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COMPENDIO DI TEOLOGIA SPIRITUALE

Ultimo Aggiornamento: 24/10/2013 13:41
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24/10/2013 13:07
 
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ART. II. LA TIEPIDEZZA 1270-1.

Chi non combatte gl'indicati difetti, cade presto nella tiepidezza,
malattia spirituale molto pericolosa, di cui esporremo:
* 1^ la natura;
* 2^ i pericoli;
* 3^ i rimedi.

I. Natura della tiepidezza.

1270. 1^ Nozione. La tiepidezza e` malattia spirituale che puo`
assalire gl'incipienti o i perfetti, ma che si manifesta soprattutto
nel corso della via illuminativa. Suppone infatti che si sia
acquistato un certo grado di fervore e che poi uno si lasci andare a
poco a poco alla rilassatezza.

La tiepidezza consiste in una specie di rilassamento spirituale che
allenta le energie della volonta`, ispira orrore dello sforzo e conduce
cosi` al deperimento della vita cristiana. E` una specie di languore e
di torpore, che non e` ancora la morte, ma che insensibilmente vi
conduce affievolendo a grado a grado le forze morali. Si puo`
paragonare alle malattie di consunzione, che, come l'etisia, corrodono
a poco a poco qualcuno degli organi vitali.

1271. 2^ Le cause. Due cause principali contribuiscono a
svilupparla: alimentazione spirituale diffettosa, e invasione di
qualche germe morboso.

A) A vivere e progredire l'anima ha bisogno di buona alimentazione
spirituale; ora cio` che la alimenta sono i vari esercizi di pieta`,
meditazione, letture, preghiere, esami, adempimento dei doveri del
proprio stato, pratica delle virtu`, che la mettono in comunione con
Dio, fonte della vita soprannaturale. Se quindi si fanno questi
esercizi con negligenza, se uno s'abbandona volontariamente alle
distrazioni, se non combatte l'abitudine o il torpore, viene a
privarsi di molte grazie, si nutrisce male, diventa debole, incapace
di praticare le virtu` cristiane per poco che siano difficili.

Notiamo di passaggio che questo stato e` molto diverso dall'aridita` o
dalle prove divine: in queste, in cambio di ammettere le distrazioni,
si e` dolenti e umiliati di averle, e si fanno seri sforzi per
diminuirne il numero; nella tiepidezza invece, uno si lascia
facilmente andare a pensieri inutili, vi prova piacere, non fa quasi
nessuno sforzo per cacciarli, e presto le distrazioni invadono quasi
intieramente le preghiere.

E allora, vedendo il poco frutto che si ricava da tali esercizi, si
comincia ad abbreviarli, aspettando il momento di sopprimerli. Cosi`,
per esempio, l'esame di coscienza, diventato noioso, molesto, semplice
abitudine, finisce coll'essere omesso; onde uno, non rendendosi piu`
conto delle sue colpe e dei suoi difetti, lascia che piglino il
sopravvento. Non si fanno piu` sforzi per acquistare le virtu`, e presto
i vizi e le cattive inclinazioni accennano a rifiorire.

1272. B) Il risultato di questa apatia spirituale e` il progressivo
infiacchimento dell'anima, una specie di anemia spirituale che apre la
via all'invasione d'un germe morboso, vale a dire ad una delle tre
concupiscenza, o talora anche a tutte e tre insieme.

a) Essendo le vie di accesso all'anima mal custodite, i sensi interni
ed esterni s'aprono facilmente alle perniciose suggestioni della
curiosita` e della sensualita` e sorgono frequenti tentazioni che
vengono spesso respinte solo a meta`. Il cuore si lascia talora
arretire in pericolosi affetti; si commettono imprudenze, si scherza
col fuoco; i peccati veniali crescono e se ne ha appena qualche
dispiacere: si scivola su un pericoloso pendi`o, si fiancheggia
l'abisso, ed e` gran ventura se insensibilmente non vi si trabocca.

b) D'altra parte l'orgoglio, non mai ben represso, rinnova i suoi
assalti; si continua a compiacersi di se`, delle proprie doti, dei
buoni successi esterni. A meglio glorificarsi, uno si paragona con
altri piu` rilassati di lui, disprezzando come animi gretti e
meticolosi i fedeli al dovere. Quest'orgoglio porta all'invidia, alla
gelosia, a impeti d'impazienza e di collera, ad asprezze nelle
relazioni col prossimo.

c) La cupidigia si riaccende: occorre denaro onde procacciarsi
maggiori godimenti e fare miglior comparsa; e a procurarselo si
ricorre a mezzi poco delicati, poco onesti, che rasentano
l'ingiustizia.

1273. Quindi peccati veniali numerosi e deliberati, a cui appena si
bada, perche` il giudizio della mente e la delicatezza della coscienza
a poco a poco s'affievoliscono: si vive infatti in dissipazione
abituale e si fanno male gli esami di coscienza. Quindi diminuisce
l'orrore del peccato mortale, le grazie di Dio si fanno piu` rare e se
ne trae minor profitto; insomma tutto l'organismo spirituale
s'infiacchisce e quest'anemia prepara vergognose cadute.

1274. 3^ I gradi. Risulta da quanto abbiamo detto che vi sono molti
gradi nella tiepidezza; ma in pratica basta distinguere la tiepidezza
iniziata e la tiepidezza consumata.

a) Nel primo caso si ha ancora orrore del peccato mortale, benche` si
commettano imprudenze che possono condurvi: si cade pero` facilmente in
peccato mortali deliberati, massimamente in quelli che dipendono dal
difetto dominante; si mette poi poca attenzione negli esercizi di
pieta` che si fanno spesso per abitudine. b) A forza di lasciarsi
andare a tali colpevoli negligenze, l'orrore istintivo per il peccato
mortale cessa e l'amore del piacere cresce cosi` che si arriva a
deplorare che questo o quell'altro diletto sia proibito sotto pena di
colpa grave. Onde si cacciano ormai molto fiaccamente le tentazioni e
viene il momento in cui uno dubita, e non senza ragione, se sia ancora
in istato di grazia: e` la tiepidezza consumata.
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24/10/2013 13:08
 
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II. I pericoli della tiepidezza.

1275. Il pericolo speciale di questo stato sta nel progressivo
indebolimento delle forze dell'anima che e` ancor piu` pericoloso di un
peccato mortale isolato. In questo senso Nostro Signore dice al
tiepido: "Conosco le opere tue e che non sei ne` freddo ne` caldo.
Sarebbe meglio che tu fossi o freddo o caldo. Ora perche` sei tiepido,
ne` freddo ne` caldo, comincero` a vomitarti dalla mia bocca. Tu vai
dicendo: sono ricco e dovizioso e non ho bisogno di nulla; e non sai
che sei meschino e miserabile e povero e cieco e nudo" 1275-1. Tal
e` del resto la differenza che corre tra le malattie croniche e le
acute: queste, guarite che siano, non si lasciano spesso dietro nessun
molesto vestigio; le prime invece, avendo lentamente esaurito il
corpo, lo lasciano a lungo in stato di grande debolezza. Vediamo la
cosa un poco piu` ampiamente.

1276. 1^ Il primo effetto della tiepidezza e` una specie di
accecamento della coscienza; a forza di voler sempre scusare e
palliare le proprie colpe, si giunge a falsarsi il giudizio e
considerar come leggere colpe che in se` sono gravi; onde uno si forma
una coscienza lassa, che non sa piu` rilevare la gravita` delle
imprudenze o dei peccati che si commettono, che non ha piu` sufficiente
virtu` per detestarli e che cade presto in colpevoli illusioni: "Tal
via pare ad uno diritta che poi finisce in fondo alla morte: est via
quae videtur homini justa, novissima autem ejus ducunt ad
mortem" 1276-1. Uno si crede ricco perche` e` superbo, ma in realta`
e` povero e miserabile agli occhi di Dio.

1277. 2^ Ne segue un progressivo infiacchimento della volonta`.

a) A furia di concessioni fatte alla sensualita` e all'orgoglio in cose
piccole, si giunge a cedere in cose piu` importanti; perche` tutto e`
connesso nella vita spirituale. La S. Scrittura c'insegna che chi
trascura il poco che ha, andra` presto in rovina 1277-1; che chi e`
fedele nelle cose piccole, lo e` pure nelle grandi, e che chi e`
ingiusto nelle cose piccole lo e` pure nelle grandi 1277-2; il che
significa che l'attenzione o la negligenza che uno mette in certe
azioni, la mette poi anche in azioni simili.

b) Si arriva presto alla ripugnanza allo sforzo: essendo allentata
l'energia della volonta`, uno si abbandona alle inclinazioni della
natura, alla noncuranza, all'amore del piacere. Pendi`o pericoloso che,
chi presto non lo risalga, conduce a colpe gravi.

c) Infatti, cosi` operando uno abusa delle grazie, resiste spesso alle
ispirazioni dello Spirito Santo, e quindi ascolta piu` facilmente la
voce del piacere, cede alle cattive inclinazioni e finisce col peccare
gravemente.

1278. Caduta tanto piu` difficile a riparare in quanto che e` quasi
insensibile; si scivola, a cosi` dire, in fondo all'abisso senza gravi
scosse. Uno tenta allora d'illudersi cercando di persuadersi che il
peccato e` solo veniale, che, se la materia e` grave, non ci fu pero`
pieno consenso, che fu peccato di sorpresa da non potere arrivare a
mortale.

Cosi` uno si falsa la coscienza e non fa che una confessione
superficiale come le precedenti. Il confessore ne resta ingannato, e
puo` essere l'inizio di una lunga serie di sacrilegi. Quando una palla
piomba dall'alto ha forza di rimbalzare, ma se scivola in fondo
all'abisso, vi rimane: tal e` qualche volta la sorte delle anime
tiepide! Conviene quindi indicarne i rimedi.
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III. I rimedi della tiepidezza.

1279. Nostro Signore stesso indica questi rimedi: "Ti consiglio di
comprare da me dell'oro provato al fuoco onde tu ti arricchisca (e`
l'oro della carita` e del fervore) e delle vesti bianche da vestirtene,
onde non apparisca la vergogna della tua nudita` (le vesti bianche
della purita` di coscienza) e del collirio da ungertene gli occhi onde
tu vegga (il collirio della sincerita` con se stesso e col confessore).
Io quelli che amo li riprendo e li castigo. Abbi adunque zelo e fa
penitenza. Ecco che io sto alla porta e picchio: se qualcuno udra` la
mia voce e m'aprira` la porta, entrero` da lui e cenero` con lui e lui
con me" 1279-1. Non bisogna dunque mai disperare: Gesu` e` sempre
pronto a restituirci la sua amicizia e anche la sua intimita`, se ci
convertiamo. Onde:

1280. 1^ Bisogna ricorrere frequentemente a un savio confessore,
aprirgli francamente l'anima e pregarlo sinceramente di scuoterci dal
nostro torpore; e poi riceverne e seguirne i consigli con energia e
costanza.

2^ Sotto la sua direzione si tornera` alla pratica fervorosa degli
esercizi spirituali, soprattutto di quelli che assicurano la fedelta`
agli altri, l'orazione, l'esame di coscienza e l'offerta spesso
rinnovata delle proprie azioni, n. 523-528. Il fervore di cui qui
si tratta non e` il fervore sensibile, ma la generosita` della volonta`
che si sforza di non ricusar nulla a Dio.

3^ Si riprendera` pure la pratica assidua delle virtu` e dei doveri del
proprio stato, facendo a mano a mano l'esame particolare sui punti
principali e rendendone poi conto in confessione, nn. 265,
468-476.

Si tornera` cosi` al fervore; non si dimentichi pero` che le colpe
passate esigono riparazione in spirito e opere di penitenza.
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APPENDICE: REGOLE SUL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI PER LA VIA
ILLUMINATIVA.

1281. Abbiamo gia` esposte, seguendo S. Ignazio, le regole sul
discernimento degli spiriti per gl'incipienti, n. 953-957. E` utile
compendiare or qui quelle che questo santo da` per la via illuminativa,
o per la seconda settimana degli Esercizi. Si riferiscono a due punti
principali:
* 1^ le consolazioni spirituali;
* 2^ i desideri o disegni per l'avvenire.

1282. 1^ Regole sulle consolazioni. a) E` proprio dello spirito
buono, quando si avvicina a un'anima di buona volonta`, darle la vera
letizia spirituale, quella che e` accompagnata dalla pace. E` proprio
dello spirito cattivo combattere questa letizia con ragioni speciose,
con sottigliezze, con illusioni: si direbbe un astuto avvocato che
difende una cattiva causa. Questa regola e` fondata sul fatto che Dio e`
autore della pace, mentre il demonio getta il turbamento nell'anima
per scoraggiarla.

b) Dio solo puo` dare la vera consolazione senza che ci sia preceduta
alcuna causa capace di produrla: egli solo infatti puo` penetrare
nell'intimo dell'anima per attirarla e volgerla a se`. Diciamo che la
consolazione non ebbe causa precedente quando nulla si presento` atto a
farla nascere. Poniamo che, mentre l'anima sta immersa nella
desolazione, si senta tutt'a un tratto rassicurata, piena di gioia, di
forza e di buona volonta`; tale ful il caso di S. Francesco di Sales
dopo i violenti scrupoli che l'avevano assalito.

c) Quando e` preceduta da una causa, la consolazione puo` provenire
dallo spirito buono o dal cattivo: viene dal primo, se rende l'anima
piu` illuminata e piu` forte nel bene; viene dal demonio, se produce il
rilassamento, la mollezza, l'amor dei godimenti o dell'onore, la
presunzione. Ossia si giudica l'albero dai frutti.

d) E` proprio dell'angelo cattivo di trasformarsi in angelo di luce, di
assecondare sulle prime i sentimenti dell'anima pia e finir poi con
ispirarle i suoi. Cosi`, quando vede che un'anima si da` alla virtu`, le
suggerisce da principio sentimenti conformi alle virtuose sue
disposizioni; poi, toccandone l'amor proprio, le suggerisce sentimenti
di vana compiacenza o di presunzione, eccessi nelle penitenze, per
condurla poi allo scoraggiamento; o per opposto qualche addolcimento
nel genere di vita, sotto pretesto di salute o di studi. Onde la fa a
poco a poco decadere.

1283. 2^ Regole sui desideri o disegni. a) Nei nostri desideri e nei
nostri disegni dobbiamo attentamente esaminare se il principio, il
mezzo e il fine tendono al bene; perche`, se in alcuno di questi
momenti c'e` qualche cosa di cattivo, di dissipato, o di meno buono di
quello che ci eravamo gia` proposti; o se questi desideri ci inquietano
l'anima, la turbano e la indeboliscono, e` prova che procedono dal
cattivo spirito, nemico del nostro progresso e della nostra eterna
salute. La ragione e` che, perche` un'azione sia buona, non ci
dev'essere nulla di contrario alla volonta` di Dio o al bene spirituale
dell'anima; se quindi in alcuno dei suoi elementi si scorge qualche
difetto, e` questo il segno dello spirito maligno.

b) Scoperto che sia questo intervento del demonio, e` cosa utile rifare
il corso dei buoni pensieri e vedere in che modo i demonio si sia a
poco a poco introdotto nell'anima per turbarla e tentare d'indurla al
male. Questa esperienza ci somministrera` i mezzi di stare piu` tardi in
guardia contro gli artifizi del nemico.

c) C'e` pure un'altra regola tratta dal modo di operare del buono e del
cattivo spirito: il primo opera dolcemente sull'anima che progredisce,
come rugiada che penetra una spugna; il secondo opera rumorosamente,
come temporale che picchia sui sassi.

d) Anche quando la consolazione viene da Dio, bisogna saper
distinguere tra il tempo della consolazione e quello che la segue: nel
primo si opera sotto l'ispirazione della grazia; nel secondo si
formano risoluzioni e disegni che non sono immediatamente ispirati da
Dio e che devono quindi essere diligentemente esaminati secondo le
regole precedenti.

1284. 3^ A queste regole tracciate da S. Ignazio se ne possono
aggiungere alcune altre che risultano da quanto abbiamo detto in
questo secondo libro.

a) Aspirare a una perfezione intempestiva, al di fuori dei doveri del
proprio stato, praticando virtu` di parata e rendendosi singolare, e`
segno dello spirito cattivo, perche` il buono ci porta certamente ad
alta perfezione ma compatibile coi doveri del nostro stato e con la
vita umile e nascosta.

b) Il disprezzo delle cose piccole e il desiderio di santificarsi in
grande non sono segno dello spirito buono, che inclina alla perfetta
fedelta` ai doveri del proprio stato e alla pratica delle piccole
virtu`: "iota unum aut unus apex non praeteribit a lege, donec omnia
fiant" 1284-1.

c) Il volontario compiacersi di se` quando si crede di aver fatto bene,
il desiderio di essere stimati per la pieta` e la virtu`, sono cose
opposte allo spirito cristiano che cerca prima di tutto di piacere a
Dio: "Si adhuc hominibus placerem, servus Christi non
essem" 1284-2. Quindi la falsa umilta` che dice male di se` per
farsi lodare, e la falsa dolcezza che non e` in fondo se non desiderio
di piacere agli uomini, sono contrarie allo spirito di Dio.

d) Lagnarsi, impazientirsi, disanimarsi nelle prove e nelle aridita`, e`
segno dello spirito umano; lo spirito di Dio ci porta invece all'amore
della croce, alla rassegnazione, al santo abbandono, e ci fa
perseverare nell'orazione anche fra le aridita` e le distrazioni.
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24/10/2013 13:09
 
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SINTESI DEL LIBRO SECONDO.

1285. 1^ Il fine della via illuminativa e` di metterci alla sequela
di Gesu`, imitandone le virtu`, per quanto lo consente la nostra
debolezza; e cosi` si cammina alla luce dei suoi esempi: "Qui sequitur
me, non ambulat in tenebris, sed habebit lumen vitae" 1285-1. Far
di Gesu` il centro dei nostri pensieri, dei nostri affetti,
dell'intiera nostra vita: ecco l'ideale a cui ci studiamo di
avvicinarci ogni giorno piu`.

Egli e` per questo che l'orazione diventa affettiva, e che teniamo
continuamente Gesu` dinanzi agli occhi per adorarlo, nel cuore per
amarlo e attirarlo in noi, nelle mani per praticare le virtu` in unione
con lui. Le virtu` che pratichiamo sono le virtu` teologali e le virti
morali; e si prestano scambievolmente aiuto. Vi sono pero` come due
fasi nello sviluppo della nostra vita: nella prima insistiamo di piu`
sulle virtu` morali, nella seconda sulle virtu` teologali.

1286. 2^ Bisogna infatti prima indocilire le nostre facolta` per
unirle a Dio. Il che fanno le virtu` morali:

1) La prudenza indocilisce l'intelletto, abituandolo a riflettere
prima di operare, a consigliare con Dio e coi suoi rappresentanti, e
lo fa quindi partecipare alla divina sapienza.

2) La giustizia indocilisce la volonta`, abituandola a rispettare i
diritti di Dio e del prossimo con la pratica della perfetta onesta`,
della religione e dell'obbedienza ai superiori; avvicinandoci cosi`
alla giustizia di Dio.

3) La fortezza indocilisce le passioni violente, ne modera e ne
raffrena i traviamenti, ne dirige le forze vive verso il bene
soprannaturale difficile a conseguire; ci fa praticare la magnanimita`,
la munificenza, la pazienza, la costanza, e ci avvicina cosi` alla
fortezza di Dio.

4) A smorzare e disciplinare l'amor del piacere, la temperanza ci
aiuta a mortificar la gola con la sobrieta`, a vincere la volutta` con
la castita`, a dominar la superbia con l'umilta` e la collera con la
dolcezza. Cosi` l'anima potra` praticar meglio le virtu` unificative.

1287. 3^ Viene allora la seconda fase della via illuminativa che ci
unisce direttamente a Dio.

1) La fede, con le sue chiarita` temperate da una certa oscurita`,
assoggetta e unisce l'intelletto a Dio e ci fa partecipare al pensiero
divino.

2) La speranza, come leva potente, inalza la volonta`, la distacca
dalle cose terrene, ne rivolge i desideri e le ambizioni al cielo, e
ci unisce a Dio, fonte della nostra felicita`, onnipotente e
infinitamente buono, dal quale fiduciosamente aspettiamo tutti gli
aiuti necessari a conseguire il fine soprannaturale.

3) La carita` ci solleva anche piu` in alto, ci fa amar Dio per se
stesso, perche` e` in se` infinitamente buono, e ci fa amare il prossimo
per Dio, come riflesso delle divine sue perfezioni. Unisce quindi
l'anima intieramente a Dio.

Questo doppio amore andiamo ad attingere nel Sacro Cuore di Gesu`:
strettamente uniti a lui, trionfiamo del nostro egoismo, e
appropriandoci l'amore e i sentimenti di Gesu`, viviamo per Dio com'e`
vissuto lui: "Ego vivo propter Patrem" 1287-1.

1288. 4^ Nel corso delle nostre ascensioni bisogna certo che ci
aspettiamo i contrattacchi del nemico: i sette peccati capitali
tentano d'insinuarcisi, in forma attenuata, fin nel piu` intimo
dell'anima e, se non stiamo all'erta, ci fanno cadere nella
tiepidezza. Ma le anime vigilanti, appoggiandosi sopra Gesu`,
respingono questi assalti, anzi se ne giovano per rassodarsi nella
virtu` preparandosi cosi` ai gaudii e alle prove della via unitiva.
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1263-1 La notte oscura, l. I, c. II-VII.

1266-1 S. Teresa, scrivendo al fratello Lorenzo de Cepeda che
s'era lagnato di noie cosiffatte, gli da` questo consiglio: "Quanto
alle miserie di cui vi lagnate, non bisogna farne caso. Benche` io non
possa parlarne per esperienza, perche` Dio mi ha sempre preservata da
tali passioni, pure mi spiego la cosa. L'intensita` stessa delle
delizie dell'anima produce cotesti moti nella natura. E` cosa che con
la grazia di Dio passera`, se baderete a non impensierirvene".
(Versione del P. Federico da S. Antonio, T. III, Parte I, Lett. XXXII,
p. 139).

1268-1 Notte oscura, c. III, n. 1.

1270-1 Bellecio, Solidae virtutis impedimenta, P. I, c. II;
Bourdaloue, Ritiro, 3^ giorno, med. Ia.; e in generale tutti gli autori
di Esercizi spirituali; G. Faber, Progressi dell'anima, c. XXV
(Marietti, Torino).

1275-1 Apoc., III, 15-17.

1276-1 Prov., XIV, 12.

1277-1 Eccli., XIX, 1.

1277-2 Luc., XVI, 10. -- In senso letterale la cose piccole
indicano i beni temporali e le grandi i beni celesti.

1279-1 Apoc., III, 18-20.

1284-1 Matth., V, 18.

1284-2 Gal., I, 10.

1285-1 Joan., VIII, 12.

1287-1 Joan., VI, 58.
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PARTE SECONDA
Le Tre Vie
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LIBRO III.

La via unitiva.
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1289. Purificata l'anima e ornatala con la pratica positiva delle
virtu`, si e` maturi per l'unione abituale ed intima con Dio, ossia per
la via unitiva.

OSSERVAZIONI PRELIMINARI 1289-1.

Prima di venire alle questioni particolari, bisogna esporre
brevemente:
* 1^ il fine a cui si mira in questa via;
* 2^ i caratteri distintivi;
* 3^ il concetto generico di contemplazione, che e` uno dei
caratteri generali di questa via;
* 4^ la divisione da tenere.

I. Il fine a cui si mira.

1290. Questo fine non e` altro che l'intima e abituale unione con Dio
per mezzo di Gesu` Cristo. E` molto bene espresso nelle parole poste
dall'Olier in testa al Pietas Seminarii: "Primarius et ultimus finis
hujus Instituti erit vivere summe Dei in Cristo Jesu Domino nostro,
ita ut interiora Filii ejus intima cordis nostri penetrent, et liceat
cuilibet dicere quod Paulus fiducialiter de se praedicabat: Vivo, jam
non ego; vivit vero in me Christus" 1290-1.

Vivere unicamente per Dio, il Dio vivente, la SS. Trinita`, che abita
in noi, per lodarlo, servirlo, riverirlo e amarlo: ecco il fine del
perfetto cristiano; vivere non in modo mediocre ma intenso, con tutto
il fervore che viene dall'amore; e quindi obliar se stessi per non
pensar piu` che a quel Dio che si degna di vivere in noi, ad amarlo con
tutta l'anima, a concentrare in lui tutti i pensieri, i desideri, le
azioni. E` il modo di attuare quella preghiera di Prima in cui
chiediamo a Dio che diriga, che santifichi, che regga e che governi
l'anima e il corpo nostro, i sentimenti, le parole e le opere nostre,
onde assoggettarle intieramente alla santa sua volonta`. "Dirigere et
sanctificare, regere et gubernare dignare, Domine Deus, Rex caeli et
terre, hodie corda et corpora nostra, sensus, sermones et actus
nostros in lege tua^ et in operibus mandatorum tuorum..."

1291. Ma, essendone incapaci da noi stessi, vogliamo intimamente
unirci a Cristo Gesu`, in Christo Jesu: incorporati a lui col
battesimo, vogliamo stringere vie piu` questa intima unione col
fervoroso uso dei sacramenti e soprattutto colla santa comunione
prolungata col raccoglimento abituale, affinche` le sue interiori
disposizioni diventino nostre, ispirino tutte le nostre azioni, onde
possiamo ripetere e praticare il detto di S. Paolo: "Io vivo, ma non
sono piu` io che vivo, e` Gesu` che vive in me". A conseguire questo
lieto effetto, Gesu` coi suoi meriti e colle sue preghiere ci manda il
divino suo Spirito, quello Spirito che nell'anima sua operava le
perfette disposizioni ond'era animata; e noi, lasciandoci guidare da
questo divino Spirito, obbedendo prontamente e generosamente alle sue
ispirazioni, pensiamo, parliamo e operiamo come farebbe Gesu` se fosse
al nostro posto. E` quindi lui che vive in noi, che con noi e per noi
glorifica Dio, che ci santifica e ci aiuta a santificare i fratelli.
Se dunque in questa via la devozione alla SS. Trinita` diviene
predominante, non si cessa per questo di unirsi al Verbo Incarnato,
per mezzo di lui risalendo al Padre: "nemo venit ad Patrem nisi per
me" 1291-1.

