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    00 25/12/2018 21:24

    Astro del ciel compie 200 anni ed è patrimonio dell’umanità 


    CORO, BAMBINI, NATALE
    Shutterstock



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    La leggenda dell'origine di questo canto comincia con alcuni topolini che rompono un organo poco prima della Messa di Natale e poi grazie a una chitarra nasce una melodia di pace.


    Buon pomeriggio,
    il nostro avvento quest’anno sarà tutto a suon di musica, come già scritto nel gruppo e nella pagina facebook, ogni settimana vi proponiamo sette canzoni natalizie da ascoltare e da meditare per vivere a pieno questo periodo di attesa.

    Ogni settimana inoltre scopriremo qualcosa di più riguardo una canzone ben precisa e la prima sarà “Silent Night” o come la conosciamo noi “Astro del ciel”.
    Non è una scelta casuale, questa canzone in realtà quest’anno compie ben 200 anni e se li porta bene!
    Le informazioni di seguito le ho trovate nella rivista “Dossier Catechista” a cui sono abbonata.

    La leggenda vede come protagonista padre Joseph Mohr, parroco della chiesa Sankt Nikolaus a Oberndorf, cittadina al confine con l’attuale Austria e un organo che suonava da solo in chiesa.

    Era una gelida e nevosa notte, anche speciale essendo il 24 dicembre, la Vigilia di Natale del 1818.
    Il giovane prete fu incuriosito e stupito di sentire dei suoni provenire dalla chiesa cosi andò a controllare ed entrando di corsa notò che lo strumento era al suo posto, e nessuno lo stava suonando.

    Allora si avvicinò e provò a premere i tasti senza però riuscire a far uscire alcun suono.
    Provò con un altro tasto, un altro ancora e un altro ma nulla..nessuna musica e nessuna nota. L’organo era rotto!!
    “Colpa dei topi! Hanno mangiato il mantice!”, si sarebbe lamentato sconsolato padre Mohr, scorrendo con gli occhi lo spartito che aveva in mano, scritto da lui giusto due anni prima, nel 1816.
    Padre Mohr lo aveva composto come poesia, ma aveva l’intenzione di chiedere al suo amico Franz Gruber, maestro di musica, di comporre una melodia all’organo per suonarlo proprio in quella sera, davanti ai fedeli della parrocchia.
    E ora cosa facciamo?”, chiese al musicista, che nel frattempo aveva preso una chitarra, e aveva  cominciato a pizzicarne le corde e a canticchiare sottovoce una melodia….
    Ed è cosi che inizia la magia: il suono è dolce, penetrante, perfettamente intonato all’atmosfera natalizia che si respira nelle strade della cittadina.
    Le parole “Stille nacht! Heilige nacht! Alles schlaft…” sembrano uscire dalla sagrestia e vagano per le strade.
    Felicissimo, decise di farla suonare per la Messa di mezzanotte che si sarebbe tenuta quella sera nonostante l’organo fosse inutilizzabile.

     

    I personaggi di questa leggenda sono veramente esistiti e hanno realmente composto parole e musica di quello che possiamo dire essere il canto di natale più utilizzato e conosciuto.
    Non abbiamo la certezza che l’organo suonò da solo e si ruppe realmente, anche se l’ipotesi che fosse rotto è plausibile dal momento che quella sera la canzone venne accompagnata dalla chitarra.
    Indipendentemente da ciò, questo è un canto legatissimo al Natale e senza non si riuscirebbe ad entrare realmente in questa magica atmosfera.

    La melodia venne composta da Franz Xaver Gruber, un organista di successo e insegnante di musica, su richiesta di Padre Mohr, autore del testo.
    Le parole sono cariche di significato oltre ad infondere un enorme desiderio di pace.
    Fu lo stesso organista a raccontare la leggenda della nascita del canto divenuto oggi, per l’Unesco, patrimonio culturale dell’umanità (lo sapevate?).
    Ma il grande successo della canzone, uscì dalla parrocchia grazie ad un certo Mauraher che, dopo aver ascoltato la canzone, la portò nel 1819 in Tirolo avviandone in questo modo la diffusione in tutta Europa.
    Nel 1822 fu suonata a Salisburgo, davanti al sovrano Francesco II e allo zar Alessandro di Russia.
    Nel 1859 Una versione arrivò addirittura a New York intonata dai fratelli Rainer.
    La prima traduzione in inglese, dal titolo “Silent Night”, fu realizzata dal prete episcopale John Freeman Young nel 1859.
    In vent’anni la canzone arrivò oltreoceano.
    La versione italiana incece ha il titolo “Astro del ciel”, come potete immaginare non è la traduzione letterale dall’originale altrimenti sarebbe stato “Notte silenziosa”, la versione italiana è opera di Angelo Meli, un sacerdote lombardo.

