligenti, pigri? Se lenti, siamo almeno
costanti nei nostri sforzi?

454. b) L'intelligenza: di che natura e`? vivace e chiara ma
superficiale, oppure lenta e penetrante? Siamo intellettuali e
speculativi, oppure uomini pratici che studiano con la mira di amare e
di operare? Come coltiviamo l'intelligenza? Fiaccamente oppur con
energia? Con costanza oppure a salti? A quali risultati riusciamo?
Qual e` il nostro metodo di lavoro? Non si potrebbe migliorarlo?

Siamo appassionati nei giudizi e ostinati nelle opinioni? Sappiamo
dare ascolto a chi non la pensa come noi, e acconsentire a cio` che si
dice di ragionevole.

455. c) La volonta`: e` fiacca e incostante o forte e perseverante?
Che facciamo per coltivarla? La volonta` dev'essere la regina delle
facolta`, ma non puo` riuscirvi che adoprando grande delicatezza ed
energia. Che facciamo per assicurarle il dominio sui sensi interni ed
esterni, sull'esercizio delle facolta` intellettuali e per dare a lei
stessa maggior energia e costanza? Abbiamo convinzioni profonde? E le
rinnoviamo di frequente? Esercitiamo la volonta` nelle piccole cose,
nei piccoli sacrifici quotidiani?

456. d) Il carattere ha grandissima importanza nelle relazioni col
prossimo; un buon carattere che sa adattarsi al carattere altrui, e`
una leva potente per l'apostolato; un cattivo carattere e` uno dei piu`
grandi ostacoli al bene. Uomo di carattere e` colui che, avendo forti
convinzioni, si studia con fermezza e perseveranza di conformarvi la
sua condotta. Il buon carattere e` quel misto di bonta` e di fermezza,
di dolcezza e di forza, di franchezza e di riguardo, che concilia la
stima e l'affetto di coloro con cui si ha da trattare. Un cattivo
carattere e` invece colui che, col mancare di franchezza, di bonta`, di
delicatezza o di fermezza, o col lasciar predominare l'egoismo, e`
rozzo nelle maniere e si rende sgradito e talora anche odioso al
prossimo. C'e` qui dunque un punto capitale da studiare.

457. e) Le abitudini: nascono dalla ripetizione degli atti e danno
una certa facilita` a fare atti simili con prontezza e diletto.
Conviene quindi studiare quelle che si sono gia` contratte per
fortificarle, se buone, per estirparle, se cattive.

Cio` che nella seconda parte diremo dei peccati capitali e delle virtu`,
ci sara` di aiuto in questa indagine.

458. B) I nostri doni soprannaturali. Essendo le nostre facolta`
tutte compenetrate di soprannaturale, non ci conosceremmo interamente
se non badassimo ai doni soprannaturali che Dio mette in noi. Li
abbiamo descritti piu` sopra (n. 119 ss.); ma la grazia di Dio e`
molto varia nelle sue operazioni, multiformis gratia Dei; e` quindi
necessario studiarne la speciale azione nell'anima nostra.

a) Studiare le inclinazioni ch'ella ci da` per questa o per quella
vocazione, per questa o per quella virtu`: dalla docilita` nel seguire
questi movimenti della grazia dipende la nostra santificazione.

1) Vi sono nella vita momenti decisivi in cui la voce di Dio si fa piu`
forte e piu` insistente: l'ascoltarla allora e il seguirla e` cosa della
massima importanza.

2) Bisogna pure osservare se, fra queste inclinazioni, non ce ne sia
qualcuna dominante, che ritorni, piu` frequentemente e piu` fortemente,
verso questo o quel genere di vita, verso questo o quel modo di far
meditazione, verso questa o quella virtu`: si avrebbe allora la
speciale via in cui Dio vuole che camminiamo, e bisognerebbe entrarvi
per trovarsi nella corrente della grazia.