II. I Caratteri distintivi della via unitiva.

Questi caratteri si compendiano in uno solo, il bisogno di semplificar
tutto, di ridur tutto all'unita`, vale a dire all'intima unione con Dio
per mezzo della divina carita`.

1292. 1^ L'anima vive quasi costantemente alla presenza di Dio, e si
diletta di contemplarlo vivente nel suo cuore, "Ambulare cum Deo
intus", diligentemente distaccandosi dalle creature "non aliqua^
affectione teneri foris". Onde cerca la solitudine e il silenzio;
costruisce a poco a poco nel cuore una celletta in cui trova Dio e gli
parla cuore a cuore. Si forma allora tra Dio e lei una dolce intimita`.

"L'intimita`, dice Mgr Gay 1292-1, e` la coscienza che coloro che si
amano hanno dell'armonia che corre tra loro: coscienza piena di luce,
di unzione, di letizia e di fecondita`. E` il sentimento e l'esperienza
delle loro mutue attrattive, della loro affinita`, del'intiera loro
corrispondenza se non della perfetta loro somiglianza... E` l'unione
fino all'unita` e quindi l'unita` senza la solitudine. E` una sicurezza
reciproca, una fiducia illimitata, una voluta semplicita` che rende le
anime tutte trasparenti; e` in fine, e per conseguenza, la piena
liberta` che si danno di guardarsi sempre a vicenda e vedersi sino al
fondo dell'anima". Tal e` l'intimita` che Dio permette anzi si degna
offrire alle anime interiori, come e` bene spiegato dall'autore
dell'Imitazione: Frequens illi visitatio cum homine interno, dulcis
sermocinatio, grata consolatio, multa pax, familiaritas stupenda
nimis" 1292-2.

1293. 2^ Onde l'amor di Dio ne diventa non solo la virtu` principale
ma l'unica virtu`, si puo` dire, nel senso che tutte le altre virtu` da
lei praticate non sono per lei che atti d'amore.

Cosi` la prudenza non e` per lei che un affettuoso sguardo alle cose
divine per trovarvi la regola dei suoi giudizi; la giustizia,
un'imitazione quanto piu` possibile perfetta della divina rettitudine;
la fortezza, una totale signori`a delle passioni; la temperanza, un
intiero obli`o dei terreni diletti per non pensare che ai gaudii del
cielo 1293-1. A piu` forte ragione sono per lei esercizio di
perfetto amore le virtu` teologali: la fede non e` piu` soltanto un atto
rinnovato ogni tanto, e` lo spirito di fede e la vita di fede informata
dalla carita`, fides quae per caritatem operatur; la speranza e` filiale
confidenza e santo abbandono. A queste altezze tutte le virtu` non sono
ormai che una virtu` sola, sono, a cosi` dire, forme varie della carita`:
caritas patiens est, benigna est...".

1294. 3^ Pari semplificazione avviene nell'orazione: scompaiono a
poco a poco i ragionamenti per far posto a pii affetti; e questi a
loro volta si semplificano, come presto spiegheremo, diventando
affettuoso e prolungato sguardo su Dio.

1295. 4^ Onde poi semplificazione in tutta quanta la vita: prima
l'anima aveva ore determinate per la meditazione e la preghiera, ora
la sua vita e` continua preghiera; o lavori o si ricrei, sola o in
compagnia, s'innalza continuamente a Dio, conformando la sua volonta` a
quella di lui: "Quae placita sunt ei facio semper" 1295-1.
Conformita` che non e` per lei se non un atto di amore e di abbandono
nelle mani di Dio; le preghiere, le azioni ordinarie, i patimenti, le
umiliazioni sue sono tutte imbevute di amor di Dio: Deus meus et
omnia.

1296. Conclusione. Si puo` da questo vedere chi sono coloro a cui
conviene la via unitiva: sono quelli che riuniscono le tre condizioni
seguenti:

a) Una grande purita` di cuore, vale a dire non solo la espiazione e la
riparazione delle colpe passate, ma anche il distacco da tutto cio` che
potrebbe condurre al peccato, l'orrore per ogni peccato veniale
deliberato e anche per ogni volontaria resistenza alla grazia; il che
per altro non esclude qualche colpa veniale di fragilita`, che e` del
resto vivamente e prontamente detestata. Questa purificazione
dell'anima, abbozzata nella via purgativa, perfezionatasi nella via
illuminativa colla pratica positiva delle virtu` e colla generosa
accettazione delle croci provvidenziali, ricevera` nella via unitiva il
suo compimento colle prove passive che presto descriveremo.

b) Una grande padronanza di se`, acquistata colla mortificazione delle
passioni e colla pratica delle virtu` morali e teologali, che,
disciplinando le nostre facolta`, le assoggetta a poco a poco alla
volonta` e la volonta` a Dio. Si ristabilisce cosi`, fino a un certo
punto, l'ordine primitivo; onde, padrona di se`, l'anima puo` darsi
intieramente a Dio.

c) Un abituale bisogno di pensare a Dio, di trattenersi con lui, e se,
per dovere del proprio stato, attende a cose profane, si sforza di non
perdere di vista la divina presenza e si volge istintivamente verso di
lui come la calamita verso il polo: "oculi mei semper ad
Dominum" 1296-1.

III. Nozione generale della contemplazione 1297-1.

A forza di pensare a Dio, uno fissa amorosamente lo sguardo su di lui,
e si ha cosi` la contemplazione, che e` una delle note caratteristiche
di questa via.

1297. 1^ Contemplazione naturale. Contemplare in generale significa
guardare un oggetto con ammirazione. C'e` una contemplazione naturale,
che puo` essere sensibile, immaginativa o intellettuale.

1) E` sensibile, quando si guarda a lungo e con ammirazione un bello
spettacolo, per esempio, l'immensita` del mare o una maestosa catena di
monti. 2) Si chiama immaginativa, quando uno colla fantasia si
rappresenta a lungo, con ammirazione ed affetto, cosa o persona amata.
3) Si dice intellettuale o filosofica, quando si fissa la mente con
ammirazione e con sguardo complessivo su qualche grande sintesi
filosofica, per esempio, sull'Essere assolutamente semplice ed
immutabile, principio e fine di tutti gli esseri.

1298. 2^ Contemplazione soprannaturale. Vi e` pure una contemplazione
soprannaturale e di questa intendiamo parlare. Ne esporremo la nozione
e le specie.

A) Nozione. La parola contemplazione indica, in senso proprio, un atto
di semplice vista intellettuale, astraendo dai vari elementi affettivi
o immaginativi che l'accompagnano; ma, quando l'oggetto contemplato e`
bello ed amabile, l'atto si associa ad ammirazione e amore. Per
estensione si chiama contemplazione un'orazione che ha per qualita`
speciale il predominio di questo semplice sguardo; onde non e`
necessario che questo atto duri tutto il tempo dell'orazione, basta
che sia frequente e accompagnato da affetti. L'orazione contemplativa
si distingue quindi dall'orazione discorsiva, n. 667, perche`
esclude i lunghi ragionamenti; e dall'orazione affettiva, n. 976,
perche` esclude la moltiplicita` degli atti che qualificano
quest'ultima. Si puo` dunque definirla: una vista semplice e affettuosa
di Dio o delle cose divine; e piu` brevemente simplex intuitus
veritatis, come dice S. Tommaso 1298-1.

1299. B) Specie. Si possono distinguere tre specie di
contemplazione: la contemplazione acquisita, la contemplazione infusa
e la contemplazione mista 1299-1.

a) La contemplazione acquisita non e` in fondo che orazione affettiva
semplificata e si puo` definire: una contemplazione in cui la
semplificazione degli atti intellettuali ed affettivi e` il frutto
della nostra attivita` aiutata dalla grazia. Spesso anche i doni dello
Spirito Santo vi intervengono in modo latente, massime quello della
scienza, dell'intelletto e della sapienza, per aiutarci a fissare
amorosamente lo sguardo su Dio, come spiegheremo piu` avanti.

1300. b) La contemplazione infusa o passiva e` essenzialmente
gratuita, e non possiamo procurarcela con i nostri sforzi, aiutati
dalla grazia ordinaria. Onde si puo` definirla: una contemplazione in
cui la semplificazione degli atti intellettuali ed affettivi risulta
da una grazia speciale, grazia operante, che s'impossessa di noi e ci
fa ricevere lumi ed affetti che Dio opera in noi col nostro consenso.

E` quindi detta infusa, non perche` proceda dalle virtu` infuse,
procedendone anche la contemplazione acquisita, ma perche` non e` in
nostro potere il produrre questi atti, data pure la grazia ordinaria;
non e` pero` Dio solo che opera in noi, perche` lo fa col libero nostro
consenso, in quanto che noi liberamente riceviamo cio` che egli ci da`.
Se l'anima, sotto l'influsso di questa grazia operante, e` detta
passiva, gli e` perche` riceve doni divini, ma, ricevendoli, vi da` il
suo consenso 1300-1, come appresso spiegheremo. Da S. Teresa e`
chiamata soprannaturale, perche` e` tale per doppio ragione, primo per
lo stesso titolo degli altri atti soprannaturali, e poi perche` Dio
opera in noi in modo specialissimo.

1301. c) Si distingue pure una contemplazione mista. Vedremo infatti
appresso che la contemplazione infusa e` talvolta brevissima; onde puo`
accadere che, in una stessa orazione, gli atti dovuti all'attivita`
nostra si alternino con gli atti prodotti sotto l'azione speciale
della grazia operante; cosa che avviene specialmente a quelli che
cominciano ad entrare nella contemplazione infusa. La contemplazione e`
allora mista, ossia alternativamente attiva e passiva; ma generalmente
viene classificata nella contemplazione infusa, di cui e`, a cosi` dire,
il primo grado.
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IV. Divisione del libro terzo.

1302. Nella via unitiva si possono distinguere due forme o due fasi
diverse: 1302-1

1^ La via unitiva semplice o attiva, qualificata dalla coltura dei
doni dello Spirito Santo, specialmente dei doni attivi, e dalla
semplificazione dell'orazione che diventa una specie di contemplazione
attiva o contemplazione impropriamente detta.

2^ La via unitiva passiva o mistica in senso proprio, che e`
qualificata dalla contemplazione infusa o contemplazione propriamente
detta.

3^ Inoltre, alla contemplazione s'aggiungono talora fenomeni
straordinari, come le visioni e le rivelazioni, a cui s'oppongono le
contraffazioni diaboliche, l'infestazione e l'ossessione.

4^ In materie cosi` difficili non e` meraviglia che vi siano dispareri
od opinioni controverse, che esamineremo in un capitolo a parte.

A modo di conclusione, indicheremo quale dev'essere la condotta del
direttore verso i contemplativi.
* Cap. I. Della via unitiva semplice o attiva.
* Cap. II. Della via unitiva mistica o passiva.
* Cap. III. Dei fenomeni mistici straordinari.
* Cap. IV. Questioni controverse.
* Cap. V. Della direzione dei contemplativi.
_________________________________________________________________

1289-1 Filippo della SS. Trinita`, op. cit., P. IIIa., Tr. I,
dis. I; T. da Vallgornera, op. cit., q. IV, dis. I; A. Saudreau, I
gradi della Vita spirituale, t. II, Vita unitiva, Prologo (Marietti,
Torino); P. Garrigou-Lagrange, op. cit, t. I, Introduction.

1290-1 Gal., II, 20.

1291-1 Joan., XIV, 6.

1292-1 Ele'vations sur la vie... de N. S. J. C., elev. 52a., t. I,
p. 429.

1292-2 De imit., l. II, cap. I, 1.

1293-1 E` molto bene esposto da S. Tommaso, Ia. IIae, q. 61, a. 5:
"Quaedam vero sunt virtutes jam assequentium divinam similitudinem, quae
vocantur virtutes jam purgati animi; ita scilicet quod prudentia sola
divina intueatur; temperantia terrenas cupiditates nesciat; fortitudo
passiones ignoret; justitia cum divina^ mente perpetuo foedere
societur, eam scilicet imitando; quas quidem virtutes dicimus esse
beatorum vel aliquorum in ha^c vita^ perfectissimorum."

1295-1 Joan., VIII, 29.

1296-1 Ps. XXIV, 15.

1297-1 P. de Guibert, R. A. M., aprile 1922, Trois de'finitions de
the'ologie mystique, p. 162-172; Theologia spiritualis ascetica et
mystica, Introductio (Romae, 1926); P. Garrigou-Lagrange, Perf. et
contemplation, t. I, c. IV, a. 2, p. 272-294; Gabr. de S. Marie-Madel,
La contemplation acquise, in Vie spirit., sett. 1923, p. .

1298-1 Sum theol., IIa. IIae, q. 180, a. 1 et 6.

1299-1 P. G. di S. M. Maddalena, La contemplation acquise chez les
Carmes, Vie spirit., sett. 1923, p. .

1300-1 Si puo` quindi dire della contemplazione cio` che S. Tommaso,
Ia. IIae, q. 111, a. 2 ad 3, dice della giustificazione: "Deus non sine
nobis nos justificat; quia per motum liberi arbitrii, dum
justificamur, Dei justitiae consentimus".

1302-1 Questa divisione, piu` sotto un nome che sotto un altro, e`
oggi comunemente ammessa da tutti. In un notevole articolo della Vie
Spirituelle, marzo 1923, p. 645, G. Maritain, pur proclamando l'unita`
del fine per tutti, cioe` a dire l'unione con Dio per mezzo della
carita` perfetta e dei doni dello Spirito Santo, ammette che di fatto
ci sono due vie, la via di coloro che sono sotto il governo dei doni
attivi e che non hanno se non la contemplazione impropriamente detta,
e la via dei contemplativi, in cui dominano i doni dell'intelletto e
della sapienza. Ritorneremo su questa dottrina.
_________________________________________________________________
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PARTE SECONDA
Le Tre Vie

LIBRO III
La via unitiva
_________________________________________________________________

CAPITOLO I.

Della via unitiva semplice.

1303. Questa via e` lo stato delle anime fervorose che vivono
abitualmente in intima unione con Dio, senza avere ancor ricevuto il
dono della contemplazione infusa. Abituate gia` a praticare le virtu`
morali e teologali, si sforzano di perfezionarvisi coltivando i doni
dello Spirito Santo; l'orazione si semplifica sempre piu` e diventa
orazione di semplicita` o di semplice raccoglimento, che viene chiamata
contemplazione impropriamente detta, acquisita o attiva. Che si dia
questo stato e` dimostrato dall'esperienza, dalla distinzione dei due
generi di contemplazione, come pure dalla differenza tra doni attivi e
doni contemplativi.

1304. 1^ Innanzitutto l'esperienza dimostra che vi sono nel chiosto
e nel mondo anime veramente fervorose, unite abitualmente a Dio, che
praticano con generosita` e costanza le virtu` cristiane, talora anche
in modo eroico, e che pure non hanno la contemplazione infusa. Anime
cosiffatte sono docili allo Spirito Santo, corrispondono abitualmente
alle sue ispirazione, ricevono anche ogni tanto lumi e ispirazioni
speciali, ma nessuna prova scorgono esse o il loro direttore per
affermare che si trovino nello stato passivo propriamente
detto 1304-1.

1305. 2^ Ed e` pure cio` che risulta dalla distinzione tra
contemplazione acquisita e contemplazione infusa, di cui troviamo
vestigio anche presso Clemente Alessandrino 1305-1 e Riccardo da
S. Vittore, distinzione che divenne classica a cominciare dalla fine
del secolo decimo settimo: le anime che rimangono nella contemplazione
acquisita per un notevole periodo della vita, sono nella via unitiva
semplice.

Qui, a scanso di equivoci, non diciamo che vi siano due vie
divergenti, perche` ammettiamo invece che la contemplazione acquisita
sia ottima disposizione alla contemplazione infusa, quando piaccia a
Dio di darcela. Ma vi sono molte anime che non la ricevono pur vivendo
intimamente unite a Dio; onde restano nella via unitiva semplice senza
necessaria colpa da parte loro 1305-2.

1306. 3^ L'argomento viene pur confermato dal fatto che, tra i doni
dello Spirito Santo, gli uni ci sono dati specialmente per l'azione e
gli altri specialmente per la contemplazione. Ora avviene che certe
anime, dotate di temperamento piu` attivo e aggravate da piu` numerose
occupazioni, coltivino specialmente i doni attivi, onde riescono meno
atti alla contemplazione propriamente detta.

Tale osservazione non sfuggi` al P. Noble 1306-1: "Non nell'affanno
del lavoro o nell'affaccendamento di affari complicati che attraggono
tutta l'attenzione, egli dice, puo` la mente concentrarsi dentro di se`
a fissare un immobile sguardo sulle realta` spirituali ed eterne. Per
contemplare non bisogna essere oppressi da assidui e faticosi lavori;
o per lo meno e` necessario potere strappar loro tanto di respiro che
il cuore e la mente si levino tranquillamente a Dio.

Ond'e` che queste anime non godranno, almeno abitualmente, della
contemplazione infusa, ma saranno strettamente unite a Dio nell'azione
e docili alle ispirazioni dello Spirito Santo: e` lo stato che noi
chiamiamo via unitiva semplice.

Avendo essa per caratteristica:
* 1^ la coltura dei doni dello Spirito Santo e
* 2^ l'orazione di semplicita`,

tratteremo per ordine di questi due elementi.
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24/10/2013 13:11
 
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ART. I. DEI DONI DELLO SPIRITO SANTO 1307-1.

Tratteremo per ordine:
* 1^ dei doni dello Spirito Santo in generale;
* 2^ di ognuno di essi in particolare;
* 3^ del loro ufficio nella contemplazione;
* 4^ dei frutti e delle beatitudini che corrispondono ai doni.

sez. I. Dei doni dello Spirito Santo in generale.

Ne esporremo:
* 1^ la natura;
* 2^ l'eccellenza;
* 3^ il modo di coltivarli;
* 4^ la varia classificazione.

I. Natura dei doni dello Spirito Santo.

1307. Abbiamo detto, n. 119, in che modo lo Spirito Santo
inabitante nel'anima vi produca, oltre la grazia abituale, abiti
soprannaturali che perfezionano le nostre facolta` e le rendono capaci
di produrre atti soprannaturali sotto l'impulso della grazia attuale.
Questi abiti sono le virtu` e i doni: determinando con esattezza la
differenza che passa tra queste due sorte di abiti, riusciremo a
intender meglio in che consistano i doni.

1308. 1^ Differenza tra i doni e le virtu`. A) La differenza
fondamentale non deriva gia` dall'oggetto materiale o dal campi di
azione che veramente e` lo stesso, ma dal diverso modo di operare
nell'anima.

Dio, come dice S. Tommaso 1308-1, puo` operare in noi in due modi:
a) adattandosi al modo umano di agire delle nostre facolta`; il che fa
nelle virtu`, aiutandoci a riflettere e a cercare i mezzi migliori per
giungere allo scopo; a rendere soprannaturali queste operazioni ci da`
le grazie attuali, ma lascia che incominciamo noi secondo le regole
della prudenza o della ragione illuminata dalla fede; onde siamo noi
che operiamo sotto l'impulso delle grazia.

b) Ma, per mezzo dei doni, Dio opera pure in una maniera superiore al
modo umano: comincia lui per il primo: prima che abbiamo avuto il
tempo di riflettere e di consultare le regole della prudenza, ci manda
istinti divini, illustrazioni e ispirazioni, che operano in noi senza
deliberazione da parte nostra, non pero` senza il nostro consenso.
Grazia cosiffatta, che sollecita soavemente e ottiene efficacemente il
nostro consenso, puo` essere chiamata grazia operante; sotto di lei noi
siamo piu` passivi che attivi, e la nostra attivita` consiste
soprattutto a liberamente consentire all'operazione di Dio, a
lasciarci guidare dallo Spirito Santo, a seguirne prontamente e
generosamente le ispirazioni.

1309. B) Con questo principio fondamentale si capiscono meglio le
differenze tra doni e virtu`.

a) Le virtu` ci inclinano ad agire conforme alla natura delle nostre
facolta`: onde noi, con l'aiuto della grazia largitaci, indaghiamo,
ragioniamo, lavoriamo allo stesso modo che negli atti di ordine
puramente naturale; sono quindi forze primieramente e direttamente
attive. I doni invece ci danno una docilita`, una ricettivita` che ci fa
ricevere e seguire gl'impulsi della grazia operante: grazia che mette
in moto le nostre facolta` senza pero` toglierne la liberta`, cosicche`
l'anima, come dice S. Tommaso, e` piu` passiva che attiva "non se habet
ut movens sed magis ut mota" 1309-1.

b) Nelle virtu` ci governiamo secondo i principi e le regole della
prudenza soprannaturale; onde dobbiamo riflettere, deliberare,
consultare, scegliere, ecc. (n. 1020); sotto l'influsso dei doni
invece ci lasciamo guidare da una ispirazione divina, che,
repentinamente, senza nostra riflessione, ci fa viva premura di operar
questa o quell'altra cosa.

c) Essendo la parte della grazia molto maggiore nei doni che nelle
virtu`, gli atti fatti sotto l'influsso dei doni sono normalmente, a
parita` di condizioni, piu` perfetti di quelli fatti sotto l'azione
delle virtu`; sono i doni quelli che ci fanno praticare il terzo grado
delle virtu` e fare atti eroici.

1310. C) A far meglio intendere questa dottrina si sogliono
adoperare vari paragoni. a) Chi pratica le virtu` naviga col remo, chi
si giova dei doni naviga colla vela: onda corre piu` rapidamente e con
meno sforzo. b) Il bambino che, sorretto dalla madre, fa alcuni passi
innanzi, e` il simbolo del cristiano che coll'aiuto della grazia
pratica le virtu`; il bambino che la madre prende di peso fra le
braccia per farlo avanzare piu` rapidamente, e` l'immagine del cristiano
che, corrispondendo alla grazia operante largitagli, si giova dei
doni. c) L'artista che pizzica le corde dell'arpa per trarne armoniose
note, e` l'immagine del cristiano che pratica le virtu`; ma quando lo
Spirito Santo viene egli stesso a far vibrare col divino suo tocco le
corde dell'anima, l'anima e` allora sotto l'influsso dei doni. Tal e` il
paragone onde si servono i Padri per esprimere l'azione di Gesu`
nell'anima di Maria: "Suavissima cithara qua^ Christus utitur ad
delicias Patris".

1311. 2^ Definizione. Dal fin qui detto si puo` conchiudere che i
doni dello Spirito Santo sono abiti soprannaturali che danno alle
facolta` tale docilita` da obbedire prontamente alle ispirazioni della
grazia. Ma, come presto diremo, questa docilita` non e` a principio che
semplice ricettivita` che ha bisogno di essere coltivata per giungere
al pieno suo sviluppo. Inoltre non entra in esercizio che quando Dio
ci concede quella grazia attuale che si chiama operante. Allora
l'anima, pur essendo passiva sotto l'azione di Dio, diventa
attivissima per farne la volonta`; e si puo` dire che i doni sono nello
stesso tempo "arrendevolezza ed energia, docilita` e forza... che
rendono l'anima piu` passiva sotto la mano di Dio e insieme piu` attiva
nel servirlo e nel compierne le opere" 1311-1.
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II. Eccellenza dei doni.

Si puo` considerare questa eccellenza in se` e in relazione alle
virtu`.

1312. 1^ In se` e` chiaro che questi doni sono eccellenti. Quanto piu`
siamo uniti e docili allo Spirito Santo, fonte d'ogni santita`, tanto
piu` siamo necessariamente perfetti. Ora i doni ci mettono sotto
l'azione diretta dello Spirito Santo, che, vivendo nell'anima,
illumina l'intelletto coi suoi lumi, indicandogli chiaramente cio` che
dobbiamo fare, infiamma il cuore e fortifica la volonta` per farle
compiere il bene suggerito. Onde sorge un'unione intima tanto quanto e`
consentito sulla terra.

Preziosi quindi ne sono gli effetti. Sono i doni che ci fanno
praticare il grado piu` perfetto delle virtu` morali e teologali, quello
che chiamiamo terzo grado, e che ispirano gli atti eroici. L'anima
viene per essi elevata, quando Dio lo voglia, alla contemplazione
infusa, essendo l'arrendevolezza e la docilita` da essi prodotta la
disposizione prossima allo stato mistico. Sono quindi la scorciatoia
per arrivare alla piu` alta perfezione.

1313. 2^ Se paragoniamo i doni colle virtu`, li troviamo, dice
S. Tommaso 1313-1, piu` perfetti delle virtu` morali o
intellettuali. Queste infatti non hanno Dio per oggetto immediato,
mentre i doni portano le virtu` a un grado superiore, dove,
confondendosi con la carita`, ci uniscono a Dio.

Cosi` la prudenza, perfezionata dal dono del consiglio, ci fa
partacipare alla luce stessa di Dio; il dono della fortezza mette in
noi, a nostra disposizione, la fortezza stessa di Dio. Ma i doni non
sono superiori alle virtu teologali, massime alla carita`; la carita`
infatti e` il primo e il piu` perfetto dei beni soprannaturali, la fonte
da cui derivano i doni. Tuttavia si puo` dire che i doni perfezionano
le virtu` teologali nel loro esercizio: cosi` il dono dell'intelletto
rende la fede piu` viva e piu` penetrante, manifestandole l'armonia
intima dei dogmi; e il dono della sapienza perfezione l'esercizio
della carita`, facendoci assaporare Dio e le cose divine. Sono quindi
mezzi che si riferiscono alle virtu` teologali come a fine,
aggiungendovi pero` maggior perfezione.
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III. Della cultura dei doni dello Spirito Santo.