    Nel 2005 venne presentato a Cannes un film che parla della “Tregua di Natale”, fatto realmente accaduto nel dicembre del 1914, quando in piena prima guerra mondiale dalle trinee inglesi e tedesche si sarebbe levato l’inno nelle rispettive versioni, a testimoniare come nemmeno l’orrore della guerra aveva spento l’amore portato dalla nascita di Gesù.

     

    Questo è qualcosa di più di un semplice canto di Natale, è un inno alla pace che non cesserà mia di essere attuale.
    In occasione del bicentenario, Stille Nacht verrà celebrato in tutta l’Austria la Vigilia di Natale, con una serie di eventi nei luoghi della sua storia con feste e preghiere.

    Vi riporto di seguito il testo:

    Astro del ciel,
    Pargol divin,
    mite Agnello redentor!
    Tu che i vati da lungi sognar,
    tu che angeliche voci annunziar:
    luce dona alle menti,
    pace infondi nei cuor.
     
    Astro del ciel,
    Pargol divin,
    mite Agnello redentor!
    Tu disceso a scontare l’error,
    tu sol nato a parlare d’amor:
    luce dona alle menti,
    pace infondi nei cuor.
     
    Astro del ciel,
    Pargol divin,
    mite Agnello redentor!
    Tu di stirpe regale decor
    tu virgineo, mistico fior:
    luce dona alle menti,
    pace infondi nei cuor.
     
     

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    00 28/12/2018 12:23

    «Gli iraniani delusi dall’Islam»,
    i convertiti a Cristo superano la capienza delle chiese

    nuovi cristiani iranMusulmani convertiti. Ne parla il sociologo turco Sebnem Koser Akcapar, descrivendo il crescente fenomeno delle conversioni al cristianesimo, anche per l’atteggiamento dell’Islam nei confronti delle donne. «Scoprire che Dio è amore è rivoluzionario», il commento del giornalista libanese Camille Eid.

     

    In Iran, l’Islam è la religione ufficiale di Stato e si dichiara musulmano il 95% della popolazione. Molti scappano e i rifugiati in Turchia si stanno convertendo al cristianesimo in un numero tale che le chiese non riescono a tenere il passo con la domanda.

    La notizia è arrivata qualche giorno fa da Sebnem Koser Akcapar, professore di Sociologia all’Università di Koç di Istanbul (Turchia). «E’ cresciuto enormemente nel corso degli ultimi anni» il numero di convertiti iraniani, ha spiegato il sociologo turco. Uno dei motivi più ricorrenti è l’atteggiamento dell’Islam nei confronti delle donne.

    Ne ha parlato Farzana, una donna di 37 anni appena convertitasi, intervistata dalla National Public Radio, un’emittente radiofonica statunitense. La donna aveva divorziato dal marito violento ma il tribunale le ha sottratto la custodia dei figli. «Quel giudice, seduto lì a dare ordini, era completamente schierato con gli uomini. Ovunque in Iran gli uomini vengono prima delle donne», ha dichiarato. Così è la cultura islamica. Grazie ad un amico ha incontrato la comunità cristiana, che da sempre predica l’equiparazione totale tra uomo e donna («non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù», San Paolo). Ora Farzana rischia la vita, come tutti i convertiti dall’Islam, ma è finalmente felice.

    «Una piccola chiesa composta da 20 a 30 famiglie è diventata presto una congregazione molto più grande, ora ospita da 80 a 100 persone in una domenica», ha proseguito il prof. Koser Akcapar, anche lui ascoltato dalla NPR. Durante la trasmissione ha parlato anche un membro della comunità cristiana di Denizli (Turchia), spiegando: «I cittadini dell’Iran sono alla ricerca di Dio, ma vogliono trovare un altro percorso perché sono scontentidelle opzioni che hanno ricevuto dalla loro religione».

    In questo caso si tratta di convertiti al protestantesimo, ma vi sono anche moltissimi nuovi cattolici. Tanti di loro arrivano in Europa e molti osservatori, come Philip Jenkis -tra i principali studiosi delle religioni- , ritiene che la secolarizzazione del Vecchio Continente verrà arrestata proprio grazie all’emigrazione di tanti cristiani provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente, aree in cui sono molto alti i tassi di fertilità. «Il cristianesimo può rischiare di scomparire, certo, ma rinasce sempre», ha esclamato lo studioso americano.

    Una conversione piuttosto incredibile avvenuta recentemente in Iran è stata raccontata da Nazanin Baghestani, supervisor del locale canale televisivo Mohabat TV, seguito da musulmani ma anche da tanti cristiani. Ha incontrato un uomo che lo aveva contattato e si è rivelato essere uno dei boia dell’Isis, il gruppo terrorista jihadista. Voleva capire qualcosa di più su Cristo, raccontando di sperimentare frequenti incubi e inquietudini.