459. b) Oltre che delle inclinazioni, occorre renderci pur conto
delle resistenze alla grazia, delle debolezze, dei peccati, a fine di
sinceramente detestarli, ripararli e schivarli nell'avvenire. E` studio
penoso e umiliante, specialmente chi lo faccia lealmente e venendo al
particolare, ma e` studio molto proficuo, perche` per un verso ci aiuta
a praticar l'umilta`, e per l'altro ci getta fiduciosamente in seno a
Dio, che solo puo` guarire le nostre miserie.
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17/10/2013 11:23
 
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3^ DEI MEZZI ATTI AD OTTENERE QUESTA CONOSCENZA.

460. Notiamo subito da principio che la perfetta conoscenza di noi
stessi e` cosa difficile. a) Attratti come siamo dalle cose esteriori,
ci e` duro rientrar nel nostro interno per esaminare questo piccolo
mondo invisibile; e ancor piu` duro e` per noi, superbi, il rilevare i
nostri difetti.

b) Questi alti interni sono molto complessi: vi sono in noi, come dice
S. Paolo, due uomini, che spesso tumultuosamente contrastano tra loro.
Per sceverare cio` che viene dalla natura e cio` che viene dalla grazia,
cio` che e` volontario e cio` che non e`, si richiede molta attenzione,
perspicacia, lealta`, coraggio e perseveranza. Soltanto a poco a poco
si fa la luce; una cognizione ne trae un'altra e quest'altra prepara
la via a una cognizione ancor piu` profonda.

461. Essendo gli esami di coscienza la via per cui si giunge alla
conoscenza di se` stessi, a facilitarne la pratica daremo qui alcune
regole generali, proporremo un metodo, e indicheremo i sentimenti che
li devono accompagnare.

462. A) Regole generali. a) Per esaminarci bene bisogna innanzitutto
invocare i lumi dello Spirito Santo, che scruta le reni e i cuori, e
pregarlo di svelarci tutte le piu` intime pieghe dell'anima,
comunicandoci il dono della scienza che ha per uno dei suoi uffici
quello di aiutarci a ben conoscere noi stessi per condurci a Dio.

b) Bisogna poi metterci davanti a Gesu`, che e` il perfetto modello a
cui dobbiamo ogni giorno piu` accostarci; adorarne e ammirarne non solo
gli atti esterni, ma anche e principalmente le disposizioni interiori.
Allora i nostri difetti e le nostre imperfezioni appariranno molto piu`
chiaramente per il contrasto che noteremo tra noi e questo divino
modello. Ma non ci lasceremo prendere dallo scoraggiamento, perche`
Gesu` e` pure il medico delle anime, bramoso di curar le nostre piaghe e
di guarirle. Ottima pratica e` fare a lui, a cosi` dire, la nostra
confessione, chiedendogli umilmente perdono.

463. c) Entreremo quindi nel piu` intimo dell'anima nostra: dagli
atti esterni risaliremo alle disposizioni interiori che li ispirano,
alla profonda loro causa. Cosi`, avendo mancato alla carita`,
indagheremo se fu per leggerezza, per invidia, per gelosia, per
spiritosita` o per loquacita`.

Per rilevarne il carattere morale e la responsabilita`, bisognera`
esaminare se l'atto e` stato volontario in se` o nella sua causa, se
fatto con piena coscienza della sua malizia o solo con una mezza
avvertenza, se con pieno o solo con semipieno consenso. Da principio
tutto cio` riesce oscuro ma a poco a poco si viene poi rischiarando.

Per essere piu` imparziali nei nostri giudizi, e` bene metterci davanti
al Giudice Supremo e figurarci che ci dica con bonta` si` ma anche con
autorita`: redde rationem villicationis tuae. E ci studieremo allora di
rispondere con tanta sincerita` quanta ne vorremmo avere usata nel
giorno del giudizio.