1314. 1^ Sviluppo progressivo. Noi riceviamo i doni dello Spirito
Santo insieme con lo stato di grazia, ma non sono allora se non
semplici facolta` soprannaturali. Giunti l'eta` della ragione e
volgendosi il cuore a Dio, cominciamo, sotto l'influsso della grazia
attuale, a mettere in eserzicio tutto l'organismo soprannaturale,
compresi i doni dello Spirito Santo; non e` infatti credibile che
questi doni restino inoperosi e incapaci di essere utilizzati per un
lungo periodo della vita 1314-1.

Ma perche` giungano al normale e pieno sviluppo, e` necessario aver
prima praticato le virtu` morali per un tempo notevole, che varia
secondo i disegni di Dio su di noi e la cooperazione nostra alla
grazia: sono infatti queste virtu` che, come abbiamo detto,
indociliscono a poco a poco l'anima e la preparano a quella perfetta
arrendevolezza che e` richiesta al pieno esercizio dei doni. Crescono
intanto, come abiti, insieme colla grazia abituale e aggiungono spesso
le loro energie, senza che noi n'abbiamo coscienza, a quelle delle
virtu` per farci praticare gli atti soprannaturali.

Ci sono persino occasioni in cui lo Spirito Santo, con la grazia
operante, provochera`, cosi` di passaggio, un fervore insolito, che sara`
come una passeggiera contemplazione. Quale anima fervorosa infatti non
senti`, in certi momenti, certe repentine ispirazioni della grazia in
cui noi non abbiamo che da ricevere e da seguire la mozione divina?
Sara` stato nella lettura del Vangelo o di un libro pio, in una
comunione o in una visita al SS. Sacramento, in tempo di esercizi
spirituali o della scelta di uno stato di vita, di un'ordinazione, di
una vestizione; ci pareva allora che la grazia di Dio fortemente e
soavemente ci trasportasse: "satis suaviter equitat quem gratia Dei
portat".

1315. 2^ Mezzi per coltivare i doni. A) La pratica della virtu`
morali e` la prima condizione necessaria alla coltura dei doni. Tal e`
l'insegnamento di S. Tommaso 1315-1: "Virtutes morales et
intellectales praecedunt dona, quia per hoc quod homo bene se habet
circa rationem propriam disponitur ad hoc quod se bene habeat in
ordine ad Deum". Ad acquistare infatti quella divina docilita` che i
doni conferiscono bisogna aver prima domato le passioni e i vizi con
abiti di prudenza, di umilta`, di obbedienza, di dolcezza, di castita`.
Come infatti si potrebbe percepire e docilmente accogliere e seguire
le ispirazioni della grazia, quando l'anima e` agitata dalla prudenza
della carne, dall'orgoglio, dall'indocilita`, dalla collera, dalla
lussuria? Prima di essere guidati dagli impulsi divini, bisogna aver
gia` seguito le regole della prudenza cristiana; prima di obbedire ai
moti della grazia, bisogna aver osservato i comandamenti e trionfato
della superbia.

Quindi il Gaetano 1315-2, fedele commentatore di S. Tommaso,
giustamente dice: "Notino bene questo i direttori spirituali e
vigilino onde i loro discepoli si esercitino nella vita attiva prima
di proporre loro le vette della contemplazione. E` necessario infatti
domar le passioni con abiti di dolcezza, di pazienza, ecc., di
liberalita`, di umilta`, ecc., per potere poi, diventati calmi, elevarsi
alla vita contemplativa. Per difetto di questa precedente ascesi,
molti che, in cambio di camminare, vanno saltando nella via di Dio, si
trovano poi, dopo aver dato buona parte della vita alla
contemplazione, vuoti di ogni virtu`, impazienti, collerici, superbi,
per poco che siano cimentati. Cotesta gente non ebbe mai ne` la vita
attiva ne` la vita contemplativa ne` l'unione delle due, ma edifico`
sull'arena e Dio volesse che fosse questo un difetto raro".

1316. B) Si coltivano pure i doni combattendo lo spirito del mondo,
che e` diametralmente opposto allo Spirito di Dio. E` quello che vuole
da noi S. Paolo: "Noi pero` ricevemmo non lo spirito del mondo, ma lo
spirito che e` da Dio; affinche` conosciamo quello che da Dio ci fu
largito... L'uomo naturale non accoglie le cose dello Spirito di Dio:
sono folli`a per lui e non puo` intenderle, perche` spiritualmente van
giudicate: "animalis autem homo non percipit ea quae sunt Spiritus Dei;
stultitia enim est illi, et non potest intelligere quia spiritualiter
examinatur" 1316-1. A meglio combattere questo spirito del mondo,
bisogna leggere e meditare le massime evangeliche e conformarvi la
propria condotta piu` perfettamente che sia possibile; si sara` allora
disposti a lasciarsi guidare dallo Spirito di Dio.

1317. C) Vengono quindi i mezzi positivi e diretti che ci mettono
sotto l'azione dello Spirito Santo:

a) Prima di tutto il raccoglimento interno o l'abitudine di pensar
spesso a Dio che vive non solo vicino a noi ma in noi (n. 92). Con
cio` uno giunge gradatamente a non perder di vista la presenza di Dio
anche in mezzo alle piu` gravi occupazioni; si ritira spesso nella
celletta del proprio cuore per trovarvi lo Spirito Santo e ascoltarne
la voce: "Audiam quid loquatur in me Dominus Deus" 1317-1.
S'avvera allora cio` che dice l'autore dell'Imitazione: "Beata anima
quae Dominum in se loquentem audit et de ore ejus verbum consolationis
accipit" 1317-2; lo Spirito Santo parla al cuore e le sue parole
recano luce, forza e consolazione.

1318. b) E poiche` questo divino spirito ci chiede sacrifici, bisogna
abituarsi a seguirne prontamente e generosamente le minime ispirazioni
quando ci parla in modo chiaro e certo: "quae placita sunt ei facio
semper" 1318-1; altrimenti cesserebbe di farsi sentire o
parlerebbe almeno piu` raramente: "Hodie si vocem ejus audieritis,
nolite obdurare corda vestra, sicut in exacerbatione secundum diem
tentationis in deserto, ubi tentaverunt me patres vestri" 1318-2.
Se i sacrifici chiestici paiono difficili, non ci disaminiamo ma, come
Agostino, domandiamo senz'altro la grazia di compierli: "Da, Domine,
quod jubes, et jube quod vis". Cio` che importa e` di non resistere mai
di proposito deliberato alle divine sue ispirazioni: quanto piu` noi
siamo docili, tanto piu` volentieri egli muove l'anima nostra.

1319. c) Bisogna anzi andargli incontro, fiduciosamente invocandolo
in unione col Verbo Incarnato che ci promise di mandarci il suo
Spirito, in unione con Colei che e` il tempio piu` perfetto e la sposa
dello Spirito Santo, come fecero gli Apostoli che nel Cenacolo
pregavano con Maria "cum Maria^, matre Jesu" 1319-1.

La Chiesa ci porge nella liturgia magnifiche preghiere per attirare su
noi lo Spirito di Dio; la sequenza Veni Sancte Spiritus, l'inno Veni
Creator Spiritus, e altre invocazioni che si trovano nel Pontificale
nel rito dell'ordinazione dei sudduaconi, dei diaconi e dei sacerdoti;
sono preci che hanno efficacia particolare, di contenuto cosi` bello
che non si possono recitare senza sentirsene piamente commossi.

Ottimo costume e` quello di recitare, prima di ogni azione, il Veni
Sancte Spiritus, come si fa nei Seminari, onde si chiede la divina
carita`, principio dei doni, e il dono della sapienza "recta sapere"
che, essendo il piu` perfetto, contiene tutti gli altri. Recitata con
attenzione e fervore, questa preghiera non puo` restar senza effetto.
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24/10/2013 13:13
 
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IV. Classificazione dei doni dello Spirito Santo.

1320. Il Profeta Isaia, vaticinando la venuta del Messia, dichiara
che riposera` su di lui lo Spirito di Dio, "spirito di sapienza e
d'intelletto, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di scienza e
di timore" 1320-1. Incorporati col battesimo a Cristo, noi
partecipiamo degli stessi doni, che, secondo l'insegnamento
tradizionale, sono sette.

Si possono classificare in varie maniere.

A) Quanto a perfezione, il meno perfetto e` il timor di Dio, e il piu`
perfetto e` il dono della sapienza.

B) Se si considerano le facolta` su cui operano, si distinguono in doni
intellettuali e in doni affettivi: i primi, che illuminano
l'intelletto, sono la scienza, l'intelletto, la sapienza e il
consiglio; i secondi, che fortificano la volonta`, sono la pieta`, la
fortezza e il timor di Dio. -- Tra i doni intellettuali, tre
specialmente producono la contemplazione infusa: i doni della scienza,
dell'intelletto e della sapienza; gli altri sono detti attivi.

C) Se si studiano i doni in corrispondenza colle virtu` da essi
perfezionate:
* il dono del consiglio perfezione la prudenza;
* il dono della pieta` perfeziona la religione, che e` virtu` annessa
alla giustizia;
* il dono del timore perfeziona la virtu` della temperanza;
* i doni della scienza e dell'intelletto perfezionano la virtu` della
fede;
* il dono del timore si riferisce alla speranza;
* il dono della scienza alla virtu` della carita`.

Noi seguiamo questa divisione, perche` fa meglio risaltare la natura di
ogni dono appaiandolo alla corrispondente virtu`.
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24/10/2013 13:13
 
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sez. II. Dei doni in particolare.

I. Il dono del consiglio.

1321. 1^ Natura. A) Il dono del consiglio perfeziona la virtu` della
prudenza, facendoci giudicare prontamente e sicuramente, per una
specie di intuizione soprannaturale, cio` che conviene fare,
specialmente nei casi difficili. Con la virtu` della prudenza noi
riflettiano e accuratamente ricerchiamo i mezzi migliori a conseguire
uno scopo, giovandoci delle lezioni del passato e traendo partito
dalle cognizioni presenti per prendere una savia risoluzione. Col dono
del consiglio la cosa corre altrimenti: lo Spirito Santo ci parla al
cuore e ci fa intendere in un istante quello che dobbiamo fare; onde
si effettua la promessa di Nostro Signore agli apostoli: "Quando
sarete posti nelle loro mani, non vi date pensiero di che o di come
abbiate a parlare, perche` in quel punto vi sara` dato cio` che dovrete
dire: nolite cogitare quomodo aut quid loquamini; dabitur enim vobis
in illa^ hora^ quid loquamini" 1321-1. Questo appunto vediamo nel
contegno di S. Pietro dopo la Pentecoste: arrestato dal Sinedrio,
riceve ordine di non predicar piu` Gesu` Cristo; ed egli subito
risponde: "Obedire oportet Dei magis quam hominibus 1321-2: e`
meglio ubbidire a Dio che agli uomini".

Molti santi godettero del dono del consiglio. S. Antonino lo possedeva
in si` alto grado che i posteri gli diedero il titolo di buon
consigliere, Antoninus consiliorum; veniva infatti consultato non solo
dai semplici fedeli, ma anche da uomini di Stato, specialmente da
Cosimo dei Medici, che lo scelse piu` volte per ambasciatore. Ammiriamo
pure questo dono in S. Caterina da Siena, la quale, benche`
giovanissima e senza studi, da` savi consigli a principi, a Cardinali,
agli stessi Sommi Pontefici; in S. Giovanna d'Arco che, ignara d'arte
militare, forma piani di guerra ammirati dai migliori capitani, e
indica ove attingesse la sua sapienza: "Voi siete stati al vostro
consiglio, e io pure sono stata al mio".

1322. B) L'oggetto proprio del dono del consiglio e` la buona
direzione delle azioni particolari; i doni della scienza e
dell'intelletto ci danno i principi generali; il dono del consiglio ce
li fa applicare ai mille casi particolari che ci si presentano: i lumi
dello Spirito Santo ci mostrano allora cio` che dobbiamo fare nel
tempo, nel luogo e nelle circostanze in cui ci troviamo; e, se siamo
incaricati di dirigere gli altri, quali consigli dobbiamo dare.

1323. 2^ Necessita`. A) A tutti questo dono e` necessario in certi
casi piu` importanti e piu` difficili, dove si tratta dell'eterna salute
o della propria santificazione, per esempio nella vocazione o in certe
occasioni di peccato che s'incontrano nell'esercizio del proprio
ufficio. Essendo la ragione umana fallibile ed incerta nelle sue vie e
non potendo procedere che lentamente, e` necessario, nei momenti
decisivi della vita, ricevere i lumi di questo divino Consigliere, che
abbraccia tutto con un unico sguardo e che in tempo opportuno ci fa
con sicurezza vedere cio` che dobbiamo fare in questa o quella
difficile circostanza 1323-1. "Col dono del consiglio, dice Mons.
Landrieux, l'anima cristiana ha il sicuro discernimento dei mezzi;
vede la propria via; e la batte intrepida, per ardua e arida e
ripugnante che sia... sapendo aspettar l'ora propizia" 1323-2.

B) Questo dono e` necessario specialmente ai superiori e ai sacerdoti,
cosi` per la propria come per l'altrui santificazione. a) E` talora cosi`
difficile saper conciliare la vita interiore con l'apostolato,
l'affetto che si deve alle anime con la perfetta castita`, la
semplicita` della colomba con la prudenza del serpente, che non e`
davvero di troppo un lume speciale dello Spirito Santo che suggerisca
nel momento opportuno la condotta da tenere. b) Parimenti i Superiori,
che devono far fedelmente osservare la regola e nello stesso tempo
conservarsi la fiducia e l'affetto dei sudditi, hanno bisogno di molto
discernimento per associare una giusta severita` con la bonta`, non
moltiplicar le prescrizioni e gli avvisi e fare osservare la regola
piu` per amore che per timore. c) Quanto ai direttori poi di qual lume
non hanno bisogno per discernere cio` che conviene a ognuno dei loro
diretti, conoscere i difetti e scegliere i mezzi migliori per
riformarli; dar retto giudizio sulla vocazione e guidare ogni anima al
grado di perfezione o al genere di vita a cui e` chiamata!

1324. 3^ Mezzi per coltivarlo. A) Per coltivar questo dono e`
necessario prima di tutto avere profondo sentimento della nostra
impotenza e ricorrere spesso allo Spirito Santo perche` ci faccia
conoscere le sue vie: "Vias tuas, Domine, demonstra mihi: et semitas
tuas edoce me" 1324-1. Verra` allora o in un modo o in un altro ad
illuminarci, perche` s'abbassa volentieri agli umili; principalmente se
ci studiamo di invocarlo fin dal mattino per tutta la giornata, poi al
principio delle principali azioni e specialmente nei casi difficili.

B) Bisogna pure abituarsi a prestare orecchio alla voce dello Spirito
Santo, a giudicar tutto alla sua luce senza lasciarsi muovere da
considerazioni umane, e a seguirne le minime ispirazioni; trovando
l'anima arrendevole e docile le parlera` al cuore con molto maggior
frequenza 1324-2.

II. Il dono della pieta`.

1325. 1^ Natura. Questo dono perfeziona la virtu` della religione,
che e` annessa alla giustizia, producendo nel cuore un affetto filiale
a Dio e una tenera devozione alle persone o alle cose divine, per
farci compiere con santa premura i doveri religiosi.

La virtu` della religione si acquista laboriosamente, il dono della
pieta` ci e` comunicato dallo Spirito Santo.

A) Ci fa vedere in Dio non piu` soltanto il supremo Padrone, ma un
ottimo e amantissimo Padre: "Accepistis spiritum adoptionis filiorum,
in quo clamamus: Abba, Pater" 1325-1. Onde ci allarga l'anima con
la confidenza e l'amore, senza escludere la debita riverenza.

Coltiva quindi in noi un triplice sentimenti: 1) Un rispetto filiale
per Dio, che ce lo fa adorare con santa premura, come un Padre
dilettissimo; onde le pratiche di pieta`, in cambio di riuscire
pesanti, diventano un bisogno dell'anima, uno slancio del cuore verso
Dio. 2) Un amor tenero e generoso, che ci porta a sacrificarci per Dio
e per la sua gloria, a fine di piacergli: "quae placita sunt ei facio
semper". Non e` quindi una pieta` egoista, che vada in cerca di
consolazioni; una pieta` inerte, che resti oziosa quando invece
bisognerebbe operare; una pieta` sentimentale, che cerchi soltanto
emozioni e si perda in fantasticherie: e` pieta` virile, che manifesta
l'amore facendo la divina volonta`. 3) Un'affettuosa ubbidienza, che
vede nei precetti e nei consigli la altamente sapiente e paterna
espressione dei divini voleri su di noi; onde un santo abbandono nelle
mani di questo amantissimo Padre, che conosce meglio di noi cio` che ci
conviene e che non ci prova se non per purificarci e unirci a lui:
"diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum" 1325-2.

1326. B) Questo stesso sentimento ci fa amare le persone e le cose
che partecipano dell'essere divino e delle sue perfezioni.

1) Onde amiamo e veneriamo la SS. Vergine, perche` e` Madre di Dio e
Madre nostra (n. 155-156); riversiamo in lei qualche cosa della
venerazione e dell'amore che abbiamo per Dio, essendo quella tra tutte
le creature che meglio riflette le divine perfezioni. 2) Cosi` pure
amiamo e veneriamo negli Angeli e nei Santi un riflesso dei divini
attributi. 3) La Sacra Scrittura diventa per noi la vera parola di Dio
e come una lettera scrittaci dal Padre celeste, che ce ne comunica il
pensiero e i disegni su di noi. 4) La Santa Chiesa e` per noi la Sposa
di Cristo, uscita dal sacro suo costato, che ne perpetua la missione
sulla terra, rivestita dell'infallibile sua autorita`; e la madre
nostra che ci genero` alla vita della grazia da lei alimentata coi
sacramenti. Prendiamo quindi parte a tutto cio` che prossimamente la
riguarda, ai suoi trionfi come alle sue umiliazioni; facciamo nostri
tutti gli interessi suoi, lieti di poterli promuovere; ne compatiamo i
dolori; abbiamo insomma per lei un amore filiale. Vi aggiungiamo pure
una cordiale ubbidienza, persuasi come siamo che l'assoggettarci ai
suoi precetti e` un ubbidire a Dio stesso: "qui vos audit, me
audit" 1326-1. 5) Il capo della Chiesa, il Sommo Pontefice, e` per
noi il luogotenente, il rappresentante visibile di Gesu` Cristo sulla
terra; onde riversiamo su lui la venerazione e l'amore che abbiamo pel
capo invisibile della Chiesa e dolce ci torna l'ubbidire a lui come a
Cristo stesso. 6) Questi sentimenti li proviamo pure verso i nostri
superiori, in cui vediamo volentieri Gesu` Cristo: "superiori meo
imaginem Christi imposui"; e se Dio ci affida degli inferiori, abbiamo
per loro quella filiale tenerezza che Dio ha per noi.

1327. 2^ Necessita`. A) Tutti i cristiani hanno bisogno di questo
dono per adempiere lietamente e premurosamente i doveri di religione
verso Dio, di rispettosa ubbidienza ai superiori e di condiscendenza
cogli inferiori. Senza di esso tratterebbero con Dio come con un
padrone: la preghiera riuscirebbe piu` un peso che una consolazione, le
prove provvidenziali parrebbero castighi severi ed anche ingiusti. Per
opera di questo dono, invece, Dio ci appare come Padre, a cui con
filiale contento porgiamo i nostri ossequi e con dolce sottomissione
baciamo quella mano che ci percuote solo per purificarci e unirci piu`
intimamente a lui.

1328. B) Questo dono e` assai piu` necessario ai sacerdoti, ai
religiosi, a tutte le persone che si consacrano a Dio pur vivendo nel
mondo. a) Senza di esso, i numerosi esercizi spirituali che formano
come la trama della loro vita, diverrebbero giogo insopportabile;
perche` non si puo` pensare lungamente a Dio che quando si ama; ora e`
appunto il dono della pieta` quello che, unito alla carita`, ci mette
nell'anima sentimenti di filiale tenerezza verso Dio, che trasformano
i pii esercizi in dolce conversazione col Padre celeste. Vengono
talora, e` vero, le aridita` a turbare questa conversazione, ma si
accettano pazientemente, anzi lietamente, come venienti da un Padre
che si nasconde solo per farsi cercare; e non desiderando che un'unica
cosa, di piacergli, si e` contenti di soffrire per lui: ubi amatur non
laboratur.

b) Non ci e` meno necessario questo dono per trattare con bonta` e
dolcezza le persone che non ci fossero naturalmente simpatiche; ed
avere paterna tenerezza per coloro che Dio si degna di affidarci,
appropriandoci i sentimenti di S. Paolo, che nei discepoli suoi voleva
formar Gesu` Cristo: "Filioli mei, quos iterum parturio donec formetur
Christus in vobis" 1328-1.

1329. 3^ Mezzi per coltivar questo dono. A) Il primo e` di meditar
frequentemente quei bei testi della Sacra Scrittura che descrivono la
bonta` e la misericordia paterna di Dio, verso gli uomini e
principalmente verso i giusti (n. 93-96). Il titolo di Padre e`
quello sotto cui si compiace di essere conosciuto ed amato, massime
nella Nuova Legge; onde dobbiamo ricorrere a lui, in ogni difficolta`,
con la premura e la confidenza di figli. Percio` amorosamente compiremo
le pratiche di pieta`, cercando prima di tutto il beneplacito di Dio e
non la nostra consolazione.

B) Il secondo e` di trasformare le azioni ordinarie in atti di
religione, facendole per piacere al Padre celeste (n. 527); cosi`
l'intiera nostra vita diventa una preghiera, e quindi un atto di pieta`
filiale verso Dio e di fraterna pieta` verso il prossimo. Onde mettiamo
perfettamente in pratica la parola di S. Paolo: "Exerce teipsum ad
pietatem... pietas autem ad omnia utilis est, promissionem habens vitae
quae nunc est et futurae: la pieta` e` utile a tutto: ha delle promesse
per la vita presente e per la futura" 1329-1.
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24/10/2013 13:13
 
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III. Il dono della fortezza.

1330. 1^ Natura. E` un dono che perfeziona la virtu` della fortezza,
dando alla volonta` un impulso e una energia che la rendono capace di
operare o di patire lietamente e intrepidamente grandi cose, superando
tutti gli ostacoli.

Differisce dalla virtu` per questo che non deriva dai nostri sforzi
aiutati dalla grazia, ma dall'azione dello Spirito Santo, che afferra
l'anima dall'alto comunicandole particolare signori`a sulla facolta`
inferiori e sulle esterne difficolta`. La virtu` non toglie una certa
esitazione e un certo timore degli ostacoli e dei cattivi successi; il
dono vi sostituisce la risolutezza, la sicurezza, la letizia, la
speranza certa della riuscita, onde produce i piu` grandi risultati.
Ecco perche` si dice di S. Stefano che era pieno di fortezza, perche`
era pieno di Spirito Santo: "Stephanus autem plenus gratia^ et
fortitudine... cum autem esset plenus Spiritu Sancto" 1330-1.

1331. Operare e patire, in mezzo alle piu` spinose difficolta` e con
sforzi talora eroici: tali sono i due atti a cui ci porta il dono
della fortezza.

a) Operare, vale a dire intraprendere senza esitazione e timore le piu`
ardue cose: per esempio, praticare perfetto raccoglimento in vita
affaccendatissima, come fece S. Vincenzo de' Paoli o S. Teresa;
serbare inviolata la castita` fra le piu` pericolose occasioni, come
S. Tommaso d'Aquino e San Carlo Borromeo; restar umili in mezzo agli
onori, come S. Luigi; sfidare i pericoli, le noie, le fatiche, la
morte, come S. Francesco Saverio; calpestare il rispetto umano e
disprezzar gli onori, come S. Giovanni Crisostomo, che una sola cosa
temeva, il peccato. b) Ne` occorre minor fortezza per sopportare lunghe
e dolorose malattie, come fece S. Liduina; o morali tribolazioni come
quelle sostenute da certe anime nelle prove passive; o semplicemente
per osservare tutta la vita, senza venirvi mai meno, tutti i punti
della propria regola. Il martirio e` reputato l'atto per eccellenza del
dono della fortezza, e a ragione, perche` si da` per Dio il bene piu`
caro che e` la vita; ma versare il sangue a goccia a goccia,
sacrificandosi intieramente per le anime, come fanno, dopo S. Paolo,
tanti umili sacerdoti e tanti pii laici, e` martirio ovvio a tutti e
quasi altrettanto meritorio.

1332. 2^ Necessita`. E` inutile insistere a lungo sulla necessita` di
questo dono. Abbiamo detto infatti, n. 360, che in molte
circostanze per conservare lo stato di grazia occorre praticar
l'eroismo. E` appunto il dono della fortezza quello che ci fa
generosamente compiere questi atti difficili.

Piu` necessario ancora e` questo dono in certe professioni in cui si e`
obbligati ad esporsi a malattie e alla morte, per esempio al medico,
al soldato, al sacerdote.

1333. 3^ Mezzi per coltivarlo. A) Non provenendo da noi la nostra
fortezza ma da Dio, e` chiaro che si deve cercarla in lui, riconoscendo
umilmente la nostra impotenza. La Provvidenza infatti si serve degli
strumenti piu` deboli, purche` abbiano coscienza della loro debolezza e
si appoggino su Colui che solo puo` fortificarli. Tal e` il senso di
quelle parole di S. Paolo 1333-1: "le folli cose del mondo elesse
Dio per confondere i sapienti; e le impotenti del mondo elesse Dio per
confondere le forti... e quelle che non sono per annientare quelle che
sono: affinche` non si glorii persona alcuna dinanzi a Dio".
Specialmente nella santa comunione possiamo attingere da Gesu` la forza
che ci occorre per trionfare di tutti gli ostacoli. S. Giovanni
Crisostomo presenta i cristiani che, all'uscire dalla sacra mensa,
sono forti come leoni, perche` partecipano della forza stesso di
Cristo 1333-2.

