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COMPENDIO DI TEOLOGIA SPIRITUALE

Ultimo Aggiornamento: 24/10/2013 13:41
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19/10/2013 18:14
 
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IV. I rimedii dell'orgoglio.

838. Abbiamo gia` detto (n. 207) che il grande rimedio
dell'orgoglio sta nel riconoscere che Dio e` l'autore di ogni bene,
onde a lui solo spetta ogni onore e ogni gloria. Da noi non siamo che
nulla e peccato e non meritiamo quindi che obli`o e disprezzo
(n. 208)

839. 1^ Noi siamo un nulla. Di questo devono gl'incipienti ben
convincersi nella meditazione, lentamente ruminando al lume divino i
seguenti pensieri: io sono un nulla, io non posso nulla, io non valgo
nulla.

A) Io sono un nulla: piacque, e` vero, alla divina bonta` di scegliermi
tra miliardi di esseri possibili per darmi l'esistenza, la vita,
un'anima spirituale ed immortale, e io ne lo devo quotidianamente
benedire. Ma: a) io esco dal nulla e per mio peso tendo al nulla, ove
infallantemente ricadrei se il Creatore con la incessante sua azione
non mi conservasse: il mio essere dunque non appartiene a me ma e`
intieramente di Dio, e a lui ne devo far omaggio.

b) Quest'essere che Dio mi diede e` una vivente realta`, un immenso
beneficio di cui non potrei ringraziarlo mai troppo; ma, per quanto
ammirabile, quest'essere, paragonato con l'Essere divino, e` come un
nulla, "Tanquam nihilum ante te" 839-1, tanto e` imperfetto: 1) e`
un essere contingente, che potrebbe sparire senza che nulla venisse a
mancare alla perfezione del mondo; 2) e` un essere mutuato, che non mi
fu dato che sotto l'espressa riserva del supremo dominio di Dio; 3) e`
un essere fragile, che non puo` sussistere da se`, bisognoso ad ogni
istante d'essere sorretto da colui che lo creo`. E` dunque un essere
essenzialmente dipendente da Dio, la cui unica ragione di esistere e`
di rendere gloria al suo autore. Chi dimentichi questa dipendenza, chi
operi come se le sue buone qualita` fossero intieramente sue e se ne
vanti, commette un inconcepibile errore, una follia e un'ingiustizia.

840. Quanto diciamo dell'uomo nell'ordine della natura e` anche piu`
vero nell'ordine della grazia: questa partecipazione della vita
divina, che costituisce la mia nobilta` e la mia grandezza, e` dono
essenzialmente gratuito che ricevetti da Dio e da Gesu` Cristo, che non
posso conservare a lungo senza la divina grazia e che non puo` crescere
in me senza il soprannaturale suo concorso (n. 126-128), onde e` il
caso di ripetere: "gratias Deo super inenarrabili dono
ejus" 840-1. Quale ingratitudine e quale ingiustizia l'attribuire
a se` una minima particella di questo dono essenzialmente divino? "Quod
autem habes quod non accepisti? Si autem accepisti, quid gloriaris
quasi non acceperis?" 840-2.

841. B) Io da me non posso nulla: e` vero che ricevetti da Dio
preziose facolta` che mi fanno conoscere e amare la verita` e la bonta`;
che queste facolta` poi perfezionate dalle virtu` soprannaturali e dai
doni dello Spirito Santo; che non potro` mai ammirare abbastanza questi
doni di natura e di grazia che si integrano e si armonizzano tra loro
cosi` bene. Ma da me, di mia volonta`, io non posso nulla ne` per
metterle in moto ne` per perfezionarle: nulla nell'ordine naturale
senza il concorso di Dio; nulla nell'ordine soprannaturale senza la
grazia attuale, neppure formare un buon pensiero salutare, un buon
desiderio soprannaturale. Cio` sapendo, potrei inorgoglirmi di queste
naturali e soprannaturali facolta`, come se fossero intieramente mie?
Anche questa sarebbe ingratitudine, follia, ingiustizia.