    Nel 2017, in Austria, 750 persone adulte hanno chiesto il Battesimo e il 75% di loro proveniva dall’Islam. «Scoprire che Dio è amore è rivoluzionario», ha commentato Camille Eid, scrittore e giornalista libanese, esperto di mondo arabo e delle comunità cristiane orientali. «Insieme alla scoperta del Vangelo dell’amore e della verità, sono spinti a cercare risposte altrove rispetto a un islam sempre più repressivo. Chi ha subìto la violenza del fondamentalismo islamico e la sottomissione senza ragioni agli ordini della legge coranica, di fronte ai comandamenti dell’amore cambia. Ma molti lo fanno proprio a partire dal Corano. Infatti, intuendo che Gesù non può essere solo un profeta si incuriosiscono e lo riscoprono come Dio nel Vangelo».

    fonte UCCR


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    00 07/02/2019 12:36

    500 imam al fianco di Asia Bibi e contro l’Islam violento



    islam fondamentalistaIn Pakistan 500 leader islamici prendono posizione a favore di un Islam moderato, isolando e condannando i terroristi e l’interpretazione violenta del Corano. Un passo storico, frutto della lungimirante posizione dialogante della Chiesa.


     


    Papa Francesco lo aveva chiesto esplicitamente nel 2014, riferendosi al terrorismo: «Sarebbe bello che tutti i leader islamici parlino chiaramente e condannino quegli atti, aiuterà la maggioranza del popolo islamico a dire “no”. Abbiamo bisogno di una condanna mondiale da parte degli islamici, che dicano: “Noi non siamo quelli. Il Corano non è questo”».


    Una risposta concreta la si è avuta cinque anni dopo, in occasione dell’assoluzione della cristiana pakistana accusata falsamente di blasfemia, Asia Bibi, un evento che ha incendiato il mondo islamico. Alcuni estremisti del partito Tehreek-e-Labaik hanno chiesto ed ottenuto una revisione del caso ed il nuovo giudizio si attende a breve, intanto la donna è in attesa fuori dal carcere (in cui è stata 3.421 giorni), in un luogo segreto.


     


    500 leader islamici contro l’Islam fondamentalista: un passo storico.


    Nel frattempo oltre 500 predicatori islamici pakistani -durante il Consiglio pakistano degli ulema- hanno firmato la “Dichiarazione di Islamabad” contro il terrorismo islamico. Una svolta storica per la Repubblica islamica del Pakistan e il documento contiene anche un riferimento eccezionale ad Asia Bibi. Numerosi i punti riguardanti la libertà religiosa, si condannano gli omicidi compiuti «con il pretesto della religione», affermando che tutto questo «è contro gli insegnamenti dell’islam». La dichiarazione ribadisce l’importanza della lotta al fondamentalismo ed afferma che nessun musulmano o non musulmano può essere dichiarato “meritevole” di essere ucciso tramite sentenze pronunciate al di fuori dei tribunali e i fedeli di ogni religione o setta hanno il diritto costituzionale di vivere nel Paese in base alle proprie norme culturali e dottrinali.


    I leader islamici vietano di pubblicare materiale che incita allodio religioso e riconoscono il Pakistan come un Paese multi-etnico e multi-religioso così, in accordo con gli insegnamenti della sharia, sottolineano che «è responsabilità del governo proteggere la vita e le proprietà dei non musulmani che vivono in Pakistan. Il governo deve trattare con fermezza gli elementi che minacciano i luoghi sacri dei non musulmani residenti in Pakistan». Ed ancora, si legge: «tutti i non musulmani residenti in Pakistan hanno propri diritti e il governo deve assicurare i diritti fondamentali delle minoranze». Il 2019, infine, viene decretato come l’anno dedicato a «sradicare il terrorismo, l’estremismo e la violenza settaria dal Paese». «Un passo storico», lo ha definito l’Osservatore Romano.


     


    Nel Corano c’è di tutto: pace e sottomissione. Manca un’autorità e le fonti sono contraddittorie.


    E’ piuttosto sterile la polemica tra chi parla di “Islam pacifico” e “Islam fondamentalista”:  hanno torto entrambi. Nel Corano si trova di tutto, sia versetti di pace che di sottomissione degli infedeli. Ogni attentato terroristico è sempre appoggiato da un un giurista musulmano che lo ritiene conforme ad un precetto dell’islam ma, tuttavia, ci sono tanti altri giuristi che lo condannano, anch’essi partendo dai precetti dell’Islam. Il grande problema è la contraddittorietà delle fonti e la mancanza di un interlocutore unico, di un’autorità unica ad interpretare la sharia, la legge islamica.