1334. B) Bisogna pure attentamente cogliere le mille piccole
circostanze in cui, perseverando nello sforzo, si puo` praticar la
fortezza e la pazienza.

Cosi` fanno quelli che lietamente si assoggettano da mane a sera a una
regola, che si sforzano di essere devoti nelle preghiere e raccolti
nel corso del giorno, che osservano il silenzio quando avrebbero
voglia di chiacchierare, che schivano di guardare oggetti eccitanti la
curiosita`, che soffrono senza lagnarsi le intemperie delle stagioni,
che si mostrano cortesi verso chi e` loro naturalmente antipatico, che
ricevono con pazienza e umilta` i rimproveri, che s'adattano ai gusti,
ai desideri, agli umori altrui, che sopportano calmi la
contraddizione, che si studiano insomma di trionfar delle piccole loro
passioni e di vincere se stessi. Ora far tutto cio` non una volta sola,
di passaggio, ma abitualmente, e farlo non solo pazientemente ma anche
lietamente, e` gia` eroismo; onde non sara` difficile essere eroici nelle
grandi circostanze che poi si presenteranno 1334-1, perche` allora
avremo con noi la fortezza stessa dello Spirito Santo: "Accipietis
virtutem supervenientis Spiritus Sancti in vos et eritis mihi
testes" 1334-2.

IV. Il dono del timore.

1335. 1^ Natura. Qui non si tratta di quella paura di Dio che, al
ricordarci dei nostri peccati, ci inquieta, ci attrista, ci conturba.
Non si tratta neppure del timor dell'inferno, che basta per abbozzare
una conversione ma non per dar compimento alla nostra santificazione.
Si tratta del timore riverenziale e filiale che ci fa paventare ogni
offesa di Dio.

Il dono del timore perfeziona nello stesso tempo le virtu` della
speranza e della temperanza: la virtu` della speranza, facendoci
paventare di dispiacere a Dio e di essere da lui separati; la virtu`
della temperanza, staccandoci dai falsi diletti che potrebbero farci
perdere Dio.

Puo` quindi definirsi un dono che inclina la volonta` al rispetto
filiale di Dio, ci allontana dal peccato perche` gli dispiace, e ci fa
sperare nel potente suo aiuto.

1336. Abbraccia tre atti principali: a) Un vivo sentimento della
grandezza di Dio e quindi sommo orrore dei minimi peccati che ne
offendono l'infinita maesta`: "Non sai tu, figliuola mia, diceva il
Signore a S. Caterina da Siena 1336-1, che tutte le pene che
sostiene o puo` sostenere l'anima in questa vita, non sono sufficienti
a punire una minima colpa? Perocche` l'offesa che e` fatta a me, che
sono Bene infinito, richiede soddisfazione infinita. E pero` io voglio
che tu sappi che non tutte le pene che sono date in questa vita, sono
date per punizione, ma per correzione". Cosa che avevano capito molto
bene i Santi, i quali amaramente deploravano le colpe anche piu` lievi
e non credevano di aver fatto mai abbastanza per ripararle. b) Una
viva contrizione delle minime colpe commesse, perche` hanno offeso un
Dio infinito e infinitamente buono; onde sorge un ardente desiderio di
ripararle, moltiplicando gli atti di sacrificio e di amore 1336-2.

c) Una vigile cura di fuggire le occasioni di peccato come si fugge un
serpente: "quasi a facie colubri fuge peccata" 1336-3; e quindi
grande diligenza in voler conoscere in tutto il beneplacito di Dio per
conformarvi la propria condotta.

E` chiaro che, operando in questo modo, si perfeziona la virtu` della
temperanza con lo scansare i proibiti diletti, e quella della speranza
con l'innalzare con filiale fiducia lo sguardo a Dio.

1337. 2^ Necessita`. A) Necessario e` questo dono per evitare la
troppa grande familiarita` con Dio. Ci sono di quelli che, dimenticando
facilmente la grandezza di Dio e l'infinita distanza che ci separa da
lui, si prendono con Dio e colle cose sante sconvenienti liberta` e gli
parlano con troppa arditezza, trattando quasi alla pari con lui. E`
vero che Dio stesso invita certe anime a una dolce intimita` e a una
stupenda familiarita`; ma sta a lui a farlo per il primo e non gia` a
noi. Del resto il timore filiale non impedisce quella tenera
familiarita` che si vede in alcuni santi 1337-1.

B) Non meno utile e` questo dono per preservarci, nelle relazioni col
prossimo, massime con gli inferiori, da quel fare altezzoso e superbo
che ha piu` dello spirito pagano che del cristiano; il timore
riverenziale di Dio, che e` nello stesso tempo padre loro e nostro, ci
fara` esercitare l'autorita` in modo modesto, come conviene a chi la
tiene non da se` ma da Dio.

1338. 3^ Mezzi per coltivare questo dono. A) Bisogna meditare spesso
l'infinita grandezza di Dio, i suoi attributi, il potere che ha su di
noi; e considerare al lume della fede che cos'e` il peccato, il quale,
per lieve che sia, e` pur sempre offesa all'infinita maesta` di Dio. Non
puo` darsi allora che non si concepisca un timore riverenziale per
questo Sommo Padrone, che non finiamo mai di offendere: "confige
timore tuo carnes meas; a judiciis enim tuis timui" 1338-1; e nel
comparire dinanzi a lui ci sentiremo il cuore contrito ed umiliato.

B) A fomentar questo sentimento, e` bene fare diligentemente gli esami
di coscienza, eccitantosi piu` alla compunzione che alla minuziosa
ricerca dei peccati: "cor contritum et humiliatum, Deus, non
despicies" 1338-2. A ottenere purita` di cuore sempre piu` perfetta,
conviene unirsi e incorporarsi ognor piu` a Gesu` penitente; quanto piu`
ne parteciperemo l'odio per il peccato e le umiliazioni, tanto piu`
pieno sara` il perdono.
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24/10/2013 13:14
 
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V. Il dono della scienza.

1339. Osservazioni sui tre doni intellettuali. Col dono della
scienza siamo ai tre doni intellettuali che piu` direttamente
concorrono alla contemplazione: il dono della scienza, che ci fa
giudicar rettamente delle cose create nelle loro relazioni con Dio; il
dono dell'intelletto, che ci palesa l'intima armonia delle verita`
rivelate; il dono della sapienza, che ce le fa giudicare, apprezzare,
gustare, secundum quamdam connaturalitatem ad ipsas, come dice
S. Tommaso 1339-1. Tutti e tre hanno questo di comune, che ci
danno una conoscenza sperimentale o quasi sperimentale, perche` ci
fanno conoscere le cose divine non per via di ragionamento ma per
mezzo di un lume superiore che ce le fa afferrare come se ne avessimo
l'esperienza. Questo lume comunicatoci dallo Spirito Santo e`
certamente il lume della fede, ma piu` attivo e piu` illuminante che non
sia abitualmente e che ci da` come una specie di intuizione di queste
verita`, simile a quella che abbiamo dei primi principi 1339-2.

1340. 1^ Natura. La scienza di cui qui parliamo, non e` la scienza
filosofica che si acquista colla ragione, neppure la scienza teologica
che si acquista col lavori`o della ragione sui dati della fede, ma la
scienza dei Santi che ci fa sanamente giudicar delle cose create nelle
loro relazioni con Dio.

Si puo` quindi definire il dono della scienza un dono che, sotto
l'azione illuminatrice dello Spirito Santo, perfeziona la virtu` della
fede, facendoci conoscere le cose create nelle loro relazioni con Dio.

Perche`, dice l'Olier 1340-1, "Dio e` un essere che riempie ed
occupa tutto. Apparisce sotto l'esterno di tutte le cose. Ci dice nei
cieli e sulla terra qualche cosa di cio` che egli e`... Onde in ogni
creatura, che e` come un sacramento delle perfezioni di Dio, dobbiamo
adorare cio` ch'essa rappresenta... Ci sarebbe riuscito facile il farlo
se non avessimo perduto la grazia di Adamo... ma il peccato ce la
rapi`, e non viene restituita in Gesu` Cristo che alle anime molto pure,
a cui la fede svela la maesta` di Dio dovunque si trova... Questo lume
della fede si chiama propriamente la scienza dei Santi; e, senza
l'aiuto dei sensi, senza l'esperienza della ragione, mostra la
dipendenza da Dio in cui ogni creatura si trova... E` conoscenza che
s'acquista senza fatica e in un istante. Con un solo sguardo si
penetra la causa di tutte le cose e si trova in ognuna argomento di
meditazione e di contemplazione perpetua".

1341. L'oggetto del dono della scienza sono dunque le cose create in
quanto ci conducono a Dio.

a) Se ne consideriamo l'origine, le cose ci dicono che provengono da
Dio che le creo` e le conserva: "ipse fecit nos et non ipsi nos"; se ne
studiamo la natura, vi scorgiamo un'immagine o un riflesso di Dio; il
loro fine poi e` di condurci a Dio: sono come gradini per salire a Lui.

Cosi` guardavano le cose i Santi, specialmente S. Francesco d'Assisi.
Considerava tutti gli esseri come aventi una comune relazione
coll'unico Padre, e ognuno gli appariva come fratello nella grande
faniglia del Padre celeste: il sole, la limpida acqua, i fiori, gli
uccelli. "Vedendo l'incrollabile solidita` e la potenza delle rupi,
subito sentiva e riconosceva nel medesimo istante quanto e` forte Dio e
quale appoggio egli ci offre. L'aspetto di un fiore nella sua
mattutina freschezza, o di beccucci aperti con ingenua confidenza in
un nido di uccelli, gli rivelava la purita` e la schietta bellezza di
Dio, come pure la infinita tenerezza del cuore divino onde tutto
questo procede. Sentiamo che riempiva Francesco di una specie di
continua letizia alla vista e al pensiero di Dio, di un continuo
desiderio di ringraziarlo" 1341-1.

b) E` pur questo dono della scienza quello che ci fa prontamente e
sicuramente vedere cio` che riguarda la santificazione nostra e
l'altrui.

Onde tal dono ci illumina sullo stato dell'anima nostra, sui segreti
suoi moti, sui loro principi, sui loro motivi e sugli effetti che ne
possono derivare. Ci insegna pure il modo di trattare col prossimo
rispetto alla sua salute eterna; cosi` il predicatore conosce con
questo dono cio` che deve dire agli uditori per far loro del bene; il
direttore in che modo deve guidare le anime, ognuna secondo i suoi
bisogni spirituali e i moti della grazia, e questo in virtu` di un lume
che gli fa penetrare il fondo dei cuori: e` il dono infuso del
discernimento degli spiriti. Ecco perche` molti Santi, illuminati da
Colui che scruta le reni e i cuori, conoscevano i pensieri piu` segreti
dei penitenti prima ancora che li dichiarassero.

1342. 2^ Utilita`. E` chiaro che questo dono e` utilissimo ai semplici
fedeli e specialmente ai religiosi e ai sacerdoti.

a Ci distacca dalle creature, mostrandoci quanto vane sono in se
stesse, incapaci di renderci felici, e anche pericolose, perche`
tendono a pervertirci con attirarci a se` e sedurci per sviarci da Dio.
Cosi` distaccati, ci inalziamo piu` facilmente verso Colui che solo puo`
appagare tutte le aspirazioni del nostro cuore, e gridiamo col
Salmista: "Oh! se avessi ali di colomba, volerei a riposarmi; fuggirei
lontano lontano e abiterei nel deserto: quis mihi dabit pennas sicut
columbae et volabo et requiescam?" 1342-1.

b) Ci aiuta a usar bene delle creature, adoprandole come scalini per
salire a Dio. Siamo portati da naturale istinto a goderne e tentati di
farne il nostro fine; merce` di questo dono, non vediamo piu` in esse
che cio` che Dio vi pose e da questo pallido riflesso delle divine
bellezze assorgiamo alla bellezza infinita, ripetendo con S. Agostino:
"O pulchritudo semper antiqua et semper nova, sero te cognovi, sero te
amavi" 1342-2.

1343. 3^ Mezzi per coltivarlo. a) Il gran mezzo e` di aprir sempre
gli occhi della fede nel guardar le creature: in cambio di fermarci a
quest'ombre che passano, non e` forse giusto assorgere alla Causa prima
che si degno` di comunicar loro un'immagine delle sue perfezioni, e
attaccarci a lei disprezzando utto il resto? Tanto faceva S. Paolo,
che, preso d'amore per Gesu`, scriveva: "Per lui io feci getto di tutto
e tutto stimo lordura per guadagnar Cristo: propter quem omnia
detrimentum feci et arbitror te stercora, ut Christum
lucrifaciam" 1343-1.

b) Animati da questo spirito, sapremo privarci di tutto cio` che e`
inutile, e anche di qualche cosa utile, per esempio di uno sguardo, di
una lettura, di un po' di cibo, per farne sacrificio a Dio. Ci
distaccheremo cosi` a poco a poco dalle creature per non veder piu` in
esse che cio` che puo` condurci al loro autore.

VI. Il dono dell'intelletto.

1344. 1^ Natura. Il dono dell'intelletto si distingue da quello
della scienza perche` l'oggetto ne e` molto piu` vasto: non si restringe
alle sole cose create ma si estende a tutte le verita` rivelate;
inoltre lo sguardo ne e` piu` profondo, facendoci penetrare (intus
legere, legger dentro) l'intimo significato delle verita` rivelate. Non
ci fa certamente comprendere i misteri, ma ci fa capire che, non
ostante la loro oscurita`, sono credibili, che bene armonizzano tra
loro e con cio` che vi e` di piu` nobile nella umana ragione, onde
conferma i motivi di credibilita`.

Puo` dunque essere definito: un dono che, sotto l'azione illuminatrice
dello Spirito Santo, ci da` una penetrante intuizione delle verita`
rivelate, senza pero` svelarcene il mistero. Il che si rilevera` anche
meglio dalla sua azione nell'anima.

1345. 2^ Effetti. Questo dono produce in noi tre principali effetti:

A) Ci fa penetrare nell'intimo delle verita` rivelate in sei modi
diversi, come insegna S. Tommaso 1345-1:

1) Ci scuopre la sostanza nascosta sotto gli accidenti, per esempio
Gesu` sotto le specie eucaristiche; e` quello che faceva dire al
contadino di cui parla il Curato d'Ars: Io scorgo lui e lui scorge me.

2) Ci spiega il senso delle parole nascosto sotto la lettera, come
fece Nostro Signore svelando ai discepoli de Emmaus il senso delle
profezie. Quante volte lo Spirito Santo non fa comprendere alle anime
interiori il senso profondo di questo o di quel passo della Sacra
Scrittura!

3) Palesa l'arcano significato dei segni sensibili; cosi` S. Paolo ci
mostra nel battesimo d'immersione il simbolo della nostra morte al
peccato, del nostro seppellimento e della nostra risurrezione
spirituale insieme con Cristo.

4) Ci fa cogliere sotto le apparenze le realta` spirituali,
mostrandoci, per esempio, nell'artigiano di Nazaret il Creatore del
mondo.

5) Vediamo per mezzo suo gli effetti contenuti nella causa, per
esempio nel sangue di Gesu` versato sul Calvario la purificazione
dell'anima nostra e la nostra riconciliazione con Dio; nel costato
ferito di Gesu` la nascita della Chiesa e dei sacramenti.

6) Vediamo pure per lui la causa negli effetti, come, per esempio,
l'azione della Provvidenza negli esterni eventi.

1346. B) Questo dono ci mostra le verita` rivelate sotto tal luce
che, senza farcele comprendere, ci rassoda nella fede; come appunto
dice S. Tommaso 1346-1: "Cognoscitur quod ea quae exterius apparent
veritati non contrariantur... quod non est recedendum ab iis quae sunt
fidei". In grado piu` alto, ci fa contemplar Dio, non con intuizione
positiva immediata dell'essenza divina, ma mostrandoci cio` che Dio non
e`, come spiegheremo in appresso 1346-2.

C) Ci fa infine conoscere un maggior numero di verita`, aiutandoci a
dedurre dai principi rivelati le conclusioni teologiche che vi sono
contenute. Cosi` dalle parole: "Et verbum caro factum est et habitavit
in nobis" si ricava quasi tutta la dottrina del Verbo Incarnato; e dal
testo "ex qua natus est Jesus qui vocatur Christus" si deduce tutta la
teologia Mariana.

Questo dono quindi, cosi` utile ai fedeli, e` specialmente giovevole ai
sacerdoti e ai teologi per dar loro l'intelligenza delle verita`
rivelate che devono spiegare ai discepoli.

1347. 3^ Cultura del dono dell'intelletto. A) La principale
disposizione necessaria a ottenerlo e` una fede viva e semplice che
umilmente sollecita i lumi divini onde afferrar meglio le verita`
rivelate: "Da mihi intellectum et discam mandata tua" 1347-1. Cosi`
usava S. Anselmo, cercando, dopo un atto di viva fede, l'intelligenza
dei misteri, secondo la sua massima "fides quaerens intellectum": la
fede e` via a capire le verita` soprannaturali.

B) Dopo un tal atto di fede, bisogna abituarsi a penetrar piu` che si
puo` nel cuore del mistero, non gia` per comprenderlo (il che e`
impossibile), ma per coglierne il senso, l'ampiezza, l'analogia colla
ragione; e, studiato un certo numero di misteri, se ne fa il
confronto, onde scaturisce spesso viva luce su ognuno di essi; cosi`
l'ufficio del Verbo nella SS. Trinita` fa capir meglio il mistero della
sua unione colla natura umana e l'opera sua redentrice; e a loro volta
l'Incarnazione e la Redenzione diffondono nuova luce sui divini
attributi e sulle rivelazioni che corrono tra il Padre, il Figlio e lo
Spirito Santo. Ma, a meglio intendere queste verita`, bisogna amarle e
studiarle piu` col cuore che con la mente, soprattutto poi con umilta`.
Ce lo dice Nostro Signore nella bella preghiera rivolta al Padre: "Io
ti lodo, o Padre, Signore del cielo e della terra, perche` nascondesti
queste cose ai dotti e ai saputi e le hai rivelate ai
parvoli" 1347-2.
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VII. Il dono della sapienza 1348-1.

Ne esporremo la natura, gli effetti, i mezzi di
coltivarlo.

1348. 1^ Natura. E` un dono che perfeziona la virtu` della carita`, e
risiede nello stesso tempo nell'intelletto e nella volonta` perche`
effonde nell'anima luce ed amore. Onde viene meritamente considerato
come il piu` perfetto dei doni, quello in cui si compendiano tutti gli
altri, a quel modo che la carita` comprende tutte le virtu`.

A) S. Bernardo lo chiama la saporosa cognizione delle cose divine. Vi
e` dunque un doppio elemento nel dono della sapienza: 1) una luce, che
illumina l'intelletto e gli fa pronunziar retti giudizi su Dio e sulle
cose create, queste riconducendo al loro primo principio e al loro
ultimo fine; onde ci aiuta a giudicar delle cose partendo dalle
supreme loro cause e a ridurle all'unita` in una vasta sintesi divina;
2) un gusto soprannaturale, che opera sulla volonta` facendole
assaporare le cose divine per una specie di arcana connaturalita` o
simpatia.

Un paragone ci fara` capir meglio questo doppio ufficio: e`, come il
raggio del sole, raggio di luce che illumina e allieta gli occhi
dell'anima e raggio di calore che riscalda il cuore, infiammandolo di
amore e colmandolo di gaudio.

1349. B) Il dono della sapienza si puo` quindi definire un dono che,
perfezionando le virtu` della carita`, ci fa discernere e giudicar Dio e
le cose divine nei loro piu` alti principi e ce li fa gustare.

Differisce quindi dal dono dell'intelletto, che ci fa conoscere le
verita` divine in se stesse e nelle mutue loro relazioni ma non nelle
loro cause piu` alte, e che non ce le fa amare e assaporare: "gustate
et videte quoniam suavis est Dominus" 1349-1.

E` questo il dono che fa abbracciare a S. Paolo con un solo sguardo il
divino disegno della Redenzione e vedervi la gloria di Dio come causa
finale primaria, il Verbo Incarnato come causa meritoria ed esemplare,
la beatitudine degli eletti come causa finale secondaria, la grazia
divina come causa formale; ponendogli sul labbro quel cantico di
ringraziamento: "Benedictus Deus et Pater Domini nostri Jesu
Christi..." 1349-2.

Merce` di questo dono, S. Giovanni riduca tutta la teologia al mistero
della vita divina, di cui l'amore e` nello stesso tempo principio e
termine: Deus caritas est; e S. Tommaso compendia tutta la Somma in
quest'unico pensiero: Dio e` nello stesso tempo il primo principio da
cui tutte le creature escono, l'ultimo fine a cui tutte ritornano e la
via che seguono nel ritornare a Lui 1349-3.

1350. 2^ Effetti del dono della sapienza. Oltre l'aumento di carita`
che produce nell'anima, questo dono perfeziona tutte le altre virtu`:

a) Rende incrollabile la fede con la cognizione quasi sperimentale che
ci da` delle verita` rivelate; cosi`, quando uno ha lungamente assaporato
le delizie della comunione, come potrebbe piu` dubitare della presenza
reale? b) Rassoda la speranza; quando si e` inteso e gustato il dogma
della nostra incorporazione a Cristo, come non sperare, dacche` il
nostro Capo e` gia` in cielo e i santi che sono nostri fratelli gia`
regnano con lui nella patria beata? c) Ci fa perfettamente praticare
le virtu` morali; poiche`, quando si sono assaporate le delizie
dell'amor di Dio, quelle della terra non hanno piu` sapore per noi; si
ama la croce, la mortificazione, lo sforzo, la temperanza, l'umilta`,
la dolcezza, essendo queste virtu` altrettanti mezzi per maggiormente
assomigliare ad Diletto e dimostrargli il nostro amore.

Vi e` quindi tra il dono della Sapienza e il dono dell'intelletto la
differenza che questo e` uno sguardo della mente e quello un
esperimento del cuore; l'uno e` luce e l'altro e` amore; armonizzandosi
cosi` e integrandosi insieme. Il piu` perfetto pero` e` il dono della
sapienza, perche` il cuore va piu` lontano della mente, ha penetrazione
maggiore e capisce o indovina cio` che la ragione non afferra; e,
specialmente nei Santi, l'amore supera spesso la cognizione.

1351. 3^ Mezzi per coltivarlo. A) Essendo la sapienza uno dei doni
piu` preziosi, bisogna ardentemente desiderarlo, chiederlo con
insistenza e cercarlo con instancabile ardore.

E` quanto ci viene consigliato dal libro della sapienza, che vuole che
la prendiamo in isposa e a compagna di tutta la vita, e ci suggerisce
una bella preghiera per ottenerla:

"Dio de' miei padri e Signore pietoso,
Tu che hai creato ogni cosa con la tua parola,
e con la tua sapienza hai formato l'uomo,
affinche` domini le creature da Te fatte,
e governi il mondo con santita` e giustizia
e con animo retto sentenzi in giudizio;
dammi la Sapienza, che siede in trono accanto a Te,
e non mi escludere dal novero dei tuoi figli;
perche` io sono tuo servo e figlio della tua ancella,
uomo fragile e di corta vita
e scarso nell'intelligenza del diritto e delle leggi.

Con Te sta la Sapienza, che ben conosce le opere tue
ed era presente quando creavi il mondo,
e sa qual cosa Ti sia gradita
e quale retta secondo i tuoi comandi.

Mandala dai santi cieli
e dal trono della tua maesta` inviala,
affinche` mi assista nei miei lavori,
e mi faccia sapere qual cosa Ti sia piu` gradita;
perche` essa tutto conosce ed intende
e mi guidera` saggiamente nelle mie imprese,
e mi proteggera` con la sua grandezza;
onde saranno accette le opere mie,
e governero` il tuo popolo con giustizia
e saro` degno del trono del padre mio" 1351-1.

B) Poiche` la sapienza riferisce ogni cosa a Dio, dobbiamo sforzarci di
conoscere in che modo tutte le verita` che stiamo studiando vengono da
lui come primo principio e a lui tendono come ultimo fine. Onde
conviene abituarsi a non perderci nei particolari, ma tutto
rincondurre ai principi e all'unita`, facendo prima sintesi particolari
di quanto abbiamo studiato e preparando cosi` la sintesi generale di
tutte le nostre cognizioni.

1352. C) Facendoci questo dono gustare le cose divine, dobbiamo da
parte nostra abituarci ad amare e gustare queste divine cose, memori
che vana e` ogni cognizione che non conduca all'amore. Ma poi come non
amare questo Dio che e` infinita bellezza e bonta infinita? "Gustate et
videte quoniam suavis est Dominus" 1352-1. Ed essendo le cose
divine una partecipazione della bellezza e della bonta` di Dio, non e`
possibile amare e gustar Dio senza che quest'amore rifluisca su cio`
che ne partecipa le perfezioni.

sez. III. Ufficio dei doni nell'orazione e nella contemplazione.

Risulta da quanto abbiamo detto che l'esercizio dei doni ci e` di
grande aiuto nell'orazione.

1353. 1^ Prima ancora di giungere al pieno sviluppo, i doni, appena
incominciamo a coltivarli, aggiungono la loro luce e la loro influenza
a quella delle virtu` per agevolarci l'orazione. Senza porci nello
stato passivo o mistico, ci indociliscono gia` l'anima e ce la rendono
piu` sensibile all'azione dello Spirito Santo.