842. C) Io non valgo nulla: se considero cio` che Dio ha posto in me
e cio` che vi opera con la sua grazia, io sono certamente un essere di
gran pregio e di grande valore: "empti enim estis pretio
magno 842-1... tanti vales quanti Deus: valgo quello che sono
costato e sono costato il sangue di un Dio! Ma l'onore della mia
redenzione e della mia santificazione spetta a me o a Dio? La risposta
non potrebbe essere dubbia. -- Ma insomma, dice l'amor proprio vinto,
io ho pur qualche cosa che e` mia e mi da` valore, e` il libero mio
consenso al concorso e alla grazia di Dio. -- Certo qualche parte ve
l'abbiamo ma non la principale: questo libero consenso non e` che
l'esercizio delle facolta` dateci gratuitamente da Dio, e nel momento
stesso in cui lo diamo, Dio l'opera in noi come causa principale:
"operatur in vobis et velle et perficere" 842-2. E poi per una
volta che consentiamo a seguir l'impulso della grazia, quante altre
volte le abbiamo resistito! quante volte vi cooperiamo solo
imperfettamente! Non c'e` veramente di che vantarci ma piuttosto di che
umiliarci.

Quando un gran maestro dipinge un capolavoro, a lui viene attribuito e
non agli artisti di terzo o di quarto ordine che ne furono i
collaboratori. A piu` forte ragione dobbiamo noi attribuire i nostri
meriti a Dio che ne e` causa prima e principale, tanto che, come canta
la Chiesa con S. Agostino, Dio corona i doni suoi coronando i meriti
nostri "coronando merita coronas dona tua" 842-3.

843. 2^ Io sono un peccatore, e come tale, merito disprezzo, tutti i
disprezzi che piacera` a Dio di addossarmi. A convincercene, basti
richiamare quanto dicemmo del peccato mortale e del veniale.

A) Se ebbi la disgrazia di commettere un solo peccato mortale, merito
eterne umiliazioni, perche` ho meritato l'inferno. Ho, e` vero, la dolce
fiducia che Dio m'abbia perdonato; ma non resta con cio` meno vero che
ho commesso un delitto di lesa Maesta` divina, una specie di deicidio,
una sorta di suicidio spirituale, n. 719, e che, per espiar
l'offesa alla divina Maesta`, debbo essere pronto ad accettare, a
desiderare anzi tutto le umiliazioni possibili, le maldicenze, le
calunnie, le ingiurie, gli insulti; perche` tutto cio` e` assai al di
sotto di quanto merita colui che offese anche una volta sola
l'infinita Maesta` di Dio. Che se ho offeso Dio moltissime volte, quale
non dev'essere la mia rassegnazione, anzi la gioia, quando mi si
presenti l'occasione d'espiare i peccati con obbrobri di cosi breve
durata!

844. B) Abbiamo tutti commesso dei peccati veniali e veniali
deliberati, volontariamente preferendo la volonta` e il piacer nostro
alla volonta` e alla gloria di Dio. Or questo, come abbiamo detto al
n. 715, e` offesa alla divina maesta`, offesa che merita umiliazioni
cosi` profonde da non poter mai da noi stessi, fosse pure con una vita
passata tutta nella pratica dell'umilta`, restituire a Dio tutta la
gloria di cui l'abbiamo ingiustamente spogliato. Se pare esagerato
questo linguaggio, si pensi alle lacrime e alle austere penitenze dei
Santi che non avevano commesso se non peccati veniali e che non
credevano d'aver fatto mai abbastanza per purificarsi l'anima e
riparare gli oltraggi inflitti alla divina maesta`. I santi vedevano le
cose meglio di noi, e se noi non la pensiamo come loro e` perche` siamo
accecati dall'orgoglio.

Dobbiamo dunque, come peccatori, non solo non cercar la stima altrui,
ma disprezzarci e accettar tutte le umiliazioni che Dio vorra`
mandarci.
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