    Il patriarca cattolico iracheno, Louis Raphaël Sako -creato cardinale da Francesco come segno di vicinanza ai cristiani perseguitati- ha recentemente ribadito che «l’Isis secondo me è politicizzata, è chiaro, ma l’Isis si basa sui versetti del Corano. I musulmani devono fare una nuova lettura dei versetti che chiedono la violenza, che pensano che solo l’Islam sia la vera religione, che le altre religioni siano false. Se ci sono versetti del tempo di Maometto bisogna inserirli nel contesto, fare una esegesi, come noi abbiamo fatto». Ma, tuttavia, ha precisato: «Non tutti i musulmani sono fanatici, non bisogna generalizzare, e per natura gli iracheni sono moderati, abbiamo vissuto 35 anni in un regime laico. Poi gli americani hanno aperto le frontiere e sono entrati tutti questi fondamentalisti dalla Giordania, dall’Egitto, dallo Yemen, dall’Arabia Saudita».


     


    Benedetto XVI e l’Islam: coerenza con l’approccio di Papa Francesco.


    Qualche settimana fa il card. Gerhard Müller, ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha ribadito che «la maggioranza dei musulmani è pacifica». Non mancano episodi di cronaca che lo dimostrano, come il recente invito dell’International Christian Concern a firmare una lettera ai familiari di un ufficiale di polizia musulmano che ha sacrificato la sua vita per salvare centinaia di fedeli in Egitto, oppure la fila di musulmani egiziani per donare sangue ai cristiani vittime degli attentati. Anche una moschea ha ospitato e ristorato i giovani cattolici che partecipano in questi giorni alla Giornata Mondiale della Gioventù di Panama e perfino il quotidiano Libero ha certificato che in Palestina i musulmani convivono pacificamente con le tradizioni cristiane.


    Benedetto XVI non attribuì mai alla religione islamica, in modo generalizzato, la responsabilità degli attentati terroristici. Addirittura disse che «certamente l’Islam contiene degli elementi in favore della pace» e, in un’altra occasione, ricordò che «i musulmani condividono con i cristiani la convinzione che in materia religiosa nessuna costrizione è consentita, tanto meno con la forza». Nel novembre 2006, due mesi dopo la crudele esecuzione di tre cattolici indonesiani da parte di fondamentalisti musulmani, volle manifestare «tutta la mia stima per i musulmani». Anche il suo successore, Papa Francesco, ha ribadito che «non si può dire che tutti gli islamici sono terroristi». Quando lo si afferma, «tanti islamici sono offesi. Dicono: “No, noi non siamo questo. Il Corano è un libro di pace, è un libro profetico di pace. Questo non è islam”». Da queste parole è nata la leggenda che Bergoglio ritenga l’Islam “una religione di pace”, cosa che non ha mai detto, ma d’altra parte anche Giovanni Paolo II subì diverse reprimende dai soliti polemisti per il “dialogo ad ogni costo” con i leader islamici.


     


    Salvaguardare il dialogo con i musulmani moderati, allearsi con loro.


    Dipingere la religione islamica come estranea al terrorismo e al desiderio di sottomissione degli infedeli (cioè tutti i non islamici) è chiaramente fuorviante e falso. Ma lo è anche continuare a perpetrare la generalizzazione Islam = terrorismo, ignorando una realtà più ampia e stratificata. Sopratutto perché contribuisce a rinforzare l’area realmente fondamentalista, togliendo fiato e riflettori invece a chi, all’interno del mondo musulmano, vi si oppone. La scelta più ponderata resta quella di dare rilevanza alla possibile convivenza pacifica (come recentemente ha fatto la Chiesa polacca) ed appellarsi ai leader islamici disponibili ad un dialogo, alla separazione fra politica e religione e alla revisione storica del Corano, perché convincano il popolo ad isolare e condannare i fondamentalisti. La recente Dichiarazione di Islamabad è uno dei frutti più maturi di questo tentativo.


    La 



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    00 03/03/2019 19:25

    L’aiuto dei laici e chiese aperte tutto il giorno.
    La bella proposta di un vescovo.

    porte aperte chieseIl vescovo di Minorca, mons. Francisco Simon Conesa, ha suggerito la soluzione per permettere alla comunità cittadina di poter trovare sempre porte aperte ed accoglienza nelle parrocchie della città. A Madrid un caso esemplare: una comunità viva dove l’evangelizzazione è costante.

     

    «La Chiesa è chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre. Uno dei segni concreti di questa apertura è avere dappertutto chiese con le porte aperte. Così che, se qualcuno vuole seguire una mozione dello Spirito e si avvicina cercando Dio, non si incontrerà con la freddezza di una porta chiusa». E’ bella la proposta lanciata da Papa Francesco nell’esortazione Evangelii gaudium.

    Tenere aperte le chiese il più possibile, renderle una comunità viva, di costante incontro, preghiera, confessione. Molti sacerdoti si sono già organizzatiper farlo.

     

    Il vescovo di Minorca: “Porte aperte il più possibile, è necessario l’aiuto dei laici”.