Tal e` l'insegnamento comune dei teologi, compendiato nelle seguenti
parole del Meynard 1353-1; il quale, menzionata l'opinione di
alcuni autori stimanti che i doni dello Spirito Santo, esclusivamente
riservati agli atti eroici, restino inoperosi nella pratica delle
virtu` ordinarie, dice: "La loro azione parimente si estende a una
quantita` di circostanze in cui la volonta` di Dio richiede da noi una
certa prontezza e una maggiore docilita` nella pratica delle virtu`
ordinarie della vita cristiana, per esempio, quando si tratta di
liberarsi dai vizi, di domar le passioni, di resistere alle tentazioni
della carne, del mondo e del demonio, massime quando la debolezza e la
fragilita` della persona richiedono piu` pieno e piu` efficace aiuto, e
quindi un principio d'azione piu` alto. Quest'ultima opinione, che noi
crediamo esser la vera, si fonda sulla considerazione che i doni non
producono opere di un genere particolare e distinto dalle virtu`, ma ci
vengono puramente in aiuto onde praticare tutte le virtu` in modo piu`
pronto e piu` facile". Ora se i doni dello Spirito Santo intervengono
nella pratica delle virtu` ordinarie, ci agevolano pure l'orazione, che
e` atto della virtu` della religione e uno dei mezzi piu` efficaci a
praticar le virtu`.

Questi doni operano allora allo stato latente, senza che sia possibile
distinguerne l'azione da quella delle virtu`; in certi momenti pero`
operano in modo piu` manifesto, dandoci passeggiere intuizioni che
fanno sull'anima piu` viva impressione dei ragionamenti, ed eccitando
moti di amore superiori a quelli che abbiamo di solito.

1354. 2^ A piu` forte ragione questi doni ci aiutano nella
contemplazione attiva, che e` una specie di affettuosa intuizione della
verita`. E` proprio infatti dei doni dell'intelletto e della sapienza,
anche prima della piena loro fioritura, di agevolare questo semplice
sguardo della fede col renderci l'intelletto piu` penetrante e piu`
ardente l'amore 1354-1. La loro azione, senza metterci ancora
nello stato mistico, e` gia` piu` frequente e piu` efficace che non
nell'orazione ordinaria; il che spiega in che modo l'anima nostra puo`
piu` lungamente e piu` affettuosamente fissar lo sguardo su una sola e
medesima verita`.

1355. 3^ Ma sopratutto nella contemplazione infusa hanno i doni
ufficio importante: giunti alla piena loro fioritura, comunicano
all'anima una mirabile arrendevolezza che la rende atta allo stato
mistico o contemplativo.

A) Tre specialmente, il dono della scienza, dell'intelletto e della
sapienza, concorrono alla contemplazione.

Spieghiamo meglio il nostro pensiero: a) i principi elicitivi della
contemplazione sono, propriamente parlando, le nostre facolta`
superiori, intelletto e volonta`, perfezionate e trasformate dalle
virtu` teologali e dai doni e mosse della grazia attuale operante; i
doni infatti vengono innestati sulle facolta`, ond'e` che facolta` e doni
concorrono indivisibilmente al medesimo atto. Queste facolta`, cosi`
trasformate, costituiscono i principi elicitivi della contemplazione,
ossia la fonte prossima onde scaturiscono, sotto l'azione della grazia
operante, gli atti della contemplazione; come l'intelletto,
perfezionato dalla virtu` della fede, e` il principio elicitivo degli
atti di fede.

b) Tutti i teologi ammettono che i doni dell'intelletto e della
sapienza costituiscono i principi elicitivi della contemplazione; ma
alcuni escludono da quest'ufficio il dono della scienza. Noi pero`
crediamo, con la maggioranza degli autori, che non si debba escludere;
perche` la contemplazione parte talora dalle creature, e il dono della
scienza interviene allora per farci vedere l'immagine di Dio nelle
creature.

"Dio, dice S. Giovanni della Croce 1355-1, lascio` in ognuna delle
sue creature un vestigio di cio` che egli e` non solo creandole dal
nulla, ma dotandole pure di innumerevoli grazie e proprieta`. E ne
accrebbe la bellezza col mirabile ordine e coll'indefettibile
dipendenza che mutuamente le collega... Le creature sono un vestigio
del passaggio di Dio, onde se ne rintraccia la grandezza, la potenza,
la sapienza e gli altri divini attributi". Ora e` proprio del dono
della scienza innalzarci dalle creature al Creatore e palesarci la
bellezza di Dio ascosa [sic] sotto i simboli visibili.

1356. B) Questi tre doni si prestano mutua cooperazione e lavorano o
tutti insieme o l'un dopo l'altro nella stessa contemplazione.

a) Cosi` il dono della scienza ci innalza dalle creature a Dio per
unirci a lui: 1) e` accompagnato da un lume infuso con cui chiaramente
vediamo il nulla di tutto cio` che il mondo cerca, onori, ricchezze,
piaceri; il pregio del dolore e delle umiliazioni come mezzi per
andare a Dio e glorificarlo; e il riflesso delle divine perfezioni
ascoso nelle creature, ecc.

2) Lume accompagnato da una grazia che opera sulla volonta` per
distaccarla dalle creature e aiutarla a non servirsene che come
scalini per salire a Dio.

b) Il dono dell'intelletto ci fa penetrare piu` oltre: mostrandoci le
arcane armonie che corrono tra l'anima nostra e Dio, tra le verita`
rivelate e le piu` profonde nostre aspirazioni, come pure le mutue
relazioni di queste verita`, ci fissa la mente e il cuore sulla vita
intima di Dio, sulle sue operazioni immanenti, sui misteri della
Trinita`, dell'Incarnazione o della grazia, e ce li fa ammirare in se` e
nelle mutue loro relazioni, cosi` che stentiamo poi a staccarne la
mente e il cuore. Ruysbroeck lo paragona alla luce del
sole 1356-1: il sole riempie coi suoi raggi l'aria di luce
semplice e pura; illumina ogni forma ed ogni figura e fa distinguere
tutti i colori. Cosi` questo dono penetra nella mente e vi produce la
semplicita`; semplicita` che e` attraversata da raggi di singolare
chiarezza; onde diventiamo capaci di ricevere la cognizione dei
sublimi attributi che sono in Dio e che sono l'origine di tutte le sue
opere.

c) Il dono della sapienza, facendoci valutar tutto per rispetto a Dio
e assaporare le cose divine, fissa anche piu` amorosamente la nostra
mente e il nostro cuore sull'oggetto contemplato, attaccando a lui con
maggiore costanza e ardore. Ruysbroeck 1356-2 cosi` descrive il
sapore prodotto da questo dono: "Questo sapore e` cosi` forte che pare
all'anima che il cielo e la terra e tutto cio` che essi contengono
debbano fondersi e annientarsi in questo inscrutabile sapore. Delizie
che sono di sopra e di sotto (cioe` nelle facolta` superiori e nelle
facolta` inferiori) di dentro e di fuori, abbracciando e penetrando
l'intiero regno dell'anima. Quindi l'intelletto contempla la
semplicita` da cui derivano tutte queste delizie. Onde poi la ragione
illuminata si mette a far considerzioni; ma sa bene che questi
ineffabili delizie sfuggiranno sempre alla sua conoscenza; perche` la
sua considerazione si fa alla luce d'un lume creato, mentre queste
delizie sono senza misura. Ond'e` che la ragione in questa
considerazione vien meno; ma l'intelletto, che merce` di questa
illimitata chiarita` e` trasformato, contempla e fissa continuamente
l'incomprensibile gaudio della beatitudine".

1357. C) Gli altri quattro doni, senza aver nella contemplazione
ufficio cosi` importante, vi concorrono anch'essi parzialmente in due
maniere:

a) Vi ci dispongono contribuendo essi pure a rendere l'anima piu`
arrendevole e piu` docile all'azione della Spirito Santo; b) vi
cooperano, eccitando nel cuore pii affetti che alimentano la
contemplazione; cosi` il dono del timore ci da` sentimenti di
compunzione e di distacco dalle creature; il dono della pieta`,
sentimenti di filiale amore; il dono della fortezza, sentimenti di
generosita` e costanza; il dono del consiglio ci rende capaci di
applicare a noi e agli altri i lumi ricevuti dallo Spirito Santo.

Quindi, come si vede, ognuno dei doni ha la sua parte nella
contemplazione.
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NOTA: I CINQUE SENSI SPIRITUALI E I DONI.

1358. Un certo numero di Padri e di teologi, come pure molti autori
mistici, parlano di cinque sensi spirituali 1358-1, simili ai
cinque sensi immaginativi di cui abbiamo gia` parlato al n. 992.

Ecco il bel testo in cui S. Agostino li descrive 1358-2: "Che amo,
io dunque, o mio Dio, quando ti amo?... amo certa luce, certa voce,
certo odore, certo cibo, certo amplesso, allorche` amo il mio Dio,
luce, voce, odore, cibo, amplesso all'interno mio senso; dove
all'anima mia risplende cio` cui spazio non contiene, dove risuona cio`
che il tempo non dilegua, dove olezza cio` che l'aure non dissipano,
dove si assapora cio` che l'edacita` non iscema, dove congiungesi cio`
che la sazieta` non ributta. Questo e` ch'io amo, quando amo il mio
Dio".

Ora che devesi intendere per questi sensi spirituali? A parer nostro,
altro non sono che funzioni od operazioni dei doni dello Spirito
Santo, specialmente dei doni dell'intelletto e della sapienza. Cosi` i
sensi spirituali della vista e dell'udito si riferiscono al dono
dell'intelletto che ci fa veder Dio e le cose divine, n. 1341, e
ascoltar Dio che ci parla al cuore. Gi altri tre sensi si riferiscono
al dono della sapienza, che ci fa gustare Dio, respirare e odorare il
profumo delle sue perfezioni, e venire a contatto con lui per mezzo
d'una specie di stretta e di amplesso spirituale che altro non e` se
non un amore sperimentale di Dio.

Si concilia in tal modo su questo punto la dottrina di S. Agostino e
di S. Tommaso, del P. Poulain e del P. Garrigou-Lagrange.

sez. IV. Dei frutti dello Spirito Santo e delle beatitudini.

Coi doni si connettono i frutti dello Spirito Santo e le beatitudini,
che vi corrispondono e li compiono, come pure le grazie gratuitamente
date (gratiae gratis datae) che hanno coi doni una certa analogia,
n. 1314.
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I. I frutti dello Spirito Santo.

1359. Quando un'anima corrisponde fedelmente alle grazie attuali che
mettono in moto le virtu` e i doni, produce atti di virtu`, imperfetti e
penosi, a principio, poi migliori e piu` saporiti, che riempiono il
cuore di gaudio santo. Sono questi i frutti dello Spirito Santo, che
si possono definire: atti virtuosi che sono giunti a una certa
perfezione e che riempiono l'anima di santo gaudio.

S. Paolo ne enumera nove: la carita`, il gaudio, la pace, la pazienza,
la mansuetudine, la bonta`, la fedelta`, la dolcezza e la
temperanza 1359-1. Ma non e` a credere che ne abbia voluto dare una
lista completa; onde S. Tommaso fa giustamente osservare che e` un
numero simbolico, il quale indica veramente tutti gli atti di virtu` in
cui l'anima trova consolazione spirituale: "Sunt fructus quaecumque
virtuosa opera in quibus homo delectatur".

1360. I frutti si distinguono dalle virtu` e dai doni come l'atto si
distingue dalla potenza. Non tutti pero` gli atti di virtu` meritano il
nome di frutti, ma quelli soltanto che sono accompagnati da una certa
spirituale soavita`. A principio gli atti di virtu` esigono spesso molti
sforzi e hanno talora un certa asprezza come il frutto non ancor
maturo. Ma quando uno si e` lungamente esercitato nella pratica delle
virtu`, acquista la facilita` di produrne gli atti, li fa senza penosi
sforzi, anzi con diletto come gli atti degli abiti acquisiti; prendono
allora il nome di frutti.

I frutti quindi si ottengono col coltivare le virtu` e i doni, e coi
frutti vengono le beatitudini, preludio della beatitudine eterna.

II. Le beatitudini.

1361. Le beatitudini sono l'ultima corona dell'opera divina in noi.
Come i frutti, sono anch'esse atti, ma di tal perfezione che paiono
procedere dai doni anziche` dalle virtu` 1361-1; sono frutti, ma di
maturita` cosi` perfetta, che ci danno gia` una pregustazione della
celeste beatitudine; onde il nome di beatitudini.

Nostro Signore, nel discorso del Monte, le riduce a otto; la poverta`
di spirito, la dolcezza, le lagrime, la fame e la sete della
giustizia, la misericordia, la purita` di cuore, la pazienza in mezzo
alle persecuzioni. Ma anche qui si puo` dire che e` numero simbolico e
che non ha nulla di esclusivo.

Queste beatitudini non indicano la assoluta e perfetta felicita`; sono
piuttosto mezzi per giungere alla beatitudine eterna e mezzi
efficacissimi; perche` quando lietamente si abbraccia la poverta`, la
dolcezza, la purita`, l'umiliazione, quando uno sa dominare se stesso
fino al punto di pregare per i nemici e di amare la Croce, si imita
allora perfettamente Nostro Signore, e si fanno rapidi passi nelle vie
della perfezione.

1362. Conclusione. I doni dello Spirito Santo, sapendoli coltivare,
c'introducono nella via unitiva. 1) Ci fanno infatto praticar tutte le
virtu`, morali e teologali, nel piu` alto grado, onde ci uniscono a Dio
trasformandoci a poco a poco in Lui e facendocene imitare le divine
perfezioni. 2) Pongono nell'anima quell'arrendevolezza e quella
docilita` per cui lo Spirito Santo s'impossessa di lei e vi opera
liberamente. Sotto l'influsso latente di questi doni e talora pure con
la palese loro cooperazione si fa l'orazione di semplicita` di cui ora
tratteremo.
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ART. II. L'ORAZIONE DI SEMPLICITA` 1363-1.

1363. L'orazione di semplicita`, come la disse Bossuet, era
conosciuta assai prima di lui, e portava vari nomi che e` bene qui
richiamare.

1) S. Teresa la chiama orazione di raccoglimento; e si deve intendere
raccoglimento attivo, in opposizione al raccoglimento passivo di cui
parleremo nel secondo capitolo; l'anima vi raccoglie le varie sue
facolta` per concentrarle su Dio, ascoltarlo ed amarlo.

2) Molti la chiamano orazione di semplice sguardo, di semplice
presenza di Dio, o di semplice abbandono in Dio, oppure una semplice
vista di fede, perche` l'anima fissa affettuosamente lo sguardo su Dio,
si tiene alla sua presenza, s'abbandona nelle sue mani e con una
semplice vista di fede lo guarda e lo ama.

3) Bossuet la chiama orazione di semplicita`, perche` ci fa semplificar
tutto, ragionamenti e affetti della orazione, anzi tutta quanta la
vita.

4) I Carmelitani, e con loro molti autori dal secolo XVII in qua, la
chiamano contemplazione acquisita per distinguerla dalla
contemplazione infusa.

Di quest'orazione esporremo:
* 1^ la natura;
* 2^ i vantaggi;
* 3^ il modo di farla;
* 4^ le relazioni colla contemplazione propriamente detta.

sez. I. Natura dell'orazione di semplicita`.

1364. Bossuet descrisse molto bene quest'orazione:

"Bisogna abituarsi a nutrir l'anima con un semplice e amoroso sguardo
in Dio e in Nostro Signore Gesu` Cristo; a tal effetto bisogna
dolcemente separarla dal ragionamento, dal discorso e dalla
moltitudine degli affetti, per tenerla in semplicita`, in rispetto, in
attenzione, e avvicinarsi cosi` sempre piu` a Dio, suo primo principio e
suo ultimo fine... La meditazione e` molto buona a suo tempo, e molto
utile al principio della vita spirituale; ma non bisogna fissarvisi,
perche` l'anima, colla sua fedelta` a mortificarsi e a raccogliersi,
riceve d'ordinario un'orazione piu` pura e piu` intima, che si puo`
chiamare di semplicita`, la quale consiste in una semplice vista,
sguardo o attenzione amorosa in se`, verso qualche oggetto divino, che
puo` essere Dio in se stesso, o alcuno dei suoi misteri, o altre verita`
cristiane. L'anima dunque, lasciando il ragionamento, si serve di una
dolce contemplazione che la tiene quieta, attenta e capace delle
operazioni e impressioni divine che lo Spirito Santo le comunica; fa
poco e riceve molto; dolce e` il suo lavoro, eppure piu` fruttuoso; e
poiche` ella si fa piu` presso alla fonte di ogni luce, di ogni grazia e
di ogni virtu`. glie se ne da` pure in maggior copia".

Quest'orazione comprende quindi due atti essenziali: guardare ed
amare; guardar Dio o qualche oggetto divino per amarlo, e amarlo per
meglio guardarlo. Confrontando quest'orazione colla meditazione
discorsiva o affettiva, vi si rileva una triplice semplificazione, che
giustifica molto bene l'espressione usata di Bossuet.

1365. 1^ La prima semplificazione e` la diminuzione, poi la
soppressione dei ragionamenti, che tenevano si` gran posto nella
meditazione degl'incipienti. Obbligati ad acquistare profonde
convinzioni e poco abituati del resto a pii affetti, avevano bisogno
di lungamente riflettere sulle verita` fondamentali della religione e
sulle loro relazioni con la vita spirituale, sulla natura e sulla
necessita` delle principali virtu` cristiane e sui mezzi di praticarle,
prima di poter far scaturire dal cuore sentimenti di riconoscenza e
d'amore, di contrizione, di umiliazione e di fermo proponimento, di
ardenti e continuate preghiere. a) Ma viene poi il tempo in cui queste
convinzioni si radicano talmente nell'anima, da far parte, a cosi`
dire, della nostra mentalita` abituale, onde bastano pochi minuti per
richiamarle alla mente. Nascono allora prontamente e facilmente i pii
affetti di cui parliamo e l'orazione diventa affettiva.

1366. b) Piu` tardi si fa un'altra semplificazione: i pochi minuti di
riflessione sono sostituiti da uno sguardo intuitivo dell'intelletto.
A quel modo che conosciamo senza difficolta` e per una specie
d'intuizione i primi principi, cosi`, quando abbiamo per lungo tempo
meditato sulle verita` fondamentali della vita spirituale, esse
diventano per noi certe e fulgide come i primi principi, e noi, con
uno sguardo complessivo, facilmente e giocondamente le afferriamo,
senza bisogno di farne minuziosa analisi. Cosi` l'idea di padre
applicata a Dio, che a principio aveva bisogno di lunghe riflessioni
per darcene tutti il contenuto, ora con un solo sguardo ci si fa cosi`
ricca e cosi` feconda, che vi ci fermiamo sopra lungamente e
amorosamente ad assaporarne i molteplici elementi.

c) Avviene anche qualche volta che l'anima si contenta d'uno sguardo
confuso su Dio o sulle cose divine, che pure la tiene dolcemente e
affettuosamente alla presenza di Dio e la rende vie piu` docile
all'azione dello Spirito Santo; e allora, senza moltiplicare atti di
intelletto o di volonta`, s'abbandona a Dio per eseguirne gli ordini.

1367. 2^ Pari semplificazione avviene negli affetti. Erano a
principio numerosi, vari e in rapida vicenda: amore, gratitudine,
gioia, compassione, dolore dei peccati, desiderio di far meglio,
domanda d'aiuto, ecc. a) Ma presto un solo e` medesimo affetto dura
cinque, dieci minuti; l'idea di Dio Padre nostro, per esempio, eccita
nel cuore un amore intenso che, senza esprimersi in molte parole,
alimenta per alcuni minuti tutta l'anima, la penetra e vi produce
generose disposizioni. Non bastera` certo a occupar da solo tutto il
tempo della orazione e bisognera` passare ad altri affetti per non
cadere in distrazioni o in una specie d'oziosita`; ma ognuno vi terra`
posto cosi` ampio da non doverli moltiplicare come per lo passato.

1368. b) Tra gli affetti qualcuno finisce poi con dominare e tornar
continuamente alla mente e al cuore; il suo oggetto diventa come
quello d'una idea fissa, attorno alla quale gravitano certo altre idee
ma poche e subordinate. Per gli uni sara` la Passione di Nostro
Signore, coi sentimenti di amore e di sacrifizio che le si
accompagnano: dilexit me et tradidit semetipsum pro me 1368-1. Per
gli altri sara` Gesu` vivente nell'Eucaristia che diverra` centro dei
pensieri e degli affetti, onde ripeteranno continuamente: Adoro te
devote, latens Deitas. Ci sono di quelli che vengono vivamente presi
dal pensiero di Dio presente nell'anima e che non pensano che a
glorificarlo in tutto il corso del giorno: "Apud eum veniemus et
mansionem apud eum faciemus... templum Dei sanctum est, quod estis
vos... glorificate et portate Deum in corpore vestro" 1368-2.

Questo fatto e` molto bene spiegato dal P. Massoulie' 1368-3:
"Quando l'anima si fa a considerare che non solo ha l'onore di essere
alla presenza di Dio, ma anche la fortuna di possederlo in se stessa,
questo pensiero le fa viva impressione e la fa entrare in profondo
raccoglimento. Ella guarda questo Dio di amore e di maesta` e tutta
l'adorabile Trinita` che si degna di entrare in lei e abitarvi come in
suo tempio. Lo guarda con somma compiacenza, gioisce di gaudio in
possederlo e vi trova riposo ineffabile vedendo sodisfatti tutti i
suoi desideri, quanto e` consentito sulla terra: che cosa infatti puo`
l'anima desiderare e sperare di piu` grande che posseder Dio?

1369. 3^ Questa semplificazione si estende ben presto a tutta la
vita: "La pratica di quest'orazione, dice Bossuet, deve cominciare fin
dal primo svegliarsi, facendo un atto di fede in Dio presente da per
tutto, e in Gesu` Cristo, il cui sguardo, quand'anche fossimo
inabissati nel centro della terra, non ci lascia mai". E continua per
tutta la giornata. Pur attendendo agli ordinari doveri, uno sta unito
a Dio, lo guarda ed ama. Nelle preghiere liturgiche e in quelle vocali
si bada piu` alla presenza di Dio vivente in noi che al senso
particolare delle parole, e si cerca prima di tutto di dimostrargli il
proprio amore. Anche gli esami di coscienza si semplificano: si vedono
con rapido sguardo le proprie colpe appena commesse e subito si
detestano. Gli studi e le esterne opere di zelo si fanno in ispirito
di preghiera, alla presenza di Dio, col desiderio ardente di
glorificarlo, ad majorem Dei gloriam. Anche le azioni piu` comuni sono
compenetrate di spirito di fede e di amore, onde diventano ostie
frequentemente offerte a Dio, "offerre spirituales hostias
acceptabiles Deo" 1369-1.
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sez. II. Vantaggi dell'orazione di semplicita`.

1370. Il grande vantaggio di quest'orazione sta in cio` che per lei
tutta la vita e` ridotta ad unita`, accostandosi cosi` alla vita divina,
per la maggior gloria di Dio e pel bene spirituale dell'anima.

1^ Dio e` glorificato in tutta la giornata. Quest'abituale e affettuoso
sguardo dell'anima a Dio, ce lo fa conoscere e amare meglio di tutte
le considerazioni; uno dimentica se stesso e a piu` forte ragione
dimentica le creature, o almeno non le vede se non in relazione a Dio,
sotto l'influsso del dono della scienza, n. 1341. La vita quindi
riesce un continuo atto di religione, un atto di riconoscenza e di
amore che ci fa ripetere con Maria: "L'anima mia glorifica il Signore:
magnificat anima mea Dominum".

1371. 2^ Onde anche l'anima viene santificata. a) Concentrando per
notevole tempo l'attenzione su una verita`, ella impara a conoscer
meglio Dio, ed essendo questo sguardo accompagnato da amore, lo ama di
piu` intenso amore e si unisce a lui in modo piu` intimo, attirando cosi`
in se` le perfezioni divine e le virtu` di Nostro Signore.

b) Allora il distacco riesce piu` agevole: quando si pensa abitualmente
a Dio, le creature non ci appaiono piu` come scalini per salire al
Creatore; piene di imperfezioni e di miserie, non hanno valore se non
in quanto riflettono le divine perfezioni e ci ammoniscono di rifarci
alla fonte d'ogni bene.

c) L'umilta` diventa piu` facile: al lume divino, si vede chiaramente il
proprio nulla e i propri peccati, e si e` lieti di potere, coll'umile
confessione delle colpe, glorificar Colui che solo merita ogni onore
ed ogni gloria: Soli Deo honor et gloria, mihi autem ignominia et
confusio. In cambio di anteporsi al prossimo, uno si considera come
l'ultimo dei peccatori, pronto ad amorosamente soffrire tutte le prove
e tutte le umiliazioni.

Si puo` quindi in tutta verita` dire che l'orazione di semplicita` ci
aiuta in modo singolare a glorificar Dio e a santificarci l'anima.

1372. Soluzione delle difficolta`. a) A questo genere di orazione si
fa talora rimprovero di fomentar l'ozio. S. Teresa cosi` risponde a
questa obiezione: 1372-1 "Ritornando a quelli che nell'orazione
fanno ragionamenti, diro` loro di non impiegare in questo esercizio,
per quanto sia meritorio, tutto il tempo dell'orazione. Trovando in
cio` molto diletto, credono che non ci sia domenica in questo e tempo
in cui non si abbia da lavorare. Tutto il resto, a loro giudizio, non
e` che perdita` di tempo. Ebbene io tengo questa perdita per vero
guadagno. Si mettano dunque internamente, nel modo che ho detto, alla
presenza di Gesu` Cristo, e, senza sforzi della mente, se ne stiano
parlando con lui e godendo della sua compagnia; e in cambio di
affaticarsi a ordinar ragionamenti, si contentino di esporgli i propri
bisogni e di considerar le ragioni che Nostro Signore avrebbe di non
soffrirci vicino a se`. Faranno pero` bene a usar varieta` per tema che
l'anima non si stanchi mangiando sempre uno stesso alimento. Quelli di
cui parlo sono molto saporiti e giovevoli: preso che v'abbia gusto,
l'anima vi trova pascolo sostanzioso e vivificante e molti vantaggi".
L'anima infatti non vi resta mai in ozio; non ragiona piu`, ma guarda,
ama e loda Dio, si da` a lui, e, se resta un momento in silenzio, e` per
ascoltarlo; se Dio cessa di parlare, e lei ripiglia i suoi pii
affetti, onde non resta mai oziosa.