464. d) E` utile talora, specie per gl'incipienti, far quest'esame
per iscritto, a fine di fissar meglio l'attenzione e poter meglio
confrontare i risultati d'ogni giorno e di ogni settimana. Facendolo,
si badi di evitare ogni amor proprio, ogni pretesa letteraria, e si
prendano le precauzioni necessarie perche` tali note non cadano sotto
gli occhi dei profani. Se si usa uno specchietto con segni
convenzionali, bisogna badare di non farlo per abitudine o con
superficialita`. Ma ordinariamente si viene poi a far senza di questo
mezzo, abituandosi ad esaminarsi con tutta semplicita`, alla presenza
di Dio, dopo le principali azioni, per ricapitolar poi tutto al
termine della giornata.

465. In cio`, come in tutto il resto, si seguira` il consiglio d'un
savio direttore, pregandolo di aiutarci a conoscere meglio noi stessi:
osservatore disinteressato ed esperto, egli generalmente vede meglio
di noi il fondo della nostra coscienza, e giudica piu` imparzialmente
il vero valore dei nostri atti.

466. B) Metodi per esaminar la coscienza. Tutti riconoscono che
S. Ignazio li ha molto perfezionati. Nei suoi Esercizi spirituali,
distingue attentamente l'esame generale dal particolare; il primo
riguarda tutte le azioni della giornata, il secondo un punto speciale,
un difetto da correggere, una virtu` da coltivare. Ma si puo` fare l'uno
e l'altro nello stesso tempo: in tal caso, basta, per l'esame
generale, dare un rapido sguardo complessivo alle azioni della
giornata a fine di scoprire le mancanze principali; e poi si passa
subito all'esame particolare che e` molto piu` importante del primo.

467. a) L'esame generale, che ogni buon cristiano deve fare per
conoscersi e correggersi, contiene cinque punti secondo S. Ignazio:
467-1

1) "Il primo punto e` di ringraziar Dio, Signor nostro, dei benefici
ricevuti". Ottima pratica, consolante insieme e santificante, perche`
prepara la contrizione, facendo risaltare la nostra ingratitudine, e
alimenta la nostra fiducia in Dio 467-2.

2) "Il secondo e` di chiedere la grazia di conoscere i nostri peccati e
di bandirli dal cuore". Di fatti, chi vuole conoscere se` stesso lo fa
per correggersi, due cose che non si possono fare che coll'aiuto della
grazia di Dio.

3) "Il terzo e` di domandarci conto esatto della nostra condotta dalla
levata del mattino fino al momento dell'esame, percorrendo una dopo
l'altra le ore del giorno, o certi spazi di tempo determinati
dall'ordine delle nostre azioni. Si fara` prima l'esame sui pensieri,
poi sulle parole, poi sulle opere, secondo l'ordine indicato
nell'esame particolare".

4) "Il quarto e` di chiedere perdono delle colpe a Dio, nostro
Signore". Non si deve infatti dimenticare che la contrizione e`
l'elemento principale dell'esame, e che questa contrizione e` opera
specialmente della grazia.

5) "Il quinto e` di formar la risoluzione di correggerci col soccorso
della grazia. Terminare col Pater noster". Questa risoluzione, per
essere pratica, dovra` fissare i mezzi di correzione; perche` chi vuole
il fine vuole anche i mezzi. La recita del Pater, ponendoci davanti
agli occhi la gloria di Dio che dobbiamo procurare e unendoci a Gesu`
Cristo per chiedere il perdono delle nostre colpe e la grazia di
schivarle per l'avvenire, e` ottima conclusione di quest'esame.

468. b) L'esame particolare, a giudizio di S. Ignazio, e` ancora piu`
importante dell'esame generale e persino della meditazione, perche` ci
da` modo di affrontare corpo a corpo i nostri difetti, gli uni dopo gli
altri, facendoceli cosi` vincere piu` facilmente. D'altra parte,
esaminandoci a fondo sopra una virtu` importante, non acquistiamo
questa soltanto ma anche tutte le altre che le si connettono: cosi` chi
progredisce nell'ubbidienza fa nello stesso tempo atto d'umilta`, di
mortificazione e di spirito di fede; parimenti, acquistando l'umilta`,
uno si perfeziona nello stesso tempo nell'ubbidienza, nell'amor di Dio
e nella carita`, essendo la superbia l'ostacolo principale alla pratica
di queste virtu`. Bisogna pero` seguire certe regole cosi` per la scelta
del soggetto come pel modo di farlo.