    Dalla Spagna è arrivata in queste ore una bella proposta da parte del vescovo di Minorca, Francisco Simon Conesa. Data la scarsità dei sacerdoti e i loro molti impegni, l’invito è quello di formare gruppi di parrocchiani disponibili ad essere presenti tutto il giorno così da permettere l’ingresso dei fedeli ed, eventualmente, accogliere con discrezione e fraternità anche turisti, visitatori o semplici curiosi.

    «Un segno che siamo davvero una Chiesa a porte aperte è quello di mantenere aperte le porte dei nostri templi il più a lungo possibile», ha scrittomons. Conesa. «E’ triste scoprire che molte chiese sono aperte solo il tempo necessario per celebrare gli atti di culto. Durante il resto della giornata, i parrocchiani non hanno l’opportunità di entrare per pregare o inginocchiarsi al Tabernacolo. Una chiesa che ha le porte chiuse dà l’impressione di qualcosa che è morto».

    Il vescovo di Minorca non nasconde le inevitabili difficoltà a custodire l’apertura delle chiese per tutto il giorno, citando l’aumento della manutenzione, il rischio di rapine e la necessità dei sacerdoti di occuparsi anche di altro. «Pertanto», ha proposto il vescovo spagnolo, «per mantenere le porte aperte, è necessario l’aiuto dei laici. So con soddisfazione che ci sono parrocchie che hanno costituito un gruppo di laici che si alternano per tenerle aperte»

    «Nei tempi antichi», ha proseguito il vescovo di Minorca, «vi era un unico ufficio all’interno della comunità che si chiamava “ostiary” (dal latino “ostium”, che significa “porta”). Apriva le porte e accoglieva la gente, questo fino alla riforma del Concilio Vaticano II fu uno degli ordini minori prima del presbiterio. Oggi sarebbe necessario rivitalizzare questo servizio ecclesiale». Laici organizzati che sappiano accogliere, «salutando a nome della comunità le persone che vengono alle nostre celebrazioni. Le porte aperte dei nostri templi sono un segno prezioso di ciò che la nostra Chiesa vuole essere. Spero che troveremo delle soluzioni per tenerle aperte!».

     

    A Madrid è rinata una comunità grazie alla parrocchia accogliente tutto il giorno.

    A Madrid c’è una parrocchia nel quartiere più povero della città, il Puente de Vallecas. E’ guidata da don José Manuel Horcajo ed era completamente deserta prima del suo arrivo, oggi invece fiorisce di attività caritatevoli con oltre 300 volontari e i parrocchiani hanno cominciato nuovamente a frequentare la Messa, ogni domenica la chiesa è gremita. Don Horcajo ha spiegato che una delle prime cose che fece una volta arrivato alla parrocchia di San Ramón Nonato fu proprio quella di spalancare le porte della chiesa il più tempo possibile.

    «Il primo punto della pastorale missionaria è di aprire la chiesa tutto il giorno», ha detto il parroco spagnolo in un’intervista. «Lo facciamo dalle 7.30 alle 21.30 e il giovedì fino alle 24.00. Il Signore farà il resto. Quello che ho visto è che se apri la chiesa, le persone entrano a piangere, a sfogarsi, a pregare, anche solo a riposare, perché qui possono farlo tranquillamente. Molti dormono sulle terrazze, sul divano nella sala da pranzo, o non possono stare a casa perché ci sono litigi, qui in chiesa invece sono tranquilli. Si sentono molto felici. I parrocchiano sono abituati a parlare con coloro che vedono tristi o piangenti, tutto finisce per diventare evangelizzazione. Devi aprire la chiesa e poi Dio farà il resto».


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    00 05/03/2019 18:05

    Scienziato dona 9 milioni all’Università Cattolica di Seul:
    a favore di bioetica pro-life

    università cattolica di seulL’Università cattolica della Corea del Sud ha ricevuto una ingente donazione dal dott. Sung Young-chul, uno dei più famosi scienziati coreani. Con l’indicazione di utilizzare i fondi per contribuire ad una bioetica a favore della vita. Un accenno alla storia dell’arrivo del cattolicesimo in Corea.

     

    Sung Young-chul è uno dei più noti scienziati coreani, docente all’Università di Scienze e Tecnologia di Pohang (Postech), e ha appena donato 10 milioni di won coreani (circa 9 milioni di dollari) all’Università Cattolica della Corea del Sud, per «contribuire alla ricerca nel campo della bioetica».

    «Come scienziato», ha spiegato, «mentre collaboravo con l’Università Cattolica di Corea (CUK), è stato impressionante e commovente osservare l’impegno per il rispetto della vita in ogni aspetto della ricerca, a differenza di altri istituti di medicina. Ecco perché ho deciso di donare questi fondi all’istituto di Medicina di questa Università». Sung Young-chul è conosciuto anche all’estero e ha vinto numerosi premi per i suoi sforzi nel proteggere la dignità della vita umana e sostenere la ricerca per sviluppare trattamenti per malattie incurabili.