1373. b) Altri obiettano che concentrare a questo modo l'attenzione
su un'idea fissa e` uno stancarsi la testa ed entrare in eccessiva
tensione di mente. Ci sarebbe certo un vero pericolo per chi volesse
mettersi a questo genere di orazione prima d'esservisi preparato e
mantenervisi a furia di sforzi di testa. Ma e` appunto questo che
bisogna evitare, dice Bossuet 1373-1: "Bisogna badare di non
martoriarsi il capo e neppure di eccitar troppo il cuore; ma prendere
con umilta` e semplicita` cio` che si presenta allo sguardo dell'anima,
senza quegli sforzi violenti che sono piu` fantastici che reali e
profondi; lasciarsi trarre dolcemente a Dio, abbandonandosi al suo
spirito". Non si tratta quindi di fare sforzi violenti, ma di
assecondar dolcemente i moti della grazia, ed esaurito un pensiero,
passare ad un altro, senza volersi ostinare nel primo. Allora
l'orazione di semplicita`, in cambio di riuscir faticosa, e` dolce
riposo dell'anima che si abbandona all'azione dello Spirito Santo. Il
che del resto si capira` meglio vedendo in che modo si fa questa
orazione.
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sez. III. Modo di fare l'orazione di semplicita`.

1374. 1^ Della chiamata a questo genere d'orazione. Per fare
l'orazione di semplicita` in modo abituale, bisogna aver le condizioni
indicate per la via unitiva, n. 1296. Se pero` si tratti di darsi
solo di tanto in tanto a questo genere d'orazione, basta sentirvisi
attirato dalla grazia di Dio.

Si possono del resto ridurre a due i segni distintivi della chiamata
divina a quest'orazione: a) un certo disgusto per l'orazione
discorsiva o per la moltiplicita` degli affetti, unito al poco profitto
che se ne ricava; s'intende che qui parliamo di anime fervorose che si
sforzano di meditar bene e non di anime tiepide che vogliono vivere
nella mediocrita`. b) Una certa propensione a semplificar l'orazione, a
fissare lo sguardo su Dio, e tenersi alla sua presenza, unita al
profitto che si ricava da questo santo esercizio.

In pratica, quando un direttore vede che un'anima fervorosa sente
grande difficolta` a far considerazioni o a moltiplicar gli affetti, e`
opportuno esporle sommariamente questo modo d'orazione, esortandola a
farne la prova e chiedendole poi conto dei risultati ottenuti; se
buoni, la consigliera` a continuare.

1375. 2^ Dell'orazione in se stessa. Non c'e`, propriamente parlando,
un dato metodo per questo genere d'orazione, perche` non c'e` guari
altro da fare che guardare ed amare. Si possono per altro dare alcuni
consigli alle anime che vi sono chiamate, onde aiutarle a tenersi alla
presenza di Dio. Consigli che saranno proporzionati all'indole, alle
disposizioni e ai moti soprannaturali dei penitenti.

a) A quelli che hanno bisogno di fissare i sensi su qualche oggetto
pio, si consigliera` di volgere lo sguardo alla croce, al tabernacolo o
a qualche pia immagine atta a concentrare il pensiero su Dio. Come ben
dice il Curato d'Ars, "non c'e` bisogno di parlar molto per pregar
bene. Sapendo che il Signore e` li` nel santo tabernacolo, gli si apre
il cuore e si gode di essere alla santa sua presenza: e` la miglior
preghiera" 1375-1.

b) Chi ha fantasia viva potra` rappresentarsi una scena evangelica, non
nei particolari come per il passato, ma cosi` all'ingrosso, per esempio
Nostro Signore nell'Orto degli Ulivi o sul Calvario; poi amorosamente
contemplarlo che patisce per noi e ripetere: "Gesu` mi amo` e si
sacrifico` per me: dilexit me et tradidit semetipsum pro
me" 1375-2.

1376. c) Altri amano di riandare adagino un passo della Sacra
Scrittura o di qualche pia preghiera, assaporandolo e nutrendosene. E`
cio` che consiglia S. Ignazio nel secondo modo di pregare n. 993;
e l'esperienza mostra che molte anime vengono iniziate all'orazione di
semplicita` con questo mezzo; conviene allora consigliarle a farsi una
raccolta dei piu` bei testi, di quelli che gia` assaporarono
leggendoli 1376-1, e giovarsene secondo le attrattive dello
Spirito Santo.

1377. d) Alle anime affettuose si consigliera` di fare atti motivati
d'amor di Dio, per esempio: "O mio Dio, io vi amo con tutto il cuore,
perche` siete la stessa bonta`, Deus caritas est, la bellezza
infinita..." assaporando a lungo questi pochi pensieri. Oppure
rivolgersi a Gesu` e pensare ai diritti che ha al nostro amore: "Vi
amo, o Gesu`, che siete l'amabilita` stessa; voi siete il mio Signore e
io vi voglio ubbidire; il mio Pastore e io vi voglio seguire e
nutrirmi di voi; il mio Dottore e io credo in voi; il mio Redentore e
io vi benedico e aderisco a voi; il mio capo e io m'incorporo a voi;
il mio piu` fedele amico e io vi amo sopra ogni cosa e voglio amarvi
sempre piu`". -- Si puo` anche adoprare il primiero metodo d'orazione
lasciato dall'Olier ai suoi discepoli: Gesu` davanti agli occhi:
"Stiamo in riverenza e rispetto dinanzi a cosa cosi` divina e cosi`
santa; e dopo che il nostro cuore si sara` sfogato in amore e lode e in
altri doveri, stiamocene per qualche tempo in silenzio dinanzi a lui".
Gesu` nel cuore: supplicheremo lo Spirito di Gesu` a venire nell'anima
nostra per renderci conformi a questo divino modello: "Ci daremo a lui
per essere da lui posseduti e animati dalla sua virtu`; e dopo ce ne
staremo un altro poco in silenzio vicino a lui, per lasciarci
penetrare dalla divina sua unzione..."; Gesu` nelle mani, bramando "che
la divina sua volonta` si compia in noi, suoi membri, che dobbiamo
stare sottomessi al nostro capo e che non dobbiamo avere altro moto
che quello datoci da Gesu` Cristo, nostra vita e nostro tutto; il
quale, riempendoci l'anima del suo Spirito, della sua virtu` e della
sua forza, deve essere colui che opera in noi e per noi tutto cio` che
desidera" 1377-1.

1378. e) Vi sono anime in cui domina la volonta`, che non possono piu`
discorrere nell'orazione, e che, trovandosi per altro in aridita` e
distrazioni, stentano a trar dal cuore pii affetti. L'orazione
semplificata che convien loro e` cosi` descritta dal
P. Piny 1378-1: "Questa orazione consiste nel voler passare tutto
il tempo dell'orazione in amar Dio e amarlo piu` che noi stessi; nel
volervi stare per pregarlo in ispirito di carita`; nel volervi rimanere
abbandonati alla divina sua volonta`... Bisogna notare che l'amore ha
questo vantaggio sugli atti della maggior parte delle virtu` e sulle
altre specie di unione che, se vogliamo amare, noi amiamo; se vogliamo
con vera volonta` amorosamente unirci alla volonta` di Colui che amiamo
o che vogliamo amare, con quest'atto di volonta` noi subito possediamo
questa unione: l'amore infatti non e` altro che un atto affettivo della
nostra volonta`".

1379. f) In quest'orazione si e` esposti alle distrazioni e alle
aridita` come nell'orazione affettiva. Non c'e` che umiliarsene e
offrire a Dio la pena che se ne sente, sforzandosi cio` nonostante di
starsene alla sua presenza con perfetta rassegnazione alla sua
volonta`: le distrazioni ben possono impedire che si fissi su Dio la
mente ma non la volonta`, il cui atto virtualmente persevera nonostante
il divagare dell'immaginazione.

1380. 3^ Della preparazione e della conclusione. A) Quando si fa
l'orazione di semplicita`, occorre prepararne l'argomento?
Ordinariamente si`. Si sa infatti che S. Francesco di Sales consigliava
alla S. Chantal di preparare l'orazione 1380-1: "Io non dico che,
quando si e` fatta la preparazione e poi nell'orazione si e` attratti a
questa specie d'orazione (di semplice sguardo), non si debba
assecondarla; ma prendere per metodo di non prepararsi, mi riesce un
po' duro, come pure il togliersi dalla presenza di Dio senza
ringraziamento, senza offerta e senza espressa preghiera. Tutto cio`
potra` qualche volta riuscir utile, ma che se ne faccia una regola,
confesso che ci ho un po' di ripugnanza". Consiglio molto savio: il
preparare un argomento non impedira` allo Spirito Santo di suggerircene
un altro, se vuole; e, se non lo crede opportuno, converra` occuparsi
dell'argomento preparato.

1381. B) Questa preparazione inchiude pure la risoluzione da
prendere alla fine della meditazione; e` certamente meglio specificarne
una la sera precedente. Puo` essere che lo Spirito Santo ne suggerisca
un'altra o che porti semplicemente l'anima a darsi a Dio tutta la
giornata; ma quella presa da se` avra` pur la sua utilita`. Aggiungiamo
peraltro che, poiche` qui tutto si semplifica, la risoluzione migliore
sara` spesso di ripetere la stessa, per esempio, di vivere abitualmente
alla presenza di Dio o di non rifiutargli nulla o di far tutto per
amore. Vaghe potranno parere queste risoluzioni a chi non fa orazione
a questo modo, ma sono invece molto precise per le anime che Dio vi ha
condotto, perche` s'incarica poi lui di renderle pratiche colle
ispirazioni che dara` spesso nella giornata.

sez. IV. Relazione tra l'orazione di semplicita` e la contemplazione
infusa.

Per esporre esattamente la dottrina comune su questo argomento,
dimostreremo:
* 1^ che l'orazione di semplicita` non e` in sostanza, nei suoi
inizii, che una contemplazione acquisita;
* 2^ che e` ottima disposizione alla contemplazione infusa, in cui
anzi talora va a finire.

1382. 1^ E` una contemplazione. a) Tal era il pensiero di Bossuet,
che, descritta quest'orazione, aggiunge: "L'anima dunque, lasciando il
ragionamento, si serve di una dolce contemplazione che la tiene
tranquilla, attenta e atta a ricevere le operazioni e le impressioni
divine che lo Spirito Santo le comunica". E tale e` pure la conclusione
che nasce dalla natura stessa di quest'orazione paragonata con quella
della contemplazione. Questa si definisce, come abbiamo detti al
n. 1298, una semplice intuizione della verita`; ora l'orazione di
semplicita`, dice Bossuet, "consiste in una semplice vista, sguardo o
attenzione amorosa in se` a qualche oggetto divino"; a ragione quindi
viene detta contemplazione.

b) E` una contemplazione acquisita, non infusa, almeno al principio,
finche` resta debole e intermittente. Allora infatti non dura che pochi
minuti e cede il posto ad altri pensieri ed affetti; solo a poco a
poco l'anima si abitua a guardare ed amar Dio con una semplice vista
di fede, per un tempo un po' piu` notevole e in modo sintetico, come
l'artista contempla un capolavoro di cui ha prima studiato in
particolare i diversi elementi. Qui, a quanto pare, vi e` un processo
psicologico ordinario, il quale, come e` chiaro, suppone una fede viva
e anche l'opera latente dei doni dello Spirito Santo, ma non uno
speciale intervento di Dio, una grazia operante.

1383. 2^ L'orazione di semplicita` e` disposizione favorevole alla
contemplazione infusa. Pone infatti l'anima in uno stato che la rende
attentissima e docilissima agli impulsi della grazia, facile mobilis a
Spiritu Sancto. Quando dunque piacera` alla divina Bonta`
d'impossessarsi di lei per cagionarvi un raccoglimento piu` profondo,
una vista piu` semplice, un amore piu` intenso, entrera` nella seconda
fase dell'orazione di semplicita`, quale e` descritta dal Bossuet nel
n. V^ del citato opuscolo.

"Dopo non bisogna affannarsi a produrre molti altri atti o
disposizioni diverse, ma solo starsene attenti a questa presenza di
Dio, esposti ai divini suoi sguardi, continuando cosi` in questa devota
attenzione o disposizione finche` Nostro Signore ce ne fara` la grazia,
senza darsi pensiero di far altro fuori di quello che ci interviene,
perche` quest'orazione e` un'orazione con Dio solo e un'unione che
eminentemente contiene tutte le altre disposizioni particolari, e che
dispone l'anima alla passivita`, vale a dire che Dio diventa il solo
padrone del suo interno e che vi opera in modo piu` particolare
dell'ordinario: quanto meno lavora la creatura, tanto piu` potentemente
opera Dio; e poiche` l'operazione di Dio e` riposo, l'anima gli diviene
in qualche modo simile in quest'orazione e vi riceve quindi mirabili
effetti"...

Si notino le espressioni che abbiamo sottolineate e che si` chiaramente
indicano l'azione potente e speciale di Dio e la passivita` dell'anima;
si tratta qui certo della contemplazione infusa, e l'orazione,
cominciata con una certa attivita` per mezzo d'uno sguardo amoroso su
Dio, finisce col riposo o quiete, in cui Dio opera molto piu`
potentemente dell'anima.

1384. Vi e` quindi una certa continuita` tra l'orazione affettiva
semplificata, che si puo` acquistare collo spirito di fede, e la
quiete, che e` orazione infusa causata dai doni dello Spirito Santo con
la cooperazione dell'anima. Corre tra l'una e l'altra una differenza
essenziale, essendo l'una acquisita e l'altra infusa; ma c'e` un
vincolo e un ponte, cioe` l'orazione di semplicita`, che comincia con
una semplice vista di fede e termina, quando piaccia a Dio,
coll'investimento dell'anima da parte dello Spirito Santo. Dio non e`
obbligato, e` vero, anche quando si e` giunti all'orazione di
semplicita`, a trasformarla in orazione infusa, che resta sempre dono
gratuito a cui non possiamo elevarci da noi stessi; ma lo fa spesso
quando trova l'anima ben disposta; perche` nulla tanto desidera quanto
di unirsi in modo piu` perfetto alle anime generose che sono risolute a
non ricusargli nulla.
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CONCLUSIONE DEL PRIMO CAPITOLO.

1385. Questa prima forma della vita unitiva e` gia` molto perfetta.
1) Affettuosamente e abitualmente unita a Dio, l'anima si studia di
praticare le virtu` in cio` che hanno di piu` alto, coll'aiuto dei doni
dello Spirito Santo, che ora operano in modo latente ora in modo piu`
palese. I doni che in lei predominano sono, per ragion del
temperamento, delle occupazioni e delle attrattive divine, quelli che
portano all'azione; ma, operando, rimane in comunione con Dio, perche`
per lui, con lui, sotto l'azione della sua grazia lavora e patisce.
2) Venuta l'ora della preghiera, la sua orazione e` molto semplice:
guarda con gli occhi della fede questo Dio che le e` Padre, che abita
in lei, che lavora con lei; e contemplando l'ama; amore che si
manifesta talora con slanci generosi, altre volte con puri atti di
volonta`, perche` l'anima ha pure aridita` e prove in cui non puo` che
dire: O mio Dio, io vi amo, o almeno vi voglio amare, voglio fare per
amore la vostra volonta` a qualunque costo. 3) Vi sono momenti in cui i
doni della scienza, dell'intelletto e della sapienza, che abitualmente
non operano in lei se non in modo latente, si manifestano come un
lampo e la mettono per un istante in dolce riposo.

E` una specie d'iniziazione alla contemplazione infusa.
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24/10/2013 13:17
 
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1304-1 Quando si legge, per esempio, la biografia di uomini come
i PP. Olivaint e Ginhac, del Mollevaut o del De Courson, e di tanti
altri le cui vite furono pubblicate, non possiamo tenerci
dall'ammirarne le virtu`, l'unione con Dio, la docilita` allo Spirito
Santo, ma pure non si vede che abbiano praticata la contemplazione
infusa.

1305-1 Don Me'nager, La doct. spir. de Cle'm. d'Alex., Vie
spirituelle, gennaio 1923, p. 424; Cfr. Etudes Carme'litaines,
1920-1922, ove e` una serie di articoli sulla contemplazione acquisita;
si legga anche il nostro articolo sulla orazione di semplicita`, Vie
spirit., dic. 1920, p. 161-174.

1305-2 Questa conclusione e` ammessa dal P. Garrigou-Lagrange, in
risposta ad una lettera di G. Maritain (Perfect. chre't. et contempl.,
t. II^, p. 75): "Quindi non abbiamo alcuna difficolta` a riconoscerlo
ripetutamente: puo` accadere che anime anche generosissime, per
mancanza di certe condizioni indipendenti dalla loro volonta`, non
pervengano alla vita mistica se non dopo un tempo piu` lungo della
durata ordinaria della nostra vita terrena. Il che puo` dipendere non
solo dall'ambiente sfavorevole, dalla mancanza di direzione, ma anche
dal fisico temperamento".

1306-1 Rev. des Jeunes, 25 sett. 1923, p. 613. -- Cio` che viene
pure provato da G. Maritain, nell'articolo citato. Aggiunge pero` che
le anime, in cui predominano i doni attivi, sono nello stato mistico,
benche` non godano della contemplazione infusa. A scanso d'equivoci,
bisognerebbe aggiungere ch'esse sono nello stato mistico
impropriamente detto.

1307-1 S. Tommaso, In III Sent., dist. XXXIV-XXXV; Ia. IIae, q. 68;
IIa. IIae, qq. 8, 9, 19, 45, 52, 121, 139; e i suoi commentatori,
specialmente Giovanni di S. Tommaso, in Iam IIae, q. 68; Suarez, De
gratia, P. III, c. VIII; Dionigi certosino, ottimo trattato De Donis
Spiritus S.; G. B. de St Jure, L'uomo spirituale, 4^ Principio, La
docilite' a` la conduite du S. Esprit; Mgr Perriot, L'Ami di Clerge',
1892; p. 389-393; Froget, De l'habitation du S. Esprit, p. 378-424;
Card. Billot, De virtutibus infusis, (1901), p. 162-190; Gardeil, Dons
du S. Esprit, Dict. de The'ol., t. IV, col. 1728-1781; D. Joret, Les
dons du S. Esprit, Vie spirituelle, t. I, pp. 229, 289, 383;
P. Garrigou-Lagrange, Perfect. et contemplation,
t. I, c. IV, a. 5-6, p. 338-417; Mgr Landrieux, Le Divin Me'connu.

1308-1 Nel libro delle Sentenze (III. Sent. d. 34, q. I, a. I)
adopra questa espressione: "Dona a virtutibus distinguuntur in hoc
quod virtutes perficiunt ad actus modo humano, sed dona ultra humanum
modum". Nella Somma si serve d'una espressione diversa: "secundum ea
(dona) homo disponitur ut efficiatur prompte mobilis ab inspiratione
divina^" (Ia. IIae, q. 68, a. I). Cfr. De Guibert, Dons du S. Esprit et
mode d'agir ultra-humain, nella Rev. d'Asc. et de Mystique, ott. 1922,
p. 394. Vi e` qui certamente una sfumatura un po' diversa; resta pero`
sempre vero che, sotto l'influsso dei doni giunti al loro pieno
sviluppo, noi siamo piu` passivi che attivi, magis agimur quam agimus.

1309-1 Sum. theol., IIa. IIae, q. 52, a. 2.

1311-1 Mgr Gay, Della vita e delle virtu` cristiane, t. I.

1313-1 Sum. Theol., IIa. IIae, q. 9, art. 3, ad 3: "Dona sunt
perfectiora virtutibus moralibus et intellectualibus; non sunt autem
perfectiora virtutibus theologicis; sed magis omnia ad perfectionem
virtutum theologicarum ordinantur sicut ad finem". Cfr. Ia. IIae, q. 68,
a. 8.

1314-1 Alcuni teologi, come l'abbate Perriot (Ami du Clerge',
1892, p. 391), pensano che i doni intervengano in ogni opera
meritoria; ma senza andar tanto oltre, si ammette comunemente che su
questi atti influiscano frequentemente allo stato latente, senza che
ne abbiamo coscienza.

1315-1 Sum. theol., Ia. IIae, q. 68, a. 8 ad 2.

1315-2 In IIam IIae, q. 182, a. 1, sez. VII; Joret, Vie spirit., 10
Aprile 1920, p. 45-49, e La Contemplation mystique, 1923, p. 71.

1316-1 I Cor., II, 12-14.

1317-1 Ps. LXXXIV, 9.

1317-2 De imit., l. III, c. 1.

1318-1 Joan., VIII, 29.

1318-2 Ps. XCIV, 8; Hebr., III, 7-8.

1319-1 Act., I, 14.

1320-1 Isa., XI, 2-3. -- Il testo ebraico non fa menzione del
dono della pieta`, come fanno i Settanta e la Volgata; la Tradizione
dal secolo III^ in poi conferma questo numero settenario. Del resto,
come nota il Knabenbauer (in Isaiam, Vol. I, p. 272), il concetto di
timore ha nella Sacra Scrittura tal ampiezza da potersi esprimere piu`
analiticamente coi due vocaboli di pieta` e di timore.

1321-1 Matth., X, 19.

1321-2 Atti, V, 29.

1323-1 "Sed quia humana ratio non potest comprehendere singularia
et contingentia quae occurrere possunt, fit quod "cogitationes
mortalium sint timidae et incertae providentiae nostrae" (Sap. IX, 14). Et
ideo indiget homo in inquisitione consilii dirigi a Deo qui omnia
comprehendit; quod fit per donum consilii, per quod homo dirigitur
quasi consilio a Deo accepto". (S. Tommaso, IIa. IIae, q. 52, a. I,
ad I).

1323-2 Mons. Landrieux, op. cit., p. 163. -- "La mancanza di
questo dono ci causa gravissimi mali, dice il P. S. Jure, P. Ia.,
c. IV, sez. 7, perche`... ci rende confusi nei pensieri, ciechi nei
disegni, precipitati nelle risoluzioni, imprudenti nelle parole,
temerari nelle opere".

1324-1 Ps. XXIV, 4.

1324-2 Ecco perche` Donoso Corte`s diceva che i migliori
consiglieri sono i contemplativi: "Fra le persone che conobbi da
vicino, e ne conobbi molte, le sole in cui io abbia riconosciuto
imperturbabile buon senso, vera sagacia, mirabile disposizione a dar
soluzioni pratiche e savie sui problemi piu` difficili... sono quelle
che condussero vita contemplativa e ritirata". (Saggi sul
Cattolicismo).

1325-1 Rom., VIII, 15.

1325-2 Rom., VIII, 28.

1326-1 Luc., X, 16.

1328-1 Galat., IV, 19.

1329-1 I Tim., IV, 7-8.

1330-1 Atti, VI, 8; VII, 55.

1333-1 I Cor., I, 27-29.

1333-2 "Ab illa^ mensa^ recedamus tanquam leones, ignem spirantes,
diabolo terribiles". (In Joan., homil. LXI, 3, P. L., LIX, 260).

1334-1 E` la lezione che il B. E. Susone ebbe un giorno dalla
divina Sapienza: "E` necessario, gli disse, che il mio servo ami prima
di tutto l'abnegazione e che muoia interamente a se stesso e alle
creature. Questo grado di perfezione e` molto raro, ma colui che vi e`
arrivato, s'innalza rapidamente a Dio... Sara` allora meraviglia che le
afflizioni e le croci non lo impressionino punto, come impressionano
quelli il cui formale desiderio e` di non soffire? Non e` che i Santi
siano piu` degli altri insensibili al dolore... Ma l'anima loro e` al
sicuro da ogni assalto, perche` non cerca e non ama che la croce... Il
loro corpo soffre, ma l'anima s'inebria di Dio e gusta nell'estasi una
ineffabile felicita`... L'amore che le anima fa che non possono piu`
considerare il dolore come dolore, ne` l'afflizione come afflizione:
non conoscono in Dio che pace profonda ed inalterabile".

1334-2 Atti, I, 8.

1336-1 Il Dialogo, l. I, c. 2, (edizione Gigli).

1336-2 "Ne` colui che per me desidera e vuole mortificare il corpo
colle molte penitenze senza uccidere la propria volonta`, mi e` molto a
grado. Ma io voglio le molte operazioni del sostener virilmente e con
pazienza e le altre virtu` intrinseche dell'anima. Io, che sono
infinito, richieggo infinite operazioni, cioe` infinito affetto
d'amore. Voglio che le operazioni della penitenza e degli altri
esercizi corporali siano posti per strumento e non per principale
affetto. Che se fosse posto il principale affetto ivi, mi sarebbe data
cosa finita, e farebbe come la parola, che, uscita che e` fuori della
bocca, non e` piu`. Se gia` la parola non uscisse coll'affetto
dell'anima, il quale concepisce e partorisce in verita` la virtu`, cioe`
che l'operazione finita, che ho chiamata parola, fosse unita
coll'affetto della carita`; allora sarebbe grata e piacevole a me;
perche` non sarebbe sola ma accompagnata colla vera discrezione, usando
operazioni corporali per strumento, non per principale capo". Il
Dialogo, l. I, c. X, (edizione Gigli).

1336-3 Eccles., XXI, 2.

1337-1 E` una giusta osservazione del P. de Smedt (Notre vie
surnat., t. I, p. 501-502): "Quando abbiamo un'alta ideale della
superiorita` di una persona su di noi, non ci avviciniamo a lei che con
un senso di timidita` o anche di turbamento; ma se questa persona
riguardata molto al di sopra di noi si mostra piena di bonta`, se
manifesta vivo piacere di vederci, di conversare con noi, di sapersi
da noi amata, se ambisce di trattare con noi con la piu` intima
familiarita`, il rispetto ispiratoci dalla sua superiorita` non
c'impedisce di concepire per lei un vivo affetto. Anzi, quanto piu`
grande e` l'idea che abbiamo della sua superiorita` su di noi, tanto piu`
grande e` pure il nostro amore, tanto piu` profonda la riconoscenza e
piu` vivo il desiderio di attestargli quest'amore e questa riconoscenza
colla tenerezza e colla devozione nostra. D'altra parte, vedendola piu`
da vicino e addentrandoci nella sua intimita`, maggiormente ne stimiamo
l'eccellenza delle doti; onde cresce la nostra venerazione per lei e
ci sentiamo compresi di riconoscenza e di confusione alla vista della
stima, della tenerezza, della premura, della delicatezza che ci
dimostra".

