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COME FAR TESORO DEI PROPRI SBAGLI

Ultimo Aggiornamento: 10/08/2013 18:16
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10/08/2013 09:48
 
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5 - Per non cadere nel rilassamento, occorre un coraggio a tutta prova.

Ora, dice l'eminente P. Faber (8), “la più dolce di tutte le più soavi dottrine che S. Francesco di Sales, divinamente ispirato, ci ha insegnato, è quella che riguarda il punto di vista da cui dobbiamo metterci per giudicare bene le nostre colpe”.
Egli innanzitutto, sostiene in modo assoluto che non bisogna mai perdersi di coraggio dopo una caduta, qualunque essa sia. “O cielo! bisognerebbe piuttosto morire che offendere coscientemente e deliberatamente il Signore! Ma se tuttavia cadiamo, è molto meglio perdere tutto il resto che non il coraggio, la speranza e le buone risoluzioni” (9). “Se vi accade di commettere qualche mancanza, umiliatevi e ricominciate. - Ma, direte voi, in tal modo, non vi correggete abbastanza energicamente delle vostre imperfezioni. - Sapete che vi ho detto più volte che dovete amare tanto la pratica della fedeltà verso Dio come quella dell'umiltà: della fedeltà, per rinnovare il proposito di servire la divina Bontà, tutte le volte che lo trasgredite; dell'umiltà, per riconoscere la vostra miseria ed abiezione quando lo violate” (10). - “Servire bene Dio, significa essere caritatevole verso il prossimo, avere la ferma risoluzione di seguire la volontà di Dio, avere l'umile disposizione e semplicità di affidarsi a Dio, rialzarsi tutte le volte che si cade, e sopportare se stessi nelle proprie miserie e gli altri nelle loro imperfezioni” (11). - “La fragilità non è un gran male, purché venga sostenuta da un costante coraggio, ch'io vi scongiuro d'avere” (12).
“Non dovete scoraggiarvi, ma impiegare invece, con dolce fermezza, tutto il tempo e la cura necessaria per guarire l'anima dal male che possa aver ricevuto in questi assalti” (13). - “Le nostre imperfezioni non devono piacerci, ma farci dire col grande Apostolo: O me infelice! chi mi libererà da questo corpo di morte? (Rm 7, 24) Però non devono neppur meravigliarci o scoraggiarci, ma infonderci sommissione, umiltà, diffidenza di noi stessi, e mai scoraggiamento o amarezza di cuore, e tanto meno il dubbio sull'amore che Dio ci porta. Non già che Dio ami le nostre imperfezioni e peccati veniali, ma ama noi, nonostante queste deficienze. Come una madre pur provando dispiacere per la debolezza e infermità del suo bambino, non cessa di amarlo, ma anzi l'ama con più tenerezza e compassione; così Dio, benché gli dispiacciano le nostre imperfezioni e peccati veniali, tuttavia continua ad amarci teneramente. Perciò Davide aveva ragione di dire al Signore: Abbiate, o Signore, pietà di me, perché sono infermo” (14).
“Bisogna, care figlie, essere molto generose... e aver grande coraggio per disprezzare le nostre inclinazioni, umori, bizzarrie e sensibilità, mortificandole costantemente in ogni assalto. Se tuttavia ci scappano delle mancanze, non arrestiamoci, ma ravviviamo il coraggio per poter essere più fedeli alla prossima occasione, facendo un passo in più nella via di Dio e nella rinunzia di noi stessi” (15).
“Per non stancarsi occorre un coraggio a tutta prova con noi stessi, perché resterà sempre qualcosa da fare o da togliere... Avete mai visto coloro che si addestrano al maneggio delle armi? Essi sbagliano sovente. Così pure quelli che imparano a cavalcare; ma non per questo si dan per vinti, perché altro è restar qualche volta sopraffatti e altro esser vinti” (16).
“Il diffidare di voi stessa è cosa buona, finché vi serve di fondamento per confidare in Dio; ma se diventa causa di qualche scoraggiamento, inquietudine, dispiacere o malinconia, vi scongiuro a rigettarla come la peggior tentazione. Non permettete mai al vostro spirito di disputare o replicare in favore dell'inquietudine o abbattimento d'animo cui vi sentite portata... anche se si presenta sotto il pretesto specioso dell'umiltà” (17).
Da tutti questi brani si vede come S. Francesco di Sales combatteva lo scoraggiamento, andando direttamente alle cause. Perché uno si scoraggia? O perché esagera la propria debolezza, o perché misconosce la misericordia di Dio, o, più sovente, per tutt'e due i motivi.
Questo, sia detto di passaggio, è un fenomeno strano, ma purtroppo comune: il peccatore cade perché dimentica la propria debolezza ed esagera la misericordia di Dio. Dopo la caduta, questi due sentimenti rinascono, ma in senso inverso: il riconoscimento della propria debolezza prende proporzioni smisurate e avviluppa l'anima in un manto di tristezza e di confusione opprimente; Dio invece, che un momento prima, venne offeso con tanta audacia perché si presunse del suo perdono, ora appare come un vendicatore inesorabile. L'anima colpevole ha paura di Lui e sente vergogna di se stessa, e se non reagisce alle due funeste tentazioni, finisce col rinunciare vilmente alla lotta, e anziché liberarsi dai lacci del peccato, gli si abbandona ignobilmente in braccio.
Lo scoraggiamento è quella capitolazione della volontà, quella specie di proposito a rovescio che spesso ha per conseguenza l'impenitenza finale.
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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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