    L’assegno è stato ricevuto dal card. Andrew Yeom Soo-jung, arcivescovo di Seoul e presidente del consiglio di amministrazione della “Catholic Education Foundation”. «Il movimento a favore della vita umana», ha spiegato il cardinale, «non può andare avanti senza il supporto della scienza. Apprezziamo molto il lavoro di ricerca del prof. Sung. L’Istituto universitario cattolico metterà sempre lo spirito cristiano del rispetto per la vita, dal concepimento fino alla morte naturale, al centro di tutte le attività di ricerca». Con questo denaro verrà costruita un’infrastruttura di ricerca presso l’Istituto per l’industria biomedica.

    Il baricentro del cattolicesimo si sta lentamente spostando dall’Europa verso l’Africa e l’Asia, soprattutto, e la Corea del Sud sarà uno dei grandi paesi cattolici del futuro, essendo in generale la confessione in più rapida crescita in tutto il sud-est asiatico. Nonostante il cristianesimo sia ancora estraneo alla cultura coreana, nel 2010 i cattolici avevano superato i 5 milioni (11% della popolazione), con conseguente aumento delle ordinazione sacerdotali. La tendenza si è confermata nel 2012, con un aumento di dell’1.6% di cattolici ogni anno. Il 16 agosto 2014, la piazza Gwanghwamun nel centro di Seoul ha ospitato probabilmente il maggior numero di persone nella sua storia: circa 800.000 coreani si sono riuniti lì per salutare Papa Francesco, in visita alla città.

    L’arrivo del cattolicesimo in Corea del Sud è una storia davvero interessante. L’ha raccontata Andrei Lankov, rinomato specialista in studi coreani:

    «La dottrina cattolica cominciò a diffondersi in Corea alla fine del XVIII secolo nella maniera più insolita: fu introdotta dai libri, non dai missionari. I membri più giovani erano sempre più delusi dal neo-confucianesimo, che a quel tempo era l’ideologia ufficiale dello stato. Non erano interessati a perdere tempo a discutere se il principio del Qi trascende il principio di Li nel determinare la formazione dell’universo. Non volevano trascorrere tutta la loro vita discutendo su questioni astratte, volevano imparare come costruire armi migliori, realizzare gru per costruire edifici più grandi e sapere come la Terra gira intorno al Sole. Così iniziarono a leggere i trattati occidentali sulla tecnologia, l’astronomia e la fisica e tali libri vennero importati in Corea dalla Cina fin dai primi anni del 1700. Ma furono tradotti in cinese classico -l’unica lingua utilizzata dagli intellettuali in Cina e Corea- grazie ai missionari cattolici occidentali che allora operavano in Cina. Questi libri tecnologici e scientifici conservarono una serie di riferimenti positivi al cristianesimo e così, moltissimi giovani intellettuali, iniziarono anche a leggere testi esplicitamente cristiani. Molti di loro sentirono di aver finalmente trovato la verità e si convertirono. Fu così che, verso la fine del 1790, vi furono alcune migliaia di credenti cattolici in Corea, la maggior parte non aveva mai visto un prete cattolico prima né tanto era stato battezzato».

    Tra i primi coreani battezzati vi fu un giovane sacerdote, ordinato in Cina: Sant’Andrea Kim Taegon. Il quale rientrò in patria nel 1845 e dopo un anno fu torturato e decapitato. Divenne un martire e sul suo sangue nacque un popolo di cattolici. Dal 1960 in poi, ha concluso Lankov, i leader della Chiesa cattolica coreana lottarono a favore della democrazia e «quando finalmente il dominio militare terminò nel 1987 e la Corea divenne finalmente un paese democratico, la Chiesa cattolica venne ampiamente riconosciuta per il suo ruolo in questo cambiamento sismico. Inutile dire che tali percezioni rafforzarono notevolmente la sua popolarità». Questo spiega anche perché il 25% dei parlamentari si dichiara cattolico, compreso l’attuale presidente Moon Jae-in.

    fonte UCCR


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    00 13/03/2019 21:00

    boom vocazioniAumento costante delle vocazioni,
    tra le suore domenicane di An Arbor
     (Michigan) si trasferiscono in Texas. Anche in Inghilterra, secondo un’indagine, vi sono varie e fiorenti congregazioni di religiose. Una positiva eccezione rispetto ai dati emersi nel recente Annuario Pontificio.

     

    Secondo l’Annuario Pontificio 2019 appena pubblicato, continua la crescita dei cattolici nel mondo. Attualmente sono 1 miliardo e 313 milioni, pari al 17,7% della popolazione mondiale. Tuttavia, dal 2010 si è verificata per la prima volta una diminuzione del numero dei sacerdoti, passati da 414.969 nel 2016 a 414.582 nel 2017.

     

    140 religiose, serve un nuovo convento.