1338-1 Ps. CXVIII, 120.

1338-2 Ps. L, 19.

1339-1 IIa. IIae, q. 45, a. 2.

1339-2 D. Joret, Les dons du S. Esprit, in Vie spirit.,
Marzo 1920, p. 383-393.

1340-1 Esprit de M. Olier, t. II, p. 346.

1341-1 Joergensen, S. Francesco d'Assisi, (Palermo, 1910). Gli
stessi sentimenti si riscontrano nella Journe'e chre'tienne dell'Olier.

1342-1 Ps. LIV, 7.

1342-2 S. Agostino, Le confessioni, l. X, c. 27.

1343-1 Phil., III, 8.

1345-1 IIa. IIae, q. 8, a. 1.

1346-1 IIa. IIae, q. 8, a. 3.

1346-2 "In ha^c etiam vita^, purgato oculo per donum intellectu^s,
Deus quodammodo videri potest... Duplex est Dei visio: una quidem
perfecta, per quam videtur Dei essentia; alia vero imperfecta, per
quam, etsi non videamus de Deo quid est, videmus autem quid non est...
secunda pertinet ad donum intellectus inchoatum, secundum quod habetur
in via" (Ia. IIae, q. 69, a. 2, ad 3; IIa. IIae, q. 8, a. 7).

1347-1 Ps. CXVIII, 73.

1347-2 Matth., XI, 25.

1348-1 S. Tommaso, IIa. IIae, q. 45.

1349-1 Ps. XXXIII, 9.

1349-2 Ephes., I, 3.

1349-3 I semplici praticano questo dono della sapienza a modo
loro, assaporando a lungo qualche verita` divina; tale era quella
povera vaccaia che non poteva terminare il Pater, "perche`, diceva, son
gia` cinque anni che quando pronunzio la parola Pater e considero che
Colui che sta lassu` e` mio Padre, mi metto a piangere e sto tutto il
giorno cosi`, badando le vacche". (H. Bre'mond, Hist. litte'raire, t. II,
p. 66).

1351-1 Sap., IX, 1-12. La bella versione e` tolta da "I Libri
poetici della Bibbia tradotti dai testi originali e annotati dal
P. Vaccari S. J.", Roma, Pontificio Istituto biblico, 1925,
pp. 310-311 (N. D. T.)

1352-1 Ps. XXXIII, 9.

1353-1 Traite' de la vie inte'rieure, t. I, n. 246. A sostegno
della sua opinione cita S. Antonino, Giov. di S. Tommaso e il Suarez.
Lo stesso insegna il P. Garrigou-Lagrange, op. cit., t. I,
p. 404: "Abbiamo sempre detto che, prima dell'ingresso nello stato
mistico, i doni intervengono in modo o latente e assai frequente, o
manifesto ma raro." -- Cf. P. G. de Guibert; R. A. M., ott. 1923,
p. 338.

1354-1 Cosi` insegna il P. Meynard, t. I, n. 126, 128,
appoggiandosi su Giovanni di S. Tommaso.

1355-1 Cantico spirituale, stanza V, n. 1, 3.

1356-1 L'Ornamento delle Nozze Spirituali, l. II^, c. 66-68
(Libreria Carabba, Lanciano).

1356-2 Royaume des amants, c. XXXIII.

1358-1 Il P. Poulain, Delle grazie d'orazione, c. VI, adduce in
prova gran quantita` di testi.

1358-2 Confess., l. X, c. VI, nella classica versione del Bindi.

1359-1 Galat., V, 22-23. La Volgata ne enumera dodici: "Fructus
autem Spiritus est: caritas, gaudium, pax, patientia, benignitas,
bonitas, longanimitas, mansuetudo, fides, modestia, continentia,
castitas"; aggiunge dunque la longanimita`, la modestia e la
continenza, e alla temperanza sostituisce la castita`.

1361-1 "Beatitudines dicuntur solum perfecta opera, quae, etiam
ratione suae perfectionis, magis attribuuntur donis quam virtutibus".
(Sum. theol., Ia. IIae, q. 70, a. 2).

1363-1 Bossuet, Modo breve e facile per fare l'orazione in fede e
di semplice presenza di Dio, Tom. LIV, p. 316; Thomas a Jesu, De
contemplatione divina^; Ven. Libermann, Ecrits spirit., De l'oraison
d'affection; Instruct. aux missionaires, c. V, art. II; P. Poulain,
Delle grazie d'orazione, c. II; D. V. Lehodey, Le vie dell'orazione,
P. II, c. VIII (Marietti, Torino); A. Tanquerey, L'oraison de
simplicite', Vie spirit., dic. 1920, p. 161-174.

1368-1 Galat., II, 20.

1368-2 Joan., XIV, 23; I Cor., III, 17; VI, 20.

1368-3 Traite' de la ve'ritable oraison, P. 3a., C. 10.

1369-1 I Petr., II, 5.

1372-1 Autobiografia, c. XIII, -- Cf. P. Dupont, Vie di
P. Balthazar Alvarez, c. XLI.

1373-1 Opuscolo sul miglio modo di fare orazione, t. VII,
ed. Vive`s, p. 501.

1375-1 Vita del Santo Curato d'Ars scritto dal Monnin, l. V,
c. IV (Marietti, Torino).

1375-2 Galat., II, 20. -- S. Teresa, nella sia Vita, c. XIII, in
fine, ci da` un esempio di quest'orazione. Dopo aver invitato le suore
a meditare su Gesu` legato alla colonna, aggiunge in fine: "Badi pero`
di non stancarsi cercando sempre questo (chi pati`, che cosa pati`, per
chi pati` ecc.) ma se ne stia li` coll'intelletto quieto. Potendo, si
occupi nel pensare che Gesu` la guarda e l'accompagni, gli parli, gli
chieda, si umili, si consoli con lui, ammettendo che non merita di
stare alla sua presenza. Se puo` giungere a questo, anche fin dal
principio dell'orazione, ne cavera` gran profitto..."

1376-1 Il P. S. Jure compose una piccola raccolta di questo
genere: Le Mai^tre Je'sus Christ enseignant les hommes; si puo` pure
servirsi del V. P. Chevrier, Le disciple.

1377-1 L'oraison di coeur, c. I.

1378-1 Introduzione, c. IV.

1380-1 Lettera del 11 marzo 1610, t. XIV, p. 266.
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PARTE SECONDA
Le Tre Vie

LIBRO III
La via unitiva
_________________________________________________________________

CAPITOLO II.

Della contemplazione infusa 1386-1.

Esposte le nozioni generali sulla contemplazione infusa, ne
percorreremo i vari gradi.

ART. I. NOZIONI GENERALI SULLA CONTEMPLAZIONE INFUSA.

A far conoscere la contemplazione infusa, ne spiegheremo:
* 1^ la natura;
* 2^ i vantaggi;
* 3^ i segni di vocazione prossima alla contemplazione.

sez. I. Natura della contemplazione infusa.

Datane la definizione, spiegheremo la parte di Dio e la parte
dell'anima nella contemplazione.

I. Definizione.

1386. A) Gli autori antichi, non facendo esplicita distinzione tra
contemplazione acquisita e contemplazione infusa, ordinariamente non
dicono neppure la differenza specifica che corre tra loro. Dai vari
articoli di S. Tommaso su questo argomento si puo` conchiudere che la
contemplazione e` una vista semplice, intuitiva, di Dio e delle cose
divine, che procede dall'amore e tende all'amore 1386-2.
S. Francesco di Sales la definisce: "un'amorosa, semplice e permanente
attenzione della mente alle cosa divine" 1386-3.

B) Gli autori moderni fanno generalmente distinzione tra i due generi
di contemplazione, e con Benedetto XIV definiscono o descrivono la
contemplazione infusa: "una semplice vista intellettuale, accompagnata
da soave amore delle cose divine, che procede da Dio, il quale applica
in modo speciale l'intelletto a conoscere e la volonta` ad amare le
cose divine, e concorre a questi atti coi doni dello Spirito Santo,
intelletto e sapienza, illuminando la mente di viva luce e la volonta`
infiammando d'amore". Si ha qui una nozione veramente compita, che
indica bene la parte di Dio e dei Doni dello Spirito Santo e nello
stesso tempo la parte delle nostre facolta`, le quali, pur essendo
applicate da Dio alla conoscenza e all'amore, liberamente cooperano a
questa divina mozione. Pero` si noti che questa definizione comprende
la sola contemplazione soave e non la contemplazione arida. Onde,
volendo una definizione che le comprenda tutte e due, si puo` dire che
la contemplazione infusa e` una vista semplice, affettuosa e prolungata
di Dio e delle cose divine, che si fa sotto l'influsso dei doni dello
Spirito Santo e di una grazia attuale speciale, la quale s'impossessa
di noi e ci fa operare piu` passivamente che attivamente.

A ben intendere questa definizione, ci resta da esporre la parte di
Dio e la parte dell'uomo nella contemplazione.
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II. Parte di Dio nella contemplazione.

Dio ha la parte principale, perche` egli solo puo` impossessarsi di noi
e metterci nello stato passivo.

1387. 1^ E` Dio che chiama l'anima alla contemplazione; perche`, a
confessione di tutti i mistici, e` questo un dono essenzialmente
gratuito. Tal e` la dottrina di S, Teresa, che chiama spesso
soprannaturale questo genere d'orazione. Ora, nella seconda relazione
al P. Rodrigo Alvarez, spiega cosi` questa parola: "Chiamo
soprannaturale cio` che non si puo` acquistare ne` coll'industria ne`
collo sforzo, per quanto uno vi si affatichi; sebbene disporvisi, si`,
si puo`, e questo deve importare assai" 1387-1. Il che fa anche
meglio capire con questo grazioso paragone: "Di grado in grado viene
il Signore a prendere quest'uccellino e metterlo nel nido perche` vi si
riposi" 1387-2.

Tal e` pure l'insegnamento di S. Giovanni della Croce, il quale
distingue due metodi, l'uno attivo e l'altro passivo; questo, che non
e` altro che la contemplazione, e`, egli dice, "quello in cui l'anima
non fa nulla come da se` e per propria industria, ma Dio opera in lei
ed ella se ne sta come passiva" 1387-3. E torna spesso su questa
distinzione: corre tra i due stati "tanta differenza come tra l'opera
umana e l'opera divina, tra il modo d'operare naturale e quello
soprannaturale. -- Badino i direttori di tali anime e considerino che
l'agente principale, la guida, il motore delle anime in questo affare,
non sono loro ma lo Spirito Santo, il quale non cessa di vigilar su di
esse, e che essi sono semplici strumenti per condurle alla perfezione
secondo la fede e la legge divina, secondo lo spirito che Dio
distribuisce a ciascuna" 1387-4. Se dunque l'iniziativa e` tutta di
Dio, se e` lui che muove le anime, lui il principale agente, e l'anima
se ne sta come passiva, e` chiaro che l'anima non puo` ingerirsi da se`
in questo stato ne` meritarlo in senso proprio, de condigno; non
potendosi meritare a questo modo se non cio` che Dio volle inchiudere
nell'oggetto del merito, vale a dire la grazia santificante e la
gloria eterna.

Questa gratuita` e` ammesa pure dalla Scuola che tiene che tutte le
anime sono chiamate alla contemplazione; dopo aver detto che la
meditazione non e` sopra i nostri sforzi, il Saudreau aggiunge: "Non si
puo` entrar in pari modo nell'orazione mistica; per qualunque sforzo si
faccia, non vi si arrivera` mai, se non si e` stati innalzati per favor
divino a stato cosi` meritorio" 1387-5. E` vero che alcuni pensano
che si possa meritarlo de congruo, ma questo merito di semplice
convenienza non ne toglie l'essenziale gratuita`.

1388. 2^ Dio pure e` quello che sceglie il momento e il modo della
contemplazione come anche la durata. Egli solo infatti mette l'anima
nello stato passivo o mistico, impossessandosi delle sue facolta` per
operare in loro e per loro col libero consenso della volonta`: e` una
specie di ossessione divina; Dio, essendo sovrano padrone dei suoi
doni, interviene quando vuole e come vuole.

1389. 3^ Nella contemplazione Dio opera soprattutto in quello che i
mistici chiamano l'apice, la cima dell'anima, la cima della volonta` o
l'intimo fondo, il centro dell'anima. Si deve intendere con queste
parole tutto cio` che vi e` di piu` alto nell'intelletto e nella volonta`;
e` l'intelletto non in quanto ragiona ma in quanto percepisce la verita`
con un semplice sguardo, sotto l'influsso dei doni superiori di
intelletto e di sapienza; e` la volonta` nel suo atto piu` semplice che e`
d'amare e di gustare le cose divine 1389-1.

Il Ven. L. Blosio 1389-2 pensa che questo centro dell'anima dove
avviene la contemplazione sia "molto piu` intimo ed alto delle tre
principali facolta`, essendo la fonte od origine di queste stesse
facolta`... In questo centro, dice, le facolta` superiori sono tutte una
cosa sola, la` regna somma tranquillita` e perfetto silenzio, perche` non
vi puo` mai giungere imagine alcuna. In questo centro, ove si cela
l'immagine divina, noi rivestiamo la forma divina".

1390. 4^ In cotesto centro dell'anima produce Dio nello stesso tempo
conoscenza ed amore. La conoscenza si fa per affermazione o per
negazione.

a) La prima, che e` distinta pur restando oscura, colpisce vivamente
l'anima, perche` e` sperimentale o quasi sperimentale. Dio puo` causarla
in noi in quattro modi principali:

1) Attirando la nostra attenzione col lume dei doni su un'idea che gia`
avevamo ma che non ci aveva finallora colpiti. Sappiamo, per esempio,
che Dio e` amore, ma ecco che la divina luce ci fa cosi` bene intendere
e gustare questo pensiero che ne siamo tutti compresi e compenetrati.

2) Facendoci dedurre da due idee, che gia` avevamo, una conclusione che
questa stessa luce rende vivissima nell'anima. Cosi` dal fatto che Dio
e` tutto e noi nulla, lo Spirito Santo ci fa capire che l'umilta` e` per
noi imperioso dovere: Io sono colui che e`, e tu, tu sei colui che non
e`!

3) Producendo in noi specie infuse, le quali, perche` provenienti da
Dio, rappresentano le cose divine in modo piu` perfetto e piu vivo,
come avviene in certe visioni o rivelazioni.

4) Concedendo a un'anima in modo passeggiero la visione beatifica,
come S. Tommaso ammette per Mose` e per S. Paolo 1390-1, e alcuni
Padri per la SS. Vergine 1390-2.

La conoscenza che si fa per negazione ci mostra la trascendenza di Dio
e ce ne da quindi un'altissima idea; la descriveremo al n. 1398.

1391. b) Dio produce pure nell'anima un ineffabile amore: le fa
capire con una specie d'intuizione che Egli ed Egli solo e` il sommo
bene, onde l'attira in modo forte ed irresistibile, come la calamita
attira il ferro, senza pero` violentarne la liberta`; allora infatti
ella va a Dio con lo stesso ardore con cui va alla felicita`, ma
liberamente, perche` questa vista, essendo oscura, non le toglie la
liberta`.

Allora, secondo il Ven. L. Blosio, l'anima esce fuori di se` per
trasfondersi tutta quanta in Dio e perdersi nell'abisso dell'eterno
amore. "E la`, morta a se stessa, vive in Dio senza nulla conoscere ne`
sentire, tranne l'amore di cui e` ebbra. Si perde nell'immensita` della
solitudine e delle tenebre divine; ma il perdersi la` e` piuttosto un
vero ritrovarsi. Perche` l'anima si spoglia veramente di tutto l'umano
per rivestirsi di Dio; e` tutta cangiata e trasformata in Dio, come il
ferro che sotto l'azione del fuoco ne prende l'aspetto e si cangia in
fuoco; ma l'essenza dell'anima cosi` deificata rimane cio` che era, come
il ferro incandescente non cessa d'essere ferro. In quest'anima non
c'era finallora che freddezza, e quindi innanzi e` tutta infiammata;
dalle tenebre e` passata al piu` vivo fulgore; un di` insensibile, ora
non e` piu` che tenerezza... Tutta consumata dal fuoco del divino amore
e tutta liquefatta, e` passata in Dio, e, unendosi immediatamente a
lui, non fa piu` con lui che un solo spirito, a quel modo che l'oro e
il bronzo si fondono in un solo metallo. Coloro che sono cosi` rapiti e
perduti in Dio toccano pero` altezze diverse, perche` ognuno penetra
tanto piu` avanti nelle divine profondita`, quanto maggiore e` la
sincerita, l'ardore e l'amore con cui si volge a Dio e quanto piu`
intieramente rinunzia, anche in questa ricerca, a ogni proprio
interesse 1391-1.

III. Parte dell'anima.

Prevenuta dalla grazia di Dio, l'anima corrisponde liberamente alla
divina mozione:

1392. 1^ Si lascia liberamente prendere e muovere da Dio, come il
bambino che si lascia portare tra le braccia della madre con libero e
giocondo consenso; onde e` nello stesso tempo passiva ed attiva.

a) E` passiva nel senso che e` impotente a operare da per se`, come
faceva prima; non puo` piu`, nel momento della contemplazione, esercitar
le facolta` in modo discorsivo; dipende da un principio superiore che
la governa, che ne fissa lo sguardo, la mente e il cuore sull'oggetto
contemplato, glielo fa amare e gustare, le suggerisce cio` che deve
fare e le da` forte impulso a farla operare. Non e` pero` nei primi gradi
intiera impotenza; il fenomeno del legamento delle facolta` non avviene
che gradualmente e non si ha intieramente che in certi stati piu` alti
di contemplazione, specialmente nelle estasi. Cosi`, nella quiete, la
preghiera vocale e la meditazione riesce faticosa all'anima ma non e`
ordinariamente impossibile 1392-1; nell'unione piena, Dio sospende
l'intelletto, non gia` intieramente impedendogli di operare ma
impedendogli di ragionare; ne ferma i pensieri fissandoli su un dato
oggetto; fa morir la parola sul labbro cosi` che non si riesce a
proferirne se non con penoso sforzo 1392-2.

1393. b) Ma l'anima, che non puo` discorrere come prima, non resta
oziosa. Sotto l'influsso della mozione divina opera guardando Dio ed
amandolo, benche` con atti che sono talora soltanto impliciti. Opera
anzi con piu` attivita` che mai; perche` riceve un'influsso di forza
spirituale che ne decuplica [sic] le energie. Si sente come
trasformata da un essere superiore, che e`, a cosi` dire, l'anima della
sua anima, che la solleva e la rapisce a Dio: e` l'effetto della grazia
operante a cui giocondamente acconsente.

1394. 2^ In questo stato Dio si presenta sotto nuovo aspetto, come
realta` vivente che viene afferrata con una specie di conoscenza
sperimentale che il linguaggio umano non vale ad esprimere. Non si
conosce piu` Dio per induzione o deduzione ma con semplice intuizione,
che non e` pero` la chiara visione di Dio e che rimane oscura
compiendosi per una specie di contatto con Dio che ci fa sentire la
sua presenza e ci fa gustare i suoi favori.

Nessuno forse meglio di S. Bernardo 1394-1 descrisse questa
conoscenza sperimentale: "Il Verbo venne in me (sono stolto a dire
queste cose) e piu` volte venne. Benche` mi abbia visitato spesso, io
non potei mai accorgermi del momento preciso in cui giunse. Ma sentii,
me ne rammento bene, che c'era. Potei talora presentirne l'arrivo, ma
non riuscii mai a sentirne l'entrata o l'uscita. Eppure io conobbi che
era vero cio` che avevo letto: che in lui viviamo, ci moviamo e siamo.
Beato colui in cui abita, che vive per lui ed e` mosso da lui! Ma
poiche` le sue vie sono impenetrabili, voi mi domandate in che modo io
abbia potuto conoscerne la presenza. Essendo egli pieno di vita e di
energia, appena e` presente mi desta l'anima addormentata; mi muove,
ammollisce, ferisce il cuore duro come la selce e molto ammalato; si
mette a sradicare e a distruggere, a edificare e a piantare, a
innaffiare cio` che e` arido, a illuminare cio` che e` oscuro, ad aprire
cio` che e` chiuso, a riscaldare cio` che e` freddo, a raddrizzare cio` che
e` storto, a levigare cio` che e` scabro, onde l'anima mia benedice il
Signore e tutte le mie potenze lodano il santo suo nome. Entrando
dunque in me, lo Sposo divino non fa sentir la sua venuta con segni
esterni, col rumor della voce o dei passi; non dai suoi movimenti, non
coi miei sensi ne riconosco la presenza, ma, come vi dissi, dal moto
del mio cuore; sentendo orrore del peccato e degli affetti carnali,
riconosco la potenza della sua grazia; scoprendo e detestando le
segrete mie colpe, ammiro la profondita` della sua sapienza; riformando
la mia vita, sperimento la sua bonta` e la sua dolcezza; e il
rinnovamento interiore che ne e` il frutto mi fa percepire
l'incomparabile sua bellezza". Ecco come l'anima che contempla il
Verbo ne sente nello stesso tempo la presenza e l'azione
santificatrice.

E` quindi una conoscenza intermedia tra la fede ordinaria e la visione
beatifica, ma che in ultima analisi si riduce alla fede e ne partecipa
l'oscurita`.

1395. 3^ Spesso l'anima ama assai piu` che non conosca: e` la
contemplazione serafica, in relazione alla contemplazione cherubica in
cui predomina la conoscenza. La volonta` infatti afferra il suo oggetto
in modo diverso dall'intelletto: l'intelletto conosce solo secondo la
rappresentazione, l'immagine, la specie intelligibile ricevuta dalle
cose; la volonta` o il cuore va invece alla realta` qual e in se stessa.
Ecco perche` possiamo amar Dio qual e` in se`, benche` il nostro
intelletto non ne scopra sulla terra l'intima natura. La stessa
oscurita` onde s'avvolge non fa che avvivare il nostro amore per lui e
ispirarci ardente desiderio della sua presenza. Con uno slancio del
cuore, il mistico, che non puo` veder Dio, varca il mistero che gliene
vela la faccia e ama Dio in se`, nell'infinita sua essenza 1395-1.
Vi e` pero` sempre qualche conoscenza che precede l'amore; e se pare che
certi mistici la neghino, e` perche` insistono su cio` che li ha piu`
particolarmente colpiti; ma resta vero, anche nello stato mistico, che
non si puo` amare cio` che assolutamente non si conosce: "nil volitum
quin praecognitum".

1396. 4^ Vi e` nella contemplazione un misto di gaudio e di angoscia:
gaudio ineffabile nell'assaporare la presenza dell'ospite divino;
angoscia di non possederlo intieramente. Ora domina l'uno ora l'altro
di questi sentimenti, secondo i disegni di Dio, le fasi della vita
mistica e l'indole. Vi sono quindi fasi particolarmente dolorose
appellate notti, e fasi dolci e soavi; vi sono indoli che vedono e
descrivono specialmente le prove della vita mistica, come S. Giovanni
della Croce e la Chantal; altre che si trattengono con maggior
compiacenza sui gaudii e sulle ebbrezze della contemplazione, come
S. Teresa e S. Francesco di Sales.

1397. 5^ Questa contemplazione rimane ineffabile, inesprimibile,
come unanimemente affermano i mistici.

"Impossibile all'anima di discernerla, dice S. Giovanni della
Croce 1397-1, e darle un nome; non ne ha del resto alcuna voglia e
non trova ne` modo, ne` maniera, ne` calzante paragone, a significar
conoscenza cosi` alta e sentimento apirituale cosi` delicato. Per guisa
che, anche se l'anima provasse il piu` vivo desiderio di spiegarsi e
accumulasse spiegazioni, resterebbe sempre cosa segreta ed
ineffabile... Si trova nella condizione di chi scoprisse cosa non mai
vista, senza equivalente da lui conosciuto, che, pur vedendola e
gustandola, non la saprebbe denominare ne` dir che cos'e`, per quanto
s'industriasse, e questo pur trattandosi di cose percepite dai sensi;
or quanto meno potra` farsi in cio` in cui i sensi non entrano?"

Due ragioni principali spiegano questa impossibilita` di descrivere cio`
che si e` provato: da un lato la mente e` immersa nella tenebra divina e
non percepisce Dio che in modo confuso ed oscuro sebbene vivissimo; e
dall'altro il fatto piu` forte e` quello d'un intenso amore per Dio, che
si prova ma non si sa descrivere.

1398. A) Vediamo prima di tutto che cosa s'intende per tenebra
divina, espressione tolta dal Pseudo Dionigi 1398-1.

"Sciolta dal mondo sensibile e dal mondo intellettuale, l'anima entra
nella misteriosa oscurita` d'una santa ignoranza e, rinunziando a ogni
dato scientifico, si perde in colui che non puo` essere ne` visto ne`
afferrato; si da` tutta a questo sovrano oggetto, senza piu` appartenere
a se` ne` ad altri; s'unisce all'ignoto colla piu` nobile porzione di se`
e in ragione della sua rinunzia alla scienza; e attinge infine in
questa assoluta ignoranza una cognizione che l'intelletto non potrebbe
mai acquistare". Per giungere dunque a questa contemplazione, bisogna
innalzarsi sopra la conoscenza sensibile, che non puo`, com'e` chiaro,
percepire Dio; sopra la conoscenza razionale, che non conosce Dio che
per induzione e astrazione; solo con l'apice dell'intelletto possiamo
percepirlo. Ma sulla terra non possiamo vederlo direttamente, onde non
ci resta che coglierlo per via di negazione.