469. Scelta del soggetto. 1) Conviene d'ordinario mirare al difetto
dominante sforzandosi di praticare la virtu` contraria; perche` questo
difetto e` il grande ostacolo, il generale in capo dell'esercito
nemico: vinto lui, tutto l'esercito e` sbaragliato.

2) Scelto il soggetto, si mira dapprima alle manifestazioni esterne di
questo difetto, a fine di sopprimere cio` che da` ombra o scandalo al
prossimo; cosi`, per la carita`, si comincera` a diminuire e a sopprimere
le parole o gli atti contrarii a questa virtu`.

3) Ma di qui bisogna risalire, senza tardare troppo, alla interna
causa delle colpe, per esempio, ai sentimenti d'invidia, al desiderio
di far bella figura nelle conversazioni, ecc., che ne possono essere
la sorgente.

4) Ne` convien fermarsi solo alla parte negativa delle virtu`, ossia
alla lotta contro i difetti, ma coltivar pure diligentemente la
opposta virtu`; perche` non si riesce a sopprimere bene se non cio` che
viene sostituito.

5) Finalmente, per far piu` sicuro progresso, si divida attentamente la
materia dell'esame secondo i gradi delle virtu`, per modo che non si
abbracci subito tutta l'ampiezza d'una virtu` ma solo alcuni atti che
meglio corrispondono ai bisogni particolari. Cosi`, per l'umilta`, si
pratichera` prima quello che si potrebbe chiamare il nascondimento o
l'oblio di se`, parlando poco, dando agli altri, con prudenti
interrogazioni, occasione di parlare, amando l'oscurita`, la vita
nascosta, ecc. 469-1

470. Modo di farlo. Abbraccia, secondo S. Ignazio, tre tempi e due
esami di coscienza ogni giorno.

1) "Il primo tempo e` il mattino. Appena uno si alza, deve proporre di
attentamente guardarsi dal peccato o difetto particolare di cui si
vuol correggere". E` cosa breve: bastano due o tre minuti nel vestirsi.

2) "Il secondo tempo e` il dopo pranzo; il terzo dopo la cena. S cuorei
comincera` col domandare a Dio cio` che si desidera, cioe` la grazia di
ricordarsi quante volte si e` caduti in quel peccato o difetto
particolare, e quella di correggersene per l'avvenire; poi si fara` il
primo esame, chiedendo a se` stesso conto esatto di quel punto speciale
su cui si era presa la risoluzione di correggersi e di migliorarsi. Si
fara` quindi passare ogni ora della mattinata che si potra` pure
dividere in certi spazii di tempo secondo l'ordine delle azioni,
cominciando dal momento della levata fino a quello dell'esame
presente; poi si segneranno sulla prima linea della lettera J (dello
specchietto dove si notano le colpe) tanti punti quante furono le
cadute in quel peccato o difetto particolare. Infine si prendera` di
nuovo la risoluzione di emendarsi dal primo al secondo esame". Il
tempo ordinariamente dedicato dalle anime fervorose a questo esame e`
d'un quarto d'ora.

471. L'esame si fa nel modo gia` spiegato per l'esame generale, con
questo di piu` che si scrivono le mancanze per ricordarsene piu`
facilmente e fare poi i confronti di cui parla S. Ignazio nelle note
seguenti: "Indicando la prima linea della lettera J il primo esame e
la seconda il secondo, si osservera` alla sera, confrontando la prima
con la seconda linea, se vi e` stata emenda dal primo al secondo esame.
-- Confrontare poi il secondo giorno col primo, cioe` i due esami del
giorno presente coi due esami del giorno precedente, e vedere se da un
giorno all'altro vi e` stato miglioramento. Confrontare pure una
settimana con l'altra e vedere se, nella settimana teste` trascorsa, il
progresso fu piu` notevole che nella settimana precedente". Il
vantaggio di questi confronti sta nello stimolare il nostro ardore:
confrontando le perdite e i guadagni, si e` eccitati a raddoppiare gli
sforzi per aumentar questi e diminuir quelle.