    Vi sono però alcune realtà che rappresentano una positiva eccezione. Ad esempio, le suore domenicane statunitensi, che in questi mesi stanno affrontando un problema. In seguito ad un boom di vocazioni giovanili la comunità è infatti arrivata a contare 140 religiose, così hanno dovuto lasciare il loro storico convento di Ann Arbor, nel Michigan, dove si erano stabilite nel 1997.

    Dopo una ponderata scelta, avendo già due conventi in California e in Texas, le sorelle hanno scelto di aprire un nuovo convento a Georgetown, a venticinque miglia a nord di Austin (Texas). Si impegneranno, come sempre, nell’insegnamento delle scuole cattoliche.

    «Man mano che la nostra presenza è cresciuta costantemente», hanno riferito le suore domenicane, «il nostro apostolato è fiorito, permettendoci di espandere il lavoro a cui Dio ci ha chiamato, lodare, benedire e predicare attraverso la catechesi, l’evangelizzazione e la testimonianza».

     

    Comunità fiorenti in Inghilterra: “Hanno preso sul serio il Vaticano II”.

    Secondo un’inchiesta del Catholic Herald, principale settimanale cattolico britannico, sono molti gli ordini religiosi femminili che stanno a loro volta letteralmente “esplodendo” di nuove vocazioni. Anche le religiose appartenenti alla comunità di Nostra Signora di Walsingham, ad esempio, hanno recentemente dovuto acquistare un nuovo noviziato per far fronte ai nuovi ingressi. Altre comunità fiorenti in Inghilterra sono le suore domenicane di San Giuseppe a Lymington (Hampshire), le sorelle di Maria Stella del Mattino a Grayshott (Hampshire) e le Suore Francescane del Rinnovamento a Leeds (Yorkshire).

    La giornalista e storica Joanna Bogle ha visitato queste ed altre comunità, sottolineando alcune caratteristiche comuni. Ad esempio la comunione dei beni, l’unità nella quotidianità, la Messa come fulcro della giornata, l’assenza della televisione, la volontà di concentrarsi nell’aiuto alle famiglie e all’evangelizzazione dei giovani (piuttosto che l’insegnamento nelle scuole), attraverso ritiri spirituali ed attività extrascolastiche. Tutte queste fiorenti congregazioni, si legge, «prendono sul serio la richiesta del Concilio Vaticano II di un autentico rinnovamento che risponda ai bisogni specifici del nostro tempo».

    fonte UCCR


    [Modificato da Credente 13/03/2019 21:01]
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    00 27/04/2019 16:48
    Papa Francesco dona 500mila dollari ai migranti bloccati al confine tra Messico e USA
    Il Pontefice ha deciso di donare mezzo milione di dollari a beneficio dei progetti di assistenza ai migranti del continente americano che tentato di raggiungere gli Stati Uniti ma rimangono bloccati in Messico.CRONACA ITALIANA 27 APRILE 2019  15:29 di Davide Falcioni

    Papa Francesco ha donato mezzo milione di dollari a favore delle organizzazioni che assistono i migranti in Messico: la somma sosterrà i ventisette progetti di sedici diocesi e congregazioni religiose del Paese che aiutano donne, uomini e bambini dei paesi centroamericani diretti negli Stati Uniti. Lo scopo del Pontefice è che vengano ancora garantiti alloggio, cibo e beni di prima necessità alle popolazioni in fuga e trattenute al confine con gli Usa. A trarre beneficio dai 500mila dollari saranno tredici progetti che sono stati già approvati per le diocesi di Cuautitlán, Nogales (due), Mazatlán, Querétaro, San Andrés Tuxtla, Nuevo Laredo (due) e Tijuana; così come per le Scalabriniane, la congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e Maria e le Sorelle Josefinas.

    Altri 14 progetti sono in corso di valutazione.
    In una nota l'Obolo di San Pietro spiega: “Negli ultimi mesi migliaia di migranti sono arrivati in Messico, dopo aver viaggiato per oltre 4.000 chilometri a piedi e con mezzi di fortuna da Honduras, El Salvador e Guatemala. Uomini e donne, spesso con bambini piccoli, fuggono da povertà e violenza, con la speranza di un futuro migliore negli Stati Uniti. Ma la frontiera statunitense rimane chiusa per loro”.

    E ancora: "Nel 2018 sono entrate in Messico sei carovane di migranti, per un totale di 75.000 persone; è stato annunciato l’arrivo di altri gruppi. Tutte queste persone sono rimaste bloccate, non potendo entrare negli Stati Uniti, senza casa né mezzi di sostentamento. La Chiesa Cattolica ospita migliaia di loro negli alberghi delle diocesi o delle congregazioni religiose, fornendo il necessario per vivere, dall’alloggio ai vestiti”. La donazione effettuata da Bergoglio intende garantire anche per il futuro l'assistenza primaria necessaria ai migranti bloccati in Messico.
    continua su: https://www.fanpage.it/papa-francesco-dona-500mila-dollari-ai-migranti-bloccati-al-confine-tra-messico-e-usa/http://www.fanpage.it/
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    00 21/11/2019 22:34
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    Il ragazzino che ha scoperto un nuovo criterio di divisibilità per 7


    Chika Ofili è un ragazzino nigeriano che ha scoperto un nuovo metodo per determinare la divisibilità per 7.
    Ed è molto più semplice di quello precedente!