S. Tommaso spiega la cosa in modo piu` preciso: "Di negazione in
negazione l'anima sorge piu` in alto delle piu` eccellenti creature e si
unisce a Dio in quella misura che ora e` possibile. Perche` nella vita
presente l'intelletto non giunge mai a vedere l'essenza divina, ma
solo a conoscere di Dio cio` che non e`. Onde l'unione della mente con
Dio quale e` possibile in questa vita avviene quando conosciamo che Dio
supera tutte le piu` eccelse creature" 1398-2. La stessa nozione di
essere, quale la concepiamo noi, e` cosi` imperfetta da non potersi
applicare a Dio; solo dopo aver eliminato tutto l'essere che gli e`
noto, l'intelletto giunge a Dio; si trova allora nella tenebra divina,
e la` abita Dio 1398-3.

Chi chiedesse come mai questa intuizione negativa possa illuminarci su
Dio, si puo` rispondere che, conoscendo cosi` non cio` che e` ma cio` che
non e`, si ha di lui un'altissima idea, che produce nella parte
superiore dell'anima una profonda impressione della divina
trascendenza e nello stesso tempo un'amore intenso di questo Dio, di
cui nulla puo` esprimere la grandezza e la belta`, e che solo puo`
appagar l'anima. Questa contemplazione confusa e affettuosa basta a
fare scaturir dall'anima, sotto l'influsso della grazia, atti
impliciti di fede, di confidenza, di amore, di religione, che
riempiono tutta l'anima e producono ordinariamente in lei gaudio
grande.

1399. B) Il secondo elemento che rende difficile la descrizione
della contemplazione, e` l'amore ardente che vi si gusta e che non si
sa come esprimere.

"E`, dice S. Bernardo 1399-1, il cantico dell'amore; nessuno lo
capisce, se l'unzione non glie lo insegno` e non lo imparo` per
esperienza. Quelli che lo provarono lo conoscono, e quelli che non ne
hanno esperienza devono desiderare non di conoscerlo ma di gustarlo.
Non e` fremito di lingua ma inno del cuore, non rumor di labbra ma moto
di gaudio, sono volonta` che s'accordano non voci. Non si sente di
fuori, non risuona in pubblico; nessuno lo sente fuorche` chi lo canta
e a chi si canta, la sposa e lo sposo. E` canto nuziale che esprime i
casti e deliziosi amplessi delle anime, l'armonia dei sentimenti e la
mutua corrispondenza degli affetti. L'anima novizia, l'anima ancor
bambina o convertita di fresco, non puo` cantar questo cantico, che e`
riserbato all'anima progredita e formata, all'anima che, coi progressi
fatti sotto l'azione di Dio, tocco` l'eta` perfetta, l'eta` nubile coi
meriti acquistati, e che, per le sue virtu`, e` divenuta degna dello
sposo".

1400. 6^ Quando la contemplazione e` arida e debole, come nella prima
notte di S. Giovanni della Croce, non se ne ha coscienza; solo piu`
tardi, studiandone gli effetti prodotti nell'anima, se ne puo` accertar
l'esistenza. Quando e` saporosa, non e`, a quanto pare, sempre avvertita
a principio, quando e` ancora debole, perche` e` difficile scorgerne la
differenza dall'orazione di semplicita` e perche` si passa talora
dall'una all'altra senza accorgersene. Ma quando si fa intensa, se ne
ha coscienza; quel che si puo` dire e` che tutte le orazioni
soprannaturali descritte da S. Teresa sono di questo genere, come
osserveremo spiegando le varie fasi della contemplazione.

1401. Conclusione. Da quanto abbiamo detto risulta che l'elemento
essenziale della contemplazione infusa e` la passivita` quale abbiamo
descritta, e che consiste in questo che l'anima e` guidata, attuata,
mossa, diretta dallo Spirito Santo, invece di guidarsi, di muoversi,
di dirigersi da se`, senza pero` perdere ne` la liberta` ne` l'attivita`.

Non si deve dunque dire che l'elemento essenziale della
contemplazione 1401-1 sia la coscienza della presenza di Dio o la
presenza di Dio sentita, perche` questo elemento qualche volta manca,
massime nella contemplazione arida descritta da S. Giovanni della
Croce quando tratta della prima notte. Ma e` uno degli elementi
principali, perche` si trova in tutti i gradi di contemplazione
descritti da S. Teresa, dalla quiete all'unione trasformativa.
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24/10/2013 13:19
 
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sez. II. I vantaggi della contemplazione.

Questi vantaggi superano anche quelli dell'orazione di semplicita`,
appunto perche` l'anima si trova piu` unita a Dio e sotto l'influsso di
una grazia piu` efficace.

1402. 1^ Dio vi e` piu` glorificato 1402-1. a) Facendoci
sperimentare l'infinita trascendenza di Dio, la contemplazione infusa
fa che tutto il nostro essere si prostri innanzi alla divina Maesta`,
ce lo fa benedire e lodare non solo nel momento in cui lo contempliamo
ma anche in tutta la giornata; quando si e` intravista quella divina
grandezza, si rimane colti da ammirazione e da religione dinanzi a
lei. Ond'e` che, non potendo contenere in se` questi sentimenti, l'anima
si sente spinta a invitar tutte le creature a benedire e a ringraziar
Dio, come diremo in appresso, n. 1444.

b) Ossequi che riescono tanto piu` graditi a Dio e tanto piu` onorifici
per lui, in quanto che sono piu` direttamente ispirati dall'azione
dello Spirito Santo: e` lui che adora in noi, o piuttosto ci fa adorare
con sentimenti di gran fervore ed umilta`. Ci fa adorare Dio qual e` in
se` e ci fa capire che e` questo un dovere del nostro stato e che noi
siamo creati unicamente per cantarne le lodi; e, per farcele cantare
con maggior ardore, ci colma l'anima di nuovi benefici e di grande
soavita`.

1403. 2^ L'anima vi e` maggiormente santificata. La contemplazione
infatti diffonde tanta luce, tanto amore e tante virtu`, che a ragione
vien detta scorciatoia per giungere alla perfezione.

A) Ci fa conoscere Dio in un modo ineffabile e molto santificativo.
"Dio allora, quietamente nel segreto dell'anima, le comunica sapienza
e conoscenza d'amore, senza atti specificati, benche` permetta talora
di tali atti con qualche durata" 1403-1. Questa conoscenza e` molto
santificativa, perche` ci fa conosere per esperienza cio` che avevamo
prima imparato con letture o con riflessioni proprie e ci fa vedere
con uno sguardo sintetico cio` che avevamo analizzato con atti
successivi.

La cosa e` molto bene spiegata da S. Giovanni della Croce 1403-2:
"Dio, nell'unica e semplice sua essenza racchiude tutte le virtu`,
tutte le grandezze dei suoi attributi: e` onnipotente, sapiente, buono,
misericordioso, giusto, forte, amoroso ecc., ed ha altri attributi e
perfezioni infinite che noi ignoriamo. Ora, essendo egli tutto questo
nella semplicita` del suo essere, quando, unito all'anima, crede bene
di aprirsele, le fa vedere distintamente in lui tutte le sue virtu` e
grandezze... E poiche` ognuna di queste cose e` l'Essere stesso di Dio
in ognuna delle sue persone, o il Padre o il Figlio o lo Spirito
Santo, e ognuno dei loro attributi essendo lo stesso Dio e Dio essendo
luce infinita e infinito fuoco divino... ne viene che ognuno di questi
attributi, che, come dicemmo, sono innumerevoli, e ognuna di queste
virtu` illuminano e riscaldano come Dio". Si capisce allora cio` che
dice S. Teresa 1403-3: "Quando e` Dio che sospende e ferma
l'intelletto, gli somministra di che ammirare e di che occuparsi e fa
che, senza discorrere, intenda piu` in un credo che non pottemmo [sic]
intender noi in parecchi anni con tutte le nostre industrie terrene".

Vi sono, e` vero, casi in cui la luce non e` cosi` distinta e rimane
oscura e confusa; ma anche allora impressiona vivamente l'anima, come
abbiamo detto al n. 1368.

1404. B) Produce poi specialmente un fervidissimo amore che, secondo
S. Giovanni della Croce, viene qualificato da tre principali
eccellenze: a) Prima di tutto l'anima ama Dio non da se` ma da Lui;
eccellenza ammirabile, perche` cosi` ama per mezzo dello Spirito Santo,
come s'amano il Padre e il Figlio; secondo che lo stesso Figlio
dichiara in S. Giovanni: affinche` sia il loro l'amore con cui mi
amasti, e che io pure sia in loro" 1404-1.

b) La seconda eccellenza e` di amar Dio in Dio; perche` in questa
ardente unione l'anima si perde nell'amor di Dio e Dio si abbandona
all'anima con grande veemenza.

c) La terza eccellenza di questo sommo amore e` che l'anima in questo
stato ama Dio per cio` che e`, vale a dire che l'ama non solo perche` si
mostra verso di lei generoso, buono e glorioso ecc., ma molto piu`
ardentemente lo ama perche` e` essenzialmente tutto questo.

Possiamo aggiungere con S. Francesco di Sales 1404-2 che
quest'amor di Dio e` tanto piu` ardente in quanto che e` fondato su una
conoscenza sperimentale. Come colui che "con vista molto chiara sente
e prova il grato splendore di un bel sol nascente", ama la luce meglio
del cieco nato che non ne conosce che la descrizione, cosi` colui che
gode di Dio con la contemplazione l'ama molto meglio di colui che non
lo conosce che per istudio; "perche` l'esperienza di un bene ce lo
rende piu` amabile che non tutte le scienze che se ne potesse avere".
Cosi`, aggiunge, S. Caterina da Genova amo` piu` Dio che non il sottile
teologo Ocham; questi lo conobbe meglio colla scienza e quella con
l'esperienza, esperienza che la condusse piu` avanti nell'amor
serafico.

Cio` che aumenta ancora quest'amore e` che facilita la contemplazione,
la quale a sua volta accresce l'amore: "Perche` l'amore, avendo
eccitato in noi l'attenzione contemplativa, quest'attenzione fa da
parte sua nascere un piu` grande e piu` fervido amore, che e` in fine
coronato di perfezione quando fruisce di cio` che ama... l'amore
stimola gli occhi a guardare sempre piu` attentamente la diletta
bellezza, e la vista sforza il cuore a sempre piu` ardentemente
amarla" 1404-3. Il che spiega perche` i Santo amarono tanto.

1405. C) Quest'amore e` accompagnato dalla pratica di tutte le virtu`
morali nel grado superiore, specialmente dell'umilta`, della conformita`
alla volonta` di Dio, del santo abbandono; e quindi pure del gaudio e
della pace spirituale, anche in mezzo alle prove, talora terribili,
sostenute dai mistici. Il che vedremo piu` minutamente quando
esamineremo i vari gradi di contemplazione, n. 1440, ecc.
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24/10/2013 13:19
 
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sez. III. Della chiamata prossima alla contemplazione.

1406. Lasciamo per ora da parte la controversa questione della
chiamata generale e remota di tutti i battezzati alla contemplazione.
Tenendoci, per quanto e` possibile, sul terreno dei fatti, vogliamo
esaminare queste due questioni:
* 1^ a chi Dio ordinariamente conceda la grazia della
contemplazione;
* 2^ quali siano i segni della chiamata prossima e individuale
alla contemplazione.

I. A chi Dio conceda la contemplazione.

1407. 1^ Essendo la contemplazione dono essenzialmente gratuito,
n. 1387, Dio la concede a chi vuole, quando vuole e come vuole.
Ordinariamente pero` e in via normale, non la concede che alle anime
ben preparate.

Per eccezione e in modo straordinario, Dio concede talvolta la
contemplazione ad anime spoglie di virtu` a fine di strapparle dalle
mani del demonio.

E` quello che dice S. Teresa 1407-1: "Vi sono anime che Dio sa di
poter guadagnare merce` di questi favori. Poiche` le vede del tutto
traviate, vuole che nulla manchi da parte sua; e benche` siano in
cattivo stato e prive di virtu`, da` gusti e favori e tenerezze, che
cominciano a eccitarne i desideri. Le fa talora entrar perfino in
contemplazione, ma e` cosa rara e dura poco. Opera cosi`, ripeto, per
vedere se, con questi favori, vorranno disporsi a godere spesso della
sua presenza".

1408. 2^ Vi sono anime privilegiate che Dio chiama alla
contemplazione fin dall'infanzia: tale fu S. Rosa da Lima e ai di`
nostri S. Teresa del Bembin Gesu`. Ve ne sono altre che vi sono guidate
e vi fanno progressi rapidissimi che paiono sproporzionati alla loro
virtu`.

E` quanto narra S. Teresa 1408-1: "Ve ne e` una di cui mi ricordo in
questo momento. In tre giorni Dio la arricchi` di beni cosi` grandi,
che, se l'esperienza di ormai parecchi anni unita a progressi sempre
crescenti non mi rendessero la cosa credibile, io la terrei
impossibile. Un'altra lo fu nello spazio di tre mesi. Erano tutte e
due di poca eta`. Ne vidi altre non ricevere questa grazia se non dopo
molto tempo... Non si ha da por misura a un Padre cosi` grande e cosi`
bramoso di concedere benefici".

1409. 3^ Ordinariamente pero` e in via normale, Dio innalza di
preferenza alla contemplazione le anime che vi si sono preparate col
distacco, colla pratica delle virtu` e coll'esercizio dell'orazione,
massime dell'orazione affettiva.

Tal e` l'insegnamento di S. Tommaso 1409-1, il quale dichiara che
non si puo` giungere alla contemplazione se non dopo aver mortificato
le passioni colla pratica delle morali virtu`. (cfr. n. 1315).

S. Giovanni della Croce dice lo stesso, svolgendo ampiamente questa
dottrina nella Salita del Monte Carmelo e nella Notte dell'Anima, ove
dimostra che, per giungere alla contemplazione, bisogna praticare lo
spogliamento piu` intiero ed universale e aggiunge che se vi sono cosi`
pochi contemplativi, e` perche` pochi sono gli intieramente distaccati
da se stessi e dalle creature: "se l'anima, egli dice, togliesse del
tutto questi impedimenti e veli, rimanendosi in pura nudita` e poverta`
di spirito, subito, gia` semplice e pura, si trasformerebbe nella
semplice e pura sapienza divina che e` il Figlio di Dio" 1409-2.
S. Teresa vi batte sopra continuamente, raccomandando specialmente
l'umilta`: "Fate prima cio` che venne raccomandato agli abitanti delle
precedenti mansioni, e poi umilta`! umilta`! Per lei il Signore cede a
tutti i nostri desideri... Io penso che quando Dio vuol concederla, la
da` a persone che vanno gia` rinunziando alle cose di questo mondo, se
non di fatto perche` impedite dal loro stato, almeno col desiderio,
poiche` le chiama ad attendere in modo speciale alle cose interiori.
Quindi io sono persuasa che, se si lascia fare a Dio, non restringera`
qui la sua liberalita` verso anime che evidentemente chiama a salire
piu` in alto" 1409-3.

1410. 4^ Le principali virtu` che bisogna praticare sono: a) una
grande purita` di cuore e un intiero distacco da tutto cio` che puo`
condurre al peccato e turbar l'anima.

Come esempi di imperfezioni abituali che impediscono l'unione perfetta
con Dio, S. Giovanni della Croce cita "il chiacchierar molto; qualche
leggero attacco che non si ha il coraggio di rompere, a persona, a
vestito, a libro, a cella, a cibo preferito, a piccole familiarita`, a
leggiere inclinazioni ai propri gusti, a volere saper tutto e sentir
tutto, e altre simili soddisfazioni". E ne da` la ragione: "Fa lo
stesso che un uccello sia legato a un filo sottile o a un grosso;
perche`, sebbene sottile, vi stara` legato come al grosso, finche` non lo
spezzera` per volare... E cosi` e` dell'anima che e` attaccata a qualche
cosa; per quanto sia virtuosa, non giungera` alla liberta` della divina
unione" 1410-1.

1411. b) Una grande purita` di spirito, vale a dire la mortificazione
della curiosita`, che turba e inquieta l'anima, la distrae e la dissipa
in tutte le parti. Ecco perche` coloro che per dovere del proprio stato
hanno da leggere molto e da studiare, devono mortificare spesso la
curiosita` e fermersi di tanto in tanto per purificare l'intenzione e
volgere tutti i loro studi all'amor di Dio. Questa purita` vuole pure
che si sappiano diminuire e a tempo opportuno abbandonare i
ragionamenti nell'orazione, e semplificare gli affetti, per giungere a
poco a poco a un semplice sguardo affettuoso su Dio. A questo
proposito S. Giovanni della Croce biasima fortemente quegli inetti
direttori che, altro non conoscendo che la meditazione discorsiva,
vogliono obbligare tutti i penitenti a far incessantemente lavorare le
loro potenze 1411-1.

1412. c) Una gran purita` di volonta` con la mortificazione della
propria volonta` e col santo abbandono (nn. 480, 497).

d) Una viva fede che ci faccia vivere in tutto secondo le massime del
Vangelo (n. 1188).

e) Un religioso silenzio onde poter trasformare in preghiera tutte le
nostre azioni (n. 522-529).

f) Infine, e soprattutto, un ardente e generoso amore, che giunga sino
all'immolazione di se` e alla gioconda accettazione di tutte le prove
(n. 1227-1233).
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II. Segni della chiamata prossima alla contemplazione.

1413. Quando un'anima, coscientemente o incoscientemente, si e` cosi`
disposta alla contemplazione, viene il momento in cui Dio le fa capire
che deve lasciar la meditazione discorsiva.

Ora, dice S. Giovanni della Croce 1413-1, i segni che indicano
questo momento sono tre.

1^ "La meditazione diventa impraticabile, perche` l'immaginazione resta
inerte e il gusto di questo esercizio e` scomparso, e il sapore
prodotto altre volte dall'oggetto a cui l'immaginazione s'applicava,
si e` cangiato in aridita`. Quindi, finche` il sapore persiste e si puo`
passare meditando da un pensiero all'altro, non bisogna abbandonarlo,
salvo quando l'anima provasse la pace e la quiete di cui si parla nel
terzo segno". La causa di questo disgusto, aggiunge il Santo, e` che
l'anima ha gia` quasi intieramente tratto dalle cose divine tutto il
bene spirituale che con la meditazione discorsiva ne poteva trarre;
onde non vi si sa piu` adattare, il gusto e il sapore piu` non
ritornano; ed ha quindi bisogno di nuova via 1413-2.

1414. 2^ Il secondo segno si manifesta colla "nesuna voglia di
fissar l'immaginazione o il senso su qualsiasi oggetto particolare
interno od esterno. Con cio` non intendo dire che l'immaginazione non
vada o venga -- perche` essa anche nel profondo raccoglimento suole
divagare -- ma che l'anima non ha nessun desiderio di fissarla di
proposito su oggetti estranei".

E il Santo spiega cosi`: "Avviene in questo nuovo stato che l'anima,
mettendosi in orazione, assomiglia a uno che abbia acqua dinanzi a se`
e soavemente la beva, senza sforzo e senza doverla cavare per mezzo
dei tubi delle passate considerazioni e forme e figure. Di quisa [sic]
che, appena si mette alla presenza di Dio, si trova in atto di
conoscenza confusa, amorosa, pacifica e calma, in cui l'anima sta
bevendo sapienza, amore e dolcezza. Questa e` la ragione per cui
l'anima sente pena e disgusto quando, stando in tal quiete, la
vogliono far meditare e lavorare in particolari considerazioni. Le
avviene allora come a un bambino, al quale, mentre sta poppando il
latte gia` preparato e raccolto, si togliesse la mammella,
costringendolo ad armeggiare e a spremere per riaverlo".

1415. 3^ Il terzo e piu` certo segno e` "se l'anima si compiace di
starsene da sola con Dio, fissandolo con amorosa attenzione senza
particolari considerazioni, in pace interna, quiete e riposo, senza
atti ed esercizi delle potenze, memoria, intelletto e volonta`, atti ed
esercizi discorsivi, che consistono nel passar da una cosa all'altra;
contentandosi della conoscenza e dell'attenzione generale ed amorosa
di cui parliamo, senza particolare percezione d'altra cosa".

"Quest'amorosa cognizione generale e` talora cosi` delicata, cosi`
sottile, massime quando e` piu` pura, semplice, perfetta, e piu`
spirituale ed interna, che l'anima, pur stando in lei occupata, non se
ne avvede e non la sente. Il che piu` frequentemente accade, come
diciamo, quando questa conoscenza e` in se` piu` chiara, pura, semplice e
perfetta; e tale e` quando investe un'anima molto netta e lontana da
ogni altro genere di cognizioni e notizie particolari a cui
l'intelletto o il senso possano appigliarsi... Essendo piu` pura e
perfetta e semplice, meno la sente l'intelletto e piu` oscura gli
sembra. Come per lo contrario quando questa conoscenza sta
nell'intelletto meno pura e meno semplice, pare all'intelletto piu`
chiara e di maggior pregio, essendo ella vestita o mescolata o involta
in alcune forme intelligibili, piu` accessibili all'intelletto e al
senso" 1415-1.

Il che egli spiega con un paragone: quando un raggio di sole penetra
in una stanza, la vista lo coglie tanto meglio quanto e` piu` carico di
polvere; spoglio di questo polviscolo, e` meno percepibile. Lo stesso
avviene della luce spirituale: quanto piu` e` viva e pura, e tanto meno
e` percepita, cosi` che l'anima si crede allora nelle tenebre; se invece
e` carica di alcune specie intelligibili, e` piu` facilmente percepibile
e l'anima si crede meglio illuminata.

1416. Notiamo qui con S. Giovanni della Croce che questi tre segni
devono trovarsi tutti e tre insieme, perche` l'anima possa con tutta
sicurezza abbandonar la meditazione ed entrare nella contemplazione.
Aggiungiamo pure col medesimo Santo che, nei primi tempi in cui si
gode della contemplazione, e` vantaggioso riprendere talora la
meditazione discorsiva; il che anzi diventa necessario se l'anima non
si sente occupata nel riposo della contemplazione; allora infatti
occorre la meditazione finche` l'anima non abbia acquistato l'abitudine
di contemplare 1416-1.
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24/10/2013 13:20
 
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Conclusione: Del desiderio della contemplazione.

1417. Essendo la contemplazione infusa un ottimo mezzo di
perfezione, e` lecito desiderarla ma umilmente e condizionatamente, con
santo abbandono alla volonta` di Dio.

a) Che si possa desiderarla risulta dai numerosi suoi vantaggi,
n. 1402: "la contemplazione e` come l'inaffiamento che fa crescere
le virtu` e le fortifica, onde acquistano l'ultima loro
perfezione" 1417-1.

b) Ma bisogna che questo desiderio sia umile, accompagnato dalla
persuasione di esserne indegnissimi, e dal desiderio di non usarne che
per la gloria di Dio e pel bene delle anime.

c) Dev'essere condizionato o subordinato in tutto al beneplacito di
Dio. Non sara` quindi ne` affannoso ne` chimerico, rammentandosi che la
contemplazione suppone normalmente la pratica delle virtu` morali e
teologali e che sarebbe persunzione desiderarla prima di essersi
lungamente esercitati nelle dette virtu`. Bisogna anche persuadersi
bene che, se la contemplazione cagiona gaudi ineffabili, e` pure
accompagnata da prove terribili che le sole anime valorose possono
sostenere colla grazia di Dio.

Il che si vedra` anche meglio dalla descrizione delle varie fasi della
contemplazione.
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24/10/2013 13:20
 
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ART. II. LE VARIE FASI DELLA CONTEMPLAZIONE.

1418. La contemplazione infusa non e` la stessa per tutti: Dio, che
si diletta di variare i suoi doni e di adattarli ai temperamenti e
alle indoli diverse, non vincola l'opera sua a rigidi schemi; ond'e
che, leggendo i mistici, vi si trovano svariatissime forme di
contemplazione 1418-1. Pare per altro che in tutta questa
moltiplicita` ci sia una certa unita`, onde gli autori spirituali
poterono classificare le tappe principali percorse dai mistici.

Non riferiremo qui le varie classificazioni fatte dai vari
autori 1418-2, che distinguono gradi piu` o meno numerosi secondo
l'aspetto sotto cui guardano la cosa; contando talvolta come gradi
diversi quelli che in realta` non sono se non forme varie d'uno stesso
stato.

1419. Essendo, come tutti convengono, S. Teresa e S. Giovanni della
Croce i due grandi dottori dell'unione mistica, ci atterremo alle loro
divisioni, studiandoci di armonicamente combinarle. I vari gradi si
distinguono da un dominio sempre maggiore di Dio sull'anima. 1^ Quando
s'impossessa della sommita` o dell'apice dell'anima, lasciando le
facolta` inferiori e i sensi liberi di darsi alla naturale loro
attivita`, si ha l'orazione di quiete; 2^ quando afferra tutte le
interne facolta`, lasciando alla loro attivita` i soli sensi esterni, si
ha l'unione piena; 3^ quando s'impossessa nello stesso tempo delle
interne facolta` e dei sensi esterni, si ha l'unione estatica
(fidanzamento spirituale); 4^ quando poi estende il suo dominio su
tutte le facolta` interne ed esterne non piu` di passaggio ma in modo
stabile e permanente, si ha il matrimonio spirituale. Tali sono i
quattro gradi distinti da S. Teresa. S. Giovanni della Croce vi
aggiunge le due notti o prove passive; ma la prima non e` che una
specie di quiete arida e penosa; la seconda comprende tutto il
complesso delle prove che precedono il matrimonio spirituale e che
avvengono nell'unione piena e nell'unione estatica.

Tratteremo dunque:
* I. Della quiete
+ arida.
+ soave.
* II. Dell'unione piena.
* III. Dell'unione estatica
+ soave.
+ penosa.
* IV. Dell'unione trasformativa o matrimonio spirituale.

sez. I. L'orazione di quiete.

Quest'orazione generalmente si presenta prima nella forma arida
per terminare poi nella soave.
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