A conseguire il medesimo effetto, S. Ignazio consiglia, ogni volta che
si cade in colpa che riguarda l'esame particolare, di portar la mano
al petto eccitandosi internamente a contrizione. E` chiaro infatti che
questa vigilanza in riparare immediatamente le minime colpe non puo`
che accelerare la riforma della vita.

472. Se questo metodo pare a prima vista alquanto complesso, in
pratica lo e` poi meno; e chi non vi potesse dedicare tempo cosi`
notevole, puo` condensare l'essenziale di questi atti in minor tempo,
per esempio in dieci minuti la sera. Se poi si prevedesse che la sera
non si potra` fare, vi si impieghi una parte della visita al
SS. Sacramento.

473. C) Disposizioni che devono accompagnare quest'esame. Perche`
l'esame di coscienza, generale o particolare, possa unirci piu`
strettamente a Dio, dev'essere accompagnato da sentimenti o
disposizioni che ne sono, a cosi` dire, l'anima. Eccone le principali:
riconoscenza, contrizione, proponimento, preghiera.

a) Prima di tutto un sentimento di viva riconoscenza verso Dio, che
nel corso dell'intiera giornata ci avvolse nella paterna sua
provvidenza, ci protesse contro le tentazioni e preservo` da molti
peccati; perche`, senza l'aiuto della sua grazia, saremmo caduti in
numerose colpe. Non potremmo quindi ringraziarlo mai troppo; ma lo
faremo in modo pratico usando meglio dei divini suoi doni.

474. b) Questo sentimento produrra` in noi una sincera contrizione,
tanto piu` profonda in quanto che, avendo ricevuto tanti benefici, ne
abbiamo abusato per offendere Padre cosi` buono e cosi` misericordioso.
Ne nascera` una schietta umilta`, che ci persuadera`, per propria
esperienza, della nostra indegnita`; onde accetteremo volentieri la
confusione che proviamo alla vista delle nostre mancanze ripetute
continuamente, lieti di potere con cio` proclamare l'infinita`
misericordiosa d'un Padre sempre inchinevole al perdono, e godendo che
la nostra miseria faccia risaltare l'infinita perfezione di Dio.
Queste disposizioni non saranno passeggiere ma durevoli, alimentate
dallo spirito di penitenza che spesso ci mettera` le nostre colpe
dinanzi agli occhi: "Peccatum meum contra me est semper!"

475. c) Di qui` sorgera` la ferma volonta` d'espiare e di emendarci: di
espiare con opere di penitenza, badando ad imporcene qualcuna per le
nostre mancanze, a fine di attutire l'amore al piacere, fonte dei
nostri peccati; di emendarci, specificando i mezzi da usare per
diminuire il numero delle colpe. Questa volonta` rimuovera`
sollecitamente la presunzione, che, inducendoci a far troppo
assegnamento sulla nostra buona volonta` e sulla nostra energia, ci
priverebbe di molte grazie e ci esporrebbe a nuove imprudenze e a
nuove cadute. Ma si appoggera` invece fiduciosamente sull'onnipotente e
infinita bonta` di Dio, sempre pronto a venirci in aiuto, quando
abbiamo coscienza della nostra incapacita`.

476. d) Ad implorare questo divino aiuto, termineremo con una
preghiera tanto piu` umile e premurosa quanto piu` diffidenti di noi ci
rese la vista dei nostri peccati. Persuasi di essere incapaci di
schivare il peccato e tanto piu` di inalzarci a Dio con la pratica
delle virtu`, supplicheremo Dio dal fondo della nostra miseria,
appoggiandoci sui meriti infiniti di Gesu`, di venire a noi, di trarci
dal pantano in cui affondiamo, di staccarci dal peccato e dalle sue
cause, e di inalzarci a lui.

Per queste disposizioni, meglio ancora che per la minuziosa ricerca
delle colpe, si viene l'anima, sotto l'azione della grazia, a poco a
poco trasformando.
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