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    Divisibilità per 7
    Chika Ofili, il ragazzino che ha scoperto il criterio di divisibilità per 7 Credits: PM news

    Chika Ofili è un ragazzino nigeriano di 12 anni che frequenta la Westminster Under School di Londra. Durante l’estate scorsa, come compito per le vacanze, si è mantenuto in allenamento risolvendo i problemi proposti nel libro “First Steps for Problem Solvers”. Il testo riportava, tra l’altro, vari criteri di divisibilità, tutti abbastanza semplici.

    Il criterio mancante

    Ma Chika si accorge che ne manca uno, quello di divisibilità per 7. O meglio, esiste ma non è immediato come quello per 2, 3, 5 o 9, per esempio. Decide di colmare la lacuna. E così tra una bevanda fresca e l’altra, indispensabili per sconfiggere la sete e la calura estiva, Chika scopre un test di divisibilità per 7 sorprendentemente semplice, così semplice che ci si chiede come mai nessuno prima di lui lo abbia scoperto.

    La divisibilità per 7

    Supponiamo che il numero sia nn. Siano LL la sua ultima cifra (quella delle unità) e NN il numero che si ottiene da nn, privandolo della sua ultima cifra. Allora, nn è divisibile per 77 se e solo se lo è il numeroC=N+5LC=N+5L. Prendiamo per esempio il numero n=266n=266. Moltiplichiamo la sua ultima cifra L=6L=6 per 5 e sommiamo il risultato 30 al numero rimanente N=26N=26. Otteniamo il numero C=26+30=56C==56 che è divisibile per 7. Pertanto, anche 266 è divisibile per 7. Se il numero nn è molto grande, non è un problema: si itera il procedimento fino a quando non ci si riconduce ad un numero di due cifre, per cui è facile verificare se è divisibile per 7 oppure no. Prendiamo, ad esempio, il numero n=3423n=3423. Moltiplicando l’ultima cifra L=3L=3 per 5 e sommando il risultato 15 al numero rimanente N=342N=342, si ottiene il numero 342+15=357. Ora applichiamo il medesimo procedimento a questo numero. Ne verrà fuori 35+5×7=35+5×7=70 che è divisibile per 7: ergo, anche 3423 lo è.

    Il numero che si ottiene da nn, applicando il procedimento descritto, viene indicato con CC e non casualmente: si tratta del numero di Chika.


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    00 26/01/2020 19:42

    Da Nazareth a Betlemme, il lungo viaggio di Maria e Giuseppe


    PUSTYNIA JUDZKA




    Per poter far nascere Gesù a Betlemme e realizzare le profezie dell’Antico Testamento, Maria e Giuseppe hanno dovuto affrontare dure prove


     


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    “E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti”, scrive il profeta Michea (5, 1). Anche se Giuseppe, discendente del re Davide, era originario del piccolo villaggio della Giudea, lui e Maria vivevano a Nazareth, nel nord della Galilea, quando Maria rimase incinta di Gesù, secondo quanto narra il Vangelo di Luca.

    Un viaggio di più di 150 km




    Quando Maria era quasi al termine della sua gravidanza, l’imperatore Augusto ordinò un grande censimento che obbligava tutti a dirigersi al proprio villaggio d’origine. “Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme” (Lc 2,4).


    Un viaggio di 156 chilometri che ha rappresentato un’autentica prova per la coppia in un’epoca in cui le strade non erano asfaltate – anche se in buona parte dell’Impero romano lo erano – e l’unico mezzo di trasporto disponibile era l’asino o il cammello. A questo andava aggiunto il fatto che Giuseppe, secondo alcune tradizioni, non era forse molto giovane, e che Maria era quasi al nono mese di gravidanza.



    Betlemme è situata a 7 chilometri a su di Gerusalemme, ma a 750 metri sul livello del mare. Anche se era la città del re Davide e la matriarca Rachele, seconda moglie di Giacobbe, era sepolta lì, era considerata una cittadina secondaria. La strada montuosa era però attraversata da molte carovane che andavano da Gerusalemme in Egitto.


    I Vangeli canonici non dicono nulla sul mezzo di trasporto impiegato dalla coppia, ma possiamo supporre che disponessero di un asino per portare il cibo. Probabilmente hanno anche dormito per tre o quattro notti all’addiaccio o in qualche locanda.




     

    FONTE ALETEIA





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